Mensile Valori n. 91 2011

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Anno 11 numero 91. Luglio / Agosto 2011. € 4,00

valori ARNO GASTEIGER / LAIF

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità a tinu ta s Con e i h l’inc dientily e a Ingdre in Iito: maa risch ne il pa g. 45 a pa

Dossier > Cloud computing, l’informazione in Rete rivoluziona l’economia e la cultura

La nuvola condivisa Finanza > Da Bob Geldof alla Carlyle. La finanza riscopre il mal d’Africa Economia solidale > Aiuti alle rinnovabili gonfiano le bollette, ma sgonfiano i prezzi Internazionale > Dalla diga delle Tre Gole: grandi opere che distruggono l’ambiente Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.R.


| editoriale |

®

M Mater-Bi ater-Bi: puro puro impegno impegno ambientale ambientale

La rivoluzione della nuvola

Proprietà addio Mater-Bi Mater-Bi® is a trademark of Novamont SpA

di Andrea Di Stefano

L

Campagna coordinata da: NOV NOVAMONT VAMONT A sarà presente a TERRAFUTURA Fortezza For tezza da Basso Firenze 20 - 22 maggio 2011

COMUNICAZIONE COMUNICAZIONE S T R AT E T I C A STRATETICA

numero verde 800 93 33 94

Mater-Bi®: dalla terra alla terra In poche settimane di compostaggio un sacchetto in Mater Mater-Bi r--Bi® si tr trasforma asforma in concime per la terr terra. a. Scegliere gliere Mater-Bi Materr-Bi - ®, in particolare per i produttori biologici, è un atto di coerenza e impegno ambientale ambientale..

Icea e Novamont insieme per l’ambiente

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ISTITUTO

EcoComunicazine.it

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Prodotto in gr grandi andi quantità e personalizzato per il settore biologico biologico, o, SA SACCHETICO CCHETICO® darà la possibilità ai produttori agricoli e agli oper operatori atori dei negozi specializzati, sacchetti che CERT di distribuire sensibilizzano la clientela, I FI veicolano una campagna di grande grande valore valore sociale e riducono l’inquinamento l’inquinamento..

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Maggiori informazioni su: www.sacchetico.it www w..sacchetico.it

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Icea e Nov Novamont amont propongono ai produttori biologici, a costi promozionali, il SA SACCHETICO CCHETICO®: sacchetto in Mater-Bi Materr--Bi® biodegr biodegradabile adabile e compostabile compostabile..

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Icea, l’Istituto per la certificazione etica e ambientale ambientale,, insieme a Novamont, Novamont, produttore della prima bioplastica italiana, hanno perfezionato un aaccordo ccordo p per er d diffondere iffondere i p prodotti rodotti iin nM Mater-Bi ater-Bi® tra tra i produttori biologici.

Cominciamo dai sacchetti sacchetti

E AMBIEN

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quando è disruptive, distruttiva e creativa al tempo stesso, ha una potenza rivoluzionaria. Storicamente ogni volta che si è affacciata un’innovazione dirompente gli effetti sul sistema economico sono stati rilevantissimi: alcuni soggetti sono letteralmente scomparsi dalla scena, si sono affacciati nuovi protagonisti (non solo soggetti economici imprenditoriali, ma anche figure professionali e, quindi, forme diverse di lavoro) e, con tempi più o meno lunghi, si sono affermate nuove regole. Indubbiamente negli ultimi trent’anni l’affermazione di internet ha accelerato questo processo, rendendo, però, molto confuso il confine tra innovazione reale e iniziative puramente riconducibili a tentativi di affermare modelli commerciali. La vicenda della “nuvola” come traduciamo il cloud è da questo punto di vista emblematica. Se lasciata in mano alle politiche di marketing delle aziende del settore dell’information technology può apparire come l’ennesimo nuovo prodotto destinato a durare lo spazio di alcuni mesi. Ma l’avvento del cloud ha, invece, tutte le caratteristiche di un’innovazione rivoluzionaria, destinata a cambiare i paradigmi dell’economia e delle nostre abitudini: mettere in Rete tutti i propri dati per potervi accedere da qualsiasi macchina connessa a internet, in qualsiasi luogo e indipendentemente da sistemi operativi e software, significa mettere le basi per un sistema aperto e condiviso. Non a caso fioccano le ricerche e analisi che cercano di stabilire l’impatto dell’avvento della “nuvola” sui sistemi economici: la più recente, firmata Centre for Economics and Business Research (Cebr), stima in 177,3 miliardi di euro all’anno entro il 2015 l’incremento del valore delle principali economie europee. Si va dai 49,6 miliardi della Germania ai 37,4 della Francia, i 35,1 dell’Italia, i 30 del Regno Unito e i 25,2 della Spagna. Ipotesi tutte da verificare, ma che segnalano, comunque, le dimensioni disruptive di questa nuova modalità di gestire le informazioni: i dati destinati a finire nella “nuvola”, al di là dello specifico significato che gli viene attribuito da noi, rappresentano a tutti gli effetti delle informazioni sotto diverse forme (numeri, contenuti digitali, testi, immagini) assolutamente svincolate dal modo in cui sono state raccolte. Stiamo gettando le basi per rendere possibile un’economia condivisa che potrebbe avere degli effetti dirompenti sugli attuali assetti del sistema rimettendo in discussione, se le regole di questo nuovo sistema saranno scritte nell’interesse collettivo, alcuni degli attuali meccanismi di accumulazione e messa a profitto del capitale cognitivo. Ovviamente si tratta di una scommessa con molte incognite, a cominciare dai rischi connessi con la sottrazione e manipolazione delle informazioni sulle persone, ma è evidente che concettualmente la cloud economy rimette in discussione la filosofia “privatistica” attuale che si basa sull’infinita riproduzione di diritti di proprietà sulle stesse informazioni. Per comprendere l’impatto di questa innovazione basta pensare ai contenuti musicali digitali: da più di vent’anni le grandi major cercano, con enorme dispendio di energie, di fermare l’emorragia prodotta dallo scambio di musica tra le persone in Rete. Oggi si stanno, invece, affermando modelli di utilizzo basati non sul download dei brani a pagamento, ma sulla possibilità di ascoltare musica in streaming, lasciandola, di fatto, nella “nuvola”. La fruizione dell’informazione (il contenuto musicale) non comporta più il titolo di proprietà dello stesso e il valore della transazione si sposta dal possesso all’accesso.

A TECNOLOGIA

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ANNO 11 N.91

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LUGLIO / AGOSTO 2011

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| sommario |

valori luglio/agosto 2011 mensile www.valori.it

editore

Società Cooperativa Editoriale Etica Via Copernico, 1 - 20125 Milano promossa da Banca Etica soci

Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa, Federazione Trentina delle Cooperative, Rodrigo Vergara, Circom soc. coop., Donato Dall’Ava consiglio di amministrazione

Paolo Bellentani, Antonio Cossu, Donato Dall’Ava, Giuseppe Di Francesco, Marco Piccolo, Fabio Silva, Sergio Slavazza direzione generale

Giancarlo Roncaglioni (roncaglioni@valori.it) collegio dei sindaci

La borsa non è un

O C O I G

Giuseppe Chiacchio (presidente), Danilo Guberti, Mario Caizzone direttore editoriale

Mariateresa Ruggiero (ruggiero.fondazione@bancaetica.org) direttore responsabile

Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) Elisabetta Tramonto (tramonto@valori.it) redazione (redazione@valori.it)

Via Copernico, 1 - 20125 Milano Paola Baiocchi, Andrea Baranes, Andrea Barolini, Francesco Carcano, Matteo Cavallito, Corrado Fontana, Emanuele Isonio, Michele Mancino, Mauro Meggiolaro, Andrea Montella, Jason Nardi progetto grafico e impaginazione

Francesco Camagna, Simona Corvaia (info@mokadesign.org) fotografie

stampa

Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento) abbonamento annuale ˜ 10 numeri Euro 35,00 ˜ scuole, enti non profit, privati Euro 45,00 ˜ enti pubblici, aziende Euro 60,00 ˜ sostenitore abbonamento biennale ˜ 20 numeri Euro 65,00 ˜ scuole, enti non profit, privati Euro 85,00 ˜ enti pubblici, aziende come abbonarsi I carta

ETICA SGR: VALORI IN CUI CREDERE, FINO IN FONDO. Etica Sgr è una società di gestione del risparmio che promuove esclusivamente investimenti finanziari in titoli di imprese e di Stati selezionati in base a criteri sociali e ambientali. L’investimento responsabile non comporta rinunce in termini di rendimento. È un investimento “paziente”, non ha carattere speculativo e quindi ben si coniuga con la filosofia di guadagno nel medio-lungo termine comune a tutti gli altri fondi di investimento. Parliamo di etica, contiamo i risultati. I fondi Valori Responsabili si possono sottoscrivere presso tutte le filiali e i promotori di Banca Popolare Etica, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare di Sondrio, Banca di Legnano, Simgest/Coop, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Casse Rurali Trentine, Banca Popolare dell’Alto Adige, Banca della Campania, Eurobanca del Trentino, Banca Popolare di Marostica, Eticredito, Cassa di Risparmio di Alessandria, Banca di Piacenza, Online Sim e presso alcune Banche di Credito Cooperativo. Per maggiori informazioni clicca su www.eticasgr.it o chiama lo 02.67071422. Etica Sgr è una società del Gruppo Banca Popolare Etica. Prima dell’adesione leggere il prospetto informativo. I prospetti informativi sono disponibili presso i collocatori e sul sito www.eticasgr.it

*LIPPER FUND AWARDS 2010

di credito sul sito www.valori.it sezione come abbonarsi Causale: abbonamento/Rinnovo Valori I bonifico bancario c/c n°108836 - Abi 05018 - Cab 01600 - Cin Z Iban: IT29Z 05018 01600 000000108836 della Banca Popolare Etica Intestato a: Società Cooperativa Editoriale Etica, via Copernico 1 - 20125 Milano Causale: abbonamento/Rinnovo Valori + Cognome Nome e indirizzo dell’abbonato I bollettino postale c/c n° 28027324 Intestato a: Società Cooperativa Editoriale Etica, via Copernico 1 - 20125 Milano Causale: abbonamento/Rinnovo Valori È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte. Per le fotografie di cui, nonostante le ricerche eseguite, non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamente disponibile ad adempiere ai propri doveri.

Premio Migliori Risultati Categoria Risparmio Gestito

Premio Migliori Risultati Categoria Risparmio Gestito

Valori Responsabili Monetario e Valori Responsabili Obbligazionario Misto Rendimenti a tre anni (2006-2008)

MILANO FINANZA

GLOBAL AWARDS

2009

Valori Responsabili Obbligazionario Misto - Rendimento a un anno (2008)

globalvision

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fotonotizie

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dossier Rivoluzione fra le nuvole Cloud economy: tutti dentro la nuvola Meno costi, più servizi per la Pubblica amministrazione La reazione delle aziende. Tra amore e scetticismo Se la nube fa acqua da tutte le parti Il cliente ha (quasi) sempre torto

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consumiditerritorio + lavanderia

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finanzaetica Da Geldof alla Carlyle. La finanza riscopre il mal d’Africa Banca Etica. Le sfide per il nuovo Comitato etico F35, un rapporto Usa boccia il nuovo caccia militare. L’Italia va avanti Banche italiane e bombe a grappolo. Il massacro continua

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bancor + euronote

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economiasolidale Rinnovabili in bolletta. Non sparate sul fotovoltaico Caporalato e speculazione: ombre sul sole pugliese Lancellotti (Enerventi): “Ecco perché puntiamo sui tetti della regione” Made in Italy a rischio/6. Gli italiani e il pane: c’eravamo tanto amati Gomorra. La filiera delle vergogna Spiga e Madia. Siamo tutti coproduttori Non solo prezzo: i valori (nascosti) del commercio equo e solidale Dall’Ocse all’Istat: lavori in corso per i nuovi indicatori del benessere

internazionale 54 60 63 64

altrevoci

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ipotesidicomplotto

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action!

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Società Cooperativa Editoriale Etica Il Forest Stewardship Council (Fsc) garantisce tra l’altro che legno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali.

38 42 43 45 46 48 49 51

Grandi, grandissime e praticamente inutili (con la mappa delle dighe più dannose) Che tempo farà? Acqua depurata: “basta” la luce Alexander Langer 2011. Un premio a Dadoue, una vita per Haiti

LETTERE, CONTRIBUTI, ABBONAMENTI, PROMOZIONE COMUNICAZIONE, AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITÀ

Valori Responsabili Monetario e Valori Responsabili Obbligazionario Misto Rendimenti a tre anni (2007-2009)

*LIPPER FUND AWARDS 2009

Su un prato, nella campagna selvaggia dell’Otago centrale, in Nuova Zelanda, un vecchio campo di rugby con una porta costruita con dei tronchi (2010).

caporedattore

Arno Gasteiger (Laif), Christopher Pledger (Eyevine), Emiliano Mancuso (Contrasto), Jeremy Clarke, John Kolesidis (Reuters)

Fondi etici: l’investimento responsabile

ARNO GASTEIGER / LAIF

anno 11 numero 91 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005

Via Copernico 1, 20125 Milano tel. 02.67199099 fax 02.67491691 e-mail redazione@valori.it ˜ amministrazione@valori.it info@valori.it ˜abbonamenti@valori.it


| globalvision |

Crescita solidale

valori

L’ultima predica “inutile” di Draghi

per vedere

quello che altri non vedono di Alberto Berrini

governatori di banche centrali comunisti, eccetto la “splendida” anomalia rappresentata da Che Guevara. Non fa eccezione a riguardo il governatore della Banca d’Italia Draghi, che però ha trasformato le sue ultime (lascerà l’incarico a ottobre per presiedere la Banca centrale europea) “Considerazioni finali” in un autentico manifesto riformista. E non è poco di fronte a un Paese incapace di uscire dal pantano economico-sociale, oltre che politico, in cui è immerso da alcuni, e ormai troppi, anni. La fotografia fornita dal rapporto Istat dello scorso maggio è impietosa: un Paese invecchiato, degradato e impoverito, in una parola “vulnerabile”. L’architrave di questo ipotetico manifesto riformista è la “crescita”, che però non è meramente

ma economico italiano. È peraltro evidente che la cura Draghi non è indolore sul versante dei tagli alla spesa pubblica (5% nel triennio 2012-2014), ma il governatore precisa che non bisogna attuare tagli indiscriminati come finora effettuato da Tremonti. «Per ridurre la spesa in modo permanente e credibile - dice Draghi - non è intesa come il numero che indica la variaconsigliabile procedere a tagli zione percentuale del Pil annuo. Essa preveuniformi in tutte le voci: essi imde, o meglio implica, per essere ottenuta, sopedirebbero di allocare le risorse lidarietà sociale, formazione e istruzione, dove sono più necessarie. (…) partecipazione femminile al lavoro e fine Una manovra così fatta incidedella precarietà. rebbe sulla già debole econoÈ importante sottolineare che il tema mia, fino a sottrarle circa 2 pundella crescita è stato il filo rosso che ha cati di Pil in tre anni». ratterizzato tutte le “Considerazioni finali” Ma, soprattutto, l’obiettivo di Draghi fin dal suo esordio come governadi medio periodo è quello di ritore nel 2006. Già in quell’anno non modare gradi di libertà alla politica strava incertezza nell’attaccare chi cercava economica. «Ora bisogna in prifacili capri espiatori nella “Cina” e nell’“eumo luogo ricondurre il bilancio ro” per giustificare gli scarsi risultati econopubblico a elemento di stabilità mici del sistema Italia. e di propulsione della crescita Il richiamo costante negli anni a questo economica (…) procedendo a tema non ha sortito grandi frutti (in questo una ricomposizione della spesa senso l’attacco all’odierno Esecutivo è esplia vantaggio della crescita, riducito) se lo stesso Draghi parla di “predica Mario Draghi. cendo l’onere fiscale che grava inutile” alla Einaudi: «A distanza di cinque sui tanti lavoratori e imprenditori onesti». anni, quando si guarda a quanto poco di tutriforme strutturali in grado di «unire soliIn breve sono queste le proposte di Drato ciò si è tradotto in realtà, viene in mente darietà e merito, equità e concorrenza», ghi per dare fiato a un sistema economico l’inutilità delle prediche di un mio ben più rompendo quell’intreccio di interessi corche lo stesso Governatore descrive con l’imillustre predecessore». porativi che frenano ed opprimono il sistemagine di “un’economia insabbiata”. Se ne Ed è un tema che non ammette bluff e scorciatoie, magaLa cura del governatore prevede deve almeno discutere, tanto più che dal versante della “politica” non sembrano veri di tipo monetario o fiscale. tagli alla spesa pubblica nire, almeno per ora, progetti complessivi Per assicurare una prospettiva del 5% nel triennio 2012-2014. altrettanto credibili. di crescita al Paese servono Ma non alla Tremonti: chirurgici

A

Anno 11 numero 91. Luglio / Agosto 2011. € 4,00

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

SIMONE CASETTA / ANZENBERGER

Supplemento > Finanza & società a tinu Conhiesta l’inc dientily Ita Ingre : e in maadrischio llo o il p g. 50 a pa

valori Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità a tinu Conhiesta l’inc dientily Ita Ingdre in : e maa rischio ne il pa .45

Anno 11 numero 89. Maggio 2011. € 4,00

valori Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

DOROTHEA SCHMID / LAIF

valori

ARNO GASTEIGER / LAIF

Anno 11 numero 90. Giugno 2011. € 4,00

C l’inocntinua h Ingre iesta mad die in nti a rie sc Italy il pe hio: sc e a pa g. 50

g a pa

Dossier > Una società che garantisca la parità di genere porta vantaggi per tutti

Dossier > L’Italia ha un ritardo di innovazione decennale. Serve una politica industriale

Economia in rosa

La bella economia

Finanza > Bollette salate. Se il prezzo del gas dipende solo da Eni. E dal petrolio Economia solidale > Sbarco Gas 2011. A L’Aquila la scossa dell’economia solidale Internazionale > Immigrazione. Tra Grecia e Turchia, l’altra porta per l’Europa

Finanza > Nulla di nuovo allo sportello: alti rischi dietro promesse di guadagni facili Economia solidale > Dal “Villaggio della solidarietà” il diritto alla fuga per salvarsi Internazionale > L’Islanda ha staccato la spina alle banche ed è risalita dagli inferi

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Dossier > Cloud computing, l’informazione in Rete rivoluziona l’economia e la cultura

La nuvola condivisa Finanza > Da Bob Geldof alla Carlyle. La finanza riscopre il mal d’Africa Economia solidale > Aiuti alle rinnovabili gonfiano le bollette, ma sgonfiano i prezzi Internazionale > Dalla diga delle Tre Gole: grandi opere che distruggono l’ambiente Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.R.

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MEMORIA NON RICORDO

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| fotonotizie |

Un nutrito gruppo di profughi sudanesi, a Turalei nel Sud Sudan. Il mese scorso ha formalmente sancito la propria indipendenza dal Nord del Paese. L’unità dei due territori africani si è protratta fino al 9 luglio, come imposto dall’esito di un referendum popolare tenuto tra i cittadini della porzione meridionale della nazione. Già da mesi, però, i rapporti politici tra il nuovo governo di Juba, guidato da Salva Kiir Mayardit, e Khartoum si sono fatti sempre più tesi. Principale motivo del contendere - che ha provocato già l’esplosione di qualche colpo di arma da fuoco lungo il confine - è lo sfruttamento del petrolio presente nel sottosuolo. Il Sud, infatti, risulta particolarmente ricco di giacimenti (circa i tre quarti dei 470 mila barili prodotti quotidianamente nella regione) ma è nel Nord che è concentrata la quasi totalità delle raffinerie e degli oleodotti. E proprio il governo settentrionale ha minacciato di non concedere al nuovo Stato l’utilizzo delle proprie infrastrutture. «Il Sudan perderà il 36,5% dei suoi ricavi petroliferi - ha dichiarato alla stampa il ministro delle Finanze di Khartoum, Ali Mahmoud - e per questo abbiamo inviato una lettera alle autorità del Sud per informare loro che senza un accordo non potranno utilizzare alcuna nostra infrastruttura, porti inclusi». E sono pronte anche ritorsioni sui prezzi delle materie prime e dei prodotti alimentari. Il rischio è che una delle popolazioni più povere del pianeta si trovi ancora una volta schiacciata da giochi di potere e bracci di ferro infiniti. Il Nord, però, deve fare i conti con un enorme debito estero, che ormai ha raggiunto i 38 miliardi di dollari. E forse, proprio per questo, non potrà permettersi di tirare troppo a lungo la corda. Non a caso i rappresentanti dei due Paesi si sono già incontrati in più di un’occasione, in territorio neutro, nel tentativo di trovare un punto d’incontro.

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JEREMY CLARKE / REUTERS

Sud Sudan L’indipendenza si celebra con una guerra per il petrolio

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| fotonotizie |

Due anni di lavoro per monitorare le foreste di 33 Paesi in tutto il mondo e per giungere a conclusioni niente affatto rassicuranti. L’Organizzazione internazionale per i boschi tropicali (Oibt), nel rapporto “La situazione e la gestione delle foreste tropicali 2011”, pubblicato nel mese di giugno, è chiara: nonostante la crescente attenzione dell’opinione pubblica, le foreste tropicali del Pianeta continuano ad essere, per oltre il 90%, «mal gestite, se non completamente abbandonate». Timidi segnali di cambiamento ci sono: fra il 2005 e il 2010 le aree forestali gestite in modo sostenibile fra Asia, Pacifico, America Latina e Caraibi sono passate da 36 a 53 milioni di ettari, raggiungendo una superficie all’incirca pari a quella della Thailandia. E sono 131 milioni (un aumento del 30% in cinque anni) gli ettari soggetti a un qualsiasi programma di gestione. Ma si tratta di progressi localizzati in pochi Paesi (in primo luogo il Brasile, seguito da Gabon, Guyana, Malaysia e Perù): e che non sono ancora sufficienti. Nella maggior parte degli Stati le foreste continuano a essere rase al suolo senza alcun controllo, per lasciar spazio all’agricoltura e ai pascoli: investimenti molto più remunerativi, soprattutto a seguito del boom dei prezzi delle commodities. Ancora una volta, dunque, a fare da protagonista è il profitto: e non ci si cura degli effetti devastanti della deforestazione sulle condizioni di vita delle popolazioni locali, sulla biodiversità, sull’emissione di gas serra e, di conseguenza, sul riscaldamento globale. A giocare un ruolo importante, si auspica nel rapporto, potrebbero essere le certificazioni internazionali sul legno: ma prima di tutto bisogna abbassarne i costi e renderle competitive, se si vuole trasformarle nel volano per una reale tutela della foreste. Nella foto, la foresta amazzonica e il Rio Solimoes, in Brasile (marzo 2007). | 10 | valori |

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EMILIANO MANCUSO / CONTRASTO

Foreste tropicali «Il 90% dei boschi è mal gestito o abbandonato»

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| fotonotizie |

Una manifestazione di protesta contro i duri tagli imposti dal governo greco, che si è svolta il 26 maggio ad Atene di fronte al palazzo del parlamento. C’è una crisi politica dalla quale il premier George Papandreou fatica ad uscire. Ce n’è una sociale ancor più grave, con la popolazione alle prese con un’economia reale non più in grado di soddisfarne i bisogni. C’è uno scontro in atto tra Germania e Bce sulla strategia da adottare. E c’è, non da ultimo, la necessità di sbloccare i fondi che dovrebbero consentire ad Atene di non precipitare in un baratro che trascinerebbe con sé l’intera Eurozona. Si presenta così, mentre questo numero di Valori va in stampa, la situazione della Grecia. Il rischio di contagio, nel caso in cui l’Unione europea non riuscisse a trovare un accordo per salvare (per la seconda volta) la nazione “periferica” dell’area-euro, sarebbe sempre più concreto. Il presidente dell'Eurogruppo Jean Claude Juncker, in un'intervista al giornale tedesco Süddeutsche Zeitung, ha spiegato che «il fallimento della Grecia potrebbe colpire il Portogallo e l'Irlanda e, a causa del loro elevato debito pubblico, anche il Belgio e l'Italia, prima della Spagna». A ciò va aggiunto l’allarme dell’agenzia di rating Moody’s, che ha ricordato come numerosi istituti di credito del Vecchio Continente (anche nelle “insospettabili” Francia e Germania) siano potenzialmente a rischio in caso di default da parte di Atene. Secondo Dexia le necessità complessive di finanziamenti della Grecia, del Portogallo e dell’Irlanda sono pari a 201 miliardi di euro per i prossimi 24 mesi. Il che significa che Paesi “soccorritori” come la Germania dovrebbero sborsare qualcosa come il 2,5% del prodotto interno lordo. Qualora crollasse anche la Spagna, il dato arriverebbe a 523 miliardi. E se precipitasse l’Italia, si schizzerebbe a 1.123 miliardi. Nota (non) a margine: il meccanismo d’emergenza europeo può contare su 750 miliardi. | 12 | valori |

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JOHN KOLESIDIS / REUTERS

Grecia La corsa per evitare l’effetto-domino

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a cura di Andrea Barolini, Corrado Fontana, Emanuele Isonio

dossier

Cloud economy: tutti dentro la nuvola >16 Meno costi, più servizi per la P.A. >18 La reazione delle aziende. Tra amore e scetticismo >20 Se la nube fa acqua da tutte le parti >22 Per gli Usa: un’arma di difesa >23 Il cliente ha (quasi) sempre torto >24

cloud computing

L’economia vista dalle nuvole Non solo e-mail e telefonate VoIP: in futuro i nostri pc scorderanno le memorie. Sarà tutto in Rete, in una “nuvola” di dati e servizi che rivoluzionerà anche i business | 14 | valori |

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Cloud economy: tutti dentro la nuvola

CLOUD ECONOMY: I BENEFICI NEL PERIODO 2010-2015 [IN MILIONI DI EURO] FRANCIA

GERMANIA

ITALIA

SPAGNA

GRAN BRETAGNA

TOTALE

SVILUPPO DI BUSINESS ESISTENTI

24.599

32.642

23.995

16.866

29.555

127.657

NUOVI BUSINESS

51.377

69.507

43.305

30.939

20.026

215.153

RISPARMI

26.323

37.740

28.463

22.008

26.206

140.740

BENEFICI INDIRETTI

60.450

81.351

55.007

40.737

42.202

279.747

TOTALE BENEFICI ECONOMICI

162.749

221.239

150.770

110.550

117.989

763.297

469,4

789,4

455,8

392,5

289

2.396,2

POSTI DI LAVORO CREATI (IN MIGLIAIA)

di Andrea Barolini

C’

è una nuvola che si sta formando sulle nostre teste, fatta di software, Megabyte, file e flussi di dati. E

che potrebbe rivoluzionare il nostro modo di usare internet e gli stessi computer. Si chiama, appunto, cloud computing, ed è – di fatto – la nuova frontiera tecnica ed economica del mondo dell’informatica. Non parliamo di un trend, ma di una potenziale rivoluzione, che toccherà dapprima le aziende e le pubbliche amministrazioni per poi, in brevissimo tempo (c’è da scommetterci), coinvolgere ciascuno di noi, farsi economia di scala e imporre il suo paradigma a produttori hardware e utenti finali. L’Information Technology, d’altra parte, ci ha da tempo abituati a svolte epocali.

Si avvicina il trionfo del pay-per-use

Scordiamoci hard disk e pacchetti di software completi acquistati nei negozi. In futuro sfrutteremo programmi on demand, tagliati su misura per ciascuno di noi. Si tratterà di un business del quale beneficeranno le imprese, ma anche il settore pubblico. E che potrebbe garantire, solamente nelle cinque principali economie europee, 2,4 milioni di nuovi posti di lavoro | 16 | valori |

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Di definizioni della nuvola ce ne sono moltissime. E non stupisce, dal momento che - sebbene sia già presente nelle nostre vite di internauti - la sua evoluzione è ancora tutta da scoprire. Semplificando l’aspetto tecnico, possiamo affermare che ciascuno di noi sfrutta il cloud computing ogni qual volta utilizza un servizio in Rete anziché sul proprio pc. Un esempio chiaro, in questo senso, è dato da tutti quegli utenti che accedono alla posta elettronica dal browser, senza scaricarne i contenuti sul proprio hard disk locale, sfruttando i server messi a disposizione dal provider. Allo stesso modo, nella nuvola ci sono i social network come Twitter e Facebook, le telefonate VoIP come quelle effet-

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HARDWARE E SOFTWARE: COME SI MUOVONO I GIGANTI

DA TEMPO I COLOSSI MONDIALI dell’informatica si stanno lanciando a piene mani nel nuovo business del cloud computing. Sia in termini di proposte di servizi e software in Rete che di nuovi dispositivi hardware, sempre più leggeri e completamente orientati alla nuvola. Microsoft, ad esempio, ha deciso di investire 2,3 miliardi di dollari. Secondo Kevin Turner, dirigente dell’azienda di Bill Gates, quello del cloud è il più importante trend IT attuale: parlando a una conferenza a Milano il manager ha spiegato che per le piccole e medie imprese italiane si potrebbero generare risparmi tra il 43 e il 60% dei costi attualmente sostenuti. Google ha appena lanciato (in sette Paesi: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Italia, Germania e Olanda) il Chromebook: l’industria di Mountain View ha immaginato un sistema operativo ad hoc, che si chiamerà Chrome OS. Il pc sarà leggero, veloce, senza hard disk, tutto proiettato sul web. In pratica un’unica interfaccia, predisposta per “succhiare” le risorse presenti su internet. E Apple non è da meno: tra le sorprese più recenti dell’azienda di Steve Jobs c’è iCloud, ovvero la risposta di Cupertino per chi vuole gestire i propri documenti memorizzandoli non più sul computer, ma su un server remoto. Si partirà con un’offerta musicale in streaming e forse la possibilità di gestire file, per poi sviluppare e diversificare l’offerta di servizi.

tuate con Skype o i lemmi di Wikipedia. Quando il cloud “esploderà”, in Rete ci sarà praticamente tutto: perfino il software che si utilizza per scrivere un documento di

testo o un foglio di calcolo eletSecondo uno studio del Cebr, simi cinque anni (nel solo 2015 la cifra potronico. Si passerà, infatti, dal trebbe essere pari a 177 miliardi): un dato un’adozione ampia del cloud modello basato sull’acquisto di pari all’1,57% del Prodotto interno lordo agcomputing potrebbe generare un prodotto completo (del gregato. Ciò in termini di sviluppo di opbenefici economici complessivi quale magari si usa solo una portunità di business, di risparmi sui costi e per 763 miliardi di euro piccola porzione del potenziadi guadagni indiretti (vedi TABELLA ), dei quali le) a un software “adattato” secondo le esibeneficerebbe per il 35% il settore privato, Guadagni, risparmi genze del singolo cliente. Con un notevole per il 26% quello pubblico e per la restante e nuovi posti di lavoro risparmio di denaro e un alleggerimento parte quelle realtà che coinvolgono entramIn un’intervista rilasciata al quotidiano La decisivo dell’hardware: sarà insomma il bi i comparti (vedi TABELLA ). Repubblica, Corrado Caironi, investment stratrionfo del pay-per-use. Utilizzando le paroSecondo il Cebr tutto ciò comporterà antegist di R&CA Ricercaefinanza.it (social le del National Institute for Standards and che conseguenze fortemente positive sul network dedicato ai promotori finanziari) Technology degli Stati Uniti si può parlare mercato del lavoro. Nello stesso periodo di spiega che «i dodici top player del cloud comdella nuvola come di “un modello per gariferimento si potrebbero creare quasi 2,4 puting hanno visto crescere i ricavi, nel 2010, rantire un accesso conveniente e on-demilioni di nuovi impieghi nei cinque Stati del 24,5%. E il trend dovrebbe ripetersi a mand a una serie di risorse configurabili in europei, ovvero 446 mila all’anno nel prosgrandi linee nell’anno in corso». Rete (network, server, applicazioni, servizi, simo quinquennio. Secondo il rapporto del Centre for Ecospazio di archivio)”. nomics and Business Research Ltd (Cebr) inNon è un caso che tutti i più grandi cotitolato The Cloud Dividend - che si riferisce Investire per superare lossi stiano investendo cifre enormi nel alle realtà attuali di Francia, Germania, Itail digital divide nuovo standard (vedi BOX ). Il che ha tralia, Spagna e Regno Unito, ovvero le cinque Una dinamica che sarà tanto più efficace sportato la nuvola già in molti Paesi: i più principali economie del Vecchio Continenquanto più ci si avvicinerà a un’economia di avanzati risultano ad oggi la Russia e la te - un’adozione ampia del cloud computing scala: in questo senso lo studio The Economics Spagna. Una ricerca condotta dalla società potrebbe generare benefici economici comof Cloud, redatto da Microsoft dimostra come indipendente Dynamic Markets tra 1.616 plessivi pari a 763 miliardi di euro nei prosla riduzione dei costi aumenti in funzione decision-maker di piccole imprese europee ha rivelato che l’80% ha già almeno un CLOUD ECONOMY: I BENEFICI NEL PERIODO 2010-2015 PER SETTORE [IN MILIONI DI EURO] aspetto delle loro infrastrutture nel cloud PRIVATO IBRIDO PUBBLICO TOTALE (contro il 41% dell’Olanda e il 48% di Gran Bretagna e Polonia). Un altro studio, SVILUPPO DI BUSINESS ESISTENTI 41.230 58.534 27.893 127.657 elaborato da NextValue, ha calcolato la NUOVI BUSINESS 72.214 72.352 70.587 215.153 spesa complessiva (non solo pubblica) per RISPARMI 68.644 62.041 10.055 140.740 servizi legati al cloud computing in tutto il mondo in 30,1 miliardi di dollari nel 2010: BENEFICI INDIRETTI 85.784 107.055 86.908 279.747 cifra destinata ad arrivare a 60,6 miliardi TOTALE BENEFICI ECONOMICI 267.872 299.983 195.443 763.297 nel 2013. In Italia il dato è stato pari a 280 milioni nel 2010, e potrebbe raggiungere i 660 milioni nel 2013 (con un incremento POSTI DI LAVORO CREATI (IN MIGLIAIA) 754,2 842,8 799,2 2.396,2 del 32,6%).

