Mensile Valori n. 118 2014

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Cooperativa Editoriale Etica Anno 14 numero 118. Maggio 2014. € 4,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento Contiene I.R.

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Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

Ultima chiamata Il Pianeta non può più aspettare. Urge una rivoluzione ambientale ed economica Finanza > Per Société Générale è un truffatore. Jérôme Kerviel racconta la sua verità Economia solidale > Dietro la carne un business planetario, tra finanza e boom dei consumi ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 | Internazionale > Nel nostro smartphone il tesoro delle terre rare.|In mano alla Cina


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| editoriale |

La natura può ispirare una nuova economia di Gunter Pauli

S

L’AUTORE Gunter Pauli Economista, imprenditore e scrittore belga, fondatore della cosiddetta Blue economy, cioè la creazione di un ecosistema sostenibile che trasforma scarti e rifiuti in merci redditizie. Sua la prima fabbrica, Ecover, di detersivi biodegradabili e soprattutto la Zero Emissions Research Initiative, rete internazionale di scienziati, studiosi ed economisti dediti a trovare soluzioni produttive verso l’impatto ambientale zero. www.zeri.org www.theblueeconomy.org

erve urgentemente un nuovo modello economico. E la natura può essere una fonte di ispirazione. Le logiche che applichiamo nelle nostre attività economiche spesso sono lontane da quelle naturali. Per raffreddare un edificio i sistemi di condizionamento pompano aria fredda verso l’alto. Per depurare l’acqua immettiamo sostanze chimiche che vi annientano tutte le forme di vita. Per produrre una batteria impieghiamo un’energia di gran lunga superiore a quella che fornirà. Produciamo e consumiamo intaccando risorse non rinnovabili o danneggiando in modo permanente l’ambiente. Invece la natura ci fornisce esempi e modelli di riferimento che dovremmo imitare, anche in campo economico. Ci insegna che la crescita a tutti i costi non ha senso. E che la biodiversità è un’espressione di libertà. La Blue economy propone proprio la concreta attuazione delle tecnologie ispirate dal funzionamento della natura. Per rispondere alle emergenze del Pianeta, che l’Ipcc ha denunciato, abbiamo bisogno di un nuovo modello di riferimento. Finora abbiamo costruito le soluzioni ai problemi ambientali imponendo dei limiti alle emissioni e pensando a come ridurre i danni. È una logica sbagliata, dovremmo invece parlare di come fare bene le cose, cambiando il modello economico alla radice. Solo quando passeremo dal “fare un po’ meno male” al “fare meglio” inizieremo a cambiare davvero. Abbiamo bisogno di un nuovo modello di business per fare di più e meglio. La circular economy è una visione valida, ma da sola non basta. Dobbiamo guardare la realtà da diversi punti di vista per costruire un modello di business nuovo. Non basta il riciclo, non basta l’energia rinnovabile. Servono tante iniziative come l’economia circolare messe insieme. Prendiamo ad esempio la carta, riciclarla va bene, ma non basta. Possiamo reinventarla senza abbattere alberi. Nel libro proponiamo un progetto che realizza la carta dagli scarti dell’attività mineraria. Senza acqua e senza cellulosa. È una soluzione economica, funzionale, efficiente, non serve acqua e usa il 60% di energia in meno. Il migliore modo per realizzare il cambiamento è fare, senza perdere troppo tempo in analisi preventive. La regola per me è: se funziona da qualche parte del mondo, può funzionare anche per me. Quindi basta trovare modelli già testati e attivi (e nel libro ne proponiamo moltissimi) e imitarli. Per fare un esempio, una delle prime iniziative che abbiamo lanciato cinque anni fa è la coltivazione di funghi dai fondi del caffè. Oggi lo fanno 1.200 piccole imprese. In tutti i progetti che presentiamo la gente migliora la propria vita, produce cibo sano, recupera scarti, che usa per creare nuovi prodotti. Per esempio gli scarti della produzione dei funghi possono essere mangiati dagli animali. LIBRI Le responsabilità del cambiamento sono in capo ai singoli e alle comunità, prima ancora che ai governi. Le comunità devono iniziare da piccoli progetti. Non bisogna pensare che Gunter Pauli il cambiamento arrivi dall’alto come un big bang. Cambiare Blue Economy la società è possibile perché un gruppo di persone si mettono Edizioni Ambiente, 2014 insieme e fanno delle cose. L’editoriale è frutto di un’intervista condotta da Elisabetta Tramonto a Gunter Pauli a Milano, l’8 aprile (il video sarà a breve sul sito www.valori.it) | ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 | valori | 3 |


fotoracconto 02/05

Nel 1979 l’estensione dei ghiacci marini estivi del circolo polare artico era di circa 7 milioni di km quadrati, a settembre del 2012 la banchisa polare artica estiva era di appena 3,41 milioni di km quadrati: l’orso polare diventa perciò l’emblema di un processo di cambiamento climatico che sta già facendo le sue vittime. E che si può ancora – per poco, secondo i ricercatori IPCC – e si deve arrestare. Anche perché altrimenti moltiplicherà esponenzialmente e di pari passo coi danni all’ambiente anche tutti quelli economici all’uomo, al suo sistema sociale e produttivo. Tesi ormai consolidate che WWF rivendica con forza attraverso “Last Ice Area”, la campagna per fare ricerca e salvare il cuore dell’Artico, dove i ghiacci permangono più spessi e più resistenti alla fusione dovuta al riscaldamento

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globale. Un’area a cavallo tra Canada e Groenlandia che sia green zone a garanzia della sopravvivenza degli orsi polari (ne sono rimasti non più di 25 mila) e della fauna artica. Una sola battaglia per l’ambiente, e a combatterla per altre vie c’è anche Greenpeace, che porta avanti campagne contro lo spreco delle risorse e per ridurre le emissioni di gas serra, che chiede più rinnovabili per superare il sistema che punta ancora sul nucleare e sulle fonti fossili.

PETER CATON / GREENPEACE

Nella foto. In Bangladesh il livello del mare continua a salire e minaccia la vita delle persone che abitano vicino al Sundarbans, come è chiamata la più grande foresta di mangrovie del mondo, che si trova nel delta del fiume Gange. Lo sa bene Rahima Khatun, 29 anni, che nel 2010 ricorda come la sua casa sia stata costruita dopo il ciclone tropicale Aila dell’anno precedente e tuttavia teme che non resisterà a un prossimo evento catastrofico simile.


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| sommario |

maggio 2014 mensile www.valori.it anno 14 numero 118 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 editore Società Cooperativa Editoriale Etica Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano promossa da Banca Etica soci Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa, Federazione Trentina della Cooperazione, Circom soc. coop. consiglio di amministrazione Antonio Cossu, Donato Dall’Ava, Maurizio Gemelli, Emanuele Patti, Marco Piccolo, Sergio Slavazza, Fabio Silva (presidente@valori.it). direzione generale Giancarlo Roncaglioni (roncaglioni@valori.it) collegio dei sindaci Mario Caizzone, Danilo Guberti, Giuseppe Chiacchio (presidente). direttore editoriale Mariateresa Ruggiero (ruggiero.fondazione@bancaetica.org) direttore responsabile Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) caporedattore Elisabetta Tramonto (tramonto@valori.it) redazione (redazione@valori.it) Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano hanno collaborato a questo numero: Paola Baiocchi, Andrea Barolini, Alberto Berrini, Matteo Cavallito, Corrado Fontana, Emanuele Isonio, Luca Martino, Valentina Neri, Andrea Vecci grafica, impaginazione e stampa Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento) fotografie e illustrazioni Daniel Beltrá, Peter Caton, Bo Qiu (Greenpeace); Archivio Wwf; Jerome Kerviel officiel Facebook; Daderot, Loïc Llh, Steve Jurvetson from Menlo Park - Usa (commons.wikimedia.org); Wikipedia.org

fotoracconto 01/05 Due orsi polari in marcia sul ghiaccio irradiato dalla luce solare. Questa specie di grandi mammiferi è tornata nel 2008 nelle Liste rosse internazionali: delle 19 diverse sub-popolazioni di orso polare, condivise fra Canada, Russia, Groenlandia, Norvegia, Danimarca, Stati Uniti, ben 8 sono a forte rischio per effetto del cambiamento climatico sull’habitat artico.

globalvision dossier Ultima chiamata

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Anno astrale 2100. Quale Pianeta per i nostri nipoti? Una sfida che possiamo vincere L’economia che gira Il monito Ue: ricicla e fai circolare

È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte. Per le fotografie di cui, nonostante le ricerche eseguite, non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamente disponibile ad adempiere ai propri doveri.

consumiditerritorio finanzaetica

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Jérôme Kerviel: da speculatore a Savonarola della finanza Obbligazioni spazzatura. Uno spettro da due trilioni di dollari La lunga marcia di papa Francesco

21 24 26

numeridellaterra economiasolidale

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Consumi & finanza: così la carne diventa business globale Genetica, farmaci e oligopoli alla base della filiera di massa Per salvare la campagna riscopriamo la città Io, infiltrato da Amazon. Il migliore dei mondi

31 34 36 38

socialinnovation internazionale

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Terre rare: comanderà ancora Pechino Elezioni indiane: la frattura tra antico e moderno L’urlo di Shila: «Sono qui per mia figlia» Municipali francesi, sono le tv a votare Front National

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altrevoci bancor

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Il Forest Stewardship Council® (FSC®) garantisce tra l’altro che legno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali. Involucro in Mater-Bi®

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| globalvision |

Saldi alla periferia dell’Europa

La crescita non passa da qui a marea che monta solleva tutte le barche, sia gli yacht di lusso che le bagnarole dei mari, dall’Atlantico all’Egeo. E non c’è quindi da stupirsi se anche i titoli di Stato greci hanno avuto una buona accoglienza». In questo modo Il Sole 24 Ore (12 aprile 2014), con un commento di Fabrizio Galimberti, dava la notizia che, dopo quattro anni, la Grecia era

«L

di Alberto Berrini

stata in grado di finanziare sui mercati internazionali il suo debito. A un tasso del 4,95%, soglia inferiore alla “forchetta” del

di maggio, nelle quali le forze populiste anti-euro potrebbero far registrare un pericoloso consenso. I mercati finanziari stanno in questo momento orientando verso l’Europa masse ingenti di capitale provenienti dai Paesi emergenti, che non solo e non tanto stanno registrando tassi di crescita in calo, ma soprattutto cominciano a inviare segnali preoccupanti relativamente alla stabilità politica. La “rivolta” riguarda non i ceti sociali più poveri, ma la nuova classe media arricchita, ormai insofferente a modelli politici incapaci di gestire i processi economico-sociali in atto (si pensi alla corruzione da sempre presente in quei Paesi). In sintesi ciò che ostinatamente continuiamo a chiamare “mercato”, che è in realtà un oligopolio finanziario, sta spostando i suoi investimenti in Europa. Ciò non può che favorire l’economia del Vecchio Continente. Ma sarebbe un grave errore considerarlo il perno di una futura crescita europea. Non solo perché questo rientro potrebbe essere di natura speculativa e quindi di breve termine, ma soprattutto perché i mercati possono portare soldi, ma non solidarietà. Per chi desidera una crescita stabile ed equa non può che puntare ancora una volta su un deciso cambio di rotta della politica economica europea. 

