Ulisse n.15

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241 già sřannunciasse il temporale, destinato a disperdere gli oranti e a fulminare uno dei quattro, intenti a portare il baldacchino. (58) Riti ancestrali e tradizione ermetica sono qui chiaramente evocati, inducendo anche ad una lettura di Secondo natura come un poema elementale. Oltre a ad essere elementare e relativo ai quattro elementi, la cui azione costituisce il basso continuo della storia naturale della distruzione, si potrebbe, infatti, leggere questřopera come un poema riconducibile alla cultura ermetica, alchemica e misteriosofica di Paracelso e dei suoi successori, che scorge nel creato la presenza delle leggendarie creature Ŗelementaliŗ costituite da uno dei quattro elementi: aria (silfidi), acqua (nereidi, ondine e ninfe), fuoco (salamandre) o terra (elfi, gnomi e driadi). In questa prospettiva elementare ed elemantale trova una spiegazione anche il misterioso ŖTàtaro lillipuzianoŗ che nella terza parte di Secondo natura puntualmente si manifesta in occasione di una catastrofe: In antropologia, questa figura, spesso associata a certe forme di automutilazione, coincide con quella dellřadepto, che scala il monte innevato e lassù resta a lungo, si dice, fra le lacrime. (59) Questo personaggio riemerge dallřinfanzia bavarese di Sebald e ricorda il Ŗmanichino vestito da turcoŗ guidato da quel Ŗnano gobboŗ che, nella prima Tesi sul concetto di storia di Walter Benjamin, si configura come prefigurazione della rammemorazione, oltre a rappresentare la verità delle cose che sfugge a un approccio completamente razionale alla natura: È noto che sarebbe esistito un automa costruito in modo tale da reagire ad ogni mossa di un giocatore di scacchi con una contromossa che gli assicurava al vittoria. Un manichino vestito da turco, con un narghilè in bocca, sedeva davanti alla scacchiera, posta su un ampio tavolo. Con un sistema di specchi veniva data lřillusione che vi si potesse guardare attraverso da ogni lato. In verità cřera seduto dentro un nano gobbo , maestro nel gioco degli scacchi, che guidava per mezzo di fili la mano del manichino. (60)

ŖEmblema di una catastrofe silenziosa che si compire, / priva di echi, davanti allo spettatoreŗ, come Sebald lo definisce rendendo implicitamente omaggio allřopera fondamentale di Hans Blumenberg Katastrophe mit Zuschauer (Catastrofe con spettatore), il Tàtaro lillipuziano Ŗparlaŗ infatti Ŗdi una pietra della memoria, / della meta di un pellegrinaggio e di un cubetto / di ghiaccio, colorato con uno iota di blu di Prussiaŗ(61). È qui allusa una posizione sopraelevata da cui osservare la catastrofe dello spirito occidentale dopo il nazismo avvalendosi anche di quella metafisica del ricordo segnatamente sebaldiana(62), che ancora trova un suo presupposto fondamentale nella convergenza fra ragione e sentimento, fede e materialismo proposta da Benjamin nelle Tesi sul concetti di storia, allorquando il fine della Ŗrammemorazioneŗ, di cui il nano gobbo è prefigurazione, viene individuato come segue: Ŗla rammemorazione può fare dellřincompiuto (la felicità) un compiuto e del compiuto (il dolore) un incompiuto. Questa è teologia; ma nella rammemorazione noi facciamo unřesperienza che ci vieta di concepire la storia in modo fondamentalmente ateologicoŗ (63). Grazie alla vertigine della rammemorazione è possibile raggiungere la postazione sopraelevata dalla quale Sebald ha guardato, come lřangelo della storia di Benjamin, la catastrofe verso la quale inesorabilmente è scorsa la storia del progresso, nella quale si è sedimentata una lunga serie dřinfinitesime paure dal passato prossimo e remoto, 241


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