Olona e DIntorni N.4

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Olona e dintorni - anno 1 - numero 4 - Novembre / Dicembre 2012 - Real Arti Lego Editore - â‚Ź 3,50

rivista dell’eccellenza della valle olona


uno speciale spumante per un momento speciale

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Meritum è prodoto con uve Pinot e, in piccola percentuale, Chardonnay, provenienti da vigneti selezionati delle colline dell’Oltrepò Pavese. Prodotto naturale, non trattato, che esalta tutte le caratteristiche organolettiche e salutari del vino. Risale alla notte dei tempi l’idea di aggiungere oro alle pietanze. Nell’antico Egitto ai cibi del Faraone e dei dignitari della sua corte veniva mescolata polvere d’oro, un elemento che si pensava contribuisse ad ottimizzare le funzioni vitali dell’organismo ed a potenziare le facoltà fisiche e mentali. Inoltre l’oro svolgeva una potente azione afrodisiaca. Questa credenza ha attraversato tutta la storia: si racconta, infatti, che personaggi come Cesare, Alessandro Magno, Gengis Kan, gli Sforza, il Re Sole, erano soliti mescolare polvere d’oro a vino pregiato prima di ogni incontro importante. Le ultime scoperte scientifiche hanno accertato che l’oro è commestibile, non ci sono controindicazioni per la salute, anzi gli si riconoscono proprietà terapeutiche, infatti le farmacie lo vendono in soluzioni omeopatiche come integratore alimentare con efficaci funzioni benefiche per il cuore e i reumatismi.

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on aspettate Natale per accorgervi che gli altri esistono e magari hanno bisogno di voi, per rispettare di più la fragilità dei bambini, l’abnegazione delle madri, per cercare un momento di raccoglimento con voi stessi, per guardare con benevolenza al vostro passato e con speranza al futuro, per riconciliarvi con Dio. Non aspettate Natale per chiamare un amico e dirgli: ‘Scusami per non averti ancora perdonato quel malinteso, non pensiamoci più, vediamoci!’ Non aspettate Natale per fare tutto ciò ed altre cose che vi vengono in mente in un momento di predisposizione alla ‘buona volontà’. Ma se non riuscite a farlo durante l’anno, fatelo almeno a Natale! F.C.


In copertina una foto dello spettacolo pirotecnico del 7 settembre 2012 presso Villa Litta di Lainate. (foto di Andrea Poles)

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Tutti i diritti sono riservati. Ăˆ vietata la riproduzione non autorizzata, anche parziale, di testi e fotografie. Foto e materiali ricevuti non verranno restituiti. Le immagini di cui non viene citato l’autore sono state fornite dalle aziende o scaricate dal web non coperte da copyright


www.olonaedintorni.it olonaedintorni@gmail.com

Anno 1 n.4 Novembre / Dicembre 2012

Direttore responsabile

Franco Caminiti Vicedirettore

Raimondo Sabatino Responsabile redazione

Elena Capano Progetto grafico

Andrea Poles Redazione

Giacomo Agrati - Carmen Cuturello Gigi Marinoni - Fulvio Miscione Franco Negri Fotografia

Armando Bottelli Andrea Poles Emiliano Magugliani Responsabile multimedia

Manolo Sabatino Hanno collaborato

Tanino Castiglioni - Alberto Corti Stefano De Servi - Letizia Ghiringhelli Renata Minnaja

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Edizioni e stampa

REAL ARTI-LEGO sas via Pablo Picasso, 21 – 20011 Corbetta (MI) Italy Tel. +39 (0)297211221 - Fax +39 (0)297211280 www.ilguado.it - e-mail: olonaedintorni@gmail.com Registrazione al Tribunale di Milano n. 416 del 31 ottobre 2012

(giĂ supplemento di Pleasure of luxury - Registrazione al Tribunale di Milano n. 305 del 1 giugno 2011)


Cari lettori, quando il direttore mi ha letto la sua ‘nota’ sull’email, che potete leggere nella pagina a fianco, nella frazione di un decimo di secondo l’ho condivisa appieno. Aggiungo che, a mio parere, gli italiani si sono ‘adagiati’, trincerandosi dietro una cortina protettiva di burocrazia. Il “Ci mandi una email...”, di cui parla il direttore, è uno dei tanti esempi di atteggiamento burocratico. Potrei elencarne tanti altri, col rischio di diventare polemico, ma non è l’obiettivo di questa rivista. Tuttavia, che il Presidente di una associazione di commercianti del territorio, dopo quasi un anno dalla nostra richiesta, non ci abbia ancora fissato un incontro la dice lunga. Stessa cosa succede con la Presidenza degli industriali di Varese, l’ufficio stampa, più volte contattato, non ci ha ancora procurato un appuntamento. Per fortuna, ‘Olona e dintorni’ trova grande credito ed ottima accoglienza presso la maggior parte degli interlocutori.

Mi pongo, quindi, la domanda: “Se facciamo fatica noi, editori di una rivista che tratta l’eccellenza, e non è schierata con nessun partito, come potrebbe fare un nostro lettore della Valle Olona, ‘cittadino qualunque’ (o ‘normal people’ come preferisce RTL) ad esporre i suoi problemi?” Non è che i manager istituzionali si sono man mano ‘scollati’ dalla realtà umana e sociale del territorio? E non è che l’email, uno dei più efficienti modi di comunicare che la tecnologia ci ha messo a disposizione, alla fine, invece di avvicinare, finisce con l’aumentare il peso della burocrazia? A volte basta un po’ di buonsenso e di buona volontà a ripristinare i rapporti umani. Vi porgo i miei più vivi auguri di Buon Natale e di felice anno nuovo. Raimondo Sabatino


La nota del direttore

Maledetta e-mail

Decidiamo con la redazione di ‘Olona e dintorni’ di dedicare un articolo redazionale ad una importante azienda della Valle Olona. Allora telefoniamo. Ci dicono che dobbiamo mandare una email. Mandiamo l’email che, però, ci torna indietro: probabilmente il sistema l’ha riconosciuta come spam e l’ha cestinata nella ‘posta indesiderata’. A questo punto non mi resta che andare personalmente. Alla portineria mi dicono che devo parlare con quelli della reception. Bene. Spiego alle signore della reception che sarebbe nostra intenzione fare un articolo sull’azienda e che, quindi, desidero prendere accordi con qualcuno del reparto comunicazione. “L’addetta c’è”, mi dicono, ma non possono farmi parlare con lei. “Mandi una email”. Spiego che l’ho già mandata, l’email, ma è tornata indietro. “Allora telefoni”. Mi scrivono il numero su un foglietto ma, avendo già provato a telefonare, riconosco che è il numero del centralino. “Questo è il numero diretto dell’addetta?” domando. “No, questo è il numero del nostro centralino”. “E chi risponde?” “Noi, rispondiamo, questo è il centralino.” Allora ho un attimo di kafchiano sgomento. “Scusate, sono qui, vi sto parlando, perché dovrei telefonarvi?” “Lei ci telefona e noi le passiamo l’addetta alle pubbliche relazioni”. “Ma, non potete passarmela direttamente?” “No, noi riceviamo la telefonata e la giriamo alla persona.” Dopo un po’ di insistenza si decidono a chiamare l’interno e mi passano la cornetta. Mi risponde l’addetta alle

pubbliche relazioni che, probabilmente, non era più lontana da me di qualche metro visto che ne percepivo la voce. Le spiego tutto in poche parole. “Mi mandi una email illustrandomi la linea della rivista,” mi dice l’addetta alle pubbliche relazioni. “Mi scusi, ma non è più semplice darle la rivista, così si fa un’idea?” “Ma, no! Fa prima a mandarmi un’email.” “No, scusi, faccio prima a darle la rivista, visto che le email tornano indietro e dal momento che sono qui alla reception.” “Ah, non mi era stato detto che era alla reception. Allora lasci la rivista, la valuteremo e le faremo sapere!” Le faremo sapere? Non sono mica andato a chiedere lavoro! “Ad ogni modo”, conclude l’addetta alle pubbliche relazioni, “i rapporti con la stampa li cura un’agenzia di Milano, le do… l’email della persona che se ne occupa”. Lascio la rivista, rientro in redazione, trovo il numero dell’agenzia, chiamo, ma la persona indicata non c’è, e non ci sarà nemmeno la settimana prossima… La sua collega, con un tono di asettica gentilezza, cosa mi dice?... “Mandi un’email!” Allora mi domando: casi come questo succedono solo a me o sono prassi quotidiana? E poi, il titolare di questa azienda verrà mai messo al corrente di queste cose? Perché se fosse passato di là per caso, il titolare, probabilmente mi avrebbe ricevuto per qualche minuto. L’umiltà ha fatto grandi le nostre aziende, non la spocchiosa burocrazia! Franco Caminiti


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foto di Armando Bottelli

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Monastero di Torba, a Gornate Olona


il Sempione

di Giacomo Agrati

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La Mediolanum-Verbanus ovvero il Sempione In epoca romana le arterie stradali che partivano da Milano erano molte e le più importanti erano certamente la via Aemilia e la Postumia, mentre i contatti con le province d’oltralpe, furono assicurati dalle strade che valicavano i passi alpini. Nel settore occidentale dell’impero

romano Milano, in epoca tardo imperiale, svolse un’importante funzione strategica come nodo stradale da cui partivano le vie transalpine verso lo Spluga (Cuneus Aureus), il Gran S. Bernardo (Summus Poeninus) ed il Piccolo S. Bernardo (Alpis Graia). Fra le strade di minore importanza c’era la Mediolanum-Verbanus, che partendo da via Meravigli a Milano terminava a Stationa l’antica


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Angera, consentendo a viandanti e truppe militari di raggiungere la vicina Svizzera via lago. L’esistenza di una strada che collegava in epoca romana Mediolanum alle rive del Verbano costituì per molti anni un interrogativo al quale gli storici non hanno mai dato una precisa e definitiva risposta anche se molte tracce ne fanno supporre l’esistenza. Uno degli ultimi storici ad appassionarsi all’argomento fu Pier Giuseppe Sironi che, all’inizio della sua ricerca pubblicata negli anni trenta, scrisse: “In tema di vie romane che abbiano goduto di una certa importanza due sono i tipi di tracce di cui ci si può servire nello studio di un’eventuale loro precisa identificazione: tracce sicure e tracce possibili. Quelle sicure sono identificabili nei resti delle costruzioni risalenti all’epoca quali anfiteatri, ponti e palazzi. Le tracce possibili sono costituite dai ritrovamenti archeologici, nei rilevamenti topografici o da citazioni storiche”. Per quanto concerne la Mediolanum Verbanus sicure tracce sul terreno erano riconoscibili sino a qualche secolo fa. Antiche strade, carrarecce, sentieri, corsi d’acqua, limiti di cultura, di comune, di proprietà, elementi tutti susseguitisi per quasi una ventina di chilometri, e con una tale rettilineità da far ritenere non esser stato certo il caso a disporli così bensì la sola forza di qualcosa che la moderna archeologia insegna ad identificare con i resti di una grande strada della romanità. Se a tutto ciò si aggiungono i numerosi ritrovamenti di necropoli risalenti al I sec. a C. e al I e II sec. d C. a San Lorenzo di Parabiago,

San Vittore Olona e Legnano, lungo l’attuale percorso del Sempione, abbiamo la riprova dell’esistenza di una strada che collegava Milano al Lago Maggiore. L’antica strada iniziava a Milano e, costeggiando il corso dell’Olona, raggiungeva fra profumati alberi di frutta la prima stazione per il cambio dei cavalli situata in località detta, “Il Pero”. Poi si transitava da Raude (Rho), villaggio di origine gallica a forma di ruota con quattro porte inserita nello stemma comunale. In successione venivano: Nervianum (Nerviano), che deve probabilmente il suo nome alla tribù gallica dei Nervi stanziati lungo le rive dell’Olona. Paravellinus (Parabiago) la cui origine gallica è visibile nello stemma comunale che raffigura un albero accanto ad un gallo immersi in una rigogliosa pianura. Legnanum (Legnano), di origine romana sul cui toponimo i pareri degli storici sono contrastanti, alcuni affermano che è il nome di una famiglia nobile romana altri sono convinti che trae origine dall’ambiente di quell’epoca ricco di boschi. Arrivava poi alla Cascina del Buon Gesù, l’attuale Castellanza, seconda stazione per il cambio dei cavalli. Sfiorava il borgo di Busto Arsizio ed arrivava a Galarà (Gallarate), centro abitato di chiara origine gallica, e poi la romana Summa (Somma Lombardo), costruita su un’altura e sede di un’altra stazione per il cambio dei cavalli. Attraversava poi Sesto Calende, anticamente sede di un importante mercato che avveniva sei giorni prima dell’inizio del mese ed infine raggiungeva il porto lacustre di Stationa (Angera).


Il Castello di Somma Lombardo

I ritrovamenti archeologici Sono ancora visibili in alcune zone della città, e presso il Museo Archeologico di Milano, i reperti ed i resti di alcune costruzioni architettoniche di rilevante importanza dell’antica Mediolanum che fu la capitale dell’Impero Romano d’Occidente. Mentre nelle campagne dove il livello culturale e sociale era meno elevato, e le comunità erano composte da poche famiglie, i soli segnali della loro presenza nella zona sono costituiti dalle necropoli nelle quali gli abitanti di quel tempo tumularono i resti dei loro defunti. La zona a Nord di Milano non ha avuto, salvo qualche eccezione, avanzi importanti di antiche costruzioni di epoca romana, ma un attento esame delle singole località testimonia che la terra fu densamente abitata e che le strade che conducevano ai laghi furono percorse sin dai tempi antichi. Nel suo bisogno d’andare a nord l’uomo le percorreva guidato dai fiumi che lo conducevano ai valichi montani. Durante il tragitto qualcuno si staccava e si allontanava dalla via principale per andare a creare nuovi nuclei. Nel corso dei secoli la civiltà, la cultura, il benessere, la popolazione stessa, andò fiorendo e crescendo e piccoli villaggi diventarono importanti vicus lungo la strada che conduceva al Lago Maggiore. I reperti raccolti nelle numerose necropoli situate lungo la direttrice “Milano-Lago Maggiore”, attestano la presenza dell’uomo a partire dal VI° secolo prima della venuta di

Cristo. I Romani dell’epoca repubblicana, e quelli dei primi secoli dell’Impero Romano, erano di religione pagana ed avevano l’uso di cremare i loro morti deponendo in un’urna, che veniva poi interrata, i residui del rogo. Nei secoli successivi, con l’espandersi della cristianizzazione si passò all’inumazione. Nel corso degli ultimi secoli lungo il percorso della Mediolanum-Verbanus, durante gli scavi per la costruzione di nuove abitazioni furono ritrovate numerose necropoli contenenti reperti di epoca romana. Il primo tratto del percorso, oggetto della nostra ricerca, è quello che, abbandonata la città di Milano arriva sino alla Cascina Buon Gesù. Cassina del Pero (Pero): in quella zona non furono mai trovate tracce di sepolture di epoca romana ed il più antico documento che cita il luogo risale al 12 febbraio 926. Raude (Rho): nel 1917, in località Lucernate, furono rivenute alcune tombe contenenti vasetti di terracotta ed un pavimento fatto dei soliti ciottoli minori di alluvione adoperati per le “rizzate”. Paravellinus (San Lorenzo di Parabiago): le prime scoperte archeologiche risalgono al 1718 quando fu rinvenuto un vaso di rame contenente tre statue metalliche e monete dell’epoca di Diocleziano. Nel 1907 fu ritrovato un pezzo di eccezionale valore storico ed artistico: si trattava di un piatto d’argento lavorato a sbalzo del diametro di 39 cm. e del peso di 3 chilogrammi e mezzo, denominato “La patera di Parabiago”, conservata al Museo Archeologico di Milano. Successivamente nella frazione di San Lorenzo l’ingenger Sutermaister accertò la presenza di una grande necropoli contenente numerosi reperti di utensili di vita comune. Alla fine del secolo scorso nuova ed importante scoperta di una necropoli di epoca romana. Sancto Victore (San Vittore Olona): nel 1946 durante i lavori per la costruzione del muro di cinta dello stabilimento Mocchetti ritrovamento di una necropoli con circa cinquanta sepolture risalenti al 1° e 2° secolo d. C. Nel 1955 altro ritrovamento in via Concordia di una necropoli con reperti in vetro risalenti al 1° sec. d. C. Legnanum (Legnano): numerosissimi ritrovamenti di reperti romani testimoniano l’importanza di Legnano in epoca romana. Le necropoli cittadine di via Novara, in zona San Martino, in Sant’ Ambrogio ed in località detta “La morta” a Legnanello, unitamente a quelle situate in zone confinanti come quella detta “Paradiso” e “Costa San Giorgio”, ritrovate grazie alla tenacia ed alla passione per l’archeologia dell’ing. Guido Sutermaister, hanno fornito una notevole quantità di reperti e di utensili risalenti all’epoca romana. Strada Statale del Sempione S.S.33 - I mezzi di trasporto Sin dal lontano Medioevo la strada del Sempione era utilizzata da organizzazioni di vetturali e trasportatori che, affrontando coraggiosamente lo stato disagevole del fondo stradale e le durezze del passo alpino, riuscirono a mantenere viva la corrente di traffico dalla quale venne ai mercanti lombardi, e oltremontani, un notevole profitto. All’inizio dell’Ottocento questi trasporti furono meglio organizzati, e ciò lo si può apprendere da una guida turistica stampata a Milano nel 1830, il percorso era diviso a tratte al termine delle quali c’era una stazione per il cambio dei cavalli. Le stazioni erano a: Milano, Rho, Cascina Buon Gesù, Sesto Calende, Arona, Baveno, Vogogna, Domodossola, Iselle, Sempione, Bersital, Briga, per un totale di