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FONTE: THE CLOUD DIVIDEND - CENTRE FOR ECONOMICS AND BUSINESS RESEARCH LTD (CEBR), DICEMBRE 2010

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FONTE: THE CLOUD DIVIDEND - CENTRE FOR ECONOMICS AND BUSINESS RESEARCH LTD (CEBR), DICEMBRE 2010

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| dossier | cloud economy |

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$5,000 $4,000 $3,000 $2,000 $1,000

– 80% NE I COSTI

DI ESER CIZIO

$0

EUROPA, IL CLOUD PREMIA GLI “ULTIMI”

.

CONTRIBUTI PERCENTUALI DEI DIFFERENTI BENEFICI LEGATI AL CLOUD COMPUTING 100 90 80 70 60 50 40 30 20

PERCENTUALI DI APPORTO AL PIL E BENEFICI IN ARRIVO DAL CLOUD COMPUTING 35% 30% 25% 20% 15% 10% 5%

10 0%

0 100

1000

10000

100000

Numero di server nella nuvola

FRANCIA

GERMANIA

ITALIA

OPPORTUNITÀ LEGATE ALLO SVILUPPO DI BUSINESS CREAZIONE DI NUOVI BUSINESS

SPAGNA

UK

RISPARMI BENEFICI INDIRETTI

FONTE: CNIPA RELAZIONE ANNUALE SULLO STATO DELL’ICT NELLA PAC 2008

500 400

pre più limitate, i tagli lineari mettono a rischio i gangli cruciali delle politiche pubbliche, ma, al tempo stesso, cresce l’esigenza di fornire nuovi servizi in favore dei cittadini e del tessuto produttivo: stretta e tortuosa è la via nella quale si trova a dover passare la pubblica amministrazione (locale e periferica) del nostro Paese, spesso vittima di sprechi e inefficienze. La soluzione? Le nebbie si diradano investendo nella nuvola. Il gioco di parole meteorologico sembra trovare am-

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Un aiuto contro gli sprechi I dati più recenti delle infrastrutture informatiche della sola pubblica amministrazione centrale indicano l’esistenza di 82 grandi sistemi elaborativi, di 26.883 medi e di 1.033 centri elaborazione dati. Per gestirli, sono impegnati 7.300 addetti a tempo pieno, per un costo annuo di 450 milioni di eu-

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26%

0

15%

pio consenso tra i decisori pubblici: le tecnologie cloud possono garantire risparmi di costi e un miglioramento dei servizi. A patto di usarle bene.

31%

E RISORSE ECONOMICHE sono sem-

28%

300

100

ITALIA

SPAGNA

UK

Paese

SECONDO IL RAPPORTO del Centre for Economics and Business Research Ltd (Cebr) intitolato The Cloud Dividend, la maggior parte dei benefici economici che arriveranno dal cloud computing per Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito saranno legati al cosiddetto “effetto moltiplicatore”. Cioè alla capacità che la nuova tecnologia (o, meglio, del nuovo approccio all’utilizzo delle tecnologie informatiche) avrà di svilupparsi autonomamente allargando sempre più le proprie potenzialità. Ciò equivarrà in particolare alla creazione di nuovi business. Il che potrebbe costituire, potenzialmente, un importante volano occupazionale. Solamente per quanto riguarda il Regno Unito le caratteristiche della Rete e del mercato interno lasciano intravedere un maggiore apporto proveniente dallo sviluppo di attività già esistenti: nelle altre quattro nazioni sarà la business creation a prevalere (vedi GRAFICO 3 ). In generale, i benefici sembrano premiare i Paesi meno “sviluppati” (vedi GRAFICO 4 ): se si eccettua la Germania, che costituisce la prima economia del Vecchio Continente e che riceverà forti vantaggi dall’avvento dell’economia legata alla nuvola, sono Spagna e Italia ad avere di fronte a loro le opportunità maggiori. Il nostro Paese, ad esempio, nonostante rappresenti solamente il 17,1% del Pil dei cinque Stati presi in considerazione, potrebbe accaparrarsi una quota di benefici economici pari al 19,8%.

DAL TELECONTROLLO DEI LAMPIONI UN AIUTO PER AMBIENTE E CASSE COMUNALI

600

200

di Emanuele Isonio

GERMANIA

% DI CONTRIBUTO AL PIL % DI BENEFICI

SCOMPOSIZIONE DELLA SPESA INFORMATICA ANNUA DELLA PAC (M€)

Ridurre le spese di gestione di server e hardware per avere maggiori risorse da destinare ai servizi per cittadini e imprese. Le tecnologie cloud possono offrire agli enti pubblici molti vantaggi. A patto di guardarle con occhio critico.

FRANCIA

EMEA

Meno costi, più servizi per la Pubblica amministrazione

L

tion Technologies è diminuita nel 2010 del 2,5%. Mentre nel mondo, superata la battuta d’arresto provocata dalla crisi globale, è tornata a livelli di crescita del 4,9% (per non parlare di Paesi come l’India o la Cina che hanno visto una crescita rispettivamente del 18% e 15%). E pensare che per la Pubblica Amministrazione del nostro Paese la nuvola potrebbe costituire una svolta epocale.

oggi come un macigno sulla capacità di competere delle nostre imprese e dell’intero Sistema Paese”. Una fotografia del grado di interesse che i nostri amministratori hanno dimostrato sulla questione arriva dai dati relativi agli investimenti: secondo lo European Information Technology Observatory (Eito), la spesa italiana in Information and CommunicaFONTE: THE CLOUD DIVIDEND - CENTRE FOR ECONOMICS AND BUSINESS RESEARCH LTD (CEBR), DICEMBRE 2010

FONTE: THE CLOUD DIVIDEND - CENTRE FOR ECONOMICS AND BUSINESS RESEARCH LTD (CEBR), DICEMBRE 2010

vide. E per Paesi come l’Italia, che presentano ancora un netto ritardo rispetto alla media europea, la questione non è indifferente. Occorrerebbe investire, e farlo da subito. Al contrario, secondo l’analisi Cloud & ICT as a Service: fuori dalla nuvola! della School of Management del Politecnico di Milano, il gap infrastrutturale (e di conoscenze informatiche) non è stato colmato, il che “pesa

L’ECONOMIA DI SCALA NELLA CLOUD ECONOMY

Costo medio di acquisto e mantenimento di un server

FONTE: THE ECONOMICS OF CLOUD - MICROSOFT, NOVEMBRE 2010

della taglia della nuvola: quante più saranno le persone che utilizzeranno il cloud computing, tanto più alto sarà il risparmio (vedi GRAFICO ). Per raggiungere tali ordini di grandezza, però, è necessario investire. Il cloud, infatti, presuppone (letteralmente) l’esistenza di una rete diffusa di accesso a internet in banda larga. In altre parole, la nuvola è ineluttabilmente incompatibile con il digital di-

HARDWARE

SOFTWARE

RETI

SERVIZI

ro. E a questi numeri vanno aggiunti quelli degli enti locali e degli ospedali. In pratica ognuno fa da sé, i vari enti non sono interconnessi tra loro e si portano dietro elevati costi di gestione e manutenzione. Una metafora per capire meglio: «Immaginate tanti soggetti diversi che comprano un’auto e anche il box privato in cui parcheggiarla», spiega il presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, Francesco Pizzetti. «Ognuno usa la

UNO DEI PRIMISSIMI ESEMPI DI COME LE TECNOLOGIE CLOUD possano aiutare gli enti locali nella lotta contro sprechi economici e miglioramento dei servizi arriva dalla campagna bolognese. San Giovanni in Persiceto, 24 mila abitanti, aveva problemi nella gestione del servizio di illuminazione pubblica: alti costi di manutenzione, sprechi di energia, reclami dei cittadini. Il rimedio è stato trovato grazie a un sistema di telecontrollo dei lampioni cittadini, messo a punto insieme a Telecom Italia. I cinquemila punti luce sono ora gestiti attraverso tecnologie cloud che permettono di controllare il flusso luminoso di ogni singolo lampione. Il cambio di rotta ha prodotto un risparmio energetico di 1,2 milioni di Kwh all’anno (pari al 46% del consumo di energia elettrica). Per le casse comunali, il risparmio economico è quantificabile in 200 mila euro (a fronte di una spesa annua di mezzo milione), oltre ai minori costi di manutenzione. Tra l’altro, sfruttando l’infrastruttura della rete di illuminazione pubblica, sono stati realizzati punti di accesso wi-fi e un servizio di videosorveglianza. L’iniziativa di San Giovanni in Persiceto ha fatto da battistrada per idee simili di altri enti pubblici. E il Comune emiliano è stato tra quelli premiati dal ministero della Pubblica amministrazione come maggiormente innovativi. Em. Is.

propria auto, ma senza sfruttarla a pieno reanziché acquistare i data center (con annesgime, deve sostenere i costi di manutenzione, si costi di gestione) e i software per erogare oltre all’investimento iniziale per la macchii servizi ai cittadini, gli enti pubblici potrebna e per il box. Per risparmiare, si potrebbe bero sfruttare le tecnologie cloud per centranoleggiare l’auto solo per il tempo effettivalizzare le strutture, creare un unico sistema mente necessario e si potrebbe parcheggiarusato da più enti e accessibile grazie alla Rela in un garage pubblico in cui ci viene garantito un posto riservaLe amministrazioni pubbliche, to». Qualcosa di simile avverrebanziché acquistare i data center be se i sistemi informatici della ed i software, potrebbero P.A. migrassero nella “nuvola”: convergere su un unico sistema

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te e liberando risorse (umane ed economiche) per destinarle allo sviluppo di migliori servizi per i cittadini. Il risparmio non è da poco: il 60% della spesa informatica della Pubblica amministrazione centrale è fagocitata da hardware e software. Ai servizi è riservato solo il 26% del totale (vedi GRAFICO ). E lo sfruttamento dei server locali è oggi inferiore al 30%. Non è quindi un caso che, all’estero, le P.A. stiano studiando il modo di sfruttare a pieno i vantaggi della “nuvola”. Il governo Usa ha stimato che circa 20 miliardi di dollari degli 80 miliardi spesi ogni anno in ambito IT (Information Technology) possano essere orientati in direzione di servizi esterni di cloud computing (in particolare nei dipartimenti Sanità e Tesoro). Il Cabinet Office britannico sta, invece, mettendo a punto una strategia in più fasi: un Data center consolidation per mettere in comune il patrimonio informatico oggi frammentato tra i diversi enti; il G-Cloud per offrire alle varie P.A. servizi basati su infrastrutture certificate; infine il Government application store, che permette alle varie amministrazioni di trovare applicazioni certificate, che magari sono già state sviluppate da altri enti.

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Ma gli ostacoli non mancano «Le tecnologie cloud – spiega Vivek Kundra, Federal Chief Information Officer dell’amministrazione Obama - permetteranno di ottimizzare l’uso dei server, facendolo passare dal 30 a oltre il 60%. Agevoleranno un processo di omogeneizzazione dei sistemi informatici, sgraveranno dagli oneri di ge-

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stione degli hardware, forniranno servizi tagliati sulle esigenze che gli enti pubblici avranno di volta in volta». I motivi di ottimismo sono senz’altro molteplici. Ma è comunque saggio non celare gli ostacoli da superare. «Le P.A. hanno più di altri il dovere di pensare alla sicurezza dei dati – osserva

Francesco Pizzetti – perché i dati che detiene non sono suoi, ma le occorrono per esercitare una funzione pubblica in favore di cittadini e aziende. Fare resistenza contro il cloud è da irresponsabili, perché il processo è irreversibile, ma i problemi bisogna porseli». Standard adeguati di sicurezza, diffusione della banda larga, intero-

La reazione delle aziende Tra amore e scetticismo I “pionieri” della nuvola sottolineano i risparmi e i vantaggi per la flessibilità del lavoro. Ma in molti ancora temono che, dietro alla migrazione verso i nuovi servizi, si nascondano più pericoli che vantaggi. di Emanuele Isonio ER CLAUDIO UMANA il “viaggio della speranza”, come lui stesso l’ha definito, aveva come destinazione Dublino. Non lo spingeva lì (per fortuna) un problema di salute, ma la voglia di inventarsi un sistema che rendesse più efficiente l’uso delle tecnologie informatiche nella “sua” azienda. In Italia non aveva ricevuto risposte convincenti: voleva destinare le risorse investite nei sistemi informatici solo alle attività che potessero dare un contributo diretto al fatturato aziendale. «Noi compriamo l’energia elettrica, non la produciamo in proprio. Compriamo l’acqua, non la estraiamo noi stessi dai pozzi. Non capivo perché non potevo affittare spazio su server gestiti da altri, avere connessioni internet già filtrate da antivirus e usare software basati sulla Rete, anziché comprarli e installarli su ogni pc, per ottimizzare le attività dei dipendenti». Nella capitale irlandese ha trovato una sede di Google e molte soluzioni basate sui sistemi cloud. Umana è direttore dei sistemi informativi della Fracarro, un marchio che ha fatto la storia della tv italiana, distribuendo il segnale televisivo nell’80% delle case e ha oggi sedi in tutti i continenti. Gra-

P

zie ai sistemi cloud, ha iniziato una migrazione a più tappe: la connessione per navigare sul web già pulita da antivirus ha permesso di smantellare i server locali; le caselle di posta già filtrate da Google hanno permesso di cancellare gli antispam e il contenuto delle mail è consultabile direttamente on line; l’uso di programmi simili a quelli del pacchetto Office di Microsoft, forniti gratuitamente, ha cancellato il problema di acquistare le licenze e di installare i programmi sul pc. Tra l’altro, lavorando on line, possono scrivere contemporaneamente sullo stesso documento due, tre, dieci dipendenti insieme. A tutto vantaggio della collaborazione aziendale, che, grazie a chat e videoconferenza, può avvenire anche tra persone distanti migliaia di chilometri.

L’entusiasmo di chi l’ha provato La storia di Fracarro non è isolata. Su e giù lungo lo Stivale altre realtà hanno fatto scelte simili: l’ospedale Bambin Gesù di Roma, il colosso editoriale Wolter Kluwers Italia, la Fiera di Milano e l’ente che gestisce gli acquari di Genova e Livorno (vedi SCHEDE ). Settori d’attività diversissimi, ma accomunati dall’esigenza di rendere il lavoro più semplice e, perché no, di risparmiare denaro.

Dall’ospedale Bambin Gesù di Roma alla Fiera di Milano, in tutta Italia si moltiplicano i casi di passaggio alla nuvola. Ma per ora tra le Pmi nostrane i nuovi sistemi sono ancora rari | 20 | valori |

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E di denaro, in effetti, se ne risparmia e anche parecchio: 50 mila euro anziché 100 mila per i nuovi servizi attivati da Fracarro («ma l’agevolazione dei processi aziendali non ha prezzo», osserva Umana). 3 mila euro anziché 35 mila, nel caso della Costa Edutainment, che ha sperimentato il cloud durante la costruzione dell’Acquario di Livorno: «Abbiamo potuto gestire le mail, spazi condivisi su disco e videoconferenze senza bisogno di infrastrutture, server, personale di controllo e acquisto di licenze», spiega Filippo Costa, ICT Corporate advisor del gruppo. E chi ancora non ha quantificato i guadagni, perché il nuovo sistema è troppo recente, sottolinea il risparmio in termini di risorse umane: «Prima di trasferire sulla nuvola le 3 mila mail dell’ospedale spiega Massimiliano Manzetti, responsabile infrastrutture e server del Bambin Gesù di Roma - dovevamo impegnare a tempo pieno un dipendente nel controllo dei server. Ora l’abbiamo potuto destinare ad attività più vicine al core business del nosocomio e a sviluppare nuovi servizi sanitari. E comunque il livello di servizio “fatto in casa” non era paragonabile a quello offerto da Microsoft (con cui hanno sottoscritto il contratto, ndr). Nell’accordo si è impegnata a ridurre le interruzioni del servizio a meno dello 0,1% su base mensile, per non incorrere in penali molto salate». Ma chi i servizi in cloud li vende oltre che usarli, sottolinea che la nuova tecnologia introdurrà un diverso modo di quantificare

perabilità tra le tecnologie sono, per il Garante della Privacy, i nodi da sciogliere. «Bisogna trovare dei meccanismi di centralizzazione delle tecnologie cloud ed è necessario che le autorità pubbliche diano in fretta dei livelli minimi di sicurezza obbligatori nella gestione dei dati. La banda larga va poi diffusa capillarmente sul terri-

torio italiano, altrimenti alcune amministrazioni non possono avere gli strumenti essenziali per fornire i loro servizi e questo creerebbe disuguaglianze inaccettabili. Inoltre, bisogna accertarsi che i Comuni utilizzino tecnologie tra loro compatibili: i dati devono essere trasportabili da un gestore di cloud a un altro senza problemi.

Un po’ come avviene già con la portabilità del numero di cellulare». La parola d’ordine per risolvere gran parte dei problemi è: dialogo. Tra amministrazioni e fornitori di tecnologie: «Non è detto – conclude Francesco Pizzetti - che questi ultimi conoscano tutte le esigenze degli enti, i rischi e i problemi da affrontare».

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I “PIONIERI” TRICOLORI DEL CLOUD

COSTA EDUTAINMENT SETTORE: GESTIONE SITI CULTURALI Il gruppo Costa, che gestisce da anni l’Acquario di Genova e altri siti della città ligure (1,7 milioni di visitatori annui), ha sperimentato i servizi cloud in occasione della fase di start-up dell’acquario di Livorno. Ha potuto usufruire dei servizi informativi di base (email, videoconferenze) senza dover installare hardware e server locali e senza dover prevedere personale per la loro gestione. Il risparmio si è attestato sul 90%: meno di 3 mila euro, anziché 30-35 mila.

FRACARRO SETTORE: IMPIANTI TV Gruppo storico per la distribuzione del segnale tv in Italia, è oggi composto da 8 aziende con ramificazioni in 5 continenti. A Fracarro, il cloud è servito per dismettere i costosi server interni, per far “migrare” email aziendali e applicazioni, per avere connessioni internet filtrate che hanno reso inutili antivirus e antispam. Sono state poi introdotte applicazioni virtuali al posto del pacchetto Microsoft Office, che permettono a più persone contemporaneamente di lavorare sullo stesso documento, anche a migliaia di chilometri di distanza.

l’investimento e i risparmi: «Il cloud impone di adeguarsi a nuovi modelli di prezzo», spiega Massimo Boano, amministratore delegato di Wolters Kluwer Italia. «Bisogna dare un valore allo spazio per salvare i propri dati messo a disposizione dal provider, al tempo risparmiato non dovendo più acquistare, mantenere, sostituire e testare molti hardware, all’accessibilità totale garantita dalla nuova tecnologia e alla maggiore sicurezza che assicura. Ben più alta rispetto agli strumenti informatici attualmente in uso nella maggior parte delle Pmi italiane».

Lo scetticismo degli altri Eppure, le piccole e medie imprese (Pmi) tricolori sembrano ancora indietro nell’adottare i nuovi strumenti informatici. La ricerca Fuori dalla nuvola dell’osservatorio

FIERA MILANO SPA SETTORE: ATTIVITÀ FIERISTICHE L’avvicinamento al cloud del maggiore operatore fieristico italiano si è avuto con la creazione del nuovo polo di Rho (2005), nel quale sono stati trasferiti molti uffici e la maggior parte del personale. Nel passaggio, non sono state realizzate nuove infrastrutture informatiche, ma sono stati esternalizzati i servizi: i data center gestiti in cloud hanno permesso maggiore flessibilità ed efficienza (spazi a disposizione e potenza variano in funzione delle esigenze che di volta in volta si manifestano). I programmi software sono virtualizzati.

OSPEDALE PEDIATRICO BAMBIN GESÙ

WOLTERS KLUWER ITALIA

SETTORE: SANITÀ L’ospedale romano, uno dei più grandi nosocomi pediatrici italiani, ha avviato un progetto di fruizione delle mail in modalità as a service al posto del precedente utilizzo in locale. A novembre 2010, le 3 mila caselle di posta sono migrate sulla nuvola. La flessibilità della soluzione è connessa al tipo di contratto con il provider che prevede un canone mensile calcolato solo sugli effettivi utilizzi. I risparmi hanno permesso di spostare risorse su altri progetti in ambito sanitario. Gli utenti hanno ottenuto un servizio più efficiente.

SETTORE: SERVIZI EDITORIALI E SOFTWARE 3,5 miliardi di fatturato nel mondo, 11 marchi tra i più noti nella realizzazione di prodotti editoriali specializzati. Per WKI, la nuvola ha rappresentato la possibilità di erogare via web software per la rilevazione delle presenze del personale e coperture di servizi h24. Ma le tecnologie cloud hanno permesso anche di garantirsi risparmi nella gestione dei macchinari e, in caso di danni, tempi di ripristino delle macchine limitati a poche ore.

Cloud del Politecnico di MilaLa preoccupazione di chi no rivela che il mercato delle non vede di buon occhio il cloud soluzioni cloud per le imprese è legata principalmente alla piccole e medie è ancora in fasicurezza dei dati. Per questo se embrionale: il livello di difsarà necessario operare una fusione dei nuovi software sfioferrea selezione degli operatori ra il 3% e quello dei servizi (vedi GRAFICO alla pag. seguente), salvo poi riinfrastrutturali (storage, sicurezza e backup credersi ampiamente una volta provato il dei dati) non arriva al 6%. servizio. Il problema della sicurezza nel Sullo scetticismo molto incide, secondo cloud non è superiore a quando si usano tecla ricerca del Politecnico milanese, la paura nologie “tradizionali”. Certo sarà molto imper la sicurezza dei dati, «un po’ come avveportante selezionare gli operatori che siano niva fino a poco tempo fa con i soldi coneffettivamente affidabili e siano in grado di tanti, percepiti come più sicuri del bancomat erogare i servizi che promettono». Perché o delle carte di credito», spiega Alessandro Piuna tecnologia che promette di rivoluziova, responsabile della ricerca. «Prima di pronare il tessuto produttivo inevitabilmente vare i servizi e le infrastrutture basate sul attirerà squali, disonesti e incompetenti a cloud, quasi un responsabile informatico su centinaia. quattro ha timore per la protezione dei dati

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Furti di dati e falle tecnologiche minano trasparenza e sicurezza del cloud computing: i casi si susseguono e la discussione tra i responsabili delle imprese è viva. Anche se a pagare non saranno solo loro. di Corrado Fontana

A

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IL

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RAPPORTO

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24% 23%

Difficoltà di integrazione con l’infrastruttura già presente in azienda

21%

Percezione di scarsa sicurezza dei dati

15% 15%

di Corrado Fontana

9%

Performance e affidabilità della rete dati

11% 12% 10%

Mancanza di cultura aziendale

I

12%

Difesa degli investimenti esistenti, in termini di soluzioni attualmente in uso e di competenze acquisite

6% 11%

Difficile definizione e rispetto degli Sla

14% 10%

Problemi legati al mancato rispetto delle norme sulla privacy

4% 9%

Modello di pricing on demand considerato piú costoso rispetto all’offerta tradizionale

7% 9%

Mancanza di strumenti per valutare i benefici e i costi derivanti dalla modalità di erogazione as a Service

9%

Problemi legati alle normative di compliance

6% 6%

Timore di scomparsa dei fornitori

6% 5% 5%

Performance e affidabilità dell’infrastruttura IT del provider

8% EX-ANTE

2% 1%

Perdita di ruolo della direzione IT

0%

EX-POST

5%

600 milioni di dollari). Molti titolari e navigatori di siti web si ricordano certo l’incendio presso le apparecchiature italiane di Aruba (fornitore di servizi Internet tra i più diffusi) ad Arezzo, che ha provocato un blackout di diverse ore. Peggio è andata ai videogiocatori iscritti al Sony Playstation Network e agli appassionati di musica e film di Qriocity, visto il massiccio furto dei dati

10%

15%

20%

25%

30%

SITOGRAFIA PER APPROFONDIRE www.itespresso.it/privacy-e-dati-personalicenerentole-della-rete-51677.html http://datalossdb.org/index/largest

delle carte di credito che ha coinvolto circa 70 milioni di utenti, 2,2 milioni dei quali “esposti direttamente al danno”; per non

Le intrusioni dei web-pirati non solo sono all’ordine del giorno. Costano anche molto care: basti pensare al caso degli indirizzi trafugati alla società Epsilon, che si è ritrovata con un conto da 225 milioni di dollari

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L DARPA (DEFENCE ADVANCED RESEARCH Projects Agency, cioè l’Agenzia per i progetti di ricerca nella difesa avanzata), del Dipartimento della Difesa (DoD) americano, sta progettando un’infrastruttura cloud in grado di resistere anche a “cyber attacchi”. L’obiettivo dei militari, attraverso il programma Mrc (Mission-oriented Resilient Clouds), è di sviluppare una rete di hosts (una sorta di centraline di smistamento dei comandi) interconnessi in modo che la perdita di uno e più contenuti in esso “ospitati” non pregiudichi il completamento delle missioni in corso, interrompendo il flusso di informazioni necessario. La parola chiave dell’Mrc è infatti “resilienza” che, in informatica, è la capacità di adattamento attivo e flessibilità di un sistema necessari per adottare nuovi comportamenti una volta appurato che i precedenti non funzionano più. «Il cloud computing è una tendenza emergente all’interno sia del settore commerciale che nel Dipartimento della difesa», ha reso noto recentemente lo stesso Darpa e il progetto Mrc aiuterebbe quindi a spostare il DoD ancor più verso iniziative di cloud computing, almeno secondo Dave Mihelcic, alto funzionario della Defense Information Systems Agency (Agenzia per la difesa dei sistemi d’informazione). Si tratta di una strategia militare e politica condivisa dai vertici Usa e studiata da tempo: non a caso il generale Keith Alexander, direttore della National Security Agency (Agenzia per la sicurezza nazionale) e co-

quella fornitura, rese irraggiungibili per oltre 10 ore, con un blocco forzato della fruizione dei servizi (e degli acquisti) web: il procuratore generale dell’Illinois, Lisa Madigan, ha chiesto delucidazione in merito sia a Apple che a Google.

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IL GIOCO VALE LA CANDELA

Sicurezza delle cloud è anche, sempre più, sicurezza nazionale. Lo sa bene il Dipartimento della Difesa Usa, che è già molto attento all’argomento.

8%

Immaturità dell’offerta

cuni garanti della privacy di Paesi Ue starebbero studiando il caso). Riguardo infine il blackout della cloud di Amazon ad aprile scorso (un problema analogo a Natale del 2010), va registrata la conseguenza negativa diretta per le aziende che si servivano di

Per gli Usa: arma di difesa

LE CRITICITÀ DELLE INIZIATIVE IAAS PERCEPITE EX-ANTE E RILEVATE EX-POST

2011 Cloud & ICT as a Service: fuori dalla nuvola!, sviluppato dall’Osservatorio Cloud & ICT as a Service del Politecnico di Milano, si nota che il “diavolo” della scarsa sicurezza dei dati si rivela forse, nei fatti, meno brutto di come lo si dipinge. Ma esiste. In particolare, un sondaggio svolto tra 168 responsabili dei sistemi informativi e i rappresentanti delle principali aziende dell’offerta mostra, tra la fase precedente all’introduzione dei servizi in cloud e quella successiva, un crollo delle criticità percepite in merito a privacy e sicurezza dei dati: dal 21 all’8% per l’ambito Infrastructure as a Service (IaaS, vedi GLOSSARIO e vedi GRAFICO ) e dal 26 al 16% per quello Service as a Service (SaaS, vedi GLOSSARIO ). D’altra parte i Cio italiani (Chief information officer è il manager responsabile di information & communication technology in azienda) hanno denunciato una discrepanza netta (52% contro 19%) tra i loro desideri e l’offerta reale rispetto alla gestione di certe problematiche. Insomma, c’è ancora molto da lavorare nella direzione delle garanzie per l’utenza che si serve delle cloud, pubbliche e private. A dimostrarlo non è solo l’insicurezza “percepita” dai Cio, ma le numerose data breachs (cioè i furti o le perdite di dati) patite da multinazionali della tecnologia in questi mesi e risultate assai costose sia per esse che, direttamente o indirettamente, per la loro clientela (una folta e aggiornata lista di queste falle è consultabile sul blog dedicato Datalossdb). Le stime che rimbalzano su internet, del resto, dicono che il furto di indirizzi a Epsilon (uno dei maggiori servizi di email marketing al mondo, utilizzato anche da Citibank e Disney) è costato circa 225 milioni di dollari, con 75 aziende coinvolte e il 3% degli utenti (ma il danno potrebbe alzarsi a oltre LEGGERE

parlare del “caso iPhone e iPad 3G”, in cui si sarebbe reso possibile a potenziali criminali il facile tracciamento degli spostamenti degli utenti (la cosiddetta geo-localizzazione): Apple rischia una class action negli Usa ed è già sotto indagine in Sud Corea (mentre al-

mandante del Cyber Command degli Stati Uniti, l’anno scorso rendeva noto che il Dipartimento della Difesa e i suoi sistemi sono sotto attacco continuo (circa 250 mila sonde ogni ora), e Vivek Kundra, Chief Information Officer (Cio) dell'amministrazione pubblica statunitense, ha ricordato che l’Mrc darà sostegno anche alla politica del governo denominata Cloud first (cioè Prima la nuvola), che richiede a ogni agenzia federale di individuare tre sistemi esistenti che potrebbero passare in cloud e di considerare le cloud nello sviluppo di tutti nuovi progetti.