5-5,25% prevista alla vigilia, sono stati collocati titoli di Stato quinquennali per un importo di 3 miliardi di euro. Ma la disponibilità di 550 investitori (americani, europei, asiatici) avrebbe coperto una richiesta fino a 20 miliardi di euro. Quanto avvenuto in Grecia non è un caso isolato: l’interessamento degli investitori internazionali per i Paesi “periferici” dell’Europa è generalizzato. Un altro esempio è l’Italia che, nonostante dati economici non particolarmente incoraggianti (una previsione di crescita del Pil dello 0,5% nel 2014 a fronte di una perdita dello stesso di 9 punti dal 2007), ha collocato nelle recenti aste il suo debito con rendimenti ai minimi storici (nell’ultima del 10 aprile il rendimento del Bot annuale è stato dello 0,58%, quasi la metà del tasso di interesse richiesto nell’ottobre 2013). Tale “fiducia” dei mercati significa per l’Italia un risparmio nel 2014 di 9 miliardi di euro di interessi passivi sul debito. Mantenendo tale trend di rendimenti la previsione di risparmio per il 2015 sale a 15 miliardi. La situazione appena descritta è spiegabile solo parzialmente con il cauto ottimismo sulla ripresa mondiale (“la marea” di cui parlava Galimberti)

L’interesse dei mercati aiuterà l’economia europea, ma per una crescita stabile serve un cambio di politica segnalata nell’ultimo World Economic Outlook dell’FMI (di aprile 2014). In realtà la discesa dei tassi di interesse dei bond statali è la conferma del dominio della finanza sull’economia reale. Oggi i capitali finanziari stanno tornando in Europa e soprattutto in quei Paesi dove, a causa della crisi, è più conveniente comprare (si possono spuntare prezzi più bassi) e dove è più facile prevedere o almeno presupporre dei rimbalzi, data una situazione economica che ha ormai toccato il fondo. Detto in altro modo i “mercati” annusano l’odore di una possibile ripresa non appena la domanda interna europea, magari spinta da una politica economica meno restrittiva, si metterà finalmente in moto. La spinta a una tale politica economica potrebbe derivare proprio dalle elezioni europee

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dossier

a cura di Andrea Barolini, Corrado Fontana ed Emanuele Isonio

fotoracconto 03/05 Anno 2100. Quale Pianeta per i nostri nipoti? > 10 Caserini: «Una sfida che possiamo vincere» > 12 L’economia che gira > 14 Il monito Ue: ricicla e fai circolare > 16


DANIEL BELTRÁ / GREENPEACE

A ottobre del 2005 si presentava così il Lago ??? Grande do Curuai nello stato brasiliano del Parà: quasi completamente asciutto durante una delle peggiori siccità mai registrate nella regione amazzonica, causata – secondo alcuni scienziati – dagli effetti combinati del riscaldamento globale e della deforestazione.

Ultima chiamata Il gruppo di studio sui cambiamenti climatici dell’Onu lancia l’allarme: bisogna ridurre le emissioni inquinanti. Subito! Serve un nuovo paradigma economico senza sprechi e con un ridotto uso di risorse. L’Ue lancia l’economia circolare

???


dossier

| ultima chiamata |

Anno astrale 2100 Quale Pianeta per i nostri nipoti? di Andrea Barolini

on si tratta più di aspettare dieci, venti o trent’anni: l’impatto del cambiamento climatico sulle vite di ciascuno di noi è evidente già ora. E, se non si agirà in fretta, le conseguenze saranno devastanti. L’allarme lanciato lo scorso 31 marzo dall’Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite è il più inquietante dal 2007. Presentando i contenuti del suo ultimo rapporto nella città giapponese di Yokohama, il gruppo di esperti ha tracciato un quadro allarmante: insicurezza alimentare, penuria di acqua potabile, esodi sempre più massicci di popolazioni e rischio di conflitti sono, infatti, direttamente legati al riscaldamento del Pianeta e, si legge nel rapporto, «la probabilità di impatti gravi, estesi e irreversibili cresce di pari passo con l’intensificazione del fenomeno». Una minaccia diretta, dunque, anche per la vita umana sulla Terra.

N

Un appello ai governi di tutto il mondo «Proprio per questo – ha spiegato Rajendra Pachauri, presidente dell’IPCC, aprendo i lavori della 38esima sessione del panel Onu – il rapporto è rivolto a un audience di non addetti ai lavori e soprattutto ai decisori politici. Molto del materiale in esso contenuto potrà essere d’aiuto rispetto alla complessa discussione sulla pericolosa influenza antropogenica sui sistemi climatici, in

L’IPCC lancia l’allarme più grave dal 2007 sulle conseguenze imminenti del cambiamento climatico. Un impatto anche economico. Bisogna agire subito vista dei futuri negoziati internazionali sul clima». È al mondo della politica, insomma, che i tecnici delle Nazioni Unite hanno inteso rivolgersi. Nella speranza

ADDIO CO2? SI PUÒ FARE, CON IL BIO Al via una campagna globale per generare consapevolezza pubblica della capacità del suolo, se mantenuto integro attraverso la cosiddetta “agricoltura biologica rigenerativa”, di invertire il processo di cambiamento climatico in atto. È un’iniziativa del Rodale Institute della Pennsylvania, centro di ricerca non profit sull’agricoltura biologica, secondo cui potremmo più che azzerare le attuali emissioni annue di CO2 tramite una ristrutturazione del sistema globale del cibo e sfruttando la fotosintesi e la scienza biologica. La ricetta è contenuta nel libro bianco Regenerative Organic Agriculture and Climate Change: A Down-to-Earth Solution to Global Warming pubblicato dall’istituto: oltre il 40% delle emissioni potrebbero venire assorbite dal suolo e dalle coltivazioni, ma addirittura il 71% potrebbe essere tagliato con una gestione differente dei pascoli e degli allevamenti globali. C.F. rodaleinstitute.org/regenerative-organic-agriculture-and-climate-change

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di ottenere, finalmente, delle risposte concrete, dopo le conferenze di Copenaghen, Cancun e Durban, organizzate con l’intento di imporre un accordo internazionale vincolante, ma conclusesi senza grandi successi. Lo studio è particolarmente corposo e dettagliato, frutto di un immenso lavoro: per completarlo sono state passate al vaglio ben 12 mila pubblicazioni scientifiche. L’obiettivo che, secondo l’IPCC, i governi di tutto il mondo dovrebbero prefissarsi è quello di contenere il riscaldamento globale entro i 2°C in media, rispetto ai livelli pre-industriali. Ad oggi, il dato è già cresciuto di 0,8°C. E il trend indica che, se si dovesse continuare sulla falsariga degli ultimi decenni, si potrebbe arrivare a toccare i +4°C entro la fine del secolo. Il tutto aggravato da un fatto. Ovvero che, come spiegato dal co-presidente del gruppo scientifico autore del rapporto, Vicente Barros, l’umanità «non è preparata ai rischi legati al cambiamento climatico».

Il prezzo del riscaldamento globale Perfino il segretario di Stato americano, John Kerry, ha commentato l’uscita del rapporto parlando della necessità di adottare decisioni “rapide e coraggiose”. «Non possiamo permetterci il lusso di aspettare – ha aggiunto – perché il prezzo sarebbe catastrofico. Negare la scienza è un errore». Resta però il fatto che gli Usa, insieme alla Cina, sono tra i principali responsabili dell’inquinamento del Pianeta. E non sono di certo loro a pagare per primi le conseguenze della distruzione dell’equilibrio ecolo-


FONTE: IPCC, CLIMATE CHANGE REPORT 2014

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L’IMPATTO DEL GLOBAL WARMING NEL MONDO ARTICO

EUROPA

NORD AMERICA ASIA

ISOLE PICCOLE

AFRICA

CENTRO E SUD AMERICA

ANTARTICO

molto alta

alta

bassa

media

molto bassa

La fiducia nell’attribuzione ai cambiamenti climatici indica l’intervallo di confidenza

AUSTRALASIA

Impatti osservati attribuiti ai cambiamenti climatici per Sistemi fisici Ghiacciai, neve, ghiaccio, e/o permafrost Fiumi, laghi, inondazioni e/o siccità Erosione costiera e/o effetti livello del mare

Sistemi biologici

Sistemi umani e gestiti

Ecosistemi terrestri

Produzione di cibo

Incendi boschivi

Mezzi di sussistenza, di salute e/o di economia

Impatti su scala regionale

Ecosistemi marini Simboli delineati = minore contributo al cambiamento climatico Simboli pieni = maggior contributo al cambiamento climatico

gico globale: come sottolineato dallo stesso rapporto IPCC, a subire l’impatto maggiore, in particolare a causa delle conseguenze su cibo e acqua, sono al contrario i popoli che abitano nei Paesi poveri. Ovvero, paradossalmente, coloro che contribuiscono meno al cambiamento climatico. Ma l’Onu ha avvisato i governi anche rispetto all’impatto economico che il riscaldamento globale provocherà. Benché gli esperti abbiano sottolineato come sia difficile produrre stime certe, è tuttavia evidente che il climate change «rallenterà la crescita e creerà delle

nuove sacche di povertà». A causa della crescente malnutrizione, ma anche per via del rischio di conflitti violenti che potranno scatenarsi tra popoli e Stati alla ricerca disperata dei mezzi di sussistenza. Ma attenzione: non sarà soltanto il Terzo mondo a subire le conseguenze del surriscaldamento dell’atmosfera. Se è evidente il fatto che in Africa l’accesso all’acqua diventerà un problema ancor più drammatico rispetto ad oggi – questione che investirà in modo crescente anche l’America Latina – in Europa le ondate di caldo estremo si moltiplicheranno, così

come le inondazioni. Queste ultime colpiranno anche l’Asia, fino a comportare esodi di massa delle popolazioni a rischio. Allo stesso modo, in America del Nord si registreranno con frequenza sempre maggiore eventi estremi (in particolare siccità, inondazioni costiere e caldo eccezionale). Nessun luogo della Terra, insomma, sarà risparmiato. Eppure – ha concluso Chris Field, uno degli autori del rapporto IPCC, parlando all’agenzia AFP – questi problemi «sarebbero risolvibili. Il vero punto è che non siamo abbastanza ambiziosi e determinati per farlo».  | ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 | valori | 11 |


dossier

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Una sfida che possiamo vincere di Andrea Barolini

La riduzione delle emissioni inquinanti è possibile, abbiamo a disposizione le tecnologie necessarie per cambiare. Lo sostiene Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano

Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano.

o sforzo per ottenere una riduzione drastica delle emissioni inquinanti è fattibile e non ha costi eccessivi», è questo il primo insegnamento che dobbiamo trarre dal lavoro dell’IPCC. Lo sostiene Stefano Ca-

«L

serini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano e autore di “A qualcuno piace caldo. Errori e leggende sul clima che cambia”. Il professore spiega che quella indicata dall’IPCC è una sfida che l’umanità è in grado di raccogliere. Si tratta di un punto di vista che anche i governi possono fare loro? Possiamo dire che assolutamente nulla di quanto va fatto distruggerebbe l’economia. Non soltanto l’IPCC, ma anche la Banca Mondiale e l’IEA hanno dimostrato, numeri alla mano, che la riduzione delle emissioni è tranquillamente sopportabile dai sistemi economici.

