PeriodicoMARCO anno 2 N°4 - Disinformazione e Persuasione

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Inverno 2010 Distribuzione Gratuita

Pagine di dibattito e riflessione sui tempi e spazi che viviamo

Persuasione Sondaggio Disinformazione Opinione Pubblicita’ Tendenza Manipolazione

Anno 2/ N°4


R E D A Z I O N A L E

“Nella sua fabbrica padron Soldoni faceva le bibite con gli scarti del petrolio: Ma nessuno comprava quelle bibite perché erano nere e facevano venire il mal di pancia. Allora inventò un bello spot e riuscì a convincere la gente. Tutti bevevano le bibite… e lui diventò ricco, ricchissimo, quasi come un re. I ricchi sono sempre amici del re ed anche padron Soldoni lo diventò. Una sera andò a cena nel suo castello e gli disse; “Facciamo una guerra! Io ti costruisco uno stramissile e tu mi darai cento stramiliardi. Io diventerò il più ricco del mondo e tu diventerai il re di tutta la terra”. “Bene – disse il re – Ma come si fa a convincere la gente a fare la guerra per noi?”. Ci penso io” disse padron Soldoni. Diventò capo della TV e fece un telegiornale bello come uno spot e tutte le sere diceva: “É bello combattere e morire per me e per

il re”. E la gente credeva alle sue parole bugiarde, come beveva le sue bibite nere. Alla fine visto che il re non ce la faceva più a pagare i debiti che aveva fatto, padron Soldoni si comprò il re e con lui tutto il suo regno. E la gente del nuovo reame di padron Soldoni beveva… beveva… e ancora oggi, a quel che risulta al vostro narratore, continua a bere, solo che la bibita adesso è diventata di un bel colore marrone!”. Libera interpretazione tratta da “Padron Palanca” di Mario Lodi – Racconti di Pace. Con questo numero sulla manipolazione dell’opinione pubblica il PeriodicoMarco è arrivato alla fine del suo secondo anno di pubblicazione, era la primavera del 2009 quando iniziarono le uscite monografiche che fino ad oggi hanno riguardato ben sette temi de-

dicati a vari aspetti della società e della cultura: lavoro, abitare, arte, cultura, mafie, fiabe, credenze a cui si aggiunge questa ottava relativa al mondo della comunicazione. Ogni arretrato, per chi si fosse perso la copia cartacea, è scaricabile dal nostro sito www.periodicomarco.it. Non c’è due senza tre e noi ci apprestiamo ad affrontare il terzo anno di edizione con grinta e passione, augurandoci da voi lettori quel sostegno che non ci avete mai fatto mancare e che speriamo vorrete ancora concederci in futuro. Grazie e buona lettura.


Credenze e Cultura di massa: la civiltà dei dogmi

Che cosa sono, che cosa intendiamo esprimere usando il termine credenze? A quale oggetto ci riferiamo esattamente? E a quale scopo? Quando parliamo di credenze, etichetta linguistica solo apparentemente ramificata su una moltitudine di categorie concettuali, altrettanto superficialmente distanti, argomentiamo uno degli aspetti fondamentali di quel complesso di tecniche che sottostanno a ciò che definiamo “manipolazione dell’opinione pubblica”? Oppure, più esattamente – cercando di liberarci noi per primi dal giogo liberticida delle medesime credenze – dovremo iniziare con l’affermare che lo stesso concetto di opinione pubblica è, senza aggiunta di predicati alcuni, fondato propriamente su un insieme specifico di credenze, senza la quale non potrebbe esistere il “pubblico” e tramite le quali si realizza imprescindibilmente e costantemente la stessa manipolazione? In altri termini, possiamo (dobbiamo!) affermare che, di fatto, l’opinione pubblica, così come si è voluto farla intendere non esiste come fenomeno reale, in quanto si costituisce, in maniera peculiare, su un insieme di idee, schemi e atteggiamenti che non esplicano la loro utilità solo nell’esproprio delle capacità critiche soggettive, al fine di guidare “dolcemente” verso gli acquisti di ogni sorta di beni e merci, per la maggior parte assolutamente inutili e materialmente effimeri, ma che – e su questo dobbiamo riappropriarci del diritto (dovere?) alla riflessione – risultano dialetticamente legati alla stessa dinamica di espressione del potere, e del controllo sociale tramite il quale questo si riproduce e si perpetua. Sbagliamo dunque, sbagliamo sempre e quindi perseverando più che indiavolarci cadiamo nella voragine infinita del qualunquismo retorico del pregiudiziale luogo comune, ripetiamo a pappardella “cose” delle quali non sappiamo assolutamente nulla, e mentre ci ascoltiamo parlare orgogliosamente, pretendiamo anche che gli altri riconoscano la dubbia originalità che “crediamo” – appunto – di sciorinare con lucida sapidità. Sbagliamo, e anche la redazione di questo giornale, probabilmente, ha sbagliato, nel sottostare – inconsapevolmente e quindi privi delle naturali difese che lo sviluppo grandioso dei nostri lobi frontali ci mette a disposizione – al dibattito preconfezionato, che ci ha portato a considerare da prima le credenze religiose strettamente intese (vedi PeriodicoMarco numero 7 Autunno 2010), per poi passare a un qualcos’altro che abbiamo confusamente e generalmente discusso come manipolazione, pubblicità, marketing fine alla vendita, telegiornale che travisa i fatti o che li nasconde, giornale che lancia la campagna contro il giudice