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Il governo americano vuole sfruttare il cloud per sviluppare un sistema di trasmissione sicura, capace di bloccarsi automaticamente in caso di intrusioni di hacker

A LIVELLO GLOBALE L’IDC (International Data Corporation) prevede che nei prossimi anni il 15% della spesa complessiva per l’Information Technology (IT) sarà guidata dal cloud, con una crescita 4 o 5 volte superiore a quella media del mercato IT (Information Technology). Inoltre, l’80% del nuovo software realizzato sarà disponibile come un servizio cloud entro il 2014 e più di un terzo degli acquisti di software sarà effettuato tramite cloud. Per quanto riguarda l’Italia, invece, mentre il solito Idc prevede che, seppure da noi sia un fenomeno ancora di scala ridotta, i servizi basati su cloud computing cresceranno nel 2011 di un 44% rispetto all’anno scorso; secondo una ricerca del Centre for Economics and Business Research (Cebr) il valore totale generato dai servizi cloud nel nostro Paese si avvicinerà, entro il 2015, ai 35 miliardi di euro. Cifre importanti e, soprattutto, in sicuro rialzo che dovrebbero spingere gli operatori del settore a porre la massima cautela anche nel preservare le informazioni che “nelle nuvole” transitano e, di conseguenza, il rapporto con la clientela e, più in generale, l’affidabilità del settore.

DOMANDE, BISOGNI E RISCHI Le domande da porsi prima di affidarsi a un servizio di cloud sono: 1) Chi gestisce i dati e con quali diritti? 2) Dove sono i dati? Sotto quale giurisdizione sono trattati? 3) Come sono protetti i dati da altre organizzazioni che utilizzano lo stesso cloud? 4) Cosa succede ai dati in caso di disastri? 5) Come può l'utente avere evidenza su come i suoi dati sono stati trattati? 6) Per quanto tempo e in che formato saranno disponibili i dati? 7) Quali bisogni deve fornire un gestore di cloud? a) Garantire la riservatezza e integrità dati dell'organizzazione in transito da e verso il fornitore del servizio cloud. b) Assicurare il controllo degli accessi (come autenticazione e autorizzazione) alle risorse che l'utente ha sulla cloud. c) Assicurare sempre la disponibilità delle risorse.

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FONTE: GRUPPO DI RICERCA SULLA SICUREZZA DELL’INFORMAZIONE DELL’ISTITUTO DI INFORMATICA E TELEMATICA DEL CNR

Se la nube fa acqua da tutte le parti

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| dossier | cloud economy |

| dossier | cloud economy |

Il cliente ha (quasi) sempre torto

GLOSSARIO VIRTUALIZZAZIONE: è un sistema software che, se installato su un computer, crea tante copie “virtuali” del computer stesso (tante copie di memoria, disco, scheda di rete, etc), così che sia possibile avere tante macchine “virtuali” in esecuzione nello stesso tempo sulla stessa macchina “fisica”: è come avere tante repliche dello stesso computer e ognuna di esse esiste e lavora separatamente dalle altre e può essere configurata secondo esigenze specifiche.

Obiettivo: sicurezza delle cloud. Tra attacchi deliberati e assenza di regole, l’affidamento di milioni di dati sensibili a soggetti privati o pubblici terzi va sottoposto a particolari cautele. Servono standard e responsabilità.

N RECENTE SURVEY (indaMa quali rischi per la sicurezza dei dati e dei gine, ndr) su 127 fordocumenti degli utenti derivano dall’applinitori di servizi cloud cazione di questo modello di organizzazione ha dimostrato che la maggioranza di essi ritietecnologica? «Innanzitutto - prosegue Dane che sia responsabilità degli utenti mettere al niele Sgandurra - osserviamo come ancora a sicuro i propri dati. Solo una piccola percentutt’oggi la preoccupazione numero uno per tuale delle organizzazioni sono a conoscenza le aziende nell’adottare il cloud computing sia di essere responsabili della sicurezza dei dati su proprio la sicurezza e la privacy (vedi GRAFICO ricloud». Questa constatazione - in certa misura cerca Gartner 2009 sulle cloud pubbliche). La preoccupante - è del dottor Daniele Sgandurmaggioranza degli aspetti di sicurezza già esira, membro del Gruppo di ricerca sulla sicustenti sulle reti tradizionali sono “traghettarezza dell’informazione dell’Istituto di inforti” in maniera analoga all’interno delle cloud. matica e telematica del Cnr (Consiglio Ma esistono altri problemi di sicurezza specinazionale delle ricerche) di Pisa. Sgandurra del cloud computing è Ad oggi non esiste una disciplina un utilizzatore e ne studia i prouniforme e complessiva: blemi degli standard di sicurezza, in Europa vige una direttiva svolgendo ricerche finalizzate a che gli Usa, ad esempio, spesso incrementarne il livello. non riescono a rispettare

«U

fici delle cloud, come gli attacchi al livello di virtualizzazione (quindi nel “cuore” dell’organizzazione del cloud), che possono garantire agli attaccanti un controllo completo delle macchine da un livello basso anche da “remoto” (ovvero attraverso una semplice connessione web, ndr)». Il rischio maggiore derivante dall’uso delle cloud è quello della riservatezza dei dati e, per le imprese, di perdere il controllo sulle informazioni strategiche o confidenziali. «Risulta quindi necessario per l’utente che sceglie il cloud informarsi sui rischi che si assume e sulle responsabilità alle quali si espone nei confronti di terzi (clienti) per eventuali violazioni della normativa in materia di privacy». Il fatto è che attualmente non esiste una normativa uniforme e complessiva: «Per fare un esempio, il quadro legislativo europeo in materia di protezione dei dati personali (Di-

COME DIFENDERSI Per cautelarsi di fronte a possibili perdite o furto di dati, bisogna seguire poche regole: - identificare e separare i dati sensibili (quelli da cifrare) dagli altri - cifrare e proteggere i dati in tutti i trasferimenti (anche i backup) - gestire le chiavi per la crittografia in maniera oculata. Se è il fornitore stesso a fornire tali servizi, bisogna informarsi su aspetti “tecnici” quali generazione delle chiavi, utilizzo, manutenzione, cancellazione Per garantirsi la disponibilità delle risorse bisogna assicurarsi che i livelli minimi di servizio (Sla) siano chiaramente definiti, misurabili, applicabili e adeguati per i requisiti. Per eliminare i dati sensibili in maniera sicura bisogna: - informarsi su come vengono dismessi i dati a livello fisico (dischi, etc) - informarsi sull’esistenza di servizi che supportano la rimozione sicura dei dati Per cautelarsi di fronte ad attaccanti interni al fornitore di servizio, si deve: - specificare a livello contrattuale i requisiti sulle risorse umane, in altre parole chi fornisce il servizio deve avere collaboratori “fidati” - richiedere trasparenza su tutte le pratiche di sicurezza e di gestione - crittografare tutti i dati sensibili Relativamente ai livelli minimi di servizio, l’utente deve: - richiedere gli Sla per la protezione dei dati e per la continuità del servizio - richiedere trasparenza per quanto riguarda la politica del trattamento dei dati - richiedere una politica visibile sulla riservatezza dei dati - se è un utente europeo, richiedere che i dati siano mantenuti in data-center che sono all’interno dell’Ue. In alternativa, è necessario farsi indicare dove sono i dati richiedendo anche quali sono le restrizioni dei Paesi in cui sono ospitati - informarsi sotto quali condizioni i dischi fisici contenenti i dati possano essere confiscati da terze parti o da entità governative. A questo fine, è necessario assicurarsi che gli Sla del fornitore prevedano di segnalare quando i dati stanno per essere confiscati

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SaaS: Software as a Service cioè “software come servizio” è un modello di distribuzione del software applicativo (programmi per computer, ndr) dove un produttore di software sviluppa, opera (direttamente o tramite terze parti) e gestisce un’applicazione web che mette a disposizione dei propri clienti via internet.

Ciò che il cloud computing dovrebbe scongiurare è il rischio di eventi catastrofici, grazie al suo sistema ridondante ed ubiquo. A meno che i pirati informatici non riescano ad effettuare attacchi “sincronizzati”

FONTE: GRUPPO DI RICERCA SULLA SICUREZZA DELL'INFORMAZIONE DELL'ISTITUTO DI INFORMATICA E TELEMATICA DEL CNR

Garanzie tutte da costruire

di Corrado Fontana

IaaS: Infrastructure as a Service, cioè “infrastruttura come servizio” è un modello di fornitura in cui un’organizzazione esternalizza il materiale utilizzato per sostenere le proprie operazioni, compreso lo stoccaggio di dati, l’hardware, i server e i componenti di rete. Il fornitore di servizi possiede l’attrezzatura ed è responsabile della custodia, gestione e mantenimento. Il cliente paga di solito secondo l’uso che ne fa.

rettiva 95/46/CE) offre tutele giuridiche in materia di riservatezza dei dati che Paesi non Ue (tra cui gli Stati Uniti) molto spesso non sono in grado di assicurare. Inoltre sia la normativa europea che quella italiana vietano il trasferimento di dati personali verso Paesi non Ue che non assicurano un adeguato livello di protezione, a meno che, prima del trasferimento dei dati, non siano state adottate adeguate precauzioni (eventualmente di natura contrattuale) per garantire la protezione dei dati personali. Se l’infrastruttura del fornitore è formata da una rete di server sparsi su diversi Paesi che non appartengono alla Ue, la società cliente, prima di inviare i dati personali ultimi degli utenti nel cloud, dovrebbe assicurarsi che il trasferimento di tali dati da Paese a Paese avvenga sempre nel rispetto di quelle garanzie minime di sicurezza previste dalla legge europea».

Chi ha paura dell’hacker cattivo «Dovrebbe», dice il dottor Sgandurra, perché la domanda in sospeso riguarda quanta cura, risorse e capacità investono nella sicurezza le aziende e gli enti che gestiscono le cloud, tra rischi derivanti da eventi catastrofici (incendi o terremoti) o dall’attività umana (crimini informatici, inquinamento involontario delle reti): «Circa l’80% dei fornitori dichiara che le risorse spese per au-

mentare la sicurezza della cloud, su tutte quelle relative al settore Information Technology, sono meno del 10%. Per quanto riguarda le minacce che causano un impatto maggiore, un rapporto del 2010 della Cloud Security Alliance (Csa) stila un elenco in ordine di “gravità”: 1) abuso delle risorse (cioè l’utilizzo non corretto delle risorse fornite dall’infrastruttura); 2) interfacce insicure per accedere ai servizi sfruttate da attaccanti esterni; 3) attaccanti interni al fornitore; 4) problemi derivanti da tecnologia condivisa, dato che diversi utenti usano gli stessi servizi; 5) perdita di dati; 6) sottrazione di identità tramite il furto di credenziali elettroniche». Come si vede, il rischio derivante da eventi catastrofici è minimo, anche perché una delle caratteristiche intrinseche del cloud è quella di essere soprattutto ridondante (risorse replicate) e ubiquo (le stesse risorse sono replicate in più posti del mondo). Per cautelarsi di fronte a possibili perdite o furto di dati bisogna però seguire alcune regole (vedi BOX ), la maggior parte delle quali non incide significativamente sui costi complessivi dei servizi cloud.

gle, Amazon, Facebook. Il problema della sicurezza potrebbe però acuirsi se un simile modello di delega a terzi (o anche “quarti”, “quinti”) diventerà nel tempo l’unico disponibile per l’organizzazione delle informazioni. Ci si può domandare allora se questo processo sarà un fattore di maggiore democrazia o disuguaglianza sociale, politica, economica. E soprattutto, quanto potranno valere le cloud? Saranno equiparabili ai “beni comuni” e il loro possesso, la loro distruzione o gestione potranno diventare causa di guerre diplomatiche o militari? «Il modello che sta dietro le cloud - conclude il dottor Sgandurra - non è recente. L’architettura sottostante a questo modello è semplicemente quella di svariati centri di calcolo sparsi per il mondo collegati tra di loro: per cui, come per il caso dei data-center tradizionali o dei service provider o della stessa Internet, i problemi derivanti dal loro possesso (fisico o virtuale) sono gli stessi anche nel caso del cloud computing. Per quanto riguarda la sicurezza, il problema maggiore può essere dato dal crescente tentativo da parte di attaccanti di creare botnet (reti di computer controllate da “remoto”, a distanza, senza che i proprietari ne siano a conoscenza) su cloud per sferrare attacchi distribuiti: questo è dovuto, in parte, al fatto che per l’attaccante basta trovare una vulnerabilità in una macchina virtuale e, grazie alla replicabilità dell’attacco dovuto a configurazioni simili utilizzate su tutte le macchine, avere a disposizione un numero elevato di nodi da utilizzare per gli attacchi». Non a caso a Washington qualcuno ha già previsto scenari da cyber wars o guerre telematiche in cui la difesa delle cloud è un punto di svolta fondamentale (vedi ARTICOLO a pag. 23).

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PER APPROFONDIRE www.iit.cnr.it/grupposicurezza/ www.cnr.it www.cloudsecurityalliance.org www.digitpa.gov.it/

Il nulla oltre la nuvola

www.idc.com

Va detto poi che la cloud economy non è altro che un’evoluzione di ciò che già, in parte, hanno realizzato sul web colossi come Goo-

www.gartner.com

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http://blogs.gartner.com/

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valori Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

| consumiditerritorio |

| lavanderia |

Benedetti

A scuola con l’Arma

Resurrezione di un faccendiere di Sassuolo

I balilla del XXI secolo di Paola Baiocchi

e una mascherina che ne oscura il viso per rispetto alla sua giovane età. La bimba con i codini aspetta il turno disciplinatamente, mentre l’istruttore dei paracadutisti corregge la posizione e la maestra prende la mira. La foto ha fatto il giro del mondo a corredo di un articolo di Manlio Dinucci, finendo sul sito canadese globalresearch.ca dell’economista Michel Chossudovsky, conosciuto per i suoi libri di analisi sulla guerra nei Balcani non interpretata in chiave etnica e per la critica nei confronti della “guerra totale al terrorismo” inaugurata dall’amministrazione Bush. “Chi l’ha detto che la scuola italiana non si rinnova?” si chiede l’autore dell’articolo. Eccolo il nuovo modello. Non si tratta, però, della versione aggiornata del Reggio approach, l’approccio all’educazione per le scuole materne ed elementari nato a Reggio Emilia, studiato e imitato in tutto il mondo, che occupa da anni i primi posti di tutte le classifiche internazionali dell’eccellenza. Qui siamo di fronte a una “mutazione genetica delle regioni rosse” e del concetto di educazione: nella foto siamo a Pisa, Comune amministrato da una giunta di centro sinistra con sindaco del Pd, che da un paio d’anni promuove “una giornata della solidarietà”, portando gli alunni delle scuole materne, elementari e medie, nella caserma dei paracadutisti della Folgore, reduci dalle “missioni di pace” in Afghanistan. E lo fa durante l’orario di lezione e con dei percorsi di preparazione alla giornata che durano almeno un mese e prevedono che gli addestratori della Folgore si rechino anche nelle scuole, in quella che ormai si chiama “educazione alla difesa” e vede iniziative analoghe in altre regioni. Come in Trentino dove le maestre hanno ricevuto, con l’esortazione a esporlo nelle classi, il calendario della Nato/Isaf, con in copertina un mezzo blindato italiano in Afghanistan armato di mitragliatrice, e foto di soldati italiani in tenuta da combattimento, che offrono ai bimbi afghani dei palloncini bianchi con la scritta Isaf. Nelle scuole di Rovigo, invece, si svolgono lezioni di tattica militare e combattimento con armi ad aria compressa. Dopo la maturità poi, in molte caserme di corpi scelti, ragazze e ragazzi possono passare tre settimane da militare negli stage “Vivi le Forze Armate”, la mini naja da quest’anno aperta anche ai diversamente abili, pagata con i fondi integrativi destinati al funzionamento degli istituti. E questo è uno dei motivi per cui ai genitori viene richiesto un contributo economico all’inizio delle lezioni e perché nelle scuole mancano i gessi, la carta igienica, i fondi per pagare i supplenti e gli insegnanti di sostegno. L BIMBO HA I POMELLI ROSSI

DAL 2011 1° OTTOBRE

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di Mauro Meggiolaro A TRE ANNI non se ne sentiva parlare. Poi agli inizi di giugno la notizia: Alessandro Benedetti, ex cassiere estero di Salvatore Ligresti ed ex mediatore del magnate egiziano Naguib Sawiris, ha comprato il 14% della merchant bank romana Methorios. L’ha fatto attraverso EB Finance SA, una società di diritto lussemburghese. Nella sua vita il cinquantenne finanziere di Sassuolo ha cambiato pelle più volte. È stato indagato, arrestato, rinviato a giudizio e prescritto. Ma alla fine è sempre ripartito, grazie a una “fitta rete di relazioni e contatti in Europa, Nord America, Asia e Medio Oriente”, come si legge su un comunicato di Methorios. L’ultima sua grande impresa risale al 2005, quando Enel cedette l’operatore di telefonia mobile Wind alla Weather Investment di Sawiris, patron del gigante delle telecomunicazioni Orascom. Nell’ottobre del 2007, in seguito a un’inchiesta di Report firmata da Paolo Mondani, i Pm di Roma Giuseppe Cascini e Rodolfo Sabelli aprirono un’indagine sull’operazione, ipotizzando il reato di corruzione. Enel - questa l’ipotesi dei magistrati - avrebbe preferito l’offerta di Sawiris a quella - più vantaggiosa - del concorrente Blackstone in cambio di tangenti, veicolate ad Enel attraverso Benedetti. Dall’operazione spuntarono 97 milioni di euro per “costi e consulenze” che i Pm romani cercarono di tracciare, scontrandosi però molto presto con la reticenza di Singapore e Bahamas, dove sarebbe finita una parte fondamentale della “commissione”. Le due giurisdizioni off shore non hanno risposto alle rogatorie internazionali e, nell’ottobre del 2010, i Pm hanno alzato le braccia, chiedendo l’archiviazione per prescrizione dei termini. Benedetti, ancora una volta, si è salvato. E Fulvio Conti, Ad di Enel, finito nella lista degli indagati, ha finalmente potuto tirare un sospiro di sollievo.

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Banca Etica. Le sfide per il nuovo Comitato etico >32 F35, un rapporto Usa boccia il nuovo caccia militare. L’Italia va avanti >34 Banche italiane e bombe a grappolo. Il massacro continua >35

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Da Geldof alla Carlyle L’inventore del Live Aid è pronto a lanciare il suo fondo di private equity per investire nel continente.

E in molti sono pronti a seguirlo. Superata la crisi, l’Africa torna ad essere meta degli operatori finanziari. Tra infinite incognite.

L’inventore del “Live Aid”, il cantante Bob Geldof.

La finanza riscopre il mal d’Africa

di Matteo Cavallito

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DISTANZA DI ANNI è fin troppo

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CHRISTOPHER PLEDGER / EYEVINE

chiaro come Mark Knopfler e i suoi non avrebbero potuto pensare a un titolo più evocativo. Quando, nella calura di quel 13 luglio 1985, i Dire Straits salirono sul palco accennando le prime note, il pubblico di Wembley andò letteralmente in visibilio. Nulla di strano, in realtà, visto che Money for Nothing era semplicemente una delle grandi hit del momento. Quello che ancora nessuno immaginava, però, è che quel titolo così emblematico, in Italiano “soldi facili”, sarebbe diventato lo slogan di un evento destinato molti anni dopo a sollevare più di un dubbio. Anche se all’epoca, per l’appunto, un miliardo e mezzo di telespettatori faticò ad accorgersene. E sì, perché quel Live Aid realizzato sulle due sponde dell’Atlantico coinvolgendo il gotha della musica del tempo sembrava davvero una panacea senza macchie. Un’idea folgorante capace di risolvere a colpi di donazioni niente meno che la grande emergenza del momen|

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FONTE: PRIVATE EQUITY INTERNATIONAL, MAGGIO 2011 - WWW.PEIMEDIA.COM

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TOP 10 DELLE PRINCIPALI SOCIETÀ DI PRIVATE EQUITY DEL MONDO NOME

SEDE CENTRALE

1

TPG Capital

Fort Worth (Texas)

$ 50,5

2

Goldman Sachs Principal Investment Area

New York

$ 47,2

3

The Carlyle Group

Washington DC

$ 40,5

4

Kohlberg Kravis Roberts

New York

$ 40,2

5

The Blackstone Group

New York

$ 36,4

6

Apollo Global Management

New York

$ 33,8

7

Bain Capital

Boston

$ 29,4

8

CVC Capital Partners

Londra

$ 25,0

9

First Reserve Corporation

Greenwich (Connecticut)

$ 19,0

San Francisco

$ 17,2

10 Hellman & Friedman

to: la spaventosa carestia che stava massacrando per fame un milione di etiopi. Bob Geldof, voce dei Boomtown Rats e ideatore del più colossale concerto di beneficenza mai realizzato, sembrava avere le idee chiare. «C’è gente che muore, dateci i vostri soldi!», disse stizzito ai microfoni della Bbc. E la gente obbedì. Quando le luci si abbassarono l’Etiopia scoprì, si disse, di aver guadagnato in un colpo solo 150 milioni di sterline. Gli occidentali spensero il televisore con un persistente ronzio ancora fisso nelle orecchie. “That ain’t workin’, that’s the way you do it”. Così non va, è il tuo modo di fare. E già…

FUNDRAISING ULTIMI 5 ANNI IN MILARDI DI $

Dai sentimenti agli investimenti A distanza di oltre un quarto di secolo il Live Aid resta uno degli eventi più celebri della storia della musica e del terzomondismo come concetto squisitamente occidentale. Tenete a mente il clima entusiastico di quel giorno. Ci ritorneremo, e non senza logica. Ma intanto considerate quanto possa essere significativa per il clima odierno la notizia battuta dal Financial Times lo scorso 18 maggio. Il cantante e attivista Bob Geldof, scrive il quotidiano britannico, “si sta impegnando per ottenere sufficienti finanziamenti per il suo fondo 8 Miles, un veicolo fi-

nanziario riconducibile alla categoria dei private equity”. «La necessità di investimenti viaggia di pari passo con quella di aiuti appropriati», ha precisato Geldof. Altro che beneficienza, insomma. A sal vare l’Africa ci penseranno le “locuste del capitalismo” (vedi BOX ). I dati li ha resi noti la Banca Mondiale: l’Africa riceve appena il 5% degli investimenti stranieri diretti, ma la tendenza delinea un’ascesa. Nel corso del 2011 la somma di questi ultimi sfonderà quota 40 miliardi di dollari, contro i 32 del 2010. E gli investitori di professione, come la londinese Helios Investment Partners, primatista di settore nelle sottoscrizioni con 900 milioni di dollari raccolti, saranno i protagonisti. Soprattutto in settori chiave come i servizi finanziari, le telecomunicazioni e l’agricoltura. Un esempio su tutti per capire meglio il concetto. Ricordate la famigerata Carlyle? La società di private equity più famosa del Pianeta che annoverava tra i suoi associati l’ex presidente Usa George Bush senior, l’ex premier britannico John Major e la ricchissima famiglia Bin Laden? All’inizio del 2008 la bolla dei mutui l’aveva quasi uccisa sotto i colpi di 16,6 miliardi di debiti che avevano affossato il suo fon-

PRIVATE EQUITY VORACI COME CAVALLETTE

Un concerto dell’iniziativa di Bob Geldof “Live Aid” tenuto al Jfk Stadium di Philadelphia, negli Stati Uniti.

do immobiliare. Tre anni più tardi, nel primo trimestre 2011, Carlyle ha registrato un utile record di 6,4 miliardi di dollari, restituendo il sorriso agli operatori. Nel marzo di quest’anno, il gruppo ha annunciato il lancio di un fondo da 750 milioni dedicato agli investimenti in Africa nei settori dei beni di consumo, delle infrastrutture, dei servizi finanziari e del binomio agricoltura-energia. In pratica una conferma di quel trend già osservato da una ricerca pubblicata nei mesi scorsi da Counter Balance che aveva individuato nel boom delle materie prime uno dei fattori chiave del rilancio delle “locuste” dopo il grave, ma non mortifero, contraccolpo inferto loro dal settore immobiliare. Un boom particolarmente sentito proprio in Africa, serbatoio di risorse per la crescente domanda di Cina e India, ma anche del Sud Est asiatico e dei Paesi arabi.

Investimenti vs aiuti

LE CHIAMANO “LOCUSTE DEL CAPITALISMO” perché, come le cavallette all’assalto di un raccolto, sembrano interessate a divorare tutto ciò che può generare rapidi guadagni. Basta citare il loro soprannome, insomma, per capire quanto le società di private equity abbiano, per così dire, faticato a farsi una buona fama nel corso di un decennio passato a prendere di mira società non quotate con l’obiettivo di acquisirle generando un profitto al momento della successiva cessione. Che, di norma, avviene nel giro di 3 o 5 anni. L’acquisizione può avvenire tramite un indebitamento (leveraged buyout) che, talvolta, viene saldato proprio con la vendita della società scorporata. Le operazioni condotte sulle aziende acquisite possono implicare una riduzione del personale come strumento di ottimizzazione dei costi e, più in generale, sono criticate per un certo deficit di trasparenza. Nel 2003 il giro di affari delle private equity non raggiungeva i 1000 miliardi di dollari. Entro il 2015, ha affermato la società britannica Ifsl, la cifra dovrebbe salire a quota 3.500 miliardi.

l’espansione media si è attestata a quota 5,5-6%. Investimenti e crescita, insomma, sembrano viaggiare di pari passo in un circolo virtuoso in cui qualcuno, da tempo, aveva individuato l’unica vera salvezza del Continente. “Negli ultimi cinquant’anni i Paesi ricchi hanno trasferito aiuti ai Paesi poveri per oltre 1 trilione di dollari. Gli africani stanno forse meglio? No”, ha tuonato in passato Dambisa Moyo, analista di Goldman Sachs ed ex funzionaria della Banca Mondiale convinta che al suo Paese, lo Zambia, e al resto del continente servano molti investimenti e pochi aiuti a fondo perduto. Una tesi contenuta in un libro “scandalo” dal titolo emblematico, “Dead Aid”, dai richiami fin troppo evidenti. E qui ritorniamo a quel giorno del luglio ’85 quando un’ondata di solidarietà pervase il pop-rock e i suoi adepti. L’Etiopia, come detto, incassò 150 milioni di sterline, ma gli etiopi, è bene precisarlo, non ne videro che una minima parte. Mentre la carestia uccideva da 300 mila a un milione di persone, l’allora leader ribelle Aregawi Berhe si impossessò, per sua stessa ammissione, di 100 mi-

Secondo la società di consulenza McKinsey, il Prodotto interno lordo africano sarebbe cresciuto del 4,9% dal 2000 al 2008, più del doppio rispetto al decennio 19801990. Il ritmo si è ridotto con l’arrivo della crisi, attestandosi poco al di sotto del 3%, ma in seguito, ha I 150 milioni raccolti al Live spiegato al Financial Times Aid del 1985 non salvarono Graham Stock, analista del l’Etiopia. Ora tocca fondo speculativo londinese alle società di private equity. Insparo Asset Management, E i timori non mancano | 30 | valori |

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lioni di dollari di donazioni. Investendone 95 in armi. La lezione etiope dovrebbe dare il colpo di grazia alla teoria degli aiuti a tutti i costi. Ma è anche vero che l’alternativa principale ha sollevato nel tempo non meno perplessità. Nel 2007, proprio Bob Geldof fu assunto in qualità di consulente dall’inglese Helius Energy Plc, compagnia impegnata in Africa nello sviluppo dei biocarburanti, ad oggi la risorsa chiave nella giustificazione della sottrazione dei terreni coltivabili alle popolazioni locali. Nel novembre scorso, esponenti del settore e capi di Stato del continente si sono incontrati a Londra in occasione del Private Equity in Africa, un leadership summit organizzato dal Financial Times. Tema chiave dell’incontro le migliori strategie di uscita delle società. Come a dire: sottraiamo risorse, ristrutturiamo compagnie locali tagliando il personale, intaschiamo soldi pubblici, indebitiamo, accumuliamo profitti e salutiamo cordialmente levando il disturbo dopo qualche anno. Alla faccia degli investimenti di lungo periodo e dei programmi di sviluppo duraturo. Un problema aperto che evoca il più classico dei paradossi. Quello dei salvatori privati che, in molti casi, piombano sul Paese disastrato di turno lasciando sul terreno più danni che benefici. E che, disgraziatamente, si fermano anche troppo poco.

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Le sfide per il nuovo Comitato etico

IL NUOVO COMITATO ETICO DI BANCA ETICA GIOVANNI ACQUATI (1949). Fondatore della Mag 2 Finance e presidente per 26 anni, fino al 2006. Tra i soci fondatori di Banca Etica. LEONARDO BECCHETTI (1965). Da sei anni presidente del Comitato etico d Banca Etica. Professore ordinario di Economia politica all’università Tor Vergata di Roma. Membro del consiglio della Società Italiana degli Economisti e di Econometica, network di 23 Atenei italiani per gli studi sul rapporto tra etica ed economia. TIZIANA BONORA (1964). Coordinatrice della circoscrizione soci di Banca Etica della Provincia di Savona e Imperia per tre mandati. Ex consigliere comunale a Finale Ligure con delega all’ambiente (1996) ed ex consigliere provinciale della provincia di Savona. CLAUDIO FERRARI (1949). Consigliere di Amministrazione della Fondazione Langer di Bolzano. Socio e cantastorie di Banca Etica. MARINA GALATI (1958). Direttrice di tutte le aree di intervento e dei servizi dell’organizzazione Comunità Progetto Sud. Socia di Banca Etica ed ex referente (dal 2005 al 2009) dell’area Sud. PASQUALE IORIO (1947). Giornalista pubblicista. Ha partecipato a diverse attività di formazione e specializzazione in materia di sviluppo locale e innovazione. ERCOLE ONGARO (1947). Dal 2008 componente del Comitato etico di Banca Etica e, dal 2010, del suo organo di vigilanza. Autore di testi per azioni teatrali, che affrontano le tematiche dell’educazione alla responsabilità, alla cittadinanza, al dialogo interculturale.