La maggior parte degli studi spiega che abbiamo a disposizione le tecnologie necessarie per cambiare. Esistono degli investimenti che i governi dovranno effettuare nel prossimo futuro nel sistema energetico. Certo, realizzarli nelle rinnovabili piuttosto che nelle energie fossili costa qualcosa in più. Ma, se consideriamo anche i benefici che ne potremmo trarre, lo scarto si assottiglia fortemente. Secondo alcuni studi, la scelta ecologica sarebbe persino conveniente. Se è così, cosa aspettiamo? Aspettiamo che arrivi una scelta politica. Certo, esistono delle lobby, in particolare quelle del carbone e del petrolio,

Il Rapporto IPCC in dieci punti 1 - L’IMPATTO ATTUALE L’interferenza delle attività antropiche con il sistema climatico è in corso e il cambiamento pone rischi per i sistemi umani e naturali. Tali effetti si sono manifestati, nel corso dei decenni, su tutti i continenti e negli oceani. In particolare, le precipitazioni e lo scioglimento delle nevi e dei ghiacci hanno modificato i sistemi idraulici, colpendo le risorse in termini qualitativi e quantitativi. Il cambiamento climatico ha inoltre avuto un impatto negativo sulla produzione alimentare, mentre le migrazioni di numerose specie marine e terrestri sono state modificate.

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2 - I RISCHI FUTURI La probabilità di impatti gravi, estesi e irreversibili aumenta con il riscaldamento globale. Una crescita di 4 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali potrà provocare l’estinzione sostanziale di alcune specie e rischi importanti per la sicurezza alimentare. Ma già con una crescita di 1-2 gradi le conseguenze potrebbero essere catastrofiche. In termini economici, si potrebbe perdere tra lo 0,2 e il 2% della produzione annuale di ricchezza.

3 - LA QUESTIONE IDRICA Una riduzione significativa delle riserve di acqua, sia sotterranee che terrestri, si verificherà in particolare nelle regioni sub-tropicali secche.

4 - L’INSICUREZZA ALIMENTARE L’accesso alle risorse e la stabilità internazionale dei prezzi saranno sempre più a rischio, proprio mentre la domanda globale aumenterà. Ancora una volta è il Sud del mondo il più esposto. Nei mari tropicali, ad esempio, i pesci saranno più rari, con importanti rischi di estinzioni a livello locale. La produzione di mais, grano e riso dovrebbe poi subire conseguenze importanti già con una crescita delle temperature di 2 gradi centigradi: un problema che si aggraverà dopo il 2050.


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2010-2029

2030-2049

Intervallo di variazione dei rendimenti

2050-2069

Aumento della resa

50 - 100% 25 - 50% 10 - 25% 5 - 10% 0 - 5%

Diminuzione della resa

0

2070-2089

2090-2109

0 - -5% -5 - -10% -10 - -25% -25 - -50% -50 - -100%

FONTE: IPCC, CLIMATE CHANGE REPORT 2014

In quali termini? Personalmente ho contribuito a fondare una Ong chiamata Italian Climate Network (ICN), che quest’anno ha deciso di partecipare alla campagna mondiale del Global Power Shift, puntando a chiedere ai governi (ma anche ad esempio ai fondi pensione) di disinvestire dalle fonti fossili. A tale scopo, l’ICN organizza nel prossimo giugno, con i rappresentanti di numerose Ong italiane, un evento per lanciare il “Global Power Shift Italia”. Si tratta di una campagna neonata, ma che in prospettiva può davvero cambiare le cose. 

[percentuale di proiezioni di rendimento]

Anche l’Europa potrebbe fare di più? L’Ue si è data una road map per raggiungere nel 2050 una riduzione delle emissioni pari ad almeno l’80%. È un buon obiettivo. Al contempo è stato indicato un -40% da ottenere entro il 2030: si tratta di un dato che appare probabilmente troppo basso, se l’orizzonte per il 2050 è quello dato. Per questo occorre avviare anche una mobilitazione dal basso.

L’IMPATTO DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI SULL’AGRICOLTURA: CROLLA LA PRODUTTIVITÀ

TRE SECOLI DI INQUINAMENTO: L’AUMENTO DI EMISSIONI DA COMBUSTIBILI FOSSILI DAL 1750 [CO2, fossile, cemento, svasatura (Gt/anno)]

che sono molto potenti e che sarebbero danneggiate dalla transizione. Per questo, tentano di rallentare il cambiamento. Basta vedere ciò che succede nel Senato americano, e quale influenza hanno soggetti come i fratelli Koch o un colosso degli idrocarburi come Exxon.

FONTE: IPCC, CLIMATE CHANGE REPORT 2014

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35 30 25

OCSE - 1990 Paesi Economie in Transizione Asia America Latina e Caraibi Medio Oriente e Africa

20 15 10 5 0

1750

1800

1850

1900

1950

2000

5 - LA CRESCITA DELLA POVERTÀ Il riscaldamento globale rallenterà la crescita economica e renderà più difficile la riduzione della povertà. Al contrario, si creeranno nuove sacche di indigenza, in particolare nelle aree urbane.

6 - I CONFLITTI L’aumento degli esodi provocherà il rischio concreto di conflitti violenti tra Stati, nonché rivalità per l’accesso alle risorse più rare, come l’acqua o gli stock di pesce.

7 - LE INONDAZIONI E LE EROSIONI La crescita dei livelli dei mari accrescerà il rischio di inondazioni. Il quantitativo di popolazioni e beni esposti ai pericoli sarà sempre maggiore, anche a causa della crescita demografica.

8 - I PROBLEMI SANITARI In numerose regioni, e soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, le ondate di caldo intense, la malnutrizione e la contaminazione dell’acqua così come del cibo provocheranno un aumento dell’incidenza delle patologie e, più in generale, dei problemi sanitari.

9 - IL RISCHIO DI ESTINZIONE DELLE SPECIE Una larga parte delle specie terrestri e marine rischia di non essere in grado di spostarsi in modo sufficientemente rapido per raggiungere luoghi che presentano climi più adatti alla loro vita. In particolare, gli ecosistemi più esposti sono quelli marini, soprattutto i Poli e le barriere coralline, che potranno subire fortemente l’impatto dell’acidificazione degli oceani. A ciò va aggiunta, inoltre, la crescita prevista della mortalità degli alberi in numerose regioni.

10 - L’ADATTAMENTO AI CAMBIAMENTI CLIMATICI I rischi legati ai cambiamenti climatici possono essere ridotti e la loro ampiezza limitata se si introducesse una serie di misure di “adattamento”. Tra queste figurano l’installazione di sistemi di allerta, la creazione di rifugi contro cicloni e inondazioni, la protezione delle coste, lo stoccaggio di acqua, l’introduzione di tecniche di irrigazione ecologiche e di nuove pratiche agricole, nonché l’avvio di programmi di vaccinazione. (FONTE: CLIMATE CHANGE 2014: IMPACTS, ADAPTATION, AND VULNERABILITY, GIEC 2014)

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L’economia che gira di Corrado Fontana

L’economia circolare piace a molti: agli ambientalisti, perché pensa in modo ecocompatibile. E alle grandi corporations, perché farebbe risparmiare. Le energie per promuoverla si moltiplicano, ma ragioni e obiettivi possono essere molto diversi i aspettiamo in Europa un risparmio annuo sulle materie prime nel settore manifatturiero compreso tra 340 e 380 miliardi di dollari in uno scenario di transizione. E un risparmio compreso tra 520 e 630 miliardi di dollari in uno scenario avanzato». Forse basterebbero questi “argomenti”, sottolineati da Giorgio Busnelli, esperto di sostenibilità e partner della società multinazionale di consulenza manageriale McKinsey & Company, a rendere interessante il concetto di “economia circolare”, ma la circular economy (in inglese) si propone come una vera e propria teoria rivoluzionaria dell’intero sistema produttivo, se sarà applicata diffusamente. In estrema sintesi, e diversamente dall’attuale modello “lineare” (estrazione, produzione, consumo, smaltimento), l’economia circolare teorizza un sistema che parta

«C

dalla progettazione ecocompatibile dei processi e dei manufatti per chiudersi con le buone prassi del riciclo e del riuso, cioè puntando su un migliore impiego e risparmio di risorse. Ma non solo. Auspicando il passaggio da una “economia del bene”, inteso come possesso e fruizione individuale dei manufatti, a una “economia del servizio”, che cerca quindi di valorizzare la funzione, si avvicina in parte alla “economia della condivisione” o sharing economy per cui la lavatrice è una sola, ma dura di più se a servirsene saranno in tanti (vedi Valori di luglio-agosto 2013).

Paladini dell’ambiente? A spingere sull’acceleratore è stata l’americana Ellen MacArthur Foundation (vedi BOX ) che ha ispirato e promosso l’attività di McKinsey a pubblicare ben tre rapporti dalla metà del 2013 a oggi intitolati Towards the circular economy. Dietro di loro, o meglio “con” loro, a fornire sostegno,

Roberto Cavallo, membro del comitato scientifico ISWA (International Solid Waste Association).

I BENEFICI PER I LAVORATORI 100 mila tonnellate di rifiuti

DISCARICA

INCENERITORE

Totale

10 occupati

40 occupati

RACCOLTA DIFFERENZIATA

RICICLO (vegetale, tessile, plastica, vetro, carta, elettronica, umido)

133 occupati

110 occupati 243 occupati

FONTE: ELABORAZIONE ROBERTO CAVALLO, COOPERATIVA ERICA

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informazioni e casi di studio in nome di un paradigma economico dal sapore fortemente “amico dell’ambiente” «c’è un panel di imprese – spiega Busnelli – che hanno abbracciato il concetto di circular economy, hanno già dei casi interessanti di applicazione e sono interessate a estenderlo». Tra questi cosiddetti contributors, che hanno partecipato alla stesura del report, ci sono ad esempio Coca Cola, Ikea, Heineken, Ricoh, Electrolux, Vodafone. E Busnelli sottolinea che «Coca Cola ha già iniziato a pensare a un modello di business differente in cui tutto il packaging dovrebbe essere disegnato fin dal principio per essere riciclato. SABMiller (il secondo più grande produttore di birra a livello mondiale, ndr) ha calcolato il beneficio derivante dal riutilizzo delle bottiglie rispetto al riciclo. Renault ha realizzato un centro di ricerca dedicato allo studio del riciclo di tutti i materiali». Ma le corporations non sono sole in questa sponsorizzazione dell’economia circolare. E, se da un lato c’è chi come Roberto Cavallo, esperto del ciclo dei rifiuti e di risorse ambientali nonché membro del comitato scientifico ISWA (International Solid Waste Association), pare piacevolmente stupito e scettico al contempo («Finalmente sentiamo lo stesso discorso che facciamo da vent’anni provenire da un economista della MacArthur Foundation»), e promuove i benefici di queste teorie sul piano economico e delle ricadute occupazionali, dall’altro lato c’è l’Europa. Secondo Walter Ganapini, ex presidente di Greenpeace e figura storica dell’ambientalismo scientifico, l’economia circolare sta già penetrando nel cuore delle politiche europee in accordo con


Produttore componenti

Feedstock per applicazione chimica

Rigenerazione

Assemblaggio

Riciclo

Fornitore servizio

Rinnovamento/ riproduzione Riutilizzo/redistribuzione

Biogas

Manutenzione Digestione ti anaerobica/ compost2

Raccolta

Estrazione del feedstock per applicazione chimica

Raccolta

Recupero energia

1

Caccia e pesca Come input sono inclusi i rifiuti post-raccolto e i rifiuti post-consumo

Dispersione da ridurre al minimo

Smaltimento rifiuti

FONTE: TEAM DI ECONOMIA CIRCOLARE DELLA FONDAZIONE ELLEN MACARTHUR

2

L’IMPATTO DEL SISTEMA CIRCOLARE SULLA DOMANDA DI MATERIE PRIME PER UN PRODOTTO TIPO [Volume di materie prime richiesto annualmente] 1.500 Domanda nel sistema tipico Materie prime vergini sostituite dalle materie ricircolate