comunista o il parlamentare ladro. Ma il punto centrale della discussione non è affatto questo, nemmeno ne sono singole e semplificate manifestazioni gli stessi esempi che riportiamo, ma “credendoli” tali il pensiero è già sconfitto e ben imbrigliato in percorsi obbligati, certamente molti e ben strutturati, sicuramente con la possibilità di essere personalizzati, seguendo, forse, il riflesso di uno dei bisogni derivati ma fondamentali dell’uomo moderno e cittadino, tutto si deve individualizzare, la produzione di massa – che crea la cultura di massa, interamente costituita da un corpus pesante di credenze – lo mostra con sprezzante chiarezza, anche quando ciò non è materialmente possibile, come nel caso delle macchine o delle torte pronte, arrivano mille “optional” e un bel “guarnire a piacere”. Arriviamo così al cuore vero della questione, “il problema preliminare da circoscrivere era questo: in quale misura siamo noi stessi impegnati in un processo di difesa, talvolta inconscio, ma comunque incontestabile, contro un processo che tende alla distruzione di noi stessi, in quanto intellettuali?”, a questa domanda che, nello “Spirito del tempo”, Edgar Morin pone già nel 1962, a distanza di quasi cinquanta anni, dobbiamo solo sostituire il termine impegnativo e poco appropriato di intellettuali con un più semplice e necessario ‘uomini’, magari aggiungendo senzienti e intellettualmente dotati. Quanto siamo disposti allora a guardarci dentro? Considerando che un’occhiatina minimamente approfondita non potrebbe mai prescindere da un massiccio ridimensionamento personale e, soprattutto, da una ristrutturazione della propria “soggettivissima” nonché preziosissima identità personale? Perché, in definitiva, il primo problema che ci troviamo ad affrontare si configura, esattamente, in questi termini e si dispiega, per la maggior parte della sua estensione, in maniera completamente inconsapevole, d’altra parte, da 150 anni almeno, noi cresciamo e ci sviluppiamo a pane e credenze, l’identità personale si trova dunque a essere strettamente legata, o meglio intrecciata, inestricabilmente, a queste credenze. Conseguentemente, delimitare un Sé, per così dire, originario, ammesso, per assurdo, che possa esistere distinto dalle credenze – o cultura? – del gruppo sociale all’interno del quale si nasce, diviene altrettanto impossibile che distinguere le proprie passioni, attitudini e inclinazioni da quelle che i nostri genitori hanno voluto per noi, o meglio, volevano per se e riescono, narcisisticamente, a realizzare solo tramite noi. Eppure, nel momento in cui gli andiamo contro con tutte le energie che abbiamo in corpo, quando pensiamo che mai


saremmo così come ci viene da loro esplicitamente imposto, in questo preciso momento l’identificazione raggiunge il suo apice sublime di sovrapposizione; ogni attore gioca la sua parte, onorando con zelo l’implicito patto di cui tutti hanno perso ogni traccia, nello stesso identico modo in cui ogni credenza ci guida verso la protesta consentita, il dissenso sostenibile, il disagio annichilente, collocandoci, in definitiva, nei ranghi di anticorpi indispensabili a un sistema patologico e continuamente sofferente. Ma da dove viene la forza con la quale le credenze attaccano, guidano e dirigono lo sviluppo non dei pensieri ma del modo di pensare, ovvero del modo di conservare, catalogare, suddividere e collegare i fatti che apprendiamo? Certamente, dal fatto stesso, indiscutibile perché empiricamente ovvio, che tali credenze si strutturano, come si sta cercando di dimostrare, in una cultura – di massa – che quindi, tornando a Morin “costituisce un corpo di simboli, di miti e immagini concernenti la vita pratica e la vita immaginaria, un sistema di proiezioni e di identificazioni specifiche, che si aggiunge alla cultura nazionale e alla cultura umanistica, entrando in concorrenza con loro.” “Questo universo non è retto e regolamentato dal controllo del gusto, dalla gerarchia del bello, dalla dogana della critica estetica. I settimanali, i giornali per ragazzi, i programmi radiofonici e, salvo eccezioni, i film, non sono affatto diretti dalla critica “colta” più di quanto non lo siano i consumi degli alimentari, dei detersivi o delle lavatrici. Il prodotto culturale è strettamente determinato, da una

parte, dal suo carattere industriale, e dall’altra dal suo carattere di consumo quotidiano, senza potersi sollevare all’autonomia estetica. Non è raffinato, né filtrato, né strutturato dall’Arte, valore supremo della cultura degli uomini colti.” In questo universo, forse non ancora adeguatamente considerato agli inizi degli anni ‘60, l’autore non ha inserito l’astro più luminoso e influente, che quindi non possiamo fare a meno di considerare in tutto il suo sconfinato potere, la televisione. I beni prodotti e commercializzati dall’industria culturale, non possono avere, e non hanno, dunque altra forma se non quella di credenze. Se proviamo, infatti, semplicemente, a pensare a un’altra possibile forma tramite la quale diffondere modi di pensare e conseguenti comportamenti, al fine di gestire e regolare lo svolgersi della vita sociale ed economica, ci accorgiamo immediatamente di come ciò risulti impossibile al di fuori di una fitta rete di credenze, accettate e condivise dal gruppo. Rete che può declinarsi anche come “visione condivisa”, “pensiero unico” o cento altri termini diversi, la sostanza non cambia, ad ogni uno il suo spazio fissamente predeterminato, e quando provi a oltrepassare la rete, nessuna polizia segreta è mai risultata più efficiente dell’amico, del vicino di casa o del collega, che, se sei fortunato, ti accolgono semplicemente con quella smorfia stranita o il sorrisetto di circostanza, altrimenti, si può passare direttamente alla diagnosi di paranoia o, meno specificamente, al più genuino giudizio di stupidità. Tutto dipende dalla misura in cui – parlando in termini matematici – quello che affermi si discosta dal comune sentire, e quanto, inoltre, la medesima affermazione implichi un aggiustamento dell’identità personale. Esempi di crescente complessità possono essere i seguenti: non vi è alcuno studio serio, che soddisfi cioè criteri scientifici minimi e necessari, e indipendente, vale a dire condotto da organismi non motivati da interessi economici, né, tanto meno, vicini o dipendenti da chi dovesse trovarsi nelle condizioni di manifestare tale interesse, che dimostri una correlazione fra la presenza di acari nel proprio materasso e l’insorgenza di determinate patologie. Nello stesso modo non vi sono studi seri e indipendenti che dimostrano un’efficacia particolare, ovvero superiore o specifica, della vitamina C nel prevenire i così detti malanni stagionali, almeno non più di quanto lo siano altre vitamine, minerali o antiossidanti, figurarsi poi la credenza di facilitare o agevolare il processo di guarigione quando la patologia è già in fase acuta. In questo momento, infatti, piuttosto che impasticcarsi di caramelline e compressine varie, completamente inutili, ma pagate a caro prezzo nella farmacia sotto casa – se proprio vogliamo fare gli alternativi – invece di starcene tranquillamente a riposare a casuccia, converrebbe di più mangiare 3 o 4 caramelle di liquirizia (non alla liquirizia, ma di liqui-


