Roma Tre News 1/2009

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Sommario

Reportage 49

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Tra antichi saperi e moderne contraddizioni Viaggio in India dall’India, Marco Mattiuzzo

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L’evoluzione del tradizionale Come la tecnologia interviene nella vita quotidiana di Edoardo Bemporad

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Sulla cresta dell’onda Taccuino di viaggio da una capitale all’avanguardia da Madrid, Tommaso D’Errico

Scenari di mobilità Le tecnologie al servizio della sicurezza stradale di Maria Rosaria De Blasiis

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L’uomo-password Autenticazione biometrica: essere o non essere? di Patrizio Campisi

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I due tempi dell’e-learning Dalla logica del ricalco a quella del calco. Come la rete contribuisce a ridefinire la didattica di Roberto Maragliano

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«Ho visto cose che voi umani non potete immaginare» Come cambia il cinema con l’intervento delle tecnologie di Giorgio De Vincenti

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Convergenze visive Cambiamenti radicali nella televisione e nel modo popolare di consumare immagini di Enrico Menduni

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Editoriale

Primo piano

Rubriche

L’avvento dei people media 16 Tecnologie della comunicazione, televisione e cambiamenti sociali: questioni di metodo storico di Franco Monteleone L’arte elettronica Esplorazioni formali e “compromissioni” tecnologiche dell’opera d’arte contemporanea di Laura Iamurri

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Chirurghi dell’arte Il restauro delle opere d’arte tra storia e tecnologia di Mario Micheli

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ZKM Come l’arte incontra la tecnologia di Camilla Spinelli

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Le nuove tecnologie nelle biblioteche accademiche Intervista allo staff del Centro servizi di Ateneo per le biblioteche di Fulvia Vitale

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Le crociate sul copyright Perché la politica delle major rischia di portare al collasso il sistema discografico di Jacopo Damiani e Francesco Martellini

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La freccia spuntata 30 È partita l’alta velocità ferroviaria e tutti gli altri treni arrancano sulle linee storiche: quando le alte tecnologie sono solo un affare per pochi di Federica Martellini Nessuno stop ai cambiamenti climatici senza interventi nel settore auto Un network di associazioni ambientaliste ha lanciato una campagna internazionale per l’efficienza energetica nel settore automobilistico di Monica Pepe

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Nuovi media e pornografia Come Internet ha modificato il sex business di Luisa Leonini

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Sandwich generation Donne alla ricerca della semplificazione del quotidiano di Laura Moschini

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Ultim’ora da Laziodisu Non tutti sanno che ...

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Recensioni Università ed emergenza formazione Quale futuro tra sfide internazionali e “mannaie” locali di Giuditta Alessandrini

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Mille e una vela per l’università Gli atenei si sfidano per mare nella regata annuale promossa da Roma Tre di Maria Vittoria Marraffa

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È possibile vendere la propria vita? L’autore di Raccontami la notte in cui sono nato in una riflessione a partire dal suo ultimo romanzo di Paolo Di Paolo

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«Le vite degli altri» Una riflessione sulle tecnologie che ci spiano visto da Daphne Letizia

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Periodico dell’Università degli Studi Roma Tre Anno XI, numero 1/2009 Direttore responsabile Anna Lisa Tota Docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi Coordinamento di redazione Alessandra Ciarletti (Resp. Ufficio orientamento) Federica Martellini (Ufficio orientamento) Divisione politiche per gli studenti r3news@uniroma3.it Redazione Ugo Attisani (Ufficio Job Placement), Valentina Cavalletti (Ufficio orientamento), Gessica Cuscunà (Ufficio orientamento), Tommaso D’Errico (studente del C.d.L. in Competenze linguistiche e testuali per l’editoria e il giornalismo), Indra Galbo (studente del C.d.L. in Scienze politiche), Elisabetta Garuccio Norrito (Resp. Divisione politiche per gli studenti), Michela Monferrini (studentessa del C.d.L. in Lettere), Monica Pepe (Resp.Ufficio stampa), Camilla Spinelli (studentessa del C.d.L. in Comunicazione nella società della globalizzazione), Fulvia Vitale (studentessa del C.d.L. in Giurisprudenza) Hanno collaborato a questo numero Giuditta Alessandrini (responsabile gruppo AIF Università), Virna Anzellotti (segreteria Adisu Roma Tre), Edoardo Bemporad (docente di Materiali per l’Ingegneria meccanica), Patrizio Campisi (docente di Teoria dei segnali), Jacopo Damiani (Razorlabel), Maria Rosaria De Blasiis (docente di Progettazione integrata delle infrastrutture viarie), Giorgio De Vincenti (direttore del Dipartimento Comunicazione e spettacolo), Paolo Di Paolo (scrittore e giornalista), Gianpiero Gamaleri (Commissario straordinario Adisu Roma Tre), Laura Iamurri (docente di Istituzioni di storia dell’arte contemporanea), Luisa Leonini (Dipartimento di Studi sociali e politici, Università degli studi di Milano), Daphne Letizia (dottoranda in Diritto privato), Roberto Maragliano (docente di Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento), Maria Vittoria Marraffa (studentessa del C.d.L. in Storia e conservazione del patrimonio artistico), Francesco Martellini (Razorlabel), Marco Mattiuzzo (Ufficio cerimoniale), Enrico Menduni (docente di Culture e formati della televisione e della radio), Mario Micheli (docente di Storia e tecnica del restauro), Franco Monteleone (docente di Storia e critica della radio e della televisione), Laura Moschini (docente di Etica sociale) Immagini e foto P. Carnetti ©, Tommaso D’Errico, Andrea Franchi, John Gaughan ©, Matteo Lizzi ©, Giuseppe Manelli, Marco Mattiuzzo, Chris Spatschek ©, Studio Azzurro ©, Bill Viola e Kira Perov © Progetto grafico Magda Paolillo Conmedia s.r.l. - Piazza San Calisto, 9 - Roma 06 64561102 - www.conmedia.it Impaginazione e stampa Tipografia Stilgrafica s.r.l. Via Ignazio Pettinengo 31-33 - 00159 Roma

Maurizio Ranzi. La casa ipertecnologica a cura di Alessandra Ciarletti

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Copertina In copertina: Un treno in partenza nella metropolitana di Madrid, foto di Tommaso D’Errico L’elaborazione grafica della copertina e delle carte geografiche è di Tommaso D’Errico

Massimo Lattanzi. Stalking. La parola più violentata di Gessica Cuscunà

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Finito di stampare aprile 2009

Incontri

Registrazione Tribunale di Roma n.51/98 del 17/02/1998


«Quando gli oggetti pensano, le persone cosa fanno?» Viaggio tra tecnologie ribelli e oggetti intelligenti di Anna Lisa Tota La tecnologia è il Leitmotiv che collega questo numero a quello precedente: là era declinata rispetto ai suoi rapporti con la scienza, qui invece rispetto ai suoi rapporti con la vita quotidiana. Siamo tutti testimoni del fatto che la vita quotidiana è mutata drasticamente negli ultimi decenni grazie all’innovazione tecnologica e alla sua rapida diffusione. Dal punto di vista comunicativo si sono affermate e diffuse nuove forme di interazione sociale, come le comunicazioni in chat o gli sms. L’invenzione del World Wide Web, il 13 marzo 1989, cioè della veste civile della rete (che deriva dal progetto militare statunitense ARPANET) grazie a Tim Berners Lee, ha rivoluzionato in due decenni quasi tutto quello che facciamo. La tecnologia ha cambiato anche il modo di fare cinema e televisione. Persino i musei d’arte sono diventati tecnologici e non soltanto quelli come lo ZKM di Karlsruhe, dove le opere d’arte interagiscono con i visitatori, ma anche quelli più tradizionali, come il museo Van Gogh di Amsterdam, dove su un computer in tempo reale ci viene mostrata la variazione della luminosità di una natura morta, a seconda dell’angolazione considerata. Nel quotidiano gli oggetti inanimati non sono più tali, ma spesso sono diventati oggetti tecnologici. Donald Norman ha scritto alcuni libri celeberrimi sul posto della tecnologia nel nostro mondo: dalla famigerata “caffettiera del masochista” – con cui siamo destinati a rovesciare sempre il caffè e a bruciarci le mani – alle “cose che ci rendono intelligenti”. Ed è innegabile che queste ultime siano davvero tante. Quando pensiamo alle tecnologie, ci vengono in mente computer, telefonini, macchine fotografiche, laser e apparecchi di vario genere sempre più sofisticati. In realtà le tecnologie del quotidiano sono applicazioni talora semplicissime, idee geniali capaci di cambiare la qualità del nostro quotidiano. In molti supermercati europei, ad esempio, ci sono due tipi di carrelli della spesa: quelli con la lente d’ingrandimento vicino alla barra su cui si appoggiano le mani (per permettere anche alle persone più anziane, che ci vedono poco, di leggere le etichette dei prodotti che acquistano) e quelli con l’automobilina incorporata (per trasformare la spesa settimanale in un’avventurosa gita fra gli scaffali anche per i clienti più piccoli). Tuttavia Norman ci ricorda che esistono anche “tecnologie che ci rendono stupidi”. La ribellione degli oggetti inanimati è un topos ricorrente nella comicità: gli oggetti rifiutano le loro identità per assumerne altre, totalmente inedite e impreviste. Si pensi a Bananas, il film di Woody Allen, in cui l’attore insegue un surgelato appena estratto dal frigorifero per tutta la cucina. Il surgelato si anima, sembra

assumere vita propria mentre schizza da tutte le parti, rendendo tutta la scena assolutamente esilarante. Gli oggetti tecnologici sono un po’ come il surgelato di Woody Allen, qualche volta sembrano assumere il controllo e dettarci le loro condizioni. È certamente capitato a tutti noi almeno qualche volta di aver acquistato un nuovo cellulare e maledire il fatto che, oltre a telefonare e a mandare gli sms, quell’aggeggio diabolico abbia almeno una dozzina di altre funzioni che prima o poi dovremo riuscire a padroneggiare. Oppure quel nuovo lettore dvd che sembra tanto semplice e invece ci fa perdere un intero pomeriggio. Georg Simmel, molti anni fa, aveva già intuito una delle caratteristiche della nostra contemporaneità, e cioè l’eccedenza della cultura incorporata negli oggetti (e nelle tecnologie) rispetto alla nostra capacità di decodificarla. E ancora Simmel ci dava un’altra chiave di lettura privilegiata per ragionare e sorridere della ribellione degli oggetti che ci circondano: noi attribuiamo loro significato, diamo loro senso e legittimazione attraverso le nostre azioni – diceva Simmel – salvo poi scordarci continuamente che tali processi di attribuzione del senso dipendono da noi, e allora miracolosamente questi oggetti dotati di significato ci appaiono là fuori, come dotati di una natura costrittiva rispetto al nostro agire sociale nel quotidiano. In questo numero parleremo in primo luogo di tecnologie della comunicazione: dal cinema alla televisione, parleremo di arte e tecnologia, parleremo dell’impatto delle tecnologie sul restauro delle opere d’arte e poi ancora di pornografia in internet, di e-learning, della diffusione dei libri elettronici, delle nostre case e di tutte le tecnologie che contengono, e del rapporto tra gender e tecnologie per osservare gli effetti che l’innovazione tecnologica può avere rispetto a uomini e donne. Il quesito che ci rimane è appunto quello espresso nel titolo: quando gli oggetti pensano, le persone che fanno? E quando le tecnologie ci interpellano, noi possiamo anche non ascoltarle? Se pensiamo che un giorno il nostro forno di casa sarà dotato di eloquio e potrà impunemente dirci quello che pensa di noi e di tutti gli arrosti che abbiamo bruciato o che forse la nostra lavatrice ci avvertirà appena in tempo mentre stiamo per candeggiare impropriamente tutte le magliette di nostro figlio, piuttosto che batterci per i diritti dei cyborg a fianco di Donna Haraway ci verrà voglia di rispolverare qualche posizione vetero-luddista, ma poi penseremo al nostro bellissimo computer che pesa un chilo e che contiene i dati e le informazioni di tutta una vita, e capiremo che senza tecnologia non sapremmo più come fare…


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L’evoluzione del tradizionale Come la tecnologia interviene nella vita quotidiana

primo piano

di Edoardo Bemporad Tutti sono consapevoli della crescente diffusione di prodotti ad alta tecnologia nella vita quotidiana: tanto per citare i più comuni, pensiamo a oggetti come palmari e smart phone che stanno profondamente modificando il nostro rapporto con le modalità di fruizione e scambio della conoscenza. Si tratta di proEdoardo Bemporad dotti innovativi ad alta tecnologia, non solo “hardware”, ma anche “software” che spesso ridisegnano i paradigmi della comunicazione e dell’informazione, integrando tutti i tipi di veicoli (voce, immagini, video) e, di conseguenza, hanno un forte impatto sociale su tutti noi. Le tecnologie su cui si basano, dalla micro-elettronica ai materiali avanzati, sono dette “trasversali e abilitanti”, perché sono comuni a molti prodotti che senza di esse non potrebbero essere realizzati. E in effetti molte cose fantasticate da scrittori e registi del secolo scorso sono oggi nella nostra vita di tutti i giorni. Queste tecnologie, che condividono la convergenza multidisciplinare dei saperi (infoscienze, bioscienze e nanoscienze) permeano praticamente tutti i prodotti innovativi “high tech” resi disponibili negli ultimi anni in settori che spaziano dall’aeronautica all’ingegneria biomedica e da questi settori stanno migrando verso prodotti, anch’essi di alta tecnologia, di uso quotidiano (elettrodomestici, automobili, salute, benessere).

“Le nanotecnologie sono tecnologie trasversali e abilitanti che costituiscono un modo nuovo di realizzare materiali” Minor consapevolezza, invece, si riscontra sull’impatto delle nuove tecnologie nei cosiddetti prodotti “a bassa tecnologia” utilizzati nella quotidianità: si tratta della “nobilitazione” di prodotti convenzionali, ottenuta con l’inserimento di nuove caratteristiche (prestazioni), fortemente desiderate dai consumatori, basate sull’impiego mirato e a basso costo di tecnologie altamente sofisticate. Si è costantemente alla ricerca di nuove prestazioni nei prodotti (più leggeri, più economici, più piccoli, più durevoli, più caldi, più freschi, più belli, più puliti, più ri-

spettosi dell’ambiente, più più più…). Oggi esistono tessuti che non si macchiano e/o non si bagnano, lenti di occhiali che non si graffiano, camicie che si stirano da sole durante l’asciugatura, tavoli di legno su cui chi non vuole rinunciare al fumo non corre il rischio di provocare bruciature se si scorda il mozzicone acceso, a vetrate che non si sporcano o si autopuliscono. Poi la tecnologia in sé ha sempre avuto un suo fascino intrinseco che spesso è un ottimo incentivo commerciale: gioielli in materiali più economici delle usuali leghe preziose che però risultino ugualmente piacevoli alla vista e al tatto; vetri delle finestre che cambiano la trasparenza con le ore del giorno, lampade che disinquinano l’ambiente in cui sono accese. Per non parlare del fatto che la globalizzazione, la libera concorrenza, i costi delle materie prime e della manodopera rendono la via dell’innovazione tecnologica indispensabile alle aziende per rimanere sul mercato, offrendo quel “qualcosa in più”; qualcosa che molto spesso non sappiamo neanche bene che cos’è e se ci serve per davvero, però è “in più”. Strumentazione del LIME


oramai diffusa nel mondo della Nella convergenza infoscienzeproduzione di poter controllabioscienze-nanoscienze, la re, osservare e manipolare la componente più trasversale e materia su scala sub-micromeassolutamente attuale che è trica potendo così conferire sotto praticamente ogni altra nuove funzionalità e nuove tecnologia innovativa per la noproprietà. E in effetti queste bilitazione dei prodotti tradinuove o inusuali proprietà di zionali, è la messa a punto di materiali hanno aperto enormi nuovi materiali basati sull’impiego delle nanotecnologie. Si possibilità di innovazione. tratta di un insieme di materiali Ma come è possibile che, se (metallici, ceramici, polimeri“nano-strutturato” o in forma ci), disponibili non solo come di “nano-particella” un mate“materiali massivi”, ma anche riale fragile si comporti come come fili, schiume, tessuti, uno tenace o che cambi il suo film, compositi caratterizzati colore ”tradizionale” o la sua Nanosensore realizzato on-site mediante tecniche FIB per dal fatto di essere realizzati conducibilità termica o modifila determinazione di sforzi residuali di rivestimenti con un controllo sulla propria impiegati nella meccanica chi le capacità di catalizzatore struttura che va dal miliardesio aumenti l’efficienza dei promo di metro fino alle dimencessi fotovoltaici o migliori il sioni macroscopiche. Grazie a questa capacità di conpotere protettivo di una crema solare? Come è possibile trollo è possibile progettare e realizzare materiali con che ciò non avvenga quando lo stesso materiale viene utilizzato in forma massiva non “nanostrutturata”? Parfunzionalità finora irraggiungibili. Nelle poche righe che lando in maniera estremamente schematica e semplificaseguono proveremo a farci un’idea di quanto questi mativa, il trucco è nel rapporto superficie/volume: quando teriali impattino sulla vita di tutti i giorni. Le nanotecnola superficie specifica diventa elevatissima, le proprietà logie sono tecnologie trasversali e abilitanti che costituidi “superficie” o di “interfaccia” (superficie di contatto scono un modo radicalmente nuovo di realizzare matetra diverse componenti dello stesso materiale) prendono riali, prodotti e dispositivi con caratteristiche estremail sopravvento su quelle di “volume”. Senza addentrarci mente migliorate o del tutto nuove. Si sono sviluppate troppo, le dimensioni tipiche per nanostrutture o nanosostanzialmente a partire da una ventina di anni fa, soparticelle sono in un range di 1-10 nm; se finemente disprattutto grazie alla capacità acquisita dalla ricerca e perse in un’altra fase i chimici le chiamerebbero colloidi, come il rossetto, il burro, la maionese, la colla, la nebbia o il fumo. Caratteristiche singolari di alcuni materiali, utilizzati come nanoparticelle già molto prima dell’avvento delle nanotecnologie, si possono trovare nella famosa “coppa di Licurgo” (è di colore diverso se

“La piena consapevolezza e l’idea di manipolare e gestire gli aggregati di atomi la dobbiamo a Richard Feynman” la si guarda in riflessione o in trasparenza), nel rosso delle vetrate delle chiese (proviene da nanoparticelle di oro), nella resistenza alla radiazione solare dei pneumatici (addizionati con nanoparticelle carboniose, cioè di “nerofumo”). La piena consapevolezza, e l’idea di manipolare e gestire gli aggregati di atomi la dobbiamo a Richard Feynman, che ebbe questa intuizione nel 1959 quando, al meeting annuale della American Physical Society al Caltech presentò il suo contributo dal titolo There’s Plenty of Room at the Bottom, invitando a entrare in un nuovo campo della fisica (quello delle nanotecnologie appunto). Per quanto riguarda la “sintesi” di nanoparticelle, l’attività di ricerca diviene consistente intorno al 1982, relativamente a particelle che avevano dimensioni fisiche da 1

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scurare inoltre che uno dei nuoa 10 nm di diametro. Queste vi e importantissimi temi che particelle furono preparate a esse portano con sé, anch’esso partire dalla condensazione di molto attuale e che avrà non povapori metallici in bassa presche conseguenze sul quotidiano, sione in atmosfera inerte. Le è quello delle implicazioni sulla particelle furono poi condensasalute dell’uomo. te e consolidate in piccoli soliAnche il nostro Ateneo è coindi e il prodotto furono le “navolto ovviamente in questa nostrutture”. Il primo esempio grossa sfida di innovazione tradi nanostrutturazione è qui: nel mite l’impegno di molti gruppi riuscire a creare le nanopartidi ricerca distribuiti in vari Dicelle, aggregarle in nanostrutpartimenti e in varie Facoltà. ture e governare questi procesTra le infrastrutture che più sosi per conferire le prestazioni no votate allo studio delle nastrutturali o funzionali desidenotecnologie e dei nano materate. Oggi si può partire fin da Una lezione presso il laboratorio interdisciplinare di riali vi è senz’altro il LIME singoli atomi e assemblarli microscopia elettronica (LIME) (Laboratorio interdipartimenta(tecniche bottom up) o da agle di microscopia elettronica, gregati grossolani e ridurli per www.lime.uniroma3.it). Nato poco più di una decina di comminuzione (tecniche top-down). Facile, no? Be’, inanni or sono e oggi centro di eccellenza riconosciuto a somma. livello internazionale; il LIME vanta una dotazione Diverse tipologie di nanoparticelle (inorganiche artifistrumentale di primissimo livello, grazie a una politica ciali e naturali, polimeriche, biologiche) opportunamendi investimenti lungimirante da parte degli organi di gote riaggregate sono di crescente interesse nella realizzaverno e agli sforzi dei singoli ricercatori afferenti, che zione di materiali massivi, rivestimenti spessi e sottili, hanno cofinanziato pesantemente con fondi di progetti dispositivi, componenti e prodotti, caratterizzati da prespecifici la crescita e il potenziamento di questa bella stazioni funzionali e/o multifunzionali ampiamente direaltà di Roma Tre. Il LIME è un laboratorio nel quale versificate (dalle strutturali alle chimiche, dalle elettricoesistono ricercatori che provengono da mondi a volte molto diversi: biologi, ingegneri, fisici, geologi, chimi“Nel 2007 in tutto il mondo ci, ma che lavorano fianco a fianco arricchendo le conosi sono spesi circa 14 miliardi di euro scenze grazie a questa spiccata interdisciplinarietà e sfruttando al meglio le possibilità di indagine offerta sulle nanotecnologie” dalle strumentazioni presenti, come ad esempio un microscopio ionico-elettronico di ultimissima generazione in grado di osservare, manipolare e depositare materiali che alle elettroniche, alle ottiche, alle magnetiche, alle su scala sub micrometrica: un vero e proprio nano labobiologiche) per l’utilizzo in ambiti civili e industriali ratorio insomma! quali: aeronautico, beni culturali, biomedico, ceramico, Imperniate sul LIME, tra l’altro, sono alcune recenti inichimico, cosmetico, costruzioni, decorativo, elettromecziative finanziate dal MIUR al nostro Ateneo: canico, elettronico, energetico, farmaceutico, manifattu- PRIN 2007, progetto Nanotecnologie e funzionalizzariero, meccanico, mobiliero, tessile. Esempi di applicazione delle superfici per il Made in Italy (Made in Italyzioni spaziano dalle parti strutturali e motoristiche di Nanotech), coordinato da Roma Tre; veicoli terrestri, aerei o navali ai calcestruzzi ad alte prestazioni ed elevata durevolezza, fino ai trattamenti superficiali anti-usura e anticorrosione, alle barriere termi“Tra le infrastrutture che più sono che, alle celle solari, ai dispositivi termoelettrici. Ancora, si possono annoverare tra gli impieghi filtri, catalizvotate allo studio delle nanotecnologie zatori, supporti per farmaci, schermi elettromagnetici, e dei nano materiali vi è senz’altro guarnizioni di attrito per freni, nanosospensioni colloiil LIME di Roma Tre” dali per restauro e consolidamento di affreschi, inchiostri, additivi per lubrificanti, cosmetici, pigmenti, polve- FIRB-RETI, progetto ITALNANONET, rete nazionale ri per ceramici ad elevate prestazioni, superfici antibatMIUR per la convergenza delle nanoscienze e delle bioteriche, antisdrucciolo, facilmente pulibili, resistenti alla scienze verso i settori Tecnologie di produzione e Biofiamma.Nel 2007 in tutto il mondo si sono spesi circa 14 medico. La rete è costituita da otto nodi e Roma Tre comiliardi di euro sulle nanotecnologie; chi fosse curioso ordina uno dei due nodi finalizzati alle tecnologie di prosu come vengono spesi per la parte ricerca può dare duzione. un’occhiata ad esempio qui: www.nanotech.net, o qui: Per concludere, molti sono i cambiamenti che ci dobbiahttp://www.federchimica.it/DALEGGERE/Eventi/Intermo aspettare dall’impiego di nanotecnologie, e alcuni soventiConvegno_1208_Nanotecnologie.aspx e www.nano già arrivati: notec2009.it tra le tante iniziative nazionali. Da non tra-


- cambiamento culturale: la pervasività dell’approccio nanotecnologico causerà un cambiamento culturale in direzione delle nuove multi-disciplinarietà, basato sulla interazione di campi tradizionalmente distinti quali fisica, ingegneria, chimica, biologia, informatica, con una presenza costante della scienza della salute; - cambiamento tecnologico: le tecnologie del trasporto, dei materiali, dell’elettronica, dell’informazione, dell’ambiente e quelle biomedicali saranno profondamente influenzate dalle nanotecnologie e si assisterà a un veloce e continuo progresso; - miglioramento della qualità della vita: dovuto alla pro-

fonda innovazione delle metodologie diagnostiche e terapeutiche, al miglioramento della sicurezza in tutti i settori produttivi, nelle abitazioni e nei trasporti sia terrestri che aerei e al miglioramento della qualità delle produzioni agro-alimentari; - miglioramento della qualità dell’ambiente: dovuto alla riduzione dell’immissione di inquinanti grazie al miglioramento dell’efficienza dei processi produttivi, alla riduzione dei consumi energetici, alla riduzione dei consumi di materie prime. Non siete d’accordo che tutto questo sia nella quotidianità?

Scenari di mobilità Le tecnologie al servizio della sicurezza stradale di Maria Rosaria De Blasiis L’entità degli eventi incidentali registrati sulla rete stradale non consente più alla società in cui viviamo di trascurare la necessità di adottare provvedimenti adeguati e urgenti. Dagli enti locali, ai governi regionali, nazionali sino al livello comunitario è ormai ritenuta imprescindibile l’adozione di misure tese a rafforzare Maria Rosaria De Blasiis la modesta riduzione di incidentalità sinora raggiunta. Nonostante l’emanazione da parte dei diversi organi di governo di piani di sicurezza stradale finalizzati al perseguimento degli obiettivi tramite iniziative quali lo svolgimento di campagne di educazione stradale, il rafforzamento del ruolo della segnaletica stradale, piuttosto che l’adozione di provvedimenti repressivi e nonostante gli avanzamenti tecnologici dei costruttori di autoveicoli, risulta sempre più necessario intervenire coniugando la tutela dell’incolumità con l’evoluzione del sistema di mobilità. Il tema della sicurezza stradale è dominato dall’opinione diffusa che l’evento incidentale si sarebbe potuto comunque evitare qualora l’utente avesse adottato comportamenti adeguati alla particolare emergenza della circolazione, quando in effetti, il sinistro è sempre una manifestazione episodica dei malfunzionamenti della circolazione. Tale convincimento, solo parzialmente giustificato, ha prodotto delle conseguenze che investono responsabilità non marginali dei diversi soggetti coinvolti. È questo il caso, ad esempio, dell’indiscriminata adozione dei limiti di velocità senza tener conto della funzione svolta da ciascuna infrastruttura all’interno dell’ambito territoriale e del sistema di rete stradale, delle interferen-

ze generate nel flusso dalla disomogeneità di motivazioni di spostamento e altro ancora. La stessa ingegneria stradale per anni è stata indirizzata prevalentemente allo studio di interventi di “sicurezza passiva”, attraverso cioè l’adozione di provvedimenti atti a ridurre la gravità delle conseguenze quando l’evento incidentale si produce, piuttosto che all’attuazione di interventi di “sicurezza attiva” capaci di agire sulla prevenzione del sinistro. È infatti emerso da studi condotti dalla comunità scientifica che il contributo di responsabilità dell’utente nella diverse situazioni oggettive di rischio è determinata dai mutui rapporti che coinvolgono l’utente, la strada e le sue condizioni di fruizione: le caratteristiche fisiche e funzionali delle infrastrutture viarie inducono gli utenti a comportamenti diversi a seconda delle differenti condizioni di circolazione. L’affidabilità delle leggi fisiche e degli sviluppi matematici sono stati e sono tuttora un sicuro rifugio dell’ingegnere stradale che affida a essi le sue certezze trascurando alcune questioni di grande rilievo nel mo-

“Le caratteristiche fisiche e funzionali delle infrastrutture viarie inducono gli utenti a comportamenti diversi a seconda delle differenti condizioni di circolazione” mento in cui desidera realizzare un’opera che garantisca un adeguato livello di sicurezza per l’esercizio della mobilità. Nell’ambito della sicurezza stradale, infatti, l’approccio matematico è stato sempre finalizzato essenzialmente allo studio delle caratteristiche fisico-meccaniche del veicolo o alla caratterizzazione geometrica della sezione stradale, trascurando il comportamento dell’utente e le sue possibili variazioni a seconda dei diversi condizionamenti esterni. È evidente, quindi, come le proble-

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matiche della sicurezza stradale debbano essere affrontate valutando le reali cause dei fenomeni incidentali, effettuando di seguito una diagnosi e infine interpretando razionalmente i rapporti di causa/effetto che regolano un sistema complesso quale quello costituito da uomo, strada e ambiente. È proprio in questa direzione che va ricercata la motivazione del mancato adeguamento dell’ingegneria stradale al continuo mutare dello scenario di mobilità, poiché è stato trascurato un passaggio essenziale

“La simulazione di guida in realtà virtuale è una delle sperimentazioni sulle quali si incentrano le ricerche condotte dal Centro di ricerca interuniversitario sugli studi per la sicurezza stradale che ha sede a Roma Tre” della scienza che, dopo aver formulato una teoria, pretende di certificarne la validità tramite la sua verifica sperimentale. Con gli strumenti tradizionali dell’ingegneria civile tali verifiche sinora non sono state effettuate: è proprio in questo contesto che si rendono necessarie le potenzialità di un approccio innovativo reso possibile grazie all’utilizzo di una tecnologia avanzata che prende il nome di simulazione di guida in realtà virtuale. L’esigenza di questa tipologia di sperimentazione rappresenta uno dei temi su cui si è fortemente incentrato lo sviluppo delle ricerche condotte dal CRISS, Centro di ricerca interuniversitario sugli studi per la sicurezza stradale, il quale dispone di un veicolo opportunamente strumentato, predisposto proprio per consentire una correlazione tra la sperimentazione di laboratorio e le misure di campo. Il Centro, la cui sede amministrativa si trova nel nostro Ateneo presso il Dipartimento di Scienze dell’ingegneria civile, ha lo scopo di promuovere, condurre e coordinare ricerche sulla sicurezza stradale, le sue finalità statutarie prevedono di favorire lo scambio di informazioni fra le università consorziate, ovvero tra le Università Roma Tre, La Sapienza e il Politecnico di Milano, nel quadro di una più ampia collaborazione nazionale e internazionale con altri istituti o dipartimenti universitari, centri di ricerca di enti pubblici o enti morali che operano nel settore. Le tecniche di sperimentazione dei fenomeni circolatori simulati in realtà virtuale, già ampiamente diffuse in altri settori della ricerca scientifica, si sono andate rapidamente affermando per lo sviluppo dei sistemi hardware e software, dimostrando grande versatilità proprio nei casi in cui risultano impraticabili o troppo onerose le tradizionali tecniche sperimentali. Tuttavia per l’ingegneria stradale la loro affidabilità è fortemente condizionata dalla capacità di ricostruire in realtà virtuale ambienti simili a quelli reali, tali da determinare reazioni psicomotorie analoghe a quelle che il soggetto in prova manifesterebbe al vero, nelle stesse condizioni della simulazione. Da questo punto di vista le tecnologie disponibili offrono le più ampie garanzie. Ne fanno fede i simulatori già utilizzati presso i

centri di ricerca dove si studiano le patologie della guida o si addestrano i conducenti all’esercizio viario in situazioni di emergenza. Il simulatore di guida consente di ricostruire in realtà virtuale l’ambiente stradale con un elevato livello di realismo. In particolare è possibile generare esattamente la geometria planoaltimetrica di un tracciato, le condizioni di traffico, le condizioni ambientali e lo scenario di contorno, dagli oggetti che si localizzano immediatamente a bordo strada, sino al panorama di sfondo. In simulazione, la strada può essere percorsa senza particolari oneri di sperimentazione da numerosi utenti e da differenti categorie di veicoli. L’analisi dei comportamenti di guida, attraverso il calcolo di sintetici indicatori di funzionalità e sicurezza dell’esercizio viario che tengono conto dell’intera articolazione del tracciato e dell’ambiente stradale, consente pertanto di formulare giudizi non solo sul patrimonio infrastrutturale esistente, ma anche rispetto alla qualità del progetto, prima che esso venga realizzato. È possibile in tal modo individuare le cause di criticità in modo univoco, sia in termini assoluti, sia rispetto a specifici condizionamenti connessi alla circolazione o a fattori ambientali. Una volta identificate le criticità del progetto è anche possibile valutare l’efficacia di interventi per la corre-

“È possibile generare esattamente la geometria planoaltimetrica di un tracciato, le condizioni di traffico, le condizioni ambientali e lo scenario di contorno, gli oggetti che si localizzano a bordo strada” zione delle eventuali anomalie, modelli di gestione del traffico e varianti progettuali, simulando in una realtà virtuale tali provvedimenti e ripetendo, nelle medesime condizioni, le prove di guida rispetto al medesimo campione di utenti. Numerose campagne sperimentali sono state condotte al fine di ottimizzare il sistema, verificarne i limiti, accertarne le potenzialità e stabilire di conseguenza i protocolli delle tecniche di misura. Questa fase propedeutica alle attività di ricerca è risultata particolarmente impegnativa e ha portato al chiarimento di alcuni punti nodali che condizionano la validità delle sperimentazioni in realtà virtuale, quali la corretta taratura dei sistemi hardware e software utilizzati per le misure, la delimitazione degli ambiti della sperimentazione suscettibili di essere indagati con questa tipologia di approccio, la definizione di tecniche di misura atte ad assicurare una corretta risposta sperimentale e la scelta di indicatori a cui riferire un giudizio di qualità della funzionalità dei tracciati di prova. In tale quadro il Centro di ricerca ha ottenuto un notevole riscontro in ambito internazionale partecipando attivamente a prestigiosi tavoli di discussione (congressi, meeting, workshop, ecc.) nei quali ha avuto ampio riconoscimento della qualità delle ricerche condotte e ha raccolto richieste di adesione da parte di prestigiosi istituti universitari.