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“Le voyage de Genève à Milan par lo Simplon est un des plus agreàbles que l’on puisse entreprendre. Il parait que la nature et l’art se soient rèunis pour semer, le long de cette route superbe, l’une ses trésors et l’autre ses chef d’oeuvres. Deux cité intéressantes, une route qui fera l’admiration de

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132,75 chilometri. Il tempo impiegato era di 22,50 ore ed il costo del viaggio ammontava e 24,25 franchi svizzeri. A disposizione dei viaggiatori c’erano molti mezzi di trasporto ovviamente ad un costo differente. Le vetture a disposizione erano, per la prima classe dei “Calessini cabriolet a due ruote che possono portare fino a 4 persone, tirati da due cavalli”, oppure dei “Carri tedeschi a 4 ruote coperti da tendone a soffietto per 2 persone, tirati da 3 cavalli”. La seconda classe disponeva di “Limoniere a 4 ruote, senza soffietto, a due fondi diseguali, ma con strapuntino davanti, carico sino a 4 persone, tirare da 3 cavalli”. In 3° Classe c’erano “Berline a 4 ruote con due fondi uguali a freccia o a timone, per 4 passeggeri tirate da 4 cavalli”, oppure “Carri o calessi non assimilabili né ai calessini né alle timoniere per 6 persone tirate da 6 cavalli”. Nel settembre del 1880 una sferragliante e rumorosissima “vaporiera” entrò a passo d’uomo nell’abitato di San Vittore Olona e, da quel momento, le galline non fecero più le uova e i contadini che abitavano nelle case poste ai lati della linea tranviaria si dovettero abituare a quel frastuono che faceva tremare ogni cosa. Quella linea tranvia-

ria fu realizzata dalla Società Italo-Belga per far concorrenza alla linea ferroviaria che dal 1860 collegava Milano a Gallarate. Il primo tratto partiva da Milano e si fermava a Legnano, percorreva la distanza di circa 25 chilometri in un’ora e cinque minuti. Il convoglio era trainato da una vaporiera e si insinuava nei centri abitanti lambendo le case, erano infatti moltissimi i punti in cui il Sempione era largo circa due metri, e un uomo a piedi suonando un corno precedeva il tram. La linea tranviaria funzionò anche durante la seconda guerra mondiale consentendo il collegamento con la città di Milano sottoposta a terrificanti bombardamenti. Cessò il suo prezioso servizio nel mese di gennaio del 1966. In seguito moderni autobus sostituirono la linea “dul gamba da legn”. La Napoleonica Fra tutte le vie tradizionali di transito e di commercio attraverso le Alpi, fu proprio il Sempione che, eccetto brevi periodi di gloria durante l’era delle mulattiere, non si era mai imposto, ma che alla fine del 1700 stava acquisen-


la postérité, promettent de délasser le voyageur des fatigues du chemin. Les ombrage des bords du lac de Genève, la vallée du Rhone qui réunit differents climats, les solitudes de Gondo, la riante d’Italie presenteront a l’homme qui aime la belle nature des aspects divers et remarquables... (da Historique et Pittoresque de la Route du Simplon – Artaria – Parigi 1824)

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do, per convenienze puramente militari, una posizione di privilegio nella moderna storia del traffico. Dopo che Napoleone, il 6 maggio 1800, ebbe attraversato con 60.000 uomini il Gran San Bernardo e il generale Bethencurt, con circa 10.000 uomini, a protezione del fianco dell’armata, il Sempione, ancora non era stato deciso quali dei due sentieri sopra i valichi sarebbe stato ampliato a strada carrozzabile. La decisone a favore del Sempione fu presa il 7 settembre 1800, in parte per considerazioni traffico-geografiche con una via diretta fra Parigi e Milano, in parte per il suo punto culminante relativamente basso. Napoleone ordinò quindi la costruzione di una carrozzabile che attraversasse il Sempione, generosamente concepita per le sue esigenze militari, cioè “pour faire passer le canon”. Nel 1801, affrontando i preparativi per la costruzione della strada, Napoleone offrì al governo elvetico, quale “baratto”, la valle del Frick, ceduta dall’Austria, pretendendo in cambio il Vallese quale prezzo della sua neutralità. Non risolvendosi la Dieta con una decisone in merito, Napoleone Bonaparte il 16 maggio 1802, decise la questione a modo suo: dichiarò il Vallese repubblica indipendente e la

fece occupare dal generale Torreau con tre battaglioni di fanteria. In pratica il Vallese diventò un “Departement” dell’impero francese. Fu deciso che la responsabilità della costruzione fosse affidata a militari con, a carico della Francia il tratto a nord da Briga a Gstein-Gabi e, della Repubblica Cisalpina, il tratto sud da Gstein-Gabi a Domodossola: entrambi i governi garantirono, per le spese di costruzione, un reddito mensile di 50.000 franchi. Trascorsero un paio d’anni prima di vedere approvato definitivamente il progetto esecutivo ma, al sopraggiungere dell’inverno del 1802, erano state realizzate soltanto poche centinaia di metri di strada. Solo nella primavera del 1803, successivamente ad un ennesimo decreto napoleonico che esonerava i tecnici francesi nel versante sud (le mansioni furono affidate a tecnici italiani coordinati dall’ing. Giannella), e obbligava i Vallesani a fornire personale nel versante nord, le cose migliorarono notevolmente e i lavori presero un avvio favorevole.

Paesaggio che si vede passando da Arona. Dal lago si vede la costa lombarda e, sul fondo, il Castello di Angera


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Simone Giacomin, La ricerca dell’alloggio


GruppoPresepi Marnate

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Il Gruppo Presepi Marnate è un’Associazione Culturale sorta nel 2005 da un preesistente gruppo di giovani che dal Natale 2002 allestivano una mostra presepi presso la Parrocchia S. Ilario di Marnate (Va). L’associazione, apolitica e senza fini di lucro, si prefigge lo scopo di diffondere il Messaggio, la Storia e la Cultura di quella tradizione tipicamente italiana che è il Presepio. L’appartenenza all’Associazione avviene attraverso un tesseramento annuale. Attualmente i soci iscritti sono circa 60 di tutte le età ed estrazioni sociali. Dai bambini delle elementari ai nonni, dal professore alla casalinga, dall’industriale all’operaio, dall’amministratore pubblico al semplice cittadino.

Il Gruppo Presepi Marnate ha una propria sede messa a disposizione dall’Amministrazione Comunale nella quale realizza i presepi esposti nell’annuale Mostra Presepi. Attività L’associazione Gruppo Presepi Marnate durante l’anno organizza svariate attività: • gite sociali per creare maggiori rapporti di cordialità e amicizia • in collaborazione con il locale distretto didattico, visite alla mostra delle scuole elementari e medie con spiegazioni della storia e delle tecniche del presepio. • in collaborazione con la parrocchia S. Ilario di Mar-


nate l’annuale Concorso presepio nelle case • corsi teorico/pratici di presepismo dove si insegna ai partecipanti le varie tecniche per la realizzazione dei propri presepi. I corsi sono tenuti dagli stessi membri del Gruppo Presepi che realizzano i presepi per la mostra o da maestri presepisti italiani. Nel mese di giugno 2007 è stata allestita dal Gruppo Presepi Marnate con il patrocinio del Comune di Marnate la mostra di opere d’arte del concittadino e artista Mario della Bella. Nel mese di novembre 2010, in collaborazione con l’unità trattamentale della Casa Circondariale di Busto Arsizio, si è tenuto un corso presepistico per i detenuti del carcere. Bollettino

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Per i soci del Gruppo Presepi Marnate viene redatto un bollettino. In esso trovano spazio notizie inerenti l’Associazione, informazioni storico artistiche sul presepio, lezioni di tecnica per realizzare il proprio presepio e numerose foto a colori come spunto e idee per i propri lavori. L’associazione si è dotata di un proprio sito web: www.gruppopresepimarnate.it Attraverso questo sito rendiamo pubbliche le nostre attività e pubblichiamo le foto dei nostri lavori. L’attività principale per il Gruppo Presepi Marnate è l’allestimento dell’annuale Mostra Presepi. L’inizio fu una piccola mostra presepi allestita nella palestra dell’Oratorio S. Luigi (Parrocchia S. Ilario di Marnate). La passione per il Presepio e l’incoraggiamento della cittadinanza che visitò la mostra convinse quei giovani a ripetere l’iniziativa anche negli anni successivi. La mostra crebbe in grandezza e qualità, e sempre più persone, spontaneamente, portarono il loro presepio. A seguito della crescita della mostra, questa cambiò sede e grazie alla collaborazione della Parrocchia e del suo parroco Don Angelo Ceriani, dal 2004 è ospitata presso l’antico santuario. Santuario chiamato familiarmente dai marnatesi “Gesa Madona” per l’affresco del 1400 raffigurante la Madonna col Bambino. Quella che per i parrocchiani è la “Casa della Madonna” dal 2004 ospita la S. Famiglia. In questi anni oltre alla sede, la mostra ha cambiato tipologia di opere esposte. Se nella prima mostra i presepi erano tutte realizzazioni di privati, già nella seconda edizione era presente anche un grande presepio realizzato dai soci attivi del Gruppo stesso. Nella quarta edizione i soci attivi decisero di realizzare non più un grande presepio ma diverse scene (diorami). Nella quinta edizione ci fu il salto di qualità nell’allestimento in quanto venne realizzata sul lato lungo del santuario l’elegante struttura in legno ospitante sette diorami a fianco dei tavoli dove sono esposte le opere dei privati. Questa impostazione è rimasta fino alla nona edizione quando la stessa struttura è stata ampliata occupando tre lati del santuario e ospitando dodici diorami. La decima edizione, che si è svolta nel Natale 2011,

Dall’alto: Lorenzo Sommaruga, Adorazione dei magi Gabriele Crivelli, Il viaggio dei magi Gabriele Crivelli, Primi passi di Gesù


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Lorenzo Sommaruga, Annunciazione

Presepio 2003: lavorazione di una parete in gesso con finitura a pietra

ha visto una nuova impostazione in quanto la mostra non è più caratterizzata dal binomio diorami dei soci attivi a fianco di presepi realizzati da privati, ma dall’esposizione di soli diorami. È avvenuto, a partire dalla decima edizione, un enorme salto di qualità in quanto a fianco dei lavori realizzati dai soci attivi vengono ospitati diorami realizzati dai maggiori presepisti italiani. Alcuni di questi artisti hanno loro opere esposte nei maggiori musei presepistici d’Italia e d’Europa. Per ospitare al meglio i lavori esposti è stata ulteriormente ampliata l’elegante struttura occupando l’intero Santuario.

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il Punto del Consorzio del Fiume Olona di Fulvio Miscione*

Là c’era un mondo, reale e pieno di mistero Paul Karl Feyerabend

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Nello scorso numero di “Olona dintorni” ho occupato lo spazio dedicato al nostro Consorzio per farvi partecipi di un’iniziativa, la pubblicazione dello scritto “Fontane tributarie del fiume Olona”, che tanta curiosità ha riscontrato tra gli appassionati. Concepito nel maggio del 1922 da Luigi Mazzocchi al termine di un’esperienza di oltre quarant’anni di intenso lavoro come ingegnere capo consortile, il manoscritto descrive, con dovizia di particolari, le numerose facce del contesto sorgivo, ne illustra graficamente gli importanti dettagli e, per quanto ci riguarda, costituisce un’ulteriore manifestazione della nostra volontà di riuscire a regalare agli abitanti delle nostre terre notizie di prima mano riguardanti argomenti ormai dimenticati. Farei un grande torto alla autorevolezza di Luigi Mazzocchi e mortificherei questo nostra vocazione alla divulgazione se tralasciassi di parlare ora di un’altra pubblicazione che, concepita dal nostro ingegnere sul finire del 1920, rappresenta, ai nostri occhi, un po’ la premessa esistenziale di ogni altro suo scritto. Mi riferisco al “Dizionario del Fiume Olona” che, da noi pubblicato nella collana “Monografie e Manoscritti del Consorzio del Fiume Olona” nel giugno del 2008, fu scritto con l’intenzione precipua di lasciare ai posteri una traccia esaustiva circa gli impegni professionali che un ipotetico giovane ingegnere idraulico avrebbe dovuto af-

frontare una volta approdato nella nostra sede di Milano. Se, da una parte, questo era senza ombra di dubbio lo spirito originario dell’autore (“al mio successore, nella direzione tecnica del Consorzio Olona, lascio questo DIZIONARIO, perché gli serva di guida nella conoscenza di tutto quanto si riferisce al piccolo ma importantissimo corso d’acqua ….” – scrive il Mazzocchi nella dedica di copertina), d’altra parte per noi la sua lettura altro non può essere che una maniera semplice e piana per far riemergere alla nostra attenzione dettagli importanti che il trascorrere del tempo aveva racchiuso per sempre nella memoria degli anziani.A fianco di notizie tecniche ed organizzative riguardanti la vita interna del nostro Consorzio, vengono infatti tracciati a mano libera spaccati di esistenza che, dividendosi inevitabilmente tra alti e bassi, tra cose belle e meno belle, tra gioie e tristezze, ci fanno dire, ancora una volta e senza il timore di essere smentiti, che veramente “là c’era un altro mondo, reale e pieno di mistero”. Ed allora si può scoprire che, quasi per incanto, ci fu un tempo, storicamente non troppo lontano, in cui la nostra Olona, dividendosi tra la Provincia di Milano e quella di Como (la Provincia di Varese fu istituita successivamente sotto la gestione di Benito Mussolini), fu annoverata tra i corsi d’acqua di utilità pubblica dovendo sfamare, con le sue circa quattrocento macine di grano, qualcosa come 500.000 abitanti.


21 Fiume Olona (foto di Armando Bottelli)

Non si fatica, per conseguenza, a rintracciare nel corsivo rotondo del nostro ingegnere un segno importante dell’aggressività di questo fiume di progresso quando, carico dell’acqua che il cielo gli dona in primavera ed in autunno, riesce a trasformare un regalo per la vita in una brutta sorpresa per l’uomo che la interpreta. E se questa altro non che è la storia mai finita delle piene d’Olona che ha lasciato e lascia ancora oggi tracce profonde di malessere nei territori dei comuni rivieraschi, analogamente non si può dimenticare che i medesimi eventi hanno comunque avuto il pregio di risvegliare nell’uomo che le ha subite il desiderio profondo di poterli senz’altro controllare nonché quello, certamente non trascurabile, di poterne un giorno limare gli eccessi con l’opera del proprio ingegno. Non si spiega altrimenti l’incarico affidato al prof. Francesco Baj dal Cotonificio Cantoni di Legnano all’inizio del secolo scorso per studiare soluzioni di protezione adeguate, così come non si spiega altrimenti la copiosa fioritura, in epoche diverse e nonostante tutto, dei tanti opifici e delle numerose filature di cotone che, sostituendosi gradualmente ai vecchi mulini, sono riusciti nel tempo a regalare, a questo territorio e al prezzo di qualche importante rinuncia rispetto alla qualità delle acque, quello sviluppo che, anche dalle nostre parti, ha accompagnato sin dai sui inizi lo sviluppo della industria locale.