rizia), il più potente decongestionante, lenitivo e antiinfiammatorio delle vie respiratorie, eppure a me non è mai giunta notizia della commercializzazione di aspirine o spray orali alla liquirizia!!! Possiamo continuare, ancora, costatando razionalmente il fatto che tutti i prodotti prescritti e impiegati nelle diete alimentari, solitamente, portano direttamente al risultato opposto, ovvero aumentare enormemente la probabilità di ingrassare ulteriormente, per ragioni di spazio non possiamo ora sviscerare l’argomento per come meriterebbe, ricordiamo però che parliamo di un problema, l’obesità, che va a interessare quasi il 40% della popolazione occidentale, con un giro d’affari di miliardi e miliardi di euro. A questo punto, aumentiamo il carico sostenendo che lo stato e le mafie – ora va di moda definirle al plurale – non sono affatto due entità separate che si scontrano e si combattono, nel tentativo di instaurare l’ordine legalitario oppure la barbarie, altri figuranti chiamati a simboleggiare, semplicisticamente, come a credenza si addice, l’eterna lotta fra il bene, che è sempre tutto interamente bene nella sua interezza, e il male, che ovviamente è altrettanto completamente male. Diciamo quindi che mafia e stato non sono nemmeno le due facce della stessa medaglia, bensì sono, molto più verosimilmente, sinonimi che indicano lo stesso tipo di organizzazione sociale, o, ancora meglio, economica e specificatamente geografica, dove l’ordine costituito può dispiegarsi solo se circondato da cuscinetti di sicurezza formati dal disordine reale, vale per le periferie intorno a Parigi, come per i territori oltre il casello di Salerno. Anche su questo argomento potremmo andare oltre, parlando ad esempio di come e dove la cosa che chiamiamo mafia agisca veramente, e di come e dove, invece – preoccupandosi, come ogni altro gruppo economico e di potere, soprattutto della propria immagine – si è fatto credere che questa agisca, poi potremmo sconfinare in lombrosiani territori di genetica e antropologia, affermando che i meridionali non sono naturalmente meglio predisposti a delinquere, almeno più di quanto non lo siano i padani, e comunque nello stesso modo in cui gli indiani d’America non sono, geneticamente, predisposti all’alcolismo. Dopo quanto detto, siamo comunque già al giudizio di stupidità, oltre che di scontata, apparente commiserevole ovvietà, quella del meridionale che si atteggia a meridionalista, possiamo comunque andare ancora oltre, sostenendo che la storia che si insegna a scuola con la storia – quella vera – intesa come disciplina nobile e autonoma, non ha nulla a che vedere, almeno nella stessa misura in cui un cavolo non ha nulla a che vedere con una carota, pur rimanendo all’interno dell’orto. Di esempi, più o meno carichi di tragico significato se ne potrebbero fare a migliaia, dall’altra parte, come si accennava sopra, si parla di una fitta rete

che struttura una cultura, che pervade ogni aspetto e momento del vivere quotidiano. Le credenze nascono nello stesso momento in cui l’uomo inizia il suo percorso di civilizzazione, rappresentano una necessità storica che muove da bisogni soggettivi irrinunciabili, quali, per esempio, la paura della morte o la ricerca di senso e significato, e si articolano intorno a funzioni sociali precise che determinano e cementano la vita del gruppo, come i miti e le religioni, nello stesso tempo rappresentano anche un fenomeno particolare del funzionamento cerebrale, consistente nel fatto che la mente umana apprende facilmente e particolarmente per racconti, favole dei bambini e storie dei grandi che spiegano e sistemano il funzionamento del mondo. Oggi, queste credenze presentano, però, una differenza fondamentale rispetto al passato, un qualcosa che ne modifica, snaturandole, le principali caratteristiche, per la prima volta, infatti, nella nostra epoca moderna, sono prodotte, pubblicizzate, commercializzate e vendute industrialmente, come ogni altro prodotto, alla pari delle scarpe o degli assorbenti. Le conseguenze di questa industrializzazione dello spirito sono dunque, oltre che pervasive, devastanti e, probabilmente, irreversibili molto più di quanto si possa coscientemente immaginare. Con queste modalità di produzione e vendita, le credenze industriali assumono conseguentemente un carattere dogmatico, ovvero indiscutibile e non falsificabile, rigidamente determinate, non consentono modifica alcuna, né di alcune parti costituenti, come ogni dogma, sono vere nella loro totale e completa estensione, non risulta possibile sottoporle a una critica argomentata per giungere ad una sintesi esaustiva, più verosimile e quindi maggiormente sovrapponibile al reale. In questo modo, ogni singolo aspetto della conoscenza del mondo deve essere accettato nella sua interezza, senza possibilità alcuna di modifiche reali o approfondimenti ragionati, così, per esempio, risulta coercitivamente innegabile l’idea di progresso, positivamente inteso come miglioramento costante e continuo delle condizioni di vita, a meno che non si scelga, ovviamente, la via di fuga precostituita a tale scopo del “prezzo da pagare”, e dunque, ancora una volta, come a credenza si addice, alla banalità può seguire solo il nulla del qualunquismo più becero. Avremmo, in fine, una moltitudine di esempi da discutere e approfondire, ma il tempo e lo spazio, dei quali abbiamo già vergognosamente abusato, ci costringono solo a ripiegare su un’ultima considerazione che Edgar Morin semplificava come segue: “Cosmopolita per vocazione e planetaria per estensione”, la cultura di massa, “ci pone i problemi della prima cultura universale della storia dell’umanità”. Ivano Algieri