Dal 28 maggio Banca Etica ha un nuovo Comitato etico. Avrà un ruolo di garante dell’etica nelle scelte dell’istituto, ma anche uno più attivo: essere una fucina di idee. Attenzione, però, a non sovrapporsi con il Cda. di Elisabetta Tramonto ARANTIRE CHE BANCA ETICA si buire a preservare questo premio etico. comporti eticamente. Non è un gioco di parole, bensì il Una nuova squadra compito del Comitato etico: l’organo “a Lo scorso 28 maggio, durante l’assemblea cui spetta una funzione consultiva e prodei soci della banca, è stato eletto il nuopositiva affinché la banca si sviluppi nelvo Comitato etico. È composto da Giol’ambito dei criteri di eticità, così come sovanni Acquati, Leonardo Becchetti, Tiziano individuati dallo Statuto”, spiega il na Bonora, Claudio Ferrari, Marina Galati, regolamento interno. Un compito che, Pasquale Iorio e Ercole Ongaro (vedi per una realtà come Banca Etica, assume SCHEDA). Nei mesi che hanno preceduto una rilevanza particolare. Il “rispetto dei l’assemblea, i candidati (oltre agli eletti, valori” e la coerenza con i “principi etici” Alberto Berrini, Davide Biolghini, Giorgio per questo istituto si traducono in un veCingolani, Paola Donati, Giorgio Fiorenro e proprio vantaggio competitivo e in tini, Massimo Gavagnin, Riccardo Moro, un valore aggiunto in termini economici. Giuditta Peliti) hanno partecipato a nuGrazie agli obiettivi che si è proposta - comerosi incontri con i soci. «Banca Etica ha struire un’economia al servizio della peruna missione che la distingue dagli altri sona, rispettare principi etici, condividere istituti di credito: l’etica. Il Comitato deve le decisioni con la base sociale - Banca Etigarantire che venga rispettata tale missioca si è conquistata nel tempo un “premio ne», ha spiegato Leonardo Becchetti, duetico” presso i risparmiatori, che, proprio rante l’incontro con i soci organizzato a in funzione di esso, sono disposti a finanziarla a tassi più Per Banca Etica il rispetto bassi rispetto a quelli prevadei valori è anche un vantaggio lenti sul mercato. Il compito competitivo: i clienti accettano del Comitato etico è contritassi più bassi del mercato

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Terra Futura, a Firenze, il 20 maggio scorso. «Il Comitato etico deve verificare il rispetto dell’articolo 5 dello Statuto (quello che esplicita le finalità della finanza etica che devono ispirare le attività della banca, ndr)», precisa Giovanni Acquati. «Deve essere un interlocutore delle istanze etiche della base sociale», dice Ercole Ongaro. «Ma - aggiunge Marina Galati - non dovrebbe limitarsi a fare da garante. Credo che il Comitato etico debba essere anche promotore e ricercatore. L’etica non e statica, deve dialogare con la storia e con i processi sociali in cui viviamo». Della stessa opinione Giovanni Acquati: «Il Comitato etico dovrebbe anche stimolare la creazione di nuovi strumenti di finanza etica». Attenzione, però, alla sovrapposizione di ruoli, in particolare con il Cda. «Talvolta c’è un po’ di confusione - spiega Marco Piccolo, responsabile dell’area socio-culturale di Banca Etica. «Non è compito del Comitato etico pensare alla strategia della banca o alle sue politiche. Il Comitato etico ha un ruolo di garanzia, con ambiti di intervento chiari e distinti da quelli del Cda. I due organi collaborano, ma ognuno procede per conto proprio. Sarebbe interessante stimolare un confronto all’interno del sistema di Banca Etica su cosa rappresenti la tensione etica nella banca e su cosa possa fare il Comitato etico», conclude Marco Piccolo.

Una fucina di idee Per il terzo mandato consecutivo il presidente del Comitato etico è Leonardo Becchetti, docente di Economia all’università Tor Vergata di Roma. «Il ruolo del Comitato etico - spiega Becchetti - è, da un lato, passivo e consiste nel dare risposta alle segnalazioni, arrivate da clienti e soci, di

Nelle foto alcuni momenti dell’ultima assemblea dei soci di Banca Etica, il 28 maggio scorso, durante la quale è stato eletto il nuovo Comitato etico.

conflitti tra alcune scelte operative e i valori della banca. Come l’annoso dilemma: bisogna valutare l’etica del progetto o del richiedente? Un altro tema che crea enormi dibattiti è il finanziamento al fotovoltaico: è sempre meritevole o dipende dalle superfici? Cioè bisogna finanziare anche l’installazione di pannelli solari che

coprono enormi aree agricole? Oppure è capitato di valutare se un’associazione che aveva chiesto un prestito fosse una setta. In tal caso non le sarebbe stato concesso il finanziamento. O ancora i mutui per l’acquisto della seconda casa, non sono illegali né eticamente disdicevoli, ma Banca Etica deve occuparsene?». Questa una carrellata di possibili questioni che arrivano all’esame del Comitato etico. «Il Comitato etico ha anche un ruolo attivo - continua Becchetti - di aiuto e sostegno al Cda, che si concretizza nell’elaborare vie originali per incarnare l’eticità dei principi in sempre nuove soluzioni di prodotti e servizi. Il Comitato etico deve essere una fucina di idee. Ne abbiamo già date diverse al Cda. Abbiamo chiesto di lavorare di più sul finanziamento al microcredito nel Sud del mondo, di finanziare in particolare il fotovoltaico sulle aree dismesse e molto altro ancora». Ma qual è la vera sfida del Comitato etico nei prossimi anni? «Dovrà contribuire a sciogliere il dilemma - o almeno trovare un equilibrio - tra purezza e rilevanza: è meglio mantenersi puri, ma isolati dal mondo - si domanda Leonardo Becchetti - o invece sporcarsi le mani, “compromettersi”, per cambiare il sistema e riuscire ad avere un impatto?».

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F35, un rapporto Usa boccia il nuovo caccia militare L’Italia va avanti

Banche italiane e bombe a grappolo Il massacro continua

Il governo italiano impone tagli generalizzati e chiede continui sacrifici. Mentre il nostro Paese continua a finanziare il jet Joint Strike Fighter, uno dei programmi militari più dispensiosi della storia.

I principali istituti di credito di tutto il mondo continuano a fare affari con le aziende che producono cluster bombs. E anche Gruppo IMI, Intesa Sanpaolo, Italmobiliare e Unicredit sono coinvolte.

di Andrea Baranes

di Roberto Cuda COSA SI PUÒ FARE CON 15 MILIARDI DI EURO

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Dagli Usa la principale critica

LA SOMMA CHE IL NOSTRO GOVERNO vuole investire per acquistare i Jsf sarebbe sufficiente per: costruire tremila asili nido, creando 20 mila posti di lavoro e a beneficio di 90 mila bambini; mettere in sicurezza mille scuole, a beneficio di oltre 300 mila studenti; installare 10 milioni di pannelli solari, creando decine di migliaia di posti di lavoro e dando energia pulita a circa 300 mila famiglie; garantire l'indennità di disoccupazione per 6 mesi a centinaia di migliaia di persone. Non una di queste cose a scelta. Il costo complessivo di tutte queste misure sarebbe di 15 miliardi di euro. Il problema consiste nella mancanza di soldi o nelle priorità politiche e nelle scelte del governo?

na come un vero e proprio atto d’accusa per inefficienze, aumento dei costi e ritardi. Il Gao è noto come il braccio investigativo o il “cane da guardia” del Congresso degli Stati Uniti e svolge il fondamentale ruolo di monitorare il lavoro del governo federale. Ecco alcune delle conclusioni del rapporto presentato lo scorso maggio. “La ristrutturazione del programma intrapresa dal Dipartimento della Difesa ha delle conseguenze: maggiori costi di sviluppo nell’immediato, meno aerei nel breve, ritardi nell’addestramento, aumento dei tempi per i test e per la consegna degli apparecchi. (…) I costi di sviluppo sono aumentati del 26% e i tempi si sono spostati in avanti di 5 anni. (…) La fattibilità per gli Usa e per i suoi partner è messa in discussione dal quasi raddoppio del costo medio dell’unità rispetto all’inizio del progetto e dall’aumento dei costi stimati di esercizio. Andando oltre, il Jsf richiede dei finanziamenti senza precedenti in un

Se non dà ascolto alle reti della società civile, che criticano duramente la scelta di acquistare i velivoli, il nostro esecutivo dovrebbe porsi qualche domanda almeno guardando cosa avviene all’estero. Gran Bretagna, Norvegia, Olanda e Danimarca stanno riconsiderando la loro partecipazione. Ma le critiche più dure e più clamorose arrivano dagli Stati Uniti - capofila del progetto dove il Government AcUn rapporto del Government countability Office (Gao) Accountability Office degli Stati ha recentemente pubbliUniti parla di costi alle stelle, cato un rapporto che suoproblemi tecnici e tempi dilatati | 34 | valori |

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momento di maggiore austerità per le spese per la difesa”. Tra le diverse questioni tecniche, il rapporto sottolinea poi come, “dopo più di nove anni di sviluppo e quattro di produzione, il programma Jsf non ha ancora pienamente dimostrato che il progetto dell’aereo è stabile, i processi produttivi sono maturi e il sistema è affidabile. (…) I test e la produzione dell’apparecchio costano di più e richiedono più tempo del previsto. (…) I test di sviluppo sono ancora insufficienti a dimostrare che il velivolo funzionerà come previsto e sarà in grado di soddisfare le richieste per l’utilizzo durante un combattimento. (…) Il 4% delle funzionalità del Jsf sono state completamente verificate da test aerei, di laboratorio o in entrambe le situazioni”. Queste sono solo alcune delle annotazioni ufficialmente depositate al Senato degli Stati Uniti. 15 miliardi di euro per 60 milioni di italiani sono 250 euro a persona, neonati inclusi. Siamo sicuri che l’acquisto di un caccia d’attacco con giganteschi problemi tecnici, tecnologici, economici e con enormi ritardi di progettazione e realizzazione sia il modo migliore di utilizzare i nostri soldi?

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nemmeno alla Lockheed Martin, che nel novembre 2009 emise obbligazioni per 1,5 miliardi di dollari in due tranche, la prima di 900 milioni a dieci anni e la seconda di 600 milioni a trent’anni: insieme ad altre 12 banche, Bnp contribuì per una quota di 62,5 milioni. Infine al 31 dicembre 2010 la società di gestione Shinhan Bnp Paribas Asset Management, posseduta al 50% dalla banca francese, compariva tra gli azionisti della Poongsan Corporation con lo 0,9% del capitale, pari a 10,7 milioni di dollari.

effetti simili alle mine antiuomo: quando esplodono spargono i frammenti nel terreno, che possono restare inattivi anche per anni. Finché Chi finanzia qualcuno non ci mette un piede sopra. le cluster? Spesso sono bambini, che nel migliore Bnp Paribas nell’ottobre 2010 partecipò aldei casi subiscono pesanti mutilazioni. l’erogazione di crediti agevolati per 1 miBenché 107 paesi abbiamo firmato per la liardo di dollari ad Alliant Technosystems, messa al bando (Convenzione di Oslo, con scadenza 5 anni, utilizzati per operamaggio 2008) queste armi continuano zioni di rifinanziamento, incremento del ad essere prodotte e vendute in tutto il capitale operativo e finanziamento di posmondo. A guadagnarci sono colossi del sibili spese ed acquisizioni. Attraverso la L’Italia calibro di Alliant Techsystem, Lockheed controllata Bank of West, il gruppo Bnp non è da meno Martin, L-3 Communications i quali, per compare in un sindacato di 20 banche con Venendo alle banche nostrane, Banca IMI inciso, non potrebbero operare se non una quota di 30 milioni di dollari. (Gruppo Intesa Sanpaolo) fu uno dei sei fossero lautamente foraggiati dal sistema Nel settembre 2009 la Textron mise sul dealers nell’emissione di obbligazioni delfinanziario. mercato obbligazioni per 600 milioni di la Lockheed Martin nel maggio del 2010. Il rapporto “Worldwide Investments dollari in due tranche, una da 350 milioni Si tratta di obbligazioni con scadenza 2040 in Cluster Munitions: A Shared Responcon scadenza cinque anni e una da 250 miper un valore complessivo di 728,2 miliosibility”, realizzato da IKV Pax Christi e lioni con scadenza dieci anni. Bnp Paribas ni di dollari, emesse in cambio di una quoNetWerk Vlaanderen, mostra un quadro contribuì nel collocamento di 37,5 miliota di obbligazioni in essere della società, a tinte fosche sulle responsabilità della ni nell’ambito di un pool di 11 banche. La che matureranno tra il 2016 e 2036. finanza: 166 tra banche, società di gebanca non fece mancare il suo sostegno L’altro grande gruppo italiano, Unicrestione e assicurazioni hanno dit, viene citato per le falle laLE PRIME 10 BANCHE CHE FINANZIANO LE CLUSTER BOMB appoggiato aziende attive sciate aperte dalla propria ponella produzione di bombe licy sugli armamenti. Unicredit BANCHE PRESTITI ATTIVITÀ DI INVESTMENT BANKING cluster, di cui 38 in Paesi che tuttavia fu oggetto di una pre1 Morgan Stanley 100 850 hanno aderito alla Convencedente indagine di Profundo 2 JPMorgan Chase 35 639,2 zione di Oslo. In tutto più di e Urgewald dal titolo “German 3 Deutsche Bank 622 39 miliardi di dollari dal bank financing producers of 4 Goldman Sachs 546,9 maggio 2008. In Europa sono cluster munitions” (2 dicem5 Bank of America 476,3 26 gli istituti coinvolti, tra bre 2010) dalla quale risultava6 RBS 80 359,7 cui Bnp Paribas, Crédit Agrino investimenti per quasi 300 7 Citigroup 347,3 cole, Natixis, Société Généramilioni di euro da parte dei 8 Sberbank 320 le, Allianz, Deutsche Bank, fondi a marchio Pioneer, che 9 UBS 274,1 Barclays, HSBC, Royal Bank riunisce le società di gestione 10 Changjiang Securities 264,3 of Scotland, Rabobank. Moldella banca.

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E BOMBE CLUSTER HANNO

FONTE: WORLDWIDE INVESTMENTS IN CLUSTER MUNITIONS: A SHARED RESPONSIBILITY, IKV PAX CHRISTI E NETWERK VLAANDEREN

e sempre più pesanti tagli a sanità, ricerca, istruzione, welfare è sempre la stessa: è un periodo di grande difficoltà per le casse pubbliche, i soldi non ci sono, tutti dobbiamo fare dei sacrifici e stringere la cinghia. Ma è davvero così? Il governo continua a tenere in piedi uno dei più costosi progetti militari della nostra storia: oltre 130 caccia d’attacco Joint Strike Fighter (Jsf) F35. 15 miliardi di euro per acquistarli, senza contare le successive spese di esercizio e manutenzione. Un progetto portato avanti senza che, fino a oggi, ci sia nemmeno stata una discussione in Parlamento. Nei mesi scorsi una mozione che chiedeva di sospendere l’acquisto di questi caccia era stata presentata alla Camera, ma dopo essere già stata calendarizzata, è scomparsa dai nuovi programmi di lavoro. A GIUSTIFICAZIONE AI CONTINUI

ti di questi gruppi operano da tempo in Italia, come Allianz e Bnp Paribas (che controlla Bnl) ma compaiono anche le italiane Intesa Sanpaolo e Italmobiliare (Pesenti).

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Ipo: tutti contro tutti

Berlino decide e l’Europa si adegua

La faida della piazza di Londra dal cuore della finanza londinese Luca Martino NA DELLE RIFORME, non tanto normative quanto culturali, che

dall’ombelico dell’Europa Roberto Ferrigno

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in molti si aspettavano nella City a seguito della crisi degli ultimi anni, era legata al mercato delle Ipo. Il meccanismo delle Offerte pubbliche iniziali, passaggio attraverso il quale le imprese si quotano nei mercati azionari per ottenere, tra gli altri benefici, una fonte di finanziamento di fatto scontata e flessibile, rappresenta già da parecchi anni un dispositivo alquanto farraginoso in un contesto tutt’altro che trasparente. Anche illustri economisti non sono riusciti a spiegare perché le aziende, fino a pochi anni fa, hanno in media rinunciato a circa 10 milioni di dollari a quotazione laddove si raffrontino il prezzo di chiusura e quello di apertura dei nuovi titoli nel primo giorno di contrattazione. La ragione sta probabilmente nel fatto che alcune variabili di tipo qualitativo, legate al ruolo degli intermediari, all’autenticità della contabilità aziendale e alla propensione al rischio di alcuni investitori dalla reputazione non sempre cristallina, sono difficilmente modellizzabili nel momento in cui si tenti di derivare il prezzo fair di un’azienda, valore che dovrebbe tener conto esclusivamente della capacità di generare profitti nel medio-lungo periodo. La recente crisi ha cambiato anche questa consuetudine dell’underpricing dei nuovi titoli azionari, forse in peggio: oggi, in una faida tra i vari protagonisti del mercato della raccolta di fondi pubblici, di una piazza finanziaria come quella di Londra, intermediari, investitori e consulenti di vario genere si accusano a vicenda. Venditori, alcuni senza scrupoli, accusano le banche d’affari di promuovere prezzi bassi per favorire il successo delle operazioni. Gli investitori denunciano alcune valutazioni oggettivamente irrealistiche e criticano la struttura delle commissioni e il modello consortile delle banche d’affari. Queste ultime, infine, attaccano l’incompetenza dei consulenti sia dei venditori che dei compratori. In questo contesto del tutti contro tutti, a rimetterci maggiormente sono quelle aziende, sempre di più, che devono rinunciare ad aprirsi alle controparti istituzionali a causa di questo clima lesivo della fiducia e della trasparenza del mercato. La realtà è che i mercati finanziari rappresentano un ecosistema complesso dove in molti ancora legano il proprio ruolo a valori come l’integrità e l’oggettività. Senza appellarsi a Joseph Schumpeter si può constatare che, purtroppo, oggi più di ieri la finanza non basa le proprie analisi e valutazioni solo su “idee, principi o metodi analitici”, quanto su un gigantesco conflitto di interessi che contraddistingue, rendendolo talvolta inefficiente, il nostro sistema economico e finanziario. todebate@gmail.com

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Venditori, investitori, consulenti e banche d’affari si accusano, in una delle più gravi crisi relazionali della City. A rimetterci sono le aziende |

A GERMANIA SEPPELLISCE il nucleare nel 2022. Dietro la decisione di Angela Merkel non c’è solamente Fukushima e l’avanzata dei Verdi. È in gioco la leadership tecnologica e produttiva dell’unica grande potenza europea rimasta. Il futuro sono le energie rinnovabili, l’efficienza energetica e la trasmissione e stoccaggio dell’elettricità. Le case automobilistiche tedesche sono in grado di passare alla produzione su grande scala di auto elettriche già oggi. Le grandi utilities dell’energia tedesche, da E.on a Rwe, hanno compreso che i giorni dei conglomerati basati su nucleare, carbone e petrolio sono ormai contati. Il prossimo mese di agosto si riunisce in seduta straordinaria il board di Rwe con un unico argomento all’ordine del giorno: il futuro della società e di Juergen Grossmann, il suo attuale Ceo, nemico giurato delle rinnovabili. La spallata tedesca al nucleare si è sentita forte a Parigi, ma soprattutto a Bruxelles. Ancora una volta, la Commissione è stata presa alla sprovvista. Barroso è da sempre schierato a favore del nucleare. Al massimo, dopo il disastro giapponese, si trattava di migliorare la sicurezza delle centrali, senza mettere in discussione i benefici atomici nella lotta al cambiamento climatico. Barroso si è anche adoperato per annacquare il più possibile la proposta del Commissario all’energia Oettinger di applicare a tutto il parco nucleare europeo gli stress tests che avevano portato alla chiusura in emergenza di sette dei diciannove impianti tedeschi nel post-Fukushima. Sforzi sprecati. La Commissione ha sempre lavorato duro per non spiegare che cosa significassero vaghi concetti cari a Barroso, come green jobs, green growth oppure smart environmental regulation. Berlino ne ha offerto finalmente un chiaro esempio. Barroso, e tutti gli altri, dovranno adeguarsi.

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Caporalato e speculazione: le ombre sul solare pugliese >42| economiasolidale Gli Italiani e il pane: c’eravamo tanto amati >45 Dall’Ocse all’Istat: lavori in corso per i nuovi indicatori del benessere >51

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| Nuove energie | Impianto fotovoltaico in un'azienda zootecnica 246,52 kWp del tipo integrato.

Rinnovabili in bolletta Non sparate sul fotovoltaico Gli incentivi al solare fanno aumentare il costo delle bollette. Ma, al tempo stesso sgonfiano il prezzo dell’elettricità. E in futuro il saldo sarà addirittura positivo: merito dei costi di produzione molto bassi, dei prezzi dei pannelli in discesa e dell’indipendenza del settore dalle quotazioni dell’oro nero. di Matteo Cavallito N SETTORE IMMATURO E TOTALMEN-

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TE DIPENDENTE da quel sistema degli incentivi che distorce il mercato e scarica sui consumatori il costo del suo mantenimento, incidendo negativamente sul portafoglio dei cittadini e sulla competitività del nostro sistema economico. Per il fronte degli scettici il leitmotiv sulle rinnovabili è lo stesso da anni. Ma siamo sicuri che sia davvero così? Può davvero il comparto rinnovabili trasformarsi nel capro espiatorio delle nostre bollette? Secondo le ultime indagini, decisamente no.

Più sole, meno costi «Una delle grandi novità, per ora taciute, dello sviluppo delle rinnovabili è proprio il | 38 | valori |

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Sui tetti d’Italia si moltiplicano i pannelli fotovoltaici. Il Conto energia ha permesso al settore di entrare nella fase di piena maturità.

loro impatto sulla struttura della domanda e dell’offerta nel mercato elettrico e sulla formazione dei prezzi dell’elettricità», ha sostenuto, in occasione delle recenti Assise generali di Confindustria, Paolo Guaitamacchi, amministratore delegato de Le Fattorie del Vento, azienda milanese attiva nel campo delle energie alternative, convinto assertore della capacità del fotovoltaico di innalzare sì i costi di una parte della bolletta elettrica, ma anche di sgonfiare il prezzo dell’elettricità, fino a compensare efficacemente, a lungo andare, il peso degli incentivi. «Ad oggi, e parliamo di primavera e della prima fase di sviluppo con incentivi necessariamente generosi, prevale ancora il primo effetto - ha spiegato Guaitamacchi - ma con la progressiva diminuzione degli incentivi e con il prezzo del gas in salita i giochi potrebbero cambiare presto». Tutto nasce dallo schema di determinazione del prezzo gestito dal Gse (vedi BOX ) attraverso il sistema dell’offerta marginale (vedi BOX ). Nel sistema della Borsa elettrica in cui si svolge il cosiddetto “Mercato del giorno prima”, l’ingresso sempre più prorompente del fotovoltaico starebbe spingendo i prezzi verso un progressivo ribasso. Merito essenzialmente dei bassissimi costi di produzione su cui influisce la riduzione del prezzo dei pannelli così come l’indipendenza del comparto dalle quotazioni del petrolio (e quindi del gas che dell’oro nero replica a distanza di mesi l’andamento del costo - vedi l’approfondimento su Valori di giugno | 40 | valori |

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CHI CONTROLLA TERNA?

IN PRINCIPIO FU BERSANI… LA LIBERALIZZAZIONE DAL ’99 A OGGI

COME SI DETERMINA IL PREZZO DELL’ELETTRICITÀ

IL MERCATO ITALIANO DELL’ENERGIA ELETTRICA è stato liberalizzato ufficialmente il 16 marzo 1999, giorno dell’approvazione del celebre “Decreto Bersani”, così ribattezzato dal nome dell’allora ministro dell’Industria. Un provvedimento storico che ha posto fine al quasi quarantennale monopolio di settore dell’Enel, costretta, da quel momento, a gestire non più del 50% dell’energia prodotta in Italia. Ad oggi il sistema di distribuzione è realizzato, in regime di monopolio, da una società a partecipazione pubblica denominata Terna e responsabile in qualità di Gestore servizi energetici (Gse). Lo Stato vi partecipa attraverso il ministero dell’Economia (Mef, già azionista di Enel) e la Cassa depositi e prestiti, a sua volta controllata dallo stesso Mef. Tra gli incarichi del Gse c’è anche la distribuzione dei cosiddetti “certificati verdi”, una sorta di credito di emissione riconosciuto alle imprese che hanno prodotto attraverso i carburanti fossili meno CO2 del consentito. Tali certificati possono essere rivenduti ai produttori che hanno superato la soglia massima, incentivando così la produzione da fonti rinnovabili che, per legge, deve corrispondere al 2% dell’output totale. Per favorire la produzione di energia dagli impianti fotovoltaici, l’Unione europea ha istituito un programma di incentivi noto in Italia come Conto Energia. I finanziamenti sono erogati dal Gse grazie al prelievo ad hoc imposto dalla legge su ogni bolletta allo scopo di finanziare il programma.

NEL “MERCATO DEL GIORNO PRIMA” della Borsa elettrica il prezzo è fissato sulla base dell’offerta dell’operatore che per ultimo copre la quota energetica necessaria per completare la domanda ipotizzata per il giorno seguente. Un esempio per chiarire (le cifre sono del tutto teoriche). Supponiamo che per il giorno successivo si fissi una quota totale di domanda pari a 10 kWh. Il primo operatore A offre 5 kWh a un prezzo pari a 1. Successivamente interviene B: 4 kWh offerti a 2. Infine C copre la quota restante, 1 kWh, offrendola a 3. L’ammontare totale (5 + 4 + 1 = 10 kWh) sarà venduto al prezzo unitario di 3 euro. Costo totale in bolletta: 30 euro. Supponiamo ora una situazione identica in cui si inserisca, però, un produttore fotovoltaico (F) che, si suppone, potrà fare un’offerta più competitiva, dati i minori costi produttivi sostenuti. A offre nuovamente 5 kWh a un prezzo pari a 1. Idem B: 4 kWh offerti a 2. Per la copertura della quota restante F offre 1 kWh a 2,5. C (1 kWh a 3), dunque, è tagliato fuori. L’ammontare totale (5 + 4 + 1 =10 kWh) sarà venduto al prezzo unitario di 2,5 euro. Costo totale in bolletta = 25 euro.

2011), decisivo nella gestione degli impianti che producono elettricità alimentandosi con le fonti fossili.

Un risparmio già visibile Insensibile ai tumulti del barile, il sole di casa nostra avrebbe già prodotto, nelle ore di picco, un risparmio compreso tra 1 e 15 euro per ogni Megawatt/ora (MWh) nei 31 giorni lavorativi tra il 1° marzo e il 14 aprile scorso. A rivelarlo una ricerca condotta da Aspo (Associazione per lo studio del picco del petrolio) a partire dai dati resi noti da Terna. A conti fatti, si tratta di un risparmio da 21-34 milioni di euro, a parziale compensazione del costo totale degli incentivi, pari a 106 milioni annui. Nei mesi estivi, con la disponibilità maggiore di raggi solari, l’effetto dovrebbe essere ancora maggiore. Senza contare la drastica riduzione degli incentivi imposta dalle ultime politiche energetiche nazionali. Le cifre diventano ancora più promettenti se si parla di energivori, ovvero delle grandi imprese che più di ogni altro consu-

matore si trovano ad utilizzare ingenti quantità di energia. Dal momento che la legge consente loro di pagare una tariffa decisamente agevolata nel finanziamento degli incentivi (circa 1/3 rispetto ai normali consumatori), ecco che per loro l’effetto calmierante del fotovoltaico finisce per garantire un risparmio in bolletta che supera già il costo degli incentivi stessi. Ma allora perché il maggiore scetticismo nei confronti del fotovoltaico si riscontra soprattutto nell’ambiente dei grandi industriali? «Confindustria insiste sull’eccessivo peso dei costi indotti dalle rinnovabili sulla bolletta elettrica adducendo come motivazione che un’energia più cara penalizza i costi di produzione delle imprese. E questo è tanto più vero quanta più energia consuma un’impresa», spiega oggi Guaitamacchi. Ma siamo davvero certi che a pesare maggiormente in bolletta siano proprio le rinnovabili?

FONTE: CONSOB (WWW.CONSOB.IT), DATI AL 5 GIUGNO 2011

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SOCIETÀ

QUOTA

Blackrock

2,191%

Minozzi Romani

4,181%

Generali

2,026%

Pictet Funds Sa in qualità di gestore, tra l’altro, del fondo PGSF Global Utilities Equities Fund che detiene il 4.73%

4,940%

Cassa depositi e prestiti società controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef)

29,999%

Ministero dell’Economia Enel di cui il Mef è azionista al 31,244%

6,142%

Mercato

50,521%

Azioni totali ordinarie con diritto di voto

«Sulla carta il futuro delle rinnovabili doLegambiente ha calcolato che nel 2010 la vrebbe essere roseo - spiega ancora Guiatasomma dei costi non legati alle rinnovabili macchi - a fronte della tendenza alla cresciha pesato sulle bollette per complessivi ta, dello sviluppo tecnologico soprattutto 3,052 miliardi di euro contro i 2,7 associati sul fronte del fotovoltaico e del generale rialle fonti alternative. pensamento del ruolo dell’energia nucleare. L’ultima revisione del conto energia ridurrà notevolmente il peso degli incentivi “verdi”, ma, almeI costi non legati alle rinnovabili no in teoria, il solare potrebbe pesano per 3 miliardi contro i 2,7 non risentirne più di tanto. associati alle fonti alternative

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Ma la situazione non è ancora chiara visto che ancora mancano i decreti attuativi. Insomma, è il solito problema relativo alla certezza delle regole. Non dimentichiamo che un primo vero chiarimento sull’accesso alle autorizzazioni per la produzione del fotovoltaico è stato ottenuto solo due anni fa. Da quel momento il solare italiano ha conosciuto un’espansione senza precedenti». Difficile pensare che si tratti di un caso.

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mensile di ricerca e di intervento sociale dei gesuiti Oltre Copena ghen, per una ecologi a umana

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Occhio alle “voci criptiche” Nobel

A ben vedere non è affatto così. Visto che a finire sul banco degli imputati potrebbero essere, in realtà, ben altri tipi di incentivi. È il caso delle voci “criptiche” delle nostre bollette. Le stesse, ricorda Guiatamacchi, «in cui finisce di tutto, compresi quegli elementi che con la produzione di energia non hanno assolutamente nulla a che fare». Il riferimento corre alle tassazioni (Iva), nonché agli incentivi per le fonti assimilate e ai costi di smantellamento delle centrali nucleari (decommissioning) scaricati sui cittadini.

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Focus sull’editoria sociale

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gennaio 2011

La rivista offre ai lettori strumenti per una valutazione dei fenomeni della società, in dialogo con altre posizioni, in vista della scelta e dell’impegno personale e collettivo Per consultare l’archivio, richiedere una copia omaggio e informarti sugli abbonamenti vai su

LUGLIO / AGOST

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Caporalato e speculazione: ombre sul Sole pugliese

Il parco solare di Parabita (Lecce): 1 MW di potenza per una produzione di oltre 1.400 MWh di energia l’anno.