Allo stesso modo si può interpretare lo sviluppo controllato delle comunicazioni che, nel tronco superiore d’Olona, è rappresentato dalla costruzione della Ferrovia Elettrica Milano – Varese – Porto Ceresio, della Ferrovia Nord Milano e dall’inaugurazione dei tram elettrici funzionanti attorno a Varese, mentre, in quello medio e basso, rispettivamente dalla costruzione della Ferrovia della Valle Olona e dall’istituzione del Tram Elettrico Milano – Rho – Legnano. Tutto ciò e tanto d’altro ancora è quanto la competenza di un ingegnere idraulico quasi sconosciuto è riuscito a donare, fors’anche inconsapevolmente, a tutti quelli che, venendo dopo di lui, hanno mantenuto intatta nel tempo la passione per la storia di questo nostro fiume. A noi che lo leggiamo, con la stessa passione di allora e a distanza di quasi cent’anni, rimane il compito, altrettanto importante, di interpretare e diffondere le intenzioni originarie affinché questo suo sforzo lontano, continuando ad esistere al giorno d’oggi, non venga nascosto nel ripostiglio delle cose da trascurare.

* Fulvio Miscione, Presidente del Consorzio del Fiume Olona (CFO)


Caronno Corbellaro

Il verde nel cuore della Valle Olona

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Reportage fotografico di Armando Bottelli

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Pianalto di Caronno Corbellaro. Sullo sfondo il Campo dei Fiori.


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Chiesa di San Nazaro



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Scorci primaverili in Valle Olona


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Il giusto mix di qualità e immagine

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Š Olona e dintorni

Le meraviglie della Valle Olona attraverso gli scatti del fotografo naturalista Armando Bottelli

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il falco e il cardinale di Alberto Corti

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Pubblichiamo questo brano del dott. “Beo” Corti come anticipazione dell’articolo che uscirà prossimamente su Castiglione Olona e i suoi tesori d’arte. Quasi albeggia in un mattino di primavera del 1435; Branda Castiglioni, nominato cardinale di ‘Santa Romana Ecclesia’ ventiquattro anni prima da Papa Giovanni XXII, si è, come sempre, destato di buon’ora e, dopo una frugale colazione, si è vestito di abiti modesti, adatti alle attività cui vuole dedicare la mattinata. Uscendo dalla porticina ricavata nel muretto prospiciente la piazzetta, alza gli occhi al cielo, verso le poche nubi notturne in procinto di dissolversi, e vede un falco: vola alto, con rotte concentriche, a tratti piega lo sguardo verso la piazzetta, sembra lo stia aspettando. Naturalmente non ci fa caso. Accompagnato dagli inseparabili famigli Jacopino e Martino, si accosta allo spiazzo dove di recente ha fatto abbattere il vecchio oratorio pericolante e pericoloso; è sua intenzione edificarvi una chiesa da dedicare al Santissimo Corpo di Cristo. C’è da decidere l’architettura esterna, e le frequentazioni toscane suggeriscono a Branda di seguire gli insegnamenti di Brunelleschi, sia riguardo lo stile che le tipologie costruttive. È però dubbioso, incapace di risolversi, cammina nervoso a braccia incrociate dietro la schiena, conta i passi, traguarda le prospettive, incrocia gli sguardi dei primi villici che attraversano la piazza diretti verso le coltivazioni, neppure li vede assorto com’è in pensieri contorti, maledice, come solo un cardinale può fare, il capomastro che ancora non compare, riattraversa lo spiazzo non ancora del tutto spianato, inciampa ripetutamente per giustifica-

re l’apprensione di Jacopino, rimaledicendo ecc. ecc. Lo sguardo corre su verso la Collegiata e poi più su, ancora verso il cielo e verso il falco che, vigile, gironzola fra le nubi che non si decidono a svaporare; questa volta il cardinale se ne accorge, strizza gli occhi per la prima luce e per mettere a fuoco. Viene distratto dal vociare del capomastro che assegna ai lavoranti i compiti del mattino e la cosa, inavvertitamente, lo disturba: non ha voglia di parole concrete, la volgarità degli operai, il loro lercio aspetto distraggono l’alto prelato da pensieri più nobili, deve allontanarsi, i passi, ma soprattutto la meditazione, lo conducono lontano dalle case, dalla gente che ormai è alacremente impegnata in attività prettamente umane. La collina lo attira, lo sguardo deve poter spaziare libero, i pensieri sono per la grandezza della natura, il fiume che ha scavato la valle, il vento che ne ha modellato l’orografia, l’uomo che nella sua pochezza ne ha sfruttato le potenzialità; “Ma l’uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio”, pensa, “la natura gli è soggetta, l’uomo, pur nelle sue debolezze, è più grande della natura, l’uomo deve avere la supremazia sulle cose, l’uomo crea la bellezza, io devo creare la bellezza, Castiglione deve preservare nel tempo il mio nome, sono vecchio, debole nel fisico, ma veemente nel pensiero, devo completare il progetto di un’isola di ‘Toscana in Lombardia’…” E poi, e poi un attimo di debolezza, fisica e mentale, le gambe cedono, la vista s’appanna, fortunatamente Jacopino è vicino e lo sorregge, Martino corre in paese per una portantina. Il cardinale si riprende rapidamente, ricorda perfettamente gli attimi di obnubilamento, stava volando alto, in cerchio sopra la ‘sua’ città, ne vedeva lo splendore non


Affresco di Masolino da Panicale nel Palazzo Branda a Castiglione Olona

ancora del tutto realizzato, era incorporato nel falco. Riportato a palazzo e allettato nella camera arancione dei putti, Branda si concede un breve sonno ristoratore. Non più nervoso, ma dolcemente rilassato, rielabora pensieri altamente spirituali e altri più umanamente terreni: Dio lo ha fatto nobile, Dio lo ha fatto cardinale, Dio lo ha fatto geniale, colto, intraprendente: “Se realizzo qualcosa di grandioso è per mia vanagloria o per la maggior gloria di Dio? Ma certamente per la gloria di Dio, che diamine…! Ma ne sono proprio convinto? non c’è, in fondo, anche un desiderio di immortalità legato alle mie opere? Nella mia vita ho fatto la volontà di Dio, o quella degli uomini, o la mia…?” Il vociare dei famigli lo ridesta. “Scusi Eccellenza, è giunto or ora da Firenze messer Masolino, così senza preavviso, desidera avere un colloquio”. Con la sollecitudine che l’età gli consente si riveste, questa volta in veste cardinalizia e accoglie l’artista, l’amico, con l’affabilità che la lunga consuetudine gli suggerisce. Si scambiano notizie, commenti, idee, discorsi colti e anche qualche frivolezza, un pranzo frugale, è pur sempre un venerdì di magro, quattro passi nel piccolo prezioso giardino primaverile, poi il commiato, consci entrambi che forse sarà l’ultimo saluto. Allontanatosi l’amico, Branda ripensa ai dieci anni passati a discutere con lui durante la realizzazione del ciclo di affreschi alla Collegiata portata a termine solo pochi mesi prima: i tanti dubbi riguardo alle storie di San Giovanni Battista giustamente posizionate nel battistero, lo stupore davanti all’affresco del palazzo di Erode con la sua stringente prospettiva; da uomo pragmatico però il pensiero ritorna alla erigenda chiesa nella piazza antistante il palazzo che familiarmente già chiama ‘chiesa di villa’.

Masolino, pensa, è grande amico di Masaccio cui riconosce una genialità non da tutti riconosciuta e a lui spesso si ispira, ma, come Masaccio, anche Masolino non è abbastanza toscano per un vero Rinascimento, meglio andare sul sicuro, c’è quell’amico di Masolino, Lorenzo di Pietro, chissà poi perché lo chiamano ‘il Vecchietta’,lui sì, ancorché senese, conosce il Brunelleschi e anche il Ghiberti, meglio affidarsi a costoro, a Masolino faccio finire di affrescare il palazzo… Vola alto il cardinale, tanto alto da ritrovarsi a cercare nel cielo il falco del mattino, eccolo ancora a giocare con nuvole e correnti ascensionali; ripensa allora a quando, giovane inviato del papa in Ungheria, dava la caccia agli uccelli senza avere fame, a quando, giovane studente a Pavia, dava la caccia alle fanciulle senza averne veramente voglia, a quando, giovane cardinale a Roma, dava la caccia alla gloria ma senza convinzione e adesso, anziano mecenate, dà ancora la caccia alla gloria, ma deve essere la ‘Gloria di Dio’! Si è fatta sera e quel brigante di capomastro non ha ancora finito di spianare, non lo maledice solo perché non servirebbe a nulla. Nel rientrare a palazzo, questa volta dal portone principale, alza un’altra volta gli occhi al cielo verso il falco, lo saluta e lo congeda. La cena, da venerdì di magro, gli lascia una certa fame; per distrarsi pensa ancora al falco che, ritornato al nido dei falchetti, non avrà riportato nulla per cena perché indaffarato tutto il giorno con lui; i falchetti giustamente reclamano cibo, ma il falco sa che la fame aguzza l’ingegno e fortifica la spirito, proprio quello che serve per sopravvivere a questo mondo: mangeranno domani, oggi è venerdì di magro, anzi di digiuno!

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Recente sversamento nell’Olona Un coro di reazioni indignate sul territorio di Fulvio Miscione I recenti sversamenti inquinanti in Olona hanno giustamente prodotto reazioni indignate sul territorio e ciò in un momento in cui gli sforzi di istituzioni, associazioni, enti ed individualità erano riusciti, con grande dispendio di energie e di risorse, ad invertire, almeno un poco, una tendenza che, consolidatasi nel tempo, aveva trasformato il nostro storico fiume in uno dei corsi d’acqua fra i più inquinati d’Europa. Molte sono state le telefonate ricevute in questi mesi dai nostri funzionari ed altrettanti sono stati i contatti al nostro sito internet. Tutto ciò con l’intento di conoscere le iniziative messe

in atto dal Consorzio non solo per monitorare, di volta in volta, la situazione ma, soprattutto, per intervenire ad arginare tali comportamenti delittuosi. In non pochi casi tali interventi hanno individuato nella nostra non sufficiente consistenza rispetto a tali problematiche una delle cause all’origine della reiterazione di tali manifestazioni. In ragione di tutto ciò credo sia importante innanzitutto fornire una informazione dettagliata circa la missione consortile, le attribuzioni assegnateci dalle leggi in vigore, senza dimenticare di individuare, con altrettanta precisione, gli spazi di movimento e quelli di intervento che ci


Ultimo sversamento nell’Olona (fonte: www.procivsolbiate.blogspot.it)

sono concessi. Infatti, contrariamente al comune sentire, il nostro Consorzio, essendo un ente privato, non ha giurisdizione alcuna sulla qualità delle acque né, tantomeno, ha la possibilità di individuare in autonomia e di sanzionare in ogni caso i soggetti a tal riguardo inadempienti. Compito precipuo del Consorzio è, d’altra parte, quello di sovraintendere, attraverso una rigorosa regolamentazione interna, alla distribuzione della risorsa idrica ai propri consorziati, consentendone in questo modo un utilizzo individuale per i soli fini irrigui. Tuttavia tutto ciò non ha impedito negli anni e, a mag-

gior ragione, non impedisce ora alla nostra organizzazione di rivolgere la propria attenzione alle tematiche più generali riguardanti le ragioni del fiume. È sufficiente qui ricordare la collaborazione, in regime di convenzione, con le amministrazioni comunali rivierasche in tema di servizio di allerta piene e di manutenzione ordinaria degli argini nonché quella, sempre più intensa, instaurata, spesso in regime di sostanziale gratuità, con gli organismi regionali di controllo delle acque e del territorio relativamente al trasferimento delle proprie conoscenze per ciò che riguarda il contesto geografico, per finire con l’opera di divulgazione, attraverso l’organizzazione di convegni e la pubblicazione di testimonianze inedite, di quanto sia importante per l’intera collettività rispettare il proprio territorio. Non è un caso che il Consorzio abbia organizzato quest’anno, prima a Busto Arsizio e poi a Rho, gli Stati Generali d’Olona con l’idea riuscita di mettere attorno ad un tavolo enti pubblici e privati al fine di mettere a fuoco, in concomitanza con Expo 2015, le problematiche utili a riconsegnare il fiume alla sua originaria vocazione. Non è ancora un caso che il Consorzio abbia partecipato, sempre in questo anno ed unitamente ad alcuni enti locali rivieraschi, a più di un bando regionale finalizzato al recupero del territorio circostante. Tutto ciò non può far altro che sottolineare, ancora una volta, la nostra vicinanza al territorio che, di recente e da una parte, si è manifestata con l’istituzione e l’accreditamento regionale del Distretto Agricolo della Valle del Fiume Olona e, dall’altra, con la volontà di costituire, attraverso la benedizione dei medesimi organismi e in un prossimo futuro, il Consorzio Forestale della Valle del Fiume Olona. Nonostante l’impegno profuso in questa direzione, la nostra presenza, a un occhio disattento, non può che essere considerata come marginale rispetto alla risoluzione di tali problematiche, configurandosi le nostre iniziative esclusivamente come una appassionata e costante collaborazione nei confronti di quei soggetti ai quali la legge attribuisce il compito di individuare, monitorare ed eventualmente sanzionare tali comportamenti illegali. Se da un lato pertanto sono senz’altro soddisfatto della considerazione goduta dall’azione consortile degli ultimi anni presso gli organismi regionali, dall’altro non posso non sottolineare la necessità di ottenere da loro un nostro maggior coinvolgimento circa le problematiche del fiume e del suo territorio. Sarebbe questo un risultato senz’altro in linea con i mutamenti relazionali che il Consorzio ha saputo realizzare nell’ultimo decennio, il giusto riconoscimento per la sua partecipazione al Contratto di Fiume e la miglior ricompensa per coloro i quali, con passione e spirito di gratuità, hanno garantito a questa antica istituzione una dignitosa sopravvivenza al servizio dell’uomo delle nostre parti.

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ENTI PROMOTORI Master “Creatività e crescita personale attraverso la teatralità”, Facoltà di Scienze della Formazione e Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. CRT “Teatro-Educazione” Comune di Fagnano Olona (VA). Associazione EdArtEs Percorsi d’Arte di Fagnano Olona (VA). Piccolo Teatro Cinema Nuovo di Abbiate Guazzone - Tradate (VA). Comitato scientifico Prof. Alessandro Antonietti Prof. Gaetano Oliva Prof. Ermanno Paccagnini Coordinamento scientifico workshop Dott.ssa Serena Pilotto Segreteria organizzativa CRT “Teatro-Educazione” Associazione EdArtEs Percorsi d’Arte

Master “Creatività e crescita personale attraverso la teatralità” Facoltà di Scienze della Formazione e Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

CONVEGNO

ARTISTICA - MENTE La letteratura e la musica nella formazione della persona Sabato 9 febbraio 2013

Piccolo Teatro Cinema Nuovo P.zza Unità d’Italia, 1 Abbiate Guazzone – Tradate (VA) Con il patrocinio di:

La partecipazione al convegno e ai workshop è gratuita. I workshop pomeridiani si terranno presso il Teatro stesso e prevedono un massimo di partecipanti ciascuno. Ai fini organizzativi è richiesta l’iscrizione:

segreteria@crteducazione.it Tel. 0331-616550 Fax. 0331-612148

Con il sostegno di:

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m u se o d’artemoderna di Tanino Castiglioni


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Enzo Pagani, Donne (1979)


Enzo Pagani, il maestro che mi spiegò l’arte moderna. Coloro che, provenendo dalla provinciale SaronnoCastellanza, giunti alla rotonda dell’agglomerato commerciale “Gran Casa”, prendono a destra per avviarsi verso il centro industriale, dopo gli ultimi fabbricati si trovano all’improvviso di fronte ad una natura verdeggiante, quasi selvaggia. Fatta una svolta a destra e due a sinistra si giunge alla Fondazione Pagani: uno straordinario Parco-Museo d’arte moderna immerso nella natura. Sono lieto di essere io, sconosciuto cittadino, a presentare su questa rivista colui che fu maestro e coraggioso precursore dell’arte moderna nella nostra città. Nel 1960, per un caso, mi inoltrai, dopo il tramonto, in una stradina di Castellanza che finiva nei boschi. Nessuna luce artificiale illuminava quel verde conservato dalla natura e che nessuna mente di immobiliarista, ancora oggi, ha potuto ‘offendere’. Pure la luna si nascondeva come a non voler disturbare, con la sua fioca luce, la pace di questa oasi. L’ignaro passante, sbirciando quelle misteriose forme realizzate con i più vari materiali (legno, ferro, granito, marmo) elevarsi tra vialetti, come impaurito correva via e non si avvedeva di quel solitario signore che si addestrava operando sui vari materiali, realizzando opere d’arte all’aperto che avrebbero poi ottenuto meritevole riconoscimento non solo in Patria ma in ogni parte del mondo. Questo signore era il pittore, scultore, e compositore di mosaici, Enzo Pagani, che circa tre anni prima aveva pensato di progettare e realizzare in quel luogo un Museo di arte moderna all’aperto. Sarebbe rimasto un sogno se

Dall’alto: Gruppo immanentista, Busti (1988) Luigi Bennati (1978) Lino Tinè, Ruota in potenza (1966)

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Fernand Legér, Danseuses (1972)

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Fernand Legér, Composition Architecturale (1972)

non ci fosse stato il suo grande amore per l’arte e la fermezza dell’uomo nel perseverare, affrontando con grande sacrificio ogni ostacolo che si frapponeva tra il suo ideale e la possibile realizzazione di questa grande opera. In un primo momento, ‘nemo profeta...’, la città non glie ne fu riconoscente. Peccato. Castellanza, a quel tempo, era stata da poco elevata a città e la mentalità della gente era rimasta ‘da borgata’.