1.000

500 Domanda nel sistema circolare 0 20

30

40

50

60

2075

La formazione di un fronte piuttosto eterogeneo e compatto che voglia cambiare sistematicamente il paradigma dell’economia europea viene insomma principalmente dal portafoglio, più che dall’etica ambientalista. E le sue ragioni non sono poche, se si pensa ai potenziali danni da inquinamento evitati al territorio e alla salute, o se, come sostiene McKinsey, si scopre che la riduzione di costo passando dalle bottiglie di vetro usa e getta a quelle riutilizzate può toccare il 90%, o infine se, come ricorda Roberto Cavallo, «mentre vent’anni fa era sostanzialmente indifferente, se non conveniente, partire dal materiale vergine per produrre, oggi è invece estremamente conveniente partire da materiali derivanti da “materie prime seconde”, ovvero da riciclo: il polietilene vergine è passato da 650 euro per tonnellata del 2009 a 1.500 euro della fine del 2011 – e oggi vale anche di più – mentre il riciclato oscilla attorno ai 150-200 euro per tonnellata». Un bel guadagno, non c’è che dire,

Coltivazione/ raccolta1

70

L’IMPATTO DEL SISTEMA CIRCOLARE SULLO STOCCAGGIO E SMALTIMENTO DI MATERIE PRIME [Volume di materie prime utilizzato] 25.000 Utilizzato

Stoccaggio materie prime nel sistema tipico

20.000 Smaltimento nel sistema tipico 15.000 Stoccaggio materie prime nel sistema circolare

10.000

5.000 Smaltimento nel sistema circolare 0 20

30

ma in gioco per le multinazionali c’è anche molto altro. Sposando un atteggiamento “ecofriendly” «credo che tentino, quanto meno, di non perdere appeal e

40

50

60

70

mercati, stante la crescente sensibilità sociale nei confronti dei temi ambientali (e di quelli sanitari ad essi ormai palesemente correlati)», ricorda Ganapini. | ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 | valori | 15 |

FONTE: TEAM DI ECONOMIA CIRCOLARE DELLA FONDAZIONE ELLEN MACARTHUR

La vera molla

Materiali tecnici

Estrazione/ produzione materiali

2075

la necessità di efficienza nell’uso delle risorse naturali. Ad accelerare tale evoluzione culturale e normativa è stata però, precisa Ganapini, la «constatazione “geostrategica” che i giacimenti di “terre rare”, materie prime basilari per la crescita tumultuosa del settore delle tecnologie e dell’informazione, sono sostanzialmente localizzati in Cina: ciò ha spinto l’Unione europea a darsi come obiettivo il recupero e il riciclaggio di tali elementi dai rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (vedi BOX sui telefonini)».

Materiali biologici

2010

La Ellen MacArthur Foundation è una fondazione che ha dichiarati intenti benefici e promuove apertamente la visione dell’economia circolare, in nome della transizione verso la quale è stata fondata nel 2010. Alla guida l’omonima ex navigatrice in solitario, ma alle spalle, tra i soci fondatori, alcune multinazionali di peso: B&Q, BT, Cisco, National Grid e Renault, che ci hanno messo inizialmente 6 milioni di sterline. L’ultimo dei tre report Towards the circular economy ha un’introduzione di Dominic Waughray (Senior Director del World Economic Forum) e cita, come partner globali della Fondazione grandi compagnie come Unilever, Kingfisher, Philips, e ancora Cisco e Renault.

COME FUNZIONA L’ECONOMIA CIRCOLARE

2010

L’AMBIENTE CHE PIACE AI BIG

FONTE: FONDAZIONE ELLEN MACARTHUR - TRATTO DA CRADLE TO CRADLE DESIGN PROTOCOL BY BRAUNGART & MCDONOUGH

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Che fine fa il lavoro E ai lavoratori la circular economy farà bene? È davvero labour-intensive, cioè ad alta intensità di manodopera, come alcuni suggeriscono? Usare meno materie prime, meno energia, produrre e trasportare meno beni non potrà, infatti, che modificare le necessità occupazionali delle imprese. La risposta di McKinsey è che l’economia circolare dovrebbe aumentare la ricchezza prodotta e creare nuovi posti di lavoro, principalmente sostenendo mercati oggi sottosviluppati, come quelli del riciclo e della ri-manifattura. Certo – diciamo noi – anche le professionalità dovranno cambiare, magari determinando un boom dei cosiddetti green jobs. Uno scenario che Roberto Cavallo conferma rispetto al ciclo dei rifiuti: «100 mila tonnellate buttate in discarica creano circa 10 posti lavoro; se bruciate in un inceneritore creano circa 40 posti di lavoro (circa 26 all’interno dell’impianto e 14 nell’indotto). Le medesime 100 mila tonnellate di rifiuti raccolte in modo differenziato e inviate al riciclo generano 243 posti di lavoro [...] E il differenziale occupazionale aumenta ulteriormente se consideriamo anche l’indotto, poiché il sistema che prevede la raccolta differenziata e riciclo necessita di maggior investimento anche nella fase organizzativa e preparatoria degli impianti di recupero». 

IL TEMPO DI UNA TELEFONATA Il ciclo di vita del nostro amato-odiato telefonino cellulare nasce da lontano (sono assemblati perlopiù in Cina e nel Sudest asiatico) e termina quando l’apparecchio diventa RAEE (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche), in base alla direttiva europea 2002/96, recepita in Italia nel 2005. Secondo uno studio della società di analisi Gartner, nel 2013 sarebbero stati venduti 1,87 miliardi di telefoni cellulari nel mondo (1,2 miliardi di smartphone), ma la vita di questi apparecchi nelle mani del primo proprietario dura in media 18-24 mesi, poi il destino può essere una seconda vita nelle mani di nuovi proprietari (in Africa e Sudamerica si è sviluppato un fiorente mercato secondario) o lo smaltimento non corretto (perlopiù) e il disassemblaggio e conseguente riciclo con recupero di materie prime preziose. All’interno di ogni telefonino si possono trovare infatti tra i 40 e i 60 elementi chimici, tra cui rame, oro, argento, palladio, le famose terre rare (vedi l’ ARTICOLO a pag. 43), e poi inquinanti organici resistenti alla decomposizione (Persistent Organic Pollutants) e sostanze cancerogene, ma «non c’è un solo grammo di metalli preziosi e terre rare che serve per costruire i telefonini cellulari che provenga dall’Europa», precisa Roberto Cavallo, membro del comitato scientifico ISWA (International Solid Waste Association). La raccolta di cellulari usati da parte di società e associazioni è iniziativa frequente e, generalmente, motivata per la raccolta di fondi per beneficenza, oltre che in nome della sostenibilità ambientale.

Il monito Ue: ricicla e fai circolare di Emanuele Isonio

La Commissione di Bruxelles presenterà a breve la prima comunicazione al Parlamento europeo dedicata a un’economia a basso utilizzo di materie prime. E nei prossimi sette anni pronti oltre 200 miliardi per orientare la politica industriale degli Stati membri uecentoventi miliardi di euro in sette anni per agevolare il passaggio a un sistema industriale che riduca l’uso di materie prime e un documento ufficiale della Commissione che, per la prima volta, sarà esplicitamente dedicato all’economia circolare. L’atto scelto dai tecnici dell’esecutivo di Bruxelles è una comunicazione al Parlamento europeo e al Consiglio. I tempi sono verosimilmente stretti: la scadenza elettorale del 25 maggio impone di pubblicarla entro metà mese se non si vuole attendere l’insediamento del successore di Manuel Durão Barroso. Il testo è ancora in fase di limatura, ma di certo sarà destinato a orientare le politiche industriali dell’Ue dei prossimi decenni. Tanto più perché troverà terreno fertile nell’Europarlamento, che a inizio anno ha approvato una risoluzione sulla strategia europea per i rifiuti plastici che

D

IL TESORO CHE TIENI IN MANO 9 gr di rame 11 gr di ferro 250 mg di argento 24 mg di oro 9 mg di palladio La batteria a ioni di litio alto, racchiude circa 3,5 g cob e Tb) Ce Eu, , (Nd rare e terr g 1,0

65 gr di plastica ficilmente quantificabili 1 gr di terre rare, dif mio, Neodimio, Cerio, singolarmente (Praseodi , Disprosio) bio Ter Lantanio, Samario, tenuti in piccolissime Altri elementi preziosi con lulari, PC, server, quantità, presenti in cel dmio, Cobalto, Ca decoder e fotocamere: si) zio pre Rutenio (metalli FONTE: STUDIO E-WASTE LAB DI REMEDIA IN COLLABORAZIONE CON IL POLITECNICO DI MILANO

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RISPARMIO NETTO SUI COSTI DELLE MATERIE PRIME PER BENI DUREVOLI COMPLESSI [Miliardi di dollari all’anno, sulla base degli attuali costi diretti di produzione totali per settore, Europa]

520 - 630 (19 - 23%) 1

Automobili

340 - 380 (12 - 14%) 1

Macchinari Macchinari e apparecchiature elettriche Altri mezzi di trasporto

Verso l’economia circolare

Radio, TV e comunicazione Apparecchi medicali di ottica e precisione Macchinari informatici per ufficio Scenario avanzato

Scenario di transizione

RISPARMI NETTI DEI COSTI DELLE MATERIE PRIME NEL SETTORE DEI BENI DI LARGO CONSUMO [Miliardi di dollari all’anno, sulla base dei risparmi totali sulle materie prime per categorie di prodotto, globale]

* *

*

*

*

Bevande

Abbigliamento

Prodotti alimentari confezionati

Altro

*

* (21,9%)

* Prodotti alimentari freschi

Prodotti per la bellezza e cura personale

Prodotti di igiene

«La nostra comunicazione – spiega Paola Migliorini, funzionario della Direzione generale Ambiente della Commissione europea – conterrà solo alcuni elementi vincolanti, in particolare sui rifiuti urbani, industriali e alimentari». La quota da destinare al riciclo entro il 2030 dovrebbe ad esempio essere incrementata dal 50% attuale a oltre il 65% (ma su questo punto le trattative sono ancora apertissime). L’obiettivo primario è però un altro: «Stimolare il dibattito sui vantaggi dell’economia circolare tra tutte le istituzioni coinvolte in modo da costruire un modello di produzione che imiti sempre più il sistema biologico e mantenga in circolo le risorse utilizzate». Per trasformarlo in realtà, tutti saranno chiamati a fare la loro parte. «In particolare la Commissione sottolineerà il ruolo degli enti locali e regionali, quelli più vicini ai cittadini e quindi più adatti per moni-

Arredamento

LA FONDAZIONE SYMBOLA AVVERTE: PER LA BUONA ECONOMIA LA “RIVOLUZIONE CIRCOLARE” NON BASTA Qualunque sia il settore produttivo, in futuro, il flusso nell’uso delle risorse non potrà che essere circolare. Ma questo non deve far perdere di vista un obiettivo: tornare a fare politica industriale, selezionando i settori ritenuti strategici e concentrando l’attenzione sulle filiere a minore impatto. La riflessione arriva dai tecnici di Symbola, fondazione per le Qualità italiane che organizzerà a Macerata dal 24 al 28 giugno il proprio festival (“Coesione è competizione” il titolo di quest’anno). Un rapporto importante, quello tra economia circolare e slow economy. Perché se la prima imporrà una riorganizzazione di tutti i comparti produttivi, la seconda è un approccio ineliminabile se si vuole raggiungere l’obiettivo di un’economia davvero sostenibile. «L’economia circolare

è utile ad accrescere le relazioni tra settori industriali: in una visione complessiva, ciò che è scarto per un settore, diviene materia prima per un altro», spiega Domenico Sturabotti, direttore di Symbola. «Ma a tale tema ne andrà ben presto affiancato un altro: quello dei prezzi dei prodotti. Finché non decideremo di internalizzare i costi ambientali e sociali negativi di certe produzioni, alcuni settori già oggi insostenibili non saranno mai abbandonati». Un argomento spinoso per l’opposizione che inevitabilmente produrrà in molte lobby. Ma ben presente nelle analisi di molti esperti. Paul Krugman lo aveva già sottolineato in un rapporto realizzato per la campagna elettorale di Barack Obama. E il tema sarà difficilmente eludibile anche nella prossima legislatura dell’Europarlamento. Em.Is.