L’uomo-password Autenticazione biometrica: essere o non essere? di Patrizio Campisi La biometria (dalle parole greche bios, vita e metros, misura) è la disciplina che ha come oggetto la misurazione delle caratteristiche fisiche o comportamentali di un individuo. I sistemi di autenticazione su base biometrica hanno lo scopo di verificare l’identità di un individuo o di identificarlo utilizzando la biometria. Patrizio Campisi Nelle azioni quotidiane, siamo chiamati in varie circostanze a provare la nostra identità, ad esempio per effettuare operazioni bancarie, per accedere ai servizi di posta elettronica, per effettuare acquisti con carta di credito o transazioni on-line, per poter accedere ad aree riservate sia logiche (come reti di dati, basi di dati, etc.) che fisiche (quali frontiere transnazionali, edifici, laboratori, etc.) Tutte queste attività hanno in comune la necessità di acquisire delle credenziali da parte dell’utente allo scopo di autenticarlo e conseguentemente consentirgli o meno l’accesso ad un servizio. Nei sistemi di autenticazione classici, le credenziali sono una password o un PIN, ovvero qualcosa che l’utente conosce, oppure un lasciapassare quale ad esempio una smart card o una tessera magnetica, ovvero qualcosa che l’utente possiede. Per contro nei sistemi di autenticazione su base biometrica le credenziali sono rappresentate dalle caratteristiche personali dell’individuo, sia fisiologiche, quali l’impronta digitale, la geometria della mano, il volto, la retina, l’iride, la geometria dell’orecchio, la struttura vascolare del palmo della mano e delle dita, l’elettrocardiogramma, l’elettroencefalogramma, etc., che comportamentali quali la voce, la firma, la scrittura, l’andatura, il movimento delle labbra, le caratteristiche di digitazione su una tastiera etc. Tali caratteristiche sono proprie di ogni individuo, non sono cedibili, non possono essere perse, copiate o rubate, contrariamente a quanto accade per password, PIN o più in generale per lasciapassare fisici. L’attività di ricerca sui sistemi di autenticazione biometrica e la loro messa in esercizio in apparati utilizzati nella vita quotidiana, ha conosciuto un significativo impulso nell’ultimo decennio, sia nell’ambito pubblico che in quello privato, stimolata principalmente dalle esigenze di sicurezza per l’autenticazione certa degli individui. Da un lato i governi hanno la necessità di controllare il territorio e le frontiere, dall’altro le imprese hanno l’esigenza di consentire ai propri dipendenti o ai propri clienti di

accedere in modo sicuro ad applicazioni critiche, a dati sensibili, a servizi on-line, e più in generale alle risorse che offrono. L’impiego della biometria a supporto della sicurezza è testimoniato da molteplici iniziative nazionali e internazionali quali l’introduzione del passaporto elettronico, della carta d’identità elettronica, del permesso di soggiorno elettronico, l’utilizzo delle impronte digitale e del volto per l’ingresso negli USA, l’utilizzo di varchi biometrici in molti aereoporti per automatizzare il controllo dell’identità dei passeggeri e in svariate applicazioni commerciali quali i sistemi automatici per il prelievo di denaro in Giappone, nei parchi divertimento, ad esempio Walt Disney World Resort in Florida, etc. Inoltre, il sempre crescente livello di accettazione dei sistemi biometrici da parte dell’utenza nel corso degli ultimi anni ha favorito la loro diffusione su larga scala tanto da portare a una riduzione dei costi realizzativi e quindi a un conseguente aumento della loro penetrazione nella vita quotidiana. In questo contesto si inserisce l’attività del gruppo di biometria del Laboratorio di telecomunicazioni del Dipartimento di elettronica applicata di Roma Tre che svolge attività all’avanguardia sui sistemi di autenticazione su base biometrica che hanno portato al conferimento di prestigiosi premi internazionali per la ricerca.

Nei sistemi di autenticazione su base biometrica le credenziali sono rappresentate dalle caratteristiche fisiologiche o comportamentali dell’individuo L’autenticazione biometrica avviene in due fasi distinte. Nella prima, quella di registrazione, l’utente dona un identificatore biometrico al sistema che successivamente ne estrae alcune caratteristiche rappresentative e le memorizza in una base di dati. Nella seconda, quella di autenticazione, l’utente, che vuole usufruire del servizio, presenta le proprie credenziali biometriche al sistema che ne estrae le caratteristiche rappresentative e le confronta con quelle presenti nella base di dati. Se vi è una corrispondenza tra le due stringhe di dati, quella memorizzata e quella estratta dal dato biometrico “fresco”, l’utente è autenticato e può così accedere al servizio, altrimenti è respinto dal sistema. Un sistema biometrico non è ovviamente esente da errori che possono portare da un lato ad autenticare individui che non posseggono le corrette credenziali, eventualità da minimizzare nel caso di applicazioni ad alta sicurezza, e dall’altro a non autenticare utenti che posseggono le corrette

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Identificatori biometrici

credenziali, situazione indesiderata in applicazioni commerciali. La diminuzione di un tipo di errore porta a un aumento dell’altro e viceversa. È quindi il livello di sicurezza richiesto dall’applicazione che determina le stategie di ottimizzazione degli errori. Se da un lato i sistemi biometrici offrono indubbi vantaggi rispetto ai sistemi di autenticazione convenzionali, dall’altro il loro utilizzo solleva molteplici problemi sociali, etici e relativi alla tutela della privacy. Infatti, quando un utente dona una propria caratteristica biometrica, rivela delle informazioni uniche circa la propria identità che in alcuni casi, quali ad esempio le impronte digitali, la voce, il volto, la firma, possono essere replicate. È stato dimostrato che alcuni identificatori biometrici, quali ad esempio la retina, il volto, la geometria della mano, etc., possono fornire informazioni relative alla salute di un individuo. Inoltre l’uso dello stesso identificatore biometrico per accedere a più servizi può consentire di co-

struire un profilo dell’utente. Queste problematiche hanno come possibili conseguenze il furto d’identità, la discriminazione di un utente in base al suo stato di salute o alle sue abitudini, al suo stile di vita, alle proprie attitudini politiche, sociali, sessuali e fede religiosa. Questi timori sono rafforzati dal fatto che alcuni identificatori biometrici, quali il volto, la voce, l’iride, l’andatura e alcuni altri possono essere acquisiti a distanza senza che l’utente ne abbia consapevolezza. Tutto ciò può portare a una perdita di autonomia in uno scenario di Big Brother orwelliano. Per concludere, i sistemi di autenticazione biometrica rappresentano il futuro dell’autenticazione sia in applicazioni di tipo istituzionale che commerciale. La sfida che i tecnologi sono chiamati a vincere è quella di progettare sistemi, non solo aventi prestazioni elevate e che siano robusti a possibili attacchi, ma che al tempo stesso siano rispettosi della libertà e della dignità degli individui.


I due tempi dell’e-learning Dalla logica del ricalco a quella del calco. Come la rete contribuisce a ridefinire la didattica di Roberto Maragliano Secondo un’accezione più immediata e diretta, l’e-learning è l’esito di un semplice e inevitabile ammodernamento tecnologico, quindi il frutto di un cambiamento nella struRoberto Maragliano mentazione d’uso. Passando da un apprendimento “tradizionale” (centrato sulla presenza mediatrice del docente e condotto tramite la lettura individuale di testi stampati) a un apprendimento “innovativo” (sostenuto dalla mediazione remota di una figura docente e articolato tramite la consultazione di materiali in formato digitale) ci si avvantaggia in termini di economia degli investimenti, sia da parte di chi eroga sia da parte di chi riceve formazione: l’adozione della rete dà il meglio di sé, infatti, misurandosi col compito di produrre, distribuire e far usare prodotti per la didattica. Coerentemente con questo impianto, l’e-learning realizza, diffonde e aggiorna costantemente materiali in diversi formati multimediali, rispettando contemporaneamente i bisogni e i tempi di ciascun soggetto coinvolto nell’attività di apprendimento o insegnamento. Ma, sempre in quest’ottica, qualcosa viene irrimediabilmente a mancare nel cambio ed è ciò che di “umano” e di “energetico” si è soliti legare alla presenza fisica dell’altro, sia esso docente o allievo. Secondo un’altra prospettiva, invece, l’e-learning reca con sé un cambiamento più profondo ed esteso, capace di mettere o meglio rimettere in gioco la natura stessa del fare

didattica. Questa prospettiva è più esigente e positivamente coinvolta nella natura trasformativa dell’esperienza: trasformativa, aggiungo, per chi ne è coinvolto e per gli oggetti e i contesti che essa stessa coinvolge e sconvolge. Lì fare didattica equivale non al banale mettere ipertesti al posto di testi oppure suoni e immagini assieme a scritture (o anche al loro posto), ma al ri-ambientare le attività dell’insegnamento e dell’apprendimento in un contesto reticolare. Questo implica anche ridefinire i pesi specifici e i ruoli tradizionalmente attribuiti all’insegnare e all’apprendere: con una formula, si può sostenere che in questa prospettiva l’e-learning tende – sia sul piano concettuale che su quello operativo – a subordinare l’attività di insegnamento alle

“L’e-learning è l’esito di un semplice e inevitabile ammodernamento tecnologico, quindi il frutto di un cambiamento nella strumentazione d’uso”

pratiche effettive dell’apprendimento, almeno tanto quanto nella didattica corrente si tende a ipotizzare che le pratiche effettive dell’insegnamento possano determinare, subordinandole, le attività di apprendimento. Non è una differenza da poco. E, com’è evidente, assumerla come indicazione di impegno comporta la perdita del parco delle consuetudini e delle sicurezze ereditate dalla tradizione didattica. Quelle a cui ho fatto riferimento non sono due opinioni difformi su ciò che è o potrebbe essere l’apprendere in rete, sono invece due modalità diverse di rappresentarsi la tempistica e la portata del cambiamento in atto. Se poi si ha cura di distribuirle nel tempo, le due idee possono anche convivere, pur risultando irriducibili l’una all’altra. La prospettiva da cui ho iniziato questo ragionamento può infatti essere intesa come coerente con la prima fase di affermazione dell’e-learning, quella nella quale prevale la logica del ricalco. In questo caso ai nuovi mezzi reticolari si chiede di riprodurre, nei limiti del possibile, le caratteristiche d’uso delle strumentazioni tradizionali. Come la televisione degli esordi portava nelle case immagini (ridotte? simulacrali?) di teatro, cinema, stadio, così l’e-learning porta negli ambienti domestici immagini (ridotte? simulacrali?) dei soggetti e degli oggetti dell’insegnare e dell’apprendere. Il guadagno è di poterseHome page della Moodle international conference, ospitata a Roma Tre nell’ottobre scorso

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le trovare a portata di mano (e di mouse), e questo compensa la inevitabile perdita di autenticità delle immagini stesse. Ma le cose non si fermano qui. Sappiamo che la televisione è diventata altro da quello che era alle origini e che l’identità matura che si è conquistata e le è universalmente riconosciuta (al di là dei giudizi di valore) ha indotto cambiamenti nel sistema generale dei media, intaccando la natura stessa di teatro, cinema, stadio. Quel che dovremmo aspettarci, dunque, è che l’innesto di rete dentro l’universo dell’insegnare e dell’apprendere possa introdurre cambiamenti altrettanto dirompenti nella famiglia dei media per la didattica e addirittura nel modo stesso di concepirla e praticarla. Va comunque chiarito che per “media” intendo qui non solo gli strumenti fisici per la comunicazione – come i libri o i filmati, ma anche i modelli stessi dell’organizzare sapere per la riproduzione/produzione – come è per la lezione, la conferenza, il seminario, l’esercitazione, la prova di verifica, l’attività di sostegno e di recupero, e così via: ed è per questo che ritengo che la riambientazione di rete comporti un ripensamento complessivo, generale, della didattica stessa. A legittimare una tale ipotesi non contribuiscono soltanto fattori generali: ad esempio, come non riflettere sul ruolo trasformativo e interpretativo di bisogni fin qui inespressi che la rete ha avuto nell’affermazione di Barack Obama? Contribuiscono anche significativi fatti interni allo stesso territorio didattico, come la diffusione internazionale, in ambito universitario e non solo, di piattaforme open sour-

ce per l’e-learning. Fenomeno, questo, che da un lato contribuisce a far maturare un linguaggio e un’enciclopedia comuni a chi pratica (e riflette su) attività formative di livello superiore, e da un altro lato consente di condividere l’inventività tecnologica di ciascun individuo e gruppo coinvolto nell’esperienza di formare in rete.

“È necessario ridefinire i pesi specifici e i ruoli tradizionalmente attribuiti all’insegnare e all’apprendere” Credo sia doveroso collocare tra questi significativi fatti interni l’iniziativa assunta da Roma Tre, tramite l’impegno del gruppo di lavoro del Laboratorio di tecnologie audiovisive del Dipartimento di progettazione educativa e didattica, volta a promuovere e ospitare la prima Moodle international conference (21-22 ottobre 2008). Lì, alla presenza degli ideatori e dei promotori della più estesa comunità internazionale di chi opera nell’e-learning, si è voluto mettere in luce e discutere ciò che comporta praticare e vivere consapevolmente la fase attuale, in cui da una prospettiva di didattica che rimedia la rete si sta passando ad una dentro la quale è la rete a ri-mediare – nel senso di ri-ambientare, riformulare, problematizzare – una didattica proiettata verso un’età adulta: sua e dei suoi destinatari.

«Ho visto cose che voi umani non potete immaginare» Come cambia il cinema con l’intervento delle tecnologie di Giorgio De Vincenti La storia del cinema non ha mai smesso di nutrirsi delle nuove tecnologie che ha incontrato sul suo cammino e la cui esistenza ha talvolta essa stessa provoGiorgio De Vincenti cato. Il dispositivo cinematografico è tecnologico per definizione e la nascita del cinema si pone nel punto di intersezione tra lo sviluppo delle tecniche di riproduzione fotografica e lo sviluppo degli studi sulla produzione artificiosa dell’effetto stroboscopico (effetto di movimento da immagini fisse). C’è un momento in cui queste due linee di ricerca tecnico-scientifica, relativamente indipendenti tra loro, si saldano nel nuovo dispositivo: il cinématographe dei fratelli Lumière, il cui uso dà presto vita a un nuovo (e, con il senno di poi, fortunato) linguaggio.

Da quel momento, per oltre cento anni, la storia del cinema conosce numerose svolte di rilievo, spesso legate allo sviluppo delle tecniche: l’utilizzazione di luci artificiali sempre più sofisticate, il perfezionamento delle emulsioni delle pellicole per rispondere alle necessità di una ripresa sempre più adeguata alle esigenze della riproduzione e dello spettacolo, il formato del fotogramma, le ottiche delle cineprese, fino alla grande svolta del sonoro, che segna una cesura forte tra un prima e un dopo.

“Il dispositivo cinematografico è tecnologico per definizione” E poi, il colore, il sonoro in presa diretta, e le forme del gigantismo inventate dal cinema per bilanciare la concorrenza del televisore domestico, piccolo e in bianco e nero: il cinemascope, il cinerama, il Todd-Ao. E ancora, l’introduzione dello zoom come sostituto (solo in certi casi appropriato) del carrello. E, quasi a bilanciare il gigantismo


economiche (se pubblico appena ricordato, l’introe attori tendono a coinciduzione nel cinema di dere, i costi dello spettafinzione delle cineprese colo tendono a ridursi, leggere in 16 mm., che anche drasticamente) e insieme con la presa diideologiche (se pubblico retta del sonoro indivie attori tendono a coinciduano presto particolari dere, la manipolazione di pratiche di realizzazione un’autorità apparentedei film. mente acefala può divenNoi viviamo oggi una tare totale: trionfo della tappa importante di quedemagogia). Ma la diretsta evoluzione: l’ingresso ta comporta anche l’irrudel digitale nei processi zione del quotidiano e cinematografici di produquesto può non essere zione e realizzazione. E Un fotogramma di Blade Runner, di Ridley Scott (1982) necessariamente così batuttavia questo momento nale come nei reality del non è separato da un congenere “Il Grande Fratello”. testo che si forma negli anni e la cui conoscenza permette La televisione insomma apre la strada alla de-realizzaziodi dare al fenomeno la sua giusta dimensione. Un contesto ne della Videosfera e contemporaneamente coltiva gli orti che è segnato da un insieme di opposizioni produttive e privati del quotidiano. solo apparentemente paradossali, che si dispongono lungo Il cinema, intanto, riprende la strada della differenziazione un asse di azioni e reazioni reciproche tra piccolo e grandall’elettronica. E l’effetto speciale (che esiste da quando de, documentario e finzione, realtà e de-realizzazione, esiste il cinema perché gli è del tutto connaturato), nella analogico e digitale. nuova veste digitale dalle infinite possibilità, consacra l’auspicata distanza del grande spettacolo ottico-sonoro dall’elettrodomestico casalingo. “Il cinema nasce nel punto di Optando per la via dell’“immersione” dello spettatore in intersezione tra lo sviluppo delle un universo virtuale sempre più connotato come un mondo tecniche di riproduzione fotografica e parallelo. quello degli studi sulla produzione Nel 1977 esce Star Wars di Steven Spielberg. Primo film realizzato con il sonoro dolby stereo, esso può essere conartificiosa dell’effetto stroboscopio” siderato come il momento di accelerazione del processo di virtualizzazione estrema dell’esperienza spettatoriale che culmina nell’odierno effetto speciale digitale in 3D. Il rapporto del cinema con la televisione è una delle comIl sonoro dolby individua un modo di essere della virtuaponenti principali di questo processo. Il segnale elettronilizzazione nel campo dell’audiovisivo e del cinema in parco, ben più immateriale della pellicola, comporta da subiticolare: il massimo della virtual reality si ottiene grazie al to una diversa estensione dell’audience nonché una divermassimo di verosimiglianza. Non si tratta di trompe-l’oeil sa, capillare, forma di fruizione. L’immaterialità del sema di verosimiglianza. È solo il verosimile, cioè il gioco gnale elettronico, inoltre, disegna un riferimento sempre esplicito e accettato di un falso che si presenta come credipiù forte a una qualche indeterminata autorità che presiebile e familiare, la porta d’ingresso della realtà virtuale. derebbe alla nuova, domestica, fabbrica dei sogni. Un’auQuesta non è possibile se non attraverso la consapevolezza torità acefala e diffusa, che si affianca a quella del potere della finzione: è il gioco dell’iperrealismo che ci schiude politico, e finirà per superarla e costituirsi in Videosfera, la virtual reality, il regno del falso vissuto come tale. Il cui dotata di proprie regole di funzionamento e di un proprio piacere riposa sulla consapevolezza della distanza che c’è potere. Il piccolo schermo di vetro, poi, determina una ritra la realtà virtuale e la nostra “vita reale”. cerca di semplificazione del pattern visuale che a lungo È l’estetica del videogame, in virtù della quale siamo salandare provocherà un impoverimento dell’immagine e damente ancorati al nostro mondo e viaggiamo come vouna progressiva perdita di profondità (vale a dire di sengliamo con il nostro avatar in mondi alternativi, senza riso) dei discorsi. schiare nulla. Per converso, tutto quanto detto produce anche forme in È l’estetica della CNN che ci fa partecipare alle guerre qualche modo opposte: alla smaterializzazione del supporsenza che ci stacchiamo dalla nostra poltrona. Ma non è to e della distribuzione si oppone così un di più di realtà questa forse, e molto semplicemente, l’estetica del cinecolto nel quotidiano che la telecamera, molto più facilma? Per lo meno, di un certo cinema. mente della cinepresa, può restituire. Fino al tempo reale Non è questo che lo spettatore ha sempre cercato nello della “diretta”, in cui si incontrano produzione e fruizione spettacolo della settima arte? E che cosa aggiunge il digidell’immagine. La diretta televisiva, in origine acclamata tale a questo gioco che il cinema ha sempre giocato con il come “specifico” televisivo, poi messa in parentesi per suo pubblico? Che cos’è che caratterizza il modo attuale, motivi di controllo politico, è da anni riproposta, soprattutdigitale, di essere della virtualità cinematografica? to nella forma del reality show, per un insieme di ragioni

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Forse la sensazione adrenalinica e generalizzata di essere costruiti dal virtuale. Cronenberg e le sue protesi: basta renderle più verosimili, carnalizzarle, psicologizzarle, e avremo i replicanti di Blade Runner. Per accorgerci infine, con Ridley Scott (e Philip Dick), che essi non sono solo delle copie perfette, ma addirittura appartengono a un altro mondo: “Ho visto cose che voi umani…”. E allora lo stesso virtuale spinto della digitalizzazione dell’immagine, questo iperrealismo consapevole (come tutti gli iperrealismi), non funziona anch’esso come un avatar? L’avatar, posseduto da ciascuno di noi, di una qualche energia dell’universo, l’Avatar di un dio fatto a nostra immagine e somiglianza, a immagine e somiglianza del nostro immaginario, di un dio che si identifica nel, che è il nostro immaginario.

“Oggi viviamo una tappa importante di questa evoluzione: l’ingresso del digitale nei processi cinematografici di produzione e realizzazione” Ecco dove dovevano portarci le innocenti gag delle torte in faccia del cinema delle origini: grazie all’acceleratore dell’elettronica prima e del digitale poi, dovevano portarci al floreale sdoppiamento di noi, a quel paradiso narcisistico in cui ci raccogliamo collettivamente e ci specchiamo nella virtualità del nostro immaginario, nel doppio ipostatizzato del nostro cervello: nuovo Moloch cui chiediamo di penetrarci lentamente nel rituale di una divina onanistica possessione, altra forma della consunzione nelle fiamme sull’orizzonte dei buchi neri. Ma ecco anche qui, come in passato, l’antidoto. O forse meglio, l’antitesi: il digitale che permette il perfetto avatar è anche quello che permette la massima molteplicità dell’esperienza. Sono le ragioni di un cinema di ricerca e di viaggio, che non sostituisce affatto il reale e non ne crea il parallelo virtuale cui abbandonarsi in un impeto panico di resa alla divinità, ma al contrario sollecita l’intervento attivo dell’osservatore critico, che resiste senza arrendersi, che sperimenta nella pratica di un cinema reso accessibile dal digitale le infinite forme delle cose e delle società. Aprendo peraltro continue falle materiche nel continuum immateriale della rete e rispondendo nell’Eros a quel “grado zero” dell’estetica del digitale che, come osservammo anni fa, è rappresentato nella Morte dalle decapitazioni di Al Quaeda/Al Jazeera. Obbligo di un Eros adulto, di fronte all’infantilismo del rispecchiamento virtuale. È la facilitazione di queste pratiche della ricerca e del dubbio l’aspetto più interessante delle nuove tecnologie, che aprono la possibilità di scambi critici tra gli esseri umani in una dimensione planetaria finora impensabile. Ricerca critica che ripropone la territorializzazione e la matericità ben più delle forme di operatività interattiva che si moltiplicano oggi intorno agli smaglianti residui del grande cinema spettacolare. Residui quasi sempre trionfalistici (e a ragione, perché nell’universo dei media il cinema rappresenta ancora la forma

più sofisticata di restituzione dell’immaginario collettivo al pubblico), cui si sono recentemente affiancati gli Arg, Alternate reality games. Giochi caratterizzati da interattività e sconfinamenti tra finzione e realtà, e che chiedono allo spettatore non un’immersione nello schermo, come accade nei mondi virtuali, ma la cooperazione in qualità di protagonista, che conserva la sua vera identità, a una narrazione interattiva che mette in gioco anche gli spazi della vita reale. Pensiamo per esempio all’Arg lanciato da Warner Bros e 42Entertainment in occasione dell’uscita dell’ultimo Batman, The Dark Knight, che ha visto i partecipanti giocare per quindici mesi a rintracciare gli indizi dislocati su siti web, segreterie telefoniche, sms, ma anche negli spazi fisici e in eventi della vita reale, che consentisse loro di ricostruire la trama che lega l’un l’altro i capitoli della saga di Gotham City. Imparentati con i mondi virtuali (che peraltro hanno visto moltiplicate le loro fortune grazie all’introduzione del 3D), gli Arg sono di fatto ben poca cosa di fronte alla indeterminata possibilità di giochi creativi liberi, esercitati sul territorio dell’intero pianeta, giochi dei quali non si conoscono né le modalità né gli esiti e che dischiudono un campo di creatività, riflessione critica e intervento culturale e politico vasto, le cui dimensioni sono per ora difficilmente immaginabili. Pensiamo alla produzione di materiali documentari e di finzione realizzati da viaggiatori curiosi del mondo. Pensiamo a esperienze di condivisione di brani di vita che possono realizzarsi grazie all’uso della telecamera, catalizzatrice di incontri e scambi esistenziali che potranno essere anche di grande portata e profondità.

“Il digitale che permette il perfetto avatar è anche quello che permette la massima molteplicità dell’esperienza” E alla facilitazione nella produzione di una miriade di testi filmici che rispecchia l’infinita varietà delle cose corrisponde la facilitazione nella distribuzione, che può contare sulla rete e su una molteplicità di terminali, che vanno dal cellulare al computer, dal televisore alla sala. Facilitazione che si comincia a praticare già oggi dotando le sale cinematografiche di un’adeguata attrezzatura per la proiezione digitale, sì che non è difficile pensare a una riconversione generalizzata delle sale cinematografiche alla nuova tecnologia in tempi non lunghi. Ma l’idea che appare più densa di sviluppi è quella che vede la generalizzazione della produzione di immagini in movimento come smisurato ampliamento su scala planetaria del cinema come creativo strumento quotidiano di riflessione e di intervento sulle cose. Nell’utopia – che fu già di alcuni grandi maestri della settima arte, da Dziga Vertov a Joris Ivens e a Cesare Zavattini – di una ricomposizione dell’essere umano nella molteplicità e diversità di pratiche vitali di un cinema che annulla i bisogni di un qualsivoglia avatar.


Convergenze visive Cambiamenti radicali nella televisione e nel modo popolare di consumare immagini di Enrico Menduni Il Novecento è stato computer, si è intrecciata con lo sviluppo di Internet (e siail secolo più visuale mo già agli anni Novanta), ma la televisione che pur forniva della storia. La proal computer la principale interfaccia grafica, lo schermo, asduzione di immagini sisteva pigramente alla convergenza, utilizzando il digitale artificiali aveva comsolo per gli effetti speciali, le “post-produzioni”, in segmenti piuto un sostanzioso ad alto pregio che poi venivano prontamente convertiti nella balzo in avanti attortv tradizionale, compatibili con gli apparecchi domestici che no alla metà dell’Otnessuno voleva obbligare i clienti a sostituire. tocento, quando alla Solo a metà degli anni Novanta la televisione si incontra Enrico Menduni pittura si è affiancata con il digitale. Il motivo non sono gli strabilianti effetti la fotografia con una speciali, né la qualità della visione. Il motivo, forte quanto forte accelerazione della riproducibilità tecnica dell’immagibanale, è che il digitale permette la compressione, e quindi ne. Poi, nel Novecento, il cinema ha congiunto la produzione di far passare più programmi su una sola frequenza, o su delle immagini alla narrazione e all’intrattenimento di massa, un solo transponder satellitare: da sempre la risorsa scarsa determinando un passaggio dalla cultura razionale della scritdei sistemi televisivi, soprattutto quelli (come l’italiano) tura a quella evocativa, emozionale, associativa propria delle dominati dalla trasmissione via etere, attraverso lo spazio immagini e dei suoni; con una sostanziale adesione alla poetielettromagnetico che è limitato e conteso da altri pretenca delle avanguardie storiche (Futurismo, Dada, Surrealismo) denti: i militari, le forze dell’ordine, gli operatori telefonie alla trasformazione delle idee in eventi. L’idea che non conci per la telefonia cellulare, la radio ecc. tiene in sé le forme per essere comunicata e per diventare in “Il Novecento è stato il secolo qualche modo azione (ci verrebbe addirittura da scomodare la prassi) – sia una serata futurista o un happening, un premio più visuale della storia” letterario o una manifestazione politica, un gesto esemplare o perfino terroristico – non ha cittadinanza nel Novecento. Da metà degli anni Novanta si afferma la televisione digitale A metà del secolo il cinema ha cominciato una convivenza via satellite, ricevibile direttamente da casa con una (finalcompetitiva con la televisione. Un medium domestico, a mente) piccola antenna circolare, e quella a larga banda (caflusso, profondamente inserito nella cultura del focolare e vo a fibre ottiche o Adsl) la cui diffusione è limitata dall’inanelle dinamiche della vita quotidiana. Quando tutte le statideguatezza della rete fisica e dallo shock dell’11 settembre stiche ci dicono che circa il 90% dei cittadini, in un giorno 2001 che rallenta gli investimenti nella convergenza. Nel noqualsiasi, ha avuto a che fare con la televisione (staccando stro secolo si afferma anche la televisione digitale terrestre di oltre 30 punti in percentuale altre importanti attività co(cioè via etere), in Italia dal 2004, e dal 2005 quella sui teleme la lettura del giornale o l’ascolto della radio) ciò signififonini, che è una forma mobile di rete digitale terrestre. ca che non siamo di fronte a un consumo culturale nel senso Cominciamo a sfatare il mito dell’insuccesso di queste ristretto del termine, ma al soddisfacimento di qualche bisoforme televisive. Esse raggiungono ormai oltre il 50% delgno primario, come mangiare o dormire… le sole attività le famiglie italiane. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna che possono vantare simili e plebiscitarie percentuali. siamo fra il 60 e il 70%. Questi dati sono puntualmente reSicura nel suo rapporto con il pubblico, dotata di una tecnologia gistrati nel rapporto annuale dell’Autorità per le garanzie affidabile, la televisione ha rifuggito a lungo dalla convergenza nelle telecomunicazioni e in quello del suo equivalente inmultimediale. La qualità tecnica della visione non è parte soglese, l’attrezzatissimo Ofcom. stanziale del suo contratto spettatoriale: il paese Età media del Età media del Età media del pubblico Differenza televisivamente più sviluppato, gli Stati Uniti, vipubblico nel 2006 pubblico nel 2007 1° Quad. 2008 2006/2008 ve tranquillamente con un sistema televisivo con Platea Tv 44,9 51,6 51,9 7 pessima risoluzione: 525 linee di scansione conRai1 53,1 60,7 61,4 8,3 tro le 625 del mediocre sistema europeo. L’ultiRai2 47,6 53,9 54,8 7,2 Rai3 52 58,3 59 7 ma innovazione che ci ha fatto cambiare appaMedia Rai 51,6 58,5 59,25 7,65 recchio è stata l’introduzione del colore. Canale5 44,9 47,8 48,1 3,2 È stato il computer a cercare la convergenza: Italia1 36,7 37,2 37,1 0,4 le linee di telecomunicazione gli erano indiRete4 56,0 60,0 59,6 3,6 spensabili per operare in remoto. Dal 1961 Media Mediaset 48,0 46,6 46,6 -1,4 l’American Airlines, prima compagnia al Fonte: Elaborazione ISIMM su dati Auditel 2006-2008 mondo, gestì con questo sistema le prenotazioUso delle piattaforme televisive digitali da parte delle famiglie italiane (marzo 2008). ni aeree, con terminali in 61 città. L’intesa con Elaborazione su dati dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, relazione 2008, le telecomunicazioni è poi passata al personal tavv. 1.30 e 1.31, p. 79

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Come si vede dalla tabella a lato, la penetrazione della tv digitale supera ormai la metà delle famiglie, anche se si stima che circa la metà dell’ascolto “digitale” riguardi ancora i canali analogici generalisti riproposti in digitale. Va contestata anche la facile opinione che si tratti soltanto di tecnologie. Le cose non stanno così. Il digitale permette – e forse questo è il motivo sostanziale della sua crescita – una grande capacità di “billing”. Fuori dai tecnicismi: la possibilità di far pagare il cliente. La tv per tutti, quella tradizionale, si impoverisce continuamente perché i suoi contenuti migliori trasmigrano progressivamente su quella a pagamento. Alle forme in abbonamento (pay Tv) si sostituiscono quelle basate sul pagamento dei singoli eventi (Filippo Tommaso Marinetti o Marcel Duchamp esulterebbero), cioè la pay per view.

“Il digitale permette di far passare più programmi su una sola frequenza o su un solo transponder satellitare” Esse permettono una efficientissima remunerazione del valore, tant’è che Sky raccoglie già il 28,5% delle risorse del sistema televisivo (34 Rai, 31 Mediaset, e c’è ancora chi si attarda a parlare di “duopolio”) e si prevede il sorpasso su entrambi i competitor in tre o quattro anni. Forse così si spiegano anche i recenti provvedimenti fiscali governativi che colpiscono la pay per view. Ma si capisce an-

n. utenti (in migliaia)

% delle famiglie

Digitale terrestre gratuito

2.065

10,00

Digitale terrestre con carte prepagate

1.769

8,57

Totale digitale terrestre

3.834

Broadband Tv

300

18,57 1,45

Tv satellitare gratuita

2.263

10,96

Tv satellitare a pagamento (Sky)

4.500

21,80

Totale Tv satellitare Totale

6.763

32,76

10.897

52,78

che la difficoltà del digitale radiofonico, visto che l’audio e la radio sono così connessi ad un’idea di gratuità e di leggerezza che non si attiverebbe con il digitale una nuova catena del valore, ma soltanto una crescita dei costi. La tv generalista è al suo tramonto. Se si esaminano rilevazioni Auditel recenti, appare in tutta la sua criticità l’invecchiamento progressivo della platea televisiva. Rai vede un drastico passaggio da un’età media di 51,6 anni a 59 in un solo anno e mezzo. Mediaset, per quanto stia cercando di attuare una politica di ringiovanimento del proprio pubblico, rimane nella fascia over 40. L’età media dell’intera platea televisiva è al 51,9%. Nonostante le apparenze, e le paillettes dei grandi spettacoli generalisti, è difficile pensare che il futuro stia qui. Dobbiamo cercarlo nella Tv digitale e in Internet.