Il Cuore del Desiderio Dice l’economista svizzero a indirizzo junghiano Eugen Böhler*: “La Borsa è l’unica finestra attraverso cui i sogni ad occhi aperti dell’Homo Economicus possano entrare nella sua vita. Nello stesso tempo ciò che credono, sperano e desiderano molti uomini viene proiettato e converge sulla Borsa. Lungi dal regolare la vita economica, la Borsa è essa stessa in balia delle maree della fantasia collettiva”. Dunque cuore del desiderio capitalistico è la Borsa, desiderio di una civiltà ex-opulenta di realizzare sogni di ricchezza per lo più irraggiungibili, frustrazione appagata nei centri commerciali. Ci si soddisfa l’insoddisfazione con l’autocompensazione negli acquisti per noia e solitudine. Desideri indotti, a che servono tre telefonini quando le orecchie sono due? Eppure se ne acquistano anche quattro o cinque e più a testa… continua Böhler: “Mentre l’attività produttiva è il risultato di un processo razionale, l’attività consumistica dipende da impulsi irrazionali, simili all’impulso erotico”. Periodicamente la borsa crolla, s’infrangono i desideri per colpa di pochi gruppi finanziari che gestiscono – male e truffando - casa, energia, tecnologia, lavoro, e quanto altro, cioè i legittimi diritti della gente ad avere un’occupazione, a un tetto, al riscaldamento, al mangiare sano, a una vita decente, ecc., così abbiamo periodiche depressioni. Il capitalismo sposta la necessità di desiderare su oggetti inutili, dopo avere rubato quelli utili e averli bruciati in Borsa, i più ci cascano. “L’economia moderna è una fabbrica di sogni come lo è Hollywood” dice ancora Böhler, “si basa per una piccola parte sui bisogni reali e per la maggior parte sulla fantasia e sul mito”. Desideri contemporanei suscitati: un bell’attore di Beautiful per lei (che vorrebbe liposurgersi per meglio rendersi appetibile come “top-object”), una velina per lui (che ordina viagra e chalis per internet con infarto omaggio), bocconcini di “lusso al salmone” per il gatto (probabile trito di frattaglie di topo modificato geneticamente), un mega schermo al plasma a ventimila canali per tutta la famiglia con proposte quali: mille ore della tua squadra del cuore, mille ore col tuo divo più adorato, mille ore di cartoon per tenere i bambini in trance anti capriccio, mille ore di giochi a premi per sognare di diventare nababbi, mille ore di porno per i desideri più proibiti. I desideri appunto, ma di chi? Delle ditte di produzione e dei quattro persuasori pubblicitari di turno, che desiderano riempirsi bene le tasche, in questo sì abili nel sapersi realizzare i propri di sogni. Del resto chi è abituato oggi ad avere desideri sinceramente suoi quando fin dalla prima infanzia altri decidono dove deve rivolgere le sue brame? E così si desiderano sempre più cose materiali e meno relazioni interpersonali, e trattando tutto come cose, abituati a volerle a tutti i costi, vien fatto con le persone quello che si farebbe con la merce. Tanto che oggigiorno si è meno a disagio su Second Life, là nel mondo dove tutto quello che si vorrebbe si avvera, almeno fino a che non crolleranno i titoli della ditta che ha creato questo nuovo Paese della Cuccagna. Si desidera male dunque, o meglio non si desidera proprio. La canzone diceva: “I sogni son desideri” ma ormai l’economia ha manipolato talmente le persone che le ha portate a desiderare incubi: forse, infatti, che non si trascinano annoiate nei tristissimi centri commerciali credendo di essere ancora vive nonostante il contrario? Consuelo Lorenzi *Eugen Böhler – Der Mythus in der Wirtshaft, Industriele Org., vol. XXXI, 129-36 (1960)


Zio e Nipote

una segnalazione libraria Le idee dell’opinione pubblica non devono essere attaccate frontalmente, quando si fa questo, i nostri lobi frontali ci proteggono bene da qualsiasi forma di convincimento coercitivo; occorre invece trovare un fattore in comune fra gli interessi del venditore e i bisogni dell’acquirente, la cosa migliore è dunque quella di mettere in gioco una terza parte, che ovviamente si presenta come indipendente e si rende autorevolmente garante dei benefici derivanti dal consumo di determinati prodotti e, soprattutto, dalla messa in atto di determinati comportamenti. Enti, organizzazioni scientifiche e simili che “studiano”, “divulgano” e “certificano”; basta insomma che ci sia una bella ricerca, piuttosto che una seria organizzazione, che garantisca l’autenticità di ciò che viene affermato, poco importa chi cavolo ha condotto la ricerca, per conto di chi e chi l’ha pagata. Niente di nuovo, sono ormai tecniche vecchie di un secolo, ma continuamente impiegate con straordinario e puntuale successo, il merito di averle strutturate, va, fra gli altri, anche al nipotino famoso di Freud, Edward Louis Bernays (Vienna 1892, Cambridge 1995), figlio di Anna, la sorella maggiore di Sigmund, ed Eli Bernays, fratello di Martha Bernays (la moglie dello stesso Freud). Leggete il suo libro, ”Propaganda. Della manipolazione dell’opinione pubblica in democrazia”, 2008, Fausto Lupetti editore, è molto interessante, date un’occhiata anche in rete, d’altra parte parliamo dell’uomo che è riuscito a convincere milioni di persone a far colazione a suon di pancetta e uova, una delle caratteristiche “tipiche” delle abitudini alimentari made in USA, è lo stesso che ha convinto milioni di femministe del fatto che fumare le emancipava (facendo la fortuna dell’American Tobacco Company), ed è sempre lui ad aver partecipato alla massiccia campagna di manipolazione che convinse gli statunitensi a entrare in guerra durante il primo conflitto mondiale, quando avevano votato un presidente, e un programma, pacifista. Niente male vero? Ivano Algieri

Elisir di Cagliostro Abile manipolatore delle altrui menti o ingenuo manipolato egli dai servizi segreti di mezzo mondo? Forse non lo si saprà mai con certezza. Dedichiamo all’avventuriero settecentesco questa ricetta originale del XVIII secolo: Fare macerare per una settimana in un litro di alcool a 90°,15 gr. di aloe, 10 gr. di mirra, 6 gr. di cannella, 5 gr. di noce moscata, 1 gr. di genziana, 1 gr. di zafferano e 1 gr. di chiodi di garofano. Filtrare, quindi aggiungervi 100 gr. di acqua di fiori d’arancio e un litro di sciroppo (acqua e zucchero). Buono anche per chi soffre il mal di stomaco. Buon appetito! N.d.R.