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FONTE: TEAM DI ECONOMIA CIRCOLARE DELLA FONDAZIONE ELLEN MACARTHUR

espressamente richiama il concetto di economia circolare e l’impatto positivo che potrebbe avere in termini di risparmio e posti di lavoro: «La piena attuazione della normativa dell’Unione sui rifiuti consentirebbe di risparmiare 72 miliardi di euro all’anno, aumentare il fatturato annuo dell’Ue di 42 miliardi di euro nel settore della gestione e del riciclaggio dei rifiuti e creare oltre 400mila posti di lavoro entro il 2020», spiega Vittorio Prodi, europarlamentare uscente del Pd.

EUROSTAT 2007 DATI INPUT-OUTPUT PER EUROPA A 27; TEAM DI ECONOMIA CIRCOLARE DELLA FONDAZIONE ELLEN MACARTHUR

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torare i flussi di materiali all’interno del proprio territorio». L’attività di monitoraggio sarà cruciale per capire quali infrastrutture predisporre per agevolare l’efficiente uso delle risorse.

C’è già un tesoretto Passare dalla carta alla realtà non sarà però uno scherzo. Soprattutto nei Paesi sottoposti a spending review. Eppure le best practice non mancano. In più settori e in molti Stati. Per agevolare il percorso, l’Unione europea ha già in cassa un tesoro da ottanta miliardi: a tanto ammontano i finanziamenti erogati attraverso il programma Horizon 2020, che ingloba tutti i fondi Ue per la ricerca e l’innovazione delle imprese. Ad essi si aggiungono i Fondi regionali 2014-2021 (previsti 140 miliardi nei prossimi sette anni): «6 degli 11 obiettivi tematici riguardano lo sviluppo sostenibile» rivela Migliorini. Saper cogliere l’occasione, per molte aziende, potrebbe fare la differenza tra un futuro roseo e i libri in tribunale. 

RETURNITY: IL POLIESTERE 100% RICICLABILE CHE PROMETTE LA RIVOLUZIONE DEL TESSILE La presentazione ufficiale, a gennaio durante la settimana della moda di Amsterdam, ha suscitato parecchia curiosità. Sia per l’ambizione dell’iniziativa sia perché potrebbe fare da apripista per molta parte dell’industria tessile europea. Il progetto si chiama EcoProFabrics e punta a dimostrare il potenziale di mercato di un nuovo tessuto – Returnity, un poliestere riciclabile al 100% – ottenuto all’interno di una catena di produzione completamente circolare. Nei prossimi tre anni saranno prodotti circa 30mila capi di vestiario realizzati in questo modo. A metterli a punto la Dutch aWEARness, grazie a un contributo di 865mila euro (il 50% del totale) ottenuti dalla Commissione europea attraverso il suo programma Ecoinnovazione. Stando ai calcoli dell’azienda olandese, rispetto ai tessuti standard non riciclati, il nuovo poliestere è in grado di offrire un risparmio di energia e acqua rispettivamente del 64 e del 95% e una riduzione della CO2 del 73%. La domanda di materia prima calerà del 61% e, data la sua totale riciclabilità, eliminerà del tutto i rifiuti. «EcoProFabrics – commenta Rien Otto, fondatore di Dutch aWEARness – dimostrerà che nel settore tessile il vecchio modello lineare, secondo cui i capi di abbigliamento vengono eliminati dopo l’utilizzo, può essere sostituito da un modello di economia circolare, in base al quale i prodotti tessili dismessi sono ridotti in fibre sciolte successivamente convertite in nuovi prodotti tessili senza compromettere assolutamente la qualità». Se vincerà la sfida, Returnity dovrebbe avere anche un prezzo competitivo rispetto ai tessuti standard: i costi sostenuti per il recupero dei rifiuti sarebbero superati dai risparmi possibili evitando l’uso di materie prime.

FILIERA CORTA E ATTENZIONE ALL’AMBIENTE: TRA I BOSCHI MOLTI VANTAGGI PER CHI SI METTE “IN CIRCOLO”

Se c’è un settore che potrebbe trarre giovamento dall’applicazione dei principi dell’economia circolare va cercato tra i milioni di boschi che ricoprono un terzo del territorio italiano. Un settore attualmente sviluppato ben al di sotto delle sue possibilità, a causa di proprietà forestali troppo frammentate, infrastrutture insufficienti e scarsità di investimenti. «La realtà, oggi, è paradossale: oltre l’80% della materia prima legnosa viene importato dall’estero», osserva Antonio Brunori, segretario generale del PEFC Italia, schema di certificazione per la gestione forestale sostenibile. E, per come è concepito, il sistema non aiuta né l’ambiente, né le imprese del settore. Applicare l’economia circolare significherebbe rivoluzionare il settore: gli investimenti

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dovrebbero essere orientati per fare in modo che ci sia una stretta connessione tra i proprietari dei boschi, le imprese di trasformazione, le ditte che riciclano la materia prima (oggi il tasso di riciclo si attesta sul 55% ma i margini di crescita sono ampi), i gestori degli impianti locali di biogas e i consumatori finali. I vantaggi di un simile scenario sono enormi: «Da un lato – prosegue Brunori – creeremmo dei circoli virtuosi producendo ricchezza economica e posti di lavoro in territori montani bloccando la fuga verso le città. Dall’altro, faremmo un gran favore all’ambiente, perché boschi ben gestiti riducono i rischi di dissesto idrogeologico. E di conseguenza libereremmo risorse grazie ai soldi risparmiati per far fronte alle periodiche emergenze ambientali». Em.Is.


| consumiditerritorio |

Dal privato al pubblico

A Cinecittà ora si gira Ladri di nomi i fa presto a dire parchi di divertimento: le classificazioni ufficiali sono almeno otto. Ci sono i parchi tematici: il più famoso e campione di visitatori con oltre 17 milioni l’anno (dati 2009) è Disney World in Florida. Ci sono quelli meccanici, dove sei centrifugato da macchine sulle quali non hai nessun controllo, ma puoi provare l’esistenza di una classificazione

S

di Paola Baiocchi

sociale che divide l’umanità in due: tra chi ama i parchi divertimento e chi li odia. Il più frequentato parco europeo è il Disneyland Park di Parigi, che totalizza più visite del Louvre: 15,3 milioni, contro gli 8,3 del più grande museo francese. È andata meglio alla cattedrale di Notre-Dame che ha attirato 13,6 milioni di turisti. Dai numeri bisogna dedurre che i “divertimentifici” piacciono molto e che le politiche culturali devono cercare nuove strategie. Un altro grande parco a tema sta per nascere: CinecittàWorld aprirà a giugno, al chilometro 23 della Pontina, a sud di Roma. L’indirizzo è glorioso, ma non è quello di Cinecittà: il grande complesso di teatri di posa inaugurato da Mussolini nel 1937 è sulla Tuscolana all’altezza di via di Torre Spaccata. CinecittàWorld è a Castel Romano, dove tra il 1962 e il 1971 Dino De Laurentiis ha costruito studios chiamati Dinocittà. Per ricadere negli aiuti pubblici della Cassa del Mezzogiorno sembra che abbiano spostato un po’ i confini della zona soggetta a finanziamento. Qui sono stati girati dei filmoni: nel 1966 La Bibbia di John Huston con George Scott, Ava Gardner, lo stesso Huston e Peter O’Toole. Nel 1970 Sergej Bondarchuk ha filmato Waterloo, con Rod Steiger e Orson Welles. Anche parecchi spaghet-

partecipata per l’80% da Cinecittà Entertainment e per il 20% da Generali Properties (Gruppo Generali). Cinecittà Entertainment fa capo alla IEG - Italian Entertainment Group, i cui principali azionisti sono Luigi Abete, Andrea e Diego Della Valle, Aurelio De Laurentiis e la famiglia Haggiag. Abete è presidente anche di Cinecittà Studios Spa, che ha in gestione, in compartecipazione con Roberto Benigni e Nicoletta Braschi, gli Umbria Studios, a Papigno (Terni). Gestisce poi, dal 1998, gli storici stabilimenti cinematografici della capitale, che fanno capo a Cinecittà Luce, ma languono da anni, a rischio speculazione edilizia e dove alle maestranze sono stati applicati i contratti di solidarietà, con stipendi ridotti del 40%, in vista di investimenti per 7 milioni di euro. Mai arrivati, anche perché, si legge sui giornali, Cinecittà Studios è morosa nei confronti della proprietà. Sembra che nuove risorse possano arrivare ora dalla Rai, a corto di studios dove girare, dopo aver ceduto la Dear (alla famiglia Haggiag). La Rai sarebbe intenzionata a partecipare direttamente alla gestione degli stabilimenti di Cinecittà. Sarebbe un ritorno del pubblico (ma a che prezzo?) dopo che il privato ha saccheggiato tutto, anche il nome. 