L’avvento dei people media Tecnologie della comunicazione, televisione e cambiamenti sociali: questioni di metodo storico di Franco Monteleone Di fronte alle grandi minacce che incombono sul XXI secolo – l’esplosione demografica, l’impoverimento dei beni naturali, il terrorismo – credo che occorra capire fino a Franco Monteleone che punto, o entro quali limiti, le tecnologie della comunicazione possano rappresentare, o meno, un segno positivo dell’attuale stadio della modernità. È vero che l’analisi storica in campo tecnico-scientifico ci avverte che le grandi conquiste tecnologiche, pur manifestandosi in maniera ineguale, hanno sempre interagito con il sociale, tuttavia la grande mutazione nella quale siamo ora immersi mostra caratteri di tale discontinuità con il passato che sarebbe assai azzardato non tenerne conto. A giudicare dal continuo rincorrersi di ricerche, analisi e valutazioni – spesso contraddittorie – che occupano la scena politica, istituzionale ed economica in merito alle trasformazioni imminenti, è infatti evidente che ci troviamo di

fronte a situazioni che potrebbero avere salutari conferme ma anche cocenti smentite. Un vecchio ciclo sta arrivando alla sua conclusione. Sul nuovo ciclo, attualmente in gestazione, disponiamo soltanto di dati macroeconomici, che non ci dicono molto sulle reali prospettive, e sulle nuove configurazioni che si stanno determinando nei settori che ci riguardano come studiosi; a meno che non si decida che gli unici parametri di riferimento della modernità siano il mercato e il consumo: il che mi parrebbe, francamente, una resa incondizionata a quel Moloch che Raffaele Simone, in un suo recente libro, ha magistralmente raffigurato nel Mostro Mite. Ad esempio, il fatto che il mercato italiano delle tecnologie digitali di comunicazione vale ormai oltre 100 miliardi di euro ci dice molto sulla sua crescita industriale e finanziaria ma assai poco sulla sua capacità di crescita culturale. Il che non è di poco conto, datosi che parliamo di comunicazione, cioè di una delle funzioni primarie dell’umanità, e non di cosmetici. Con ciò non voglio dire che la moltiplicazione dei canali diffusivi non sia una risorsa, ma non è detto che essa non possa rappresentare, in assenza delle dovute garanzie, anche un fallimento dal punto di vista del progresso sociale.


Nel campo delle tecnologie dell’informazione ogni passo in avanti che viene compiuto amplifica gli effetti di altre tecnologie ad esso collegate. Il particolare che questo processo abbia in poco tempo creato un gigantesco mercato è certamente un dato positivo, che tuttavia non può essere l’unico regolatore delle scelte. Non è un caso se il primo grande risultato della convergenza fra tecnologie elettroniche abbia dato vita a quel fenomeno che si chiama Internet, area privilegiata dell’interattività ma anche volano poderoso per creare ricchezza. Eppure gli osservatori più avveduti opportunamente avvertono che le questioni che esso pone, via via che i suoi dispositivi diventano più complessi, richiedono soluzioni sempre più urgenti. Una di tali questioni riguarda lo sfruttamento dei diritti sulle opere dell’ingegno. È un tema delicatissimo, in merito al quale Stefano Rodotà ha coniato una espressione suggestiva, “privatizzazione del mondo”, ovvero l’incetta effettuata nel web dei diritti di riproduzione (che già da qualche tempo, tra l’altro, è praticata dai detentori dei ben noti format televisivi). Una privatizzazione totalitaria dei copyright; speculare del resto a quella forma di pratica selvaggia che non ne riconosce addirittura alcuno: solo in Italia, ad esempio, e solo nel 2007, sono stati oltre un miliardo i files illegali scambiati attraverso il peer to peer. Fenomeni nei confronti dei quali risultano insufficienti tutte le casuali e rabdomantiche norme repressive e che invece vanno governati con il ricorso a sistemi normativi del tutto nuovi. Non v’è dubbio che una sottintesa tolleranza verso gli aspetti dell’illegalità telematica esiste e produce un doppio danno: da un lato il rischio che il mercato si riempia di spazzatura mediatica; dall’altro che programmazioni pregiate, ad esempio il grande cinema, sempre più sottratte ad una accorta regolazione dei diritti, divengano proprietà esclusiva di pochi. Il dibattito sulle normative che devono regolarne la diffusione diventa così assolutamente prioritario e di grande rilevanza democratica. Tuttavia esso appare ancora sottostimato, nonostante le chiacchiere, rispetto all’onda omologante di un pericoloso determinismo tecnologico attento più all’espansione delle reti che alla definizione di che cosa, in che modo, e con quali regole, farvi circolare al loro interno. Una spiegazione c’è, dal momento che nell’attuale fase di trasformazione, sono i telefonici, cioè le imprese che hanno fatto la loro fortuna sulla cultura del trasporto, a condurre il gioco, rispetto ai broadcasters tradizionali che hanno progressivamente perduto la cultura del prodotto, divenuta a sua volta appannaggio di grandi multinazionali. Venendo al tema che mi sono dato – il rapporto fra tecnologia e televisione ai nostri giorni – va detto innanzitutto che, nel confronto con lo straordinario e relativamente recente processo di sviluppo delle tecnologie elettroniche ed informatiche, alla televisione va soprattutto attribuito il

grande merito storico di aver posto fine, come aveva intuito McLuhan, all’era gutenberghiana. Qualche dubbio ancora sussiste, a mio parere, nel capire se ciò sia avvenuto per effetto della sua accattivante aura spettacolare o in ragione della sua evoluzione tecnologica. Quel che è certo è che oggi la tv si distingue soprattutto per la sua “multiformità”, ad un tempo tecnologica e commerciale, differenziata e personalizzata. Questa fortissima accelerazione delle modalità di diffusione del prodotto televisivo appare sempre più predominante rispetto alla progettazione dei suoi contenuti e ne determina, da parte del pubblico, se non l’unica, certamente la principale motivazione nelle scelte di consumo. Il fatto che Internet stia diventando una modalità sempre più utilizzata per “guardare la televisione” non significa che questa stia mutando le sue caratteristiche, significa solo che è iniziata una fase storica in cui è il “mezzo” che predomina sul “messaggio”. Il grande tema tuttora aperto riguarda, a mio parere, la possibilità, per nulla scontata, che la televisione continui a mantenere in futuro la funzione “formativa” che, fin dalla sua nascita, ne ha giustificato il ruolo sociale (funzione che andrà certamente riconvertita ai bisogni di un pubblico che sta rapidamente mutando le proprie caratteristiche antropologiche) e, di conseguenza, la necessità di compren-

“L’analisi storica in campo tecnicoscientifico evidenzia che le grandi conquiste tecnologiche hanno sempre interagito con il sociale” dere quali saranno, a loro volta, le ulteriori e inevitabili mutazioni dei suoi prodotti: se cioè saranno essi a imporsi sulle nuove modalità comunicative, distributive e sul web, o se saranno queste a condizionare le offerte. In particolare occorrerà chiedersi quale potrà essere il destino dei servizi pubblici radiotelevisivi, organismi che hanno assicurato progresso culturale e stabilità sociale ma che devono riconvertirsi, pena la loro scomparsa, ai nuovi scenari che si stanno aprendo nel mondo della comunicazione. Sono domande non di poco conto e che pretendono un profondo aggiornamento di tutto il sistema normativo della comunicazione. Un aspetto sul quale pesa gravemente l’indifferenza della politica, in particolare di quella parte di essa che ancora si dichiara riformista e progressista e che finora non è stata in grado di produrre una sola idea nuova. Dalle risposte, che a tali domande sapranno essere date, dipenderà infine anche una ulteriore e cruciale conseguenza, ovvero la sorte e il destino dell’opinione pubblica di stampo liberale, che per duecentocinquanta anni è stata, ed è ancora, il massimo garante della democrazia.

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L’intero modello economicistico entro il quale si è sviluppata la televisione tradizionale si è radicalmente trasformato. Una nuova economia su scala mondiale ha già fatto il suo esordio con l’inizio del XXI secolo. Manuel Castells la definisce, assai appropriatamente, una economia informazionale, globale, in rete, capace di generare un circolo virtuoso in grado di assicurare più produttività ed efficienza. Ma proprio nel caso della televisione va osservato che tutto l’indotto che l’ha fatta vivere, e l’ha giustificata dal punto di vista economico, appare come imploso. L’economia globalizzata su scala mondiale ha dato vita a potentissimi gruppi che operano nel mercato della televisione, e la pervasività del suo dominio come mezzo di comunicazione si trova oggi a doversi misurare con un ambiente in cui sono cambiate tutte le condizioni entro le quali era andata affermandosi. Conseguenza ulteriore e irreversibile di tutto ciò è che, all’interno dell’attuale scenario tecnologico e culturale, la televisione non è più l’epicentro culturale della società. Nel suo ultimo libro, Il crepuscolo della televisione, Francesco Devescovi osserva che, per la prima volta nella sua storia, la tv rispecchia sempre meno le dinamiche sociali ed appare – come egli scrive – addirittura «indietro alla stessa società». Il suo consumo, è vero, occupa ancora uno dei primi posti, tanto nel tradizionale spazio domestico quanto nei nuovi spazi pubblici, ma si tratta di un consumo che ha marcato, con l’inizio del nuovo secolo, un cambiamento non solo di tipo comportamentale ma anche di tipo valoriale (in special modo nella pay tv), che potrebbe prefigurare possibili sorprese. Accanto ai successi delle tv satellitari, la crisi annunciata del concetto stesso di servizio pubblico sarà probabilmente uno degli aspetti più vistosi del cambiamento che sta prefigurando l’evoluzione della catena del valore in questo campo. Nel rapporto del Censis sulla situazione sociale dell’Italia nel 2008, accanto all’incremento dell’uso dei cellulari, internet, smartphone, tv satellitare e quant’altro, è la televisione tradizionale

“Il mercato italiano delle tecnologie digitali di comunicazione vale ormai oltre 100 miliardi di euro, il che dice molto sulla sua crescita industriale e finanziaria ma assai poco sulla sua crescita culturale” che registra la maggiore flessione. Il caso italiano è infatti quello più desolante: una tv che sta perdendo la sua vocazione affabulatoria, ridotta a una fiction esangue e ripetitiva; che sta perdendo persino il ruolo egemone di grande ordinatore del sistema dell’industria culturale; ma, soprattutto, che sta perdendo la sua stessa identità. Cosa sta accadendo? Cominciamo con il riprendere una lontana previsione di Umberto Eco, allorché avanzò l’ipotesi che occorreva rimettere in discussione il concetto stesso di cultura di massa così come era stato immaginato dai “sociologi apocalittici” Marcuse e Habermas. In effetti, la ricerca degli anni recenti ha mostrato che, entro certi limiti, gli spettatori conservano una notevole autonomia nel decidere il proprio comportamento dinanzi al video, rive-

lando che essi fanno anche riferimento (come da tempo vado sostenendo) a un sistema tecnologico e non solo a una sistemazione prodotta dalla cultura di massa. Il successo della HD nell’immediato futuro dipenderà proprio da questo comportamento. Nel suo libro The Electronic Earth: Creating in American Television Culture, Cecelia Tichi ha osservato che la diffusione della tv è avvenuta all’interno di una cultura dove oggetti e simboli avevano iniziato a riferirsi sempre più al nuovo mezzo e alle sue qualità tecnologiche, dimostrando che il pubblico è stato un soggetto molto più interattivo di quanto i sociologi avessero immaginato. Ma se i mercati, i prodotti e le tecnologie sono stati – più di quanto non si creda – alla base della sua segmentazione, personalizzazione e individualizzazione, ciò non è avvenuto per caso ma perché, nel corso del tempo, tecnologie, imprese e istituzioni hanno fortemente contribuito a che ciò avvenisse. Il fenomeno è particolarmente visibile nei nuovi media. Essi sono sempre meno mass media, che inviano messaggi a un pubblico considerato omogeneo, e sempre più people media – se così si può dire –, ovvero testimoni di una mutazione genetica degli utenti, che stanno forse già decretando il passaggio da una società di massa a una società segmentata. Appare infatti sempre più evidente non solo il passaggio dai media tradizionali (pur con molte eccezioni) a internet, ma anche il passaggio dalla funzione “statica” di internet a quella “mobile”; così come dagli spazi sociali (la sala) a quelli individuali (il computer a casa o in ufficio), fino a prevedere ulteriori mutazioni verso nuove forme di comunicazione (a parte beninteso la radio) in grado di raggiungere gli utenti ovunque si trovino. È quindi ovvio che il problema dei contenuti, che ha impegnato e continua ad impegnare educatori e opinione pubblica, in questa fase perda rilevanza, poiché – come un secolo fa era accaduto con la radiodiffusione – è di nuovo il mezzo a dominare, non il messaggio. Il mondo dell’informazione sta infatti diventando sempre più puramente tecnologico, mentre le tecniche, dal canto loro, continuano a conservare funzioni socialmente


neutre. Nella fase evolutiva appena iniziata sarà quindi, ancora una volta, il mezzo tecnologicamente più all’avanguardia che si incaricherà di rifondare una nuova rottura. Questa volta con la televisione generalista; allo stesso modo con cui, nella seconda metà del secolo scorso, era stata la televisione generalista che aveva segnato la rottura con la lunga fase evolutiva precedente; quella che Neil Postman definì la fase della “mente tipografica”. Se i media tradizionali agivano sui territori mentali della conoscenza e sui processi di diffusione del sapere, i nuovi media tecnologici agiscono nell’ambito delle relazioni umane e dei rapporti interpersonali causandone una marcata segmentazione. Ne derivano decisioni imprenditoriali, scelte politiche, regole giuridiche e istituzionali del tutto nuove. Così come finiranno per imporsi nuove abitudini di consumo, oltre che inedite scomposizioni nell’utilizzo di strumenti e prodotti. La questione molto alla moda, relativa alla fine di un sistema basato sulla separazione tra chi produce e chi consuma, e al formarsi dei cosiddetti user generated contents, va posta entro tali prospettive. Con l’attuale evoluzione della microelettronica e della digitalizzazione, tutti gli scenari si stanno riconfigurando: la mia tesi è che essi continueranno a soddisfare domande e bisogni del tutto nuovi ma non produrranno altrettante vistose e appassionanti sedimentazioni nella memoria collettiva, come è avvenuto in passato. La nascita delle differenti forme espressive del “Web 2 punto 0” è il dato che sta rivelando un fenomeno che sembrerebbe (il condizionale in questa materia è d’obbligo) irreversibile. Certamente la Rete è ormai il nuovo spazio pubblico entro cui si manifesta sempre più la presenza di nuovi produttori di contenuti, i quali tendono ad abolire tutte le intermediazioni con gli utenti. Ma, d’altra parte, ho l’impressione che si tratti ancora di una fase transitoria, che sta già mostrando l’aleatorietà di successi momentanei tipo You Tube, Second Life, Facebook, ecc., troppo frettolosamente rubricati all’insegna della democrazia mediatica. Sono convinto che, in questi casi, siamo invece in presenza di prodotti “ipomediali”, che hanno una fun-

zione rabdomantica ed esplorativa, ovviamente tutt’altro che secondaria, che tuttavia caratterizza solo la transitorietà di una fase temporale. Un dato però è certo: le nostre complesse strutture sociali, non più organizzate su scala piramidale e gerarchica bensì per gruppi orizzontali, hanno reso inservibili gli utensili del dominio classista e le seduzioni dell’imperialismo pedagogico. E anche se pericoli di questo genere continueranno a

“La Rete è il nuovo spazio pubblico, ma ho l’impressione che si tratti ancora di una fase transitoria” esistere, c’è la speranza che lo sviluppo a regime, sia del dtt che della tv su internet o su altre piattaforme, possa fornire, con le nuove reti, una possibile risposta alla deriva della società monocentrica cui eravamo assuefatti; non nel senso di impedirne il destino inevitabile di decadenza, ma in quello di ricomporne la struttura “neuronale” entro la quale sperimentare nuove forme di convivenza. L’evidente frammentazione dell’architettura sociale acuisce, infatti, non riduce la domanda di informazione, ma riposizionandola all’interno di comunità che stanno evolvendo verso forme sempre più flessibili e “stellari”. Forme che stanno tuttavia determinando, come da tempo ci avverte Alain Touraine, un esito che non è di poco conto, ovvero la fine della rappresentazione sociale delle nostre esperienze. È una estinzione che il grande sociologo francese ha già messo nel conto e, rispetto alla quale, egli da tempo predica l’urgenza di adottare nuovi paradigmi di orientamento. È in questo senso che mi chiedo se un intero ciclo non sia definitivamente concluso, e se non siamo piuttosto alle soglie di un nuovo ciclo che farà a pezzi tutte le nostre attuali certezze. Fino a un certo momento della loro storia, sia la televisione, che la radio e i giornali, per non parlare del cinema, hanno funzionato come elementi di una generale creazione di Weltanschauungen, di visioni del mondo, di culture o sub-culture di ogni specie. Ma questo tempo è finito. D’ora in poi, di fronte alla progressiva scomparsa delle vecchie società monocentriche, tutta l’intera “galassia” dei media, nell’impatto crescente con nuove forme di distribuzione, di produzione e di autoproduzione, dovrà necessariamente adeguare la propria offerta a contesti sociali radicalmente metamorfizzati e, ciò che è peggio, disarticolati. La televisione cosiddetta generalista, come accennato, è quella più esposta a subire i contraccolpi di questa evoluzione. Anche se, per ora, la sua prerogativa di essere patrimonio dei grandi broadcasters internazionali resta dominante, è probabile che in tempi più brevi del previsto non possa essere più così. Le accelerazioni cui ci ha assuefatto la modernità consigliano comunque grande avvedutezza. Magari sarà possibile che, alla fine, nessuno venga escluso e che possa esserci spazio per tutti. La storia della comunicazione, dall’invenzione della stampa in avanti, ci insegna che nessun nuovo mezzo, protocollo o tecnologia, ha mai abolito il precedente. In questo campo, la vitalità dell’immaginazione ha sempre avuto la meglio sulla conservazione dei risultati. Il mio timore è che, d’ora in avanti, incomba su di noi un movimento inverso, e cioè che possa essere la conservazione dei risultati ad avere la meglio sulla vitalità dell’immaginazione.

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L’arte elettronica Esplorazioni formali e “compromissioni” tecnologiche dell’opera d’arte contemporanea di Laura Iamurri Anche se una tenace tradizione di pensiero idealistico ha separato l’idea dell’arte dalla concretezza del fare artistico e dalle sue inevitabili “compromissioni” tecnologiche, la storia dell’arte è anche la storia del modo in cui gli artisti hanno utilizzato tecniche, materiali e tecnologie disponibili nel tempo della loro attività, sperimentando e accogliendo o rifiutando, di volta in volta, i procedimenti più consoni al proprio modo di lavorare. Negli ultimi decenni l’interazione con le nuove tecnologie si è fatta più intensa, modificando in profondità il panorama dell’arte contemporanea nel senso di una sempre maggiore presenza di opere e installazioni che nell’uso del video e delle tecnologie informatiche – e delle loro infinite possibili ibridazioni – hanno trovato il campo privilegiato di una ricerca appassionante.

“Negli ultimi decenni l’interazione con le nuove tecnologie si è fatta più intensa, modificando il panorama dell’arte contemporanea” Dalle prime esplorazioni condotte da Lucio Fontana nel 1952 per le trasmissioni sperimentali della RAI a certi esiti attuali di stupefacente perfezione, l’accelerazione dei processi di innovazione tecnologica ha contribuito al succedersi vorticoso di ricerche e di sperimentazioni che hanno reso labili i confini tradizionali delle operazioni artistiche, ridefinendo radicalmente il concetto stesso di “opera”. Nel tentativo di definire le articolazioni di un linguaggio in continua trasformazione, le nuove forme artistiche hanno assunto denominazioni diverse, in grado di sottolineare di volta in volta – nella inesauribile versatilità del codice audiovisivo – lo scivolamento verso gli aspetti performativi, teatrali, cinematografici, documentaristici. Seguendo il suggerimento di Silvia Bordini, mi pare opportuno raccogliere le diverse forme di intervento artistico sotto il termine comprensivo di “arte elettronica”: a indicare un aspetto unificante, che condivide con la quotidianità dell’esperienza contemporanea la presenza non sempre rassicurante della tecnologia e che pone problemi nuovi anche per ciò che concerne gli aspetti conservativi delle opere, soggette alla stessa rapida obsolescenza tecnologica dei nostri normali strumenti di lavoro. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi e basti pensare alla rapida successione dei formati video dai primi anni Ottanta ad oggi. Alla obsolescenza si può ovviare aggiornando regolarmente i supporti, trasferendo cioè le immagini dal vecchio standard in via di abbandono ad un nuovo formato che permette la sopravvivenza delle produzioni artistiche. Questa operazione, oltre a richiedere una continuità di attenzione e di cura, esplicita la definitiva rottura della continuità fisica delle opere, e la possibilità della

separazione di fatto tra le immagini e i loro supporti che rende plausibile l’idea di un’arte immateriale.

“Molte gallerie romane hanno eletto l’arte elettronica a fulcro della loro attività espositiva” Le gallerie romane che hanno eletto l’arte elettronica a fulcro della loro attività espositiva offrono quotidianamente l’occasione per avventurarsi tra le recenti ricerche artistiche. È tuttavia una coincidenza felice quella che di recente ha temporaneamente riunito a Roma il lavoro di due presenze storiche dell’arte elettronica internazionale al più alto livello formale e tecnologico: Bill Viola e Studio Azzurro. A Bill Viola, maestro e mago americano della videoarte, Palazzo delle Esposizioni ha dedicato una retrospettiva molto ampia, la più ampia mai allestita in Europa, con opere dal 1995 a oggi. Studio Azzurro, collettivo milanese attivo dal 1982, è invece autore del nuovo percorso di visita del Museo Laboratorio della Mente, presso il Comprensorio dell’ex Ospedale Psichiatrico Santa Maria della Pietà. Due occasioni molto diverse dunque – una mostra temStudio Azzurro, Dimore del corpo. Il tavolo sonoro, Roma, Museo Laboratorio della Mente, 2008 (courtesy Studio Azzurro)


poranea e un allestimento permanente, un grande evento mediatico e una iniziativa più raccolta, una firma singola e un nome collettivo – che possono configurarsi come una esplorazione delle più felici e raffinate combinazioni tra arte e tecnologia. Il lavoro di Bill Viola porta, in una dimensione spettacolare frutto di sofisticate sperimentazioni tecniche, una riflessione intimamente spirituale sulla condizione umana. La perfezione formale delle opere si fa veicolo di una comunicazione profonda che mira a un coinvolgimento emozionale diretto degli spettatori, alimentato nelle installazioni più grandi dalla dimensione ambientale che trasforma l’esperienza visiva in una percezione mobile e avvolgente. I lavori degli ultimi tredici anni selezionati per l’esposizione rispondono a una svolta nel lavoro di Bill Viola situabile nel 1995, anno dell’indimenticabile allestimento del padiglione americano alla Biennale di Venezia. In quella occasione, oltre alla misura inedita del coinvolgimento spaziale, Viola presentava al pubblico un’opera poi divenuta giustamente famosa, The Greeting, nella quale per la prima volta l’artista si confrontava con la storia dell’arte occidentale rielaborando, in immagini rallentate capaci di enfatizzare l’intensità degli affetti, La visitazione di Jacopo Pontormo alla Pieve di Carmignano. Da allora Viola, che nei primi anni Settanta aveva lavorato presso il laboratorio fiorentino art/tapes/22, è più volte tornato alla storia dell’arte, trasformando fonti e suggestioni visive in esplorazioni psicologiche, in meditazioni formali semplici e grandiose. L’intervento di Studio Azzurro nel padiglione VI del Santa Maria della Pietà è una straordinaria opera di trasformazione di parte del vecchio ospedale in un laboratorio per la critica al manicomio e per la sperimentazione di una diversa cultura della salute mentale. Non è la prima volta che Studio Azzurro si cimenta con una impresa complessa e affascinante come la realizzazione di un percorso museale:

Bill Viola, The Greeting, 1995, installazione video e audio, 10’28”, © Bill Viola e Kira Perov, 2008

un modo completamente nuovo di pensare il museo come spazio interattivo e luogo di trasmissione della memoria era stato sperimentato con il Museo audiovisivo della Resistenza realizzato su commissione dell’ANPI di Sarzana nel 2000, seguito poi da altri progetti. A Santa Maria della Pietà l’allestimento voluto dalla ASL Roma E trasforma la visita in un percorso conoscitivo ed esperienziale attraverso la storia sedimentata del luogo, evitando ogni indebita spettacolarizzazione. Le tecnologie sofisticate, che Studio Azzurro usa come sempre con straordinaria grazia, sono messe a servizio di un tema difficile e aspro per accompa-

“L’intervento di Studio Azzurro a Santa Maria della Pietà trasforma una parte del vecchio ospedale in un laboratorio per la critica al manicomio” gnare i visitatori nelle zone opache della mente: ambienti sensibili e tavoli interattivi diventano gli strumenti per una lettura del disagio e delle diversità che coinvolge i visitatori nella riflessione sull’esperienza coercitiva della contenzione. L’equilibrio permesso dalla felice interazione tra arte e tecnologia ha trasformato il piano terreno dell’edificio in un percorso attraverso la memoria del manicomio; i documenti d’archivio e le testimonianze orali raccolte negli anni diventano consultabili in una dimensione creativa che richiede la partecipazione attiva dei visitatori, responsabili, con i loro corpi e i loro gesti, dell’attivazione dei dispositivi elettronici che gestiscono le immagini.

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Chirurghi dell’arte Il restauro delle opere d’arte tra storia e tecnologia di Mario Micheli La conservazione e il restauro delle opere d’arte e, più in generale, del patrimonio culturale tangibile, è un tema a cui oggi i mezzi di comunicazione danno molta rilevanza. Mario Micheli Parlando di restauri che fanno notizia, si mette in risalto la delicatezza delle operazioni che devono essere compiute da questi speciali chirurghi dell’arte e si insiste sulle tecnologie a cui oggi si fa ricorso. L’azione del restauro è sorretta unicamente dagli strumenti delle scienze e dalla tecnologia? Per rispondere a questa domanda occorre ripercorrere le fasi più recenti dello sviluppo della cura delle cose antiche che ha una storia assai lunga nelle regioni del Mediterraneo e di cui troviamo ampie tracce già nella Grecia antica e, successivamente, nel mondo romano.

dologica che ha avuto negli ultimi decenni una vasta diffusione nel panorama internazionale e, per questo, ancora oggi l’Italia viene considerata il paese leader nel settore. Il ruolo delle scienze e delle tecniche è definito nel modello metodologico brandiano: il restauro dell’opera d’arte, affinché sia correttamente impostato e non siano superati quei limiti che possano mettere a rischio la preservazione dell’autenticità dell’opera d’arte, si concepisce come un atto di critica storicistica che si avvale, anche, del sussidio delle scienze e delle tecnologie e che viene condotto con un approccio interdisciplinare. Nel mondo anglosassone avveniva esattamente il contrario e il ruolo centrale nel restauro era ricoperto dagli scienziati. Giovanni Urbani, altro personaggio di fondamentale rilievo nella storia moderna del restauro, metteva in risalto la necessità di un “lavoro comune” nel restauro, attraverso

“L’azione del restauro è sorretta unicamente dagli strumenti delle scienze e dalla tecnologia?” Avvicinandoci al nostro tempo occorre ricordare che prima del XVIII secolo erano gli artisti a occuparsi di restauro e che, in quell’epoca, la figura del restauratore si andava separando da quella dell’artista. Nasceva la concezione moderna del restauro e si iniziava a ricorrere al sostegno delle scienze sperimentali. Proprio alla fine del Settecento il restauratore veneziano di origine inglese Pietro Edwards affermava che per un corretto restauro erano necessari «i più luminosi principi dell’Arte, con l’appoggio della Chimica e dietro le tracce della buona Fisica». Nel secolo successivo si sviluppava l’interesse per la ricostruzione delle antiche tecniche artistiche e per i materiali utilizzati nel passato, nel tentativo, non sempre fruttuoso, di comprendere gli aspetti estetici e formali dell’opera d’arte. Ciò suscitava l’interesse di numerosi medici, criminologi ed esperti nelle scienze naturali che finirono per dedicarsi a ricerche affini e coincidenti con quelle condotte dagli storici dell’arte. Già nei primi trent’anni del Novecento i principali musei in Italia e all’estero si dotavano di gabinetti scientifici. Il vero grande balzo nella modernizzazione metodologica del restauro avveniva agli inizi degli anni Quaranta con la fondazione a Roma dell’Istituto centrale del restauro che sarà guidato da Cesare Brandi fino agli inizi degli anni Sessanta. Il grande storico dell’arte senese formulò la teoria del restauro attraverso una nuova impostazione meto-

Intervento di restauro condotto sui Bronzi di Riace con tecniche simili a quelle della chirurgia laparoscopica


l’opera di un gruppo composito di specialisti, nel quale troviamo lo storico, sia esso storico dell’arte, archeologo o architetto, cui è affidata la guida e il controllo metodologico dell’intervento, i restauratori e gli esperti nelle diverse discipline scientifiche. Questo modello, che riduce solo apparentemente il ruolo delle scienze, ma che al contrario ne ha favorito lo sviluppo, ha subito trasformazioni recenti e ancora oggi è oggetto di ampi dibattiti. Negli anni Settanta del Novecento si è registrato un netto progresso nelle discipline scientifiche “applicate” al restauro, attraverso un potenziamento della gamma dei metodi a disposizione, spesso trasferiti da altri campi come la medicina, l’ingegneria, la chimi- Gli allievi del Sino Italian Training Center di Pechino apprendono il modello metodologico ca industriale. del restauro di formulazione italiana La consapevolezza dei rischi per la salute umana e per quella dei monumenun vero e proprio scavo archeologico dell’anima di fusioti, a causa del crescente inquinamento ambientale, deterne rimasta intrappolata al momento della colata del metalminava in quegli anni lo sviluppo di nuovi metodi scientilo fuso. L’intervento fu condotto attraverso piccole apertufici per la comprensione dei fenomeni di deterioramento. re poste sotto i piedi delle due statue. Fu possibile ricoUn caso oramai passato alla storia è l’indagine sul degrado struire per la prima volta aspetti ancora oscuri dei procedidegli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni di menti impiegati dagli artisti greci e, parallelamente, furoPadova. Altrettanto emblematico è il caso del Marco Aureno arrestate le corrosioni nelle parti nascoste delle due stalio. Il famoso gruppo equestre nel 1912 era stato restauratue, garantendone la buona conservazione. to con tecniche di fonderia. Per consolidare la struttura del Il modello integrato storico-scientifico del restauro di formonumento, indebolita dal tempo, erano stati inseriti mulazione italiana si rivela applicabile anche in ambiti 2.150 nuovi perni di bronzo in fori realizzati in quell’occulturali diversi come quello cinese. Proprio in Cina è in corso da venti anni una forte azione di sostegno al processo di modernizzazione del restauro, grazie al contributo fi“Il ruolo delle scienze e delle tecniche nanziario della Cooperazione italiana allo sviluppo del è definito nel modello metodologico Ministero degli Affari Esteri e all’impegno dell’Istituto brandiano” italiano per l’Africa e l’Oriente. Si pensi che in Cina, fino ad oggi, sono stati perfezionati 150 restauratori che adottacasione e ciò comportò la sicura perdita di molti chilono il modello metodologico italiano e che sono attivi in 90 grammi di preziosa materia originale ridotta in truciolo dai musei e centri di restauro. trapani dei restauratori. Sessantanove anni dopo, nel 1981, L’approccio interdisciplinare e l’integrazione tra storia, ebbe inizio un nuovo restauro concluso nel 1990. Un nuscienza e tecnologia caratterizza oramai dalla fine della Semeroso gruppo di specialisti e scienziati dell’Istituto cenconda Guerra Mondiale i curricula formativi specifici per trale del restauro sottopose la scultura equestre per ben la professione del restauratore e, più recentemente, concinque anni a complessi esami chimici e fisici, prima di traddistingue i percorsi di studio universitari centrati sulla decidere quale fosse il sistema migliore per trattare le deliconservazione dei beni culturali. Registreremo un’ulteriore cate superfici dorate e corrose. importante passo in avanti in questa direzione quando sarà Altro caso recente e rappresentativo della stretta connesportata a compimento l’istruttoria per l’istituzione del nuosione tra storia e scienze nel restauro, è l’intervento eseguito agli inizi degli anni Novanta sui Bronzi di Riace a “Il modello integrato storico-scientifico Reggio Calabria dall’Istituto centrale del restauro per il trattamento delle superfici interne dei due capolavori. A del restauro di formulazione italiana distanza di pochi anni dal primo restauro eseguito a Firensi rivela applicabile anche in ambiti ze, fu accertato che all’interno delle due statue erano in atculturali diversi” to pericolose corrosioni e pertanto si ritenne necessario procedere all’asportazione della terra di fusione ancora presente nelle cavità. Venne messa a punto una nuova mevo corso di laurea quinquennale, a ciclo unico, per la protodologia di restauro endoscopico che si ispirava alla chifessione del restauratore che potrà essere attivato presso le rurgia non invasiva. La nuova tecnica permise di effettuare scuole di alta formazione e presso le università.