Le vicende giudiziarie della Tecnova di Brindisi hanno acceso i riflettori sugli schiavi del fotovoltaico: costretti a lavorare 12 ore al giorno per 2 euro l’ora. Ultimo anello di una catena di società, che conduce fino al governo di Pechino. cia continua di perdere il posto. La stampa locale li ha subito ribattezzati “gli schiavi del fotovoltaico”: sfruttati, senza diritti, con i piedi nel fango e la testa sotto il sole cocente. Da mesi non percepivano nessuna retribuzione e a marzo avevano deciso di scendere in piazza, prima a Brindisi, di fronte alla sede legale della Tecnova, e poi a Lecce, davanti alla Prefettura. Una rivolta pacifica di lavoratori esasperati da ritmi impossibili, per costruire pezzo dopo pezzo i grandi impianti fotovoltaici del Salento. Solo Tecnova ne aveva realizzati 17, tutti in subappalto da altre imprese.

di Mauro Meggiolaro

E MANETTE SONO SCATTATE lo scorso 20 aprile. Su disposizione dei Pubblici ministeri di Brindisi e Lecce sono finite in carcere quindici persone: soci, amministratori, capi cantiere e consulenti del lavoro di Tecnova Italia Srl, una società che installa impianti fotovoltaici a terra con sede a Brindisi, controllata però da due soci spagnoli: José Fernando Martinez Bascuñana e Luis Manuel Nuñes Gutierrez. Entrambi sono stati arrestati, assieme a cinque italiani, tre spagnoli, due colombiani, un ghanese, un marocchino e una cittadina cubana. Tutti inLa Cina fa campagna dagati per “associazione a delinquere finalizacquisti nel Salento zata alla riduzione e mantenimento in schiaSecondo le ricostruzioni degli inquirenti, gli vitù, estorsione, favoreggiamento della spagnoli di Tecnova e i loro dipendenti semcondizione di clandestinità di cittadini extrabrano essere in realtà solo l’ultimo anello di comunitari e truffa ai danni dello Stato”. Le una complessa catena di scatole societarie vittime - come riporta il Corriere del Mezzogiorche porta a interessi più grandi. I lavori per no - sarebbero il 90% degli 800 dipendenti di gli impianti salentini sarebbero, infatti, stati Tecnova, quasi tutti stranieri senza permesso di soggiorno, “coDopo l’accordo tra Berlusconi stretti a lavorare 12 ore al giorno e Wen Jiabao 16 impianti per due euro l’ora” con la minacsono finiti nell’orbita cinese

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appaltati da un’associazione temporanea di imprese a sua volta incaricata da società partecipate dal Global Solar Fund (Gsf), un fondo lussemburghese che ha come azionisti il colosso cinese del solare Suntech e la China Development Bank Corporation, controllata direttamente dal governo cinese. Ma come sono arrivati i cinesi in Salento? Per capirlo bisogna fare un passo indietro e tornare al 7 ottobre del 2010, quando a Roma il primo ministro cinese Wen Jiabao sigla con il premier italiano Silvio Berlusconi dieci accordi commerciali del valore di 2,25 miliardi di euro, più di un terzo dei quali (800 milioni di euro) dedicati allo sviluppo del fotovoltaico nel mezzogiorno con la regia del Global Solar Fund. Subito dopo il via libera da Roma, il fondo, alimentato dalla China Development Bank Corporation, inizia a fare shopping di società pugliesi del fotovoltaico. A partire dalla Italgest Photovoltaic, una controllata della società salentina Italgest, già partecipata dal Gsf al 50%: un’acquisizione che porta ai cinesi il controllo di 16 impianti in costruzione, quasi tutti nel Salento, per un totale di 50 Megawatt.

Una storia quasi a lieto fine E proprio la Italgest Photovoltaic è stata coinvolta (assieme alla Osiride Solar di Lecce) nell'inchiesta sulla “schiavitù del fotovoltaico”. Tre dei suoi amministratori, i messinesi Roberto Saija e Antonio Puliafico e lo spagnolo Javier Romero, sono accusati di aver falsamente attestato che i lavori connessi alla realizzazione di alcuni impianti fotovoltaici appaltati a Tecnova sarebbero stati portati a termine entro la fine di dicembre del 2010, comunicandolo al Gestore unico per i servizi elettrici (Gse) al fine di conseguire “l’indebita percezione di erogazioni quantificabili in circa 10 milioni di euro”, come dichiarato dal gip di Brindisi Maurizio Saso. Intanto, a maggio, il Tribunale del Riesame di Lecce ha annullato l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla riduzione e mantenimento in schiavitù nei confronti dei quindici indagati di Tecnova e

alle sette persone ancora detenute in carcere sono stati concessi gli arresti domiciliari. Rimangono in piedi le ipotesi di reato di estorsione, favoreggiamento della clandestinità e truffa aggravata ai danni dello Stato. I cinesi del Global Solar Fund, dopo aver preso le distanze da Tecnova, hanno subito

anticipato un totale di 500.000 euro a 400 lavoratori come acconto sugli stipendi non pagati e, a partire dal 6 maggio scorso, hanno iniziato a versare il saldo degli stipendi maturati dopo mesi di lavoro non retribuito. Per gli “schiavi” del fotovoltaico è la fine di un lungo incubo.

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Lancellotti (Enerventi): «Ecco perché puntiamo sui tetti della regione» Condizioni meteo favorevoli, cittadini ben disposti, amministratori attenti: la Puglia è regina del fotovoltaico. di Mauro Meggiolaro ON CI SONO SOLO SCATOLE societarie, interessi occulti e grandi investimenti speculativi. In Puglia il fotovoltaico è anche una grande opportunità di sviluppo. Soprattutto se viene installato sui tetti delle case e degli stabilimenti industriali, contribuendo alla “terza rivoluzione industriale” auspicata dall’economista Jeremy Rifkin. Quella che sarà fondata sulla produzione energetica decentrata e interconnessa e che in un futuro più vicino di quanto crediamo, potrebbe coinvolgere in modo sempre più attivo cittadini, famiglie e comunità, creando un’alleanza tra le rete internet e le rinnovabili. Pura utopia o unica soluzione per l’attuale crisi del sistema energetico centralizzato e dipendente dai combustibili fossili e dal nucleare? Lo abbiamo chiesto a Gianluca Lancellotti, amministratore delegato di

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Enerventi, una società, con sede a Milano, che sogna di riempire i tetti delle case italiane di pannelli fotovoltaici. E ha scelto proprio la Puglia tra i suoi primi obiettivi.

energia, contro le 1.060 di Milano o le 1.180 della città di Roma. Ma contano anche altri fattori: la popolazione locale è ben disposta nei confronti delle rinnovabili e moltissimi tetti sono piani, un aspetto non trascurabile, perché rende più facile l’installazione di pannelli sulle case. Infine c’è un grande sostegno da parte dell’amministrazione pubblica che negli ultimi mesi ha spostato l’attenzione dai grandi impianti fotovoltaici a terra, con incentivi che in alcuni casi hanno aperto la strada alla speculazione, al solare installato sugli edifici.

Dottor Lancellotti, perché la Puglia? Prima di tutto per motivi geografici. La Puglia ha un alto livello di radiazione solare annua: un kW installato su un edificio nella città di Bari può garantire 1.280 ore annue di irraggiamento e quindi di produzione di

Quanto conta la Puglia per Enerventi? Circa l’80% dei 4.000 clienti che hanno aderito alla nostra offerta si trovano in Puglia. Se guardiamo alla potenza installata, 12 MW su un totale di 14,2 MW si riferiscono ad impianti realizzati sul territorio

Gianluca Lancellotti, amministratore delegato di Enerventi www.enerventi.it

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| economiasolidale | pugliese e ulteriori 6 MW sono pronti per l’installazione. Non siamo certo gli unici ad aver scelto questa regione: la Puglia è la regione più attiva nel solare e ospita al momento circa il 20% dell’intero parco fotovoltaico nazionale. La Lombardia è al secondo posto, ma con circa la metà dei Megawatt installati (400 MW). Come funziona Enerventi? Enerventi chiede ai propri clienti (famiglie e piccole imprese) la concessione del tetto di un immobile di loro proprietà per una durata di 20 anni. I tecnici di Enerventi si occupano di tutto il resto senza alcuna spesa per le famiglie: progettazione dell’impianto, richieste dei permessi necessari, installazione dei pannelli fotovoltaici, allacciamento alla rete, manutenzione ordinaria e straordinaria. Una volta completato l’impianto, il cliente dispone di una centrale domestica per la produzione di energia. Enerventi ricava vendendo l’energia alla rete e il cliente ottiene uno sconto del 35% sul totale della bolletta. È un meccanismo semplice che risparmia molti passaggi alle famiglie, assicurando notevoli vantaggi. La Puglia è stata colpita da fenomeni di speculazione, corruzione e

| made in italy a rischio | sesta puntata | economiasolidale | sfruttamento della manodopera nel settore delle rinnovabili. Enerventi adotta regole o criteri interni per prevenire problemi di questo tipo? Prima di tutto utilizziamo solo manodopera specializzata locale che cerchiamo di tenere occupata in modo costante. È la nostra risposta a chi utilizza lavoratori stagionali non specializzati, che spesso lavorano come braccianti agricoli, non di rado irregolari, nei periodi in cui non ci sono cantieri aperti. In Puglia impieghiamo ormai più di 300 persone, di cui 100 rappresentanti e 200 installatori che lavorano solo per noi. Per quanto riguarda la corruzione, i nostri impianti sui tetti sono talmente piccoli e diffusi rispetto ai grandi impianti a terra che i rischi sono veramente minimi e per ora non abbiamo avuto alcun problema. Le organizzazioni criminali o, in generale, chi vuole speculare sceglie i grandi impianti sopra 1 MW. I nostri arrivano al massimo a qualche decina di kW. Che effetto ha avuto il nuovo conto energia sulla vostra attività? Il lancio del nuovo conto energia, che ha ritoccato verso il basso le tariffe incentivanti per la produzione di energia con pannelli fotovoltaici, ci impone un salto di qualità.

Dobbiamo diventare più efficienti nel breve periodo e competitivi negli acquisti e in generale in tutti i costi. Fino ad ora siamo stati una good news delle rinnovabili, una bella storia da raccontare. Il nuovo conto energia ci porterà ad assumere un preciso ruolo nel panorama industriale italiano: un player nazionale secondo solo a Enel nel mercato del fotovoltaico. Di fatto oggi siamo già la prima azienda privata italiana per numero di impianti. Che ne pensa del risultato del referendum sul nucleare? Penso che favorirà lo sviluppo di quella che si definisce come generazione diffusa e che porterà alla trasformazione delle famiglie da centri di consumo a centri di produzione. Una vera rivoluzione, nella quale i pannelli solari hanno un ruolo importantissimo. Basta fare due calcoli. Se cinque milioni di famiglie italiane (su un totale di 22 milioni) installassero sul tetto di casa un pannello, si potrebbero produrre 20 miliardi di kWh all’anno per una potenza installata di 20 mila MW: il 30% circa del fabbisogno energetico complessivo delle famiglie. Sui tetti delle famiglie italiane c’è il potenziale equivalente di numerose centrali tradizionali o nucleari e di almeno tre reattori nucleari in termini di energia prodotta.

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Gli Italiani e il pane: c’eravamo tanto amati Le centinaia di tipi diversi di pane diffuse nelle diverse regioni d’Italia rischiano di soccombere a causa della omologazione delle produzioni.

Dimezzati in 10 anni i consumi: i forni sono in crisi, vittime della concorrenza dei prodotti industriali e della grande distribuzione. Cronache da una filiera che lotta per non soccombere. di Emanuele Isonio

5 AGOSTO - CAPAREZZA 6 AGOSTO - DANIELE SILVESTRI 7 AGOSTO - ROBERTO VECCHIONI

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ERA UNA VOLTA L’ALIMENTO più amato dagli Italiani. Sia ben chiaro: il pane, nella percezione collettiva, rimane ancora l’alimento irrinunciabile, che caratterizza le tavole di qualsiasi città, paese e borgo, dall’Alto Adige alla Sicilia. Ma il suo profumo inconfondibile, la sua versatilità, il celebre rumore che fa la sua crosta, sembrano non avere più l’appeal di una volta: il suo declino appare inesorabile. E con lui, ovviamente, tutta la filiera che lo produce: dal campo di grano fino alle sporte della spesa. Un declino legato a molti fattori: cambio degli stili di vita, aumento dell’offerta di prodotti alternativi (quelli che gli esperti chiamano “succedanei del pane”), concorrenza a minor costo, anche proveniente dall’estero, del pane industriale venduto nei supermercati.

C’

Sostituti sugli altari Di solito non si fanno confronti

a così lungo periodo, ma questo è particolarmente significativo: nel 1909 il consumo pro capite di pane si aggirava sul chilo al giorno. Cento anni dopo era di 120 grammi. Lecito obbiettare che, a inizi Novecento, non c’erano ancora state due guerre mondiali, l’Italia era una monarchia, le donne erano ancora recluse in cucina e i figli si rivolgevano ai padri usando il “voi”. Ma, se si considera solo l’ultimo decennio del XXI secolo, il trend non cambia e i consumi, anno dopo anno, continuano la loro costante, inesorabile flessione: -4,8% annuo, con punte del -9%. A tutto vantaggio, va detto, di prodotti che sostituiscono il pane sulla tavola: grissini, panetti, salatini e pan carré. Un danno per i panificatori, perché il mercato dei sostituti del pane è monopolizzato dall’industria.

Cento anni fa, il consumo pro capite era di circa un kg al giorno. Oggi sfiora i 120 grammi |

«Una contrazione così netta si spiega con un cambio negli stili di vita e con le prescrizioni di nuovi stili alimentari», commenta Claudio Conti, presidente di Assipan e titolare del panificio più antico di Roma, che nel cuore di Trasterevere già aveva le serrande aperte quando Roma non era ancora Capitale, né l’Italia uno Stato unitario. «I consumatori ancora apprezzano il pane fresco e i forni tradizionali. E, potenzialmente, i 23 mila panifici artigianali e i 100 mila addetti che vi lavorano sarebbero in grado di coprire tutta la domanda. Certo, la concorrenza della grande distribuzione si fa sentire».

Supermercati cannibali A dire il vero, i dati Istat rivelano che gli Italiani, quando possono, continuano ad acquistare il pane tutti i giorni (fa così il 56% dei consumatori) e, per lo più, si servono dei cari vecchi forni. Ma l’attrazione di un supermercato sotto casa, dove già si entra per fare il re-

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chiusura. E gli oneri dell’invenduto ricadono tutti sulle spalle dei piccoli produttori. Due volte: perché spendono per produrre pane in eccesso e perché devono poi occuparsi di smaltire le eccedenze.

Panettieri e non solo A questa situazione si aggiunge poi la concorrenza estera. E, al Sud, l’azione criminale delle mafie (vedi ARTICOLO qui sotto): «Al Nord in particolare, l’arrivo di pane estero è un fenomeno in crescita», rivela Mario Partigiani, presidente di un’altra associazione di categoria, la

Assopanificatori. «I fornai friulani si lamentano delle importazioni provenienti da Croazia e Germania. Nelle altre regioni aumentano i prodotti di origine francese». «Per arginare il fenomeno - aggiunge Conti - abbiamo proposto di riservare la dicitura “pane fresco” ai prodotti fatti nelle 24 ore precedenti. Ma l’Ue ritiene che siano poche». In uno scenario simile, alle migliaia di panificatori italiani le strategie per sopravvivere appaiono obbligate: «Spesso il nucleo familiare rinuncia a un’adeguata remunerazione del proprio lavoro – spiega Conti - e le attività di panificazione devono diversificare i prodotti messi in vendita. Con il solo pane non riuscirebbero, infatti, a sbarcare il lunario». Ed ecco quindi che i vecchi forni diventano delle boutique di pane e derivati: pizzette, biscotti, crostate, lieviti, torte. Ma anche latte, formaggi e salumi. Parola d’ordine: diversificare per attrarre clienti. Con la speranza che l’unico risultato raggiungibile non sia quello di procrastinare il collasso del settore.

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PANIFICATORI VS COLTIVATORI A VINCERE È LA SPECULAZIONE QUALCUNO PARLEREBBE DI GUERRA TRA POVERI. In effetti le frequenti contrapposizioni tra chi i cereali li coltiva e chi li trasforma in pane fanno entrare in conflitto due anelli deboli di una stessa filiera. Oggetto del contendere: le oscillazioni del prezzo del grano e del frumento e la loro incidenza sul costo del pane e sulla remunerazione dei produttori. Da un lato, i coltivatori si lamentano quando i prezzi delle materie prime scendono troppo, perché la loro attività diventa antieconomica. Come è avvenuto varie volte nell’ultimo decennio (vedi TABELLA ), in particolare nel 2002, 2005, 2006 e 2009. E denunciano che, anche quando il prezzo del grano è basso, quello del pane non si adegua e non scende. «Il prezzo del pane non è assolutamente dipendente dal prezzo del grano e delle farine», commenta la Coldiretti. «Oggi le imprese agricole cerealicole incassano meno del 60% di quello che incassavano 20-25 anni fa, con una moltiplicazione dei prezzi dal grano al pane che arriva anche al 1.700%». Il sospiro di sollievo (momentaneo) lo tirano solo quando il prezzo dei cereali sale oltre una certa soglia, permettendo ai ricavi di coprire i costi. Dall’altra parte, invece, i panificatori si lamentano quando i prezzi del grano sono in crescita (come avviene in questi ultimi mesi, che hanno visto un incremento di quasi il 50% rispetto alla media 2010, superiore ai picchi del 2008 e 2009). E riescono ad aumentare un poco i guadagni solo quando i prezzi sono in picchiata. Mentre i due litiganti litigano, i prezzi delle materie prime vanno su e giù come sulle montagne russe, facendo segnare negli ultimi anni incrementi e decrementi con percentuali quasi sempre a due cifre (vedi TABELLA ). Non sarà il caso invece di unire gli sforzi per contrastare la speculazione internazionale che tratta le materie prime come qualsiasi altro strumento finanziario?

PREZZO ALL’ORIGINE GRANELLA DI FRUMENTO TENERO VALORI IN EURO PER TONNELLATA

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 (aprile)

MEDIA ANNO

157,59 161,81 144,12 151,21 155,68 126,61 145,55 219,67 224,43 150,85 185,18 273,79

PREZZO MEDIO FRUMENTO TENERO ALL’ORIGINE VARIAZIONI PERCENTUALI ANNUALI

2001/00

2,7

2002/01

-10,9

2003/02

4,9

2004/03

3,0

2005/04

-18,7

2006/05

15,0

2007/06

50,9

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2,2

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-32,8

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22,8

Il pane di Gomorra La filiera della vergogna La metà del pane mangiato al Sud proviene da forni abusivi alimentati con copertoni e casse da morto. Un rischio enorme per la salute. Una piaga per i panettieri onesti. Solo a Napoli, il giro d’affari è di mezzo miliardo. di Emanuele Isonio OTREBBE ESSER PEGGIO”. nei confronti dei panificatori onesti. “E come?”. “Potrebbe piovere”. Rubiamo a Quel cablo del console Truhn Frankestein Junior una delle sue battute più All’ombra del Vesuvio, i 1.200 panifici legali celebri per aprire (e commentare) questo ardevono fare i conti con altri 2.200 che operaticolo. Perché, nelle righe successive, di mono totalmente al di fuori della legge. Wikitivi per sorridere ce ne saranno davvero poleaks ha svelato che anche il consolato genechi. Nella Capitale del Mezzogiorno, la città rale degli Stati Uniti si è interessato della che il mondo ci invidia, che aveva rapito il vicenda: “Circa due terzi dei panifici della recuore a Goethe, che prima la vedi e poi gione sono in mano alla criminalità e cucimuori, non c’è solo il problema della monnano il pane con materiali tossici”, comuninezza. Non ci sono solo i furti, i regolamencava nell’estate 2008 il console J. Patrick ti di conti tra bande rivali, il pizzo e il traffiTruhn in un cablo inviato al Dipartimento di co fuori controllo. La mano putrida della Stato. I panettieri onesti lo denunciano da ancamorra è ormai arrivata a contaminare anni, scontrandosi, quando va bene, con il soliche il pane. Trasformandolo in oro per sé stessa, ma in una piaIl console Usa scrive al suo ga per la salute e la dignità dei Dipartimento di Stato: «La camorra napoletani. E in una (ulteriore) controlla due panifici su tre. forma di concorrenza, vigliacca, E usano materiale tossico»

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to, intollerabile, muro di gomma. E ricevendo, quando va male, pesanti intimidazioni. Come quando, nel 2010, hanno manifestato in favore della legge per la tracciabilità del pane. Che la camorra vuole vedere abolita e il centrodestra (maggioranza in consiglio regionale) pensa di modificare. «Il fenomeno del pane abusivo nel Meridione è una tragedia», spiega affranto Claudio Conti, presidente di Assipan. «E, dal basso Lazio in giù, incide ormai per il 50% dei consumi». Con picchi imbarazzanti: come ad Afragola (città natale di Antonio Bassolino, in cui il consiglio comunale è stato sciolto due volte per infiltrazioni camorristiche), dove i forni autorizzati sono 17 e quelli clandestini, privi di qualsiasi controllo sanitario, oltre 100. Guai però a considerarlo solo un fenomeno di abusivismo. È una vera attività criminale che frutta soldi a palate: oltre mezzo miliardo di euro, è il giro d’affari stimato nel

Il pane, venduto dagli ambulanti a bordo strada, non è stato sottoposto ad alcun controllo sanitario. E il prezzo non è poi così basso.

napoletano. Secondo solo al traffico di droga. Il sistema è semplice: «Come faccio a vendere il pane?», raccontava, protetto dall’anonimato, un venditore abusivo ai microfoni del programma tv Le iene. «Mi mandano a comprarlo ai forni che dicono loro. Me lo fanno pagare 60 centesimi e, quando ci mettiamo in mezzo alla via, dobbiamo venderlo a due euro. Però il 50% lo devi dare a loro». Anche quando i carabinieri o gli ispettori delle Asl lo sequestrano o parte del pane rimane invenduto. Altrimenti: minacce armate, mazzate e gambe spezzate. Il sistema dei forni della camorra è talmente ra-

mificato da aver intaccato anche i negozi di alimentari. Il 25% del pane abusivo passa ormai attraverso i canali legali. La malavita convince i negozianti a vendere il pane fuorilegge e a fatturarlo come se fosse regolare.

La cottura? Con copertoni e casse da morto Un problema di concorrenza sleale, di criminalità organizzata, ma anche di salute pubblica: le condizioni di produzione sono infatti da girone dantesco. «Questo pane che vendo io, ai miei figli non lo faccio mangiare perché so che schifezza è», prosegue il |

venditore abusivo. Scantinati con le pareti umide e ammuffite, zero controlli sulla farina usata e forni alimentati con qualsiasi cosa perché alla vergogna non pare esserci limite: legno laccato proveniente dagli scarti di falegnameria, vecchi infissi, pezzi di mobili, copertoni. Persino casse da morto, quelle da smaltire dopo la riesumazione dei cadaveri. Un’altra bella sfida per il neosindaco De Magistris, eletto a furor di popolo. Inutile sottolineare quali siano i rischi per la salute dei consumatori. Piuttosto, un’altra domanda rimane senza risposta: perché i napoletani continuano a mangiarlo?

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FONTE: ISMEA

sto della spesa, aperto tutti i giorni a orario continuato, è forte. E tra l’altro, la sua concorrenza incide negativamente sui fatturati dei forni anche per almeno un altro paio di motivi: nei supermercati si vendono come pane fresco, prodotti che in realtà vengono scongelati e finiti di cuocere nel punto vendita. È il caso delle baguette proposte da varie catene della Gdo (Grande distribuzione organizzata). «Non abbiamo niente contro questo tipo di pane, ma va chiarito al cliente che non si tratta di pane fresco», commenta Conti. Inoltre, molti supermercati si riforniscono da forni locali, soprattutto per i tipi di pane di qualità superiore e più particolari. Sembrerebbe un bene per i piccoli produttori, se non fosse che il pane è acquistato in “conto vendita”: in pratica, alla fine della giornata, il fornaio si vede pagare solo il pane effettivamente venduto dal punto vendita. Il resto gli viene reso. In questo modo, il supermarket ordina più pane di quello che può vendere, così i clienti trovano il pane fresco anche a pochi minuti dalla

FONTE: ISMEA

| economiasolidale | FONTE: ISMEA

| economiasolidale |


| analisi | economiasolidale |

PROGRESSIONE DEI COSTI NELLA FILIERA ALTERNATIVA € 3,00 COSTO PANIFICAZIONE AL KG

PREZZO PAGNOTTA CON IVA E CONTRIBUTO DES

FONTE: SPIGA & MADIA

| economiasolidale |

€ 2,50

€ 2,00

€ 1,50 COSTO FARINA CONFEZIONATA

€ 1,00 COSTO FARINA AL MULINO € 0,50

PRODUZIONE DELLA GRANELLA IN CAMPO

Siamo tutti coproduttori Nel progetto Spiga & Madia, agricoltori, fornai e consumatori si uniscono. Obiettivo: produrre un pane di grande qualità a prezzi competitivi e dimostrare che le leggi del mercato non sono intoccabili. di Emanuele Isonio UAI A CHIAMARLI CONSUMATORI. farina, tre panificatori che usano tecniche Guai a definire produttori tradizionali (ad esempio sostituendo il lieagricoli e fornai come “la vito di birra con la più nobile pasta madre, controparte”. Guai a cercare di convincerli per avere un prodotto più duraturo). E poi che il prezzo di un quintale di grano e di un ci sono i 32 gruppi d’acquisto solidale, che chilo di pane lo fanno le leggi del mercato. coinvolgono tra le 480 e le 530 famiglie. Per le centinaia di famiglie che, dal 2007 a oggi, hanno sposato il progetto Spiga & MaUn percorso condiviso dia, quei termini e quei concetti sono ormai L’aspetto più rivoluzionario dell’iniziativa è superati. Molto meglio parlare di coprodutil modo in cui si forma il prezzo del pane: tori e di prezzo equo. «Ogni anno si definiscono i bisogni dei pro«La motivazione iniziale era ideologica», duttori e la domanda dei consumatori», spiega Giuseppe De Santis, del Des della spiega De Santis. A ritroso si stabiliscono coBrianza. «Volevamo ricostruire una filiera losì le quantità da coltivare e il pane da procale del pane e volevamo dimostrare che l’idurre. È questo a rendere molto efficiente il dea non era affatto antieconomica. Nel farlo, progetto e ad azzerare gli sprechi». ci siamo accorti che stavamo ricostruendo Il prezzo da pagare a ogni anello della una comunità, permettendo ai suoi compofiliera è deciso insieme, avendo cura di renenti di riconoscersi attorno a un progetto di munerare in modo adeguato il lavoro, a produzione di cibo». Gli attori in gioco sono tre Nel resto d’Italia fioccano iniziative produttori di granella di frusimili: l’assenza di intermediari e mento (di due varietà, Blasco e l’impegno degli aderenti assicurano Bologna), un mugnaio che fa la la sostenibilità economica

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prescindere dal valore del bene sul mercato internazionale. Un quintale di granella di frumento viene pagata 40 euro. Sia quando, nel “mondo normale” era quotato 16 euro, sia quando, come oggi, si aggira sui 25 euro. E il pagamento è effettuato prima della semina, così da co-finanziare il raccolto. La sostenibilità dell’iniziativa è agevolata dal grande impegno volontario profuso dagli aderenti al progetto («si internalizza molto lavoro non monetizzato») e dagli enormi risparmi che si ottengono evitando i rincari connessi con la distribuzione (da una quota del 40% della catena del valore si scende al 2%). E così si liberano risorse per pagare il giusto sia i coltivatori (la cui parte passa dal 17% al 23%) e dei panificatori (dal 32% salgono al 61%). Chi il pane lo mangia, è sicuro di mettere sotto ai denti un prodotto di qualità superiore, sotto tutti i punti di vista. E di contribuire a bloccare il consumo di territorio, rendendo più remunerativa l’attività agricola. La prossima sfida è far arrivare il pane così prodotto nelle mense collettive: «Il fatto che mia figlia mangi un pane immangiabile non riesco più a sopportarlo» confessa De Santis. Intanto, l’idea ha fatto proseliti nel mondo dell’economia solidale. Ispirando progetti analoghi a Como, nel Parco Agricolo Milano Sud e nel DES di Torino.

In soccorso del biologico «Progetti come Spiga & Madia sono un’evoluzione molto positiva dei Gas», spiega Vincenzo Vizioli, presidente di Aiab Umbria ed esperto di cerealicoltura. «Si passa dalla semplice scelta dei produttori dai quali fare acquisti, all’idea di costruire un percorso condiviso che unisca produzione e consumo». La sostenibilità economica è in buona parte assicurata dal salto degli intermediari: «Il grande aumento di prezzo – prosegue Vizioli – si ha tra il momento in cui il pane è fatto e quando è posto in vendita al negozio». Tra l’altro, la costruzione di queste nuove filiere può dare una mano ad ampliare la produzione di pane biologico che oggi si attesta sul 3% del totale (soprattutto grazie al consumo nella ristorazione collettiva). «Purtroppo – ammette Vizioli - il pane biologico oggi sconta l’assenza di una filiera strutturata. Il che impedisce la costruzione di economie di scala e di ridurre i costi».