CinecittàWorld: a Roma nasce il parco divertimenti per entrare nel cinema ti western sono stati ambientati qui. Poi nel 1971 De Laurentiis si è trasferito in America, gli impianti sono stati utilizzati sporadicamente e sono andati in malora. Fino a questo recupero. Con le scenografie firmate dal tre volte premio Oscar, Dante Ferretti, sui 140 ettari del progetto, con 200 milioni di investimenti previsti, ci saranno attrazioni supertecnologiche, negozi e ristoranti. Si potranno sperimentare i punti di vista del regista e dell’attore, camminare sul set di Gangs of New York di Scorsese e ci sarà il Tempio di Moloch, simbolo del film le Notti di Cabiria, entrambi girati a Cinecittà. Allora bisogna porsi qualche domanda, a partire dalla proprietà di questo parco che approfitta di un nome molto famoso: CinecittàWorld è promosso da Cinecittà Parchi, società

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| vittime o carnefici |

finanzaetica

Obbligazioni spazzatura. Uno spettro da due trilioni di dollari > 24

HTTP://WWW.FACEBOOK.COM / JEROME KERVIEL-OFFICIEL

La lunga marcia di papa Francesco > 26

Jérôme Kerviel Da speculatore a Savonarola della finanza di Mauro Meggiolaro

Jérôme Kerviel ha deciso di percorrere 1.400 km a piedi da Roma a Parigi.

el gennaio del 2008 ha rischiato di far collassare Société Générale, la seconda banca francese, creando un buco da 4,9 miliardi di euro per una serie di scommesse perse sui futures, per un nozionale totale di 50 miliardi di euro: più del valore dell’intera banca. Jérôme Kerviel aveva allora 31 anni. «Una frode eccezionale», aveva dichiarato Société Générale. Una «truffa» senza precedenti nella storia della finanza, che ha «un solo autore», aveva scritto il quotidiano Le Monde. Il 19 febbraio scorso Kerviel ha incontrato papa Francesco in Vaticano e ha deciso di percorrere a piedi i 1.400 km che separano Roma da Parigi, dove vive. Nel frattempo, mentre si trovava dalle parti di Parma, è arrivata l’attesa sentenza della Corte di Cassazione francese. I tre anni di carcere per abuso di fiducia, falso e

N

Un buco da 4,9 miliardi di euro nelle casse di Société Générale. Per la banca Kerviel è un truffatore. La cassazione francese lo condanna a tre anni di carcere, ma lo esonera dal risarcire l’istituto di credito, che non può non avere colpe. Valori lo ha intervistato intercettandolo durante la tappa milanese del suo lungo viaggio

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uso non autorizzato dei computer della banca sono stati confermati, ma il risarcimento da 4,9 miliardi di euro a Société Générale, richiesto nei precedenti gradi di giudizio, è stato sospeso. «La sentenza precedente non ha tenuto conto dei possibili errori commessi dalla banca», ha spiegato la Cassazione nelle sue motivazioni. Una prima vittoria per Kerviel. Per la prima volta viene scardinato l’impianto accusatorio e si parla di possibili responsabilità da parte di Société Générale. A decidere se lo speculatore “solo al comando” sia stato in realtà sostenuto dalla struttura della banca sarà la corte di appello di Versailles in un nuovo processo civile che terminerà entro la fine dell’anno. Nel frattempo Valori ha intervistato Jérôme Kerviel in esclusiva, nel corso del suo cammino, ormai alle porte di Milano. Ecco cosa ci ha raccontato.

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| finanzaetica |

Perché si considera una vittima del sistema finanziario? Quali responsabilità ha Société Générale? Preciso subito una cosa: per anni sono stato a tutti gli effetti un attore del sistema di speculazione che sta alla base dei mercati finanziari. Ho fatto degli errori e devo dire che forse non ero consapevole fino in fondo delle conseguenze che il mio comportamento avrebbe potuto avere. Poi sono uscito dal sistema e ora sono una vittima perché mi si accusa di essere l’unico responsabile di uno scandalo nel quale, in realtà, le responsabilità devono essere condivise tra me e la banca. Il mio responsabile sapeva quello che stavo facendo. Non ho agito in modo clandestino. Ero parte di un piano. Tutto è andato bene fino a quando ha funzionato, ma, non appena il meccanismo si è inceppato, sono stato subito isolato come unico responsabile del disastro. Ora voglio essere testimone di quello che succede nel siste-

È stato condannato a tre anni di carcere, ma il risarcimento miliardario a Société Générale è stato sospeso dalla Corte di Cassazione. La considera come una vittoria? Sì, è una prima vittoria. Anche perché le decisioni precedenti della corte si sono basate solamente su dati forniti dalla stessa Société Générale. Per la prima volta in sei anni si chiede di verificare le eventuali responsabilità della banca nello scandalo e finalmente si richiede una perizia indipendente. Nessuno ha mai verificato se la banca ha veramente perso 4,9 miliardi di euro. È la banca stessa ad averlo dichiarato. Quindi, nei giudizi precedenti, la Corte si è fidata della banca.

«Sono stato parte del sistema e ho commesso degli errori. Ma le colpe sono anche di Société Générale. E siamo davvero sicuri che abbia perso 4,9 miliardi?»

Non si sa se la banca ha veramente perso? In che senso? Alcune persone che lavorano per Société Générale ci hanno detto che in realtà non ci sono state perdite per la banca. Al momento non possiamo sapere a quanto ammontino effettivamente e nemmeno se ci sono state. La giustizia francese si è

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ma finanziario, voglio aiutare le persone a cambiare la finanza, che continua a essere profondamente malata.

LIBRI

Jérôme Kerviel L’engrenage: mémoires d’un trader Flammarion, 2010

sempre rifiutata di richiedere una perizia indipendente per fare le necessarie verifiche. Ora spero che questa perizia venga fatta. Dopo sei anni è il minimo che possiamo aspettarci. Su quali strumenti finanziari si sono verificate le eventuali perdite? Personalmente avevo preso delle posizioni su future sugli indici DAX (borsa tedesca) e Eurostoxx (che include i maggiori titoli dell’Eurozona) ma, come ho già detto, al momento attuale è impossibile sapere se queste posizioni hanno portato effettivamente a delle perdite. Se la banca ha perso chi ha guadagnato? Anche questo è un punto che dovrà essere chiarito dalla perizia. Sarà perlome-


| finanzaetica |

Francia. La Défense, la torre della Société Générale.

È possibile che in realtà la banca abbia voluto creare delle perdite fittizie? Numerosi esperti dei mercati finanziari come Jacques Werren, l’ex direttore di MATIF (borsa dei derivati francese ora parte di Euronext), sono venuti a testimoniare al processo affermando che in realtà le perdite di Société Générale erano relative ai subprime. Quindi, in realtà, la banca avrebbe dato un altro nome alle perdite generate dai titoli “tossici” collegati ai mutui subprime che aveva in bilancio. Ma solo una perizia indipendente potrà dimostrare se questo è vero.

no imbarazzante scoprire, eventualmente, che è la stessa Société Générale ad aver guadagnato da una parte quello che pretende di aver perso dall’altra.

È cambiato qualcosa nel sistema finanziario dal 2008? No, in sostanza non è cambiato nulla. Le operazioni sono rallentate a causa della crisi, ma i sistemi sono sempre gli stessi. Si è fatto un gran parlare di riforme e limiti alla speculazione, ma oggi siamo al business as usual. I trader operano come operavano sei anni fa e un “caso Kerviel” potrebbe sicuramente accadere di nuovo, senza problemi.

È stato condannato a tre anni di carcere. Cosa succederà adesso? Sarà arrestato una volta passata la frontiera con la Francia? Non so cosa mi succederà. Potrei essere arrestato alla frontiera, ma potrebbe anche non succedermi nulla. La Corte ha sei anni di tempo per rendere esecutiva la sentenza, ma potrebbe anche decidere di non farlo. Io sono sereno, vivo ogni giorno in modo pieno, come se fosse il mio ultimo giorno di libertà. Cosa può fare oggi un semplice cittadino per cambiare il sistema finanziario? Molti pensano che non si possa fare nulla, che alla fine ci si trovi a lottare inutilmente con forze molto più grandi di noi. In realtà come cittadini possiamo fare molto. Possiamo votare candidati e partiti che insistono sull’approvazione di regole più stringenti sui mercati finanziari. E come risparmiatori possiamo decidere di non dare i nostri soldi in pasto alla speculazione. Optando per un uso più responsabile del denaro, scegliendo banche cooperative o banche etiche, che investono in sviluppo e non in distruzione. 


| finanzaetica | altissimo rischio |

Obbligazioni spazzatura Uno spettro da due trilioni di dollari di Matteo Cavallito

rio, un riconoscimento che gli consente di fare notizia ogni volta che si esprime pubblicamente nelle parole e soprattutto nei fatti. Esattamente ciò che è accaduto nelle scorse settimane quando, intervistato dalla stessa agenzia, ha annunciato il disinvestimento della sua società da un comparto un tempo promettente, ma oggi, evidentemente, troppo rischioso: quello delle cosiddette “obbligazioni spazzatura”.

Per anni gli investitori si sono riempiti di junk bonds. Ma adesso, con i prezzi alle stelle e la Fed in ritirata, si rischia un’ondata di default li allarmi e i proclami, si sa, agitano il mercato quotidianamente. Ma non tutte le affermazioni, è noto, hanno lo stesso peso. È una questione di credibilità o, per meglio dire, di riconosciuta influenza. Perché l’infallibilità, soprattutto nei mercati finanziari, ovviamente non può esistere. Ma la capacità di influire sulle valutazioni altrui, e quindi, in parte, sui trend degli investimenti, conta eccome e, a conti fatti, è appannaggio di pochi opinion leader. Jeffrey Gundlach, numero uno della società finanziaria DoubleLine Capital, è con ogni probabilità uno di questi. Bloomberg, ricorda con implicito orgoglio il sito della stessa DoubleLine, lo ha inserito due anni fa nella lista delle 50 persone più influenti del mondo finanzia-

Una massa di titoli… Un passo indietro. Ogni società, come noto, si finanzia essenzialmente in due modi: chiedendo un prestito a una banca o cercando fondi sul mercato. Il modo più semplice per perseguire la seconda strada è quello di emettere obbligazioni. Ogni titolo obbligazionario, ovvero un bond, porta però con sé una valutazione implicita data dal suo rendimento. Ovvero dalla misura del rischio associato al giudizio di rating. Quando quest’ultimo è elevato le probabilità di insolvenza sono basse così come i rendimenti: le caratteristiche tipiche dei bond investment grade (vedi

USA, EMISSIONI ANNUALI CORPORATE BOND 1996-2013 1400,0

400,0

Investment grade bond 2008-13 +56%

1200,0

Juke bond

2008-13 +681%

350,0 300,0

1000,0

250,0

800,0

200,0 600,0 150,0 400,0

2013

2011

2012

2010

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2008

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2005

2006

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2001

2002

1999

2000

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2011

2010

2009

2007

2008

2005

2006

2003

| 24 | valori | ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 |

2004

2002

2001

1999

2000

0,0

1997

0,0

1998

50,0 1996

100,0

200,0 1996

FONTE: SECURITIES INDUSTRY AND FINANCIAL MARKETS ASSOCIATION, (WWW.SIFMA.ORG), MARZO 2014. DATI IN MILIARDI DI DOLLARI

G

GLOSSARIO ). Un rating più basso, al contrario, implica rischi maggiori e, ovviamente, rendimenti superiori. È il caso delle obbligazioni speculative grade che, nel mercato, sono conosciute come high yield (alto rendimento) o più comunemente junk (spazzatura). Il punto è che per gli operatori finanziari anche i titoli rischiosi possono essere molto attraenti, sia per le loro caratteristiche implicite (rendono molto) sia per la mancanza di valide alternative. Un fenomeno ben noto soprattutto al mercato americano. Nel 1996, dicono i dati della Securities Industry and Financial Markets Association (Sifma), le società private americane (il cosiddetto settore corporate) avevano emesso obbligazioni per 344 miliardi di dollari: 285 in bond di livello investment, 59 in titoli junk. Nel 2007, alla vigilia della crisi, i valori delle nuove emissioni erano saliti rispettivamente a 992 e 136 miliardi. L’anno successivo il valore complessivo dei nuovi collocamenti si sarebbe ridotto di oltre un terzo con bond a basso rendimento per 664 miliardi e titoli spazzatura


| finanzaetica |

per quasi 43. Ma la nuova inversione di tendenza era dietro l’angolo e, a partire dall’anno successivo, la risalita è apparsa inarrestabile. Nel 2013 i valori delle nuove emissioni si sono collocati rispettivamente a quota 1.038 e 336 miliardi. Detto in altri termini, nello spazio di sei anni il valore dei collocamenti annuali di obbligazioni a basso rischio è aumentato del 56%. Quello dei titoli junk è cresciuto invece del 681% (vedi GRAFICO ). Sommando i nuovi titoli immessi sul mercato con quelli ancora circolanti (cioè collocati in passato e non ancora scaduti), secondo i dati diffusi da Bank of America Merrill Lynch, si arriva a un controvalore totale del comparto junk pari a circa 2.000 miliardi (due trilioni) di dollari. Più del doppio di cinque anni fa. Domanda: quanto può reggere ancora una simile massa di titoli a rischio?