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ZKM Come l’arte incontra la tecnologia di Camilla Spinelli Se qualcuno vi nominasse la città tedesca di Karlsruhe, probabilmente non sapreste neanche indicarne la posizione geografica per il semplice fatto che non rientra nel novero delle cittadine più importanti d’Europa. Dal 1986 però, in questa zona della Germania, si può ammirare un interessantissimo museo: l’Institut Fur Medien und Wirtschaft, chiamato anche ZKM. La fondazione del Center for art and media risale agli inizi degli anni Ottanta; il progetto era quello di creare un luogo di produzione, ricerca e studio per l’arte, la musica e le nuove tecnologie in generale. Così, grazie alla collaborazione di molti dipartimenti universitari quali l’Accademia della musica, il Polo per la ricerca nucleare e altre istituzioni di Karlsruhe, il Centro ha iniziato a prendere forma e sostanza e lo ZKM è oggi la prima istituzione al mondo dedicata solamente all’arte e alla sua relazione con i nuovi media.

“1986, nasce a Karlsruhe lo ZKM, piattaforma di sperimentazioni e discussioni per aumentare la partecipazione e sviluppare dibattiti sulle tecnologie” Al suo interno si possono trovare un laboratorio artistico riguardante il digitale, un museo dei media, un museo di arte contemporanea, una sala adibita alle esibizioni, una libreria mediatica e vari istituti per la formazione e la specializzazione degli studenti nelle varie discipline come: Media e visual, Film, Media ed economia, Musica e acustica. Sotto la direzione del prof. Peter Weibel, il Centro si pone l’obiettivo di studiare i nuovi media testandone la potenzialità con lavori “in-house”. Si presenta come una piattaforma per sperimentazioni e discussioni con l’obiettivo di aumentare la partecipazione attiva degli studenti e sviluppare dibattiti sul futuro delle tecnologie. Il museo vero e proprio è diviso in vari settori, ai quali vengono associati dipartimenti di studio. Inoltre esiste un’area espositiva suddivisa secondo i temi affrontati.

Il museo ZKM di Karlsruhe, Germania

Uno dei lavori più seguiti è stato il progetto chiamato: YOU[ser] che si basava su uno studio approfondito del secolo XX. Con l’avvento dei PC e dei cellulari infatti non è cambiata solo la vita quotidiana dei cittadini, ma l’arte stessa. Proprio in questo periodo il fruitore inizia a trasformarsi in manipolatore della tecnologia e l’obiettivo di YOU[ser] è proprio quello di far partecipare il semplice osservatore alla creazione di opere musicali e artistiche. Di fatto si vuole sostituire il concetto di “spettatore” con quello di “interprete” e quello di “artista” con quello di “compositore”. Non solo. Attraverso pratiche partecipative molti movimenti artistici hanno trasformato lo spettatore in un personaggio attivamente coinvolto nella creazione di art work e design. I visitatori diventando utenti, generano contenuti e programmi all’interno del museo. In una parola diventano “prosumers” (pro/ducers & con/sumers). Nel settembre 2007 è stata allestita l’esposizione chiamata Mensch-[in der]-Maschine. Anche per chi non conosce il tedesco, è facile comprendere che si trattava di uno studio sulle cosiddette “macchine intelligenti”. Per molto tempo, queste sono state viste dall’uomo come macchine circondate da un’aurea di magnetismo e di horror allo stesso tempo. L’opera più famosa nel campo fu sicuramente The Turk il giocatore-automa di scacchi di Wolfgang von Kempelen. Gli studi allo ZKM su questo argomento, si basavano sull’idea di una “intelligenza artificiale” che potesse prendere il posto di quella umana. Questo tema è stato ripreso da numerosi artisti e studiosi contemporanei. Dagli automi meccanici, ai robots, fino ai moderni computer, l’esibizione analizza i cambiamenti avuti sul tema dal XVII secolo ai giorni no-

“In esso si vuole sostituire il concetto di spettatore con quello di interprete e quello di artista con quello di compositore” stri. Nei loro lavori, i venti partecipanti al progetto studiano le implicazioni e i continui effetti del concetto dell’automa di Kempelen nei contesti odierni, offrendo un contributo importante per rispondere alle numerose domande del nostro tempo. Perchè se, come diceva Kempelen, esiste umanità in ogni macchina, gli umani possono essere distrutti dalla superiorità delle stesse macchine che hanno ideato e costruito. La particolarità dello ZKM è quella di estendere una fitta rete di collaborazioni con dipartimenti di arte tedeschi e università di tutto il mondo. Ad esempio, l’HfG è il College for new design dove si può studiare scenografia, arte della scienza e mediatheory e molte altre discipline interessanti come l’exhibitiondesign. Qui gli studenti hanno la possibilità di allestire installazioni e montare videoinstallazioni, lavorare con il 3D e la fotografia.


In molti casi si cerca di portare letteralmente l’arte nelle strade proiettando immagini sulle facciate degli edifici così che possano essere viste e “vissute” da tutti, studenti e persone comuni. Alcuni progetti di ricerca del museo volgono lo sguardo verso i nuovi media e la quotidianità, definendo le abilità della natura umana attraverso lo studio di argomenti come la filosofia analitica, la psicologia analitica e motivazionale, nonché l’intelligenza umana e artificiale. Ad esempio, un progetto significativo nel campo appena descritto, è stato l’uso delle nuove tecnologie per migliorare l’istruzione e l’integrazione dei bambini turchi nella regione tedesca di Baden-Wurttemberg.

“I visitatori diventando utenti, generano contenuti e programmi all’interno del museo” Con lo scopo di portare modelli alternativi di istruzione, questo studio, oltre a prevedere l’analisi economica e sociale di questa minoranza, aveva il compito di studiare il problema migratorio attraverso l’uso che i bambini turchi fanno dei media odierni.

Un’immagine del progetto YOU[ser]

Questo progetto è stato uno dei pochi studi internazionali a sottolineare l’importanza delle tecnologie nell’integrazione e nell’educazione di minoranze etniche all’interno di un grande paese come la Germania. Dagli anni Ottanta ad oggi il museo è un punto di riferimento nel campo delle tecnologie ed è sicuramente all’avanguardia nella formazione di tutti coloro che pensano la tecnologia come parte indissolubile del nostro quotidiano.

Le nuove tecnologie nelle biblioteche accademiche Intervista allo staff del Centro servizi di Ateneo per le biblioteche di Fulvia Vitale Le nuove tecnologie hanno negli ultimi anni rivoluzionato il funzionamento delle biblioteche accademiche. Tali innovazioni riguardano da vicino anche l’Ateneo di Roma Tre, il Maria Palozzi, direttore del Centro servizi cui Sistema bibliodi Ateneo per le biblioteche (CAB) tecario di Ateneo è al passo con tutte le novità che la tecnologia ha sviluppato in tale settore. Abbiamo intervistato Maria Palozzi, direttore del Centro servizi di Ateneo per le biblioteche (CAB) e il suo staff per cercare di vedere da vicino quanto queste innovazioni ci riguardano. Dott. Palozzi può parlarci dell’influenza delle nuove tecnologie sul Sistema bibliotecario e del ruolo del CAB in quest’ambito? L’avvento delle nuove tecnologie ha modificato il concetto stesso di biblioteca e di bibliotecario. Infatti, se prima il concetto di bibliotecario era legato al libro, ora i bibliotecari sono diventati dei professionisti dell’informazione.

Oggi le informazioni sono fornite agli utenti con testi e documenti anche virtuali. Per l’avvento di queste nuove tecnologie si è sentita in questa università, come nelle altre, la necessità di un centro che coordinasse tutto questo. Così è nato il CAB, una struttura centrale del Sistema bibliotecario di Ateneo (SBA), che ha il compito di supportare l’attività delle biblioteche tramite l’organizzazione e il coordinamento dello SBA; controlla e monitora tutti i sistemi che si basano sulle nuove tecnologie; si coordina

“Se un tempo il concetto di bibliotecario era legato al libro, oggi i bibliotecari sono diventati dei professionisti dell’informazione” con gli altri organi e strutture dell’Ateneo e gestisce le risorse e i servizi informatici. Il CAB è articolato in una serie di servizi pensati per ottimizzarne la funzionalità e la fruibilità. Andrea Franchi, ad esempio, cura il sistema informatico: può illustrarci le sue funzioni? Il sistema informatico si occupa della gestione delle attrezzature informatiche che sono in dotazione al sistema bibliotecario. Abbiamo in dotazione 120 postazioni di

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Riguardo l’Ufficio per consultazione per gli stula gestione delle risorse denti e 80 postazioni per elettroniche di Ateneo il personale. ci illustra le competenze Un progetto di grande riLucia Staccone. voluzione all’interno del L’editoria elettronica ofservizio biblioteche è il fre la possibilità di conprestito automatizzato atsultare informazioni che traverso la tecnologia prima erano cartacee in RFID (Radio Frequency formato elettronico. RiIDentification, traducibispetto alle pubblicazioni le in Identificazione a raa stampa, quelle in fordio frequenza). Questa mato elettronico consentecnologia permette l’itono numerosi vantaggi dentificazione di persone in relazione alle modalità e oggetti basandosi sulla Una sala della Biblioteca scientifico-tecnologica di Roma Tre di ricerca, alle possibilità lettura di informazioni di rielaborazione dei ricontenute in un tag RFID sultati, alla rapidità di aggiornamento, alle modalità inteusando dei lettori RFID. Il tag è l’etichetta che si appone rattive legate all’ipertestualità e all’ipermedialità. all’oggetto, nel nostro caso il libro o il tesserino dell’utenQueste caratteristiche generali dell’editoria elettronica si te, e che consente l’identificazione a radiofrequenza della sono sviluppate dapprima nel campo dei periodici elettropersona o dell’oggetto. Questa tecnologia permette di venici, che per la circolazione e la comunicazione scientifica locizzare tutte le operazioni di prestito, e possiede numerichiedevano una maggiore velocità di diffusione. Gli strurosi vantaggi rispetto all’ormai superato codice a barre, ad menti su supporto elettronico di cui è attualmente dotato esempio rende più facilmente fruibili le postazioni di selfl’Ateneo sono appunto i periodici elettronici e gli e-book, check (autoprestito) e permette di procedere in modo autocioè i libri elettronici. I primi sono usati dalle biblioteche matizzato anche alle revisioni inventariali. di Roma Tre da una decina d’anni; i secondi da circa due anni, e, seppur in un così breve periodo, sono già molto “L’identificazione a radio frequenza, migliorati riguardo le caratteristiche di fruizione. permette di velocizzare le operazioni Con la diffusione di internet è aumentata la quantità di dodi prestito automatizzato e rende cumentazione messa a disposizione gratuitamente, ma molta documentazione di tipo scientifico continua ad essepiù facile il self-check” re accessibile solo a pagamento. Il Sistema bibliotecario di Ateneo (SBA) ha pertanto selezionato e reso accessibili Simona Fabrizi e Andrea Muscolino si occupano delper la propria utenza alcune di queste risorse, mediante la l’Ufficio catalogo integrato e coordinamento servizi. Di connessione alla rete di Ateneo. Ancora le risorse elettrocosa si tratta? niche a pagamento non sono accessibili da postazioni siQuesto ufficio utilizza un software gestionale, tramite il tuate fuori dall’università, anche se il CAB sta lavorando quale si occupa delle funzionalità, dei servizi e delle inforcon l’Area telecomunicazioni dell’Ateneo per offrire anmazioni relative a tutto il patrimonio documentario delche questo servizio. l’Ateneo. Si tratta di un database relazionale in cui vanno Lo strumento che permette la fruizione dell’editoria eleta confluire tutte le informazioni relative ai documenti, ai tronica è la Biblioteca virtuale che ha l’obbiettivo di metfornitori dei documenti, agli utenti, e a tutte le transazioni tere a disposizione, su un’unica interfaccia web, tutte le riche investono questi soggetti. Nello specifico di queste sorse elettroniche dell’Ateneo, tutte le fonti di informaziotransazioni, si parte dall’ordine del libro al fornitore fino ne, il catalogo e tutte le banche dati. all’arrivo, si passa poi per il perfezionamento della regiTali documenti possono essere stampati solo parzialmente, strazione dei dati di collocazione fino alla gestione delle perché l’editore dà la licenza di consultare il documento, transazioni di prestito e restituzione del materiale. In sonon di possederlo integralmente. stanza questo software dedicato gestisce quindi tutti i daUn’altra possibilità importante che viene data agli utenti è tabase che si relazionano tra di loro. I rapporti esistenti tra quella di collegare l’informazione bibliografica alla verle singole biblioteche sono facilitati dalla possibilità di tutsione elettronica del documento (se questo è disponibile) o ti gli operatori di accedere a questo database generale. ad altre possibilità di recupero del documento, mediante il L’interfaccia web di questo servizio è il catalogo on line: un “link resolver”. catalogo unico di Ateneo, condiviso da tutte le biblioteche Lo SBA ha un sito web? del Sistema bibliotecario, che si può consultare sia se si cerCi si può collegare all’indirizzo www.sba.uniroma3.it. Da ca direttamente un libro di interesse sia se si fanno delle riquesta pagina web si può accedere alle risorse elettroniche, cerche bibliografiche. Acronimo di questo catalogo è OPAC alle informazioni relative alle biblioteche, ai servizi, al per(Online Public Access Catalogue). Attraverso questo catalosonale e alle news. Dalla pagina dedicata ai cataloghi è posgo vengono anche forniti servizi quali la possibilità di rinsibile accedere al Catalogo unico di Ateneo o a parti di esso novare il prestito online senza tornare in biblioteca o anche suddivise per aree, materiali o collezioni particolari. Poi ci prenotare libri che sono in prestito nell’attesa che rientrino.


sono altri link a cataloghi di altre Biblioteche italiane ed estere, a cataloghi di interesse nazionale come ad esempio il Catalogo nazionale dei periodici (ACNP) per informazioni relative a tutti i periodici nazionali, al Servizio bibliotecario nazionale (SBN), o link ad altri meta-motori di ricerca che interrogano contemporaneamente una serie di cataloghi. Dott. Palozzi, quale direttore del CAB, ci sintetizza l’importanza delle nuove tecnologie appena trattate nell’ambito del sistema bibliotecario dell’Ateneo di Roma Tre? Le nuove tecnologie sono quelle che permettono la comunicazione, la cooperazione e la diffusione massima dell’in-

formazione. Consentono una gestione diversa delle risorse atta a ottimizzare tutti i servizi e ad aumentare, usando un

“La Biblioteca virtuale consente di accedere, su un’unica interfaccia web, alle risorse elettroniche dell’Ateneo, alle fonti di informazione e alle banche dati” termine tecnico, la user satisfaction, che è l’obiettivo ultimo delle biblioteche.

C’era una volta il buon vecchio libro… ma poi è finito su un lettore elettronico di Fulvia Vitale L’e-book si può definire come opera letteraria monografica pubblicata in forma digitale e consultabile mediante appositi dispositivi informatici. È quindi, sostanzialmente, un libro elettronico o digitale, che utilizza lo schermo di un normale computer o di altro dispositivo, come supporto sostitutivo della carta. Il fenomeno degli e-book si inserisce nel più ampio dibattito riguardante l’influenza e gli effetti della tecnologia sulla cultura. In quest’ambito si scontrano due diverse linee di pensiero: c’è chi difende strenuamente l’importanza della carta stampata come elemento basilare e irrinunciabile nell’esperienza dell’umanità e chi, dall’altra parte, sostiene il superamento della funzione del libro cartaceo nel nostro sistema culturale e formativo. Citando Ralph Waldo Emerson, «nella più piccola biblioteca scelta avete la compagnia dei più saggi e arguti uomini che si potrebbero andare a pescare da tutti i paesi civili in 1000 anni, e che hanno messo nell’ordine migliore i risultati delle loro esperienze e della loro saggezza», appare chiaro come le biblioteche abbiano da sempre rappresentato una ricchezza per gli uomini di ogni tempo. La ricchezza non è solo nei contenuti ma anche negli oggetti in sé, nell’aria di raccoglimento e meditazione che si respira avvolti dai libri, nella sensazione di trovarsi al cospetto della storia e dei grandi del passato. La paura dei cosiddetti “apocalittici” intellettuali (coloro che difendono la carta stampata dall’avvento del digitale) è che si possa in qualche modo perdere il piacere di toccare con mano la cultura, che si possa dimenticare l’odore della carta e che si arrivi a snaturare l’essenza più propria del libro, visto che l’etimologia stessa del termine rimanda al latino liber, corteccia. Ad oggi l’editoria, in linea con la tendenza a superare i tradizionali modi di produzione e diffusione culturale basati sulla stampa e a far emergere nuovi modelli basati sulla creazione e trasmissione di contenuti digitali, si sta aprendo sempre di più a questo mercato parallelo,

che in un futuro neanche troppo lontano potrebbe mandare in pensione carta e tipografie. Attualmente però gli e-book non rappresentano una vera e propria alternativa al libro tradiUn supporto elettronico per la lettura zionale. Ci sono di e-book alcuni ostacoli che frenano la loro ascesa. Tali ostacoli sono sia di carattere tecnico, e tra questi possiamo elencare la scomodità di avere sempre con sé un dispositivo elettronico che abbisogna anche di fonti di energia, il fastidio e i danni alla vista che può provocare una lettura prolungata nel tempo, i costi dei dispositivi; che di carattere socio-culturale: la diffidenza dei lettori verso una nuova forma di lettura distante dalla tanto familiare carta stampata, il rapporto di uso e, perché no, abuso che si crea tra il possessore di un libro e il libro stesso, il bisogno di sfogliare, toccare e creare un feeling quasi affettivo con un libro che ci appassiona. Sicuramente l’utilizzo di e-book è destinato ad avere una maggior fortuna nel mondo delle pubblicazioni tecnicoscientifiche rispetto a quello della narrativa. La prospettiva di tale facile affermazione degli e-book per scopi accademico/scientifici è supportata dal fatto che i periodici elettronici vengono, in questo ambito, già ampiamente utilizzati. Le caratteristiche che rendono questi prodotti di editoria elettronica appetibili per il pubblico accademico sono la possibilità di un più rapido aggiornamento, di un più efficace recupero di informazioni e di una comunicazione scientifica più immediata. E così, dopo i periodici elettronici, che hanno rappresentato negli anni Novanta la più

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importante rivoluzione di riordino delle biblioteche accademiche, da qualche tempo è il momento degli e-book. La maggior parte dei bibliotecari italiani guardano con interesse ma anche con qualche diffidenza questa novità tecnologica, soprattutto a causa dei fondi destinati alle università che sono sempre in diminuzione. Al contrario all’estero la tendenza è verso un utilizzo più capillare, come dimostra un recente studio sul libro elettronico condotto dallo JISC (Joint Information System Committee) in Gran Bretagna. Tale indagine, che ha coinvolto più di ventimila studenti e 120 università ha infatti evidenziato che più del 60% della popolazione universitaria, sia studenti che docenti, utilizza lo schermo per leggere libri, soprattutto pubblicazioni che riguardano la propria attività accademica. In questa direzione si muove anche l’iniziativa del motore di ricerca Google che ha firmato degli accordi con alcune tra le più prestigiose università e biblioteche internazionali (tra cui Harvard, Oxford, Stanford, la New York Public Library, la Complutense di Madrid), con il fine di scansionare e mettere on line ampi cataloghi dei più diversi volumi rendendoli così liberamente fruibili da tutti. Di recente inoltre Google ha siglato un accordo con l’associazione degli editori americani

(AAP – Association of American Publishers) e la The Authors Guild, che mette fine alla class action per “estesa violazione del copyright” intentatagli tre anni fa da alcune case editrici come McGraw-Hill Cos, Pearson Plc e Simon & Schuster e John Wiley & Sons Inc. Questo accordo renderà possibile in futuro l’accesso a un database ancora più vasto di libri garantendo comunque il pagamento delle royalties ai detentori dei diritti d’autore. Sarà possibile inoltre accedere costantemente alle pubblicazioni ormai fuori stampa e università e biblioteche avranno la possibilità di acquistare un accesso collettivo che consentirà ai loro utenti di consultare integralmente on line milioni di libri. Sergey Brin, co-fondatore di Google, ha dichiarato in proposito che «la missione di Google è organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e fruibili. Ora, insieme agli autori, agli editori e alle biblioteche – afferma Brin – siamo in grado di compiere un grande passo in avanti in questa missione. Benché questo accordo porti realmente dei vantaggi a tutti noi, coloro che ne beneficeranno di più sono i lettori. Avranno a portata di mano l’enorme quantità di conoscenze racchiusa nei libri di tutto il mondo».

Le crociate sul copyright Perché la politica delle major rischia di portare al collasso il sistema discografico di Jacopo Damiani e Francesco Martellini Dopo circa dieci anni dalla nascita di Napster c’è chi ancora crede di poter fermare il peer to peer (p2p). Napster è stato il primo programma di file sharing grazie al quale molti utenti si trovarono di fronte la possibilità di avere sui propri pc la musica gratuitamente piuttosto che spendere cifre che erano e restano tutt’oggi esagerate per un cd. Inutile dire che gran parte dei file che circolavano erano protetti da copyright. Le multinazionali discografiche, forti della loro influenza economica, non impiegarono molto a far cessare la sua attività. Non c’è dubbio che scambiare file protetti sia illegale. Combattere la pirateria però non significa instaurare un regime di terrore fatto di procedimenti legali e sporadiche quanto inutili azioni dimostrative. Il problema reale non è fermare le reti di condivisione file, ma trovare le soluzioni adeguate per soddisfare artisti e utenti. Le strade più efficaci da seguire per conseguire un fine che tutti auspichiamo sarebbero adattare la tecnologia e intervenire sulle attuali politiche riguardanti il copyright in modo tale che il pubblico possa usufruire di tutti i contenuti che preferisce, e che, al tempo stesso, le etichette siano ripagate dei propri sforzi. Non bisogna infatti pensare che chi scarica illegalmente brani musicali, film e quant’altro lo faccia per il gusto di violare una legge o di non rendere

il giusto compenso ad artisti che stima. Chi non vorrebbe, potendo, acquistare tutta la musica che ascolta? Avere tra le mani il prodotto completo di tutte quelle parti, come ad esempio l’artwork, che ovviamente non si hanno scaricando è di certo più bello e poetico di un’icona sul pc o di un cd bianco. Spesso poi gli elementi complementari al disco contengono parti anche importanti del messaggio di un artista. Ricorrere al download può essere però una

“Avere tra le mani il prodotto completo in tutte le sue parti, come ad esempio l’artwork, è di certo più bello e poetico di un’icona sul pc o di un cd bianco” scelta obbligata per l’utente che per una serie di motivi contingenti si trova nell’impossibilità economica di comprare la musica che ascolta proprio a causa di politiche cieche e ignoranti da parte della distribuzione. Una notevole parte di responsabilità in Italia è anche della classe dirigente, che si ostina ad esempio a mantenere l’IVA sulla musica al 20%, come per i beni di lusso. In altri paesi europei la musica è tassata al 4% o almeno al 17%. Questa


discografiche, soprattutto condotta è controproduperchè qui tutto è assolucente oltre che insensata tamente legale. Le netlaperchè fa sì che anche bel hanno cominciato a chi acquista dischi, spediffondersi parallelamencie per quanto riguarda le te alla diffusione dei priuscite in vinile (tutt’altro mi formati audio comche morto), si rivolga a pressi. La loro nascita rinegozi on line inglesi, tesale agli anni Novanta. deschi, norvegesi o addiOggi se ne contano più rittura americani dove i di seicento diffuse in diprezzi sono sensibilmenversi paesi, tra cui anche te inferiori. l’Italia dove attualmente Risulta evidente, quindi, rimane ancora un fenoche combattere il p2p è meno di nicchia. Queste una battaglia persa in etichette virtuali sono partenza. Dalle ceneri di molto simili alle case Napster sono nati moltediscografiche vere e proplici programmi di shaprie, la differenza si liring analoghi che oggi mita soltanto ai meccanipopolano il grande unismi di diffusione e proverso delle reti di scamduzione di album e combio. Piuttosto che com- Il marchio Creative Commons CC è diventato un simbolo di condivisione. pilation; niente utilizzo battere l’inevitabile, le Grazie alle 6 licenze CC gli artisti, musicisti, scrittori e creatori in genere di supporti ottici quali cd major discografiche do- hanno la possibilità di condividere in maniera ampia la propria opera, secondo il modello “alcuni diritti riservati” o dvd, si mira invece al vrebbero trovare il coragdownload gratuito dei gio di abbracciare le stespropri mp3 tramite i siti delle stesse netlabel, che stanno se tecnologie che tentano di contrastare e che minacciano riscuotendo un sempre maggiore interesse sia da parte del la loro stessa esistenza. pubblico, il quale ha accesso gratuito a contenuti musicali di alta qualità, sia da parte degli artisti emergenti, i quali “Oggi il web, in fenomeni come possono pubblicare le loro creazioni musicali rendendole MySpace, è diventato il media di disponibili a un grosso pubblico e, soprattutto, con una riferimento per alcuni generi musicali” spesa minima o nulla. A favorire il loro sviluppo, paradossalmente, sono state proprio le major stesse, che sempre più spesso insieme ai loro artisti preferiscono affidare Ciò che i consumatori vogliono è il diritto di fruire della la vendita dei propri brani a librerie musicali e online stomusica, copiarla e masterizzarla in ogni momento. Ciò che res piuttosto che tramite supporti ottici: l’esempio più cevogliono le aziende è un giusto risarcimento per aver invelebre è iTunes. Le netlabel però sono andate oltre e non si stito e rischiato nel produrre un artista. Se il consumatore sono limitate a questo. Esse infatti non solo offrono connon otterrà ciò che desidera continuerà a utilizzare la pirateria ed è sciocco pensare che in un rapporto economico come quello che c’è tra la grande distribuzione e il consu“Le netlabel non solo offrono contenuti matore medio, sia quest’ultimo a cedere per primo proprio sul piano economico. D’altra parte, se le aziende non ragmusicali tramite i loro siti, ma lo fanno giungeranno i propri obiettivi, continueranno la propria gratuitamente. Questa è la migliore lotta fatta di azioni legali e schemi di protezione destinati risposta alle dittature della grande al fallimento. distribuzione” La questione centrale è che le major discografiche devono cambiare. Anche se questo non è ciò che vogliono fare tenuti musicali tramite i loro siti, ma addirittura lo fanno devono prendere atto, e purtroppo lo stanno facendo poco gratuitamente. Questo meccanismo è la migliore risposta e anche abbastanza male, che il loro destino non è più alle dittature della grande distribuzione, che impone tropnelle loro mani. Lo scambio file è un sistema che contipo spesso prezzi esagerati, è scontato dire che sulle netlanua a svilupparsi anche tecnicamente oltre che numericabel non troverete mai artisti di fama mondiale o rockstar, mente. Senza contare che oltre al p2p oggi il web, in fema la tanto acclamata musica indipendente, e, aggiungianomeni come MySpace, è diventato il media di riferimenmo noi, intelligente, se ne serve sempre più spesso. La to per alcuni generi musicali, anche da parte dei profesmusica non è ricattabile, gli artisti continuerebbero a fare sionisti, e un giorno potrebbe portare le major discografimusica e a essere delle star anche senza le case discograche fino al definitivo collasso. Ma i canali che distribuifiche, le case discografiche senza artisti sarebbero morte. scono musica tramite internet non sono finiti, un fenomeIn pochi riescono a rendersi conto che questo momento no che sta prendendo sempre più piede infatti è quello potrebbe essere più vicino di quanto si immagini. delle netlabel. Queste mettono davvero paura alle case

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La freccia spuntata È partita l’alta velocità ferroviaria e tutti gli altri treni arrancano sulle linee storiche: quando le alte tecnologie sono solo un affare per pochi di Federica Martellini Se siete fra coloro che ogni volta che passano in tv Assassinio sull’Orient Express fanno di tutto per non perderselo, se vi piace quell’atmosfera un po’ retrò dei vecchi treni nei film di qualche tempo fa, se vi siete innamorati in treno o fidanzati in una stazione o se per la prima vacanza senza genitori avete scelto il fascino vagamente bohemién delle strade ferrate, che non vi passi mai per la testa di fare

“Se amate l’atmosfera un po’ retrò dei vecchi treni nei film di qualche tempo fa, che non vi passi mai per la testa di fare i pendolari” i pendolari. Se da piccoli (o anche da un po’ meno piccoli) vi ha incantato la locomotiva dell’Hogwarts Express, che in partenza dal binario 9 e 3/4 condusse per la prima volta Harry Potter verso il suo destino di mago, non scegliete il treno per andare all’università. Se non fate passare un Natale senza concedervi il piacere di un pomeriggio di fronte al camino, immersi nell’ovattato sferragliare di Polar Express, allora evitate le ferrovie per andare a trovare i parenti durante le feste. I tempi sono cambiati. E la realtà, a volte, supera la fantasia. Oggi siamo nell’era delle Frecce rosse e proprio sotto i nostri occhi si compiono «le magnifiche sorti e progressive» dell’alta velocità (AV) all’italiana che «accorcia le distanze e fa crescere il paese», come recita il lancio pubblicitario che dal dicembre scorso campeggia nelle principali stazioni. Da oltre tre mesi infatti è partita la nuova «metropolitana d’Italia», come ha voluto definirla l’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, con un’espressione forse non troppo felice vista l’efficienza, talvolta dubbia, di alcune metropolitane cittadine. Si tratta di «una vera e propria rivoluzione tecnologica, economica e sociale – ha affermato Moretti alla presentazione ufficiale del progetto il 13 novembre scorso – qualcosa di cui, come italiani, dobbiamo andar fieri perché tutta “made in Italy”, dalla progettazione alla realizzazione dell’infrastruttura, dai treni alla tecnologia d’eccellenza utilizzata per il distanziamento in sicurezza dei convogli (ERTMS – ETCS), un sistema frutto del know how sviluppato in Italia dalle Ferrovie dello Stato, che vanta il primato della sicurezza e che è stato scelto come tecnologia e linguaggio unico per tutta l’Europa ferroviaria ad alta velocità. Un gioiello che tutto il mondo ci invidia». Nella stessa occasione Moretti ha tenuto inoltre a sottolineare che «l’alta velocità ha e avrà prezzi assolutamente competitivi, che congiungerà il nord al sud del paese, da Torino fino a Salerno e farà crescere la domanda comples-

siva di mobilità attivando un circuito virtuoso per l’economia, il turismo, l’ambiente e il mercato del lavoro». Altro che Orient Express. Il treno di Harry Potter? Una bazzecola. Qui sembra di essere nel paese delle meraviglie. E che dire delle nuove stazioni AV che accoglieranno i treni ad alta velocità? Pensate ad esempio a Roma Tiburtina. Anche se attualmente sembra un cantiere triste e solitario, un luogo dove improvvidi turisti possono finire sotto un treno dopo essere stati narcotizzati con un cappuccino (è accaduto nel maggio scorso a un signore americano di 75 anni), diventerà entro il 2010 – assicurano FS – una perla dell’architettura contemporanea «che sarà contemporaneamente stazione ferroviaria internazionale e boulevard pedonale, cerniera fra Nomentano e Tiburtino-Pietralata». Siete scettici? Non vi siete ancora accorti della rivoluzione in atto? Evidentemente non avete ancora provato «la nuova esperienza di viaggio» che FS propongono ai clienti AV. Forse siete viaggiatori vecchio stampo che non sanno apprezzare i vantaggi offerti dalle nuove tecnologie. L’ironia è d’obbligo. Infatti mentre un coro di voci sempre più numerose ci racconta la prodigiosa favola dell’alta velocità, in molti sperimentano la banale realtà dell’altra veUn ETR 500 Frecciarossa presso il nodo di Napoli - Impianto dinamico polifunzionale


gentile capotreno che lo locità del sistema ferropotrà informare, ad viario italiano. Anche esempio, che al momento questa molto epica, non non ci sono i vagoni per c’è che dire, anche se i «formare il treno» perché colori di quest’altra epoi vagoni sono gli stessi di pea sono un po’ meno un altro treno, in arrivo sfavillanti. da Napoli con, tanto per Se infatti Roma-Milano dire, 59 minuti di ritardo. si può percorrere ora in 3 Intanto il nuovo viaggiaore e mezza (presto satore è già comodamente ranno appena 3 ore), più seduto sul suo «speciale o meno lo stesso tempo convoglio AV e il persoci vuole per andare da nale di Trenitalia gli dà il Roma a Siena e sulle tapbenvenuto a bordo con pe intermedie della Ro- Nella provincia di Siena alcune tratte ferroviarie dismesse negli anni giornali, cioccolatini e ma Firenze nella prima Novanta perché considerate “rami secchi” sono state recuperate a fini turistici e vengono oggi percorse dal cosiddetto Treno Natura che viaggia a bevande selezionate tra i settimana dal debutto di “bassa velocità” con littorine d’epoca e locomotive a vapore, rievocando il migliori brand italiani», Freccia rossa si sono reviaggio dei nonni. Foto di P. Carnetti © ora potrà finalmente «rigistrati ritardi medi di lassarsi ascoltando musitrenta minuti con casi record di un’ora e mezza e persino di tre ore. Mentre il nuoca o finendo quelle letture da troppo tempo nel cassetto», vo viaggiatore AV può attendere il suo treno «sostando mentre «a bordo il personale addetto alle pulizie opererà a ciclo continuo garantendo la pulizia del convoglio e dei piacevolmente nelle salette riservate dei Club Eurostar» e, servizi igienici». Nel frattempo dopo tanta attesa anche il giunto al binario, può trovare «al marciapiede personale viaggiatore vecchio stampo è salito a bordo del suo treno, qualificato con desk mobili, pronto ad assisterlo, a camsta in piedi cercando di avvistare uno strapuntino libero biargli la prenotazione se ne ha necessità e a dargli ogni lungo il corridoio, oggi infatti mancano pochi giorni alle informazione utile», il viaggiatore vecchio stampo, arrivafeste, i treni sono stracolmi e lui, siccome è un abbonato, to in stazione, se i monitor funzionano, potrà trovarsi nella non ha diritto al posto a sedere. Dopo aver scavalcato dispiacevole situazione di vedervi segnalato il ritardo del verse valigie trova alla fine un posticino dove sedersi, cerproprio treno e di vederlo crescere con il passare dei mito non è il massimo, bisogna alzarsi ogni volta che qualcunuti, avrà inoltre, forse, la possibilità di ascoltare un anno deve passare, non sarà facile così cominciare il libro nuncio che gli comunica, ad esempio, che il motivo del riche ha appena comprato. Il libro si intitola, guarda caso, tardo è un guasto al locomotore o «il mancato arrivo in Corruzione ad alta velocità e lo hanno scritto un magistrastazione del locomotore», in alternativa potrà trovare un to, Ferdinando Imposimato, un penalista, Giuseppe Pisauro, e un giornalista, Sandro Provvisionato: parla del malaffare politico e imprenditoriale che nel corso degli ultimi decenni ha ruotato intorno alla realizzazione dell’alta ve-