L’informazione ai tempi del villagio globale Un grande evento mediatico è come un filone aurifero, anche quando i geologi si rendono conto che si sta esaurendo fanno di tutto per sfruttarlo fino in fondo prima di investire nella ricerca e negli scavi per individuarne un altro. Il terrorismo internazionale, le guerre “preventive”, il caso di Sara Scazzi (giusto per fare qualche esempio) hanno funzionato così. Ad un certo punto il sistema collassa, l’evento si esaurisce ma lo si tiene in vita con la respirazione artificiale. Spesso gli stessi protagonisti si adattano: chi non ha conquistato la popolarità che si aspettava mentre gli eventi si svolgevano cerca di conquistarsela quando giornali e televisioni sono alla ricerca di nuovi protagonisti per tenere viva una scena che altrimenti annoierebbe le persone. Tutto ciò naturalmente è finalizzato a vendere: l’informazione è una merce! Le notizie sono in vendita proprio come al mercato, alcune di esse vengono spacciate come le più interessanti, anche quando non aggiungono nulla alla comprensione di un evento. Ormai, troppe volte, le pagine di un giornale vengono aumentate non per completare l’informazione, ma perché è stata venduta mezza pagina di pubblicità in più. Il resto dello spazio va riempito e così “notizie” che non avrebbero mai ricevuto la dignità di diventare tali sono pubblicate. Un altro esempio è quello dei telegiornali che spesso costruiscono le loro notizie sulla base di immagini che sono funzionali al raggiungimento dell’obiettivo che l’informatore si prefigge. Il Pubblico così fa fatica a entrare nei meccanismi del sistema informazione, ma ha comunque la percezione che il tutto non funzioni in base ai normali criteri di informazione, ma si muova su altre logiche che non hanno niente a che fare col tentativo di rendere l’opinione pubblica più consapevole. Tutto ciò produce come conseguenza disaffezione e diffidenza così che i giornalisti diventano pedine del grande gioco della politica. Un altro problema dell’informazione è la velocità, mai come oggi l’opinione pubblica è bombardata di notizie che arrivano in grande quantità in tempo reale e con dettagli inimmaginabili fino a qualche tempo fa. Eppure l’impressione che si ha è che mai come oggi le persone siano poco informate. Mai come oggi l’opinione pubblica è manipolabile, sembra di sapere tutto e non si conosce nulla. Si sta assistendo a una nemesi del sistema dell’informazione che finisce per tradire i propri fini e invece di informare, di sensibilizzare, di creare consapevolezza finisce per indurre confusione. Un fatto o una notizia possono essere spesi secondo le opportunità politiche di chi governa i meccanismi della diffusione delle informazioni. Quindi la necessità di offrire al pubblico gli elementi di formare la propria opinione passa in secondo piano. Tutto ciò è anche il frutto della globalizzazione selvaggia che investe i mercati e che coinvolge anche l’informazione in quanto merce. Cosa fare? Prima di tutto occorre che il processo di globalizzazione non riguardi solo la potenza dei satelliti o l’avanguardia degli strumenti tecnologi, ma anche i giornalisti, le tutele sindacali, l’autonomia dalla politica e dal potere. Si deve chiedere alle emittenti televisive di dedicare più spazio in prima serata a temi quali l’ambiente, lo sviluppo, le realtà di emarginazione, le mafie ecc. Siamo sicuri che “le cose impegnative non fanno audience?” Il successo del programma Vieni via con me, andato in onda su rai tre è la conferma che di fronte al sistema mercantile dell’informazione che fa credere che occorre il grande fratello o la scosciata di turno a far salire lo share, le persone hanno scelto di guardare qualcosa di serio (non che con questo si voglia negare che anche un programma di impegno come quello di Saviano e Fazio non rientri in certe logiche essendo comunque una produzione Endemol). In questo modo verrebbe sfatato un luogo comune che sembra sospettare di essere funzionale a chi ha tutto da guadagnare da un’informazione, leggera e superficiale per meglio dire il luogo comune secondo il quale il pubblico si annoia e cambia canale di fronte a programmi che parlano di fatti concreti che riguardano i problemi della maggioranza delle persone e che subiscono una globalizzazione opprimente e disumanizzante. L’attuale sistema informativo mondiale sta subendo lo stesso processo di qualsiasi altra attività produttiva: la logica è di mercato, l’etica è di mercato, la selezione e la gerarchia degli avvenimenti si basano su esigenze di mercato. Il predominio del mercato piega il processo di globalizzazione dell’informazione a modello mercantile. L’informazione è un diritto e un dovere, è una pratica di libertà, è un’opportunità per chi non ha voce, è un esercizio di democrazia e una crescita culturale, è difesa della dignità umana. É questo e molto altro. Di sicuro non deve essere considerata solo una merce. Francesca Scaramozzino


Mela Marcia PeriodicoMarco intervista online Ferry Byte, per questo numero abbiamo deciso di riflettere sulle manipolazioni dei media. Ottima scelta ! Tu hai scritto un libro “La mutazione genetica della Apple”, e ci interessa molto sapere cosa ne pensi. Hai scritto un libro su Steve Jobs. Ho partecipato come ‘Ferry Byte’ alla scrittura di Mela Marcia ‘La mutazione genetica di Apple’ con Caterina Coppola, Mirella Castigli (il libro ha un prevalente contributo al femminile) e Franco Vite edito dai tipi di Agenzia X, insieme ci siamo divertiti a darci un nome collettivo: NGN Nessun Grande Nemico, anche per ricordarci e ricordare a tutti che non abbiamo niente di ‘personale’ contro Apple ma che piuttosto che individuare dei nemici da combattere è importante porci dei traguardi culturali da raggiungere ‘insieme’ come quelli di non subire la tecnologia passivamente ma di interpretarla in modo critico. Jobs, un altro imprenditore che alcuni volevano “santo subito”... Ecco tanto per cominciare è stato interessante andare un po’ controcorrente visto che tutti parlano e straparlano bene di ‘questo’ Steve Jobs e di ‘questa’ Apple e ci voleva sicuramente una voce fuori dal coro!;) in questa epoca in cui poi i dirigenti e gli amministratori delegati vengono incensati in ogni modo, era sicuramente opportuno mettere dei punti sulle ‘i’ anche perché il nostro libro è centrato opportunisticamente su un argomento modaiolo, ma tratta di temi antichissimi come quelli dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo o quello del bisogno di autonomia collettiva ma anche individuale. Steve Jobs è un ex fricchettone, un ex libertario che rischia di morire per una brutta malattia e che ha fatto una valanga di soldi gestendo egregiamente idee innovative altrui (a cominciare da quelle dell’ALTRO Steve... WOZNIAK vero smanettone della ‘baracca Apple’): per le ragioni di cui sopra (forse) nel frattempo è diventato molto meno libertario ed anche esageratamente presuntuosetto, è un piccolo imperatore di questi tempi come il (poco) italico Marchionne (in realtà molto più canadese che italiano) che guadagna come tutti gli operai della Mirafiori messi