Per loro contava solo il lavoro e la Santa Messa nei giorni prescritti dalla chiesa. Tempo per altre cose non ne avevano in quanto dovevano accudire il bestiame e, coloro che non avevano stalla o campo da coltivare, dopo il lavoro in fabbrica, aiutavano i famigliari o i contadini del vicinato nel lavoro nei campi. Altri collaboravano con qualche artigiano per arrotondare il magro salario che non bastava mai per il sostentamento della famiglia. Pertanto resta


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Fernand LegĂŠr, Composition aux 4 figures (1974)


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Albert Gleizes (1966-1967)


chiaro che di tempo libero non ne rimaneva. Era una vita dura. La cultura era limitata alla conoscenza della pratica per il lavoro di ogni giorno ed il tempo da dedicare alla lettura era limitato a qualche quotidiano sportivo, politico e, per pochi, di qualche settimanale di richiamo in quell’epoca. Anche per Enzo la vita non fu rosea, tanto meno la via fu spianata per la realizzazione del Museo. Ma egli proseguiva imperterrito per il suo cammino, inserendo nelle aiuole esagonali le opere che giungevano da ogni parte del globo, inviategli da artisti il cui nome era già noto nella storia dell’alte moderna. Appresi poi dalle sue delucidazioni il valore dell’arte moderna. Mi fu maestro di cultura nell’insegnarmi con tanta pazienza il significato espressivo di quelle opere esposte. La maggior parte di noi era ammiratore dell’arte figurativa come espressione fotografica della natura, per cui il dover accettare sculture quali “Re Salomone” di Alexander Acipenko o i mosaici di Gaston Chaissac, e altri famosissimi nomi già noti in campo internazionale, era difficile. Solo visitando il museo dove è possibile immergersi in un vasto campo di opere esposte all’aperto realizzate da artisti provenienti da tutta Europa nonché da Asia e altre parti del mondo ci si può rendere conto di quali tesori raccoglie il Museo della Fondazione Enzo Pagani. Conobbi Enzo Pagani nel 1975, quando gli chiesi un Albert Gleizes, Les sept éléments (1965) Enzo Pagani, Eclissi (1976)

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Hans Richter, Dal maggiore al minore (1964)

trofeo da mettere in palio per la manifestazione podistica amatoriale denominata Wamba Hospital, e in quella occasione mi rivelò un aneddoto: “Quando chiesi al Comune della città di Castellanza la sistemazione della strada per arrivare con maggiore sicurezza al museo l’amministrazione mi permise di utilizzare una parte del selciato asportato da corso Sempione per rendere (a mie spese) percorribile la strada.” È importante rilevare questo particolare in quanto ancora oggi, dopo un cinquantennio, la strada per arrivare al Museo è stretta, tortuosa e non invoglia certamente ad andarci.

Eppure all’interno del museo si trovano sale per mostre temporanee di pittura, spazi per esposizione di sculture oltre ad un teatro all’aperto per spettacoli musicali e altre manifestazioni culturali. Al lettore che avrà l’occasione di visitare il museo porgo un caloroso invito perché abbia a sostare almeno per un attimo dove all’interno del suo museo Enzo Pagani non dimenticò di eternare il periodo della storia contemporanea che offuscò gli anni migliori della sua gioventù con l’opera “La caduta dei miti”. È un mosaico di forza magica in cui l’artista si esprime ‘senza alcun rancore’.

A fianco: Josè Walter Gavito, La Pampa (1969) Enzo Pagani (1980)


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Il Distretto Agricolo della Valle del Fiume Olona è realtà di Fulvio Miscione

48 Palude Brabbia (foto di Armando Bottelli)

In data 28 settembre 2012, presso la sede del Consorzio del Fiume Olona sita in Castellanza e alla presenza del dott. Fabio Monteleone – Notaio in Sesto Calende, è stato sottoscritto l’atto di costituzione della Società di Distretto che fa capo al Distretto Agricolo della Valle del Fiume Olona che, come è noto, rappresenta il primo distretto agricolo-fluviale d’Italia. Compito della società di distretto è quello di gestire in concreto tutte le attività del distretto, di individuare, sulla base delle indicazioni ricevute dai soci, gli obiettivi condivisi, di curarne la realizzazione nei tempi prestabiliti, usufruendo, ove necessario, dell’aiuto di finanziamenti pubblici ad hoc. Fra le varie soluzioni possibili contemplate dalla legge è stata privilegiata, nell’ottica della partecipazione responsabile fra i soci, la soluzione cooperativa e, per questi motivi, la neonata società assumerà il nome di “CONSORZIO DISTRETTO AGRICOLO DELLA VALLE DEL FIUME OLONA – SOCIETA’ CONSORTILE COOPERATIVA AGRICOLA” Hanno sottoscritto l’atto venticinque imprenditori agricoli con aziende ubicate sia nella provincia di Milano che in quella di Varese ed altri ancora stanno aderendo in questi giorni per essere inseriti, ufficialmente e a norma di statuto, con il prossimo Consiglio Direttivo.

Concettualmente l’adesione di un numero elevato di imprenditori ad un progetto unitario non costituisce solo un atto di fiducia del singolo nei confronti del gruppo e una novità dal punto di vista organizzativo ma, soprattutto, regala a ciascuno un’alternativa che, basata sul leale confronto tra pari, si sforza di superare la figura tradizionale di un’agricoltura qualche volta troppo ancorata al passato, spesso chiusa in se stessa e non di rado impermeabile alle novità. Hanno aderito al Distretto e faranno parte del Comitato di Distretto una volta costituito gli Assessorati all’Agricoltura delle province di Milano e di Varese, alcuni Comuni rivieraschi (Pero, Rho, Vanzago, Pogliano M.se, Nerviano, Parabiago, Pregnana M.se, Canegrate, S. Vittore O., Legnano, Castiglione O., Olgiate O., Marnate, Gornate O.), associazioni di varia estrazione (Assolombarda, Cia, Codiretti, Confagricoltura, Copagri, Lega delle Autonomie della Lombardia), società a partecipazione pubblica (IANOMI - Infrastrutture Nord Milano SpA) nonché realtà significative storicamente presenti sul territorio (Fondazione Ferrario). Anche in questo caso l’adesione convinta di un numero considerevole di soggetti diversi per estrazione ad un progetto territoriale di valenza sovracomunale ed interprovinciale tende a sottolineare, soprattutto nel senso comune del pubblico amministratore, il superamento di una impostazione di governo del territorio piuttosto datata


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che, troppo spesso in passato, ha individuato nel confine geografico della propria competenza il confine della propria responsabilità amministrativa. Dall’assemblea di costituzione sono usciti i nomi degli amministratori che dureranno in carica per cinque anni (Giuseppe Caronni, Stefano Cozzi, Luca Crespi, Moyra Fusè, Galeazzo Molaschi, Donato Redondi, Giuseppe Testa) e dal successivo Consiglio Direttivo, appositamente convocato, sono usciti i nominativi del Presidente (Giuseppe Caronni), del Vice Presidente (Luca Crespi) e del Direttore (Valter Bertoncello). Da questo momento il Distretto Agricolo della Valle del Fiume Olona ha acquisito una propria autonomia operativa che, combinata con l’autonomia funzionale che statutariamente si è data, farà di questa nuova realtà un punto di riferimento costante e responsabile per la gente delle nostre parti. Se infatti la costituzione della Società di Distretto rappresenta l’ultimo atto di un percorso introduttivo che, iniziato nell’ottobre 2010, ha portato in data 6 giugno 2012 all’accreditamento ufficiale presso la Regione Lombardia, il decollo del Distretto Agricolo - che prenderà forma fra qualche mese con la presentazione in Regione Lombardia del Piano di Distretto – si affianca, in maniera complementare, all’attività del Consorzio del Fiume Olona, introducendo, in questo modo, una variabile tutt’altro che trascurabile rispetto alla gestione del territorio e alla sua

conservazione. Spesso, parlando in generale di distretti agricoli, si è scritto che la loro istituzione avrebbe introdotto nel tempo un nuovo sistema di governo del territorio che, basandosi sull’integrazione tra pubblico e privato, sarebbe stata in grado di affiancare al rigore operativo del pubblico l’elasticità congenita del privato. Dalle nostre parti invece non si fatica ad affermare che la nascita del distretto agricolo in un contesto geografico assegnato per taluni aspetti dall’allora Regno d’Italia al Consorzio del Fiume Olona, può senz’altro rafforzare la componente privata (il Consorzio infatti è da sempre un ente privato) consentendole oggi di relazionarsi in maniera più completa e sicuramente più efficace con il settore pubblico. In ragione di ciò si può comprendere senza difficoltà come il Consorzio del Fiume Olona e il Distretto Agricolo della Valle del Fiume Olona non possano non essere compagni di viaggio inseparabili che, nel rispetto della autonomia funzionale che ciascuno di loro giustamente si è data, hanno fra gli obiettivi comuni quello di adoperarsi, con passione e competenza, affinché l’agricoltura nostrana, nutrita da sempre dall’acqua del fiume, possa finalmente riuscire a rivendicare il ruolo che le compete nel rispetto di una tradizione di servizio alla preziosità della terra.


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Corpo Mus

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M i d a l o u c S

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Floriano Galfrascoli (presidente) e Elisa Ghezzo (direttrice) insieme al corpo musicale

“Canta che ti passa”: sappiamo quanto sia importante la musica, espressa in tutte le sue forme: essa costituisce un mezzo per rasserenarsi, ritemprarsi e, soprattutto per i giovani, un modo per sentirsi uniti, indipendentemente dal paese di appartenenza. Ogni società possiede una propria tradizione musicale, così come possiede una propria lingua: quest’arte perciò costituisce una componente di grandissima importanza in tanti momenti della vita di ciascuno. Attraverso questo mezzo si può esprimere o cogliere un sentimento: la musica rappresenta così anche il modo più adatto per esprimere le emozioni che non si riescono a descrivere in altro modo; è un mezzo di comunicazione che arriva anche dove le parole sembrano inac-

cessibili. Inoltre è anche l’elemento essenziale di alcune forme di intrattenimento. L’esperienza dell’appartenenza ad un Corpo Musicale “Nell’era in cui i mezzi di comunicazione sempre più sofisticati tendono a privilegiare i contatti tra persone con modalità virtuali – osserva il Presidente dell’ANBIMA (Associazione Bande Musicali Italiane Autonome) – è importante riscoprire il piacere di incontrarsi per condividere emozioni e suggestioni che nessuna tecnologia potrà mai riprodurre”. Partecipare a una formazione musicale significa an-


di Trad

a Musica te di Franco Negri

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zitutto stare insieme, condividere parte del proprio tempo libero, partecipare alla vita di un microcosmo sociale fondato sull’amore per una delle espressioni più elevate dello spirito umano: la musica. La ‘banda musicale’, in particolare, assume un rilievo fortemente legato alla collettività, svolgendo un ruolo di forte aggregazione e di partecipazione agli avvenimenti della vita civile e religiosa. La ‘banda’ è spesso anche scuola di musica: gli aspiranti bandisti intraprendono lo studio di uno strumento ed in seguito, quando il loro livello di preparazione è considerato adeguato, vengono inseriti nell’organico effettivo. Essa perciò riesce spesso a coprire le carenze presenti negli ordinamenti scolastici che della musica non hanno la giusta

considerazione, svolgendo quel ruolo che la scuola italiana ha disatteso o disattende. Situazione dei Gruppi musicali e formazione del Corpo Musicale Città di Tradate Numerosi fattori hanno concorso, nel tempo, nel dare alla ‘banda’ (definibile come un complesso costituito da strumenti a fiato e percussioni) l’aspetto che possiede nella sua forma moderna; le trasformazioni delle società, gli sviluppi tecnici degli strumenti a fiato, le nuove occasioni di esecuzione hanno fatto sì che la banda si sviluppasse sempre più, fino a raggiungere la completezza che osser-


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Small Band

viamo nel tempo attuale. Quella della banda è una storia lunga e sfaccettata, che inizia con gli albori della civiltà e segue lo sviluppo dell’umanità sviluppandosi insieme ad essa. Se, partendo da un determinato periodo, gettiamo lo sguardo alla situazione al tempo dell’Unità d’Italia (1861) si constata la mancanza di uniformità e la frammentazione nella struttura delle formazioni musicali, dovuti alla divisione politica ed alle diverse dominazioni straniere presenti nelle varie regioni della penisola. Proprio in questo contesto di metà e fine secolo XIX osserviamo la presenza della Banda Musicale Tradatese, formatasi nel 1876 e, in seguito, della Scuola Filarmonica di Tradate, fino a giungere alla costituzione del “Corpo Musicale Città

di Tradate” nell’anno 1998, come Associazione Culturale con un nuovo Statuto. La tradizione musicale tradatese e la Civica Scuola di Musica Oggi la tradizione prosegue con costante impegno e progressivo rinnovamento del repertorio musicale favorito dall’entusiasmo delle nuove generazioni. Il “Corpo Musicale Città di Tradate”, che è composto da una trentina di musicanti, ha nel suo repertorio sia musica originale per banda, con strumenti a ‘percussione’ e ‘fiati’ (‘legni’ ed ‘ottoni’), sia (in misura minore) musica da trascrizione per banda, tratta da ‘classica’ e da ‘leggera’. Gli strumen-


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Concerto di Natale 23 dicembre 2011


Festeggiamenti con i docenti per il 10° anniversario della costituzione della Civica Scuola di Musica

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tisti, diretti dal 2007 dal maestro Elisa Ghezzo (la quale ricopre anche la carica di direttore della “Civica Scuola di Musica”), si ritrovano settimanalmente, animati dalla passione per la musica a cui si dedicano a livello amatoriale ma con ottimi risultati, considerati i riconoscimenti ottenuti. Il complesso musicale partecipa a manifestazioni civili e religiose della Città ed a significativi eventi anche fuori dell’ambito locale: il Concerto di Natale, il Concerto per la Festa della Repubblica, il Concerto di Primavera e quello d’Estate, in collaborazione con Amministrazioni Comunali e Pro Loco; tra le ‘trasferte’ più significative si ricorda la doppia partecipazione con l’Orchestra Filarmonica Europea all’esecuzione integrale del Nabucco di G. Verdi presso il Teatro Gassmann (2007) e presso il Cortile del Broletto (2009) di Gallarate. La Civica Scuola di Musica, istituita nell’anno 2000 con il Patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Tradate, ha l’attenzione e la fiducia dell’Associazione, poiché permette alla stessa l’aggregazione degli allievi nel corpo musicale. Nel corso dei dodici anni trascorsi il numero degli allievi è andato crescendo superando la novantina di iscritti: sono state aperte classi di violino, di chitarra elettrica, oltre a quelle già esistenti di ottoni, clarinetto, sassofono, flauto, pianoforte, tastiera, percussioni, chitarra classica e propedeutica.

