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124 Ancora Calvino, e un salto di anni. Nella quarta di copertina al primo libro di Francesco Biamonti, L‟angelo di Avrigue, Calvino scriveva: ―è una voce grave e pausata, con una naturale propensione per i toni lirici e sospesi‖. Lirici è qui una parola chiave di capitale importanza, poiché serve a classificare il romanzo di Biamonti come un prodotto postremo di quel filone del romanzo dell‘―Uomo ermetico‖ su cui Calvino all‘inizio degli anni sessanta tanto aveva detto. Recensendo Memoriale di Volponi, aveva scritto: ―Il fare la prosa con i modi della lirica, risolvendo il racconto nell‘espressione atmosferica e paesistica degli stati d‘animo, era un pericolo che la narrativa italiana ha evitato di stretta misura al momento di uscire dall‘ermetismo, e non è giusto che ci torni‖(7). Vent‘anni di tempo avevano insomma capovolto le cose; ma non più di tanto: anche a Volponi era consentito di impiegare una forte ―tensione lirico-trasfigurativa‖, poiché questa era ―la più adatta a esprimere la contraddittoria realtà attuale: tra tecniche industriali avanzate e situazione socialantropologica arretrata‖(8). Al lirismo viene concessa una patente di cittadinanza nel romanzo, purché svolga un ruolo pienamente funzionale e non unicamente esornativo. Non c‘è forse scrittore più fedele di Calvino ai modi della prosa, più pronto ad abbracciare la forma-prosa come un‘ideologia (tutta carica del pathos della distanza, ma anche di quello della chiarezza, della lucidità, della coerenza); eppure ciclicamente è costretto a fare i conti con gli aspetti soprattutto italiani di un romanzo il cui codice espressivo mutua dalla lirica stilemi e tonalità emotive e patemiche. Che questo raffronto sia particolarmente problematico per Calvino si può capire se si pensa che in fondo la scrittura con cui si confronta Calvino quando si riporta a questo tipo di esperienze narrative è quello di Pavese. Con uno sforzo chissà quanto doloroso di lucida severità, Calvino si era spinto a scrivere: ―Avete visto che ho lasciato fuori l‘ultimo romanzo breve scritto da Pavese, La luna e i falò, perché oggi ho qualche dubbio che la condensazione di lirismo, verità oggettiva e groppo di significati culturali si sia attuata appieno‖(9). C‘è dietro questo giudizio l‘evidente impressione che il lirismo possa costituire una sorta di scorciatoia verso il decadentismo, malattia ideologica del novecento; e questa arrière-pensée agirà sempre dietro alla coscienza letteraria di Calvino. Pavese, Pasolini, Volponi, Biamonti: che cos‘hanno in comune i loro romanzi? Si direbbe, per tutti, anzitutto, assieme all‘importanza del lirismo, la centralità della stasi descrittiva: deputata ad accogliere appunto tutto ciò che contribuisce a creare quella sorta di impalpabile e non positivamente definibile atmosfera lirica. Non si dimentichi che, a parte l‘ultimo, si tratta di autori che hanno tutti praticato una diglossia di romanzo e poesia. Tra romanzo e poesia si possono vedere perfettamente due elementi: l‘esigenza di un inapparente ma pure effettivo ibridismo tra le forme; l‘idea di una testualità dalla dimensione precipuamente testimoniale (ma l‘urgenza testimoniale è l‘urgenza di testimoniare – cioè far emergere -, in modi differenti, il Sé)(10). La descrizione accoglie una prima problematizzazione dell‘idea di punto di vista: perché riporta a un imperfetto e a una scalarità cronologica una visione che ha invece le modalità presentative (ordine, precisione allucinatoria, lentezza) della presa diretta. In una conversazione con Paolo Volponi dal titolo di Il leone e la volpe, Leonetti affermava la necessità di entrambi gli autori di dinamizzare i generi letterari attraverso il loro dialogo, la contiguità di verso e prosa, l‘assenza di gerarchia tra le due modalità di scrittura: ―LEONETTI A partire dal ‘50, quando cioè l'officina dei versi si allarga e si complica con l'irruzione dei lavori narrativi, la presenza contigua di prosa e poesia è una costante, presso di te, e anche presso di me. Ed è un punto forte, e non studiato ancora, della ricerca nel Novecento‖. A radice di una simile disposizione di scrittura c‘è probabilmente l‘attitudine, da Leonetti perentoriamente attestata, di scrittori ―neovociani‖(11). Da Tozzi (più perspicuo rispetto ai pur vicini Vociani), approdando a Pavese, passando per i Ragazzi di vita di Pasolini, attraversando scrittori sperimentali come Volponi per pervenire infine a un ultimo episodio, certamente fuori tempo: quello di Biamonti. L‘ossessione di Calvino per il romanzo lirico: un romanzo che testimonia la vocazione italiana a fare sì che i modi del poetico entrino a far parte delle modalità espressive del romanzo ―come un plasma vitale e nascosto‖.


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