insieme (veramente! Ma non si può dire... OPS! L’ho detto ;). Jobs a causa della sua onnipotenza ogni tanto però prende anche qualche bella sbandata: basti pensare al suo personale rifiuto della tecnologia Kinect che è una delle vere rivoluzioni tecnologiche del nostro tempo (la prima interfaccia che permette la comunicazione uomo-macchina senza bisogno di periferiche a contatto fisico) e che ha permesso a Microsoft di vendere NOVE milioni di pezzi in meno di due mesi! Ora c’è sant’Assange, che ci dici di lui? La vicenda Wikileaks è simbolicamente epocale perché mette in discussione uno dei concetti atavici e primordiali della cultura umana ovvero il concetto di *segreto* e forse contribuirà definitivamente (insieme a Facebook) a far capire che con l’avvento di Internet la privacy è definitivamente morta (il bravo Rodotà se ne faccia una ragione...). Anche il fatto che un piccolo ma agguerrito esercito di hacker metta in imbarazzo le diplomazie di mezzo mondo è interessante anche se grazie per lo più a una serie di amenità - che i sunniti /ce l’abbiano a morte/con gli sciiti certo lo sapevamo ancor prima che ce lo comunicasse con tanto clamore Wikileaks... Assange di per sé come personaggio fa tenerezza: gli si buca il preservativo ‘a ogni piè sospinto’ (e mai definizione gergale poteva essere più azzeccata ;) e soprattutto gli vengono prematuramente i capelli bianchi a causa della separazione dalla moglie e dai figli, ma sempre su un piano personale il PERSONAGGIO non riscuote troppo la mia simpatia anche perché si avventura spesso in affermazioni poco condivisibili e poco ‘ragionate’ come quella che ha ripetuto spesso che nella storia recente dell’uomo ci sono state delle GUERRE GIUSTE !?! Da sempre risuona la discussione sulla Comunicazione, una parola che è ripetuta quasi come un mantra, che ne pensi? Che è una domanda assolutamente troppo generica alla quale si potrebbe provare a rispondere non con un libro ma con una enciclopedia ;) scherzi a parte è una parola abusata continuamente magari per fare schifezze come il Grande Fratello che non a caso dopo un po’ vie-


ne a noia, ma che non è quasi mai rammentata con ragionamenti critici. ‘Mela Marcia’ è anche un tentativo di suscitare senso critico fra chi si rapporta al mondo della comunicazione spesso in maniera decisamente troppo superficiale. Internet è veramente un mezzo di comunicazione o non piuttosto il sintomo della prossima definitiva morte della medesima, che non è solo mente ma anche corpo (carne)? La dissociazione che molti - ed anche i giovanissimi – provano rapportandosi a strumenti di comunicazione come Facebook, dove viene meno il rapporto con la realtà e mortificato anche il vero rapporto che si può provare con gli ‘altri’, è un problema serio e grave ciò non toglie che Internet continua a essere un formidabile strumento di comunicazione che può servire a noi tutt* per andare oltre il /mainstream/ ma solo se siamo capaci di riempire il vuoto delle macchinette che abbiamo davanti con le nostre idee e i nostri contenuti! Se subiamo l’infrastruttura digitale semplicemente per andare/all’imbrocco/ o sparare a ripetizione superficialità senza senso allora la battaglia è persa comunque, non credo che si possa dare la colpa al mezzo ma solo alla povertà di spirito che evidentemente alberga dentro di noi. Che consiglio daresti ai lettori online del PeriodicoMARCO ? Di continuare a leggere Marco che è una rivista che fa pensare e in tal senso continuare soprattutto a pensare con la propria testa, a cercare di mantenere la propria autonomia (anche digitale) e un briciolo di memoria (che non fa mai male...) e ora vi saluto, ciao da ferry byte con furore! magari la prossima volta troviamo un’occasione per vederci di persona che è tutta un’altra MUSICA ) Ciao, grazie a te. La Redazione

Guantanamera Bullock. Un nome che fa pensare alla Sandra... invece no, è uno psicologo americano che ha fatto una prova: ha chiesto a dei progressisti se erano contrari al carcere speciale a Guantanamo. Lì per lì, hanno detto di essere contrari cinquantasei su cento. Poi agli intervistati è stato detto che a Guantanamo buttavano nel cesso le copie del Corano. I contrari allora sono saliti parecchio. Infine, è stata data la smentita: il Corano nel cesso era una bufala. A questo punto alcuni ci hanno ripensato, ma non tutti: molti di quelli che avevano cambiato idea quando avevano sentito del libro nel cesso sono rimasti contrari. Una volta imboccata una direzione, non se la sentivano di tornare sui propri passi. Questo giochetto illustra come funziona la disinformazione e quale effetto hanno le credenze in generale: ci si attaccano e ci trasformano prima di poterle smentire e anche dopo. Come ci trasformano? In meglio o in peggio? E chi può dirlo? A un certo punto, sono le credenze a stabilire per noi il bene e il male, il meglio e il peggio. Anche quando non ci crediamo più. Quando una notizia si è diffusa la frittata è fatta, è inutile smentire. Pure questa notizia che circola sul PeriodicoMARCO, e prima circolava sui quotidiani e sulle riviste specializzate, potrebbe essere una bufala. Hai voglia a smentire: se l’hanno detto ci sarà qualcosa di vero... Massimo De Micco