Sono diversi gli allievi che hanno proseguito gli studi al Conservatorio, conseguendo sia titoli intermedi sia il titolo più alto cioè il diploma. Gli appuntamenti importanti della scuola sono il saggio di metà anno e quello di fine anno, nei quali la quasi totalità degli allievi ha modo di esibirsi con i lavori preparati nelle classi di musica di insieme. A questi si sommano i saggi di classe e delle iniziative che di anno in anno arricchiscono la proposta formativa. In primavera viene proposta un’uscita culturale per dare ai ragazzi la possibilità di ascoltare un’orchestra dal vivo (Orchestra Verdi di Milano, Teatro alla Scala, Teatro G. Pasta di Saronno) e l’uscita al Museo Internazionale della Musica di Bologna. Una particolare attenzione viene rivolta alla musica d’insieme, momento di aggregazione e formazione, che ha dato vita alla ormai affermata “Small Band” ed alla “Young Orchestra”. Small Band, Young Orchestra, Corso di Propedeutica musicale La Civica Scuola di Musica, sostenuta dal Corpo Musicale Città di Tradate, è una realtà musicale e formativa che ‘accompagna’ tutte le età di chi è desideroso di accostarsi o dedicarsi alla meravigliosa arte della musica.


I bimbi (dai 4 ai 9 anni) hanno la possibilità di seguire, con un incontro settimanale, il Corso di Propedeutica Musicale, tenuto dal M° Marta Magistrali. Per l’apprendimento viene ritenuto indispensabile effettuare con i partecipanti esperienze che coinvolgano la sfera sensoriale-motoria, quella logico-razionale e quella affettivo-creativa, privilegiando per questo motivo gli aspetti ludici ed ottenere quindi un maggior interesse da parte dei bambini. La Young Orchestra, l’attività introdotta dalla Scuola di Musica nel 2009, comprende una quindicina di allievi fra i 10 ed i 14 anni, che suonano strumenti anche molto diversi tra loro: si va dai fiati (flauto, clarinetto, tromba) alle chitarre, dal pianoforte alla batteria. Il repertorio è nuovo per ogni stagione ed è pensato in maniera da stimolare la volontà dei singoli elementi a migliorarsi continuamente. Dal debutto del gruppo avvenuto il 7 febbraio 2010 la Young Orchestra accompagna tutti gli appuntamenti ufficiali della Scuola; ha anche collaborato con il Corpo Musicale esibendosi all’apertura dei concerti tenuti nel giugno 2012 a Tradate. Elisa Ghezzo, oltre a gestire le prove che si tengono con cadenza quindicinale, trascrive tutti i brani da affrontare adattandoli alle capacità dei giovani musicisti. La Small Band è il complesso musicale di allievi della

Civica Scuola di Musica di Tradate, di età compresa tra i 15 e i 18 anni, nato nell’ambito dell’attività di musica d’insieme organizzato all’interno della scuola a partire dall’ a.s. 2005-2006. Costituisce quindi una piccola formazione che per certi aspetti si ispira alla big band jazzistica per prevalenza di strumenti a fiato e per la ricerca di sonorità che, perlomeno in alcuni brani del repertorio, si avvicinano al jazz orchestrale. Un progetto dunque che è insieme didattico e musicale, senza perdere di vista il semplice obiettivo del divertirsi suonando assieme. La formazione, sotto la guida del direttore Maurizio Alberani, è ad oggi composta da 10 promettenti e giovani strumentisti che suonano sax contralto, flauto traverso, tromba, trombone, sax baritono, chitarra elettrica, piano elettrico, tastiera, basso elettrico, batteria. La Small Band si è già esibita con successo in alcune occasioni e manifestazioni sia tradatesi sia di altre località italiane (provinciali e regionali): ricordiamo, tra i più significativi, i concerti tenuti a S.Caterina Valfurva all’interno della manifestazione “Cammina e Gusta”, ed a Goriano Sicoli in Abruzzo, per l’inaugurazione della Scuola Materna realizzata dalla Provincia di Varese a seguito del terremoto lì verificatosi. In tutte riscuotendo sempre favorevoli consensi.

57 Scuola Propedeutica e Young Band durante una festa


Alfredo Maestroni (foto di Fausto Bossi)

per anno domini di Alfredo Maestroni

Guarda il cielo: e come altrove muta l’istante. Si frammenta l’Evento al barlume quotidiano, consuma segni a noi sepolti. Brezza fredda che ricuce il bussare di grida, in bilico come apparenze, su distese d’orme a candida neve. Presso il mistero della Notte s’azzarda il vinto scandaglio al fondo d’anima, creste di cime rischiara, spossessa i sordi anfratti di corpi sparsi e ne riluce. Dove falso idillio si forma al tondo di luna e lontananze tracima a svagate, ritorte parole. Alla voce del coro, ultimo stenta il formarsi di una verità senza alfabeto, un Dio nel bicchiere così esiliato, assorto in chiuso aduse stanze.


l a d i v i n a c o m m e d i a d e l X X I s e c ol o un poema di Franco Caminiti illustrato da Alessandro Baldanzi prefazione di Monsignor Franco Buzzi Rettore della Biblioteca Ambrosiana di Milano

Il maestro Alessandro Baldanzi, illustratore e disegnatore fra i più rinomati del panorama artistico italiano e mondiale, docente di Anatomia artistica presso l’Accademia di Brera a Milano, affronta un’impresa ‘titanica’: illustrare il poema ‘La humana istoria’ di Franco Caminiti. L’opera, divisa in 45 canti, per circa settemila versi endecasillabi disposti in terzine dantesche, è stata definita la Divina Commedia del 21° secolo. Il maestro Baldanzi, dalla lettura dell’opera, ha maturato un travolgente entusiasmo per cui ha, di getto, realizzato alcune tavole per quella che già viene considerata ‘una delle più impegnative realizzazioni editoriali degli ultimi tempi’.

Una strettissima collaborazione artistica si è sviluppata fra l’autore del poema Franco Caminiti ed Alessandro Baldanzi, i due artisti si sono incontrati più volte presso la sede dell’editore Real Arti Lego che si occuperà della stampa del prezioso volume. Si tratterà di una tiratura limitata di 1999 esemplari numerati e personalizzati, con dedica autografata dal poeta, dal disegnatore e dall’editore. Il libro, di grande formato, sarà stampato su carta di finissima qualità, rilegato a regola d’arte, ed utilizzando materiali di grande pregio, tutto nell’obiettivo di realizzare un’opera destinata ai collezionisti, un oggetto da custodire gelosamente. 59

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VittoriaSalati ...si racconta di Franco Caminiti

Uscendo dall’incontro con la pittrice Vittoria Salati, viene spontanea una riflessione sul che cos’è l’arte. Se l’arte sia da considerare il frutto di studi accademici dai quali si articola la capacità di mescolare materiali ed utilizzare strumenti del mestiere, con una maestria acquisita per induzione, una tecnica conquistata seguendo l’insegnamento dei maestri, e studiando le esperienze e le opere dei classici, seguendone i percorsi evolutivi... Oppure se l’arte non sia, piuttosto, genuina espressione dell’animo, autentica realizzazione materica di emozioni e sentimenti che trovano spazio e luogo, colori e forme, materia plasmata e resa viva e palpitante, da quelle pulsioni irrinunciabili e dirompenti che mescolano l’ingenuità essenziale dello spirito col desiderio primordiale all’espressione di sintesi esistenziale, e allora l’arte è tale a

prescindere dall’accademicità dei percorsi di formazione, dalla riconoscibilità degli stili, sino alla personalizzazione dei tratti pittorici come degli intercalari dialettici. Allora l’arte è disgiunta dal mestiere, vive di sua vita e risplende di sua luce, a prescindere dagli apprezzamenti critici di pseudo esperti, vive in quanto si realizza come incontro di sensibilità, quella dell’artista che crea e quella del fruitore, dell’occhio che raccoglie impressioni e suggestioni, emozioni e sentimenti e li veicola attraverso una retina cosciente al cuore ed all’anima. Ecco, noi, in questo caso specifico, propendiamo per la seconda tesi: Vittoria Salati, nella sua semplicità di donna, moglie e madre, è un’anima che si esprime, con la tecnica che ha saputo essa stessa darsi, e parla con colori e forme, simboli e ricordi, ad altri cuori che sanno vedere e sentire.


Clicca sul simbolo per guardare il video di questa intervista

“Ho iniziato a dipingere per una sfida: quando mio marito, che è un estimatore d’arte, acquistava dei quadri, anche di un certo valore, spesso questi non mi piacevano molto, per cui gli dicevo: ‘Magari potrei fare io stessa qualcosa di meglio’. E lui mi rispondeva: ‘Ma perché non lo fai?’. Così, nel 2005, quando se ne è andata la mia mamma, a 99 anni, e mi sono ritrovata afflitta da un grande dispiacere, avendo del tempo a disposizione, ho provato a creare qualcosa che uscisse dalla mia

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Notte di luna calante, cm 60 x 60 Fratello Sole e Sorella Luna, cm 60 x 120


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Nefertari in preghiera, cm 100 x 100 La Sacra Famiglia, cm 70 x 90

anima. Le prime cose che ho dipinto sono state le forme del Sole e della Luna. Il sole è mio figlio e la luna mia nuora. Ho iniziato da lì. Abbiamo fatto la prima mostra nel mio paese, io sono di origine di Parma, ed è stata un’esperienza veramente entusiasmante, per cui siamo stati spinti ad andare avanti. Il mio “angolo” è il luogo dove dipingo, dove disegno, e dove a volte faccio l’alba; dalla mia finestra, quando c’è il sole, vediamo tutte le Alpi Orobiche, quando sono innevate, quando c’è il vento e non c’è foschia è molto rilassante; è molto bello quest’angolo, mi ispira, e mi aiuta tantissimo nelle mie creazioni. Nelle mie opere prevalgono le figure che volano, io amo molto volare per cui ho iniziato dai pappagalli, dai


gabbiani, e poi alianti, fenici, mongolfiere, di tutto di più. Ripeto, io amo molto volare, anche ‘fuori dagli schemi’. L’arte egizia mi piace da sempre. Sono stata in Egitto in vacanza e la Nefertari è uno dei personaggi che preferisco, per cui quando ho incominciato a dipingerla ho visto che era un’immagine che si prestava all’elaborazione. Questa opera mi rappresenta molto, direi. Il filare mi ricorda la mia infanzia perché davanti a casa avevamo un vecchio filare; nella sua realizzazione comprende un pochino tutte le mie tecniche: c’è l’incisione, la spatolatura materica, e la sagomatura del tronco, della corteccia, della vite, come si vede, è diversa da quella del palo che sostiene il filare. Infatti, se guardate bene, la spatolatura del palo e quella della vite sono completamente diverse. L’arte sacra è venuta in un secondo tempo; per un au...E in fondo la luce, cm 60 x 80 L’Arpa e la Fenice, cm 70 x 70

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todidatta che dipinge con l’acrilico, che si asciuga mentre si stende, creare gli incarnati dei visi, dei piedi, delle mani, non è facile, infatti per me è stato abbastanza difficoltoso. Ma io sono molto tosta, non mi arrendo mai, per cui ho insistito finché sono riuscita ad ottenere un effetto che mi dava soddisfazione. Certo non mi ritengo all’altezza dei grandi pittori classici, però la mia arte sacra, pur avendo una visione moderna, comunque non è ‘blasfema’. Le mie opere sono, fino a un certo punto, firmate VS

che vuol dire Vittoria Salati, da un certo punto in poi c’è VSM, cioè: Vittoria Salati Mondadori. Mio marito Vanni Mondadori, che mi dà una mano nelle incisioni, incide molto meglio di me. Un critico d’arte mi ha detto che non ho una mia identità perché spazio ed ho troppi soggetti e, secondo lui, non è una cosa giusta. Io ritengo invece che sia testimonianza di una grande creatività, fantasia vuol dire, appunto, dipingere più soggetti con colori diversi. Quando faccio


Nella pagina a fianco: Vecchio filare, cm 70 x 100 La rinascita della fenice, cm 70 x 70 Farfalla Antonella, cm 35 x 35 Aquiloni, cm 60 x 90

Ave Maria, cm 70 x 70

soggetti della stessa serie mi annoio, ho bisogno di provare emozioni, l’arte mi regala un’emozione forte quando riesco a fare un’opera nuova. Ogni volta che faccio un’opera nuova la guardo e mi domando “chi l’ha fatta?”, allora provo una grande emozione perché credo che questo sia un dono che il Signore mi ha dato, e che la mia arte venga proprio da Lui. L’albero materico (L’Arpa e la Fenice), è stato tutto spatolato e sagomato per dare l’effetto corteccia, e questa è la mia Fenice. La mia Fenice è così: non ha artigli non

Vittoria Salati accanto al marito Vanni Mondadori

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ha becco d’aquila, e questa con le corde di ottone, che in realtà suonano, è un’arpa. L’opera di arte sacra (Ave Maria) direi che è particolarmente preziosa per la sua cornice, va osservata in ogni particolare: questo è un pizzo che ricamavo quando sono stata in collegio; è stato abbastanza facile per me riportarlo sulla tela e sulla tavola, però inciderlo non è stato altrettanto semplice. E questa non è la classica solita Madonna, questa è la ‘mia’ Madonna”.

L’“angolo” dell’artista


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CENTRO DIAGNOSTICO S. NICOLA

CASTELLANZA POLIAMBULATORIO SPECIALISTICO E ODONTOIATRICO Un nuovo punto di riferimento per i cittadini ma anche per aziende ed enti locali di Letizia Ghiringhelli

A Castellanza, in via Garibaldi 29, è stato inaugurato lo scorso 20 ottobre, il nuovo “Centro Diagnostico San Nicola Castellanza”, sede distaccata della società Centro Diagnostico San Nicola di Tradate, operativo dal 1976 dapprima come laboratorio analisi e, dal 1998, come Poliambulatorio per i servizi di visite specialistiche, diagnostica per immagini, odontoiatria e day surgery erogati in regime privatistico e servizi di medicina del lavoro. La nuova struttura si estende su una superficie di 500 mq all’interno di una porzione, completamente ristrutturata, del complesso che tanti anni fa ospitava, e molti

cittadini lo ricorderanno benissimo e con affetto, la sede della scuola elementare Alessandro Manzoni. Se esternamente si può ancora respirare l’atmosfera dei banchi di scuola di una volta, appena si varca la soglia d’ingresso del Centro si capisce immediatamente come tutto, all’interno, sia stato progettato non solo per rendere gli ambienti accoglienti e rassicuranti per i pazienti, ma per trasmettere con un semplice sguardo la modernità e la tecnologia che caratterizzano la nuova struttura. In un unico spazio ci sono infatti un’area odontoiatrica con relativi servizi e 7 studi medici adeguatamente attrez-


zati con le migliori strumentazioni presenti sul mercato, per ospitare medici specialisti che esercitano visite ed accertamenti sanitari in libera professione. Modernità, tecnologia, medici specialisti altamente qualificati, questo il mix di ingredienti che la Direzione della Società ha scelto per affrontare quella che per la nuova struttura è una vera e propria sfida: “Siamo consapevoli che a Castellanza già esistono altre strutture sanitarie ma accettiamo ben volentieri la sfida di proporre, in relazione alla esperienza da noi acquisita, un servizio agile di elevato standard qualitativo con l’applicazione di tariffe il più possibile contenute e tempi di attesa pressoché inesistenti” – afferma la dott.ssa Sarah Fabucci, responsabile stampa della Società – “La nostra mission” – continua - è di offrire alla comunità un’ampia gamma di servizi e prestazioni di prevenzione, diagnosi e terapia, nella costante ricerca del miglioramento continuo della qualità del servizio e dell’eccellenza tecnica.” Alla base dell’apertura della nuova sede c’è però anche una strategia commerciale ben precisa: sicuramente il primo obiettivo è quello di offrire un servizio aggiuntivo alla comunità ed ai suoi cittadini, nella prospettiva che quello che più conta per i vertici del San Nicola – e di tutte le figure professionali che in esso operano – “è costituire un rapporto personale con i pazienti improntato sull’ascolto delle loro esigenze, sulla cortesia e sulla flessibilità organizzativa dei nostri collaboratori - medici, infermieri, tecnici e personale amministrativo - per soddisfare nel più breve tempo possibile le loro richieste”. Ma c’è un ulteriore aspetto che tuttavia non può essere

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trascurato da parte della Società ovvero l’elevata richiesta di servizi di Medicina del Lavoro che sempre più numerose giungono da parte di enti ed aziende dell’area di Castellanza e dell’Alto Milanese. Tali richieste attestano la professionalità, l’affidabilità e la credibilità che il Centro Diagnostico San Nicola ha saputo conquistarsi in decenni di attività in questo settore e che oggi, grazie all’esperienza maturata ed agli innumerevoli investimenti realizzati, consentono al Centro Diagnostico San Nicola di essere una struttura leader nel campo della Medicina del Lavoro, certificata UNI EN ISO 9001 dall’anno 2004. “Il Centro Diagnostico San Nicola” – sottolinea la dott. ssa Valentina Moroni, responsabile dell’area tecnica di medicina del lavoro – “è in grado di rispondere ad ogni necessità nel campo della salute e della sicurezza aziendale, con interventi ottimizzati nei tempi e nei costi e con personale specializzato a disposizione delle aziende per mettere in atto ogni aspetto previsto dalla normativa vigente (D.Lgs. 81/08 e S.M.I.).” L’entusiasmo, la voglia di crescere e la continua volontà di migliorare i propri servizi per essere sempre più in linea alle richieste dell’utenza di certo non mancano alla Direzione Sanitaria che anzi dichiara di avere una strategia “di sviluppo che prevede la realizzazione di altre tre unità operative da realizzare entro il 2015 in relazione agli indirizzi di sviluppo e di programmazione indicati dal Piano Sanitario Regionale per l’attività sanitaria privata”. Obiettivo finale della Società è che anche a Castellanza si possa ottenere il riscontro positivo per le attività erogate come già accade per la sede di Tradate, dove ogni anno circa 130.000 utenti si rivolgono per le prestazioni sanitarie.