… pronta a scoppiare? La risposta, banale, la offre il mercato stesso. Come a dire che finché c’è domanda c’è speranza. Il problema, tuttavia, è che la fame di spazzatura potrebbe anche estinguersi a breve. Gundlach, come si diceva, ne è ormai convinto tanto da paragonare il mercato a un “tubetto di dentifricio vuoto”. DoubleLine, tanto per non sbagliarsi, ha venduto quasi tutto e attende al sicuro lo sviluppo degli eventi. L’innesco al potenziale collasso lo starebbe offrendo la politica monetaria americana dopo la svolta restrittiva del cosiddetto tapering (vedi GLOSSARIO ). Quando la Federal Reserve ricomprava il debito sovrano, tenendo i tassi di interesse al minimo, gli investitori si trovavano nella condizione di poter disporre di liquidità a basso costo da inve-

stire sul mercato. Con i titoli di Stato (i cosiddetti Treasuries) caratterizzati da rendimenti molto bassi, l’attenzione si spostava su investimenti più promettenti a cominciare da quelli sui titoli spazzatura che, dalla fine del 2008 ad oggi, ricorda Bloomberg, hanno reso complessivamente agli investitori il 148%. La crescita dei rendimenti offerti dai Treasuries potrebbe però attrarre nuovamente gli operatori mettendo così in crisi la domanda dei junk bonds. Praticamente il collaudato schema della bolla che scoppia.

Dash-to-trash A evidenziare i rischi, paradossalmente, sono proprio i numeri del successo dei junk bonds. Nel maggio del 2013, notava il Financial Times, il rendimento medio offerto dai corporate bond CCC (quelli con il rating peggiore) si attestava al 6,77% contro il 10,13% registrato nello stesso mese dell’anno precedente. A marzo di quest’anno il livello era sceso al 5,1%. Il fenomeno, evidenziava il quotidiano britannico, è noto come dash-to-trash (vedi GLOSSARIO ), una corsa all’acquisto capace di drogare il mercato alzando i prezzi oltre misura. Il problema, osservano però gli analisti, è che un eccessivo rialzo dei prezzi si traduce, specularmente, in un abbassamento dei rendimenti. E il rischio, inevitabilmente, è che il calo di questi ultimi finisca per rendere i junk bonds sempre meno interessanti innescando la temuta grande fuga degli investitori. Secondo Standard & Poor’s, ha ricordato ancora il FT, il tasso di default a 12 mesi delle compagnie classificate come junk dovrebbe salire dall’1,7% odierno al 2,5% entro la fine dell’anno. 

GLOSSARIO RENDIMENTO/PREZZO Il rendimento di un’obbligazione misura implicitamente il rischio default dell’emittente, ovvero la probabilità che l’investitore non recuperi la somma investita nell’obbligazione con tanto di interessi. Un rischio maggiore implica un rendimento superiore e, semplificando, un prezzo inferiore al momento dell’acquisto. L’aumento del rischio, quindi, riduce il prezzo a cui l’obbligazione può essere venduta sul mercato. Mentre la riduzione del rischio implica al contrario una rivalutazione del prezzo del titolo. INVESTMENT-GRADE / SPECULATIVE-GRADE Sono i due gruppi fondamentali a cui appartengono i diversi livelli di giudizio (rating) sulla qualità di un qualsiasi titolo finanziario (azione, obbligazione sovrana o corporate etc.). Nelle maggiori agenzie di rating la classificazione va da un massimo di AAA a un minimo di C, Ca o CCC (D indica il default). All’interno della scala, la soglia tra il livello BBB(o Baa3) e BB+ (o Ba1) separa il cosiddetto investment-grade, che caratterizza i titoli considerati più sicuri, dallo speculative-grade che accompagna invece i titoli cosiddetti “high yield” (ad alto rendimento) o junk che sono più rischiosi. DASH TO TRASH Letteralmente “balzo verso la spazzatura”, è il fenomeno che caratterizza un’intensa corsa all’acquisto di titoli di basso livello e che determina un rialzo eccessivo del prezzo di questi ultimi. Quando il mercato tende al rialzo per molto tempo, l’interesse degli investitori può concentrarsi anche sui titoli a basso rating nell’ipotesi di una rivalutazione di questi ultimi. Il risultato è un prezzo gonfiato, ovvero la condizione tipica di una bolla. TAPERING Il fenomeno che indica la riduzione degli acquisti di titoli di Stato da parte della Banca centrale americana. Questa strategia, avviata lo scorso dicembre, ha segnato un’inversione di tendenza dopo anni di cosiddette “politiche monetarie espansive”. Il tapering riduce la liquidità circolante e contribuisce a far aumentare i rendimenti dei titoli di Stato americani.

| ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 | valori | 25 |


| finanzaetica | riformare la chiesa |

La lunga marcia di papa Francesco Bergoglio, il primo gesuita eletto al soglio pontificio, ha lanciato un programma di riforme strutturali della Chiesa: dalla stesura di una nuova Costituzione alla trasformazione dello Ior in un istituto virtuoso. Riuscirà nei suoi intenti? il primo papa che ha scelto di chiamarsi Francesco in duemila anni di storia della Chiesa cattolica, è il primo sudamericano ad aver raggiunto il gradino più alto della gerarchia ecclesiastica; è, soprattutto, il prima papa gesuita ed era l’unico membro della Compagnia di Gesù presente nel conclave che l’ha scelto. Da subito è stata evidente la sua volontà di segnare una discontinuità con il passato: salito al soglio pontificio il 13 marzo 2013, un mese dopo ha annunciato di aver creato un “gruppo” di otto cardinali provenienti da tutto il mondo, incaricati di riscrivere la Costituzione apostolica vigente, la Pastor Bonus promulgata nel 1988 da Giovanni Paolo II.

È

La banca di Dio Ma la questione più spinosa da sciogliere e la riforma verso la quale ci sono più attese, è sicuramente quella dello Ior, l'Istituto per le opere di religione. Lo Ior assume una personalità giuridica autonoma e il suo fine diventa quello di “custodire e amministrare il denaro e le proprietà cedute o affidate all’Istituto stesso da persone fisiche o giuridiche per fini di opere religiose e opere di pietà cristiana”. Ha in cassa il frutto dei Patti lateranensi del 1929 (750 milioni di lire, più azioni al portatore del valore nominale di 1 miliardo di lire, ottenuti come rimborso per i danni subiti per l’unità d’Italia) a cui si sono aggiunte le acquisizioni e le speculazioni

MAURO BIANI WWW.MAUROBIANI.IT

di Paola Baiocchi

sull’oro di Bernardino Nogara, finanziere laico e fratello di un vescovo. La doppia combinazione di esenzioni fiscali “paradisiache” e l’essere allo stesso tempo banca off-shore (perché il Vaticano gode dell’extraterritorialità) e on-shore, trovandosi nel pieno centro di Roma, hanno costruito un istituto finanziario che si è prestato alle operazioni più opache. Lo testimoniano le numerose indagini per transito di tangenti, lavaggio di danaro sporco ed espatrio di capitali. I dossier e Benedetto XVI Benedetto XVI ha messo mano alla riforma dello Ior, collocando il banchiere Gotti Tedeschi alla sua presidenza e istituen-

Soldi, cappucci e cavalieri. Chi comanda nello Ior? di Paola Baiocchi

Massoneria, Cavalieri di Malta, Cavalieri di Colombo, Opus Dei, Comunione e liberazione. Ferruccio Pinotti ci espone quali sono i principali gruppi che si contendono il governo dello Ior A Ferruccio Pinotti, giornalista e saggista (Poteri forti, Finanza cattolica, Vaticano massone) abbiamo chiesto quale vento soffia in Vaticano. Papa Bergoglio ha avviato una serie di modifiche strutturali per cambiare o, forse, per isolare al momento lo Ior. Cosa può dirci in proposito? La riforma di papa Francesco è molto complessa e passa attraverso una virtualizzazione di tutta la materia economica-finanziaria del

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Vaticano: ha creato un insieme di Commissioni di controllo come la Crior e la Cosea. Poi c’è la creazione del nuovo dicastero della Segreteria per l’economia. C’è una volontà di riforma: c’è da chiedersi fino a che punto sia riuscita o stia riuscendo, perché inizialmente papa Francesco aveva detto di voler trasformare lo Ior in una “banca etica” o in un fondo di carattere benefico e questi propositi sembrano essersi scontrati contro la resistenza interna dell’Istituto che maneggia quantità di soldi gigantesche. Ci sono interessi forti perché sicuramente ci sono ancora molti conti coperti o intestati a realtà apparentemente religiose, che però nascondono interessi più vasti o fondazioni di dubbia entità. Resistono il management e anche, a mio parere, l’attuale presidenza dello Ior, Ernst von Freyberg, un cavaliere di Malta nominato da Benedetto XVI,


| finanzaetica |

do il 30 dicembre 2010 l’Aif (Autorità di informazione finanziaria), analoga alla struttura di Banchitalia. Ma la velenosa storia dello spionaggio sul Santo padre, in cui sono stati coinvolti il maggiordomo Paolo Gabriele, i servizi segreti italiani e vaticani, la massoneria interna al Vaticano, lo hanno alla fine portato alle dimissioni. Una decisione sulla quale devono aver pesato anche le minacce di morte al papa, riferite da Romeo, arcivescovo di Palermo. Gli sconvolgenti dossier dell’indagine svolta da detectives d’eccezione, tre cardinali emeriti, redatti dal frate cappuccino Luigi Martignani, sono stati letti da Bergoglio che, curiosamente, ha scelto di non alloggiare nell’appartamento papale, ma al Santa Marta, residence all’interno delle Mura vaticane, voluto da Wojtyla per ospitare i cardinali durante il Conclave. Il super ministero dell’Economia Trasformare lo Ior non sarà una passeggiata, ma piuttosto una “lunga marcia”. I passi intrapresi per ora da Bergoglio sono stati quelli di aggiungere funzioni all’Aif e poi l’istituzione a febbraio, di una “nuova struttura di coordinamento per gli affari economici e amministrativi”. Questa sorta di ministero è composto dalla Segreteria dell’economia, guidata dal cardinale George Pell, arcivescovo di Sidney; da un nuovo Consiglio per l’economia, costituito da otto cardinali e ve-

scovi, più sette laici di varie nazionalità con competenze finanziarie, affiancati da un nuovo Revisore generale. La Segreteria, ha spiegato padre Lombardi, «avrà autorità su tutte le attività economiche e amministrative all’interno della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano», e redigerà il bilancio dettagliato della Santa sede e della Città del Vaticano. Il Consiglio per l’economia, invece, «determina le politiche e le direttive, che la Segreteria dell’economia attua». Il nuovo Revisore generale, nominato dal Santo padre, potrà svolgere «revisioni di qualsiasi agenzia o istituzione della Santa sede e dello Stato della Città del Vaticano». La riforma non ha toccato l’Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica), che per la prima volta è stata definita ufficialmente Banca centrale. Il 7 aprile un nuovo comunicato della diplomazia vaticana, riafferma da una parte «l’importanza della missione