“Mentre ci raccontano la prodigiosa favola dell’alta velocità, in molti sperimentano la banale realtà dell’altra velocità del sistema ferroviario italiano” locità in Italia, «Sarà per il prossimo viaggio» pensa il viaggiatore vecchio stampo e proprio in quel momento il treno si arresta bruscamente. Dopo appena 15 minuti di sosta in un’amena campagna, dall’altoparlante annunciano che «le boccole sono surriscaldate» e che il treno è fermo «per accudienza al locomotore». Davvero enigmatico. Forse è un nuovo gioco di società? Un rebus che FS propongono ai clienti per intrattenerli nell’attesa? Come se non bastasse le toilette della carrozza sono fuori servizio e da una rapida ispezione di quelle della carrozza successiva risulta immediatamente chiaro che su questo treno il personale delle pulizie non ha operato a ciclo continuo. Ma mentre lui si arrovella per decifrare l’enigma sapientemente proposto da FS, il viaggiatore AV, sull’altro treno, può udire il melodioso suono di un annuncio audio che «infor-

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Un treno intercity in arrivo alla stazione di Genova Nervi. Foto di Matteo Lizzi ©

ma i viaggiatori che il treno sta per giungere puntuale a destinazione. È stato un viaggio così confortevole che gli viene quasi voglia di trattenersi a bordo! Ma fuori ha ancora il tempo per fare un po’ di shopping nei centri commerciali della stazione o organizzare una riunione d’affari nei salottini del Club Eurostar» e poi lo attendono un’auto e un autista messi a disposizione da FS che per la modica

“Dalla prima locomotiva a vapore in qua la ferrovia è stata senza dubbio, nel bene e nel male, uno dei simboli del progresso tecnico” cifra di 35 euro lo porteranno in giro per la città per 4 ore. Lo sventurato amico vecchio stampo intanto è anche lui arrivato a destinazione con un ritardo che il «personale viaggiante» ha valutato di circa 88 minuti. È un abbonato e quindi non ha diritto a nessun rimborso, non ha tempo per lo shopping perché è già in clamoroso ritardo a lavoro, passando davanti all’edicola il titolo di un quotidiano attira la sua attenzione: «Alta velocità, la Corte Conti “stronca” 10 anni di gestione Tav» e più sotto «Roma, 15 dicembre - Due distinte operazioni per far decollare l’alta velocità a distanza di dieci anni l’una dall’altra. Ma entrambe miseramente fallite per la mancanza di una gestione imperniata sui principi di efficacia, efficienza ed economicità. A pagare lo Stato e le generazioni future in alcuni casi addirittura fino al 2060». L’argomento pare interessante e acquista il giornale, chissà forse potrebbe essergli utile per risolvere l’enigma di FS. Il Messaggero on line del 14 dicembre scorso pubblicava questa lettera di un lettore/viaggiatore: «Gentile redazione, ieri sabato 13 dicembre (…) dovevo recarmi da Milano a Modena con l’IC 493 delle 20.05 diretto a Rimini. Alle 20.10 i monitor della stazione di Milano Centrale, pur non indicando ancora il binario del treno, lo davano in partenza, mostrando l’orario lampeggiante. Curiosamente, non

vi erano annunci dagli altoparlanti. Al che, mi son precipitato all’Ufficio assistenza clienti per chiedere lumi. L’impiegato (…) mi “tranquillizza”: il treno non è ancora partito, ha almeno 40 minuti di ritardo (…). Alla mia domanda “Perché mai non indicate che (…) il treno per Rimini partirà con 40 minuti di ritardo?” la responsabile del Centro assistenza clienti mi ha risposto così: “Sa, lei capisce, oggi e domani non possiamo indicare questi ritardi, essendoci l’inaugurazione dell’alta velocità”. In effetti i tabelloni indicavano solo ritardi di 5 o 10 minuti. La maggior parte dei treni (compresi quelli con un’ora di ritardo) venivano dati per puntuali e i ritardi erano sempre taciuti negli annunci degli altoparlanti. (…) Il mio treno è poi partito – senza alcun annuncio, naturalmente – con ben 90 minuti di ritardo». Che la triste epopea non offuschi la prodigiosa favola. Non disturbiamo il manovratore (o il macchinista sarebbe forse il caso di dire). Dalla prima locomotiva a vapore in qua la ferrovia è stata senza dubbio, nel bene e nel male, uno dei simboli del progresso tecnico. Nel vecchio west come nella pampa argentina l’arrivo delle strade ferrate ha rappresentato sempre un momento chiave nella storia dei paesi che attraversavano e nelle vicende delle persone. Anche da noi, divise e diverse, eccellenti o decrepite, migranti, in vacanza, colpite dal terrorismo, le ferrovie sono state un po’ lo specchio di quello che siamo stati. Oggi che quando si parla di ferrovia dei due mari si intende alludere al progetto della Genova-Rotterdam ma per andare da Civitavecchia ad Ancona si impiegano ancora dalle 4 alle 6 ore, mentre molte piccole e medie stazioni rischiano di perdere il treno e quel po’ di sviluppo che aveva portato con sé ma si progettano aeroporti in ogni capoluogo di provincia, ci si chiede dove stiamo andando. E viene un po’ di nostalgia. Ma forse anche le caotiche cronache ferroviarie dei nostri giorni non sono altro che una delle tante schizofrenie che ci offre il nostro paese delle meraviglie e dei miracoli e la Freccia rossa solo un marchingegno degno del grottesco mondo capovolto del Mago di Oz.


Nessuno stop ai cambiamenti climatici senza interventi nel settore auto Un network di associazioni ambientaliste ha lanciato una campagna internazionale per l’efficienza energetica nel settore automobilistico di Monica Pepe Il trasporto su strada rappresenta uno dei settori più critici per il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto perché responsabile in maniera significativa delle emissioni di CO2 nell’ambiente. Dopo il settore della produzione di energia il settore dei trasporti è la seconda fonte di produzione di gas serra in Europa, con il 22% delle emissioni di CO2. Di questa quota più della metà è dovuta al trasporto automobilistico, uno dei pochi settori in cui le emissioni sono in aumento. Tra il 1990 e il 2005 infatti le emissioni prodotte dal trasporto automobilistico sono cresciute del 26%, vanificando gran parte dei successi raggiunti in altri settori. D’altro canto la gravità dell’emergenza climatica e una crescente consapevolezza del problema da parte delle istituzioni europee, Qui e nella pagina seguente due immagini della campagna CO2 realizzata a Roma impone politiche di riduzione delle emis- dall’associazione Terra! sioni di CO2. L’industria dell’auto inoltre è il nostro paese è il secondo in Europa per numero di autouna delle più assistiti dallo Stato. vetture per abitante (dopo il Lussemburgo). In Italia questo quadro è altrettanto problematico: nel Secondo l’Inventario nazionale emissioni in atmosfera, 2005 il trasporto su strada è stato responsabile di un terpubblicato nel 2006 dalla ex Apat (Agenzia per la proteziozo (20,9%) delle emissioni nazionali di gas serra e il ne dell’ambiente e per i servizi tecnici) in Italia le emissioni di CO2 derivanti dai mezzi di trasporto su gomma sono “In Italia circolano 35.297.282 aumentate del 12,4% e nel caso dei veicoli commerciali leggeri si è verificato addirittura un incremento del 84%. autoveicoli, 58 vetture ogni 100 abitanti, Per rispondere al tema dell’efficienza energetica e dei muoltre due terzi del traffico merci tamenti climatici l’Unione Europea nel 1996 ha approvato terrestre avviene su gomma” una strategia comunitaria volta a ridurre le emissioni di CO2 dalle auto per uso privato. L’obiettivo era quello di ridurre le emissioni delle auto di nuova costruzione, limi60% di queste emissioni deriva proprio dalle autovetture tandole a 120 grammi per chilometro entro il 2005 o al private. Nel nostro paese il numero di autoveicoli in cirmassimo entro il 2010. Una misura di importanza strategicolazione è aumentato di cinque volte tra il 1951 e il ca perchè ridurre il consumo di carburante delle emissioni 1961, ed è più che triplicato nel decennio successivo. Da di CO2 delle auto di nuova produzione rappresenta la miallora la crescita è proseguita con un 63% costante per sura singola più efficace per combattere l’effetto serra, la rallentare solo tra il 1991 e il 2001 (continuando comundipendenza dal petrolio e al tempo stesso investire in tecque a crescere del 17%). Solo nel 1996 si è registrato un nologie a basso impiego di carbonio. calo (0,5% rispetto al 1995), ma la corsa è subito ripresa Questo obiettivo è stato accantonato quando nel 1998 l’incon una crescita annua del parco auto tra il 2,4% e il dustria dell’auto, attraverso la propria associazione (Euro3,7%. pean automobile manufacturers association - ACEA), si è In Italia circolano 35.297.282 autoveicoli, 58 vetture ogni impegnata a ridurre le emissioni medie di CO2 delle auto 100 abitanti, oltre due terzi del traffico merci terrestre avdi nuova produzione, a 140 g/km entro il 2008. Ma non è viene su gomma. Il mercato sembrerebbe ormai del tutto andata così. saturo, ma gli italiani continuano a comprare automobili, e

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obiettivi entro il 2012, l’80% entro il 2014 e il 100% entro il 2015. Un dato nuovo è che per il 2020 il taglio dovrà raggiungere il 40%, circa a 95 grammi per chilometro anche se la clausola si presta a interpretazioni controverse. Questo vuol dire inevitabilmente che, l’obiettivo proposto di 130 grammi di CO2, per chilometro viene posticipato di tre anni (2015 invece che 2012) e che le case automobilistiche potranno continuare a produrre automobili inquinanti per il

“Una politica di riduzione delle emissioni di CO2 non è un lusso è una necessità”

Oggi, a distanza di oltre dieci anni e in seguito al fallimento degli impegni assunti dalle case automobilistiche, il progetto è di nuovo al centro del dibattito sulle politiche energetiche grazie alla discussione del pacchetto clima. La nuova normativa europea avrà l’opportunità di fornire il quadro necessario per una svolta radicale nel settore dei trasporti. Il Regolamento per la riduzione della CO2 delle automobili rappresenta il primo passo in questa direzione all’inter-

“Ridurre le emissioni di CO2 nelle auto è la misura singola più efficace per combattere l’effetto serra e per investire in tecnologie a basso impiego di carbonio” no del pacchetto energia e clima. Se l’Europa non terrà fede alle proprie promesse, rischierà una pericolosa perdita di credibilità, influenzando negativamente lo stesso impegno degli altri Paesi nell’introduzione di misure per la riduzione dell’impatto ambientale. In queste settimane purtroppo si sta giungendo a un accordo che di fatto diluirà le posizioni iniziali a vantaggio della lobby delle industrie: l’accordo prevede che i produttori di auto europei riducano le emissioni inquinanti dei nuovi veicoli del 18%, pari a 130 g di CO2 per chilometro entro i prossimi sei anni. Il 65% della flotta automobilistica dovrà conformarsi agli

prossimo decennio senza che questo crei nessun problema. Ma l’intero pacchetto clima europeo è stato rimesso in discussione dal governo italiano, che ha minacciato di non rispettare gli impegni già assunti in ambito europeo. È una posizione irresponsabile che compromette le misure per prevenire la catastrofe climatica data per certa ormai da tutti gli scienziati. Gli esperti infatti sono concordi che per limitare il surriscaldamento al di sotto della soglia prudenziale di 2°C, i Paesi europei dovrebbero ridurre le emissioni di gas serra del 30% entro il 2020, mentre l’Italia rifiuta persino l’obiettivo del 20% proposto dall’Unione Europea. Una politica di riduzione delle emissioni di CO2 non è un lusso, è una necessità. I danni che tutta la società pagherà per il mutamento del clima e le sue imprevedibili conseguenze, non sono neppure paragonabili ai costi richiesti per una maggiore efficienza energetica. Ma anche nell’immediato i vantaggi di una buona legge sono evidenti: gli investimenti nello sviluppo di tecnologie a basso impiego di carbonio e il loro conseguente impiego da parte dell’industria saranno ampiamente ripagati in termini di maggiore occupazione. Anche il costo che gli acquirenti dovranno pagare per un’auto nuova sarà rapidamente compensato dal risparmio sul carburante. È proprio in questa direzione che si stanno muovendo diverse associazioni ambientaliste con l’obiettivo di arrivare ad una legge europea che ponga a 120g/km il limite di emissioni di CO2 per auto di nuova costruzione entro il 2012 e che, parallelamente preveda penalità per i trasgressori sufficientemente severe da essere dissuasive e incoraggianti nel raggiungere l’obiettivo proposto, piuttosto che adattarsi a pagare qualche penale. In Italia, ad esempio, una nuova associazione ambientalista, Terra!, ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica l’inquinamento del settore dei trasporti non solo chiedendo in sede di Parlamento europeo una normativa più restrittiva per le auto di nuova costruzione, ma anche invitando cittadini e cittadine a fare propria una cultura del rispetto per l’ambiente, prestando un’attenzione maggiore a consumi e stili di vita.


Nuovi media e pornografia Come Internet ha modificato il sex business di Luisa Leonini Un tema, a mio avviso, di grande rilevanza sociale e politica e tuttavia ancora poco analizzato è quello costituito dalle trasformazioni che le nuove tecnologie, e Internet in particolaLuisa Leonini re, hanno provocato nelle relazioni interpersonali, tra uomini e donne, tra adulti e minori, tra persone che vivono in paesi dove le tecnologie sono diffuse e accessibili e paesi in cui le tecnologie vengono utilizzate, tra le altre cose, per sfruttare economicamente corpi estremamente deboli, facilmente ricattabili e utilizzabili per scopi non sempre leciti, e per commercializzarli rivolgendosi a consumatori che si trovano a migliaia di chilometri di distanza.

“La pornografia si è sviluppata con la tecnologia e ha avuto un ruolo di apripista lungo la storia dei nuovi media” L’utilizzo delle nuove tecnologie non solo discrimina tra chi può permettersi di utilizzarle e chi no, con differenze di genere, di livello di istruzione, di possibilità di accesso, ecc., ma può diventare uno strumento di sfruttamento e di violenza nei confronti delle fasce più deboli della popolazione, di chi per povertà e ignoranza è più facilmente ricattabile. I prodotti tecnologici sono prodotti sociali e sociale è l’utilizzo che delle tecnologie viene fatto. In un contesto di interazione costante della tecnologia e della società, diventa interessante riflettere sui processi e i cambiamenti sociali che le nuove tecnologie hanno stimolato a livello sociale, e di come, a sua volta, il comportamento sociale influisca sullo sviluppo delle tecnologie e ne sostenga economicamente la ricerca. Poche innovazioni hanno influito tanto profondamente quanto la diffusione di Internet, sul processo di diffusione e democratizzazione delle informazioni provocando effetti sociali sia positivi sia negativi. Basta pensare al successo di You Tube o di Virtual World per comprendere la velocità e la rilevanza dei cambiamenti nei comportamenti delle persone negli ultimi anni. Occorre comunque sottolineare che la diffusione delle nuove tecnologie e di Internet nello specifico, non è socialmente uniforme ma stratificata per genere, livello di istruzione e condizione lavorativa. Inoltre la condivisione e lo scambio di file, di immagini, musica e filmati, che contraddistingue gli scambi peer to peer, diventa anche un importante canale di scambio e di vendita di materiale pornografico, di costruzione di comunità virtuali di persone che condividono gusti, estetiche, consumi.

Nel saggio dal titolo Pornography drives technology P. Johnson, della New York Law School, argomenta come lungo tutta la storia dei nuovi media, dalla registrazione della voce, alla fotografia, ai libri, ai video, alla televisione via cavo, ai call centre, la pornografia abbia avuto un ruolo di apripista svolgendo un’azione attiva nell’incoraggiare la sperimentazione con le nuove tecnologie mediatiche e la loro diffusione. La pornografia si è sviluppata con la tecnologia, dallo spettacolo diretto di fronte ad un pubblico, alla fotografia dove le immagini oggettivate e infinitamente replicabili, possono circolare facilmente, alle riviste pornografiche, ai filmati, ai telefoni porno, alle rappresentazioni on line dove chi è connesso può avanzare le proprie richieste. Non vi è dubbio che il sex business sia un fenomeno economicamente rilevante e di successo, e che questo business abbia conosciuto una vera rivoluzione con l’avvento di Internet. Gli esperti di consumi mediali sostengono che la pornografia on line costituisca la categoria principale di contenuti a pagamento sulla rete, raggiungendo, nel 2000, un giro d’affari di 400 milioni di dollari americani. La tecnologia della rete ha fornito all’industria del sesso nuovi strumenti per sfruttare, vendere e commercializzare prodotti e persone (soprattutto donne e bambini, ma non solo) a un numero sempre maggiore di consumatori. Le principali riviste pornografiche sono state tra le prime ad avere una versione elettronica: un quarto delle interrogazioni su motori di ricerca sono nell’ambito della pornografia, e i siti pornografici costituiscono il dodici per cento dei siti presenti sulla rete. Inoltre Internet ha dato un forte impulso al consumo di materiale pedo-pornografico, rendendo molto più semplice, anonima e “sicura” la ricerca e la condivisione di questi file. D’altronde il computer è sempre più utilizzato in ambito lavorativo per estendere la presenza fisica delle persone: videoconferenze, comunicazioni via computer, domini condivisi da molteplicità di utenti, ecc. Le nuove tecnologie del file sharing producono nuove comunità peer to peer per la condivisione di materiale tra cui spicca per volume e diffusione quello pornografico, in cui gli utenti sono contemporaneamente consumatori e venditori e dove l’ambivalenza e i confini tra pubblico e privato si confondono costantemente. Netsex, cybersex si diffondono rapidamente. Citando Sherry Turale: «Molte persone che fanno del netsex si dicono sorprese di quanto possa essere emotivamente e fisicamente potente (…) dimostrando la verità dell’adagio che il novanta per cento del sesso ha luogo nella mente». Le comunità virtuali danno la possibilità di generare esperienze, relazioni e identità e di sperimentare spazi che vengono costruiti esclusivamente dall’interazione con la tecnologia, modificando conseguentemente le relazioni interpersonali e quelle con i prodotti tecnologici. Cosa è umano e cosa è tecnologico? Per dirla ancora con Turkle: «Are we living life on the screen or life in the

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screen?» Quanto sono indeterminati e confusi i confini tra individuo e teconologia? I mondi mediali costruiti attraverso il computer indeboliscono le distinzioni tra realtà e fantasia, consentendo la creazione di mondi immaginari al di fuori della mente in cui la simulazione prende il posto della realtà. Si pensi al successo di Second Life con 5.126.014 residenti nel mondo virtuale nel marzo 2007, a quello di Virtual Life e di You Tube per citare solo i siti più conosciuti e frequentati. Uno dei grandi vantaggi di Internet, per quanto concerne il sex business, va ricercato nel fatto che garantisce l’anonimato dei frequentatori di siti pornografici, consentendo la consultazione della rete da casa, senza l’imbarazzo di acquisti in negozi e luoghi pubblici, dove si può rischiare di incontrare qualcuno che si conosce e di perdere in un colpo solo l’anonimato e la faccia, poiché la moralità pubblica delle società occidentali contemporanee, con qualche rara eccezione, valuta negativamente e stigmatizza questo tipo di consumi. Internet consente di accedere con estrema facilità, e in modo economico, a varie tipologie di materiale di tipo pornografico e ciò ha certamente influito sull’aumento di questi consumi negli ultimi anni, aumento che, secondo alcuni studiosi, sarebbe stato caratterizzato dal predominio di materiali hardcore rispetto a quelli soft-core facilmente disponibili, spesso gratuitamente, su televisioni e emittenti locali o via cavo e altri media. Questa tendenza può essere rilevata anche per quanto riguarda il cinema porno che, almeno dalla metà degli anni Novanta, ha privilegiato una potente e prepotente iconografia della violenza, organizzata in massima parte su meccanismi di esplicita subordinazione della femmina da parte del maschio.

“I mondi mediali costruiti attraverso il computer indeboliscono le distinzioni tra realtà e fantasia, creando mondi in cui la simulazione prende il posto della realtà” La messa in discussione dei ruoli tradizionali e delle divisioni di genere in tanti ambiti del sociale nelle società occidentali, dal lavoro, all’istruzione, ai ruoli familiari, al tempo libero, ecc., sembra aver innescato un desiderio di reagire con la violenza, almeno con quella simbolica, alla sensazione di inadeguatezza che gli uomini sperimentano nei confronti delle donne e questo desiderio di predominio fisico dell’uomo sulla donna si ritrova in gran parte del materiale pornografico prodotto negli ultimi anni e diffuso sul web. Come rileva Codeluppi: «nelle società occidentali si assiste ad una progressiva sostituzione del piacere specifico con una condizione di eccitazione generalizzata che sembra essere senza limiti», anziché ricercare la relazione con l’altro, relazione che passa attraverso negoziazioni e rinegoziazioni continue, di ruoli, compiti, modalità di trascorrere tempo libero e tempo di lavoro, educazione dei figli, ecc., si ricerca l’immediata soddisfazione di un bisogno, di un desiderio, senza impegnarsi in relazioni con l’altro. In questo contesto, la diffusione dei nuovi media ha portato a una vasta produzione di prodotti virtuali che, nel caso dei consumi pornografici, si è affermata sia nella direzione del virtual sex sia in quella del interactive sex. Un esempio di vir-

tual sex può essere ritrovato nei numerosi giochi elettronici a sfondo erotico/sessuale in cui i protagonisti diventano sempre più caratterizzati sessualmente e sempre più erotizzati in una cultura popolare globale in cui connotati di tipo erotico costituiscono una caratteristica fondamentale per l’appetibilità dei prodotti. L’esperienza sessuale virtuale viene percepita dal consumatore come puro intrattenimento privo di alcuna rilevanza sociale, un passatempo come un altro. Le immagini possono essere quelle costruite del gioco virtuale o quelle reali riprese dal vero in qualche luogo irriconoscibile e quindi irrilevante, in un tempo indefinito e dunque ininfluente, e del quale non ci si sente conseguentemente responsabili. Proprio le caratteristiche del consumo mediale che ci vede fruire di prodotti attraverso lo schermo del nostro computer, distanti dai luoghi e talvolta dai tempi dell’azione, rende molto opaco e scarsamente sentito il problema della responsabilità individuale in ciò che si vede e a cui si partecipa. La partecipazione virtuale, nel caso di materiale pornografico può creare eccitazione, attrazione, ma non stimola il senso di responsabilità individuale nei confronti di violenze a cui è possibile assistere davanti al monitor del proprio computer: ad esempio materiale pornografico in cui sono coinvolti minori o dove si assiste a scene di violenza sessuale esplicita su persone reali.

“Il fatto che la maggioranza delle immagini presenti in rete sia di persone dai tratti somatici esotici, aumenta il senso di estraniazione dei consumatori” Questo senso di de-responsabilizzazione non deve stupire quando sappiamo che neppure i clienti in carne e ossa della prostituzione di strada si pongono il problema di chi è la persona dalla quale acquistano determinate prestazioni: da dove viene, come si chiama, quanti anni ha, se esercita la professione perché costretta o per libera scelta; quello che conta è la soddisfazione dei propri desideri, l’attuazione del proprio immaginario, delle fantasie erotiche che hanno portato alla scelta di quella persona piuttosto che di un'altra, attraverso la mediazione del denaro. Il sesso interattivo on line è più esplicito e più diretto del virtual sex perchè consente di interagire e controllare una performance che avviene in tempo reale, ma nello spazio virtuale, e di fare richieste che soddisfino le fantasie, i gusti e desideri di chi è connesso. Quella che si riceve sullo schermo del proprio computer è una rappresentazione, una recita in tempo reale, costruita con televisioni a circuito chiuso in qualche studio spesso situato in luoghi dove non ci sono controlli in merito alla produzione di questo tipo di filmati, aderente alle sue richieste e ad un costo assolutamente abbordabile. Il successo di queste forme di sesso interattivo è ben illustrato da Virtual Dreams, il precursore di questi servizi, che dichiarava profitti mensili attorno a un milione di dollari nel 2004. La pubblicità di Virtual Dreams quando incominciò le sue attività nel 1995 utilizzando la tecnologia delle videoconferenze era la seguente: «Virtual Dreams usa le tecnologie all’avanguardia per portarti le ragazze più belle del mondo. Con il nostro software e il tuo computer, puoi interagire in tempo reale e da solo con la ragazza dei tuoi sogni. Chiedi quello che desideri, non aspetta altro che soddisfarti».


Questo tipo di servizi on line consente di intervenire esplicitamente con richieste su ciò che si vede, di scegliere gli attori/attrici, di decidere se deve essere una rappresentazione di un singolo o di più persone, e che tipo di azioni devono svolgere. L’utente connesso può fare richieste che vengono immediatamente soddisfatte da chi lavora; lo “sceneggiatore/regista” tranquillamente seduto a casa propria o in una postazione Internet da lui scelta, può costruire una scena aderente alle sue fantasie. L’interazione virtuale consente di scegliere gli attori, girando tra le strade telematiche senza esporsi in una ricerca diretta, consente di chiedere particolari prestazioni, senza manifestare la propria identità e quindi sentendosi molto più liberi nelle richieste, ogni fantasia può essere appagata mantenendo il più assoluto riserbo sulla propria identità purché la prestazione venga pagata in relazione alla durata del collegamento e al numero di attori coinvolti nella scena. Queste connessioni virtuali pongono in primo piano il problema del rapporto tra realtà e virtualità, un rapporto estremamente complesso e problematico dove simulazione e rappresentazioni si sostituiscono alla realtà, dove reali diventano il tempo della connessione e il denaro necessari per attuarla. Il problema del rapporto tra realtà e virtualità compare anche in diverse situazioni: è all’interno di questa problematica che si deve interpretare i comportamenti di chi filma le proprie trasgressioni e decide di metterle on line. Come alcuni fatti di cronaca hanno recentemente evidenziato, ad esempio, i fenomeni di bullismo nelle scuole ripresi e messi in rete, gli stupri di gruppo messi on line, o semplicemente scene erotiche scambiate con i telefonini tra conoscenti e amici. Il rapporto tra finzione e realtà viene risolto dalla virtualità e ci si dimentica che le immagini sono spesso frutto di azioni reali subite e agite da persone in carne ed ossa. Nel caso di materiale pornografico, il fatto che la maggioranza delle immagini presenti in rete siano di persone dai tratti somatici asiatici o africani, o, in misura minore, slava, sia perché è più semplice e economico produrre questi filmanti in luoghi dove legislazioni meno severe o connivenze con le forze dell’ordine locali rendono meno rischiosa e più remunerativa l’intrapresa, sia perché questi sono i gusti estetici degli uomini bianchi occidentali, i maggiori utenti di questi servizi, aumenta ulteriormente il senso di estraniazione dei consumatori. Il mondo mediato dal computer dà la possibilità di sperimentare un nuovo senso di sé che è decentrato, molteplice e fluido, la costruzione di mondi fantastici costruiti e condivisi con gli altri membri della comunità virtuale consente alle persone di giocare con una molteplicità di rappresentazioni di sé che ottengono il riconoscimento degli altri membri del gruppo virtuale, contribuendo ad amplificare la fluidità e molteplicità di rappresentazioni del sé. Il cyberspazio offre un mondo libero dal rischio della perdita della faccia, del riconoscimento, dove le persone possono cercare quell’intimità o la soddisfazione di quei desideri che intimoriscono e attraggono contemporaneamente, fornendo, un senso di libertà e di potere illimitati. L’ambivalenza nei confronti della sessualità trova quindi nella rete uno spazio sicuro dove manifestarsi. Questi elementi spiegano il grande successo del mercato sessuale on line: privacy, sicurezza, pagamento elettronico, fast pay, sono elementi fondamentali per il successo dell’industria del sesso a pagamento in rete. La diffusione del sex business e la crescita dei profitti in que-

sto settore non possono essere considerati esclusivamente in termini economici senza considerare i costi umani. L’industria del sesso si fonda sullo sfruttamento sessuale di persone in carne e ossa, principalmente, ma non solo, donne e bambine che provengono da aree caratterizzate da povertà e arretratezza. Ormai numerose ricerche su persone che si prostituiscono mettono in luce le sofferenze psicologiche di cui esse soffrono, avendo molto spesso alle spalle storie di violenza e di stupri. Le Nazioni Unite stimano che vi siano circa 200 milioni di persone nel mondo costrette a vivere in un regime di schiavitù sessuale o economica; solo una minoranza sceglie di lavorare nell’industria del sesso, e talvolta questa è l’ultima opzione possibile per vivere. In questo senso è possibile sostenere che l’espansione dei mercati sessuali globali e l’utilizzo di Internet abbiano normalizzato lo sfruttamento

“Il cyberspazio offre un mondo libero dal rischio della perdita della faccia. Un senso di libertà e di potere illimitati” sessuale di donne e bambini dei paesi più poveri. Processi migratori, turismo di massa, tecnologie digitali hanno certamente contribuito all’espansione e alla normalizzazione dello sfruttamento a scopo sessuale di donne e bambini in aree del mondo prima tagliate fuori dai processi di globalizzazione. La maggioranza degli utilizzatori di Internet sono uomini, bianchi e istruiti che vivono nelle società occidentali, e il mercato pornografico on line si rivolge prevalentemente a loro con un’attenzione particolare ai loro gusti e alle loro preferenze. L’estetica e i gusti dei consumatori inducono scelte di produzione di immagini e di selezione di ragazze e bambini con particolari caratteristiche fisiche, costruendo o rafforzando stereotipi culturali rispetto ai tratti somatici e razziali dei corpi riprodotti: dalle donne orientali definite come docili e servizievoli, alle donne di colore, selvagge e calde, alle bionde di origine slava, esotiche e raffinate, alle latino americane, calde e sensuali, stereotipi che suggeriscono differenti fantasie dei consumatori che popolano le strade telematiche e reali. La globalizzazione produce un’estetica dei corpi e richiede il rispetto di quei canoni estetici. Il mercato sessuale globale segue queste regole e definizioni dei corpi: i corpi vengono commercializzati in termini di etnicità, mettendo così in luce i caratteri sessisti e razzisti della pornografia e della prostituzione internazionale in un contesto globale. L’estetica e la pratica materiale dell’effimero si diffondono nell’etica del consumo globale. Internet avrebbe potuto avere un effetto di democratizzazione dei mercati globali del sesso a pagamento, rendendo autonome e imprenditrici di se stesse le persone che offrono servizi nel settore del sex business. In realtà, come è facile comprendere, poiché la maggior parte delle pagine web e dei siti richiede competenze imprenditoriali, oltre che risorse economiche e tecniche, e poiché gran parte della produzione avviene nei paesi poveri del sud del mondo, questo ha semplicemente provocato un aumento delle persone sfruttate in questo commercio. Solo alcune pagine web e pochi siti, costruiti nel mondo occidentale, sono gestiti direttamente dalle persone che vendono la propria immagine e che utilizzano tutta una serie di travestimenti per non essere facilmente riconoscibili

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nella realtà, ma questi sono comunque esempi estremamente rari e minoritari. In questi casi si può osservare un processo di autonomizzazione sessuale in cui il soggetto diventa imprenditore del proprio corpo, inserendolo nel mercato di una sessualità mercificata e in una logica del consumo in cui le rappresentazioni dei corpi diventano prodotti da acquistare. I corpi sono stati tradizionalmente strumenti e mezzi di scambio, questo è oggi nuovamente normalizzato dai vari

“L’espansione dei mercati sessuali globali e l’utilizzo di Internet hanno normalizzato lo sfruttamento sessuale di donne e bambini dei paesi più poveri” servizi connessi al sex business. La globalizzazione penetra nella vita sociale attraverso la diffusione planetaria della cultura del consumo, producendo mercificazione e commercializzazione non solo di forme culturali o di ideologie ma anche dei corpi umani. Il successo e l’espansione del sex business in ogni forma e

modalità, non può essere spiegato prescindendo dalla diffusione della cultura del consumo che ha imposto ed impone la logica della quantità su quella della qualità, del valutare il valore delle persone in termini di denaro, della soddisfazione di desideri e bisogni sotto forma di merci. Il raggiungimento di un maggior benessere materiale viene ricercato ad ogni costo, sacrificando il proprio corpo, quello delle mogli, delle figlie o dei figli; concezioni dei rapporti di genere e familiari patriarcali/tradizionali e contemporanee aspirazioni a un maggior benessere e a migliori condizioni di vita, producono una miscela di tradizione e modernità che induce a considerare l’utilizzo dei corpi per prestazioni sessuali come una risorsa economica talvolta irrinunciabile. In questa prospettiva le professioni legate al sex business anche quando sono scelte, e non imposte con la violenza, vengono comunque percepite come un modo per ottenere del denaro quando mancano altre alternative; ciò è reso possibile anche dall’ideologia contemporanea che promuove la libertà sessuale come un’espressione di libertà individuale e, in questa prospettiva, il sesso a pagamento viene considerato un’attività che fornisce i mezzi economici per la sopravvivenza.