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foto di Giuseppe Cozzi


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L’ex

nerviano

Monastero degli di Gigi Marinoni

Olivetani

e la chiesa di santa maria incoronata


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Il centro di Nerviano riserva piacevoli sorprese e, se un mattino d’inverno un viaggiatore si portasse da quelle parti – ovviamente dopo aver lasciato ben lontano l’auto – si troverebbe catapultato in un tempo altro, dove il centro della comunità sono il potere politico e quello religioso, riuniti in questa vasta area che è l’ex Monastero degli Olivetani, prima luogo sacro e ora sede dell’amministrazione civica, circondato da edifici di varie epoche tra cui molti di innegabile charme, impreziositi dal placido scorrere dell’Olona. La storia dell’abbazia è carica di secoli, da quel lontano fine Quattrocento in cui il nobile Ugolino Crivelli vede tre volte in sonno la Vergine Maria che lo sollecita a costruire una chiesa in suo onore, comunicandogli che il figlio sarebbe morto se non avesse esaudito la sua richiesta. Ugolino tergiversa e, temendo di privare il figlio Antonio di una sostanziosa eredità, si limita a donare un dipinto e pagare alcune messe nella chiesa di Nerviano dedicata a Santo Stefano ma poi all’effettiva morte dell’erede, in preda al terrore contatta il monastero degli Olivetani (l’ordine fondato da Bernardo Tolomei il 26 marzo 1319 che ha centro nel monastero di Monte Oliveto Maggiore e segue la via di San Benedetto) di S. Maria di Baggio dove era in visita l’abate generale della stessa congregazione e, ottenuta l’autorizzazione da Galeazzo Maria Sforza nel 1468 e col beneplacito del Pontefice, il nobile nervianese dà il via con dovizia di fondi all’erezione del complesso. La costruzione del monastero, con la chiesa di S. Maria Incoronata, viene probabilmente seguita dagli stessi frati, che nel Medioevo erano soliti attendere direttamente alla costruzione dei loro luoghi. La Repubblica Cisalpina ne decreta la soppressione con un documento del 16 ottobre 1798: “Veduta la lettera del Ministro dell’Interno 24 corrente responsivo all’eccitamento datogli dal Direttorio Esecutivo nell’antecedente 23, colla quale si assicura che per ciò, che consta dai registri del Commissario del Potere Esecutivo, e dall’Agenzia de’ Beni nazionali nel Dipartimento dell’Olona il Monastero degli Olivetani di Nerviano non possiede fuori Stato; laonde non osta alla di lui soppressione. Ritenuto che i beni di ragione del Monastero medesimo sono stati domandati nel compendio di 25 azioni per conto del cittadino Haller, il Direttorio Esecutivo determina che sarà soppresso il Monastero degli Olivetani di Nerviano a termini del disposto della legge 19 Fiorile anno VI. Si daranno lettere al Ministro di Finanze in conformità, e perché le sostanze alla Nazione, ed egualmente al Ministro dell’Interno, perché ne’ consueti modi procuri la concentrazione degli individui in altri degli esistenti Monasteri del detto ordine”. Come ci racconta Egidio Gianazza nel suo imprescindibile Il Monastero degli Olivetani (edito dal Comune di Nerviano nel 1990), all’epoca facevano parte della famiglia olivetana nervianese l’abate Federico Belcredi, il vicario Gregorio Pogliaghi, il cellerario Mellito Mozzoni e i monaci Ignazio Manara, Franco Mainardi, Rodesino e Benedetto Bonati; oltre ai laici Pietro Osnago, Ambrogio Musazzi (cuoco), Domenico Bosotti (ortolano), Carlo Musazzi (giubilato) e Filippo Rossi (cameriere). L’antica chiesa venne chiusa al culto e tutto il fabbricato passò in mani private. Diviso in diverse unità, servì da abitazione sino agli anni Ottanta del secolo scorso. Per lungo tempo vi hanno abitato contadini, e in tempi

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più recenti vi trovavano posto anche attività artigianali e commerciali, tra cui una falegnameria e addirittura una macelleria, addossata al corpo centrale della chiesa, oggetto di scandalizzata ironia da parte di molti cronisti contemporanei. Il Comune di Nerviano acquista dagli Istituti Ospitalieri (1971 e 1976) e dall’architetto Gardella (1974) le parti ancora di loro proprietà della gloriosa struttura (dichiarata nel 1928 di importante interesse storico-artistico e sottoposta alle disposizioni di legge sulle antichità e belle arti). La chiesa sarà successivamente acquistata, nella seconda metà degli anni Ottanta, dalla società Realizzazioni Edili Nervianesi. Il progetto di restauro, conservazione e riuso è curato degli architetti nervianesi Cesare Chichi, Vittorio Giola e Bruno Lampugnani che presentano il loro progetto nel febbraio del 1999. I lavori, ultimati nel 2002, restituiscono alla città, oltre

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alla Biblioteca dedicata ad Alda Merini, il Municipio (sala consiliare nell’unica navata della chiesa e uffici comunali nei vecchi ambienti conventuali), mentre il chiostro all’aperto viene utilizzato per vari eventi culturali, tra cui Nerviano Estate (a giugno la musica, a luglio il teatro e ad agosto il cinema). L’opera d’arte più famosa, il polittico con l’Incoronazione e Assunzione della Vergine di Ambrogio da Fossano detto il Bergognone, terminata nel 1522 e sua ultima opera datata, è ora conservata presso la Pinacoteca di Brera, mentre nell’aula consiliare resta un’ottima riproduzione fotografica di pari dimensioni a tramandarne il fascino. All’entrata della chiesa che dà sulla strada, sopra il portale è ben leggibile una frase in latino che ancora oggi invita a riflettere il frettoloso viandante del terzo millennio: “Voi che entrate per questa porta ispirate a bontà il vostro cammino e i vostri intenti e io sarò con voi in questo luogo sacro”.


C astellanza

eventi attività ed

Coloro che sognano (C. Ducoli)

dei Comuni

FOTOGRAFIAD’AUTORE in Villa Mostre a cura di Claudio Argentiero dell’Archivio Fotografico Italiano

Les Villes Animaux (F. Todde)

Coloro che sognano (C. Ducoli)

Legacies (Roberto Toja)

12 – 27 gennaio 2013 Villa Pomini – Castellanza (Va)

L’A.F.I.-Archivio Fotografico Italiano, che ha come finalità quella di promuovere la fotografia in tutti i suoi aspetti, valorizzare e far conoscere i giovani autori, diffondere la cultura della preservazione di immagini storiche, moderne e contemporanee, incoraggiando il collezionismo, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Castellanza (Va) organizza dal 13 al 27 gennaio 2013 presso la storica Villa Pomini la rassegna fotografica dal titolo: FOTOGRAFIA D’AUTORE in Villa.

Due le esposizioni in programma: LEGACIES di Roberto Toja THE GRAIN SEEDERS di Carola Ducoli, Costanza Gianquinto, Francesca Todde Informazioni sulla rassegna: Periodo: 12 – 27 gennaio 2013 Luogo: Villa Pomini – Via Don Luigi Testori 14 – Castellanza (Va) Inaugurazione: 13 gennaio 2013 ore 17,30 Orari di vista: dal martedi al sabato 16/19 – domenica 10/12,30 – 15/19 – ingresso libero Organizzazione: AFI – Archivio Fotografico Italiano / www.archiviofotografico.org


© foto: redazione Olona e dintorni

Nuovo

Ospedale

L egnano

di

I primari dell’Ospedale di Legnano ci illustrano lo “stato dell’arte” della sanità. 76

In questo numero parliamo di: Cardiologia di Stefano De Servi

Qualche tempo fa, un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica The New England Journal of Medicine mostrava come tra il 1960 e l’anno 2000 l’età media si sia allungata di 7 anni grazie al progresso medico: di questi ben 6 anni erano ascrivibili allo svilupparsi delle conoscenze e ai trattamenti legati a patologie cardiache. In effetti, la cardiologia ha avuto, e continua ad avere, un così rapido e continuo sviluppo che anche per i cardiologi diviene spesso difficile avere un costante aggiornamento. La stessa cardiologia si è frantumata in sottospecialità che esigono conoscenze specifiche in inarrestabile divenire. Per definire oggi un cardiologo bisogna aggiungere se è un emodinamista, un elettrofisiologo, un esperto di imaging. Lungi da me criticare questa parcellizzazione, perché le conoscenze sono spesso molto specifiche, relative a tecniche interventistiche delicate, il cui esito finale dipende dall’esperienza acquisita sul campo. L’importante è che in ogni gruppo ci sia chi tira le fila, approvi le indicazioni e valuti i risultati in accordo con i dati più recenti proposti dalla letteratura e dalle Linee Guida, impedisca insomma

che la professione medica si esaurisca in tecnicismi esasperati che facciano perdere di vista il ruolo centrale della cura al singolo paziente. L’infarto miocardico acuto Descrivere gli sviluppi della cardiologia per me è come ripercorrere il cammino della mia professione medica. A metà degli anni Settanta, quando ho incominciato il mio percorso, il ruolo del cardiologo era quello di fare la diagnosi e in molti ospedali l’unico strumento a disposizione, oltre al fonendoscopio, era l’elettrocardiogramma. Si erano già diffuse le Unità Coronariche, per la monitorizzazione dei pazienti con infarto acuto, ma la terapia in questi casi consisteva per lo più solo nel placare il dolore con la morfina e nell’intervenire a trattare le aritmie maligne con il defibrillatore La mortalità ospedaliera per quella patologia era circa il 20% e spesso i sopravvissuti avevano aree infartuali così estese che la loro vita successiva ne era segnata. La cardiologia è diventata sempre


più invasiva e oggi il trattamento dell’infarto acuto consiste nella cosiddetta angioplastica primaria, cioè nella riapertura, il più precoce possibile, dell’arteria coronaria che, occludendosi, ha dato origine alla sofferenza ischemica (cioè da assenza di sangue e quindi di ossigeno) della parete miocardica (cioè di quella parte di muscolo cardiaco che riceve sangue da quella coronaria occlusa). Per riaprire il vaso chiuso, il paziente deve essere portato in sala emodinamica dove, sotto guida radiologica, gli viene punta l’arteria femorale (all’inguine) o radiale (alla mano) e inserito un filo detto catetere guida, entro il quale si fanno scorrere strumenti miniaturizzati, tra cui un palloncino che, opportunamente gonfiato, riapre il vaso e fa nuovamente fluire il sangue all’area miocardica colpita. Successivamente viene inserito un dispositivo metallico (stent) che ha il compito di tenere aperta l’arteria e che nel tempo viene incorporato entro la parete del vaso. La procedura è molto delicata ed esige personale sia medico che infermieristico molto specializzato. Basti pensare che il diametro di un’arteria coronaria principale è di circa 3 millimetri! Questa tecnica di riapertura dell’arteria nella fase acuta dell’infarto è da noi applicata nell’ Ospedale di Legnano dal 1998, tra i primi nel nostro Paese. Da allora abbiamo trattato oltre 2.500 infarti miocardici in condizioni di ur-

genza-emergenza in qualunque giorno o a qualunque ora si presentassero. La mortalità per questa patologia, grazie a questi interventi, si è notevolmente ridotta ed è inferiore al 5%. Una recente indagine dell’AGENAS (l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari ) ha recentemente confermato che il nostro è tra i primi cinque ospedali italiani con la mortalità più bassa per infarto miocardico acuto. L’angioplastica coronarica La medesima tecnica che abbiamo descritto per l’infarto acuto può essere applicata alle coronarie di pazienti che soffrono di angina pectoris cronica, in cui indagini specifiche hanno fatto sospettare la presenza di restringimenti lungo le arterie, di cui la coronarografia ha poi confermato la presenza. Anche in questi pazienti le stenosi vengono dilatate col palloncino e sigillate con gli stent. Questi dispositivi metallici sono in acciaio o in lega di cromo-cobalto, rivestiti di farmaci che vengono gradualmente rilasciati, grazie a sofisticate tecnologie, permettendo di contrastare un fenomeno che per molti anni ha reso poco duraturo l’esito di queste procedure: la “ristenosi” ovvero il riformarsi del restringimento. L’angioplastica coronarica fu introdotta da un cardiologo svizzero, Andreas Gruntzig, che eseguì il primo

Prof. Stefano De Servi Direttore Dipartimento cardiovascolare dell’Azienda Ospedaliera di Legnano

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intervento di questo tipo nel 1977. La tecnica si diffuse rapidamente nel mondo e progressivamente si affinò permettendo di trattare condizioni cliniche e anatomiche che prima del suo avvento si potevano trattare solo con il bypass aorto-coronarico, un intervento più invasivo perché richiede l’apertura del torace attraverso lo sterno. Va precisato che l’angioplastica non sostituisce l’intervento chirurgico nei pazienti in cui le coronarie sono diffusamente malate, soprattutto quando il paziente è diabetico. Il recentissimo studio FREEDOM, presentato pochi giorni fa alla Convention dell’American Heart Association a Chicago e contemporaneamente pubblicato su The New England Journal of Medicine, ha mostrato come l’intervento chirurgico fornisca risultati più duraturi e sia sostanzialmente più efficace dell’angioplastica coronarica nei pazienti diabetici con malattia coronarica estesa a più rami. Nel nostro ospedale di Legnano è operativa una Cardiochirurgia sin dall’anno 2000 e la collaborazione tra cardiologi e cardiochirurghi (guidati dal dr. Germano Di Credico) è sempre stato uno dei punti di forza dei nostri reparti, garanzia di ottimi risultati clinici per i pazienti.

re per via percutanea ad una distanza di 3 anni dall’inizio dello studio. L’intervento consiste nel passaggio della valvola lungo un filo guida sino al posizionamento a livello della valvola aortica, che viene precedentemente schiacciata con un pallone sui bordi della parete aortica. La sonda è posta nell’esofago ed è utile per il monitoraggio ecografico: l’operatore opera infatti sia vedendo lo schermo radiologico, sia osservando le immagini fornite dall’ecocardiografo. A Legnano sono state impiantate oltre 120 valvole aortiche per via percutanea. Il nostro è tra i 6 centri lombardi che praticano abitualmente tale tecnica ed è centro di riferimento per questo intervento per un’area molto vasta che si estende a nord di Milano. Tali procedure nel nuovo ospedale sono eseguite in una sala emodinamica cosiddetta ibrida, cioè disponibile anche per interventi misti in cui sia il cardiologo interventista che il cardiochirurgo (o il chirurgo vascolare) possono operare in collaborazione. I disturbi del ritmo cardiaco