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Non solo prezzo: i valori (nascosti) del commercio equo e solidale

Il concetto di “prezzo giusto” è noto a quasi tutti i clienti delle Botteghe del mondo. Ma per i produttori sono altri i vantaggi che fanno la differenza: stabilità delle relazioni con gli importatori, possibilità di pianificare l’attività nel tempo, prefinanziamenti, tutela contro il rischio-usura. Un terreno su cui le multinazionali non possono competere. di Marco Costantino, università degli Studi di Bari UELLA DEL PREZZO È CERTAMENTE comunque un lieve sovrapprezzo rispetto al mercato tradizionale. la più nota tra le regole del commercio equo e solidale. Basta chiedere al consumatore occasionale, Un contesto protetto non particolarmente informato. Vi dirà che per aprirsi all’export “commercio equo” significa pagare un po’ di Ma cosa pensano invece i produttori? Dagli più i contadini e gli artigiani del Sud del studi di impatto, che rilevano i risultati in mondo, ristabilendo il giusto prezzo del loro termini di sviluppo delle comunità coinvollavoro. Un’impressione confermata dalla te nelle filiere equo-solidali, emerge che i statistica. Secondo un’indagine realizzata nel vantaggi per i produttori sembrano derivare 2008, intervistando un campione rappreseninnanzitutto dall’opportunità in sé di un tativo di consumatori delle botteghe del nuovo sbocco commerciale e di nuove promondo italiane, il criterio del prezzo equo è duzioni che consentono di diversificare il riconosciuto da tre quarti degli intervistati. schio e ridurre così la dipendenza. Un ruolo Il “prezzo equo” è effettivamente una importante è inoltre giocato dalle condiziocomponente molto importante di ogni reni commerciali a contorno del prezzo: la stalazione commerciale equo-solidale. Tecnibilità della relazione consente alle organizcamente esso si traduce in un premio antizazioni e, di conseguenza, alle famiglie, una ciclico sul prezzo fissato dal mercato pianificazione di medio periodo dei propri internazionale. In parole povere ciò signifiinvestimenti; il prefinanziamento riduce il ca che, almeno per i prodotti alimentari ricorso al credito usurario e facilita l’approvquotati in Borsa, quando i prezzi internavigionamento di materie prime. Infine zionali sono particolarmente bassi, il meremerge chiaramente l’estrema rilevanza del cato equo-solidale si mantiene al livello di trasferimento di competenze veicolato atuna soglia minima fissata dalle organizzatraverso la relazione commerciale equo-solizioni del movimento per garantire il soddisfacimento dei bisoNel peso dei vari fattori emerge gni di base dei produttori; una incongruenza tra ciò che mentre quando i prezzi sono alimmaginano i consumatori ti, il commercio equo mantiene e la realtà dei fatti

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dale: la partnership con gli importatori consente alle organizzazioni dei produttori di acquisire nuove conoscenze dal punto di vista della produzione (sviluppo prodotti), del mercato (tendenze e gusti dei consumatori europei e nordamericani), della gestione. A volte la relazione equosolidale è la prima esperienza di esportazione e consente, in un “contesto protetto”, di sperimentare procedure totalmente nuove, legate ad esempio alle normative doganali e igienico-sanitarie, che rappresentano un ottimo patrimonio di esperienze per il futuro. I dati sul sovrapprezzo equosolidale forniti dagli stessi studi appaiono invece meno significativi. A volte il differenziale di prezzo rispetto al mercato tradizionale è trascurabile e comunque non sembra essere la componente più apprezzata dai produttori e più efficace. Emerge dunque un’incongruenza tra immaginario dei consumatori e realtà dei fatti nel peso che assumono i diversi criteri di commercio equo, con una sopravvalutazione del prezzo a discapito di altre componenti meno note, ma forse più efficaci.

Cresce la concorrenza con il mercato convenzionale Questo fenomeno sembra destinato a svilupparsi ulteriormente come conseguenza del-

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| economiasolidale | l’aumento dei prezzi globali delNonostante il differenziale le materie prime e dei prodotti di prezzo con i mercati alimentari e con le conseguenti tradizionali si riduca, strategie commerciali adottate molti produttori continuano dalle multinazionali. a preferire l’equosolidale Secondo una recente comuquasi esclusivamente a valle della catena nicazione della Banca Mondiale i prezzi decommerciale, al livello della distribuzione, gli alimentari sarebbero cresciuti di quasi il dove il movimento equo-solidale si è gua30% nell’ultimo anno, sfiorando i livelli redagnato a fatica delle nicchie di mercato cord del 2008. Cambia quindi il contesto talvolta anche non trascurabili. Oggi invecompetitivo entro il quale si muovono le ce la competizione arriva anche a monte grandi multinazionali del settore alimentadella catena, nell’approvvigionamento di re che devono conseguentemente modifimaterie prime, dove le multinazionali socare le proprie strategie commerciali. Se in no disposte ad alzare i prezzi di acquisto un mercato caratterizzato da elevata propur di soddisfare la propria domanda. Il duzione e domanda costante esse potevadifferenziale di prezzo (rispetto al prezzo no esercitare tutto il proprio potere spundel mercato convenzionale) per molti protando prezzi bassi ai produttori, oggi sono dotti coloniali tende ad assottigliarsi metinvece costrette a contendersi gli approvvitendo in difficoltà gli importatori equo-sogionamenti di materie prime, utilizzando il lidali che devono cercare di mantenere in prezzo come principale leva competitiva gamma gli stessi prodotti per non perdere per battere i propri concorrenti e assicurarquelle quote di mercato faticosissimamensi i necessari volumi di materia prima. Si te guadagnate. tratta di una tempesta nel mercato globale degli alimenti che non può non influenzare anche gli importatori di commercio Il sovrapprezzo equo solidale che si approvvigionano sullo non è tutto stesso mercato e che competono con le In questo contesto tutto nuovo è molto grandi multinazionali. difficile per gli importatori di commercio Finora questa competizione si giocava equo sostenere la concorrenza sul prezzo

| Pil a parte | economiasolidale | nei confronti di grandi colossi transnazionali. La buona notizia però è che le organizzazioni di produttori equo-solidali normalmente continuano a preferire questo tipo di relazione nonostante il prezzo non sia più un fattore particolarmente determinante. Il dato appare assolutamente coerente con i risultati degli studi d’impatto citati precedentemente: il commercio equo non è fatto solo di sovrapprezzo, è invece il complesso delle sue regole che arricchisce la relazione commerciale, rendendola nel suo insieme più appetibile per il produttore. Quello che si presenta come un problema nella competizione internazionale può trasformarsi quindi in un’opportunità, se le organizzazioni di commercio equo saranno in grado di spostare la concorrenza su un terreno dove più difficilmente potranno essere seguite, quello della partnership attraverso la quale far viaggiare non solo prodotti e denaro, ma anche competenze, servizi e relazioni umane. Il contenuto sociale del prodotto è, più del prezzo, il vero vantaggio competitivo in mano alle organizzazioni di commercio equo che su questo fronte dovranno continuare a investire nei prossimi anni per mantenere e migliorare la propria posizione.

Dall’Ocse all’Istat: lavori in corso per i nuovi indicatori del benessere Anche l’Italia è al lavoro per rispondere alle richieste della Commissione Ue: definire entro il 2012 il set di misuratori della qualità di vita da affiancare al Pil. Sono al lavoro due commissioni: una interna all’Istat e una congiunta Istat-Cnel. Il presidente dell’Istituto di Statistica, Enrico Giovannini, anticipa a Valori le novità che ci attendono.

“C di Elisabetta Tramonto

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due commissioni ‘‘ Le stanno definendo

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le dimensioni del benessere e come misurarle. I risultati a inizio 2012

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REATE YOUR BETTER LIFE INDEX”. Cioè: “Crea il tuo indice per una vita migliore”. È la scritta che compare sul sito, lanciato dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), www. oecdbetterlifeindex.org, dove chiunque può “costruire” il proprio set di indicatori del benessere e verificare la situazione del Paese in cui vive. Basta dare un voto, in base all’importanza attribuita a quello specifico aspetto, a ognuno degli undici parametri che, secondo l’Ocse, determinano il benessere o il malessere di una società. Parametri materiali e immateriali, come la casa, il livello di reddito, il lavoro, l’appartenenza a una comunità, l’educazio-

LA LUNGA MARCIA DELLE ALTERNATIVE AL PIL OCSE Nel 2007 l’Ocse avvia un progetto per la creazione di nuovi indicatori del progresso: il Global Project on Measuring the Progress of Societies. Nell’ottobre 2009 a Busan (Corea), durante il terzo Forum mondiale dell’Ocse, l’istituto raggiunge una conclusione analoga a quella della commissione Stiglitz: serve un set di indicatori del benessere. COMMISSIONE STIGLITZ All’inizio del 2008 il presidente francese Sarkozy ha creato un gruppo di lavoro per studiare delle alternative al Pil. Era composto da 25 economisti, tra cui Stiglitz, Sen e Fitoussi, vari premi Nobel e lo stesso Enrico Giovannini. A settembre 2009 arriva il rapporto con cui la Commissione propone un set di indicatori invece del solo Pil. COMMISSIONE EUROPEA Nell’agosto del 2009 la Commissione europea dichiara che il Pil è un indicatore insufficiente per misurare il progresso e dà appuntamento al 2012 ai governi perché propongano delle alternative.

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ne, l’ambiente, la governance, la salute, la soddisfazione per la propria vita, la sicurezza, l’equilibrio lavoro-vita privata. Sono le dimensioni proposte dall’Ocse nell’ottobre 2009 come “ingredienti” del progresso di un Paese. Da ormai quattro anni l’Organizzazione si dedica al tema della misurazione del benessere della società, da quando nel 2007 ha istituito il Global Project on Mesuring the Progress of Societies. Tra i promotori dell’iniziativa c’era l’italiano Enrico Giovannini, all’epoca responsabile statistico dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, oggi presidente dell’Istat. «Il lavoro dell’Ocse sulla misurazione del benessere continua - racconta Giovannini - e quest’anno, in occasione dei suoi primi 50 anni, l’Organizzazione ha cambiato il proprio motto in: Better Policies for Better Lives. Un messaggio chiaro: servono politiche migliori per vite migliori e, affinché ciò sia possibile, sono indispensabili buoni indicatori che riescano a tener conto del benessere della società». Sono molti i Paesi che stanno lavorando per inserire nelle loro statistiche ufficiali e nei conti nazionali indicatori del benessere. Non per sostituire e pensionare il Prodotto interno lordo, ma per integrarlo con quegli aspetti che un indicatore puramente economico non prende in considerazione. Lo aveva

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| economiasolidale | chiesto la Commissione euroGli indicatori che integreranno pea due anni fa, nell’agosto del il tradizionale Pil dovranno 2009, quando aveva stabilito il tener conto della sostenibilità 2012 come scadenza per elaboambientale e sociale rare nuovi indicatori di benessione, quella dell’Istat, il cui compito è decisere che integrino il “vecchio” Pil. Ci dere come riempire questo quadro con dati stanno lavorando la Gran Bretagna, sotconcreti: quali indicatori del benessere inseto la forte spinta del primo ministro Darire (il numero di posti letto, la speranza di vid Cameron, la Germania, l’Olanda, la vita, la disoccupazione, ecc.). La terza fase Svizzera, il Belgio, il Lussemburgo, la sarà poi la predisposizione congiunta di un Spagna. E anche l’Italia. Tra maggio e rapporto sul progresso del Paese, che verrà giugno sono state create due commissiopubblicato nella seconda metà del 2012. Il ni, una all’interno dell’Istat e una conset di indicatori, invece, dovrebbe essere giunta Istat-Cnel (Consiglio nazionale pronto per l’inizio dell’anno prossimo. dell’economia e del lavoro), per definire un set di indicatori del benessere. Ce ne parla Enrico Giovannini. Da chi sono composte le due commissioni? Presidente, quali sono gli obiettivi La commissione Istat-Cnel è formata da rapdi queste due commissioni? presentanti del mondo dell’industria, dei sindacati, del terzo settore, ma anche della Quella Istat-Cnel sta discutendo il “cosa”: società civile, come il Wwf, Italia nostra, Lequali sono le dimensioni del benessere che gambiente, Sbilanciamoci; oltre a un paio di contano per la società italiana, a partire dal componenti dell’Istat. La commissione delrapporto della commissione Stiglitz, dalle l’Istat invece è composta da professori uniraccomandazioni dell’Ocse e da quelle delversitari, demografi, economisti e statistici. la Commissione europea. L’obiettivo di questa commissione è creare un quadro complessivo che contenga le diverse diQual è l’aspetto nuovo, il cuore di mensioni del benessere. Poi, in realtà in paquesti indicatori del benessere? rallelo, entra in campo la seconda commisDovranno tenere conto anche della soste-

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nibilità ambientale e sociale, nonché del concetto di vulnerabilità. La sostenibilità è importante, ha a che fare con gli effetti dei comportamenti della generazione attuale sulle future generazioni. Ma il pensiero per il futuro necessita un comportamento altruistico, spesso frenato dal fatto che l’impatto sul futuro è meno urgente rispetto al presente. Come diceva Groucho Marx, poi ripreso da Woody Allen: «Perché devo occuparmi delle generazioni future? Loro cos’hanno fatto per me?». Bisogna leggere il fenomeno al contrario: quale effetto ha il futuro su di me? Quanto sono vulnerabile? Bisogna scontare i rischi che la generazione attuale corre già oggi. Ad esempio: ho un lavoro e una famiglia, ma so che tra sei mesi verrò licenziato. Se oggi mi si chiede come sono le mie condizioni di vita, posso dire che sono buone, ma se sconto il futuro, so che la qualità vita peggiorerà. Questa consapevolezza rende il mio futuro difficile, ma anche il presente vulnerabile. È un fattore complicato da inserire tra gli indicatori del benessere, perché ha a che fare con il calcolo del rischio. Ma è fondamentale perché altrimenti si dà la possibilità al politico di turno, di vantarsi per ciò che ha fatto in 5 anni, quando in realtà in questo lasso di tempo ha distrutto capitale futuro.

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MERCATO E FELICITÀ LA PAROLA AI CLASSICI IL MERCATO RENDE FELICI? O meglio: che rapporto esiste tra le relazioni economiche di mercato e il benessere degli esseri umani? La domanda alla base della conferenza “Market and happiness”, organizzata l’8 e 9 giugno scorsi dal dipartimento di Economia politica dell’università di Milano Bicocca, era intrigante e complessa. Così intrigante da richiamare centinaia di ricercatori, docenti e studenti da ogni parte del mondo. Così complessa da non produrre, com’è ovvio, risposte univoche. Ma le suggestioni non sono mancate e alcune delle più fascinose sono venute dalla rilettura di grandi classici quali Smith e Rousseau. Per Joseph Henrichs, antropologo statunitense, il libero mercato può essere un luogo dove si sviluppano virtù morali, vantaggi reciproci e capacità di cooperazione. A spiegare il perché, può aiutare la Teoria dei sentimenti morali di Adam Smith, che ha elaborato una riflessione su come il commercio ponga le persone in relazione reciproca secondo il principio della “giusta distanza”. Cioè il commerciante è costretto a sviluppare una serie di virtù morali e relazionali per il semplice fatto di non essere né troppo vicino, né troppo distante rispetto agli individui e agli oggetti con cui si relaziona. Spostandosi dalla Scozia alla Svizzera si passa a Jean Jacques Rousseau, che riflette sul rapporto tra felicità e competizione. Una parte del pensiero del filosofo ginevrino esamina la relazione

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tra il nostro modo di essere felici e il nostro rapporto con gli altri. Se a un essere umano viene chiesto quale tra le due sia la situazione più desiderabile - un benessere economico pari a 30, ma inferiore a quello di tutti i suoi conoscenti, oppure un benessere economico pari solo a 20, ma con tutti i suoi conoscenti collocati a un livello inferiore - il nostro uomo molto probabilmente sceglierà la B. La competizione sociale è quindi in grado di far perdere di vista il proprio benessere individuale. Dall’incrocio fra la rilettura di Smith e di Rousseau (studiosi di un tempo in cui filosofia ed economia non erano rigidamente separate) si rafforzano due dubbi emersi dalle relazioni iniziali della conferenza. Se si parte da ciò che dicono gli economisti tradizionali, ossia che una perfetta concorrenza di mercato garantirebbe il massimo del benessere, come limitare uno dei maggiori effetti negativi di questo sistema, ossia la diseguaglianza sociale e i suoi danni sul benessere? E ancora, com'è possibile realizzare quanto auspicato da Smith in un mondo in cui il mercato non può strutturalmente essere perfettamente concorrenziale e ispirato alle “giuste distanze”, vista la tendenza strutturale ai monopoli e alla rendita di posizione che il capitalismo reale storicamente impone a tutti i sistemi politico economici? Appuntamento per gli approfondimenti fra due anni, alla prossima Massimiliano Lepratti edizione della conferenza.

Federalismo fiscale e disuguaglianze territoriali: il ruolo dell’Economia Civile 14-15 ottobre 2011 LUCA ANTONINI, GREGORIO ARENA, ALDO BONOMI, CARLO BORGOMEO, LUIGINO BRUNI, GIOVANNI D’ALESSIO, PIER PAOLO DONATI, GIULIO ECCHIA, GIUSEPPE FRANGI, CLAUDIO GAGLIARDI, ENRICO GIOVANNINI, MARCO GRANELLI, VINCENZO MANNINO, FRANCO MARZOCCHI, PIER ANGELO MORI, ANDREA OLIVERO, LUCA PAOLAZZI*, GIULIANO POLETTI, PIER LUIGI SACCO, CHIARA SARACENO, STEFANO ZAMAGNI, FLAVIANO ZANDONAI.

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* In attesa di c onfer ma

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internazionale

La mappa delle grandi opere a spese dell’ambiente >58 Guerra non convenzionale: che tempo farà? >60 Alexander Langer 2011. Un premio a Dadoue, una vita per Haiti >64

| mega infrastrutture | 18 mila Megawatt di produzione l’anno, la Diga delle Tre Gole sul fiume Yangtze è il più grande impianto idroelettrico del mondo.

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La Cina ha ammesso che la Diga delle Tre Gole, decantata come progetto modello, è invece diventata un problema: ha messo in ginocchio un intero ecosistema e provocato lo sfollamento di circa due milioni di persone. Come molte grandi opere costosissime, localizzate nei Paesi in via di sviluppo e finanziate da Banca mondiale.

Grandi, grandissime e praticamente

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di Luca Manes È quello che la Cina è stata costretta a fare lo scorso maggio a proposito della Diga delle Tre Gole sul fiume Yangtze, il più grande impianto idroelettrico del mondo, costato oltre 25 miliardi di dollari e completato nel 2008. “Se da un lato la diga delle Tre Gole è fonte di molti importanti benefici, ci sono ancora problemi da risolvere con urgenza in ma-

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N CLAMOROSO DIETROFRONT.

teria di trasferimento dei residenti, protezione dell’ambiente e prevenzione dei disastri ambientali”, si sono clamorosamente sbilanciati i vertici del governo cinese. Sul mega sbarramento le autorità dell’ex Impero di Mezzo hanno finalmente dovuto ammettere quanto nugoli di ambientalisti, ma non solo, denunciano da anni: i mastodontici impatti socio-ambientali e idrogeologici collegati alla realizzazione di |

un impianto che ha messo in ginocchio un intero ecosistema e provocato lo sfollamento di circa due milioni di persone. I 18 mila megawatt di energia prodotti all’anno - il 2% del fabbisogno cinese - non sembrano più giustificare un tale stravolgimento del territorio e la diga da progetto modello è dieventata un problema. In particolare sono i periodi di siccità a preoccupare, visto che incidono in mo-

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| internazionale | Il bacino artificale formato dalla diga ha un’altezza variabile tra i 145 e i 175 metri, durante il corso dell’anno. Questo destabilizza gli argini del fiume.

do molto pesante sui livelli del bacino artificiale formato dalla diga, che oscilla tra i 145 e i 175 metri durante il corso dell’anno. Tutto ciò destabilizza le sponde del fiume e provoca frequenti crolli. Secondo gli esperti locali, il processo di erosione interessa metà della superficie del bacino e ben 180 chilometri di rive sono a fortissimo rischio. Si parla già di altri 300 mila cittadini da evacuare quanto prima, e non è detto che possa bastare. Insomma, pare che il gioco non valga la candela.

WORLD BANK: LA “STRUTTURA OMBRELLO” L’ISTITUZIONE PUÒ CONTARE su oltre 7mila membri permanenti dello staff, a cui si aggiungono, in media, 4 mila consulenti l’anno. Una forza lavoro dislocata tra Washington, al numero 1818 di H Street - dove si trova la sede centrale - e i 109 Paesi dove l’istituzione opera in maniera stabile e continua. In realtà la Banca è una sorta di “struttura ombrello” al cui interno operano cinque enti creati nel corso degli anni. I più importanti sono l’International Development Association, che effettua prestiti ai Paesi a medio reddito e a quelli più poveri, e l’International Finance Corporation, che sostiene con i suoi crediti il settore privato. Il totale del budget annuale è ormai calcolato intorno ai 30 miliardi di dollari. Fondata insieme al suo gemello Fondo monetario internazionale in occasione della Conferenza di Bretton Woods del 1944, il suo obiettivo primario è ridurre la povertà nei quattro angoli del Pianeta. Sebbene l’istituzione rientri nel sistema delle Nazioni Unite, opera in totale indipendenza rispetto all’Onu.

Dighe e Banca mondiale: un amore longevo

zione al finanziamento di 450 milioni di dollari per la costruzione dell’impianto di Eppure di grandi dighe al mondo se ne coSardar Sarovar. La Banca fu “costretta” a struiscono sempre di più. Tra i principali istituire una commissione indipendente, sponsor finanziari e politici di questo tipo la famosa, per essere la prima nel suo gedi progetti - ma anche di altre mega opere nere, Morse Commission. Il risultato di infrastrutturali di enorme impatto come quasi due anni di lavoro fu che nel 1993 la oleodotti e gasdotti - c’è senza dubbio la Banca si vide obbligata ad abbandonare il Banca mondiale. La relazione tra i banprogetto. Un evento che, per come si era chieri di Washington e il settore idroeletsviluppato, non aveva precedenti nella trico dura ormai da molti anni. Ha avuto i storia dell’istituzione. suoi alti e bassi, dovuti essenzialmente a motivi contingenti ma, se ci passate l’espressione, il loro amore non è mai sfioriL’operato della Commissione to, anzi. Certo, negli anni Novanta le cose mondiale delle dighe non sembravano andare per niente a gonSpinta dalla società civile globale, nel 1998 fie vele. Le proteste e i ricorsi legali contro la World Bank fece anche di più: istituì una le grandi dighe si sprecavano, sul solco Commissione mondiale sulle dighe, che tracciato dagli attivisti indiani che, dei mega sbarramenti nelTra i principali sponsor finanziari la valle del Narmada, non ne e politici delle mega opere volevano proprio sapere. Siminfrastrutturali di grande bolo di quella lotta fu l’opposiimpatto c’è Banca mondiale | 56 | valori |

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nel dicembre del 2000 rese pubblica la summa di tutti gli impatti e gli effetti negativi dei mega sbarramenti sparsi per il mondo. Tanto per citare due dati eclatanti: il 75% dei progetti non aveva raggiunto l’obiettivo di produzione elettrica prefissato e, soprattutto, le persone sfollate a causa di queste opere si calcolavano tra i 40 e gli 80 milioni. La Commissione, di natura indipendente, fu prima di tutto un’esperienza unica di democrazia, visto che rappresentanti di governi, imprese, organizzazioni non governative e movimenti di base d’opposizione alle dighe effettuarono ricerche e analisi, si sedettero allo stesso tavolo e discussero vis a vis. In due anni, anche grazie al lavoro di coordinamento del segretariato della Commissione con sede a Città del Capo, in Sud Africa, furono organizzate audizioni in ogni Continente e realizzate diciassette revisioni tematiche, otto casi di studio particolari e

due casi Paese più generali. Tra i principi innovativi, che il rapporto stabilì nelle sue raccomandazioni rivolte ai finanziatori, alle imprese e ai movimenti indipendenti, c’era l’invito affinché nella pianificazione e nella valutazione delle grandi dighe gli aspetti sociali e ambientali dovessero avere in futuro pari importanza rispetto a quelli economici e finanziari. Purtroppo la Banca, non solo non diede seguito alle rivoluzionarie raccomandazioni della Commissione, ma, passata la buriana, tornò a finanziare le dighe in maniera massiccia. Nell’ultimo decennio sono stati 211 i progetti idroelettrici sostenuti in tutto il Pianeta, per un investimento di oltre 210 miliardi di dollari.

Lavori infiniti

I NUMERI DELLE DIGHE

40-80 milioni LE PERSONE SFOLLATE

75% I PROGETTI CHE NON HANNO RAGGIUNTO GLI OBIETTIVI DI PRODUZIONE ELETTRICA STABILITI

211 I PROGETTI IDROELETTRICI FINANZIATI DA BANCA MONDIALE IN TUTTO IL PIANETA NEGLI ULTIMI 10 ANNI PER UN INVESTIMENTO DI OLTRE 210 MILIARDI DI DOLLARI

la pena rammentarlo - è destinata in buona parte alle confinanti industrie thailandesi, per cui nel caso specifico i benefici per la popolazione locale sarebbero ben pochi. Un po’ quanto accadrebbe se andasse in porto il faraonico progetto di Grand Inga, nella Repubblica democratica del Congo. Una diga immensa, capace di produrre 40 mila megawatt, due volte la portata delle Tre Gole in Cina, ma molto più onerosa a causa delle lunghe linee di trasmissione previste. I costi partono da 80 miliardi di dollari, ma l’esperienza delle altre dighe Inga 1 e 2 e della loro ristrutturazione, attualmente in corso proprio su sostegno della Banca, spingono gli addetti ai lavori a non escludere ingenti aumenti dei costi in corso d’o-

Tra questi la diga di Nam Theun, in Laos. Costata un miliardo di dollari - la Banca ha messo a disposizione oltre 150 milioni, tra prestiti e garanzie - ha danneggiato uno dei più importanti immissari del fiume Mekong e messo a rischio i mezzi di sussistenza di almeno 100mila persone (oltre 6mila rilocate in maniera molto approssimativa). Nonostante la World Bank abbia degli standard socio-ambientali molto stringenti, ci sono molte realtà della società civile che affermano che lo studio di valutazione dell’impatto amI proventi dell’oleodotto bientale sia macchiato da graCiad-Camerun, destinati a sanità vi irregolarità. L’energia e istruzione, sono serviti prodotta da Nam Theun 2 - val per l’arsenale del presidente Deby |

pera. Dal 2002 a oggi le diverse istituzioni finanziarie internazionali hanno già investito quasi un miliardo di dollari nella riabilitazione delle centrali e della esistente linea di trasmissione elettrica di Inga-Kolwezi, ma la fine dei lavori ancora non si vede e nei prossimi mesi la richiesta di un nuovo prestito potrebbe essere discussa dai direttori esecutivi della Banca mondiale.

Danni all’ambiente, mancati benefici e debiti Eppure l’istituzione con sede a Washington è in prima fila tra i possibili finanziatori. Le grandi opere infrastrutturali in Africa sono ormai il suo pane quotidiano, se è vero che solo lo scorso anno ha erogato circa 4 miliardi di dollari per la centrale a carbone di Medupi, in Sud Africa. Anche nel settore estrattivo i progetti modello - come l’oleodotto Ciad-Camerun, i cui proventi dovevano essere destinati a sanità e istruzione e sono finiti a ingrossare gli arsenali del presidente Idriss Deby - si sono spesso rivelati clamorosi flop annunciati, almeno dalla società civile internazionale. Anche in quel caso la Banca ha fatto mea culpa, sia per le conseguenze negative sull’ambiente che per i mancati benefici arrecati alle povere cittadinanze locali, per poi continuare nel business as usual come già accaduto con le dighe. Al 1818 di H Street le ricette non sembrano cambiare mai. Forse perché sono molto più forti gli interessi dei Paesi ricchi e delle loro multinazionali che quelli delle realtà più povere del Pianeta.

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GRANDI OPERE A SPESE DELL’AMBIENTE a cura di Luca Manes

DIGA DELLE TRE GOLE SUL FIUME YANGTZE 1

OLEODOTTO CIAD-CAMERUN 2

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I proventi dell’opera finanziata dalla Banca Mondiale sarebbero dovuti andare alla sanità e all’istruzione, ma il presidente Idriss Deby li ha utilizzati per l’acquisto di armi.

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CENTRALE A CARBONE DI MEDUPI (SUD AFRICA) 3

4 miliardi di euro erogati nel 2010 da Bm

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DIGA DI BUMBUNA (SIERRA LEONE) I banchieri di Washington si sono impegnati 4 anche nel sostegno di questa diga, terminata nel 2009. Le problematiche riscontrate sono simili al caso ugandese (contadini sfollati, energia destinata soprattutto all’export e cittadinanza locale che rimane spesso al buio), con l’aggiunta di casi di malfunzionamento segnalati dalle realtà locali. A costruire Bumbuna è stata l’impresa italiana Salini, da decenni molto attiva nel Continente Nero nel comparto idroelettrico.

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IL PROGETTO IDROELETTRICO DI YACYRETA

CHIXOY (GUATEMALA)

Terminata nel 1993 la diga sbarra 5 il fiume Paranà, al confine tra Argentina e Paraguay, ed è uno dei casi più eclatanti di mancate compensazioni adeguate per cittadinanza sfollata a causa della realizzazione della diga. Le nuove abitazioni fornite si sono rivelate ben presto del tutto inadeguate ai bisogni della famiglie rilocate, per non parlare della mancanza di fognature e altri servizi essenziali, tanto che le cattive condizioni igieniche hanno provocato la diffusione di varie malattie.

Ancora più drammatica la storia di questo 7 impianto. Il finanziamento della World Bank arrivò nel 1978, mentre lo sbarramento fu completato nel 1983, non prima che gli squadroni della morte che spadroneggiavano all’epoca nella zona del Rio Negro avessero trucidato oltre 400 persone della comunità Maya di lingua Achì in quattro singoli episodi, mettendo così fine a ogni possibile protesta nei confronti della controverse procedure di reinsediamento. I costi finali del progetto, inoltre, duplicarono (da 1,25 a 2,5 miliardi di dollari), minando la fattibilità economica dell’opera, DIGA DI NAM THEUN (LAOS) in cui c’è da registrare il coinvolgimento Costata un miliardo di dollari e finanziata per 150 dell’allora Cogefar-Impresit. Ancor oggi 6 milioni dalla Banca mondiale, la maggior parte la centrale non fornisce la quantità dell’elettricità prodotta serve alla Thailandia. di energia inizialmente prevista. | 58 | valori |

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GRAND INGA (REPUB. DEMOCRATICA DEL CONGO)

LESOTHO HIGHLANDS WATER PROJECT (LHWP),

Una diga immensa, capace di produrre 40 8 mila megawatt, due volte la portata delle Tre Gole in Cina, ma molto più onerosa a causa delle lunghe linee di trasmissione previste. Terza diga sul fiume Congo, i suoi costi partono da 80 miliardi di dollari, ma l’esperienza delle altre dighe Inga 1 e 2 e della loro ristrutturazione attualmente in corso proprio su sostegno della Banca, spingono gli addetti ai lavori a prevedere ingenti aumenti dei costi in corso d’opera. Dal 2002 ad oggi sono già stati spesi un miliardo di dollari nella riabilitazione delle centrali e della esistente linea di trasmissione elettrica di Inga-Kolwezi, ma la fine dei lavori è lontana e nei prossimi mesi la richiesta di un nuovo prestito potrebbe essere discussa dai direttori esecutivi della Banca mondiale.

Dopo quello delle Tre Gole in Cina, è il più In Asia la Banca mondiale ha garantito 10 240 milioni di dollari per questa diga, 9 grande progetto di gestione delle acque al mondo nell’omonimo statarello nella terminata nel 1994, in Thailandia, una parte meridionale del continente africano. delle tante opere sorte su affluenti del Un’opera disegnata per soddisfare i bisogni Mekong o sullo stesso grande fiume che idrici ed energetici del Sud Africa all’epoca attraversa numerosi Paesi della regione. dell’apartheid, negli anni Ottanta, e che Pak Mun è uno dei casi esaminati dagli arriverà a compimento dopo più di un esperti della World Commission on Dams, decennio. Un complesso sistema di dighe che hanno potuto riscontrare come tutte e tunnel che ha scombussolato un Paese le promesse e i tentativi di salvare almeno la cui principale risorsa è l’acqua e che invece una parte delle abbondanti riserve ittiche da qualche anno a questa parte deve fare del corso d’acqua non abbiano sortito i conti con un preoccupante aumento dei gli effetti sperati, con tutti i prevedibili periodi di siccità. Ma il LHWP è stato anche impatti negativi sull’economia delle sinonimo di corruzione, tanto che all’inizio del comunità locali. nuovo Millennio una decina di multinazionali occidentali – tra cui l’italiana Impregilo – sono finite a processo per una brutta storia di mazzette milionarie a ufficiali pubblici.

