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238 siffatti novenarì: « Dans l'Été vert comme une impasse, | dans l'Été vert de si beau vert, | quelle aube tierce, ivre créance, ouvre son alle de locuste?» (Exil); «Ici la grève et la suture. | Et au-delà le reniement... | La Mer en Ouest, et Mer encore, | à tous nos spectres familière» (Vents, paragrafo autonomo). Con non minore sicurezza, anche se a più parca frequenza, si possono isolare dei décasyllabes o endecasillabi ugualmente di razza «giambica». Così i due che tengon dietro ai quattro octosyllabes, nell'esempio di Exil: «Bientôt les hautes brises de Septembre | tiendront conseil aux portes de la Ville»; seguono ancora un octosyllabe e un décasyllabe, «sur les savanes d'aviation, | et dans un grand avènement d'eaux libres». Il décasyllabe si trova in una stessa pagina associato all'octosyllabe come l'alessandrino (da Amers: «Et la fraîcheur du linge est sur les tables, | l'argenterie du dernier soir | tirée des coffres de voyage...», «Et dans les temples sans offices | où le soleil des morts range ses fagots d'or»). Se i risultati della scansione trovassero una sistematica rappresentazione tipografica, questa si apparenterebbe, salvo la polimetria, alla Laus Vitae dannunziana meglio che a ogni altro termine di confronto. La Laus Vitae si strutturava attorno a un novenario di base, e una quota di variabilità ineriva al suo stesso assunto. La poesia di Perse ammetterà certo ipotesi di misure crescenti o anche calanti (un paio ne sono state messe in opera qui sopra), ma sarebbe urgente procedere in prima istanza, se si volesse addivenire a un tentativo di scansione concreta, a un passaggio per le maglie della massima regolarità; non si può probabilmente prescindere dalla presenza di tessuto connettivo ritmicamente neutro, ne d'altra parte dalla plurivocità d'interpretazione metrica di certe consecuzioni (ad esempio di tre emistichi di alessandrino): se questa «prosa» risultasse semplicemente da un artificio Di somma senza accapi, perderebbe la dignità della sua necessità. Fin d'ora appare evidente che la posizione di monopolio, o anche di semplice predominio, della funzione alessandrina è fortemente scossa. La tesi dell'alessandrino di base è affermata da una parte della critica. «C'est», precisava Larbaud nel suo studio del 1911, «l'alexandrin de Malherbe et de Racine, restauré par Baudelaire (et assoupli - désarticulé, plutót - par Verlaine et Coppée), qui en est la base». L'impressione era comprensibile a livello di Eloges, ma reiterarla per Anabase (prosodia «basée sur l'Alexandrin», nella «Nouvelle Revue Française» di gennaio 1926; non so se da lui o per spontanea convergenza Ungaretti) è senza dubbio semplicistico. L'inizio di Anabase, si è visto, parla per l'alessandrino, ma parla non meno energicamente per l‘octosyllabe. Per accorgersene ci volevano un filologo come Albert Henry (1963) e, press'a poco nello stesso tempo, un quasi-filologo come Jean Paulhan. Henry, «la nette prépondérance des groupes syllabiques "pairs": six, huit, dix ou douze "pieds", et jusqu'à seize et plus; "vers" blancs, ou bien [...] groupes assonancés ou allitérés» [l'osservazione sull'assonanza compie quella già di Larbaud sulla frequenza di rime]; ma Henry sùbito aggiunge l‘importanza dei «volumes impairs», e più radicalmente sottomette le misure e la periodicità accentuativa alla«maîtrise des groupes de souffle», in cui si giustificano tutte le «irregolarità» («les rapports entre ces masses [sonores] pouvant s'exprimer en un nombre simple, le nombre deux, le plus souvent; et qu'à partir d'un certain volume, il y ait, par exemple, dix ou onze "pieds" importe peu: d'autant que les syllabes qui supportent les accents de groupe sont, presque toujours, charnues et dilatables»). Paulhan, «dans son verset nombreux et plein, l'alexandrin, l'octosyllabe, le décasyllabe, et l'hexasyllabe font retentir leurs cadences, et s'enchantent de leurs confluents». Ma certo solo in un tecnico del livello di Albert Henry si trova una giustificazione generale, e che se pur tacitamente non può essere se non a posteriori, fondata sull'obbedienza alla «poussée lyrique du moment»: ragionamento che, se il critico fosse italiano, si direbbe gentiliano, quale è in particolare l'analisi dell'endecasillabo dantesco tentata da Mario Casella. Si può sospendere, ma con pregiudizio favorevole e perché si tratta di ritmi entro il non-ritmo e per l'autorevolezza del proponente, l'assenso fino a una concreta esecuzione di scansione. Nello stesso senso vanno le testimonianze procedenti dall'autore stesso, qualche volta perfino dalla più tarda opera poetica (nel Chœur di Amers si susseguono «mètre», «strophe», «Ode», «trame prosodique», «récitatif», poi «épode» opposto a «strophe» e perfino «robe prosodique»), più spesso da lettere accolte nel prezioso, ancorché sovrabbondante, scrigno delle


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