L’impianto percutaneo delle valvole cardiache

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Un altro ambito in cui la cardiologia interventistica ha fatto notevoli progressi è l’impianto percutaneo delle valvole cardiache, in particolare di quella aortica. Questa valvola, che si apre ad ogni battito cardiaco (tra le ottantamila e centomila volte al giorno a seconda della frequenza cardiaca) per far scorrere il sangue spinto dal ventricolo sinistro in aorta, col passar del tempo si irrigidisce e si ispessisce anche per deposito di calcio. Si determina così una stenosi aortica, che ostacola il normale fluire del sangue. È una condizione che si osserva in molti pazienti anziani, divenuta sempre più frequente anche per l’allungarsi della attesa di vita. Spesso questi pazienti sono in buone condizioni generali e possono essere trattati con l’intervento chirurgico tradizionale a cuore aperto; molti invece hanno comorbilità tali da rendere l’operazione tradizionale ad alto rischio. Sono questi, infatti, i candidati alla sostituzione valvolare aortica per via percutanea. Uno studio presentato nel mese di ottobre di quest’anno al congresso TCT di Miami conferma che l’utilizzo di questa tecnica permette di migliorare la sopravvivenza dei pazienti anziani non candidabili all’intervento chirurgico rispetto al semplice trattamento con la terapia medica. Lo studio, denominato PARTNER, ha permesso di osservare questo beneficio clinico offerto dalla sostituzione valvola-

Dal primo impianto di pace-maker, effettuato nel lontano 1958 ad oggi, notevoli sono stati i progressi anche dell’Elettrofisiologia, quella branca della Cardiologia che studia le alterazioni del battito cardiaco. Grazie al miglioramento introdotto dalla loro miniaturizzazione oggi i pacemaker sono sempre più ‘intelligenti’ e sono in grado, non solo di stimolare il ritmo cardiaco nei casi di bradicardia marcata o blocchi dell’impulso elettrico, ma anche di riconoscere aritmie maligne, responsabili di arresto cardiaco come la fibrillazione ventricolare, e di trattarle con interventi appropriati. Altri tipi di aritmia, meno pericolosi ma fastidiosi, come le tachicardie parossistiche e le fibrillazioni atriali, possono essere trattate con interventi di ablazione transcatetere, cioè ‘bruciando’ (solitamente applicando piccoli dosi di energia con la radiofrequenza) quelle aree di tessuto cardiaco che danno origine ai ‘cortocircuiti’ che causano le aritmie. Anche in questa area si è notevolmente sviluppata l’attività della nostra cardiologia negli ultimi anni. Nuove tecniche diagnostiche: la TC coronarica Nell’ospedale nuovo di Legnano è attiva una TAC di ultimissima generazione, cosiddetta a 256 strati, che permette una definizione estremamente dettagliata del-


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Sala emodinamica

le strutture anatomiche e che le descrive con precisione anche quando sono in movimento, come quelle che compongono il nostro cuore. In particolare, la tomografia computerizzata delle coronarie (anche detta angio-TC coronarica o coronaro-TC) è un esame radiologico non invasivo che permette di visualizzare le arterie coronarie, mostrando o escludendo la presenza di placche aterosclerotiche, affiancando così le tecniche diagnostiche cardiologiche tradizionali. Occorre ricordare che l’angio-TC coronarica comporta un’esposizione del paziente ad una quantità di radiazioni cinque volte superiore a quella di una coronarografia invasiva, che rimane il ‘gold standard’ per la diagnosi precisa di stenosi coronariche, strumento indispensabile per scegliere l’eventuale metodo di rivascolarizzazione più appropriato (angioplastica o bypass aortocoronarico). La angio-TC coronarica ha infatti delle limitazioni che possono inficiare la corretta valutazione del lume coronarico, come la presenza di importanti calcificazioni e, per alcune apparecchiature, la presenza di aritmie come la fibrillazione atriale. L’esame si esegue ambulatorialmente, previa valutazione cardiologica, come una qualunque TAC, con acquisizione delle immagini molto rapida (pochi secondi)

durante infusione endovenosa di un liquido di contrasto necessario per opacizzare le coronarie. Al termine dell’acquisizione dell’esame si effettua la ricostruzione delle immagini utilizzando software di analisi tridimensionali alla console del computer ottenendo così diverse tipologie di immagini dell’albero coronarico. Nel nostro Ospedale l’attività di angio-TC coronarica è iniziata nel 2006 grazie alla collaborazione con la Unita’ Operativa di Radiologia ad oggi sono state effettuate oltre 2700 indagini di questo tipo. I progressi della Cardiologia negli ultimi anni sono stati impressionanti, perfino entusiasmanti per chi ne ha potuto vedere gli sviluppi. Patologie delle quali sino a pochi anni fa eravamo semplici spettatori senza possibilità di modificare il corso degli eventi, possono essere efficacemente trattate migliorando notevolmente la prognosi dei pazienti.


1 Il catetere a palloncino viene fatto passare attraverso il catetere guida nell’area vicino al restringimento. Un filo guida interno al catetere a palloncino viene quindi fatto avanzare attraverso l’arteria fino a quando la punta non ha oltrepassato il restringimento.

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Quindi, il catetere per l’angioplastica viene spostato sul filo guida fino a quando il palloncino non si trova all’interno del segmento ristretto.

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Ottenuta la compressione della placca e dopo aver aperto l’arteria a sufficienza, il catetere con il palloncino viene sgonfiato e rimosso.

4 Il palloncino viene gonfiato comprimendo la placca contro la parete dell’arteria.


Angioplastica Inserimento del catetere guida partendo dall’inguine

Le varie fasi

7 Il palloncino viene quindi sgonfiato ed estratto. Lo stent resta in posizione permanentemente, tenendo il vaso aperto e migliorando il flusso di sangue.

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Uno stent viene introdotto nel vaso sanguigno montato su un catetere a palloncino e fatto avanzare fino alla zona ostruita dell’arteria. Il palloncino viene gonfiato provocando l’espansione dello stent fino a farlo adattare alla parete interna del vaso, conformandosi ai contorni secondo le necessità .

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L’Istituto Agrario ‘Mendel’ di Villa Cortese Un’eccellenza formativa dalla natura all’uomo di Franco Caminiti


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Ebbi modo di conoscere l’Istituto Gregorio Mendel qualche anno fa quando, consulente dell’Assessore Provinciale agli Studi, lo accompagnai a visitare la struttura. Avevo sentito dire che si trattava di un’eccellenza di livello nazionale, un esempio di efficienza scolastica, un modo diverso di fare scuola, dove i ragazzi riscoprono gli antichi valori dell’apprendere unitamente al ‘fare’, a diretto contatto con la natura, dalla sua genesi al suo evolversi, sino al collocamento addirittura sul mercato, ebbene: è stato un piacere riconstatarlo di persona in questi giorni. L’autore delle ‘Leggi dell’ereditarietà’ sarebbe sicuramente fiero di sapere che, nella scuola di Villa Cortese che porta il suo nome, i suoi studi, quasi negletti in quella prima metà del 19° secolo, quando anche le parole gene e

genetica non erano ancora in uso, oggi sono messi in pratica e sono motivo di entusiasmo da parte di centinaia di ragazzi. “Un laboratorio di formazione umana e professionale” recita in copertina un opuscolo sul Piano dell’offerta formativa dell’Istituto Mendel. “È nella scuola che lo studente, nel realizzare il proprio percorso formativo, rafforza la personalità e acquisisce una preparazione culturale più completa e solida”, sono parole del dirigente scolastico Gian Mario Mercante. Parole sante! Ma la scuola deve essere all’altezza della situazione, una scuola che sia parte integrante del tessuto sociale. “L’impegno e la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti sono requisiti indispensabili per avere una scuola seria e, conseguentemente, una società migliore”


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aggiunge il professor Mercante, da alcuni anni ottimo dirigente del Mendel di Villa Cortese. Coinvolgimento, quindi, non solo delle famiglie degli studenti, ma anche delle istituzioni, del tessuto produttivo, del territorio in modo particolare. Questa scuola di agraria nasce in forma di Fondazione nel 1934 per lascito testamentario di Francesco Ferrazzi, tutt’oggi l’Istituto Mendel ha il privilegio di poter contare sull’azienda agricola Ferrazzi-Cova dove effettuare le esercitazioni previste dal piano di studi. La scuola agraria nel 1990 acquisisce la definitiva denominazione di Istituto Tecnico Agrario ‘Gregorio Mendel’. Fra le ‘finalità’ della scuola ci salta all’occhio una in particolare: “diffondere le tecniche produttive più avanzate nel rispetto dell’ambiente e del territorio, secondo una visione ‘biocentrica’, impegnandosi a sostenere la conoscenza e la memoria della cultura rurale e la capacità di analizzare la realtà socio-economica attuale”. Quindi notiamo un grande rispetto per il territorio e per la sua antica cultura, alla quale tutto si riconduce. In un periodo in cui le teorie complottistiche parlano di gestione monopolistica delle sementi da parte di gruppi internazionali che operano con tendenze monopolistiche (per non parlare dell’utilizzo di OGM), laddove la modifica del patrimonio genetico delle sementi non sappiamo ancora quali esiti possa avere nel prosieguo della nostra esistenza, sapere che una pianta può essere replicata migliaia di volte solo partendo da un piccolo frammento di una sua foglia, è quantomeno ‘confortante’ *. L’alimentazione è l’elemento fondamentale della vita assieme all’aria che respiriamo, una sua visione più rispettosa delle regole della natura (seppur non guardando con pregiudiziale sospetto alle nuove biotecnologie), e restando nei canoni delle sue leggi, credo sia importante quanto auspicabile. Se vogliamo che ciò accada è importante preparare i nostri giovani alla gestione oculata delle risorse naturali, ed è quello che si fa a Villa Cortese, un istituto che dà una preparazione sempre più richiesta nelle aziende, e con una impostazione scolastica ‘internazionale’ affinché i giovani diplomati possano allargare anche all’estero le loro possibilità di collocamento sul mercato del lavoro. Credo che per un ragazzo che abbia appena finito le medie e stesse programmando il suo futuro scolastico, l’Istituto Mendel possa rappresentare una buona alternativa nella scelta delle ‘superiori’. Se poi volesse andare a fare una visita guidata alla scuola, sono certo che ne resterà affascinato.

*Vedi nota sulla ‘meristematica’ a cura della professoressa Renata Minnaja nelle pagine seguenti


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86 Gian Mario Mercante, dirigente scolastico dell’Istituto Tecnico Agrario Statale ‘Gregorio Mendel’ di Villa Cortese

LABORATORIO DI MERISTEMATICA La fucina delle piante in miniatura di Minnaja Renata

L’Istituto Tecnico Agrario “G.Mendel” di Villa Cortese è dotato di un Laboratorio di meristematica molto attrezzato; in questo laboratorio è possibile osservare e praticare la riproduzione vegetativa di piante attraverso meristemi, ossia cellule vegetali totipotenti in grado di ricostituire individui completi geneticamente identici. Il laboratorio è utilizzato dagli studenti a partire dal terzo anno di frequenza, durante le esercitazioni di Agronomia; nel corso dell’anno gli allievi possono seguire attivamente tutto il ciclo di moltiplicazione, dalla preparazione della pianta madre alla vendita delle piante figlie. Questa tecnica prevede la successione precisa delle

seguenti fasi: preparazione della pianta madre, preparazione di un substrato di coltivazione specifico, espianto, moltiplicazione, radicazione e successivo trapianto ed acclimatamento in contenitori singoli. In sintesi l’intero processo consente, attraverso il prelievo (espianto) di piccole porzioni di una pianta donatrice (pianta madre) opportunamente trattata, di produrre numerosi e, teoricamente infiniti, nuovi germogli (moltiplicazione) su terreno di coltura artificiale opportunamente preparato (substrato) in grado di dar luogo ad altrettante piante autonome e vitali ( radicazione ed acclimatamento). Tutte le fasi, ad esclusione della preparazione della


pianta madre e dell’espianto, devono essere svolte in condizioni di completa sterilità, resa possibile dalla strumentazione in dotazione, ed impongono precisione nell’esecuzione e rispetto di rigide norme comportamentali, pena la perdita del lavoro per contaminazione da parte di funghi e batteri che portano alla morte le piccole nuove piantine. La tecnica consente di ottenere un gran numero di piante sane, geneticamente identiche, in un lasso di tempo relativamente breve, in un luogo artificiale, in qualsiasi momento dell’anno in completa autonomia rispetto alle condizioni meteorologiche esterne, a costi ridotti. Gli studenti hanno quindi l’occasione di apprendere una tecnica di moltiplicazione vegetale all’avanguardia, caratterizzante il loro percorso di studi e la loro formazione, spendibile in futuro nel mondo del lavoro.

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L’avvocato amico a cura di avv. Carmen Cuturello

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La società ALFA conveniva in giudizio, in via cautelare, il signor Tizio per sentir dichiarare dal Tribunale adito la sussistenza di atti di spoglio per aver il signor Tizio demolito una porzione di recinzione posta sulla proprietà esclusiva della Società stessa, ma posta a confine con la proprietà di Tizio, chiedendo, pertanto, la condanna dell’autore degli atti di spoglio al ripristino della recinzione, oltre al risarcimenti di tutti i danni patiti. Tizio costituendosi in Giudizio contestava ogni responsabilità mossa alla Sua condotta, eccependo non solo il crollo spontaneo per lo stato di abbandono, degrado ed incuria, nonché il pessimo stato di conservazione della recinzione medesima (manufatto prefabbricato cementizio composta da lastre risalente agli anni 50), ma, altresì, rilevando l’insussistenza sia dell’elemento oggettivo che soggettivo del paventato atto di spoglio e/o di molestia. La fattispecie, per esser compresa, deve essere affrontata delineando, seppur sommariamente e negli aspetti che in questa sede interessano, la disciplina che regola la figura giuridica dello spoglio (art. 1168 cod. civ.), anche alla luce delle linee interpretative delineate dalla giurisprudenza. In particolare, l’art. 1168 prevede che “chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l’autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo”. La norma disciplina l’azione di reintegrazione (detta anche di spoglio). Tale azione (esercitabile anche da parte del detentore) tutela il possessore che venga privato in tutto o in parte del possesso della cosa, disponendo la reintegrazione, ovvero il ripristino della situazione possessoria lesa, assolvendo ad una funzione recuperatoria. Perché tale effetto possa realizzarsi è necessario che l’autore dello spoglio abbia ancora la materiale disponibilità della cosa sottratta al possessore. In caso di perdita di quest’ultima, l’autore dello spoglio non è più il destinatario dell’azione di reintegrazione, ferma restando la responsabilità per il fatto illecito commesso. Lo spoglio, ovvero la privazione del possesso della cosa, deve essere violento od occulto. Esso cioè deve avvenire contro la volontà di colui che venga spogliato del possesso, ovvero senza che questi ne venga a conoscenza, se non in un momento successivo. Nel caso in esame Tizio, sin dalle sue prime difese, contestava lo stato di abbandono della recinzione (provato documentalmente, non solo tramite dossier fotografico, ma anche mediante la produzione delle segnalazioni del Comune ove era posto l’immobile), cui conseguiva, per costante giurisprudenza, l’insussistenza della figura di uno spoglio giuridicamente tutelabile. Lo stato di abbandono della res comportava la carenza del potere di fatto sulla stessa vanificando l’esperimento dell’azione posses-

soria di reintegrazione. Non solo. Tizio rilevava, altresì, come la parte della recinzione rimossa non fosse nel suo possesso: la recinzione, per il suo stato di vetustà, era andata distrutta, sgretolandosi per il degrado. Tizio non aveva divelto, né distrutto, né sottratto alcun bene né, tantomeno, era in possesso di alcuna lastra paventatamene divelta. In merito, secondo consolidata giurisprudenza, non vi può essere spoglio e non può configurarsi l’azione di reintegrazione qualora la cosa sia andata distrutta, difettando il presupposto per il ripristino della situazione possessoria precedente. Infine, Tizio, dopo aver precisato come la prima lastra cementizia crollava ben 10 anni prima - venendo sostituita dal proprietario da una rete metallica -, la struttura della seconda lastra (ormai logora e priva di manutenzione) cedeva e crollava, provocando lo sgretolamento di parte della terza lastra adiacente. A fronte della nuova inclinazione assunta dalla terza lastra, pericolosamente pendente verso la proprietà di Tizio, lo stesso si attivava e, dopo aver appoggiato la terza lastra al muro di proprietà della Società Alfa, rinforzava i pali di sostegno oggetto del crollo (ormai fatiscenti ed inadeguati alla loro funzione) ed appoggiava una rete metallica removibile a chiusura delle lastre mancanti per mettere in sicurezza l’incolumità fisica di persone. Tale intervento non poteva essere qualificato come sottrazione del possesso, né di disturbo del medesimo, né di pregiudizio al possesso presunto. Anzi, le azioni poste in essere da Tizio, di rinforzo e ricostruzione, erano finalizzate a migliorare una situazione di per sé pericolosa e pregiudizievole per sé, per altri, giungendo a configurare, essendo azioni a loro volta predisposte durante l’offesa contestata da Alfa, una reazione legittima a rimuovere la molestia di cui a sua volta era vittima Tizio. Anche sotto tale ultimo profilo, la giurisprudenza citata in atti da Tizio confermava come, a fronte dell’inerzia del proprietario, qualora una recinzione metallica vecchia e cadente, posta sul confine tra due fondi, venisse sostituita con una nuova, ciò non avrebbe comportato modificazione, restringimento o limitazione al possesso, né in senso di spoglio né tantomeno di molestia. Nel caso in esame, il Tribunale adito, con ordinanza, rigettava la domanda. La società Alfa, presentava reclamo avverso tale ordinanza. Il Tribunale, riunito in camera di consiglio, condividendo gli assunti, le argomentazioni e supportato dalle prove prodotte in giudizio da Tizio, rigettava il reclamo.