Sandwich generation Donne alla ricerca della semplificazione del quotidiano di Laura Moschini Si sente spesso dire che il rapporto tra le donne e le materie scientifiche e tecnologiche sia difficile e che sia necessario incentivare l’interesse delle studentesse verso facoltà Laura Moschini di questo tipo. Si parla anche di quanto poco ancora oggi le donne siano pratiche nell’uso delle tecnologie nella vita quotidiana e di come raggiungere le “casalinghe” o le donne in età più matura per coinvolgerle maggiormente nell’uso di apparecchi o servizi tecnologici. Con l’effetto, tutt’altro che secondario, di facilitare il loro ingresso in un mercato in continua crescita ed evoluzione. Progresso tecnologico e mercato che raramente si interessano però di cosa in realtà potrebbe essere utile ad esse nella vita quotidiana, magari per facilitare il doppio o ormai triplo lavoro delle donne di oggi, definite della sandwich generation, che si devono occupare contemporaneamente, oltre che del lavoro in casa e fuori casa, della loro famiglia e degli anziani delle famiglie di origine senza grande partecipazione né dei partner né tanto meno della società. Tenendo presente il quadro complesso della vita delle donne, che rappresentano il 52% della popolazione e la maggior parte dei disoccupati, non è difficile ipotizzare

che possano avere priorità e interessi differenti da quelle degli uomini, che hanno condizioni di vita e di lavoro differenti, ma sui quali è ancora oggi mirata la ricerca e basata l’attenzione dei produttori. Inoltre, è forse utile sottolineare che, secondo uno studio di Mc Kinsey, le donne sono decisive nel 70% degli acquisti delle famiglie. Vista la complessità della condizione femminile e la vastità dei loro impegni in gran parte non condivisi, il mercato, per conquistarle, dovrebbe porre più attenzione alle loro esigenze che spesso richiedono maggiore semplicità e rapidità di utilizzo e minori funzioni. Generalmente, infatti, alle donne serve una tecnologia che consenta loro di sbrigare meglio e più rapidamente i loro compiti.

“Vista la complessità della condizione femminile il mercato, per conquistare le donne, dovrebbe porre più attenzione alle loro esigenze” Al di là di luoghi comuni che attribuiscono alle donne una naturale scarsa predisposizione per scienze e tecnologie, di atteggiamenti di disattenzione alle differenze o di logiche di mercato piuttosto miopi, il problema di un difficile rapporto tra donne e tecnologie in realtà esiste. Lo dimostrano le poche risorse femminili nelle professioni legate alle tecnologie e le scarse iscrizioni ad alcune facol-


tà scientifiche, fattore considerato una delle cause della minore occupazione femminile. Se però le studentesse in maggioranza continuano a preferire corsi di laurea definiti “deboli”, assistiamo al fatto che quelle che scelgono corsi di laurea considerati “maschili” riescono molto bene, ottenendo ottimi risultati in minor tempo rispetto ai colleghi maschi. Ne consegue che, se il senso comune continua a ritenere che le donne siano “per natura” distanti dalla tecnologia, la pratica dimostra il contrario. A questo proposito è interessante ricordare che negli anni Sessanta al Pentagono si accorsero che «una fetta significativa del potere creativo d’America non contribuiva alla sicurezza nazionale. Poi il grido d’allarme» scrive Daniela Minerva «si espanse a macchia d’olio e anche le industrie e le università cominciarono a pensare che l’altra metà dei cervelli doveva in qualche modo essere chiamata a raccolta». Nonostante studi, ricerche, statistiche, incentivi di vario tipo per favorire l’ingresso delle donne in corsi di studio e in professioni scientifiche, la situazione non migliorò di molto fino a quando gli studi di genere resero evidente che a causa degli stereotipi sessuali le attività venivano assegnate in base alla “natura”di chi le avrebbe svolte. La storia rivista in ottica di genere dimostra che le donne, pur se confinate nella sfera privata, quando è stato necessario, o possibile, sono riuscite a gestire terre, beni o addirittura regni e a produrre arte e scoperte scientifiche. In particolare gli studi sulle donne nella scienza fanno emergere, attraverso una moltitudine di esempi, che dalla preistoria ad oggi non è vero che la scienza è stata “roba da uomini” ma, al contrario, che molte delle principali scoperte fisiche o chimiche che hanno portato considerevoli vantaggi per la condizione umana, sono nate nelle case e in particolare nelle cucine, da un’attività quotidiana, silenziosa e umile, di studio e ricerca. Nel corso dei secoli, a causa di una sempre maggiore delimitazione del loro ambito di azione, le donne sono state fortemente ostacolate nella possibilità di accedere agli studi (una mente coltivata diventa una mente critica), in nome di una loro “naturale” presunta inferiorità derivante da differenze biologiche e dalla necessità di mantenere un ordine sociale basato sulla subordinazione femminile per assicurare al capofamiglia la certezza della paternità e la proprietà indivisa dei beni. Alcune, però, particolarmente fortunate – prevalentemente figlie o mogli di uomini di aperte vedute – hanno potuto comunque produrre risultati a volte decisivi per lo sviluppo delle scienze. Donne che sono state però dimenticate o oscurate, spesso celate sotto pseudonimi o defraudate delle loro scoperte, la cui riscoperta può consentire di smantellare lo stereotipo che impedisce alle ragazze di intra-

prendere studi e professioni “maschili” e alle donne in genere di avvicinarsi e utilizzare strumenti tecnologici. Oggi, anche in Italia, a distanza di mezzo secolo dalle scoperte del Pentagono, ci si accorge che buona parte del potere creativo rappresentato dal potenziale e dalle competenze femminili viene sprecato. L’esperienza mostra però quanto sia poco utile pensare ad accorgimenti incentivanti se non si affrontano gli stereotipi sessuali tradizionali. Il richiamo alla lotta agli stereotipi, che limitano fortemente donne e uomini nelle loro scelte di vita e di lavoro, è molto forte da parte della UE che sottolinea anche le potenzialità innovative delle donne (competenze mai utilizzate o sottoutilizzate) come fattore determinante per reagire alla crisi mondiale attraverso un’economia basata sulla “conoscenza” quindi su innovazione e sviluppo di una ricerca raffinata. Mentre l’Italia fatica ancora a riconoscere l’esistenza di stereotipi che limitano il progresso della società intera, Viviane Reding, Commissaria europea alle telecomunicazioni, sottolinea quanto sia importante e necessario attirare le donne verso professioni che riguardino le tecnologie della comunicazione e di quanti posti qualificati i paesi europei necessitino: dai 2800 in Italia agli 87800 in Germania. Reding chiede iniziative da parte delle aziende per pro-

“Viviane Reding, Commissaria europea alle telecomunicazioni, sottolinea quanto sia necessario attirare le donne verso professioni che riguardino le tecnologie della comunicazione” muovere le assunzioni “in rosa”, adottando politiche di facilitazione che vadano realmente verso le necessità delle donne, verso l’abbattimento di stereotipi e di atteggiamenti scoraggianti presenti in settori ancora prettamente maschili come le ICT. In particolare Reding plaude al codice di condotta che è stato siglato da multinazionali della comunicazione come la Alcatel-Lucent, Microsoft, Motorola, Orange-France Telecom e Imec. Un accordo che evidenzia finalmente la presa d’atto del ruolo delle competenze delle donne nel progresso economico, anche in tempo di crisi, con vantaggio non solo per la parte femminile della popolazione, ma di tutta la società. Una buona pratica che potrebbe aprire la strada a un superamento della frattura tra donne e tecnologie, ma che, ripeto, in Italia deve essere accompagnata da decise politiche educative e culturali di lotta agli stereotipi.

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La casa ipertecnologica Intervista a Maurizio Ranzi, direttore del Laboratorio di modelli e prototipi della Facoltà di Architettura a cura di Alessandra Ciarletti

incontri

Maurizio Ranzi ha studiato Architettura presso l’Università di Roma “La Sapienza” dove si è laureato nel 1961 e dove ha insegnato Composizione architettonica fino al 1991. In seguito è entrato a far parte del gruppo fondatore della Facoltà di Architettura dell’Ateneo di Roma Tre, insegnando dal 1992 Progettazione architettonica e urbana. Dal novembre del 2008 è in pensione per raggiunti limiti di età. Durante la carriera universitaria ha soggiornato saltuariamente in Francia e negli Stati Uniti, dove ha svolto cicli di conferenze e attività didattica in qualità di visiting professor. Parallelamente all’attività di docente ha svolto attività professionale, progettando, tra l’altro, edifici per abitazione, edilizia scolastica, complessi direzionali, ospedali ed allestimenti. Infine ha partecipato a molti concorsi nazionali e internazionali, vincendone alcuni e perdendone molti, cosa più che normale, avendo ritenuto da sempre il concorso non un modo per acquisire un incarico, ma un’occasione per riflettere sui significati del mestiere di architetto.

Che cosa è la domotica? Innanzitutto voglio precisare che non credo al trionfo della tecnologia ma solo a una sua sapiente partecipazione al processo edilizio. Partiamo da un assunto: l’architetto progetta la casa, mentre la tecnologia è lo studio delle tecniche che concorrono a realizzarla. Da un po’ di tempo a questa parte usiamo la parola tecnologia in modo inappropriato, a maggior ragione quando diventa “ipertecnologia”. Non so cosa si intenda per casa ipertecnologica, perché la tecnica e non la tecnologia, è uno strumento, quindi non

“Asserviti a bottoni e pulsanti non solo riduciamo progressivamente le nostre capacità motorie vitali, ma consegniamo la vita ai progettisti di sistemi” bisogna mai dimenticare che insieme ad essa concorre al processo edilizio lo studio della struttura, della funzione, dell’immagine e del rapporto con ciò che vive intorno alla realizzazione architettonica, in altre parole con la città, con il territorio e con l’ambiente. La casa è senza dubbio il più diffuso elemento connettivo: è senz’altro in termini quantitativi, e non solo, la struttura protagonista dell’habitat umano. Nonostante ciò essa continua a essere fatta seguendo dei criteri sedimentati nel tempo, mentre la tecnica ha assunto di recente valori diversi, diverse interpretazioni e deformazioni; la “ipertecnicità” e tutto ciò che ingrandendo esaspera questi concetti non può che mettere in crisi gli aspetti stessi e contraddire il senso del rapporto delle parti con il tutto.

Eppure la tecnologia, o, se preferisce, lo studio delle tecniche è entrato a far parte sempre più del prodotto edilizio, determinandone spesso un valore aggiunto. Ha senso parlare di ipertecnologia? Parlare di casa ipertecnologica non ha senso perché nel prefisso iper, si nasconde una cattiva interpretazione dell’uso della tecnica, ovvero degli strumenti più recenti o, 1966 – Concorso internazionale L’industrializzazione dell’edilizia residenziale promosso dalla Comunità Europea Carbone Acciaio. Nell’immagine la fase di montaggio di alloggi per un edificio a ballatoio


come si usa dire “innovativi” quali il computer, il controllo digitale, i nuovi materiali, il presunto risparmio energetico e tutto ciò che concorre a migliorare questo prodotto, che, in quanto il più diffuso, è quello più sensibile alle trasformazioni, agli approfondimenti, alle migliorie, allo sviluppo. Se da un lato tutto ciò non può essere che positivo, dall’altro mi rifiuto di immaginare la casa che diventi una (super)macchina per abitare. Molti architetti, o meglio molti Maestri si sono cimentati in ambiti di questo tipo, uno fra tutti Le Corbusier e la sua Maison Citroan, in cui immaginò la casa come una macchina per abitare prodotta da una catena di montaggio. Tutto questo nasceva in un’epoca che riponeva grande fiducia nella tecnica e nello sviluppo della scienza e che metteva la casa al centro della produzione (stranamente nello stesso momento Fritz Lang raccontava Metropolis). Il futuro è cambiato, il passato è passato e parlare oggi di casa ipertecnologica è una grossa contraddizione: cosa vuol dire? Pensa che la tecnologia possa davvero farci vivere meglio? Se ci concentriamo per esempio sul significato della casa come “utensile”, non può che venire in mente il paragone con l’automobile, o meglio, con ciò che oggi è e rappresenta l’automobile nel nostro “stile di vita”. Mi chiedo, e questo non è che un esempio volutamente paradossale, perché una cosa che si chiama “chiave” diventa un pulsante per attivare una scatoletta che aziona un telecomando per aprire la portiera dell’auto, per alzare il vetro del finestrino, o per cambiare canale e ancora per aprire il cancello e la saracinesca (termine ormai desueto) del garage di

casa? Forse l’uomo non è più in grado di girare una chiave? Cosa è successo alla nostra manualità? Credo sia opportuno ridimensionare lo stile con cui stiamo andando avanti e iniziare a declinarlo con il concetto di risparmio energetico che non significa solo cercare di trovare nuovi meccanismi per consumare meno mantenendo gli stessi privilegi, ma anche adattarci a nuove o a vecchie esigenze che un tempo ci portavano a consumare meno e con maggiore sapienza. Tuttavia non si può negare che i “comfort” che oggi offre lo spazio abitato sono di gran lunga più definiti che in passato. Ma aumentando gli standard aumentano i costi, dov’è il vantaggio? In questo gioco delle parti la ringrazio per il ruolo di provocazione che ha voluto assumere. Ma lei sa benissimo che non si capisce perché si debba vivere in una casa (così come nei luoghi di lavoro o di svago) che ha una temperatura costante di ventidue gradi centigradi per 12 mesi l’anno, sappiamo che ciò implica raffreddare in estate e riscal-

“Cosa è successo alla nostra manualità?” dare in inverno a costi insostenidili, quando l’uomo è sempre vissuto in condizioni climatiche in cui la temperatura cambia con il cambiare delle stagioni, tutto il resto è un’invenzione puramente economica e commerciale. Infatti riceviamo continui input per tenere alti i livelli standard e così siamo indotti a pensare che la casa debba fornirci “gratuitamente” tutti i confort, fino al punto in cui ci accorgiamo che questa gratuità non esiste. Rifiuto il concetto di casa ipertecnologica. Apparentemente tutto questo dovrebbe aiutarci a un uso migliore del nostro tempo, eppure mi viene il dubbio che aumenti soltanto la nostra pigrizia. Se un frigorifero-robot è in grado di individuare, attraverso un congegno elettronico, ciò che manca al suo interno e, tramite un messaggio, predisporre la lista della spesa da inviare al supermercato, e se questo non ha più il privilegio di potersi chiamare “fantascienza”, questo vuol dire che c’è qualcosa in questo eccesso di funzionalità che evidentemente non funziona. Apparentemente facilita (questo infatti sostiene la pubblicità dei detersivi), di fatto è un sistema che controlla il nostro stile di vita, determinandolo. Al tempo stesso abbiamo la percezione di avere tutto sotto controllo; in realtà non è così perché troppo spesso non ci accorgiamo della nostra fragilità: se si fermano gli autotrasportatori, dopo due giorni manca la benzina…e allora chi recupera al supermercato la spesa richiesta direttamente dal frigorifero della nostra fantabitazione? Noi diamo per scontati moltissimi passaggi che determinano la nostra capacità di approvvigionamento per i nostri vari bisogni…veri o falsi che siano. La cosa grave a mio avviso è che ci siamo spinti ben oltre i parametri di sicurezza, perdendo tutto quello che riguarda la possibilità di recuperare in condizioni avverse, se dopo due giorni senza benzina non abbiamo le scorte necessarie per sopravvivere.

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Ma allora, se non esiste nulla su cui costruire il nostro futuro, quali legami possiamo ritrovare, secondo lei, con il passato? Mi viene in mente un altro paradosso: il pangrattato. Cos’è il pangrattato? È l’ultima trasformazione del cibo che rappresenta il prodotto base dell’alimentazione dell’uomo, meglio ancora è l’ultimo stadio della straordinaria capacità di conservare. Il pane un tempo era fatto in modo tale da poter durare alcuni giorni, trascorsi i quali lo si poteva utilizzare in molte e variegate minestre e pietanze basate su ricette regionali, dall’acquacotta alla panzanella, al pancotto. L’ultima forma di conservazione è il pangrattato che diventa un eleLa casa ipertecnologica della famiglia Bécourt in Mon oncle di Jacques Tati (1958) mento prezioso per ulteriori straordinarie ricette di cucina. Tornando alla grande distribuzione, essa è tarata sulla venEbbene oggi il pangrattato si compra in bustine al superdita, non sulla scorta, non ha depositi e quindi nonostante mercato. Non ho commenti al riguardo, posso solo dire le apparenze è fragile e può facilmente entrare in crisi. E, che si tratta di un’importante chiave di lettura della sosi badi bene, parlo del nord del mondo, tralasciando volucietà in cui viviamo. Siamo in grado di vendere il falso tamente in questo contesto i grandi spazi di povertà che per vero, insomma, siamo degli imbroglioni senza accorpopolano il pianeta. In questa forma di vita basata sulla sigercene. curezza del proprio benessere, abbiamo rinunciato ai marTornando alla casa tecnologica non dobbiamo dimenticagini di sicurezza che invece per tanto tempo hanno carattere che essa è stata oggetto di grande interesse anche da rizzato gli stili di vita dalla comunità contadina alla rivoluparte dei più grandi cineasti; il primo pensiero va alla fanzione industriale. Senza margini di sicurezza nessuno sa tascienza e quindi penso a Brazil, di Terry Gilliam, il cui cosa voglia dire conservare. protagonista abita in una casa perfetta, dotata di discutibiAsserviti a bottoni e pulsanti di ogni dimensione reale e li comfort, ma ad un certo punto il sistema va in tilt ed ecsimbolica, non solo riduciamo progressivamente le nostre capacità motorie vitali, ma consegniamo la vita ai proget“Il pangrattato che è l’ultima tisti di sistemi: sistemi sempre più evoluti, sempre più perfettibili, ma comunque frutto della tecnica, e l’esperienza trasformazione del prodotto base ci insegna che la tecnica non è immortale. Oggi, dal modell’alimentazione dell’uomo, l’ultimo mento che produciamo freddo a basso costo, conserviamo stadio della straordinaria capacità tutto a bassa temperatura (per poi riscaldare all’infrarosdi conservare, oggi si compra al so); ma se viene a mancare l’energia elettrica buttiamo tutto ciò che stavamo conservando! Ecco il paradosso. Anche supermercato. Non ho commenti da questo punto di vista la casa tecnologica continua ad al riguardo, posso solo dire che si avere, a mio avviso, delle contraddizioni, che sono il ritratta di una chiave di lettura della flesso di un senso di colpa del quale ci vorremmo liberare società in cui viviamo” usando la tecnologia per recuperare ciò che non siamo in grado di tutelare con l’intelligenza. Un po’ come i prodotti eco-solidali che costano un po’di più, però ci “garantiscoco che appare uno straordinario Robert De Niro nei panni no” che le persone che contribuiscono in un paese terzo a di un elettricista che rimuove un pannello dalle perfette quella determinata produzione, non sono sfruttate. Ecco il fattezze “iper” e mostra allo spettatore divertito un grovinostro senso di colpa: non essendo in grado di produrre in glio incredibile di fili, tubi, cavi, degni di un tipico apmodo corretto siamo disposti a pagare di più raccontandoproccio “ipo”. ci la storia che con quei soldi andiamo a contribuire a uno Un altro film che mi viene in mente è Mon Oncle, di Jacsviluppo equo e solidale. Praticamente abbiamo nuovaques Tati; penso alla scena in cui Tati è nella cucina “ipermente rubato la marmellata, ma le dita restano pulite. tecnologicamente attrezzata” della villetta del cognato,


ricco imprenditore di provincia e inizia a giocare con vari utensili che non svolgono solo la loro funzione ma ne assumono altre, per cui un frullatore oltre a frullare è in grado di rimbalzare e diventa un gioco nelle mani di Tati… per me in quella scena c’è il modo giusto (e quindi deteriore) di interagire tra la casa e la tecnologia. In Playtime invece Tati ci parla del rapporto con la città, di ciò che essa diventa attraverso lo sviluppo della tecnica. In che modo la tecnologia trasforma la città? La trasformazione cui la città va soggetta non è coerente, perché non si può portare avanti pariteticamente tutti i concetti, e questo è ovvio, lo sviluppo che le tecniche più avanzate consentono in certi settori non è estendibile ad altri: la tecnologia che permette di realizzare grandi servizi sociali va sostenuta e sviluppata attraverso la ricerca, ma non va confusa, a mio parere, con un telecomando per aprire la porta dell’auto o il cancello di casa. La tecnologia e la tecnica non possono fare a meno del senso delle cose. Il senso dell’architettura non è il movimento; può esserlo in parte nella pittura. La tecnologia vuol far apparire cose che non esistono. Alcuni progetti sono “bellissimi”, ma talvolta non sono facilmente realizzabili e per questo “pagano” un prezzo molto alto al senso dell’immagine che vorrebbero comunicare. La casa e il suo rapporto con la tecnica è un tema difficile. Ricordo un concorso cui partecipai molti anni fa per una casa prodotta industrialmente, bandito dalla CECA (prima struttura operativa dell’Unione Europea). Insieme ai miei colleghi progettammo abitazioni, all’interno delle quali ogni cosa era pensata all’insegna della tecnologia: c’era l’aspirapolvere collettivo, le finestre erano autopu1971 – Concorso internazionale La cellula individuale nell’abitazione prodotlenti perché nessuno dovesse occuparsi di lavare i ta su scala industriale promosso dalla Misawa Homes Co.Ltd. Tokio. Nell’imvetri e dosavano la luce con la rotazione di due ca- magine lo spaccato prospettico di un alloggio tipo lotte circolari polarizzate, gli ascensori, accoppiati, diventavano montacarichi per portare mobilia verso l’interno della struttura. Le abitazioni erano rigoroall’interno degli appartamenti. Non solo. Ci chiedemmo samente servite da luce artificiale, le estremità del cilindro anche il senso della tradizionale divisione dell’alloggio in erano luoghi di simulazione di grandi eventi naturali. An“zona notte e zona giorno”: e di conseguenza ci chiedemcora una volta una tecnologia paradossale… chi è senza mo: è poi importante che una camera da letto abbia una fipeccato…! nestra? No, perché la camera da letto è fatta per dormire… L’artificialità con cui oggi riproduciamo un’immagine nae così proponemmo, senza tanti scrupoli, appartamenti che turale è fatta spesso in maniera più entusiasmante della naricevevano luce solo nel soggiorno. Quando noi schematura stessa. Una natura impeccabile, pronta, che sa riprotizziamo le funzione diamo loro un valore univoco, e quedurre un tramonto, una tempesta, un’alba, tutto a vantagsto è senz’altro un limite pericoloso quando non è suffigio dell’utente-spettatore (basti pensare agli effetti speciali cientemente ironico. Naturalmente fummo esclusi immedigitali dell’ultima produzione cinematografica). Poi salta diatamente dal concorso! la corrente, entrano in crisi le fonti energetiche, finisce il Successivamente mi ricordo di aver contribuito alla propodivertimento e torna il discorso appena fatto sulla grande sta di cellule abitative individuali (una sorta di panoptico distribuzione, sul senso della quotidianità che definisce la in cui ogni individuo usa lo spazio periferico della cellula casa e sui margini di sicurezza perduti. lasciando “vuoto” il centro, che, dalla sovrapposizione di La casa che utilizza la tecnica ha ancora un suo valore a più cellule costituenti il “nucleo familiare”, davano luogo patto che sia la casa ad utilizzare la tecnica e non il contraad un cilindro utilizzabile come spazio comune (leggi rio. Ecco in questa piccola differenza c’è la qualità della “soggiorno”) solo e soltanto se tutti gli inquilini delle celvita e il rispetto dell’umanità. lule individuali decidevano di uscire nello stesso momento

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Stalking. La parola più violentata Intervista a Massimo Lattanzi, coordinatore dell’Osservatorio nazionale stalking di Gessica Cuscunà

Massimo Lattanzi, psicologo clinico e psicoterapeuta, è fondatore e coordinatore dell’Osservatorio nazionale stalking (ONS), ente di volontariato. È autore di numerosi articoli scientifici sul tema e libri specialistici tra cui Stalking – Il lato oscuro delle relazioni interpersonali (2003) e L’amore oscuro – Finchè morte non ci separi (2008). Tiene seminari e conferenze in tutta Italia per formare volontari e operatori del settore quali psicologi, psicoterapeuti, medici, consulenti legali e mediatori. In collaborazione con il sindacato di Polizia CO.I.S.P. organizza corsi e giornate di aggiornamento professionale per operatori socio sanitari e delle forze dell’ordine. È impegnato a divulgare i dati che l’Osservatorio Nazionale Stalking raccoglie dal 2002, anno della sua fondazione. Ha curato la produzione di materiale informativo quale un cortometraggio e uno spot a disposizione di associazioni o istituzioni no profit. Svolge la sua attività presso il Centro di consulenza psicologica e legale coordinando e supervisionando i volontari e i tirocinanti che vi lavorano. Dal 2007 coordina il Centro presunti autori primo in Italia ad accogliere le persone che agiscono comportamenti insistenti e violenti. (da www.stalking.it).

Sempre più spesso ci capita sia di leggere che di sentir parlare di stalking e dei comportamenti ad esso correlati. Vengono date delle definizioni, si cerca di comprendere quale sia la causa di questo fenomeno, si fanno delle ipotesi di intervento e si cerca di proporre uno strumento legislativo atto a delimitare e gestire il problema. Nel tentativo di fare un po’ di chiarezza abbiamo intervistato Massimo Lattanzi, psicologo clinico e psicoterapeuta coordinatore dell’Osservatorio Nazionale Stalking (ONS), fondato nel 2002. Fino a qualche tempo fa aprendo il vostro sito si poteva leggere il seguente articolo Stalking, stalking, stalking!!! La parola più “violentata”, aiutiamola. Voleva essere una provocazione? Sì, non volendo fare politica ma volendo salvaguardare persone che subiscono e che vivono quotidianamente lo stalking mi sono permesso di scrivere questo breve articolo. Ad oggi dappertutto e attraverso tutti i mezzi di comunicazione si associa alla parola “stalking” ogni genere di fenomeno: dal bullismo alla pedofilia, dalla violenza fisica alla violenza sessuale e, addirittura, al mobbing. Il messaggio voleva andare nella direzione di ribadire che lo stalking è una dinamica assolutamente tipica che spesso troviamo anche associata ad altre espressioni di violenza come per esempio quella domestica o di coppia. Lo stalking è un campionario psicocomportamentale molto vasto ma specifico, il cui nucleo è rappresentato da una violazione continua della libertà personale sia nella sfera pubblica, che privata, che lavorativa. Le sue manifestazioni possono andare dall’invio insistente di sms ed email, a telefonate, appostamenti, pedinamenti, invio di regali non graditi, danneggiamenti sui mezzi di trasporto, ecc. Inoltre circa il 10% degli omicidi dolosi che avven-

gono in Italia hanno avuto come prologo atti di stalking. Questo fenomeno nella sua tipicità viene studiato da oltre 20 anni sia in Australia che negli Stati Uniti. Il pioniere di questi studi, l’australiano Paul Mullen che ha formato il nostro gruppo di lavoro di Roma, ha definito lo stalking delineando una precisa tipologia eziologica da non confondersi con altre forme di violenza. È una realtà che distrugge la persona creando insicurezza e intaccando il senso dell’identità e della libertà; la cosa più grave è che connotandosi come una violenza e una persecuzione di tipo psicologico è difficile da dimostrare,

“Lo stalking è un campionario psicocomportamentale molto vasto ma specifico, il cui nucleo è rappresentato da una violazione continua della libertà personale sia nella sfera pubblica, che privata, che lavorativa” quello che però sappiamo con certezza è che i danni sono gravissimi. In Italia il nostro gruppo di lavoro ha cominciato a studiare il fenomeno dal 2002 e confrontando i dati con il gruppo di Modena ciò che emerge è che lo stalking è una realtà che colpisce il 20% della popolazione. Presso il nostro centro ascoltiamo decine di persone a settimana e nel complesso abbiamo gestito 6.000 casi di stalking accertato. Nel giugno scorso il consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge sullo stalking presentato dai ministri Mara Carfagna e Angelino Alfano. Il provvedimento intendeva «predisporre misure idonee a contrastare fenomeni “persecutori”, ovvero quei comportamenti ri-


petuti, consistenti in molestie e minacce, che creano nella persona offesa paura per la propria incolumità o per quella di persone legate da vincoli di parentela o di affetto, tali da indurre a modificare il proprio stile di vita in maniera significativa». È stata così introdotta nel codice penale una nuova figura di reato, quella degli “atti persecutori” (articolo 612bis), nonché una nuova misura cautelare e la previsione di strumenti che favoriscano le indagini (intercettazioni telefoniche in particolare, necessarie in considerazione del fatto che il fenomeno si realizza spesso a mezzo di telefono). Ritieni che questo provvedimento possa rappresentare, da un punto di vista giuridico, lo strumento giusto per mettere in condizioni avvocati, magistrati e forze dell’ordine di affrontare questo fenomeno? Non mi voglio esprimere a livello politico e quello che va rilevato è che il Ddl presentato è lo stesso del 2003 con dei piccoli aggiustamenti. Ricordiamoci sempre che al di là degli operatori delle forze dell’ordine, avvocati e magistrati, gli attori principali dello stalking sono le vittime e i familiari e questo il Ddl non lo contempla. Inoltre il problema è che con questo Ddl è stato preso il peggio delle varie applicazioni giuridiche che ci sono nel mondo ovvero l’ordine della diffida, l’ordine restrittivo e l’ordine della tutela: gli statunitensi applicano queste norme da 20 anni e si sono accorti che circa il 60% degli ordini restrittivi non vengono rispettati. Per quale motivo? Primo perché non vengono rispettati e basta. Molti stalker se ne infischiano. Secondo perché non ci sono risorse a sufficienza per controllare. Rispetto a questo secondo punto come coordinatore nazionale dell’Osservatorio sullo stalking sono molto arrabbiato, ho mandato lettere e comunicazioni di ogni tipo per mettere in evidenza che con la diffida si illude la persona vittimizzandola in maniera secondaria o terziaria. Mi spiego: io faccio la diffida e sono convinto che questo istituto mi tuteli. Ma prendiamo in considerazione Roma che è una città molto grande costituita da un certo numero di municipi. A turno, ogni turno è di 6 ore, girano 15 volanti e 15 macchine dei carabinieri che devono controllare tutto il territorio. Se i nostri dati e quelli dell’Istat sono attendibili possiamo affermare che in Italia circa 5 milioni di donne sono vittime di stalking. Possiamo ipotizzare che su Roma ci siano 100 mila casi, 50 mila? 10 mila? Ipotizziamo che, dato che non tutti denunciano, ci siano circa 1000 ordini restrittivi. Chi li controlla? Allo stato attuale non ci sono i soldi per la benzina per le volanti, non ci sono poliziotti a sufficienza. Ritengo che prima di strutturare un Ddl bisogna studiare il fenomeno e tenere conto di tutte le ricadute che esso avrà a ogni livello. Ovvia-

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il 5% ha tentato il suicidio o purmente né noi, che abbiamo dei troppo l’ha messo in atto. Tutti dati aggiornati sul fenomeno e questi sono dati importanti che ci siamo quotidianamente in contatdanno il senso della dimensione to con persone che subiscono del fenomeno. comportamenti di stalking né il L’Osservatorio oltre che sul gruppo di Modena, che porta fronte della ricerca è impegnato avanti la sua ricerca in ambito nella formazione. Che cosa deve universitario, siamo stati contattaassolutamente sapere chi, a vati per la stesura del Ddl. Per cui rio titolo, entra in contatto con direi che il DdL non solo non è persone che subiscono comporuno strumento valido ma potrebtamenti di stalking? be far peggiorare la situazione Prima cosa bisogna tenere conto laddove si considera una norma che lo stalking è una persecuzione innovativa l’aver introdotto alla persona. Lo stalker è un gran «l’ammonimento del signor quemanipolatore, incanta anche persostore». Qualcuno si è domandato ne di cultura medio-alta e con una cosa significa questo in termini buona posizione sociale ed econopsicologici? Sappiamo che molti mica; è seduttivo, affascinante e stalker hanno un cattivo rapporto capace di stare sulle emozioni dancon l’autorità e possiamo ragio- Incidenza dello stalking in 16 regioni italiane do alla vittima la sensazione di conevolmente prevedere che una noscerla bene e di comprenderla. Le vittime vengono quindi certa percentuale di coloro che verranno convocati dal manipolate affettivamente, portate alla confusione e gestite questore perderanno il controllo. Inoltre, rifacendoci fino ad essere indotte alla dipendenza affettiva. È importansempre ai dati romani, possiamo ritenere che il questore te però che chi subisce un comportamento di stalking non si troverà a dover convocare un numero abbastanza alto venga trattato come una vittima ma bisogna chiedersi, come di persone ogni giorno. Altra pecca di questo DdL è che psicologi, quale parte di questa persona ha permesso a un non esiste la formula della risocializzazione dello stalker altro/a di gestirla. A tal fine è importante comprendere qual è la storia della presunta vittima, qual è il suo stile di attac“L’ordine restrittivo e la diffida sono camento e qual è quell’area nella quale lo stalker si è inseristrumenti inadeguati perché non ci to a tal punto da mettere in atto la sua manipolazione. È necessario individuare questa falla e chiuderla e questo può sono le risorse sufficienti. Ipotizziamo essere fatto solo in centri come il nostro dove ci si occupa in che su Roma ci siano circa 1000 ordini maniera specifica di questo tema. restrittivi. Chi li controlla? Non ci sono La prevenzione e il sostegno sono altre due aree carati soldi per la benzina per le volanti, non terizzanti il vostro lavoro. In particolare il sostengno ci sono poliziotti a sufficienza” viene veicolato dall’utilizzo della posta elettronica e da tutta una serie di servizi presenti sul vostro sito. Avete messo on line spazi di condivisione e consulenza sia per attraverso la pena alternativa piuttosto che la messa alla operatori che per chi ha bisogno di aiuto. Quante eprova. Ammesso che si arrivi a un giudizio e ammesso mail ricevete e qual è la percentuale di coloro che si riche qualcuno andrà in galera, che cosa succederà una volgono a voi, successivamente al contatto e-mail, per volta che questi stalker usciranno ancora più carichi di una consulenza vis a vis? rabbia? Chi se ne farà carico? In media riceviamo due o tre e-mail al giorno di nuovi Dal 2002 gli esperti dell’Osservatorio raccolgono dati casi di stalking accertato e i dati forniti tramite e-mail sullo stalking e hanno monitorato, attraverso l’utilizzo vengono trattati tenendo conto della normativa vigente di questionari anonimi, ben 16 regioni. Ci sono dei dati sulla privacy. La percentuale di consulenze vis a vis varia che ritieni importante riferire? a seconda della distanza da Roma dal momento che ad Nelle regioni monitorate la media di casi di stalking è del oggi la nostra unica sede è qui e a seconda del periodo. 20% sulla popolazione totale. L’80% circa delle vittime è In generale possiamo dire che circa il 30 – 40% di condi sesso femminile e la durata media delle molestie è di tatti e-mail si sono trasformati in consulenze ad persocirca 1 anno e mezzo. Del 20 % totale meno del 17% denam o telefoniche. nuncia. La motivazione di questa bassa percentuale di deLa tecnologia, ad oggi, ha modificato il nostro modo di nunce sta nel fatto che le persone riferiscono di non essere vivere e di comunicare e in effetti ha modificato e forse credute. Inoltre, nel 90% dei casi lo stalker è un conoscenagevolato anche il fenomeno di cui stiamo parlando. te. L’80% degli stalker sono grandi manipolatori anche se Secondo il tuo punto di vista cosa si può fare in termini questo è difficilmente dimostrabile mentre il 70% delle di sicurezza per ribaltare questa situazione facendo in vittime di stalking ha avuto esiti psicorelazionali che vanmodo che le tecnologie, nel caso specifico, possano esseno dall’ansia al disturbo dell’alimentazione e del sonno fire una fonte di sicurezza? no ad arrivare al disturbo post traumatico da stress. Circa


In questo caso parliamo di cyber stalking che è una manifestazione dello stalking attraverso internet, chat, videotelefonino, ecc. Molti casi nascono attraverso delle conoscenze sulle chat, fenomeno in grande escalation. In questo caso però e a proposito di sicurezza il vero problema è la questione della privacy che paradossalmente tutela lo stalker e non la vittima. Lo stalker attraverso vari canali riesce a trovare il numero di telefono della vittima o l’indirizzo di posta elettronica o altro ma nel momento in cui io vittima vado a denunciare avrò una possibilità su un milione che l’autorità giudiziaria mi metta sotto controllo il telefono e il computer. Le tecnologie sono utilissime ma la legge sulla privacy è posta in modo tale che la presunta vittima ha difficoltà a dimostrare che una persona sta violando la sua privacy. È paradossale. Per cui nel momento in cui una persona si impossessa per esempio della nostra posta elettronica non possiamo fare molto. Il motivo è che il primo filtro è il provider che a me non darà mai queste informazioni. Le uniche informazioni in merito possono essere fornite all’autorità giudiziaria che per una questione di privacy, appunto, e di costi elevati non può permettersi di mettere sotto controllo un numero tanto elevato di telefoni o pc. Cosa si può fare? A tutte le persone che io incontro presso il nostro centro dico di bloccare qualsiasi comunicazione dal momento che quest’ultima viene distorta dallo stalker a suo piacimento. Altra cosa importante è non farsi videoriprendere o farsi fare delle foto perché una delle strategie utilizzate dallo stalker è di pubblicare l’immagine della vittima su una serie di siti sociali che sono nati nell’ultimo periodo con l’obiettivo di denigrare la vittima e la sua immagine. Per cui l’idea è quella di lavorare sulla prevenzione facendo in modo che le persone imparino a tutelarsi.