Comunicare attraverso le immagini Ingannati dalle apparenze - Manipolati dalla pubblicità Parlare di manipolazione dell’opinione pubblica senza parlare di pubblicità significa lasciare una buona parte del discorso in sospeso, ma è pur vero che trattare come argomento la pubblicità, significa affrontare una tematica molto ampia che ha come fonti di diffusione radio, televisione, web, riviste, giornali, cartelloni e chi più ne ha più ne metta, quindi difficilmente affrontabile in poche pagine. Si potrebbe parlare della pubblicità come una parte del Marketing mix; si potrebbe parlare delle continue idee che si sviluppano intorno alla pubblicità e di come gli spot televisivi diventano delle mini-serie ultraseguite; si potrebbe parlare degli slogan che vengono utilizzati per convincerci, o delle musichette di sottofondo che entrano nella testa del consumatore e che inevitabilmente ci ritroviamo a canticchiare per strada quando ci sentiamo allegri. È chiaro che le argomentazioni da poter affrontare sono davvero tante. In queste righe vorrei concentrarmi sull’aspetto della pubblicità che riguarda le immagini, perché anche attraverso le immagini la pubblicità emoziona, stupisce, appassiona, coccola, vizia... interroga; assedia; condiziona; inganna; manipola! L’immagine fotografica è uno dei punti di forza della pubblicità, difficilmente, o per meglio dire mai, troveremo sulle confezioni dei prodotti culinari una fotografia mal riuscita, un piatto presentato in maniera disgustosa, tutt’altro; dalle immagini presenti sulle confezioni dei risotti pronti ci sembra quasi di sentire il profumo degli ingredienti messi bene in mostra; dalle immagini presenti sulle confezioni dei quattro salti in tegame ci sembra quasi di assaporare il gusto di un piatto preparato dal più grande Chef al mondo. Impossibile non esclamare davanti a quelle immagini: “mmmh... sembra buono!”, e in quella affermazione avevamo avuto un’intuizione, il “sembra”, infatti, arrivati a casa, davanti ai nostri fornelli a fine cottura, possiamo solo osservare un risotto un po’ impastato, troppo umido o troppo secco, troppo speziato o troppo insipido; dei quattro salti in tegame, anche se sono in tanti ad asserire che sono squisiti, ci troviamo davanti un piatto mal composto, in cui la pasta sembra navigare tra ingredienti molte volte ignoti, ma che nonostante tutto è pronto in cinque minuti (ce ne metterei volentieri altri cinque per mangiare un velocissimo piatto di pasta aglio, olio e peperoncino), ci rendiamo quindi conto che l’immagine sulla confezione non rappresenta un piatto cucinato utilizzando il prodotto acquistato. Ecco, è a questo che mi riferisco, l’immagine pubblicitaria più volte nel corso della nostra esistenza ci ha ingannato e possiamo essere sicuri che continuerà a farlo, questo uno dei motivi per cui sulla maggior parte dei prodotti troveremo un messaggio, a volte difficilmente reperibile: “L’immagine ha solo scopo illustrativo”. Cerchiamo di comprendere in grandi linee come viene prodotta un’immagine pubblicitaria. Il più delle volte si tratta di immagini di Still Life, il ramo della fotografia maggiormente utilizzato per foto pubblicitarie in quanto prevede fotografie che per lo più sono scattate in studio, quindi con un pieno controllo dell’illuminazione e con un processo di post-produzione dell’immagine digitale che porta a ulteriori miglioramenti attraverso la pulizia di ogni piccolo difetto. Molto spesso però ottenere delle composizioni a dir poco perfette, come quelle visibili nelle foto dei panini prodotti dal fast food più famoso al mondo, o ad esempio nei menù raffiguranti deliziose coppe di gelato, non è poi così semplice e rapido da fare, non basta entrare in un fast food e farsi dare il panino da fotografare, o prendere una vaschetta di gelato e spalmarlo qua e la, verrebbero fuori delle immagini che porterebbero a un effetto opposto, che continuerebbero a manipolarci, ma in negativo, facendo scappare i futuri clienti a cui sarà rivolta l’immagine. Il problema è facilmente risolvibile, il fotografo o lo scenografo addetto alla composizione ha il compito di curare ogni minimo particolare, aggiustare ogni difetto già in fase di scatto. Per le foto del panino citato viene affrontato un processo compositivo non indifferente, innanzitutto il panino è molto più grande di quello realmente servito in Italia e non viene passato sulla griglia, quindi mantiene la sua forma originale; le fettine di formaggio fuso non sono sciolte; l’insalata, solitamente riccia in quanto fa più scena, è ben disposta; l’hamburger e i pomodori ben in vista; il tutto affiancato dalle patatine che


vengono disposte nel pacchetto una a una e dall’inconfondibile bicchiere di bibita che ha sulla sua superficie delle goccioline d’acqua disposte in maniera che potremmo definire esatta, che in realtà acqua non è, e non è neanche disposta in maniera naturale; si tratta di glicerina, utilizzata in campo fotografico al posto dell’acqua perché produce lo stesso risultato, ma è molto più gestibile. Allo scatto finale aggiungiamo qualche ora di ritocco e il gioco è fatto, l’immagine è invitante, il panino sembra appetitoso e tutti, o quasi, siamo pronti a cacciare il portafogli e provare la novità, il panino riportato in foto che però, una volta servito, risulta alquanto deludente. Questo descritto è uno dei casi in cui vengono utilizzati prodotti reali, vale a dire che il panino fotografato, a parte la glicerina, in questo caso è formato realmente dagli elementi rappresentati nell’immagine, il trucco c’è però, alcuni di questi ingredienti non sono cotti a puntino, quindi mantengono la forma originale. Ci sono invece casi in cui gli elementi presenti in foto in realtà sono falsi, soprattutto in campo gastronomico viene spesso fotografato cibo finto riprodotto con la tecnica denominata mock-up, attraverso la quale possono essere ricreati, da artisti davvero bravi, gli elementi che poi verranno fotografati. Spesso per le foto presenti sui menù di pub e pasticcerie vengono utilizzate delle vere e proprie sculture raffiguranti i panini o le torte; per gli spot sugli yogurt si può utilizzare colla vinilica diluita, attraverso la quale può essere regolata a proprio piacimento la densità del prodotto; per fotografare le coppe di gelato, visto che quello reale si scioglierebbe sotto le forti luci da studio, può essere utilizzato il formaggio fresco spalmabile, opportunamente amalgamato ed eventualmente colorato; e per finire, vogliamo parlare dell’ondina perfetta fatta dal dentifricio sullo spazzolino? non è fatta di dentifricio, ma è un’ondina fatta di gomma, quindi è ora di smetterla di provare e riprovare a farla, non ci si può riuscire, potrà venire simile, ma mai perfetta, sarà sempre un po’ sbilenca. Di casi da descrivere ce ne sarebbero a centinaia, così tanti che sarebbe impossibile riportarli tutti. Risulta banale concludere con la raccomandazione di non farci più ingannare dalle immagini pubblicitarie che ci vengono mostrate, per questo non riporterò nessuna raccomandazione, anche perché sono convinto che sarebbero parole sprecate, come porre davanti ad un bambino (potrei dire anche davanti a un adulto) un barattolo di cioccolato spalmabile e raccomandargli di non mangiarne neanche un po’ mentre non ci siamo. Esistiamo, questo il motivo per cui possiamo essere manipolati dalla pubblicità! Raffaele Vella


Forse non tutti sanno che... Il matrimonio come sacramento indissolubile è stato sancito dalla Chiesa soltanto durante il Concilio di Lione del 1274. Poligamia e incesto sono stati invece condannati ufficialmente durante il Concilio di Trento del XVI secolo. La festa di Halloween, con le sue zucche, è celebrata da secoli in Italia settentrionale, Basilicata e Puglia, ben prima dell’attuale commercializzazione U.S.A. Il Natale non è presente tra i primi elenchi di festività cristiane perché i primi cristiani non lo festeggiavano. Il 25 dicembre divenne la ricorrenza della nascita di Gesù solo dopo la fine del III secolo. Non è vero che in passato si viveva meno. È il calcolo della media statistica della speranza di vita, comprendente tutti i nati morti, che la abbassa in modo innaturale. Nella realtà il servizio militare a Sparta, ad esempio, finiva a ben 60 anni. Nel nostro pianeta il sud e l’est non sono abitati da gente più stupida o cattiva di quella del nord o dell’ovest, è che alle multinazionali, per loro profitto, piace disegnarci così. Progresso? Un cacciatore paleolitico impiegava 2 ore al giorno per procurarsi il necessario per vivere, un agricoltore neolitico 12, un operaio dell’’800’ 16, a un precario contemporaneo non ne bastano 24. Babbo Natale è “turco”, il vero S. Nicola, infatti, era vescovo di Mira nel 350, ed è sepolto oggi nel Duomo di Bari. Nella sua vita di suddito romano non ebbe mai occasione di spostarsi su slitte trainate da renne. Il 2 % della popolazione adulta possiede oltre la metà di tutta la ricchezza mondiale, mentre la metà più povera (3 miliardi ½ di persone) deve spartirsi soltanto l’1%. La faida, la riparazione delle offese come sacro dovere non del singolo ma della famiglia, è stata importata nella penisola italiana dalle tribù germaniche nell’alto medioevo. N.d.R.


