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188 Almeno è chiaro che non parlo di un programma, ma di una immaginazione. Non si fanno programmi per l‘improvviso. Ritengo non abbia senso pensare alla prosa come evoluzione della poesia, né facendo valere le dominanti poetiche (intendo ritmiche e anagrammatiche, più conniventi con se stesse che con il lettore dei fatti), né facendo valere uscite di disimpegno che, tuttavia, tempi e mercato inducono a considerare come principio di realtà. Può la poesia volere la propria catastrofe? Non mi riferisco alla catastrofe primaria, quella connessa alla propria illegalità, ma alla catastrofe successiva, determinata dal riconoscimento di una funzione, alla quale funzione viene chiesto seguito. C‘è da immaginare e sperare che tutto avverrà altrove, non per via diretta e rovesciata, la poesia contro qualcosa. Non si potrà nemmeno dire, tuttavia, la poesia al posto di qualcosa. Rovesciare il rovesciato non è detto che metta le cose dritte e c‘è il sospetto che, nel gran finale, il corpo, là dove si trova, sia ancora il testimone non tanto in grado di discutere con il codice, ma di fondare la propria assenza. Quel ―perché?‖ della donna nera di Rosarno e il ―why?‖ di Grock non danno pace né possono essere sciolti rispondendo. Sembra non venga da Karl Marx, ma si trova nei Grundrisse (I,291): ―Il lavoro è produttivo solo in quanto produce il suo contrario‖, intendendo per ―contrario‖ il capitale. Difficile cavarsela. A questo punto viene in soccorso il coltello di Chuang-tzu (cito da Baudrillard), che non taglia il pieno ma attraversa i vuoti, esso medesimo senza spessore. È un cuoco che parla e descrive la propria arte nel tagliare la carne : ―Quando iniziai…vedevo soltanto il bue. Ora mi affido allo spirito… nelle giunture vi sono dei vuoti…nei vuoti c‘è spazio più che sufficiente per il coltello.‖ In questo modo Chuang-tzu non deve cambiare coltello ogni mese, come fa il cuoco mediocre, in quanto il suo coltello non tocca ostacoli, né li distrugge, distruggendo la forma stessa delle cose. A continuare il paragone non saprei se la lingua è il coltello perché non so cosa rappresenti il bue, se il mondo o la lingua stessa. Di sicuro rimane questa miracolosa inviolabilità di ogni cosa. È lo stesso che dire ingenuità o lo stesso che dire smemoratezza in difesa della memoria, invece che repertorio e catalogo. Di fatto il catalogo bussa a ogni porta, non per visita d‘amore ma per compilare il suo foglio di magazzino. Il tutto pieno che è riuscito a produrre è lo stesso che il tutto vuoto. In questa completa reversibilità, la quale non toglie in alcun caso le posizioni assegnate, veramente si sente il gemito dei sottostanti, qualcosa che non avrà più bisogno di essere parte, in quanto ha già deciso per un altro luogo. Non mi rimane che il mio agire dissonante. La musica era stanca dei suoi tromboni che scuotono il cuore e ingannano il tempo? T.W. Adorno dice che la disperazione esigeva non di essere detta ma di dire attraverso il proprio suono. Si usava, tra galantuomini, essere uomini di parola. È questo che le parole hanno reso così difficile.


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