“Nelle regioni monitorate la media di casi di stalking è del 20% sulla popolazione totale. L’80% circa delle vittime è di sesso femminile. Del 20 % totale, meno del 17% denuncia” Voi avete approntato delle linee guida su come gestire i propri strumenti tecnologici? Il principio generale è capire che per tutelarsi e salvaguardare la propria privacy è necessario delineare dei confini anche all’interno del rapporto di coppia salvaguardando quello spazio che è strettamente personale. In generale dovremmo non dare a nessuno la nostra password, non dare troppe informazioni su di noi anche perché lo stalker è bravissimo a raccogliere informazioni proprio in previsione del fatto che i canali di comunicazione potrebbero chiudersi. In ogni caso suggeriamo di rivolgersi a centri come il nostro che possono aiutare a comprendere chi è lo stalker, come si è innescata la dinamica persecutoria e quali sono i comportamenti più adeguati da mettere in atto. Tenendo conto dei dati da voi raccolti e della vostra esperienza quali sono, secondo te, le azioni più urgenti da mettere in atto e che coinvolgano sia gli uomini che

le donne per avviare una riflessione puntuale sul senso di quell’amore struggente che è sempre meno romantico e sempre più invalidante la vita quotidiana? Due parole: prevenzione e sensibilizzazione. Se vogliamo contenere queste situazioni dobbiamo formare e informare i ragazzi già dalle scuole medie per creare una cultura del rispetto che ci permetta di distinguere gli affetti, l’amore e tutto quello che definiamo “bei sentimenti” da tutto ciò che è persecuzione, controllo e manipolazione. Noi abbiamo fatto dei progetti nelle scuole medie superiori e abbiamo accertato dei reali casi di stalking che vengono accettati come espressione di amore.

“Lo stalker è un gran manipolatore, incanta anche persone di cultura medio-alta e con una buona posizione sociale ed economica” La prevenzione contempla la possibilità di fornire alle persone quegli strumenti atti a comprendere un comportamento. Ma se lo spartiacque è l’accettazione di un comportamento cos’è, secondo la tua esperienza, che induce una persona ad accettare e, mi verrebbe da dire, subire comportamenti controllanti? Abbiamo rilevato che, in genere, molte delle presunte vittime hanno un vuoto di amore che cercano di colmare quanto prima e tendono a incontrare persone che possiamo definire grandi manipolatori. Per cui il comportamento manipolatorio dell’uno collude con una sorta di ferita narcisistica dell’altro. E i manipolatori sono bravissimi ad agganciarsi a questa ferita e a farsi largo come meglio credono. Ciò che accomuna il persecutore e la vittima è l’insicurezza emotiva ed affettiva legata agli stili di attaccamento. Per cui solo una sensibilizzazione attenta può far comprendere la differenza tra l’affetto e l’amore e la necessità di controllo e gestione della propria vita. Questa consapevolezza non avverrà in tempi brevi, bisognerà fare un lavoro mirato sui ragazzi di oggi e, forse, vedremo i benefici tra 2 o 3 generazioni. Questa ipotesi ci viene confermata da un’indagine che abbiamo effettuato sugli stili di attaccamento su 800 adolescenti; abbiamo visto che il 5% soddisfa i predittori di future condotte violente e moleste. Altro dato importante ci viene fornito dal SAT (Separation Anxiety Test), strumento che utilizziamo con tutte le persone che vengono al centro e che valuta un po’ gli stili di attaccamento e l’ansia da separazione, che conferma che il 58% sia delle vittime che degli stalker ha paura costante di essere abbandonato. Se teniamo conto del fatto che lo stile di attaccamento è qualcosa che riguarda tutti noi, possiamo anche dire che lo stalking è un fenomeno trasversale? Assolutamente sì, può riguardare anche manager di alto livello molto ben strutturati lavorativamente parlando ma completamente sbilanciati a livello affettivo. E lì, in quel vuoto che si può insinuare il manipolatore. Per cui quello degli stili di attaccamento è una chiave di lettura importante e trasversale che ci sta portando anche a prendere in considerazione e a studiare il fenomeno dello stalking assistito.

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Questo fenomeno riguarda il 50 – 55% dei casi e coinvolge quei bambini che hanno assistito a episodi di stalking domestico e stanno strutturando o hanno strutturato uno stile di attaccamento insicuro-evitante o insicuro-ambivalente che potrebbe fare di loro tanto delle vittime quanto dei persecutori. Magari, ed è quello che ci auguriamo, staranno benissimo, però gli indici predittori sono questi. Mi sembra da quello che dici che la fantasia che ha lo stalker è quella di aver dato la vita, metaforicamente parlando, alla vittima e si sente autorizzato, attraverso varie forme, a toglierla. È esattamente questo quello che loro provano ed è per questo che se vengono lasciati sono così rancorosi. Nel tuo libro, L’amore oscuro. Finchè morte non ci separi, scrivi che le condotte psicocomportamentali dello stalker saranno tanto più forti, prorompenti e insistenti quanto più intenso sarà il vuoto, la delusione e il rifiuto vissuto in seguito all’interruzione di una relazione. Questo vissuto, a livello psicologico, è attribuibile a un meccanismo sempre più presente nella nostra società per cui tutto ciò che è pensabile è anche possibile? Qual è la difficoltà di cogliere e fare proprio il senso del limite?

“Siamo in una società senza confini dove il limite del senso del pudore è spostato sempre un po’ più in là, dove il reato e la violenza diventano strumenti per far parlare di sé” Se ogni periodo storico ha anche una sua anima psicologica o psicopatologica, possiamo dire che la nostra società è prevalentemente narcisistica e borderline; una società dove l’immagine è preponderante e dove conta molto più quello che fai che non quello che sei. Quello che dici è vero perchè rileviamo sempre di più che il senso personale dell’autostima passa attraverso un termometro e cioè quello che dimostro di saper fare. Inoltre siamo in una società senza confini dove il limite del senso del pudore è spostato sempre un po’ più in là, dove il reato e la violenza diventano strumenti per far parlare di sé. Per cui quel confine tra l’Io sociale e l’Io personale è talmente ipertrofico che viene quasi spontaneo correlare in modo lineare il fare e l’esistere. Più faccio, più

L’Osservatorio nazionale stalking può essere contattato allo 06/44246573 e opera in forma gratuita. Volontari e tirocinanti vi svolgono la propria attività ogni giorno, dal lunedì al venerdì, dalle 10.00 alle 19.00. Le richieste possono pervenire da singoli cittadini che necessitano di una consulenza psicologica e legale, da

esisto. Se studio, imparo delle cose e cresco, chi lo sa? Io. E mi basta? Ma questo senso dell’esistere non passa forse attraverso il vivere quotidiano? Qual è il punto, se vivo la quotidianità non esisto? Ed esisto se sono e se sento sopra le righe? Si, lo stalker si rende affascinante proprio per questo perché si sente più degli altri, sta un gradino più in alto degli altri, è creativo e ti riconquista ogni giorno, non si sente e non ti fa sentire parte della massa. Per cui gli interventi che fate voi con le persone che vengono al centro e che fate anche a scuola sono di tipo psicoeducativo ossia tentate di mettere in evidenza le risorse e i limiti che ognuno ha e potenziate l’idea che si può vivere la quotidianità ed esistere indipendentemente dalla presenza dell’altro? Sì, i nostri interventi vanno in questa direzione; potenziare il senso dell’esistere indipendentemente da tutti quei fattori che troppo spesso condizionano la nostra vita non ultimo il fattore economico. Prevediamo per esempio che la crisi economica in corso avrà un effetto a cascata sul fenomeno dello stalking questo perché molti stalker si creano una facciata di perbenismo fatta di un lavoro molto ben remunerato e uno status sociale medio alto. Se questo contenitore verrà a mancare si romperanno degli argini e si avranno ricadute psicocomportamentali importanti. La perdita del lavoro o un cambiamento di status potrebbe diventare l’interruttore per tirare fuori questa parte fortemente manipolatoria. Lo stalking quindi è un problema sociale e delle persone che vivono questa società? È un problema delle relazioni: della relazione che ho con me stesso e con gli altri. È importante quindi fare prevenzione e accogliere sia le vittime che gli autori di stalking per evitare fenomeni di recidiva che sono ben documentati e che si possono evitare solo attraverso azioni di risocializzazione e assunzione della responsabilità. Questo approccio che tu descrivi permette a chi fa questo tipo di lavoro di entrare nel cuore delle categorie. Potrebbe essere questo il punto di svolta per un cambiamento? L’idea è proprio questa, quella di lavorare oltre che sui comportamenti anche sulle motivazioni che spingono uno stalker a mettere in atto il suo pattern comportamentale e la vittima a colludere con tali comportamenti.

operatori socio sanitari e della sicurezza che richiedono una supervisione per poter gestire in modo efficace ed efficiente i loro casi, dai centri antiviolenza che possono inviare le presunte vittime di sesso maschile e i presunti autori con cui vengono in contatto. Per ulteriori informazioni: www.stalking.it.


Tra antichi saperi e moderne contraddizioni Viaggio in India

Come ogni viaggio anche questo è partito dal primo passo, un’idea più che uno spostamento fisico. India! Da centinaia di anni questa parola rimanda l’immaginazione a santoni dalla lunga barba, fachiri capaci di imprese spettacolari, templi magnifici e sette misteriose, profumi di incensi e pratiche di yoga, uomini eccezionali che sembrano poter insegnare agli altri i segreti dell’esistenza. Negli ultimi anni, al contrario, si sente parlare dell’India come una grande potenza economica paragonata alla Cina con la quale condivide una straordinaria crescita economica e tecnologica. Uno sviluppo concentrato nel settore tecnologico e informatico che rendono questo paese un punto di eccellenza nel mondo. Accanto a questa India esiste, o meglio continua a esisterne un’altra che è rimasta pressoché immutata da migliaia di anni, dove il tempo sembra essersi fermato a un’epoca preindustriale. Questa parte dell’India è quella che ho voluto visitare viaggiando alla scoperta di alcuni dei luoghi più sacri e antichi della sua millenaria cultura. La prima tappa è stato il Rajasthan, uno degli stati più poveri del subcontinente indiano, un territorio arido fatto di pianure e lievi colline desertiche abitate da uomini e don-

ne dagli abiti così colorati da contrastare con la monocromia della sabbia e della nuda roccia che lo ricopre. In alcuni paesi del Rajasthan l’unica cosa che ricorda di essere nel presente è l’antenna che svetta sopra i tetti delle case

Taj Mahal situato nella città di Agra, nell’India settentrionale. Mausoleo fatto costruire nel 1632 dall’imperatore moghul Shah Jahan in memoria della moglie Arjumand Baru Begum. Nel 2007 è stato inserito nell’elenco delle sette meraviglie del mondo moderno. Pur essendo un monumento musulmano il Taj è divenuto simbolo dell’India e ogni anno è visitato da migliaia di turisti di tutte le religioni

reportage

dall’India, Marco Mattiuzzo

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costruite con mattoni di fango e sterco di mucca. Qui il tempo è fermo e le azioni quotidiane sono scandite dai ritmi della natura, dai tempi dell’agricoltura, della pastorizia e della vita spirituale che sembra traspirare dai muri, dagli ornamenti delle greggi e dai colori dei vestiti. Visitando i luoghi turistici del Rajasthan, fatti di magnifiche città palazzo, ho avuto l’impressione che il tempo in quel luogo avesse invertito il suo corso. Il contrasto che si ha visitando questo territorio è incredibile; si tratta di un contrasto edificato dalla storia, stratificato nell’architettura dei luoghi, nei giardini e nelle mura delle antiche città palazzo innalzate dalla dinastia dei Moghul, un passato che stride con i poveri e decadenti edifici moderni. I Moghul, stirpe di guerrieri islamici discendenti di Gengis Khan e di Tamerlano, hanno conquistato e amministrato l’India dal XVI secolo fino al XVIII. In poco più di 300 anni hanno arricchito il loro regno di palazzi e di opere di grande ingegno architettonico come il Taj Mahal di Agra, il Jaisalmer Fort e i palazzi e le fortezze di Jaipur: l’Amber Fort, il Nahargarh Fort, il City Palace e il Palazzo dei Venti o Hawa Mahal. Quest’ultimo è forse il più famoso dei palazzi di Jaipur. Costruito su cinque piani, in arenaria rosa, comprende quasi mille fra nicchie e finestre che si aprono sulla via principale della città. Venne edificato per consentire alle donne della casa reale di osservare, non viste, la vita quotidiana e le processioni che si svolgevano in città. Il suo nome Hawa Mahal (Palazzo dei Venti) deriva da una particolarità ossia quella di essere stato ideato in maniera tale da sfruttare i venti predominanti che, entrando dalle finestre, mantengono fresche le stanze del palazzo, una sorta di aria condizionata naturale. Durante il regno del Maharaja Jai Singh II (1686-1743), fondatore della città di Jaipur, la dinastia Moghul raggiunse il suo massimo splendore. Jai Singh II fu un sovrano illuminato, uomo di cultura e di scienza appassionato di matematica e di astronomia, che per incentivare l’osservazione e lo studio del cielo e delle stelle fece costruire in varie città dell’India degli osservatori chiamati Jantar Mantar dotati di strumenti non ottici per l’osservazione del cielo e la misurazione del tempo. Quando si entra dentro il Jantar Mantar

“In alcuni paesi del Rajasthan l’unica cosa che ricorda di essere nel presente è l’antenna che svetta sopra i tetti delle case costruite con mattoni di fango e sterco di mucca” di Jaipur ci si rende subito conto che questo spazio non ricorda neanche lontanamente un osservatorio astronomico comunemente inteso. Si tratta infatti di un grande giardino sul quale sono state costruite gigantesche meridiane e numerosi altri strumenti astronomici grandi come edifici e costruiti con mattoni e cemento che, allora come oggi, permettono di calcolare l’ora esatta, i movimenti terrestri rispetto alle stelle, il calcolo delle eclissi ecc. È possibile persino calcolare la posizione dei pianeti nel momento esatto della propria nascita. La bellezza e l’attenzione per le arti e le scienze come l’architettura, la matematica e la poesia che si respirano nel Rajasthan restano testimonian-

ze di un’epoca in cui l’incontro di due culture, quella indù e quella islamica, ha generato, nel rispetto e nella tolleranza, un cortocircuito virtuoso. Tutto questo diventa ancora più evidente ammirando il Taj Mahal, lo straordinario complesso monumentale in marmo bianco, voluto nel 1632 dall’imperatore Moghul Shah Jahan per seppellirvi l’amata moglie Arjumand Banu Begum. Contornato da tanta bellezza il contrasto con l’India di oggi mi appare dunque chiaro e le onnipresenti distese di tendopoli improvvisate ai lati delle strade o i villaggi di fango mi restituiscono l’immagine di un luogo diverso, di

“Le distese di tendopoli improvvisate ai lati delle strade restituiscono l’immagine di un’India diversa, avvitata su se stessa, in cui le luci degli alberghi di Mumbai o la silicon valley di Bangalore non sembrano realtà dello stesso paese” un’India che appare avvitata su se stessa, lenta ed elefantiaca in cui le luci degli alberghi di Mumbai, la ricchezza esibita da Bollywood e dai villaggi turistici di Goa o la silicon valley di Bangalore sembrano realtà troppo dinamiche e scintillanti per appartenere allo stesso paese. Contraddizioni contenute in un unico corpo all’interno di un solo stato che si manifesta con molteplici rappresentazioni: che parla decine di lingue e centinaia di dialetti, che veste abiti in cui i colori e ornamenti parlano di culture, religioni, devozioni, caste e stati sociali che i nostri occhi, Vita quotidiana lungo i ghat che degradano verso il fiume Gange della città di Varanasi


amici che portano il loro seppure attenti, non ricaro verso i luoghi in cui escono a decifrare. si effettuano le cremazioL’origine di ogni luogo ni dei corpi. La cremaziodell’India che ho visitato ne avviene all’aperto in viene spiegata attraverso riva al fiume, i corpi venuna leggenda, la sua gegono immersi per l’ultima nesi deriva da qualche vivolta nelle acque sacre del cenda i cui protagonisti Gange e poi adagiati sosono le divinità del panpra una pira di legna aptheon induista, ogni città positamente preparata da è dedicata a una divinità uomini della casta dei pacosì come ogni fenomeria (chiamata anche dom) no naturale trova la sua i quali stabiliscono con spiegazione attraverso i estrema precisione quanti testi sacri della tradizione Brahmino che lungo le rive del Gange di Varanasi si prepara a celebrare la chili di legna occorrono indù che risalgono a Ganga Aarti (cerimonia al tramonto) per bruciare un corpo senun’epoca non databile. za che ne resti traccia. Terminata la cremazione le ceneri Così è anche per il Gange personificato dalla dea Devi. Il vengono affidate al fiume. La vita della città e dei suoi abisuo corso, che taglia da ovest a est il subcontinente indiatanti è scandita dal Gange e dai riti che gli indiani compiono, dispensa vita e la riconoscenza che gli indiani gli tribuno sulle sue rive. Ogni mattina i ghat (scalini che scendono tano è diventata sacralizzazione, da lui tutto nasce e alla fiverso il fiume) vengono affollati dai devoti che compiono il ne in lui tutto torna. Il suo lento scorrere sembra quasi esrito delle abluzioni. Migliaia di uomini, donne e bambini si sere metafora della calma e della gentilezza degli indiani. immergono nelle acque del fiume per “purificarsi” (si fa In nessun altro luogo come nella città di Varanasi è possibiper dire dal momento che l’acqua del fiume è così inquinale comprendere quanto il Gange, la “madre Ganga”, sia ta da essere settica). La sera all’ora del tramonto moltitudiorigine e fine di tutto. Questa antica città, forse la più sacra ni di indiani accorrono verso i ghat principali per effettuare dell’India, è il luogo in cui ogni indù almeno una volta nelil Ganga Aarti. Si tratta di un rito durante il quale i brahmila vita deve recarsi. È anche detta “città dei morti” dal momento che secondo la religione induista morire e far disperdere le ceneri nel Gange di Varanasi libera gli uomini “In nessun altro luogo come nella città dal ciclo delle reincarnazioni (samsara) permettendo così di Varanasi è possibile comprendere all’anima (atman) di ricongiungersi all’Assoluto (Brahman). Quindi ogni indù, che ha la possibilità economica quanto il Gange sia origine e fine di per farlo, trascorre qui i suoi ultimi giorni di vita. La città è tutto. Secondo la religione induista continuamente attraversata da cortei funebri di familiari e

morire e far disperdere le ceneri nel Gange di Varanasi libera gli uomini dal ciclo delle reincarnazioni”

ni – gli appartenenti alla casta preposta alla celebrazione dei riti religiosi – ringraziano il Gange danzando con oggetti di fuoco nelle mani. Alla fine dell’Aarti i partecipanti al rito e i turisti curiosi depongono sull’acqua della “madre Ganga” una fiammella galleggiante che rappresenta i sogni e i desideri di ciascuno, appena la fiammella prende il largo tutti i presenti sono pronti a giurarti che quanto più lontano la corrente del fiume la porterà tanta più fortuna si avrà. Dalle rive del Gange di Varanasi procedo verso nord ovest alla ricerca delle sue sorgenti, percorrendo in treno centinaia di chilometri che attraversano luoghi in cui si fa fatica ad immaginare che esistano strade capaci di raggiungerli. Sull’Himalaya il Gange cambia, da fiume lento e inquinato si trasforma in un corso d’acqua rapido e verde. Da qui sopra, oltre quota 4000 m, forse a causa della rarefazione dell’aria, l’India e il mondo intero sembrano lontani e se capita la fortuna di incontrare chi da questi luoghi guarda con distacco le miserie e le gioie del mondo allora, anche solo per un attimo, ti illudi che il mondo intero possa veramente essere contenuto tutto in un verso dei Veda, qualcosa che esiste solo nel sussurro di un mantra.

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Sulla cresta dell’onda Taccuino di viaggio da una capitale all’avanguardia da Madrid, Tommaso D’Errico Non è certo un caso che Madrid si stia affermando come una delle mete più apprezzate di tutto il Vecchio Continente. La capitale spagnola è una città divertente e dinamica, ha una storia ricca e affascinante, un patrimonio artistico invidiabile e una vita culturale attiva e vibrante. Chi arriva per la prima volta a Madrid resterà stregato dalla bellezza degli edifici e delle piazze, dalla ricchezza dei musei e dall’efficienza dei servizi, primo tra tutti quello del trasporto pubblico. Passato qualche giorno, ci si sente perfettamente a proprio agio in una metropoli di 3 milioni e mezzo di abitanti, a spasso tra i barrios e i fumosi bar de tapas, dove i madrileni si incontrano per condividere cibo, birra e chiacchiere. Madrid e i suoi abitanti hanno lo straordinario potere di non farti sentire un estraneo: ognuno qui può trovare il suo spazio e il suo momento. La città offre situazioni di ogni genere: distritos (distretti) eleganti e moderni per lo shopping e l’alta cucina, strade ampie e affollate oppure quartieri raccolti e silenziosi, dove passeggiare in tranquillità senza l’incubo di essere travolti dalle auto; ogni zona con la sua forte connotazione d’identità locale. Da Lavapiés, la zona vecchia della città, quartiere multiculturale un tempo considerato degradato dove è possibile immergersi nei ristoranti etnici o in minuscoli locali dall’atmosfera accogliente e familiare a La La-

“Oggi Madrid sembra riflettere la situazione di una nuova Spagna: un paese che sembra avere la mente rivolta al futuro e poco interesse per un recente passato oscuro e ambiguo” tina, dove di domenica si può far conoscenza con El Rastro, uno dei più celebri mercati delle pulci, alla movida notturna di Chueca. Dal gomitolo di strade che si snoda tra Puerta del Sol e la Gran Vìa fino a Plaza Mayor con la sua maestosità che conserva i segni del passato medievale e che è il vero e proprio cuore pulsante della città. Oggi Madrid sembra riflettere la situazione di una nuova Spagna: un paese che sembra avere la mente rivolta al futuro e poco interesse a scavare in un recente passato, oscuro e ambiguo. Ho girato per giorni tra mercati, bancarelle e negozi alla ricerca di vecchi volumi sulla guerra civile, in particolare di album fotografici, ma la mia ricerca si è rivelata vana. Quando accenni alla guerra civile o alla dittatura i madrileni sembrano poco interessati ad affrontare l’argomento: non appaiono né scocciati né timidi, non si avventurano in racconti, né tantomeno sembrano ansiosi di manifestare una qualsiasi posizione o interpretazione personale in merito. Semplicemente, si mostrano poco coinvolti dalla questione, forse spinti da un desiderio interiore di dimenticare le atrocità e di guardare avanti. Anche dal punto di vista artistico e culturale Madrid non è rimasta ancorata al passato, ma ha saputo valorizzare i

propri capolavori artistici integrando un passato di gloria e splendori con una concezione estremamente moderna dell’arte e dell’architettura, rendendo fruibili in modo elegante e funzionale i tesori custoditi nei musei e nelle gallerie d’arte. Il Museo Reina Sofia, senza dubbio uno dei più belli che abbia mai visitato e che ospita, tra gli altri, il celebre Guernica di Picasso, è uno splendido esempio di come un’architettura futuristica e una tecnologia all’avanguardia possano valorizzare anziché deturpare le meraviglie artistiche del passato, unendo allo stesso tempo bellezza e funzionalità. Impossibile poi non citare gli altri

“Ho girato per giorni tra mercati, bancarelle e negozi alla ricerca di vecchi volumi sulla guerra civile, ma la mia ricerca si è rivelata vana” due principali musei di Madrid: il Prado, con l’eccezionale collezione del rinascimento italiano e spagnolo e i capolavori di Botticelli, Caravaggio, El Greco, Goya, Bosch e moltissimi altri e la galleria Thyssen-Bornemisza, una delle più grandi collezioni private di arte del mondo, acquistata nel 1993 dal governo spagnolo. Quest’ultima ospita opere dei maggiori pittori di sempre: visitarla significa intraprendere un affascinante e indimenticabile viaggio che in poche ore ci porta a ripercorrere tutta la storia dell’arte figurativa dal rinascimento a oggi, attraverso opere di tutte le principali correnti artistiche, dall’impressionismo all’espressionismo, dal cubismo alla pop-art. Citare qualche nome in questo caso è più che mai superfluo: al museo Thyssen-Bornemisza non manca praticamente nessuno. Un treno in partenza nella metropolitana di Madrid


ra. Ovunque sono presenti telecaTutti i principali musei sono mere per garantire la sicurezza gratuiti un giorno a settimana e (soprattutto dopo gli attentati del offrono efficienti servizi di guar2004). La stazione centrale di daroba e audio guide e, sopratAtocha, importante snodo ferrotutto, sono assolutamente e toviario dove arrivano e da dove talmente agibili per i disabili. partono i treni per e da Madrid, è Tutta la città, in effetti, offre ai stupenda e, come al solito, altretdisabili notevoli possibilità per tanto funzionale. Oltre ai negozi, muoversi in modo sicuro e autoi caffè, i ristoranti e al modernisnomo. Tutti i semafori (almeno simo terminal per i nuovi treni ad quelli del centro) sono dotati di alta velocità (che stanno riscuosegnalatori acustici e le strade e i tendo grande successo in Spamarciapiedi sono spesso provvigna), a catturare l’attenzione è il sti di particolari pavimentazioni lussureggiante giardino tropicale, per offrire un supporto tattile ai che si estende al coperto per 4000 non vedenti. Di fatto, capita più metri quadrati con palme altissivolte di incontrare persone non me e una nutrita popolazione di vedenti muoversi in modo auto- Il giardino botanico all’interno di Atocha, la stazione tartarughe acquatiche. sufficiente e in grado di prendere centrale di Madrid La metropolitana di Madrid è un la metro senza accompagnatori. sistema in continua espansione: La metropolitana di Madrid è certamente uno dei fiori all’occhiello di questa città all’avanaltre linee stanno per essere costruite, con notevole attenzione verso i problemi del risparmio energetico e della salvaguardia e l’intero servizio pubblico di trasporti della capitale guardia ambientale, non solo per il servizio che offrono in spagnola sembra funzionare alla perfezione. Le linee della sé, ma per il modo stesso in cui verranno costruite. I nuovi metropolitana sono dodici (arrivano fino all’aeroporto) e a progetti prevedono infatti la realizzazione di stazioni e treni queste si aggiungono ulteriori linee extraurbane. La quantità che riducano al minimo l’impatto ambientale, in grado di di fermate che si incontrano passeggiando per il centro è produrre autonomamente una parte dell’energia di cui avrandavvero notevole: all’inizio può capitare di prendere la meno bisogno grazie all’utilizzo dei pannelli per l’energia solatro per un paio di fermate pensando di evitare un lungo trare e a particolari sistemi di riciclo dell’acqua. Cose che da gitto a piedi per poi accorgersi di essersi spostati di poche noi sembrano fantascienza, lontane anni luce come può escentinaia di metri. Inoltre, la “quantità” non è l’unico fattore serlo l’idea dei viaggi da una galassia all’altra. L’idea di svidi pregio del servizio, che si distingue anche per una qualità luppo sostenibile, di cui sentiamo tanto parlare, qui viene apinvidiabile. I treni, molti dei quali fra l’altro di fabbricazione plicata in modo concreto ed efficace, grazie alla reale volonitaliana, sono veloci, per lo più nuovi e tutti dotati di condità di cercare soluzioni innovative in quei settori che più hanzionatore, iniziano a trasportare persone alle 6 del mattino e no bisogno di interventi. si fermano soltanto all’una e mezza di notte; le biciclette Il trasporto nelle città è oggi un problema devastante, non possono accedere a tutte le stazioni e a tutti i treni, anche se solo dal punto di vista ambientale per l’inquinamento atmovincolate a rispettare gli orari di minor affluenza durante i sferico che comporta, ma anche dal punto di vista della quagiorni lavorativi. Le stazioni lasciano senza parole: sono pulità della vita degli abitanti, sottoposti a stress psicologici e lite e architettonicamente all’avanguardia. Spesso ospitano nodi di rilievo in cui si incrociano diverse linee e per questo si sviluppano su più piani, scendendo in profondità sotto ter“Il trasporto nelle città è oggi un nodo

cruciale: Madrid è una chiara testimonianza di come sia possibile risolverlo in modo vincente” fisici di ogni tipo, dalle lunghe ore di attesa snervante nel traffico, agli incidenti, all’inquinamento acustico. Roma, per tornare a casa, è da questo punto di vista una delle capitali europee del degrado e la situazione, per il prossimo futuro, appare più che mai deprimente e priva di sbocchi reali. Eppure le soluzioni esistono eccome: Madrid è una chiara testimonianza di come sia possibile affrontare il problema del traffico in modo vincente. Le tecnologie esistono, il ritorno economico è garantito: quello che manca è soltanto la voglia. È bene quindi non dimenticare che chi oggi ci governa e continua a non investire, facendo finta di nulla o continuando ad accampare ridicole scuse di carattere geologico e archeologico, sta commettendo un crimine e ci sta privando volutamente di una vita più comoda e più salutare. Se non ci credete, fate un salto a Madrid.

