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148 in un surplus allegorico dell‘emozione lirica, in grado di accogliere, così atteggiato, gli stimoli provenienti dalla quotidianità.‖… Ma eccole, alcune raccattate, convocate briciole di queste esistenze – scrisse Rosita Copioli nel 1990, prefando le mie Ragazze italiane – ―che qualcuno ha dimenticato e che lui non permetterà si perda.‖ Un paio di brevi esempi a caso. Una scheggia lirica come Il sorriso perduto: Siccome anche tua Madre ha i tuoi occhi, io li guardavo come se un po‘ tu mi guardassi. C‘era malinconia e luce, c‘era l‘ombra dopo il sorriso. Forse il Suo sorriso sei tu: Lei lo ha donato a te che lo porti per strada.

Ma anche un altro squarcio sublime e banale d‘esistenza come Le briciole, amabile residuo di ogni nostra dolce e invaghita nuga quotidiana: Al bar ti piace la pasta alla crema, ridi, mi ringrazi, sorridi troppo, masticando te ne scordi, ti vedo le briciole tra i denti – te ne accorgi, chiudi subito le labbra e arrossisci. Il tuo pudore mi fa ridere, ed ora sono io che ti mostro gengive di briciole colorate, a decorarmi gli incisivi. La figuraccia per fortuna è reciproca!: uno pari, palla al centro. …

E vennero finalmente gli anni, il tempo ormai maturo per i racconti in versi… Al punto che ce ne sentimmo addirittura invasi, circondati, perfino sommersi… Glissiamo sui nomi – ma non ci fu moderno, anzi postmoderno lirico di ruolo che non giocò il suo jolly. Naturalmente la posta esigeva, meritava un rischio molto più sincero (e comunque articolato). Ci volle il gran lavoro romanzesco e lirico assieme del grande Attilio Bertolucci con La camera da letto, per ribaltare un po‘ le quotazioni, e comunque concimare quell‘inaridita, isterilita gran pianura secondonovecentesca che divinava spunti novissimi, soffriva talentuose Autobiologie e scombiccherate, baluginanti Vite in Versi, profetava Stelle del Libero Arbitrio e Geometrie del Disordine, Paesaggi col serpente e Laborinti, ma in realtà allungava (al massimo insaporiva) il brodo dei decenni precedenti – di cui già i massimi rappresentanti avevano auscultato, registrato e diagnosticato la sfinitezza… Perché, altrimenti, la via di fuga della prosa lirica nelle gran carriere di Montale e Sinisgalli, dello stesso Gatto, e poi Vigolo, Leonetti e Roversi, Risi ed Erba, Giudici e Raboni?… XI IL BAMBINO CHE VA A SCUOLA, A SEI ANNI Il bambino che va a scuola, a sei anni muta profondamente la sua vita, si ferisce di continuo e guarisce da solo, i ginocchi e i polsi, prima intatti, fioriscono di croste che l‘aria dei mattini d‘inverno lustra come rubini o come quelle bacche per cui la siepe è ancora viva casa e dispensa al passero e ai suoi figli. Se l‘anima gli si lacera, si cura nascondendosi agli altri e più a chi


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