DIGA DI PAK MUN

BUJAGALI (UGANDA)

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La piaga della corruzione ha investito anche 11 il progetto di mega sbarramento di Bujagali in Uganda, attualmente in fase di completamento. I ritardi per la sua realizzazione erano, infatti, legati a un giro di bustarelle che, una volta scoperto, ha di fatto portato all’azzeramento del consorzio costruttore. La Banca mondiale è però tornata alla carica e la diga sta ora sorgendo alle fonti del Nilo Bianco. Eppure l’organismo di indagine indipendente della stessa World Bank aveva ammonito che l’opera è ad alto rischio. Dopo aver segnalato l’elevata presenza di impatti ambientali, l’ente ha ammonito che “non ci sono prove evidenti che la diga possa avere un impatto economico positivo sulle famiglie a più basso reddito. Sarebbe meglio prendere in considerazione la costruzione di un’infrastruttura più piccola e meno rischiosa”.

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Che tempo farà?

QUANTO COSTANO I CAMBIAMENTI CLIMATICI? LA COMPAGNIA DI RIASSICURAZIONE Munich Re redige annualmente un report sulle conseguenze delle catastrofi naturali. Il rapporto 2010 fotografa uno degli anni più caldi dal 1850, con precipitazioni da record e un’ulteriore diminuzione della calotta artica. L’estensione media della banchisa polare artica ha raggiunto nel mese di settembre il terzo valore più basso dal 1979, quando è iniziata la raccolta dei dati. Il 2010 è stato l’anno con il secondo maggior numero di catastrofi naturali dal 1980: sono stati 960 gli eventi disastrosi documentati nel 2010, mentre la media dell’ultimo decennio è di 785 eventi all’anno. Le perdite totali ammontano a circa 150 miliardi di dollari. www.munichre.com

Possedere il meteo è un concetto ambizioso e non senza conseguenze: è giusto che restino segrete sperimentazioni che potrebbero essere dannose per il Pianeta e per la salute umana? È giusto che ambienti come la ionosfera siano considerati territori di conquista e comando?

Quelle ricerche militari così poco civili Condotte in segreto, alimentano la paura e il sospetto. di Paola Baiocchi

Per scaricare Weather as a Force Multiplier: Owning the Weather in 2025: csat.au.af.mil/2025/volume3/vol3ch15.pdf

di Paola Baiocchi

FACCIAMO ha dichiarato poco tempo fa Bernie Ecclestone, il boss della Formula 1, che, per tenere svegli gli spettatori e attirare nuova pubblicità, ha proposto dieci minuti di acquazzoni artificiali, con preavviso per i piloti, durante le gare. L’uscita per ora non ha avuto conseguenze nell’ambiente automobilistiMeteo artificiale co, ma controllare le condizioni atmosferiche “Gli interventi - scrive il rapporto statunitenin particolari situazioni è al centro di molti se - potrebbero essere programmati per modiinteressi, soprattutto militari. ficare il tempo in un considerevole numero di L’Air Force statunitense il 17 giugno modi, come influenzare le nubi e le precipita1996 ha pubblicato uno studio dal titolo zioni, l’intensità delle tempeste, il clima, lo Weather as a Force Multiplier: Owning the spazio o la nebbia”. Tra le tecniche più sicure Weather in 2025 (Meteo come moltiplicatoe più convenienti nella relazione causa-effetre della forza: possedere il tempo nel 2025). to per aumentare le precipitazioni lo studio ciCommissionato dal dipartimento della Difesa e con la premessa Gli interventi potrebbero essere che le modificazioni del tempo programmati per influenzare hanno implicazioni non inferiori le nubi, le precipitazioni a quelle dell’utilizzo dell’atomo, o l’intensità delle tempeste

«G

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ARE NOIOSE?

Owning the Weather spiega quali sono i concetti, le capacità e le tecnologie che gli Usa stanno esplorando e sulle quali vogliono aggiudicarsi l’egemonia, necessaria perché “mentre gli sforzi offensivi di modifica del meteo sarebbero certamente presi dagli Stati Uniti con grande cautela e trepidazione, è chiaro che non possiamo permettere che un avversario ottenga le stesse capacità”.

PIOVERE»,

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ta, per esempio, la dispersione nell’atmosfera di polveri di carbonio per mezzo di aerei senza pilota e invisibili ai radar. Più volte leggendo il rapporto bisogna ricordarsi che quello che si ha per le mani è un documento ufficiale degli Stati Uniti (vedi INTERVISTA ), perché alcuni passaggi sembrano la sceneggiatura di un film di 007: soprattutto nelle parti in cui si immaginano, con un certo entusiasmo, alcuni sviluppi delle nanotecnologie per creare simulated weather - condizioni meteo simulate con nuvole fatte di microscopici computer interconnessi tra di loro, che potrebbero avere “una vasta gamma di proprietà” e “un potenziale per operazioni psicologiche che, in molte situazioni, sarebbe fantastico”.

La frontiera sopra le nostre teste La parte più strategica di Owning the Weather comunica che la “modifica della ionosfera per migliorare o interrompere le comunicazioni è recentemente diventata oggetto di ricerca attiva”. È immediato il collegamento con le sta-

LIBRI

Fabio Mini La guerra dopo la guerra. Soldati, burocrati e mercenari nell’epoca della pace virtuale Einaudi, 2003

Durschmied Erik Il Generale Inverno. Come i capricci del clima hanno vinto le guerre Piemme editore, 2005

zioni Haarp (High Frequency Active Auroral Research Program), una delle quali è localizzata in Alaska, dove si svolgono segrete ricerche militari riguardanti la ionosfera (vedi BOX nella pagina seguente). Non sono solo gli Stati Uniti a condurre ricerche in questi campi: in un elenco sicuramente non completo troviamo l’Agenzia spaziale europea, gli israeliani, i russi e potenze emergenti come India e Cina. A questo punto chi di noi è preoccupato di avere comportamenti responsabili nei confronti dell’ambiente per non aumentare l’impatto umano sui cambiamenti climatici, qualche domanda e molte richieste di chiarimento deve porle, alla comunità scientifica civile e alle istituzioni più autorevoli, che sembrano completamente disinteressarsi dell’argomento: il clima è un sistema chiuso, è possibile che esperimenti per indurre modifiche del meteo, anche molto localizzate, non portino conseguenze dannose e imprevedibili per tutto il Pianeta? Ridurre o aumentare artificialmente le precipitazioni può mettere in ginocchio le economie e minacciare la sussistenza delle popolazioni: chi può garantirci che queste forme di guerra non convenzionale non vengano adottate anche per scopi di finanza speculativa? Nella definizione di meteorologia spaziale (Space Weather) si spiega che sono studi che riguardano “le condizioni del Sole, del vento solare, della magnetosfera, ionosfera e termosfera che possono influenzare le prestazioni e l’affidabilità dei sistemi tecnologici spaziali e terrestri e possono mettere in pericolo la vita o la salute umana”. Siamo sicuri che manipolazioni di questi ambiti non diano luogo a strumenti troppo pericolosi per essere perseguiti?

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I

L GENERALE FABIO MINI ha un lungo curriculum denso di incarichi: portavoce del capo di stato maggiore dell’Esercito e della Difesa, ufficiale addetto alla pubblica informazione della Nato, ha comandato la Brigata Legnano durante l’operazione Vespri siciliani in Sicilia contro la criminalità organizzata. È stato addetto militare a Pechino per tre anni, ha avuto il comando del Kfor, il contingente internazionale in Kosovo e molto altro ancora. Da tempo Fabio Mini avverte che la guerra ambientale è una realtà, a dispetto della convenzione Enmod dell’Onu del 1977, che proibisce l’uso militare e ostile delle modificazioni ambientali.

Generale, negli ultimi venti anni c’è stato un incremento degli eventi atmosferici catastrofici e i climatologi prevedono che l’aumento continuerà nei prossimi vent’anni. C’è già lo zampino degli esperimenti sul meteo? Questi eventi stanno colpendo proprio chi conduce le sperimentazioni, non credo che le rivolgano contro se stessi. Perché gli Stati Uniti nel 1996 hanno pubblicato Owning the Weather? È stato un avvertimento e un annuncio di potenza tecnologica, nel conseguimento di risultati nel campo delle modifiche meteo. C’è una separazione profonda tra la ricerca civile e quella militare, non le sembra pericolosa? Soprattutto ora, in epoca di privatizzazione della Difesa e della Ricerca? La Difesa sta svolgendo ricerche in campi che sono sempre stati civili e questo ha molte criticità: intanto perché restano segrete, poi perché le ricerche militari vanno avanti con meno pregiudizi, ma ne anticipano gli impieghi anche se distruttivi e prima di averne conosciuto tutte le conseguenze. Haarp sta svolgendo ricerche finanziate dalla

Difesa sta svolgendo ricerche ‘‘ La in campi che sono sempre stati civili e questo ha molte criticità ’’ |

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| oro blu | internazionale | prattutto quando scarseggiano. È fantastica la prospettiva di utilizzare la ionosfera come conduzione per girare intorno alla Terra con le comunicazioni, senza passare per lo spazio. Ma immettere delle onde radio, quando sappiamo che già i cellulari possono provocare il tumore, non potrebbe indurre uno scompenso di vasta portata?

Utilizzare ingenti risorse per la ricerca militare, le sottrae ad altri campi come l’educazione. La scelta di come utilizzare le risorse è fondamentale, so-

Sembra letteratura di fantascienza. Attenzione, perché certi letterati sono solo persone più informate.

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Acqua depurata: “basta” la luce

Il generale Fabio Mini.

COSTI DELLE CATASTROFI NATURALI GRANDI E DEVASTANTI (1980-2010)

HAARP E LA IONOSFERA CON IL TERMINE IONOSFERA si intende la regione dell’alta atmosfera che si estende da 50 a 1000 km circa sopra la superficie terrestre in cui la densità di elettroni e ioni liberi raggiunge valori fisicamente rilevanti tali da influenzare sensibilmente l’indice di rifrazione delle radioonde. Tale ionizzazione è prodotta principalmente dalle radiazioni ultraviolette e, in misura minore, dai raggi X provenienti dal Sole. A causa della sua estrema sensibilità nei confronti di fenomeni atmosferici di vario tipo, la ionosfera può essere utilizzata come un sensibile indicatore di variazioni atmosferiche. Haarp, il programma di studio finanziato da Us Air force, da Us Navy, dalla University of Alaska e dal Defence advanced research projects agency (Darpa), gestisce un sito a Gakona nell’Alaska. Haarp è in grado di inviare onde radio nella ionosfera: le onde, colpendo la ionosfera, la riscaldano causando delle perturbazioni, simili a quelle provocate dalla radiazione solare. Le ricerche di Haarp riguardano le comunicazioni radio a lunga distanza e le comunicazioni con i sottomarini, per le quali l’uso di onde radio riflesse dalla ionosfera sembrano essere fondamentali. Pa. Bai.

PERDITE COMPLESSIVE E ASSICURATE NELLE CATASTROFI NATURALI “GRANDI” E “DEVASTANTI” (VALORI ADEGUATI AL 2010) Perdite totali

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Debellato il vaiolo, ma non nei laboratori La malattia è eradicata dal 1977, ma restano centinaia di campioni vivi del virus negli Usa e in Russia. di Paola Baiocchi A GUERRA VIENE COMBATTUTA in molte forme e quella batteriologica non è una novità: nel IV secolo a.C. Tucidide attribuisce lo scoppio dell’epidemia di peste nella quale morì anche Pericle, all’avvelenamento dell’acqua dei pozzi ad opera degli spartani. Non sappiamo se siano stati i nemici degli ateniesi a diffondere la malattia, mentre è certo che nel 1763 gli inglesi distribuirono intenzionalmente agli indiani Delaware coperte infettate dal vaiolo, provenienti da un Forte dove era in corso un’epidemia: in una lettera indirizzata a un suo sottoposto, il generale Jeffrey Amherst, dichiara di approvare il piano per decimare gli indiani, aggiungendo di "utilizzare qualsiasi altro metodo utile a estirpare questa esecrabile razza". Il vaiolo, che ha contribuito alla scon-

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fitta dei nativi americani, dopo decenni di valida collaborazione internazionale è stato debellato nel 1977. Ma ne restano ancora centinaia di campioni vivi in due laboratori di massima sicurezza negli Stati Uniti e in Russia (prima Urss), che li hanno ricevuti dall’Organizzazione mondiale per la sanità (Oms). L’Organizzazione raccomanda la distruzione degli stock dal 1986, temendo la possibilità del rilascio accidentale (e non) del virus: l’ultimo caso registrato di vaiolo, nel 1978, ha avuto origine proprio da un incidente di laboratorio, ma gli Stati Uniti si oppongono. Alla 64ma Assemblea mondiale della sanità riunita a maggio a Ginevra, il tema è stato ripresentato, ma si è rinviata la decisione della distruzione al 2014, anche se nel frattempo nessuno è autorizzato a procedere con ricerche sul virus vivo. A Monica Zoppè, biologa ricercatrice

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del Cnr, abbiamo chiesto se conservare il vaiolo abbia qualche valenza scientifica o possa, invece, far intravvedere la volontà di Big Pharma: «Non c’è nessuna necessità di salute pubblica nel mantenere gli stock: il virus non è necessario per curare l’infezione nel caso di un’epidemia, e anche per il vaccino si utilizza il virus vaccinia, un parente del vaiolo, che non è mortale per l’essere umano. Al contrario mantenendo i campioni vivi ci si espone al rischio di un rilascio, accidentale o intenzionale (non dimentichiamo, per esempio, che le famose ‘lettere all’antrace’ del 2001 furono opera di un ricercatore autorizzato). La popolazione, non più vaccinata da molti anni, sarebbe esposta al rischio di contagio. A quel punto – conclude Monica Zoppè – chi avesse i vaccini pronti avrebbe in mano la situazione».

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FONTE: MUNICH RE, TOPICS GEO. NATURAL CATASTROPHES 2010

Difesa, ma dice che non avranno applicazioni militari. Io mi chiedo: quale amministrazione farebbe questo? Rendiamo trasparenti queste ricerche e poi sarà la gente a valutare se sono giuste o no. Finché restano nel chiuso alimentano il teorema della paura: e se la gente è spaventata paga per non aver paura oppure chiude gli occhi.

NOTA ALCUNE DELLE STORIE contenute nell’articolo sono raccontate nel documentario “Flow - For love of water” (2008), diretto da Irene Salina e premiato in diversi festival internazionali. Il film supporta la campagna Articolo 31 (www.article31.org) che chiede alle Nazioni unite di aggiungere alla Dichiarazione universale dei diritti umani un nuovo articolo sul diritto all’acqua.

Una lampada a raggi ultravioletti per bloccare la riproduzione degli agenti patogeni. Un dispositivo efficiente, che può essere collegato alla batteria di un’auto nei villaggi non collegati alla rete elettrica. di Valentina Neri

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NA LAMPADA A RAGGI ULTRAVIO-

da 40 watt. Per intenderci, poco meno di quanto consuma un comune lampadario per uso domestico. E dal peso di otto chili scarsi. È difficile immaginare che questa sia la descrizione - certo un po’ semplificata - di un innovativo metodo per la depurazione dell’acqua di cui beneficiano 300 mila persone nella regione indiana dell’Andhra Pradesh. Ma a certificarlo è l’Ufficio europeo dei brevetti, che a maggio ha premiato il professor Ashok Gadgil, padre di questo dispositivo. Nato in India, ma da anni in California, dapprima per frequentare e poi per insegnare all’università di Berkeley, Gadgil già da tempo studiava le potenzialità disinfettanti della luce. Ma nel 1993 un’epidemia di colera (che si trasmette proprio LETTI

tramite l’acqua contaminata) ha provocato la morte di circa 10 mila persone in Asia: e lui è tornato al suo Paese natale per intraprendere una lunga sperimentazione col collega Vikas Garud. La sua lampada emette raggi ultravioletti che si trasmettono tramite l’acqua, vengono assorbiti dal Dna degli agenti patogeni e ne bloccano la riproduzione. Fermando, così, il propagarsi della malattia. Ma la componente davvero rivoluzionaria è un’altra: a differenza di altri dispositivi simili non c’è bisogno di complicati sistemi di pompe, perché la lampada, collocata sopra le cisterne, sfrutta la forza idrostatica e la gravità. E consuma talmente poco da poter essere alimentata anche dalla batteria di un’auto o da un pannello solare. Il punto è proprio questo. I metodi di

NUMERI SIGNIFICATIVI TALVOLTA I NUMERI SONO UTILI a capire anche problemi complessi e lontani dalla nostra quotidianità. Attualmente sono 884 milioni le persone che non hanno accesso all’acqua potabile: come dire la somma degli abitanti di Usa, Canada, Unione europea e Australia. E sono 1,7 miliardi quelle che non hanno a disposizione i servizi sanitari di base. Dimezzare queste cifre è l’obiettivo del Millennio al quale Oms e Unicef hanno dedicato il decennio 2005-2015. Per riuscirci sono necessari 11,3 miliardi di dollari ogni anno: un altro numero che può spaventare. Ma, ci insegnano gli economisti, le risorse (seppur scarse) ci sono: tutto sta nello scegliere come allocarle. Negli ultimi due anni il Regno Unito ha speso quasi sei volte tanto per salvare due banche; gli Stati Uniti hanno sborsato 50 miliardi per la sola General Motors; e si potrebbe continuare a lungo. Volendo fare un calcolo solo economico (fermo restando il fatto che il valore delle vite umane non si può tradurre in cifre), risolvere l’emergenza idrica significa evitare a ragazzi e adulti lunghi tragitti per procurarsi l’acqua (guadagnando ore di scuola e lavoro), diminuire le spese sanitarie, favorire l’agricoltura. Insomma, risollevare le economie di interi Paesi. Secondo le stime di Oms e Unicef, ogni dollaro investito allo scopo ne può fruttare da un minimo di 3 a un massimo di 84.

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approvvigionamento e depurazione dell’acqua esistono da decenni, ma nei Paesi in via di sviluppo ciò che serve davvero sono soluzioni semplici, efficaci, a basso costo e gestibili dai cittadini in prima persona, svincolandoli dalla dipendenza dalle Ong internazionali.

C’è bisogno di progetti semplici Come le 1.700 PlayPump che forniscono acqua a oltre 2 milioni di persone in Africa: sono giostre per bambini collegate a condotte che estraggono l’acqua dal sottosuolo e la conservano in cisterne. Oppure la Life Saver Bottle dell’ingegnere statunitense Michael Pritchard, che a prima vista sembra poco più di una comune borraccia, ma è in grado di filtrare tutto ciò che supera i 15 nanometri: batteri, virus, funghi, parassiti. Ottenendo in pochi secondi acqua sterile. Una bottiglia può sanificare fra i 4 e i 6 mila litri d’acqua. Mentre la tanica arriva a 25 mila litri, sufficienti per una famiglia di quattro persone per tre anni, al costo di mezzo centesimo di dollaro al giorno. Capita anche di non dover combattere “solo” contro la scarsità di risorse e le condizioni ambientali. Ne sa qualcosa Rajendra Singh, che diverse volte negli ultimi vent’anni si è trovato ai ferri corti con i governi che vedevano con sospetto il suo intervento. Ma sono stati i fatti a parlare. E questo ex medico ayurvedico, senza aver studiato ingegneria, ma sfruttando semplicemente le conoscenze tramandate dalla tradizione, negli anni è diventato un vero e proprio punto di riferimento per la popolazione. E la sua Ong Tarun Bharat Sangh offre consulenza e aiuto a chi ha deciso di non stare più a guardare e intervenire in prima persona per il diritto universale all’“oro blu”.

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Formazione professionale, borse di studio, alfabetizzazione degli adulti e scuole per i bambini, sono alcune delle attività della Fddpa, premio Alexander Langer 2011.

Un premio a Dadoue Una vita per Haiti Premio Alexander Langer 2011 all’associazione haitiana Fddpa, in memoria di Elane Printemps “Dadoue”. Un premio alla cittadinanza attiva che resiste ai grandi proprietari e lotta per il riscatto delle minoranze. di Corrado Fontana N IMPEGNO che si è espresso in modo ampio, prima e oltre lo sforzo di ricostruzione del dopo terremoto, con i programmi di alfabetizzazione e la creazione di pozzi, per generare un nuovo assetto politico che favorisca le minoranze nel contesto haitiano: per trovare un ponte - come direbbe Alexander Langer - diventando cittadini attivi attraverso piccole azioni e soluzioni alternative». Così Sarah Trevisiol, della Fondazione Alexander Langer Stiftung, sintetizza in parte il senso dell’assegnazione del premio di quest’anno che, sostenuto da Banca Popolare

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Etica, è andato all’associazione haitiana Fddpa (Fos pou defann dwa payzans aysien, cioè Forza per la difesa dei diritti dei contadini haitiani).

Contadini attivi Elane Printemps “Dadoue”, nata a Môle Saint Nicolas (nel Nord Ovest dell’isola) durante la dittatura Duvalier, a soli vent’anni decise di lasciarsi alle spalle la vita sicura e privilegiata del convento delle suore teresiane per aiutare i suoi compaesani a migliorare le proprie condizioni di vita. A Dofiné (nella quinta sezione della pro-

ALEXANDER LANGER NATO A VIPITENO in Alto Adige, il 22 febbraio 1946. Dal 1978 viene eletto per tre legislature in Consiglio provinciale di Bolzano nella lista Neue Linke/Nuova sinistra prima, e in quella Verde Alternativa dal 1988. Negli anni ‘80 è tra i promotori del movimento politico dei Verdi in Italia e in Europa. Eletto deputato al Parlamento europeo nel 1989, diventa primo presidente del neo-costituito Gruppo Verde e s’impegna soprattutto per una politica estera di pace, per relazioni più giuste Nord/Sud ed Est/Ovest, per la conversione ecologica della società, dell’economia e degli stili di vita. Dopo la caduta del muro di Berlino aumenta via via il suo sforzo per contrastare i contrapposti nazionalismi, sostenendo le forze di conciliazione interetnica nei territori dell’ex-Jugoslavia. Al censimento del 1981 e 1991 Alexander Langer, che si era sempre dichiarato di madre lingua tedesca, rifiuta di aderire al censimento nominativo che rafforza la politica di divisione etnica. Con questo pretesto, nel maggio ‘95, viene escluso dalla candidatura a Sindaco di Bolzano, la sua città. Si toglie la vita il 3 luglio 1995, a 49 anni.

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vincia di Verrettes, nel dipartimento dell’Artibonite), un’area di montagna particolarmente arida e isolata, nel 1985 fonda una scuola primaria, il primo centro d’istruzione della zona, e attiva programmi di alfabetizzazione dei bambini e, poi, degli adulti. La popolazione di questi villaggi inizia così a sentirsi parte del tessuto sociale, attivandosi per trovare soluzioni concrete in grado di affrontare la miseria e l’assenza dello Stato. Nasce l’organizzazione laica locale dei contadini, la Fddpa, impegnata nella lotta per il recupero della terra, tuttora nelle mani dei grandi proprietari terrieri, protetti dai governi che si sono succeduti. Una battaglia lunga e difficile per un gruppo sociale con poche risorse, ma capace di creare una fitta rete di solidarietà e scambio tra le diverse realtà rurali, favorendo progetti agricoli sostenibili, avviando sistemi di irrigazione, nel tentativo di incentivare la produzione per l’autoconsumo e sviluppare - attraverso il lavoro collettivo - vivai per la riforestazione. Obbiettivo: garantire il sostentamento, contrastando l’esodo verso le città che, spesso, si traduce in una vita di sussistenza condotta in immense bidonville.

Donne in prima linea È un movimento ad alto tasso di mobilitazione femminile l’Fddpa. Le donne si sono organizzate al suo interno in cooperative sostenute dal microcredito e nate per la ge-

IN INTERNET Fondazione Alexander Langer Stiftung www.alexanderlanger.org Rete Radie Resch www.reterr.it

stione di beni di prima necessità: un panificio, l’allevamento di piccoli animali, la lavorazione di prodotti agricoli, il piccolo commercio. Ma non solo. Un’attenzione particolare è stata data ai corsi di formazione professionale e alle borse di studio, nonché alle scuole e ai programmi di alfabetizzazione, estesi anche a Katienne e Fondòl. In campo sanitario, poi, Dadoue ha avviato un centro mirato principalmente alla cura dei malati di Aids, mentre l’Fddpa insegna alla popolazione l’importanza delle norme igieniche, offre vaccini e distribuisce farmaci a costi simbolici negli ambulatori clinici di Fondol, Dofiné e Malingue, cercando al contempo di recuperare e integrare i saperi della medicina tradizionale, per non perdere il contatto col territorio. Dadoue si è inoltre sempre presa cura personalmente di bambini svantaggiati, orfani o con si-

tuazioni familiari difficili, accogliendoli nella propria casa.

Effetto terremoto Haiti non dimenticherà facilmente il 12 gennaio 2010, giorno in cui un sisma si è abbattuto sull’isola provocando distruzione (ancora ben visibile) e migliaia di morti (alcune stime parlano di 260 mila persone). Un terremoto che ha risvegliato l’attenzione del mondo e delle grandi organizzazioni internazionali (vedi Valori n. 86). Di fronte a una sostanziale assenza del governo e all’inefficacia di quella parte dei soccorsi internazionali d’emergenza che ha ignorato le reti sociali locali, Dadoue e diversi movimenti civici dell’isola hanno gridato la loro denuncia. L’Fddpa ha nel frattempo organizzato una campagna per raccogliere fondi e sostenere la popolazione colpita dal sisma, accompagnando associazioni mediche este-

re verso le località più colpite o isolate, recandosi a curare gli sfollati nei campi autogestiti dalle reti popolari e organizzando la distribuzione di prodotti alimentari locali tra la popolazione terremotata. Assieme all’istituto Idepac (Instituto dominicano de educacion para la accion comunitaria) e alla Rete di solidarietà internazionale “Radié Resch” di Padova, l’Fddpa é impegnata attualmente nell’installazione di pannelli fotovoltaici per l’autoproduzione di energia elettrica e nella costruzione di pozzi per garantire l’accesso all’acqua potabile. Uno sforzo, quello dell’associazione e della sua fondatrice, che non si è mai fermato, insomma, ma che di Dadoue ha dovuto fare a meno dal 24 aprile del 2010, quando la donna è rimasta uccisa in un’aggressione a scopo di rapina a Cité Soleil, bidonville alla periferia di Port-au-Prince.

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MOLTI INCONTRI NELLA BOLZANO “EUROMEDITERRANEA” LA MANIFESTAZIONE EUROMEDITERRANEA, quest’anno dal 30 giugno al 2 luglio, è l’annuale momento di sintesi dei molti filoni d’impegno sociale della Fondazione Alexander Langer, ed è anche teatro della consegna del Premio internazionale Alexander Langer 2011 ai rappresentanti dell’Fddpa: per l’occasione sono infatti venuti in Italia Jean Bonnélus, attuale presidente di Fddpa, sua moglie Martine Mercier, responsabile della rete di cooperative di donne, e Silius Pierre, coordinatore del sistema educativo. Euromediterranea 2011 ha inoltre rivolto particolare attenzione all’impegno della Fondazione per la convivenza nei Balcani: dal 2005 è attivo il progetto Adopt Srebrenica, promosso in partenariato con l’associazione Tuzlanska Amica in Bosnia Erzegovina, con l’obiettivo di costruire legami duraturi tra il Sudtirolo, la Bosnia Erzegovina e la città di Srebrenica, promuovendo a Srebrenica un processo di confidence building (costruzione di fiducia, ndt) e di dialogo tra giovani dei diversi gruppi, per favorire la crescita di una cultura di pace e di trasformazione nonviolenta dei conflitti, contribuendo alla nascita di un centro interculturale di incontro, ricerca e documentazione. A ciò si aggiunge anche un’altra attività importante della Fondazione, sempre in tema di mediazione dei conflitti, che consiste nella partecipazione alla realizzazione del master dell’università di Bologna per “Mediatori dei conflitti: operatori di pace internazionali”, nato a partire dalla proposta di Langer, avanzata al Parlamento Europeo nel 1992, di istituire un Corpo civile di pace europeo da inviare in aree di conflitto. Alcuni studenti usciti dal master vengono poi messi al lavoro nel campo della mediazione interetnica locale anche in Italia, nel Sudtirolo.

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altrevoci

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FRANCIA: COMMISSIONE D’INCHIESTA SUI PRESTITI TOSSICI

NO LOGO DOVE LA BENZINA COSTA MENO Il distributore è piccolo e la fila delle macchine che aspettano di fare benzina si attorciglia, ma nessuno si inquieta. Le automobili sono tante come quando viene annunciato uno sciopero dei benzinai e ci precipitiamo a fare scorte per non restare a piedi. Ma è una giornata normalissima e la coda c’è perché si tratta di un benzinaio “no logo” e qui si risparmiano 10 o 12 centesimi al litro per benzina o gasolio; i proprietari del distributore hanno scelto di non affiliarsi in esclusiva a una compagnia, ma di comprare i carburanti dal migliore offerente. Al posto però di un’insegna generica - questi distributori si chiamano anche pompe bianche qui siamo a Pisa e la scelta non poteva che cadere sul simbolo più amato nella città della Torre: la croce bianca in campo rosso che “garriva” sulle bandiere della Repubblica marinara e ora è il simbolo del Pisa calcio. Su internet si possono trovare gli elenchi divisi per regione dei benzinai no logo. Non sono visti molto di buon occhio dalle compagnie, che vorrebbero solo gestori o dipendenti, e non proprietari indipendenti dei distributori, ma sono molto amati dai consumatori che a conti fatti risparmiano 5 euro ogni 50 litri.

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IL RINCARO DELLE MATERIE PRIME SPINGE IL CIBO LOW COST

NINTENDO, APPLE E BLACKBERRY: SCONTRO FRA TITANI

I prezzi delle commodities (beni alimentari e carburanti) sono stati preda di una impennata, che - alimentata in gran parte dai movimenti speculativi dell’alta finanza si è fatta sentire pesantemente nelle tasche dei consumatori. E, spiega un’analisi dell’agenzia Bloomberg, gli statunitensi hanno ben poca fiducia nella ripresa dalla crisi: tendono a rimandare gli acquisti importanti e, per le piccole spese, affollano le corsie dei grandi magazzini Wal-Mart e le migliaia di McDonald’s sparsi in tutto il Paese. Per la prima volta negli ultimi tre trimestri le prospettive di spesa nei fast food hanno superato quelle dei ristoranti; e, a partire da aprile, l’indice di Bloomberg che misura l’andamento dei grandi centri commerciali (principalmente Wal-Mart, Costco e BJ’s) ha segnato un +3%. Nello stesso periodo, l’S&P 500 è calato del 4%.