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International Exposition

just

it... made in Italy!

www.comoluxury.eu


l a m a t i t a

rossoblù riflessioni sulla lingua italiana a cura di Franco Caminiti

Mica e Michetta, briciole quotidiane

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A pensarci bene, mica è uno dei termini più usati nel linguaggio del Nord Italia e, da un po’ di tempo, anche del Sud, eppure pochissimi sanno da dove deriva e gli altri non se lo domandano mica. Mica è una parola latina, rimasta invariata nel tempo, e vuol dire briciola, ma anche, come spiega il Palazzi: ‘piccolissima particella di chicchessia’; quindi una briciola di qualunque cosa. Da qui il famoso termine michetta, quel panino a forma di rosetta, vuoto all’interno e talmente leggero da poter essere considerato, appunto, una briciola di pane o, più esattamente, una briciolina. Ma il termine mica ha ben altro ruolo nel nostro linguaggio, esso, infatti, è usato frequentemente per rafforzare una frase negativa. Per dire “Luigi non è venuto”, usiamo dire: “Luigi non è mica venuto”. An- che senza il mica la frase resterebbe negativa, ma in quella parolina pare vi sia tutta la delusione di chi aspettava Luigi. Se questi dicesse: “Accidenti, l’ho atteso tutta la sera, ma Luigi non è venuto!”, come si vede, il mica sarebbe superfluo. Questa forma di negazione rafforzata è qualcosa che abbiamo appreso dai francesi i quali, come sa chi ne ha studiato la lingua, costruiscono la frase negativa con due particelle: ne e pas. Se vogliamo tradurre in francese la frase “Pietro non ti ama” diremo: “Pierre ne t’aime pas”. Per cui il ne prima del verbo ed il pas dopo rendono la frase negativa. Ma se i francesi vogliono, invece, tradurre “Pietro non ti ama mica”, al posto del pas mettono la

parola point (punto): “Pierre ne t’aime point”. Il punto, si sa, è la più piccola parte di una linea, così come la briciola è la più piccola parte visibile del pane. Quindi dicendo “Pietro non ti ama mica”, vogliamo dire che “Pietro non ti ama nemmeno un po’; nemmeno una briciola; o, come dicono i francesi, nemmeno un punto”. Gli emiliani, ad esempio, usano dire proprio briciola (brisa) al posto di mica: “So brisa” per dire “Non so mica”. Attenzione, però, ché mica deve sempre essere accompagnato dal non, per cui non è corretto dire “mica vero” al posto di “non è mica vero”. Diciamo che è accettabile, perché ormai entrata nell’uso comune, l’espressione “mica male” che è la traduzione letterale del francese “pas mal”. Per rafforzare la negazione si usa anche l’opposto del concetto di briciola o di punto. Dall’idea di estremamente piccolo si passa a quella di estremamente grande o, addirittura, a quella della totalità, che in italiano si esprime col termine affatto, che vuol dire, appunto, interamente, del tutto, assolutamente. Affatto, quindi, diventa negazione rafforzata ma, anche qui, solo se preceduto dal non: “Non ti amo affatto”. Infatti erroneamente qualcuno pensa che affatto da solo esprima negazione; se alla frase precedente togliamo il non diventa: “...ti amo affatto” che vuol dire: “ti amo assolutamente”; e, capite, c’è una bella differenza!


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Legnano, Corso Giuseppe Garibaldi 12.12.2012 (foto di Andrea Poles)


L’articoloinfondo di Franco Caminiti

Il bruco che non diventò mai farfalla

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Mancano pochi giorni a Natale; le luminarie hanno una luce fioca, i canti natalizi un tono dimesso. Questo Paese mostra la sua impietosa parabola: il grafico parte da un ceto medio che sempre più si assottiglia, sale vertiginosamente sino alle vette di una ristretta casta di privilegiati, per poi discendere, anzi precipitare, nel baratro di coloro che a Natale non avranno di che mettere in tavola (il 28,4% delle famiglie italiane risulta a rischio di povertà). Per la legge di statistica dei due capponi: se una famiglia non ha il suo cappone vuol dire che un’altra famiglia ne avrà due. Questo è il punto: qualcuno in Italia, metterà in tavola due, dieci, cinquanta capponi lasciando a bocca asciutta due, dieci, cinquanta famiglie. È la perpetuazione del privilegio ignobile nella logica del ‘carpe diem’, del ‘per me ci penso io, per gli altri ci penserà Dio’. Sto notando che ’stavolta l’articolo ‘in fondo’, unica nota politica di questa rivista, fatica a decollare. Un flebile ‘Tu scendi dalle stelle’ mi giunge alle orecchie da lontano e blocca la stura di questa mia riflessione periodica. L’articolo, volutamente ‘in fondo’, è uno spazio in cui è impreciso dire che parlo di politica, piuttosto tento di parlare di etica, nella ricerca, fra le cose della politica nazionale, di un minimo di onestà intellettuale che, forse, sarebbe sufficiente a far andare meglio le cose. Dopo l’illusione delle primarie di sinistra che hanno confermato Bersani leader (non ce n’era bisogno, sarebbe bastato un sondaggio da tremila euro), Berlusconi spegne i sogni di gloria di un insicuro Angelino Alfano, dell’agguerrita e rampante Giorgia Meloni, e di qualche altra ‘anima persa’, senza nemmeno passare per insulse primarie, perché al Cavaliere, a lui sì, bastano i sondaggi. In una classe politica di ‘nominati’, chi avrebbe il coraggio di opporglisi, dal momento che, restando in essere il ‘porcellum’, riavrà la facoltà di nominare i più fedeli e defenestrare chi non gli va? Anche Grillo ha fatto le sue primarie, anzi ‘parlamentarie’: 37mila sconosciuti sul web avrebbero scelto le persone che, probabilmente, andranno a fare il buono e il cattivo tempo a Montecitorio. Certo non stava a Grillo cambiare la legge elettorale, è vero, ma come adesso questa famigerata legge fa comodo alla sua gestione del potere interno al movimento! La Lega Nord, dopo aver divorziato dal Calvaliere, è pronta a rimettersi insieme pur di avere la Lombardia, riscoprendo quella vocazione iniziale di “partito del Nord”, ma non disdegnando le comode poltrone di Montecitorio.

Di Pietro, dopo che una giovane giornalista ha messo a nudo il fatto che predica molto bene e razzola molto male, si è ridimensionato con la coda fra le gambe. Casini si aggrappa alla manica del loden di Mario Monti. Vendola, fatti quattro conti, ha deciso che con Bersani si sarebbe garantito un ruolo, magari di governo, e non ha voluto rischiare la carta Renzi il quale, a sua volta, è rientrato nei ranghi con un sofferto, quanto ipocrita ‘Obbedisco!’ E gli altri? Ombre frustrate di un passato, vagano come sacchetti di plastica vuoti che, trascinati dal vento, cercano un ramo spinoso a cui appigliarsi. Programmi in giro? Zero! Idee: zero! Ciò che conta è la strategia per vincere, le giuste collocazioni per non sparire, gli stratagemmi per garantirsi la benevolenza del leader che, grazie alla ‘porcata elettorale’, decideranno chi nominare e chi no, partendo dall’unica misura di valutazione del merito personale: ‘la capacità individuale di genuflettersi’. Come abbiamo fatto a precipitare così in basso? Il Paese che ha dato quasi tutto al mondo, dall’arte alla tecnologia, oggi risulta vergognosamente corrotto, disastrosamente impoverito, sfiduciato, privato dei più fondamentali diritti, depauperato dei più inalienabili valori. Abbiamo, dunque, sacrificata, o peggio svenduta, la nostra dignità, addirittura senza ricavarne alcun compenso? Perché si è precipitati così in basso, dunque? Perché si è perso il senso dell’onore e il disagio della vergogna! È Natale, quello che un anno fa speravamo fosse migliore e che, invece, ci sorprende ancora in questa frustrante impotenza, persi in un caleidoscopio di facce stantìe, e sempre più sfacciatamente arroganti, che sembrano fluttuare, con un ghigno sardonico, in una protoplasmatica assenza di gravità. Ho visto La Russa in tv ridacchiare con la spocchia di chi pensa che tanto basta restare aggrappato a Berlusconi per avere assicurata la nomina, magari a ministro! Giorgia Meloni farà pesare la sua insubordinazione e pretenderà il ‘vitello grasso’. Tanto Berlusconi perdona tutto, purché si rientri nei ranghi. Chi si sente totalmente immune dal virus dello ‘scilipotismo’ scagli la prima pietra. Dove va questa Italia? Beh, con una media di oltre il 24% di famiglie a rischio di povertà sarebbe più giusto dire ‘dove va questa Europa!’ Per stare in clima natalizio mi sarebbe piaciuto mandare un messaggio di speranza, ma vedendo gli eventi che si accavallano concitatamente, e riscontrando che gli atto-


ri protagonisti, i comprimari, ed anche le comparse, sono sempre gli stessi, temo che il tunnel si allunghi e che la luce in fondo si allontani. Fra tutti i politici che ho frequentato non ne ho mai sentito uno parlare di popolo, di futuro dei giovani, o di altre ‘stupidate’ del genere. I discorsi sono sempre quelli ‘alti’: come vincere? Vincere! Restare in sella! Il resto è secondario. L’attività parlamentare? una fastidiosa incombenza! Il popolo? una petulante e informe massa di impotenti esseri che, come ignari banchi di sardine, si lasciano spingere nelle reti a maglia stretta dei pescherecci. È Natale, al ‘Tu scendi dalle stelle’ della mia infanzia qualche cantautore nostrano ha sostituito una sua canzone: la teoria dei buoni sentimenti paga sempre, purtroppo è la pratica che manca. In tv è tutto un succedersi di spot che alternano panettoni, profumi, liquori, e raccolta di fondi per la ricerca. “Fate i buoni!” consiglia il signor Balocco, donate due euro. 2 euro, la quota standard della bontà, una sorta di ‘tariffa’, lo stesso obolo che è servito per votare alle primarie del PD. Sì, a Natale si è più propensi alla bontà, infatti, dopo aver donato 2 euro alla ricerca, 2 per l’adozione a distanza, 2 per... insomma con 10 euro avremo messo a posto la nostra coscienza natalizia e potremo riprendere serenamente per il nuovo anno i nostri litigi coi condòmini. Cosa succederà alle prossime elezioni? E dopo? Niente di nuovo, secondo me: se vince Bersani scatenerà una guerra all’evasione fiscale; se vince Berlusconi una guerra ai magistrati ‘rossi’. Con l’uno e con l’altro l’Italia sprofonderà ancora nel baratro della scarsa credibilità internazionale, lo spread salirà ancora, e lo spettro del fallimento stile ellenico aleggerà sulla nostra penisola. Mario Monti, novello Cincinnato, nel frattempo non sarà tornato ad arare il suo campicello (il potere è una droga, specialmente per chi ne è avvezzo), probabilmente sarà chiamato ancora al ruolo di ‘salvatore della patria’, sempreché, da una maggioranza trasversale, pelosamente buonista

e ossequiosa, non sia già stato eletto Presidente della Repubblica (promoveatur ut amoveatur). Caro lettore, lo so: ti aspetti che io azzardi una risposta alla domanda ‘dove va l’Italia?’ Potrei dire, citando Bob Dylan, che ‘la risposta è caduta nel vento’. Invece ti dico che la risposte è in te! e in tutti quelli come te e come me, basta cercarla, e trovare il coraggio di farne una bandiera. È Natale, ho davanti agli occhi ‘le plat pays’ con i suoi campi imbiancati; un campanile scandisce i suoi rintocchi e poi diffonde le note gracchianti di ‘Bianco Natal’. Cerco una metafora natalizia per chiudere il discorso sui nostri politici, ma non me ne vengono. Ovviamente scarto l’idea, fin troppo scontata, della similitudine con le renne! Invece, insistentemente, mi viene da pensare a un bruco. O, più esattamente, al baco da seta. Schiuso l’uovo, il baco si abbuffa voracemente di foglie di gelso, le divora con compulsiva ingordigia al punto da aumentare di migliaia di volte il suo peso, poi comincia a creare attorno a sé un confortevole bozzolo di seta, a sua volta protetto da una soffice lanugine esterna. ‘E questo che c’azzecca?’ direbbe il nostro Tonino nazionale. Non lo so. Ma, pensando ai nostri politici mi è venuto in mente una larva, che ha saputo strafogarsi e creare un comodo bozzolo, ma che non diventerà mai una farfalla! P.s.: buon Natale caro amico o amica che mi leggi, non ho, purtroppo, la gioia di conoscerti personalmente, ma istintivamente credo in te, nei tuoi valori che custodisci gelosamente aspettando di poterli mostrare un giorno ad una società più giusta; credo nella tua onestà intellettuale, unica àncora e porto sicuro; credo nella fede del tuo cuore e so che somiglia al mio, così come nei tuoi ricordi, sono certo, c’è lo stesso presepe che c’è nei miei. Ecco: se c’è ancora speranza in me è perché credo in te, in voi, nel vostro desiderio di riscatto, perché sento che un giorno sarà una anonima pedina a dare scacco matto al re!

Potete esprimere la vostra opinione su “L’articolo in fondo” scrivendo a Franco Caminiti: olonaedintorni@gmail.com

Farfalla Podalirio

(foto di Armando Bottelli)

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L a p o s ta dei L et tor i

Gentile direttore, mi complimento per la bellissima rivista, un giornale che mancava sul nostro territorio e che si presenta, un numero dopo l’altro, sempre più interessante, sia nelle immagini che nei testi. Mi permetto di farle una domanda un po’ polemica: voi presentate la Valle Olona come un territorio anche a vocazione turistica, dimenticando che per decenni è stato a vocazione esclusivamente industriale al punto da violentare il fiume Olona con scarichi inquinanti di ogni genere... Non le sembra che sia un obiettivo un po’ utopistico? Grazie. Lettera firmata

94 Grazie a lei per i suoi graditi complimenti. Le dirò, innanzitutto, che non bisogna aver timore delle utopie, spesso indicano la direzione verso qualcosa di migliore. Sì, lei ha ragione: a prima vista pochi elementi spingono ad immaginare il territorio della Valle Olona come un luogo dove andare a trascorrere un periodo di vacanza, più idonea sembrerebbe l’Umbria, o la Toscana. Ma, ad esempio, la zona di Castiglione non è forse definita ‘un angolo di Toscana in Lombardia?’ Io credo che il nostro territorio abbia tesori, in buona parte poco conosciuti, che ne possono giustificare una visita: ambienti boschivi di rara bellezza, angoli caratteristici rimasti ben conservati nel tempo. Noto da parte delle istituzioni locali un’attenzione ed una salvaguardia sempre crescente verso il patrimonio artistico, culturale ed ambientale, e ciò mi fa ben sperare. E poi la cordialità nell’accoglienza da parte delle genti di Lombardia, le strutture qualificate, la nostra storia... Credo che, con l’impegno di tutti, la vocazione turistica del territorio della valle diventerà legittima, concretizzabile, ancor più se ognuno farà qualcosa. Noi ci mettiamo il nostro impegno editoriale, i nostri lettori, leggendo ‘Olona e dintorni’, prendono maggiore consapevolezza. Direi che siamo sulla buona strada. Cordialmente.


gode dei patrocini non onerosi* di

Consorzio Fiume Olona (CFO)

Arluno

Canegrate

Cerro Maggiore

Cislago

Gorla Minore

Induno Olona

Marnate

Lonate Ceppino

Parabiago

Rescaldina

San Vittore Olona

Tradate

Uboldo * Olona e dintorni non beneficia di alcun sostegno o finanziamento pubblico. I patrocini non onerosi sono un attestato di fiducia che non comporta alcun esborso di denaro da parte delle istituzioni.

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