Parole non dette, silenziose , cariche di verità scomode TUTTO QUI. La storia dei Massimo Volume, il libro di Andrea Pomini (Arcana editore) Erano gli anni a tracollo tra la fine degli ‘80 e l’inizio dei ’90, Bologna era ancora la città d’approdo per i giovani pieni di sogni e voglia di rivoluzione; l’Italia si stava leccando le ferite del terrorismo e della cattiva e falsa informazione di stato… non tutto era al posto giusto (e quando lo sarà mai?). Si auspicavano tempi migliori ma l’indottrinamento e l’avvento di una nuova società e le vecchie leve del consumismo facevano proseliti. Il Globale era alle porte degli stati, ma tutto sommato si respirava una nuova aria. Ecco, è qui e da qui che partono e nascono i Massimo Volume, da una Bologna che sta per morire e una nuova città che vedrà solo piccoli attimi di gloria e poi il buio, e poi il niente. Emidio Clemente, Vittoria Burattini, Gabriele Ceci e Umberto Palazzo sono, chi per un motivo e chi per un altro, approdati in Emilia dalla provincia, da piccoli paesi delle Marche e dell’Abruzzo, hanno già esperienze musicali ma sono ancora acerbi sia per attitudine che per età. Umberto Palazzo lascerà quasi subito il gruppo per divergenze mai chiarite abbastanza e sarà sostituito dal bellunese Egle Sommacal, subito dopo l’uscita dell’introvabile “Demo Nero”. Il fattore eccezionale di questa storia è che tutto ruota intorno ad una città, Bologna, che diverrà la loro seconda casa, la loro seconda vita. La rivoluzione che i Massimo Volume apporteranno al Rock in Italia è agli occhi di tutti, la loro singolare esperienza e la forza che emanano saranno la strada alternativa di una nazione allo sbando e al declino con l’avvento della televisione commerciale e la volontà di un manipolo di stupratori dell’informazione che ancor oggi irradiano le menti assuefatte e contorte delle nuove generazioni. La loro è una strada alternativa da seguire accompagnati da altri musicisti quali Afterhours, La Crus, Marlene Kuntz, Scisma, Cristina Donà, Subsonica, Disciplinatha ed altri, le etichette di riferimento sono la Mescal di Valerio Soave ed il neonato C.P.I. che alla faccia di tutti credono in questi progetti e li sovvenzionano. Il libro di Andrea Pomini prima che una biografia è un atto d’amore di un fan verso una band che ha segnato indissolubilmente una generazione; “Tutto qui” inizia e finisce con la voce dei protagonisti, di chi c’era, di chi li ha conosciuti, di chi li ha visti crescere, e nelle loro parole troviamo tutto ciò che è umano: ossessioni, passioni, litigi, viaggi, sballo, feste … amicizia: addii e nuovi arrivi, il tutto raccontato per associazioni, ricordi, nessuna barriera o censura ad ostacolare la storia! La parola, ecco la magia che i Massimo Volume apportano al Rock, dopo di loro in tanti faranno lo stesso ma non come loro; però resta oggi da chiedersi quanto abbia influito e rafforzato l’idea del recitato, l’amicizia che legava i Massimo Volume di allora con Manuel Giannini e l’uscita di “Brodo di cagne strategico” dei suoi Starfuckers, punto di domanda senza risposta ma che di certo non è trascurabile. La parola e’ il verbo: il respiro affannato di giornate strascicate, corrotte, oblique; la quotidianità, le regole: la verità contrapposta alla mercificazione! L’esperienza dei Massimo Volume prende voce e s’inerpica per sentieri sconosciuti, sin dall’inizio si ha la consapevolezza di non essere di fronte ad un’idea derivativa ma alle prese con un miscuglio di reminescenze in divenire. La storia dei Massimo Volume ruota intorno alle parole, quelle non dette, quelle silenziose, ma sempre cariche di verità scomode, frasi che sono diventate dei veri e propri manifesti e che hanno segnato tante vite e altrettanti ricordi. Questi erano e sono i Massimo Volume… e poi il Mito! Discografia: • 1992 - Demo Nero • 1993 - Stanze • 1995 - Lungo i bordi • 1997 - Da qui • 1999 - Club Privé • 2010 - Cattive abitudini • 2011 - Massimo Volume e Bachi da pietra Split Ep Rubrica musicale a cura di: Giuseppe Bianco


CONTENUTI REDAZIONALE pag.2 CREDENZE E CULTURA DI MASSA: LA CIVILTA’ DEI

DOGMI

pag.3 IL CUORE DEL DESIDERIO pag.6 ZIO E NIPOTE UNA SEGNALAZIONE LIBRARIA

pag.7

ELISIR DI CAGLIOSTRO pag.7 L’INFORMAZIONE AI TEMPI DEL VILLAGGIO GLOBALE pag.9 MELA MARCIA pag.10 GUANTANAMERA pag.11 COMUNICARE ATTRAVERSO LE IMMAGINI pag.12 FORSE NON TUTTI SANNO CHE... pag.14 PAROLE NON DETTE, SILENZIOSE, CARICHE DI VERITA’ SCOMODE pag.15

PeriodicoMARCO redazione@periodicomarco.it Fascicolo N°8 - Anno II Inverno 2010 Rivista periodica di cultura e società Supplemento a L’ALTRACITTA reg.trib. N°4599 del 11/7/96 Direttore Responsabile Cecilia Stefani Redazione Ivano Algieri Massimo De Micco Guru, Katrame Consuelo Lorenzi Manuela Minneci Francesca Scaramozzino Laura Turchi Art Director Michele Vella Progetto Grafico e Impaginazione Raffaele Vella (raffaelevella@hotmail.it) Fotografia Raffaella Milo (raffaella.milo@alice.it) Rubrica musicale Giuseppe Bianco

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