Videogiochi e smartphon si spartiscono una fetta enorme del mercato tecnologico. Colossi come Nintendo e Blackberry, finora inattaccabili, hanno trovato un nuovo concorrente capace di invadere ogni campo: Apple, attraverso il boom delle vendite di iPhone e di accessi ad App store. Dan O’Leary, fondatore di N-space (che sviluppa giochi per Nintendo DS e Wii) ha dichiarato sul suo blog che il mercato dei videogiochi sta subendo profondi cambiamenti a causa di iPhone, costringendo O’Leary a numerosi licenziamenti. Per quanto riguarda Blackberry, invece, la concorrenza di iPhone e Android (la piattaforma su cui si basa il software di iPhone) si fa sentire nelle casse di RIM (concorrente di Android). L’azienda canadese ha annunciato un calo del 12% nei ricavi del primo trimestre 2012 rispetto ai tre mesi precedenti.

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L’Assemblea nazionale francese ha concesso il via libera all’istituzione di una commissione d’inchiesta sui cosiddetti prestiti “tossici” concessi alle amministrazioni locali negli anni precedenti all’esplosione della crisi globale. La decisione è stata assunta all’unanimità dalla commissione Finanze del parlamento transalpino. Al nuovo organismo sarà chiesto di studiare, ha spiegato il deputato socialista Claude Bartolone: «le condizioni alle quali le linee di credito, i finanziamenti strutturati, così come altri prodotti pericolosi sono stati concessi dagli istituti di credito alla collettività. Ovvero non solo alle amministrazioni, ma anche alle imprese pubbliche locali». Dovrà essere inoltre fornita un’indicazione circa l’impatto di tali strumenti finanziari sui conti statali. La Corte dei Conti di Parigi, nei suoi rapporti pubblicati nel 2009 e nel 2010, ha stigmatizzato la scarsa trasparenza dei contratti siglati dalle banche e dagli amministratori territoriali. Nel febbraio scorso il dipartimento di SeineSaint-Denis ha annunciato l’intenzione di denunciare tre istituti di credito per tale ragione, sottolineando come in alcuni casi i tassi di interesse siano passati in breve tempo dall’1,47% al 24,2%.

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OCSE, «SNOBBATE LE REGOLE ANTICORRUZIONE»

USA, CAUSE MILIARDARIE CONTRO BANCHE E IMPRESE

SEC, UN NUOVA DISCIPLINA SUGLI INFORMATORI

Bisogna porre i Paesi membri dell’Ocse sotto pressione, affinché si impegnino a rispettare la convenzione anti-corruzione emanata dallo stesso istituto internazionale. A chiederlo è Transparency International, associazione che si batte per la trasparenza e la legalità, che ha sottolineato come, fino ad ora, solamente un pugno di Stati possa dire di aver ottemperato alle direttive dell’organismo di Parigi. Su 37 Paesi firmatari solamente sette (tra i quali la Germania, l’Italia e gli Stati Uniti) applicano «seriamente» il documento. Un rispetto solo «moderato» delle consegne è stato invece riscontrato in nove casi, tra i quali figurano quelli di Francia, Belgio e Svezia. Per gli altri si tratta di una bocciatura. L’organizzazione non governativa ha pubblicato anche un rapporto nel quale si sottolinea come sul tema non siano stati effettuati passi in avanti nel corso dell’ultimo anno. «Il dato che abbiamo constatato rischia di suggerire un pericoloso stop nella lotta alla corruzione», ha specificato in un comunicato l’associazione, la cui sede è nella capitale della Germania, Berlino.

Secondo il sito corporatecrimereporter.com sono almeno dieci le cause relative al False Claim Act che potrebbero concludersi con maxi-rimborsi da oltre un miliardo di dollari ciascuno. Tale legge federale permette a qualsiasi cittadino di denunciare le dichiarazioni ingannevoli da parte delle aziende: queste, se ritenute colpevoli, devono restituire allo Stato tutti i soldi che si calcola - gli hanno sottratto, con un compenso anche per chi ha denunciato la frode. E un patteggiamento da un miliardo di dollari, secondo Patrick Burns dell’associazione Taxpayers Against Fraud, non è più una circostanza così insolita. Attualmente, sono coinvolte in contese giudiziarie a nove zeri soprattutto banche e società farmaceutiche. Burns avverte: alle grandi aziende conviene correre al tavolo dei patteggiamenti, perché gli americani - che con la crisi finanziaria hanno pagato in prima persona i loro comportamenti irresponsabili - sono sempre più consapevoli. E sempre meno propensi a “lasciar correre”.

In diverse occasioni la Sec statunitense è stata accusata di non essere abbastanza incisiva. Ma il 25 maggio è stata approvata la nuova disciplina sugli informatori, che dovrebbe segnare una svolta, rivedendo molte norme proposte in seguito al Dodd-Frank Act. Il whistleblower program prevede un bonus per i dipendenti di un’azienda che si affidano dapprima ai canali “interni” per relazionare su un’attività sospetta e in seguito fanno rapporto alla Sec. Una misura che risponde ai reclami dei gruppi industriali, che temevano di vedere vanificati i propri investimenti milionari nei sistemi interni. E un notevole ampliamento dei poteri dell’authority, che finora poteva ricompensare gli informatori solo nei casi di insider trading, e solo per il 10% del totale dei risarcimenti accordati. Ora, invece, la percentuale può salire fino al 30% in caso le sanzioni superino il milione di dollari. La presidente Mary Schapiro è stata molto chiara: tali collaborazioni sono preziosissime soprattutto perché l’agenzia, di per sé, ha risorse limitate. Ma non mancano le controversie: hanno espresso un voto contrario i due commissari repubblicani, che temono che le ricompense possano dare origine a un’ondata di denunce difficili da verificare e gestire.

TUMORI E TELEFONINI: IL RISCHIO RADDOPPIA SE LE AZIENDE “PAGANO” LE RICERCHE Negli studi sul rapporto tra cellulari e tumori, il fattore determinante potrebbe essere quello dei condizionamenti economici. Delle grandi aziende su chi fa ricerca. Mentre tutti i giornali sparavano la notizia della (timida) retromarcia dell’Oms, che ha definito “potenzialmente cancerogeni” i telefonini, un gruppo di epidemiologi italiani, guidati da Angelo Levis, ha evidenziato un aspetto ben più interessante: gli studi effettuati “in cieco” (in cui, cioè, i ricercatori non sono a conoscenza se un soggetto faccia parte del gruppo degli esposti a un fattore cancerogeno o del gruppo di controllo) e non finanziati dalle aziende mostrano una correlazione positiva tra uso prolungato dei cellulari e aumento dei tumori del nervo acustico. Gli studi non “in cieco” invece non mostrano correlazioni. E finiscono quindi per assolvere i telefonini. I ricercatori italiani, spulciando i dati degli studi pubblicati finora, hanno scoperto che le ricerche che danno esito negativo sono basate su gruppi eterogenei di popolazione e considerano periodi di esposizione troppo brevi. Spiega Valerio Gennaro, epidemiologo dell’Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro: «Se si scompongono i dati e si concentra l’attenzione sulla popolazione altamente esposta (oltre le 4 ore al giorno di uso dei cellulari), per un periodo maggiore di 10 anni, si nota che il rischio di tumori cerebrali monolaterali raddoppia rispetto agli altri».

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economiaefinanza

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MERCATO DROGATO VIAGGIO NEI NARCOSTATI

ECOINNOVARE: L’AMBIENTE OFFRE GRANDI OPPORTUNITÀ

Eroina e cocaina valgono 160-170 miliardi di dollari l’anno, la sola eroina circa il 2% del Pil mondiale. Narconomics, che condensa in meno di 200 pagine una fitta documentazione di stampo giornalistico realizzata a quattro mani, racconta di criminali spregiudicati e conflitti, ma è capace di fornire la radiografia dei narcostati più famigerati al mondo e quello sguardo globale che un singolo articolo d’inchiesta non riuscirebbe a offrire. E così si viaggia dalla Colombia dei narcos ai porti africani, alle pendici andine fino ai Balcani lungo le rotte della cocaina; mentre l’eroina nasce in Asia, soprattutto Afghanistan, e invade tutto il continente attraverso Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan per poi dilagare. Storie e cifre che dimostrano come sia proprio la droga a costituire le fondamenta dell’economia criminale: “la benzina del motore mafioso”. E di mafie si parla approfonditamente nella seconda parte del libro, con un capitolo sull’Europa, inondata da fiumi di stupefacenti attraverso le piazze di Spagna e Olanda, e uno sull’Italia, dove le inchieste e i sequestri mostrano lo strapotere, soprattutto, di ‘ndrangheta e camorra.

“Atlante” è la parola più adatta: c’era bisogno di qualcuno che, con precisione accademica e impegno divulgativo, aiutasse soprattutto le imprese più piccole a orientarsi fra sovvenzioni europee, enti di certificazione e metodi di valutazione dell’impatto ambientale. Con questo testo si veicola un messaggio di fondo: l’ecoinnovazione è un’opportunità da cogliere al più presto. Spesso gli imprenditori temono di non essere in grado di sostenere sacrifici economici in nome della tutela dell’ambiente, ma, in realtà, ecoinnovazione significa anche ottimizzare i processi riducendo i costi e instaurare relazioni virtuose con associazioni e comunità locali. In sintesi, dare un significato a quella “responsabilità sociale d’impresa” che, altrimenti, rischierebbe di restare soltanto una definizione astratta. Bisogna essere pronti ad analizzare tutto il ciclo di vita del prodotto e intervenire efficacemente in ogni singola fase. Ma i benefici effettivi si possono toccare con mano, lo dimostrano le storie di chi ce l’ha fatta: dal MaterBi di Novamont, al green pallet di Palm, ai pannolini monouso biodegradabili di Wellness Innovation Project e molti altri ancora.

STEFANIA BIZZARRI, CECILIA FERRARA, ENZA ROBERTA PETRILLO, MATTEO TACCONI NARCONOMICS

SERENELLA SALA, VALENTINA CASTELLANI ATLANTE DELL'ECOINNOVAZIONE

FrancoAngeli, 2011

ENERGIA DAL SOLE E NON DALL’ATOMO SOLUZIONI RINNOVABILI DALLA NATURA Mario Agostinelli, portavoce del Contratto mondiale per l’energia e il clima, Roberto Meregalli, garante di «Beati i costruttori di pace», e Pierattilio Tronconi, autore di saggi di politica energetica e industriale, fin dal titolo evocano l’incidente nucleare di Fukishima, ma, com’è lecito aspettarsi da tre personalità così rilevanti, vanno ben al di là dell’“onda emotiva”. Foto, tabelle, grafici, dati e, soprattutto, le loro lucide analisi (supportate da una nutrita bibliografia) spiegano ciò che i potenti della Terra sembrano non aver ancora compreso a sufficienza: l’acqua, le foreste e il Sole non possono fare la fine di carbone, petrolio e gas, diventando pure merci soggette alle leggi di mercato e, perciò, al dominio di pochi. Questo perché la risorse naturali sono un bene limitato sul quale l’uomo può intervenire solo fino a un certo punto: può utilizzarle e ripartirle in modo più o meno efficiente, ma non può scegliere di farne a meno. Per questo, uno sviluppo davvero equo e sostenibile - che non minacci ulteriormente l’equilibrio del Pianeta con scelte rischiose come il nucleare - non può restare un ideale astratto, ma deve diventare al più presto l’imperativo che guidi le politiche adottate da tutti i governi. MARIO AGOSTINELLI, ROBERTO MEREGALLI, PIERATTILIO TRONCONI CERCARE IL SOLE

Ediesse, 2011

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A CURA DI CORRADO FONTANA, VALENTINA NERI ED ELISABETTA TRAMONTO | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A REDAZIONE@VALORI.IT

UN ANNO A IMPATTO ZERO IL DOCUREALITY CHE SMASCHERA

UN VIAGGIO DENTRO E FUORI NEL MONDO DI UN TRENTENNE

Voi rinuncereste all’ascensore per fare 24 piani di scale a piedi? E alla carta igienica? E all’automobile? Ebbene, lo scrittore newyorkese Colin Beavan ci ha rinunciato per un anno intero. E, con lui, anche la sua famiglia formata da: moglie shoppingdipendente, figlia in età da pannolino e cane d’appartamento. Il documentario No impact man, di Laura Gabbert e Justin Schein, pubblicato dalla casa video-editrice Macroticonzero (Mt0) e in uscita a luglio nelle librerie, racconta una missione quasi impossibile. Una famiglia che sceglie di vivere nel cuore di New York senza elettricità, senza macchina, senza tv e nuovi acquisti, senza spazzatura ma solo con il riciclo, con cibo e cure naturali. Insomma, un anno di vita “ecologicamente corretta” per contribuire alla salvezza del pianeta. Un docureality provocatorio, divertente, illuminante, perché fa riflettere sulle trappole del sistema consumistico da cui tutti dipendiamo, ma in cui ciascuno di noi con un po’ più di consapevolezza può fare la differenza. No impact man è stato selezionato al Sundance Film Festival, il più innovativo e importante festival internazionale di cinema indipendente.

Un titolo che incuriosisce. In copertina uno strano figuro, ammiccante, un po’ angelo e un po’ maledetto. Riflette in parte questo romanzo, il primo di Leonardo Pagliazzi, che da tempo si dedicava ai racconti. Una storia che sa essere fresca e inquieta allo stesso tempo. Una scrittura leggera, scorrevole, che conduce agilmente tra i pensieri del protagonista. Un trentenne che si ritrova alle prese con il suo passato e con un possibile futuro. Che vuole cambiare e forse lo fa, ma forse no o forse troppo tardi. «Lorenzo non cambia, ma aggiunge a sé stesso, un tassello importante. Un tipo di amore che aveva cercato, sempre, sbagliando», spiega l’autore. È la storia di un viaggio, dentro e fuori, tra pensieri, ricordi, amicizia, affetti, amore, gioia e delusione. Le donne di questo romanzo - le mamme, le donne che Lorenzo ha amato, quelle che incontra nella sua vita - emergono come creature diverse, positive, in netto contrasto con i personaggi maschili tormentati e spesso negativi.

LAURA GABBERT E JUSTIN SCHEIN NO IMPACT MAN (DOCUREALITY)

LEONARDO PAGLIAZZI L’ITALIA FINISCE A CASALPUSTERLENGO

CAMMINATE PER TUTTI I GUSTI RISPETTANDO IL PAESAGGIO “Il camminare è un’arte: si impara praticandola”. Un incipit immediato e minimale che ben si adatta a questo volume che, in modo accurato ma intuitivo, propone 35 escursioni: dalle più semplici, che chiunque può sperimentare a livello ricreativo, a quelle più complicate alle quali conviene dedicarsi solo se si è esperti. Sono tutte collocate nel territorio di confine tra Italia e Svizzera compreso fra due grandi laghi, il Lario a est e il Ceresio a ovest, e per ciascuna è disponibile un corredo di foto, indicazioni precise dei tempi di percorrenza, del dislivello e di ciò che si può incontrare sul sentiero. Perché l'importante, ci spiega l’autore, non è tanto arrivare alla meta, quanto apprezzare e (soprattutto) rispettare il percorso: osservare con discrezione le piante e gli animali che lo popolano, ridurre il più possibile il proprio impatto sul territorio, sapersi inserire nel cammino dei tanti altri che prima di noi hanno calpestato lo stesso terreno.

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IMPARARE A RICICLARE IN TUTTE LE LINGUE

“OPERAZIONE TOMBOLA” PER DIECI VALOROSI DOPO SESSANTASEI ANNI UN INCONTRO GRAZIE AL WEB Certe vicende portano con sé un tale carico rocambolesco e avventuroso da sembrare fatte apposta per diventare un romanzo. È il caso della storia di cento uomini e donne provenienti da tutt'Europa che nel 1945 diedero vita all'“Operazione Tombola”, scendendo dall'Appennino Reggiano al suono di una cornamusa scozzese per attaccare il quartier generale nazista a Botteghe d'Albinea, garantendo un appoggio fondamentale alla discesa degli Alleati e alla fine della guerra. Sessantasei anni dopo, dieci di loro si ritrovano tramite internet e riescono a riprendere le fila di vicende che credevano ormai perdute. Un libro che nasce da ricerche storiche durate anni e che alla narrazione affianca tre mappe, quaranta foto d'epoca, una ricca bibliografia, le biografie dei quaranta personaggi principali e la ricostruzione di tutti i nomi dei battaglioni impegnati nell'operazione. MATTEO INCERTI E VALENTINA RUOZI IL BRACCIALE DI STERLINE. CENTO BASTARDI SENZA GLORIA. UNA STORIA DI GUERRA E DI PASSIONI

Alberti, 2011

MARZIO SAMBRUNI TRA LARIO E CERESIO 35 ESCURSIONI TRA LOMBARDIA E SVIZZERA ITALIANA

Guide Macchione, 2011

Liux, 2011

Rifiutarsi: è questa la parola attorno alla quale si sono riunite un’azienda (Novamont), un’associazione no profit (La Fenice), gli enti pubblici di Novara, il centro culturale MIR di Novara e una casa editrice (Lineadiaria di Biella) per chiedere ad Antonio Ferrara, Cinzia Cavallaro e Valentina Martegani di mettere in campo la loro fantasia e la loro professionalità. Ne è nata una favola, tradotta in otto lingue e accompagnata da illustrazioni che anch’esse giocano con i materiali, con i frammenti e con gli scarti. In queste pagine è un bambino, Filippo, a insegnare alla propria famiglia e ai lettori che chiunque, tramite pochi semplici accorgimenti, può dare il proprio contributo per trovare una via d’uscita a problemi apparentemente insormontabili: perché “per fortuna ci sono dei pazzi scatenati [...] che pensano di salvare il mondo con un chicco di mais e un seme di girasole, gente che non ci dorme la notte, a furia di pensare a come far sparire la plastica dal mondo, a come evitare di lavorare il petrolio, a come conservare la Terra e non sprecarne le risorse”.

ANTONIO FERRARA RIFIUTARSI

Macroticonzero (Mt0)

Lantana, 2011 | 68 | valori |

A CURA DI CORRADO FONTANA, MICHELE MANCINO E VALENTINA NERI | REDAZIONE@VALORI.IT

Lineadaria, 2011 |

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terrafutura

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A CURA DI VALENTINA NERI | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A NERI@VALORI.IT

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LEGALITÀ: UNA RACCOLTA FONDI PER CASA CAPONETTO Nel pieno centro storico di Corleone c’è una casa di tre piani che per anni è stata di proprietà della famiglia Grizzaffi, nipoti di Riina. Ma nel 2006 è intervenuta la giustizia, che l’ha confiscata e due anni dopo l’ha affidata alla Cooperativa sociale “Lavoro e non solo”. Da allora si chiama Casa Caponnetto, dal nome del magistrato che ha lottato contro la mafia al fianco di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Accoglie le centinaia di giovani che ogni estate arrivano da tutt’Italia per partecipare ai campi antimafia: significa, spiega il responsabile per la legalità dell’Arci Toscana, Maurizio Pascucci: «La mattinata è dedicata alle attività agricole della cooperativa, il pomeriggio alle testimonianze e alle visite. In serata si lascia spazio all’aggregazione: dal calcetto, al cineforum, al mangiare un gelato. Tanti momenti che rompono il muro di isolamento e silenzio che la mafia ha imposto sui lavoratori della cooperativa». Ma le attività devono essere finanziate e la casa ristrutturata e ammodernata. A tale scopo, inutile dirlo, servono fondi. Sono intervenuti l’Arci e la Cgil della Toscana, Banca Etica, Legacoop e Unicoop Tirreno, con una raccolta fondi che proseguirà per un anno con il motto “Io amo la vitamina L” e si declinerà in 180 eventi fra cene, incontri e mobilitazioni tramite internet.

www.siciliavostra.it | 70 | valori |

VIVERE VEGANO: A FIRENZE NASCE IL PRIMO GAS LA GUIDA: FA’ LA COSA GIUSTA! NEL 2012 IN SICILIA Spesso la buona volontà da parte dei consumatori non basta. E non è facile, in concreto, scegliere acquisti che siano davvero “responsabili”. Una soluzione potrebbe arrivare dalla guida “Fa’ la cosa giusta! Sicilia” (Terre di Mezzo editore), un vero e proprio catalogo di botteghe di commercio equo, Gas, produttori biologici, imprese che hanno rifiutato di pagare il pizzo, associazioni, fonti d’informazione alternativa e molto altro ancora. Tutto nella splendida Trinacria. Un primo passo in direzione di un appuntamento importante: dopo il successo delle otto edizioni milanesi (l’ultima, lo scorso marzo, ha visto la partecipazione di 70 mila persone), nella primavera del prossimo anno Fa’ la cosa giusta!, la kermesse dedicata al consumo critico e alla sostenibilità, sbarcherà sull’isola. Un’occasione di incontro e di confronto per la quale sta già lavorando a pieno regime un comitato promotore di tutto rispetto, costituito da Addio Pizzo, Arci Sicilia, Legambiente, Banca Etica e altre associazioni attive per promuovere stili di vita sostenibili.

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Gli alpaca, com’è noto, offrono una delle lane più pregiate in assoluto. E per giunta sono molto docili, pascolano liberi senza rovinare il terreno e quasi non hanno bisogno di recinzioni. Ma in Italia abbiamo ben poca confidenza con questi animali: in tutto il mondo ce ne sono 3 milioni, ma il 90% si trova in Perù e importarli è molto difficile per motivi sanitari. A partire dal 1997, grazie a una collaborazione con l’università di Perugia e con l’ente di ricerca Enea di Roma, Maridiana Alpaca gestisce un appezzamento di una trentina di ettari nella valle del Niccone, fra Umbria e Toscana. E non si tratta di un “semplice” allevamento di alpaca: ci sono anche due casali in pietra in affitto per chi vuole passare una vacanza immersa nel verde. «I nostri ospiti - spiega il fondatore, Gianni Berna - entrano in contatto diretto con l’allevamento: i bambini, ad esempio, hanno a disposizione un parco giochi in cui possono accarezzare gli animali, dar loro da mangiare, portarli in giro». E, nel frattempo, gli adulti possono far visita al negozio per dare un’occhiata ai capi d’abbigliamento prodotti dalle piccole aziende tessili locali, che acquistano la fibra proprio da Maridiana Alpaca.

www.gasvegando.org www.alpaca.it

falacosagiustas@gmail.com ANNO 11 N.91

A STRETTO CONTATTO CON GLI ALPACA E ALLA FINE UN MAGLIONE

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Il loro esperimento è appena cominciato, ma nemmeno gli organizzatori credevano di suscitare tanto entusiasmo fin da subito. «L’idea di un Gas vegano è nata da un piccolo nucleo di sei-sette persone, che in parte già partecipavano alla Onlus Progetto Vivere Vegan», racconta Dora Grieco. E prosegue: «Ma al pranzo di presentazione di metà maggio il numero di partecipanti ha superato ogni aspettativa». E ora per i promotori di Gasvegando, operativo a Firenze, è il momento delle riunioni per coordinarsi e stilare la lista dei produttori a cui appoggiarsi, che sarà presto resa disponibile nel loro sito internet. Una scelta che dovrà essere accurata perché, ci spiega ancora Dora Grieco, un Gas vegano deve imporsi un doppio livello di garanzie. I prodotti innanzitutto devono essere locali, stagionali e a Km zero; e, inoltre, completamente privi di derivati animali in tutte le fasi di produzione. Quindi non solo cibo prodotto da aziende che evitano perfino i concimi animali: ma anche vestiario e detergenti, per una spesa vegan a tutto tondo.


| ipotesidicomplotto |

Giustizia

Da che parte pende la bilancia del garantismo?

di Luigi Grimaldi

E quanto pesano i fratelli Graviano? Non in chili, ma in credibilità. Hanno pesi molto diversi. Gran parte del mondo dell’informazione da tempo alimenta una truffa, cercando di convincere il pubblico italiano del fatto che le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza e quelle dei Graviano abbiano lo stesso peso. Anzi, i Graviano sarebbero gli “arbitri” della credibilità di Spatuzza. Non è così. I Graviano - Filippo e Giuseppe - sono due mafiosi in “servizio permanente effettivo”, capimafia di grosso calibro, pezzi da 90 pluriergastolani e, soprattutto, né pentiti né collaboratori di giustizia. Solo mafiosi. Non hanno mai spezzato il vincolo dell’omertà sancito con il giuramento dell’iniziazione mafiosa: siglato con il sangue e il fuoco nel rito della “santina”. Questo è il punto. Un punto che ha conseguenze importanti anche dal punto di vista

Q

UANTO PESA SPATUZZA?

giudiziario perché l’imputato può mentiM.....ate contro re; il collaboratore di giustizia no. Vangelo Il diritto di mentire da parte dell’impuTitolare articoli o servizi dei tetato è un dato acquisito per il nostro ordilegiornali con frasi del tipo “I namento giuridico. E, infatti, le regole che Graviano smentiscono Spatuzgovernano le procedure dibattimentali non za” o Filippo Graviano: “Mai inprevedono l’obbligo del giuramento per contrato Dell’Utri” è un inganl’imputato. Obbligo invece previsto per i teno, una calcolata menzogna. stimoni, compresi i collaboratori di giustiRicordiamo l’editoriale di zia, e i consulenti. Spatuzza e i Graviano non Augusto Minzolini al Tg1 dell’11 hanno affatto lo stesso peso. dicembre 2009 (al processo DelQualcuno si è forse interrogato sul fatto l’Utri, le rivelazioni di Gaspare che chi, come i Graviano brothers, nega l’eSpatuzza “sono smentite” da Fisistenza di Cosa Nostra e la propria affilialippo Graviano): «Le parole di zione mafiosa è impossibilitato a rendere diSpatuzza? Minchiate!». Per chiarazioni convergenti con quelle di un Minzolini quello che dice Spapentito, che sostiene esattamente il contratuzza sono “minchiate” e quelrio, senza autoaccusarsi? I due boss sanno lo che dice il mafioso Graviano, Il giuramento è obbligatorio per i testimoni, i collaboratori tutto dei rapporti tra Forza Italia e Cosa Noancora a capo di una girandola di giustizia e per i consulenti. Non per gli imputati. stra. Ma, pur potendolo fare, hanno deciso di prestanome, è Vangelo. È di non mentire quando davanti ai giudici chiaro da che parte penda la bilancia del gapropria attendibilità di un grammo) ai hanno scelto di avvalersi della facoltà di non rantismo: il “pentito” giura e non ha diritquali, curiosamente, nessuno ha toccato rispondere (altro privilegio negato ai pentito di mentire (e se non creduto rischia grosl’impero economico fatto di imprese edili, ti) alle domande su Silvio Berlusconi e Marso); l’imputato ha diritto di mentire e di immobili, stazioni di servizio. cello Dell’Utri. non rispondere, non giura per potersi diErgastolani silenti (ma fino fendere come meglio crede. E il direttore del I Graviano sono due mafiosi in a che saranno imputati e non “servizio permanente effettivo”. Tg1 quale diritto sta esercitando fingendo pentiti potranno sempre camdi non sapere da quale parte penda la biNon possono essere d’accordo biare versione senza alterare la lancia? Giuro che non lo so. con Spatuzza senza accusarsi

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L’AZIONE IN VETRINA ABBOTT 14 GIU 2011:

ABT 51,29

Il rendimento in borsa di Abbott Laboratories negli ultimi dodici mesi confrontato con l’indice Dow Jones (in arancio)

^DJI 12076,11

20%

15%

10%

5%

0

-5%

2010

Ago

Set

Ott

Nov

Dic

2011

Feb

Mar

Apr

Mag

Giu

Una mozione per salvare gli scimpanzè L’AZIONISTA DEL MESE

a cura di Mauro Meggiolaro per gli azionisti attivi. Dopo le mozioni sui cambiamenti climatici, i contributi politici e i compensi dei manager, ora tocca ai diritti degli animali. Degli scimpanzé per la precisione. Nel novembre del 2010 la società di gestione Calvert, uno dei pionieri dell’azionariato responsabile negli Stati Uniti, ha preparato una mozione per chiedere al colosso farmaceutico Abbott Laboratories di interrompere gradualmente la sperimentazione di nuovi medicinali sulle scimmie. In collaborazione con l’associazione animalista The Humane Society of United States (Hsus), Calvert ha proposto ad Abbott di adottare un piano dettagliato, con scadenze precise, per terminare i test. Per evitare che la mozione venisse messa ai voti nel corso dell’assemblea degli azionisti 2011, Abbott si è subito dimostrata disponibile al dialogo con gli azionisti attivi. La mozione è stata ritirata e la società farmaceutica ha fatto partire un programma per studiare test alternativi che non prevedano l’uso dei primati. "Negli Usa oltre 1.000 scimpanzé sono sottoposti regolarmente a test che provocano notevoli sofferenze", ha dichiarato recentemente Hsus. "Con le nostre campagne e l’impegno degli azionisti queste pratiche diventeranno presto un brutto ricordo del passato". NA NUOVA SFIDA

U

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Sede

www.calvert.com

Bethesda - Maryland, Usa

Tipo di società Società di gestione del risparmio. Calvert è uno dei pionieri negli investimenti socialmente responsabili (SRI) a livello mondiale. Il primo fondo SRI fu lanciato nel 1982. Patrimonio gestito ca. 14 miliardi di dollari in circa 50 fondi L’azione su Abbott Nel novembre del 2010 Calvert ha presentato una mozione per l’assemblea degli azionisti 2011 di Abbott Laboratories per chiedere all’impresa di eliminare gradualmente i test sui scimpanzé nella ricerca farmaceutica. La mozione è stata ritirata alcuni mesi prima dell’assemblea perché Abbott ha deciso di dialogare con Calvert e di pubblicare un programma per l’uscita dai test.

UN’IMPRESA AL MESE

Altre iniziative Negli ultimi mesi Calvert ha promosso iniziative per integrare i Consigli di Amministrazione delle imprese Usa con donne e rappresentanti di minoranze etniche, monitorare i contributi delle imprese ai partiti e ridurre gli impatti ambientali dei giacimenti di Anglo American in Alaska.

Abbott Laboratories Sede

North Chicago - Illinois - Usa

www.abbott.com Borsa NYSE - New York Stock Exchange

Rendimento negli ultimi 12 mesi +5,16% Attività

Abbott è una delle dieci più grandi aziende farmaceutiche del mondo. Fu fondata a Chicago dal medico Wallace Calvin Abbott nel 1888.

Azionisti

Azionariato diffuso.

Perché interessa agli azionisti responsabili? Oltre ad essere oggetto di iniziative contro i test sugli animali per la sperimentazione di prodotti farmaceutici, Abbott è stata coinvolta in passato in alcune controversie relativamente al pricing e alla sicurezza dei suoi prodotti. Numeri Ricavi (miliardi di dollari) Utile (miliardi di dollari) Numero dipendenti

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| 74 | valori |

Calvert Investments

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2009

2010

30,76 5,74 oltre 90.000

35,16 4,63

I valori, quando si fondano sulla fiducia e sulla credibilità di chi li possiede e li coltiva, si possono riassumere in una parola, in un segno, in un colore. Dire è comunicazione d’intenti e di progettualità, trasmissione di idee, di conoscenza, d’esperienza. Fare è la sintesi dell’attività, energia verso nuove imprese, capacità di ascolto e di offrire risposte. Ai nostri clienti e a quelli che lo diventeranno è dedicato il nostro lavoro quotidiano: un lavoro dove il dire e il fare sono tutt’uno e sintesi di una filosofia dell’operare.


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