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Ultim’ora da Laziodisu Diritto allo studio… work in progress…

rubriche

di Gianpiero Gamaleri Quasi 1.600 borse di studio erogate dall’Adisu Roma Tre per oltre 4 milioni di euro, per un importo individuale annuo oscillante tra i 1.700 euro per gli studenti in sede, 2.500 euro per i pendolari e 4.500 euro per i fuori sede. Questi i dati relativi all’anno accademico in corso che abbiamo presentato nello scorso numero di questa rivista. Con queste cifre, il compito dell’ente può considerarsi esaurito per quanto riguarda questa voce di spesa, cui si aggiungono però quelle per le residenze, le mense, i servizi ai disabili, la mobilità, l’orientamento, i contributi culturali, l’impiego di studenti collaboratori e altre minori. In questo numero abbiamo cercato di andare oltre gli aspetti economici, che pur sono molto rilevanti, e incominciare a conoscere qualcuna delle “storie umane” che questi benefici materiali hanno favorito. Sono piccoli o grandi sogni che si stanno realizzando sul versante più importante nella storia di ogni giovane: quello di raggiungere un obbiettivo attraverso un’adeguata formazione. La voce più autorevole che si è espressa in questo periodo in questo senso è stata quella di Barack Obama: «Se do-

vessi dire qual è stato il fattore più importante tra quelli che mi hanno permesso di raggiungere l’incredibile traguardo di presidente degli Stati Uniti, dovrei dire che è stato lo sforzo per acquisire una solida formazione, che mi rendesse consapevole delle mie potenzialità. Sforzo che debbo a me stesso, ma soprattutto ai miei genitori, che non hanno risparmiato sacrifici, specie mia madre, e alle istituzioni universitarie che mi hanno accolto». Non tutti sono destinati ovviamente a traguardi così ambiziosi. Ma tutti sono chiamati ad avere una formazione che li renda consapevoli dei propri mezzi e del proprio ruolo nella vita professionale e di relazioni umane nella società. Così, come dicevamo, sotto le aride cifre del “diritto allo studio” vivono tante storie. In questo numero abbiamo cominciato a raccoglierne alcune. Esse hanno valore per gli studenti che ne sono protagonisti, ma valgono anche per i loro compagni e per l’Adisu, per motivare ulteriormente il nostro sforzo e per migliorare la qualità del nostro lavoro. Presentiamo in questa pagina alcune testimonianze di studenti collaboratori e di altri che hanno beneficiato dei servizi offerti.

La parola agli studenti a cura di Virna Anzellotti Borse di collaborazione. Gli studenti, a partire dal secondo anno di corso, possono partecipare a bandi per l’affidamento di borse che finanziano attività di collaborazione da prestare a tempo parziale presso le strutture universitarie e di Laziodisu, per un ammontare massimo di 150 ore. Alessia, studentessa romana della Facoltà di Lettere e Filosofia e Marco, studente di Architettura, vincitori per l’a.a. 2008/2009 di una borsa di collaborazione di 150 ore, ci hanno detto: «La possibilità di percepire una retribuzione con un impegno dagli orari estremamente flessibili, adatti alle esigenze di uno studente, concilia pienamente la necessità di avere una piccola indipendenza economica senza sottrarre troppo tempo allo studio». Borse di studio. Le spese da affrontare quando si studia sono elevate: tra alloggio per i fuori sede, tasse universitarie, libri, spese di trasporto, molti ragazzi, senza un aiuto finanziario, non avrebbero modo di frequentare i corsi universitari cui aspirano. Le borse di studio sono una reale possibilità. Antonio, studente matricola fuori sede di Ingegneria Meccanica, Ilaria, studentessa di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Kiran, studente di Lettere e Filosofia, hanno vinto una borsa di studio e sono concordi nell’affermare che per loro è stata un’importante opportunità in quanto il fatto di essere esonerati dal pagamento delle tasse universitarie e la disponibilità di un contributo in denaro ha permesso loro di non doversi

Un’immagine della residenza di Via Valleranello, realizzata dal Consorzio Pegaso, che sarà quanto prima ultimata

preoccupare di trovare un lavoro per pagare le tasse e i libri e di conseguenza di poter dedicare il giusto tempo ai propri studi. Servizio abitativo. Per molti studenti frequentare un corso universitario rappresenta anche la prima esperienza di vita fuori casa con le varie difficoltà che questo comporta, come trovare un alloggio e a prezzi contenuti. Le residenze Laziodisu provvedono a rendere più agevole questo aspetto. Damiano, studente di Fisica che viene da Grosseto e che per il secondo anno abita nella residenza Laziodisu presso il Ceis di Via Ambrosini, ci conferma di come la possibilità di fruire di un alloggio a un prezzo calmierato sia un importante vantaggio economico, determinante per il regolare svolgimento dei suoi studi. Auspicherebbe soltanto una struttura con maggiore spazio per le zone comuni come cucine, sale tv, sale p.c.


Non tutti sanno che… Omaggio ad Ágnes Heller per i suoi 80 anni. Ebraismo, etica, politica Il 21 e 22 aprile presso la Sala Igea di Palazzo Mattei, Piazza dell’Enciclopedia italiana 4, si svolgerà un’iniziativa dedicata ad Ágnes Heller in occasione dei suoi 80 anni. 21 aprile, 15.30 Ágnes Heller, Lectio Magistralis, Presiede: Francesca Brezzi 22 aprile, 9.00 L’ebraismo nell’Europa del ‘900: il caso Ungheria Presiede: Irene Kajon Interventi di Paola Ricci e Giorgio Ridolfi Dibattito e comunicazioni 22 aprile,15.30 Etica e politica nel pensiero di Ágnes Heller Presiede: Laura Boella Interventi di Giacomo Marramao, Marco Geuna, Giovanna Costanzo

Innovazione per la sostenibilità delle imprese: da Silicon Valley all'Italia, esperienze a confronto Il 22 aprile 2009, in occasione della giornata mondiale della Terra, si terrà a Roma, presso l’Università Roma Tre, aula magna della Facoltà di Economia, una tavola rotonda sul tema della sostenibilità ambientale con la partecipazione di docenti, manager di aziende italiane e straniere, studenti e giornalisti. In questa occasione la b&p communication presenterà il suo ultimo volume, Green Brand 2009, in uscita il 24 aprile in allegato gratuito con Panorama ed Economy. L’obiettivo del convegno è quello di analizzare come la sostenibilità, l’innovazione e il management possano coesistere nello sviluppo dei business-plan aziendali, come il green marketing possa influire sui cicli produttivi e nelle esternalità positive, come i brand leggano la reazione del consumatore e infine come il mondo web influisca nei processi “green”. Interverranno fra gli altri: il Rettore Guido Fabiani, il preside Carlo Maria Travaglini, Maria Claudia Lucchetti, Giovanni Scarano, Carlo Alberto Pratesi, Maurizio Tortorella, condirettore di Economy, Andrea Seminara, direttore marketing di AzzeroCo2, Paolo Marenco direttore di Aizoon. Tutto il convegno, grazie all’intervento di AzzeroCo2, sarà ad impatto zero. Per informazioni sul convegno o accrediti, si prega di contattare il seguente indirizzo mail: ecomerce@uniroma3.it.

Roma città astronomica. 2009 Anno internazionale dell’astronomia L’Unione astronomica italiana (IAU) ha dichiarato il 2009 Anno internazionale dell’astronomia (International Year of Astronomy – IYA2009) con il motto “L’Universo, a te scoprirlo”.

L’IYA2009 cade nel quattrocentesimo anniversario della prima osservazione al telescopio effettuata da Galileo Galilei. Sarà una celebrazione globale dell’astronomia e dei suoi contributi alla società e alla cultura, con una forte enfasi sull’educazione, la partecipazione del pubblico e il coinvolgimento dei giovani, attraverso eventi che si svolgeranno su scala locale, nazionale e internazionale, lungo tutto l’arco dell’anno 2009. L’evento è patrocinato dall’UNESCO e dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. L’Università Roma Tre e la sezione Roma Tre dell’Istituto nazionale di fisica nucleare sono fra gli enti organizzatori. L’interesse del pubblico e dei media per l’astronomia non è mai stato così alto come oggi. La celebrazione dell’Anno internazionale dell’astronomia viene incontro a questa forte richiesta di informazione e coinvolgimento da parte dei cittadini. Per informazioni aggiornate su eventi appuntamenti in programma a Roma e nel Lazio: www.astronomy2009.roma.it, info@astronomy2009.roma.it.

AIDS: conoscere e prevenire L’Università Roma Tre e la ASL RM/C, fin dal 1995, hanno sottoscritto un protocollo d’intesa, riconfermato nel 1998, concordando sul comune impegno di organizzare e realizzare campagne annuali di prevenzione dell’infezione da HIV e dell’AIDS a favore degli studenti. L’Ateneo e l’Unità operativa di II livello AIDS Distretto 11 hanno organizzato annualmente: - check-point preventivi nelle diverse sedi universitarie; - conferenze in aula, con la presenza del docente, quale indispensabile rinforzo alla partecipazione e alla riflessione; - depliants informativi sull’infezione da HIV e sulla modalità di accesso alla struttura sanitaria specialistica della ASL RM/C; - convegni, dibattiti, articoli e pubblicazioni. Le campagne di prevenzione, attraverso il supporto della Divisione politiche per gli studenti, vogliono promuovere il coinvolgimento di tutti gli studenti: la prevenzione intende coniugare, nell’ambito di un percorso formativo più generale conoscenza, consapevolezza e tutela della salute propria e degli altri. È fondamentale suscitare bisogno di conoscenza rispetto a questa infezione, purtroppo scemato negli anni a causa della carenza di campagne di informazione collettive e dell’illusoria interpretazione dell’efficacia dei farmaci. In tema di AIDS sono molto forti alcuni stereotipi culturali: l’infezione si cura e, quindi, si guarisce, perché l’Italia è un paese ricco e può comprare farmaci; l’infezione riguarda prevalentemente stranieri, emarginati, persone moralmente discutibili. Affermazioni assolutamente non vere. Il prossimo appuntamento è previsto per: lunedì 27 aprile, Facoltà di Lettere e Filosofia - DAMS Via Ostiense 133/b ore 9.00 in aula B3 e ore 10.00 in aula B1 Per informazioni: Ufficio Studenti - Divisione politiche per gli studenti tel. 06.57332657/2129 - e-mail: studenti@uniroma3.it.

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Finanziato dalla Commissione Europea un progetto del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Industriale Presso la Facoltà di Ingegneria di questo Ateneo, il gruppo di ricerca coordinato dal prof. Giovanni Cerri del Dipartimento di Ingegneria meccanica e industriale ha partecipato al progetto: Low Emission Gas Turbine Technology for Hydrogen-rich Syngas (H2-IGCC), che si è classificato quarto e che da parte della Commissione Europea è stato raccomandato per il finanziamento completo. Nel progetto, che riguarda la produzione di elettricità con

turbine a gas, sono introdotti concetti innovativi per avere ridotte emissioni verso l’ambiente bruciando un combustibile ricco di idrogeno proveniente dalla gassificazione del carbone. Il progetto che ha come coordinatore amministrativo ETN (European Turbine Network), vede la partecipazione di 23 unità operative tra le quali di grande rilievo industriale sono: Ansaldo, Enel, Rolls-Royce, Siemens, DLR... Prevede un budget di 17M di euro con richiesta di finanziamento di 11M di euro di cui 505.200 euro per l’unità operativa di Roma Tre.


Università ed emergenza formazione Quale futuro tra sfide internazionali e “mannaie” locali

Per chi è interessato a comprendere le linee di sviluppo del percorso futuro dell’università in un’ottica internazionale e con uno sguardo al mondo della formazione Giuditta Alessandrini occorre ricordare due eventi recenti che hanno segnato nell’anno in corso un allargamento di scenario di notevole rilevanza: l’elaborazione della Carta Europea per il life long learning del luglio 2008 a cura dell’EUA (European University Association) e il primo Forum Mondiale dell’educazione e della formazione durante tutto l’arco della vita tenutosi a Parigi con il Patrocinio dell’Unesco nell’ottobre 2008 (www.3lwordforum.org). I due eventi affidano un compito più ampio e significativo alla istituzione “università” nella direzione del ruolo che questa può avere nella società attuale per tutti i cittadini e per la crescita civile e democratica. Non si tratta più di scorgere il ruolo dell’università come agenzia specializzata per una fascia di studenti o per la ricerca ma di affidare ad essa una responsabilità per certi aspetti del tutto nuova rispetto alla sua storia. Una responsabilità chiave nel contribuire a costruire quella società della conoscenza che – già dalle dichiarazioni elaborate a Lisbona all’inizio di questo decennio – ha costituito un “cartello” per le policy dei paesi europei. Quali elementi è possibile, dunque, stressare rispetto ai due importanti eventi? La Carta che è consultabile on line sul sito dell’UE, stabilisce dieci tesi chiave su cui sviluppare le politiche di sviluppo dell’università nei paesi membri e dieci indirizzi all’attenzione dei governi per la realizzazione del potenziamento del ruolo degli atenei nel promuovere la learning society. Tra questi punti si può sottolineare ad esempio il primo: «Riconoscere il contributo dell’università al life long learning come il maggior beneficio per l’individuo e la società» e il settimo: «Assicurare autonomia e sviluppo di incentivi per le università nell’area del life long learning». Per la formazione professionale e continua è di grande rilevanza l’ottavo: «Incoraggiare partnership a livello regionale con le autorità locali, i funzionari e le agenzie territoriali». Su questo ultimo aspetto, mi preme ricordare come

sia fondamentale il ruolo delle associazioni di professionisti, come ad esempio l’AIF, per creare le condizioni possibili e auspicabili di interazione nel tessuto sociale del territorio. Il Forum dell’Unesco – al quale ho partecipato il 28 e 29 ottobre scorso – proietta le tematiche della responsabilità dell’università per una formazione durante tutto l’arco della vita in un’ottica mondiale. Si è parlato addirittura di un nuovo ordine mondiale dell’educazione en train de naitre. Negli interventi più significativi emergono alcuni focus: - le università devono dare il loro contributo per identificare i bisogni di formazione di domani in uno spazio mondiale dell’educazione e della formazione; - è necessario valorizzare il diritto alla formazione assicurando dispositivi di validazione delle competenze che consentano alle persone di inserirsi stabilmente nella società; - il cittadino diventa di fatto un apprenant tout au long de sa vie, in un sistema globale. Si tratta di mobilitare risorse per comprendere come costruire percorsi che consentano di conciliare i dispositivi nazionali e i dipositivi transnazionali (ad esempio per garantire il riconoscimento dei titoli) proseguendo il percorso del processo di Bologna. Il punto fondamentale è che sta emergendo uno spazio mondiale dell’educazione e della formazione come risultato della convergenza di tre tendenze: l’emergenza della società della conoscenza, lo sviluppo delle tecnologie di rete e la crescente interazione tra economia ed educazione-formazione. L’educazione durante tutto l’arco della vita «è fondamentale per garantire la competitività economica a livello globale», come ha per esempio sottolineato Adama Ouane, direttore dell’Unesco, ma anche per migliorare le condizioni di flessibilità in un mondo che cambia rapidamente. È stato sottolineato in modo ben chiaro da alcuni relatori che il quadro di sostegno e incentivo alle politiche del life long learning acquista la sua centralità in misura maggiore proprio in questo momento di crisi internazionale. Si è giunti a sostenere che l’investimento in formazione nella logica dell’interazione tra università e attori del territorio può costituire una risposta alla crisi dell’economia reale che sta caratterizzando gli scenari dei paesi avanzati. Ma veniamo all’attualità di casa nostra: nella situazione di crisi economico-finanziaria internazionale, nella quale dovrebbe essere considerato fondamentale per il paese investire in formazione e ricerca, l’Italia, attraverso la Legge 133/08 taglia in modo drastico le già limitate risorse operando in contrasto con l’esigenza, sottolineata da più parti come abbiamo visto, di rendere più competitivo il paese. Il sistema universitario italiano è attualmente sotto-finanziato rispetto agli analoghi sistemi concorrenti dei paesi europei. Ciò risulta in modo evidente dai dati degli osservatori internazionali, tra cui l’OCSE.

recensioni

di Giuditta Alessandrini

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È noto che i tagli sono affidati alla diminuzione in tre anni del 20% del Fondo di finanziamento ordinario e il sostanziale blocco del turn-over, generando una situazione in cui le università più esposte potranno correrere il rischio del fallimento. Il mondo universitario si chiede, dunque, come le strutture possano anche solo sopravvivere nei prossimi anni e quali possano essere i possibili scenari futuri. Ben lonta-

na appare pertanto la cornice di riferimento internazionale descritta. Non resta che augurarsi di riprendere ad assaporare il “gusto dell’utopia” che a suo tempo aveva ispirato sia il Rapporto Faure del 1972 che il Rapporto Delors (il primo documento che in modo sistematico ha lanciato nel 1996 il tema del life long learning) aspettando una nuova stagione di creatività e di respiro internazionale sull’emergenza formazione.

Mille e una vela per l’Università Gli atenei si sfidano per mare nella regata annuale promossa da Roma Tre di Maria Vittoria Marraffa

Un momento della regata nelle acque di Porto Santo Stefano

Mille e una vela per l’Università è un’iniziativa che nasce nel 2005 nell’ambito della sperimentazione didattica avviata dall’Ateneo di Roma Tre da un’idea di Maurizio Ranzi, docente di progettazione presso la Facoltà di Architettura, con l’obiettivo di progettare e costruire una barca a vela che possa concorrere insieme ad altre provenienti da università italiane e straniere, a una vera e propria regata finale tra Atenei. Il corso che parte dalla Facoltà di Architettura del nostro Ateneo, ma è aperto anche agli studenti di Ingegneria, ha come primo obiettivo quello di progettare prototipi di barche a vela da competizione di piccole dimensioni, seguendo precise caratteristiche tecniche dettate da un regolamento di classe predisposto dal corpo docente e termina con la sua costruzione presso il Laboratorio plastici di Facoltà nell’ambito del programma Una vela per Roma Tre. La partecipazione all’iniziativa, che si sviluppa nell’ambito di due semestri, è stata estesa anche ad altri Atenei, con l’intento di organizzare annualmente un incontro promosso e organizzato da Roma Tre in una località scelta su

proposta di una Commissione tecnica che coordina l’iniziativa. I progetti portati dai Gruppi di lavoro si contendono il Trofeo Roma Tre nella Regata di fine anno accademico, trofeo che viene custodito dall’Università vincitrice per essere rimesso in palio nell’incontro dell’anno successivo. Ma facciamo un passo indietro per comprendere meglio da dove nasce questa iniziativa. Alla base di tutto c’è senz’altro l’alta considerazione del ruolo delle attività sportive da parte delle università, non solo come semplice esercizio fisico ma come catalizzatore di rapporti sociali per promuovere il sentimento di solidarietà nella realtà internazionale e multietnica del mondo universitario. A questo si aggiunge l’aspetto prettamente didattico dell’iniziativa, ovvero la fase di progettazione del prototipo nel rispetto di un regolamento preliminare. Partendo dall’utilizzo delle regole matematiche e geometriche, tenendo presente i principi fisici legati alla dinamica e all’equilibrio e i fattori tecnologici, si passa alla rappresentazione della barca con metodi digitali, alla creazio-


Le acque di Santo Stefano ne del suo modello in hanno fatto da cornice anplastico fino alla costruche per il secondo inconzione fisica della barca a tro, nel settembre 2008, vela. che ha visto rivaleggiare Un regolamento di classe tra loro ben nove universipoi, stabilisce alcune retà italiane (Bologna, Migole da seguire come la lano, La Spezia, le Uniscelta del legno per reaversità di Firenze, Messilizzare lo scafo, l’uso di strumenti e attrezzature na, Padova, Palermo e Sifacilmente reperibili nei racusa) e l’Ecole National laboratori universitari ind’Architecture et de Paycentivando i processi di sage de Lille, con la conproduzione non tossici o segna del trofeo assegnato inquinanti. per la seconda volta al Il programma comprende Politecnico di Milano. la selezione degli equi- Prima della regata. Le imbarcazioni degli atenei partecipanti Nei tre giorni di regate paggi formati da studenti, altri appuntamenti hanno ragazzi e ragazze iscritti avuto luogo: la mostra presso i rispettivi atenei, che parteciperanno agli incontri concorso Progettare una barca, la tavola rotonda Gli spazi annuali previsti dal regolamento di regata. della vela nell’università e le premiazioni sui migliori elaLa prima sfida di Mille e una vela per l’università si è svolborati presentati. Gli intervenuti alla tavola rotonda hanno messo in luce gli ta nel settembre del 2007 a Porto Santo Stefano con il paaspetti organizzativi da approfondire in vista dell’appuntatrocinio del MiUR, del PoGAS, del Comune di Monte Armento del prossimo settembre, considerando anche il posgentario, della Federazione italiana della vela e dello Yacht sibile aumento di partecipanti. club Santo Stefano sotto gli occhi di due testimonial d’ecPer quanto riguarda il futuro di questa iniziativa, che si precezione: Cino Ricci e Mauro Pelaschier, rispettivamente senta come programma sperimentale da inserire negli ordiskipper e timoniere di Azzurra nella prima sfida italiana in namenti didattici, la sfida sarà quella di arrivare a una richieCoppa America. Le otto barche che hanno partecipato prosta di partecipazione sempre più vasta da parte di altri Paesi venivano dal Politecnico di Milano, vincitore del primo e di poter contare su sponsor pronti a dare visibilità a questa, trofeo Roma Tre, dallo IUAV di Venezia e dalle Università nonché alle future iniziative universitarie nel campo velico. di Bologna, di Firenze e dall’Ateneo di Roma Tre.

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È possibile vendere la propria vita? L’autore di Raccontami la notte in cui sono nato in una riflessione a partire dal suo ultimo romanzo di Paolo Di Paolo «E quando le auto venivano rimesse in ordine dovevi tener d’occhio il vero avanzo delle loro vite». La pagina più commovente di L’incanto del Lotto 49, un piccolo romanzo di Thomas Pynchon pubblicato nel 1965, è una semplice enumerazione. Una lista di oggetti abbandonati dentro automobili dismesse: Paolo Di Paolo «mozziconi, pettini sdentati, annunci cercasi-aiutante, Pagine Gialle strappate da un elenco telefonico, cenci di vecchia biancheria intima o di vestiti che erano già costumi d’epoca, per sfregare il tuo stesso fiato dall’interno di un parabrezza e vedere quel che c’era da vedere, un film, una donna o un’automobile che ti piaceva tanto, un poliziotto che ti fermava solo per routine». Quando penso alle tracce fisiche che lascia un’esistenza umana, sempre ricordo questa pagina di Pynchon sul «vero avanzo» delle nostre vite. C’è qualcosa di misterioso e malinconico; il dolore sottile che conosceva Virgilio («sunt lacrimae rerum», le lacrime delle cose), che si avverte nei quadri di Giorgio Morandi e perfino in alcune puntate dei Simpson. Quanto e che cosa raccontano di noi gli oggetti, se privati della nostra presenza accanto? Un uomo tradito che mette in vendita su Internet ciò che gli è rimasto della sua ex ragazza, si sta davvero vendicando? Se acquisto su eBay il fumetto Paperone Natale («integro e molto compatto, senza piega di lettura») da un anonimo siracusano, saprò anche qualcosa di lui? E se volessi comprare, sempre su eBay, la copia («in ottime condizioni») di un libro da me scritto, ho il permesso di chiedere al venditore le ragioni per cui se n’è liberato? Insomma, che rapporto ci lega a ciò che di noi rendiamo disponibile (quindi visibile, udibile, acquistabile)? È una domanda generica: potrebbe valere per un’e-mail appena inviata, un messaggio registrato nella segreteria telefonica di qualcuno, un regalo di compleanno, un pegno d’amore; la foto scelta per rappresentarci su Facebook; e così qualunque racconto, in forma scritta o a voce alta, che del nostro vissuto affidiamo agli altri. Ma c’è una notizia, circolata sui giornali a inizio 2007, che estremizza la questione. Un ventiquattrenne australiano, Nicael Holt, annuncia di voler mettere all’asta la propria stessa esistenza. Al migliore offerente – si legge nell’annuncio – sarà consentito, in sostanza, di sostituirsi a Nicael, dopo quattro settimane di propedeutica alla vita in questione (la presentazione ad

amici e amanti potenziali, lezioni di surf ecc.). Qualche mese dopo, un emulo di Holt, con vita matrimoniale a rotoli, ha offerto casa, cane, automobile e lavoro redditizio in cambio di qualche migliaio di dollari. È davvero possibile – mi sono chiesto – vendere la propria vita? E soprattutto, cos’è che precisamente si vende? Solo beni materiali? Nicael per esempio inseriva nel lotto della propria vita anche una serie di fotografie, con l’intento di fornire all’acquirente le coordinate essenziali del proprio passato. Dalla commedia greca e latina a Pirandello, da Il principe e il povero a Una poltrona per due, da Cenerentola alle gemelle Olsen, lo scambio d’identità è un’ipotesi che sempre affascina. Ma qui si tratta di voler dare un prezzo all’esistenza, di quantificarne il valore. È davvero possibile? Ho cercato di dare una risposta in forma di romanzo: Raccontami la notte in cui sono nato. Fin dal titolo, si intuisce quale sia l’approdo. Il mio personaggio Lucien, insoddisfatto di sé, consegna a Filippo lavoro, amici, luoghi e prende un’altra strada. Si accorgerà infine dell’impossibilità di slegarsi da sé stesso, dalla propria identità, che è fatta di memoria. «… su eBay si vendono gli articoli più irragionevoli. Cadaveri di alieni. Sacchetti per la spazzatura con la spazzatura dentro. Nani da giardino forniti di lampade solari. Tapis roulant per cani. Racchette fulmina-moscerini. Perizomi da donna e da uomo commestibili, gusti a scelta. Insultatori automatici e Smazza-preghiere. La classica proprietà della Fontana di Trevi. Aerofagia sottovuoto. Porta-carta igienica con I-pod incorporato, per ammazzare il tempo. Ma anche libri introvabili e manuali scolastici, jeans usati, dvd con tutte le puntate della Signora in giallo e di Lost. Anche lacrime», scrivo nelle prime pagine del romanzo. «E allora perché non sentimenti?» Tre milioni e mezzo di italiani, dicono le statistiche, si cercano e si scelgono in Rete, per curiosità o trasgressione. Chi aspira al successo nella moda o in televisione si affida ad autoscatti e video più o meno improvvisati. Poi cos’altro? Il sesso, naturalmente. Da guardare, da fare. E YouTube, che cattura istanti di vita quotidiana, veri o recitati non importa. Le tracce, ancora una volta. Spariscono in fretta, sulla Rete? Tutt’altro. Degli sms adulterini rimangono segni ben oltre la cartella “Ricevuti” del nostro cellulare. Così l’hi-tech si mescola ai sentimenti. E molta vita resta incollata a una memoria digitale che – a differenza della nostra – è già in partenza pubblica. Dall’homepage di Facebook vieni messo al corrente dei cambiamenti di stato sentimentale («da “single” è passato a “è complicato”»), visualizzi fotografie di feste di laurea a cui non sei stato invitato e istantanee riemerse dagli anni di scuola. La vita – la tua, quella altrui – sembra tutta lì, riassunta nel chiacchiericcio delle bacheche, nei tags, nelle risposte all’impegnativa domanda «Che fai in questo momento?». Una vita


sempre presente a sé stessa, trasformata in racconto – scritto o visivo – più o meno nell’istante stesso in cui accade. Quindi – come «il vero avanzo» di cui parla Pynchon – pronta a essere raccolta, esposta – e venduta, volendo. Manca qualcosa, però. Posso farlo dire da un grande scrittore? «Si tende a privilegiare ciò che sta fuori,

ciò che si vede, facendone una cronaca (…). Forse perché l’esteriorità ha leggi talmente forti e prepotenti che è difficile opporle resistenza». E allora tutti i «labirinti, le zone dolenti, le contorsioni» dell’interiorità? – si chiede Raffaele La Capria. Lui è nato nel 1922, e forse non gli hanno ancora spiegato cos’è Facebook.

Lucien ha ventiquattro anni, un’adolescenza persa a inseguire parole, un lavoro da cronista in un giornale di provincia, qualche riserva di sogni da tenere in caldo per il futuro. Ha ammonticchiato tutta una serie di consuetudini rassicuranti, tracciato mappe per girovagare in un perimetro che si fa man mano più stretto, usurato. E proprio mentre il suo mondo gli si chiude addosso, decide di liberarsene. Vendere la propria vita. Affidarla a qualcuno per vedere come va, se davvero qualcosa non funzionava o semplicemente non se ne possedevano le istruzioni per l’uso. Ma davvero cedere la propria casa, radunare fotografie e ricordi, segnalare amici e nemici – compresa la Signorina F., che ancora gli ronza in testa – equivale a congedarsi dalla propria esistenza? Filippo, stessa età, molte cose in comune, perfino qualche desiderio, dopo aver accettato l’accordo prende a inciampare giorno dopo giorno nella vita di Lucien, fino a farla propria. E il vecchio proprietario, da lontano, si accorge di non avere dato il prezzo a troppe cose. A certe mattine di domenica o a quella precisa neve arrivata all’improvviso. A quella storia d’amore, che poteva essere e non è stata, a quella particolare rinuncia. A quella donna che lo ha messo in viaggio nel mondo, alla quale non ha mai potuto chiedere che notte fosse la notte in cui è nato. Soffia tra le pagine un vento singolare e inquieto. Tra voci di fantasmi e luci cittadine – Roma, Parigi, New York – Lucien e Filippo vengono travolti, sorpresi e feriti da un incastro di vicende inattese. Un romanzo sul prezzo di ogni esistenza, sulla forza oscura delle radici, sul profondo patto che ci lega a noi stessi. Perché possiamo immaginare tante vite, ma non rinunciare alla nostra. (dalla quarta di copertina)

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«Le vite degli altri» Una riflessione sulle tecnologie che ci spiano visto da Daphne Letizia

Ambientato a Berlino nel 1984, Le vite degli altri di Florian Henckel von Donnersmarck (2006), racconta della metamorfosi di pensiero e di sentimento di un agente della Stasi (abbreviazione di Ministerium für Staatssicherheit – Ministero per la sicurezza dello stato), l’organo di spionaggio della DDR (Repubblica democratica tedesca). Nel film, uno dei migliori agenti della Stasi – perfezionista, inflessibile, arido e privo di emozioni nell’esecuzione del proprio lavoro, il cui unico sentimento e pensiero è la devozione alla causa comunista – viene incaricato di spiare un famoso scrittore di teatro per verificarne la fedeltà al regime e, forse, sbarazzarsi di lui. L’agente, impersonato da Ulrich Mühe (morto per cancro poco dopo l’uscita nelle sale del film) inizia a spiare la vita dello scrittore, la sua arte e le sue passioni, che, rese ancor più vivide dal contrasto con lo squallore della propria vita solitaria, votata all’asservimento al regime dittatoriale e ossessivo della DDR, lo riportano di nuovo in contatto con le proprie imperfezioni e i propri sentimenti e lo trasformano a poco a poco in un uomo capace di sacrificarsi per salvare la vita dello scrittore da quell’organizzazione di cui faceva parte. Per questo, quando compra il romanzo a lui dedicato dallo scrittore (che ha saputo di essere stato salvato dall’agente), intitolato Die Sonate vom guten Menschen (Sonata per uomini buoni), e la commessa gli chiede se sia un regalo, egli può dire, con fierezza, «No, è per me» (tradotto in italiano, inappropriatamente, «No, lo prendo per me»). La vita dell’altro, della sua compagna, dei suoi amici, è in grado di rendere all’agente la propria vita e il suo sacrificio gli rende il regalo più grande, essere felice di se stesso, comprendere il senso (o un senso) della propria vita.

Non a caso è stata scelta la data del 1984 che rimanda al celebre romanzo di George Orwell, di cui il film, forse, vuole costituire il riscatto. A differenza del romanzo di Orwell infatti – che narra di un regime del futuro, quello del “Grande Fratello”, che controlla i pensieri e i sentimenti dei cittadini, spiandoli costantemente e dirigendo le loro vite mediante programmi di educazione, che opprime e sopprime ogni forma di libertà di dissentire o semplicemente pensare con la propria testa – questo film dà speranza. In 1984, infatti, viene riconosciuta la supremazia sul singolo del Grande Fratello: lo Stato, dotato di potenti mezzi tecnologici per osservare, ascoltare e controllare i suoi cittadini e conoscerne in ogni momento sentimenti e pensieri, è in grado di fare loro il lavaggio del cervello, in modo che quelli liberamente pensanti, dissenzienti dal regime, vengono catturati e sottoposti alla “cura” del Grande Fratello e, alla fine, non possono fare altro che essergli riconoscenti per averli “curati” e commuoversi per l’amore che il Grande Fratello nutre per loro. Nel film, invece, non è la tecnologia di controllo dello Stato, e i suoi mezzi di indottrinamento, a prevalere, ma l’umanità che sprigiona dalla vita (verrebbe da dire “vera”) degli altri, dall’arte, dai sentimenti e dal pensiero. La tecnologia, in questo caso, ha dato all’agente della Stasi l’opportunità di vedere il diverso, di essere toccato da sentimenti e pensieri prima sconosciuti, di sentire il sentire degli altri e provare emozioni di riflesso, così da poter consapevolmente scegliere se essere un uomo buono. Non è la tecnologia in sé ad essere un pericolo, ma chi la utilizza e come la utilizza. Come mostrava la pubblicità di un televisore: come sarebbe stato il mondo se Ghandi avesse parlato alle televisioni di tutti i Paesi?

1984. Il mondo è diviso in tre immensi superstati in perenne guerra fra loro: Oceania, Eurasia ed Estasia. In Oceania, la cui capitale è Londra, la società è governata secondo i principi del Socing, il Socialismo Inglese, dal Grande Fratello, che tutto vede e tutto sa. I suoi occhi sono le telecamere che spiano di continuo nelle case, il suo braccio la psicopolizia che interviene al minimo sospetto. Tutto è permesso, non c’è legge scritta. Niente, apparentemente, è proibito. Tranne pensare, se non secondo i dettami del Socing. Tranne amare, se non con il fine esclusivo di riprodursi. Tranne divertirsi, se non con i programmi televisivi di propaganda. Tranne vivere, se non secondo gli usi e costumi imposti dall’infallibile e onnisciente Grande Fratello, che nessuno ha mai visto di persona. Ovunque grandi manifesti che lo ritraggono, con i suoi grossi baffi neri, ovunque slogan politici da lui ideati: «La guerra è pace»; «La libertà è schiavitù»; «L’ignoranza è forza». Dal loro rifugio, in un scenario desolante da Medioevo postnucleare, il protagonista Winston Smith, “l’ultimo uomo in Europa” (questo il titolo che avrebbe preferito l’autore) e Julia, la sua compagna, lottano disperatamente per conservare un granello di umanità. (dalla quarta di copertina).

Una delle copertine storiche di 1984 progettata da Germano Facetti per la Penguin Books




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