INFO Modifica dello Statuto dell’Aif: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/motu_prop rio/documents/papa-francesco-motuproprio_20131115_statuto-aif.html Sito dell’Aif: www.aif.va Per iscriversi alla newsletter del papa o per seguirlo su twitter: http:www.papafrancesco.net Per scrivere al papa: Sua Santità Francesco, 00120 Città del Vaticano

che non appartiene in pieno al vento di riforma di papa Francesco. Von Freyberg è frutto, forse, di una mediazione tra Ratzinger e quei gruppi di potere in lotta, che hanno scatenato la battaglia culminata con la defenestrazione di Gotti Tedeschi e con i dossier che vedevano coinvolte entità molto importanti, come i cavalieri di Colombo, che occupano ancora un posto importante nel Consiglio di sorveglianza dello Ior, attraverso il loro cavaliere supremo, Carl Anderson. Ma anche l’Opus Dei, a cui apparteneva lo stesso Gotti Tedeschi; poi c’è Comunione e liberazione, anche se indebolita dagli scandali lombardi. Questo avvio di riforma può rappresentare un passo di una lunga trasformazione che toglie progressivamente autonomia allo Ior? C’è un tentativo di internazionalizzazione rispetto a uno Ior che era in mano a italiani, ricordiamo funzionari come Paolo Cipriani e Massimo Tulli, ora sotto accusa nell’inchiesta dei 23 milioni del Pm

THE BERGOGLIO BUSINESS “L’Hotel Centrale Roma è contento di segnalare la ‘inusuale’ residenza di Josè Maria Bergoglio, al secolo Papa Francesco, presso la Domus Sanctae Marthae”. È questo il testo con cui uno degli alberghi della Santa Sede si fa pubblicità. Ma non è tutto: sulla pagina web dell’Hotel, si può trovare anche l’indirizzo postale del papa e quello del suo sito, dove è possibile acquistare parecchie cose, come uno dei piccoli Vangeli che Francesco ha consigliato di tenere in tasca, oltre che iscriversi alla newsletter papale. La simpatia di Bergoglio, la sua ironia alla Peter Sellers, hanno già generato un indotto considerevole che va dal maggiore afflusso di fedeli a Roma, che comprano gadget con la sua immagine, al primo settimanale interamente dedicato a un pontefice: Il mio papa, della Mondadori. Pa. Bai.

dello Ior per il bene della Chiesa cattolica, della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano». Allo stesso tempo chiede ai vertici dello Ior di portare a termine tutte quelle modifiche che lo rendano “parte delle nuove strutture finanziarie della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano”, sotto la supervisione regolamentare dell’Aif. Sotto queste formule “felpate” si cela uno scontro durissimo tra le molte anime del Vaticano. Solo il tempo ci permetterà di capire quale di queste prevarrà. 

Nello Rossi. Ma tutta la struttura interna allo Ior resiste. Non penso che sarà un’operazione facile, perché avrebbe dovuto cambiare anche la presidenza, ma sarebbe stato uno strappo. Sta operando una riforma progressiva e parziale. Spero ce la faccia ad andare più a fondo in un secondo momento. Ha l’impressione che Bergoglio stia avviando anche una battaglia nei confronti della massoneria all’interno del Vaticano? La presenza della massoneria all’interno della Chiesa è molto forte. Nei confronti di quelle realtà più vicine al mondo massonico non mi è parso di notare una battaglia e questo pone qualche domanda: potrebbe riflettere la posizione classica dei gesuiti, che hanno sempre avuto un occhio di riguardo verso la massoneria, se ne sono sempre occupati in maniera benevola, quando addirittura non hanno espresso delle vicinanze e dei momenti storici di dialogo sui valori con la massoneria. 

| ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 | valori | 27 |


| numeridellaterra |

1.565

555

34

26,9

Carne, il piatto forte del mondo CANADA

Hormel Foods (USA) Ricavi 2012: 8,2 miliardi

3.407

1.413

TysonFood (USA) Ricavi 2012: 33,3 miliardi di dollari 35,5

47,6

21,6

Possiede 40 centri di produzione e distribuzione. Opera nei segmenti dei piatti pronti e del cibo etnico.

Fondata nel 1935. È il secondo più grande operatore nella lavorazione di pollame, maiale e carne bovina. Cargill (USA) Ricavi 2013: 32,5 miliardi Controlla da sola oltre un quinto del mercato statunitense della carne. È il principale esportatore in Argentina.

USA

N

| 28 | valori | ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 |

13

COLOMBIA

È il quarto più grande produttore di carne bovina del mondo. È presente in 22 Paesi. JBS (BRASILE) Ricavi 2012: 38,7 miliardi di dollari

BRASILE

PARAGUAY 380

È la più grande corporation del settore. Di recente ha acquisito le attività della Smithfield Food nel segmento della carne bovina e quelle della Malfrig nei comparti del pollame e del maiale.

VENEZUELA

300

Marfrig (BRASILE) Ricavi 2012: 12,8 miliardi

2.400

42,7

41,3

65

MESSICO

225

el 2013, stima l’ultimo report della Heinrich Böll Foundation di Berlino e di Friends of the Earth Europe, i Paesi emergenti e in via di sviluppo hanno registrato un consumo pro capite di carne di 33,3 chili, quasi il doppio della media planetaria del 1950 (17,2 chili). All’epoca, la produzione mondiale di carne era pari a 44 milioni di tonnellate all’anno. Oggi siamo a 308,2 e il consumo per persona viaggia sui 43,3 chili (quasi 80 nei mercati consolidati). Negli ultimi anni il settore ha confermato l’espansione grazie soprattutto alla domanda delle nuove economie. Da qui al 2022, dicono le stime, i consumi dei Paesi più ricchi dovrebbero addirittura ridursi mentre quelli dei Brics (i principali mercati emergenti) aumenteranno. Le opportunità di business, insomma, non mancheranno. E a beneficiarne saranno le grandi corporation del settore, le cui sedi sono concentrate in poche aree chiave: Stati Uniti, Brasile, Europa, Cina e Giappone. 

3 1.010 315

di Matteo Cavallito

Brasil Foods BRF (BRASILE) Ricavi 2012: 14,9 miliardi

185

2,9 180

Nata nel 2009 dalla fusione di Sadia e Perdigão. Opera in 110 Paesi.

CILE

ARGENTINA

URUGUAY

Produzione annuale media [mln di tonnellate] FONTE: HEINRICH BÖLL FOUNDATION, BERLIN, FRIENDS OF THE EARTH EUROPE, BRUXELLES, GENNAIO 2014.

Consumi annuali medi 2010-12 [kg pro capite] FONTE: HEINRICH BÖLL FOUNDATION, BERLIN, FRIENDS OF THE EARTH EUROPE, BRUXELLES, GENNAIO 2014.


Primo produttore e leader Usa nella lavorazione del maiale, la Smithfield Foods è stata ceduta nei mesi scorsi alla cinese Shuanghui International (oggi denominata WH GROUP), primo produttore di maiale del suo Paese. WH GROUP, che nel 2012 ha registrato secondo Forbes ricavi per 6,26 miliardi di dollari, è partecipata al 5,2% da Goldman Sachs ed è attiva anche in Europa dove controlla il 37% della spagnola Campofrio Food Group, S.A., principale produttore europeo di prodotti finiti del settore carne. 1.900

4,2

33,3

38,4

UE

Danish Crown AmbA (DANIMARCA) Ricavi 2012: 10,3 miliardi

Nippon Meat Packers (GIAPPONE) Ricavi 2013: 12,8 miliardi Fondata nel 1949, opera in 12 Paesi. Molto attiva in Asia e Australia.

Primo produttore europeo di carne nonché primo esportatore di maiale del Pianeta.

100 75

Leader europeo nella lavorazione della carne. I suoi ricavi sono aumentati di circa 13 volte dal 2002 ad oggi.

1.150 250

32,6

56,9

37,9

RUSSIA Vion (OLANDA) Ricavi 2012: 12,8 miliardi

215

2.007

45

UCRAINA

1,8

850

21,7

220 4

22,6

CINA

BIELORUSSIA

HONG KONG

TAIWAN

GIAPPONE

25

770

EGITTO

185

VIETNAM

COREA DEL SUD

INDIA 95

90

3,2 1,2 1,4 1.650

FILIPPINE

ANGOLA

200 1.565

43,6

42,9

AUSTRALIA

Consumi medi 2022 [kg pro capite]

Esportazioni 2013 [migliaia di tonnellate]

FONTE: HEINRICH BÖLL FOUNDATION, BERLIN, FRIENDS OF THE EARTH EUROPE, BRUXELLES, GENNAIO 2014.

FONTE: UNITED STATES DEPARTMENT OF AGRICULTURE, FOREIGN AGRICULTURAL SERVICE, NOVEMBRE 2013.

Importazioni 2013 [migliaia di tonnellate] FONTE: UNITED STATES DEPARTMENT OF AGRICULTURE, FOREIGN AGRICULTURAL SERVICE, NOVEMBRE 2013.

FONTI SCHEDE: HEINRICH BÖLL FOUNDATION, BERLIN, FRIENDS OF THE EARTH EUROPE, BRUXELLES, GENNAIO 2014. FORBES, MAGGIO 2013. WH GROUP, APRILE 2014.

547

SUDAFRICA

2,4

20,2

1,2

18

SINGAPORE

NUOVA ZELANDA | ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 | valori | 29 |

ILLUSTRAZIONE BASE CARTINA: DAVIDE VIGANÒ

Smithfield Foods (USA) WH GROUP (CINA) Ricavi 2012: 13,1 miliardi (WH GROUP: 6,3)

2.460

350

42,7

31,1

43,4

| pianeta carnivoro |


| 30 | valori | ANNO 13 N. 112 | SETTEMBRE 2013 |


| nutrire il pianeta |

economiasolidale Per salvare la campagna riscopriamo la città > 36 Io, infiltrato da Amazon. Il migliore dei mondi > 38

Consumi & finanza Così la carne diventa business globale Produzione record, operazioni finanziarie, profitti a undici zeri. Quello della carne è un affare planetario. Per pochi pesi massimi. Da questo mese Valori inaugura un nuovo appuntamento mensile: il business del cibo. Il nostro modo per avvicinarci a Expo 2015

di Matteo Cavallito

l piatto si fa sempre più grande. Ma a servirlo in tavola sono pochi e selezionati colossi globali. È il quadro tracciato a gennaio dal lavoro della Heinrich Böll Foundation di Berlino e della Ong Friends of the Earth Europe (FOE). La domanda mondiale di carne, hanno spiegato nell’ultimo rapporto Meat Atlas, è in crescita un po’ ovunque. Ma, se nelle economie sviluppate la crescita risulta ridotta (al limite della stagnazione), le altre aree del mondo stanno trainando il settore. L’Asia – grazie all’India (dove la produzione di carne di bufalo è addirittura raddoppiata dal 2010 a oggi) e alla Cina – sta sperimentando una crescita senza precedenti dei consumi (per questi e altri dati vedi la MAPPA a pag. 28) non diversamente dagli altri mercati. Secondo

I

| ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 | valori | 31 |


| economiasolidale |

i ricercatori di FOE, il tasso di crescita della domanda nelle economie emergenti dovrebbe toccare quota 80% da qui al 2022. Gli Usa si confermano primi produttori mondiali di carne bovina anche se le stime per il 2013 (i dati definitivi non sono ancora disponibili) ipotizzano una contrazione del settore compresa tra il 4 e il 6%. La Cina resta leader assoluto nella produzione di carne di maiale, mentre l’Africa registra crescite significative in Egitto, Marocco, Sudafrica, Nigeria ed Etiopia, anche se i livelli di consumo continentali sono ancora relativamente bassi: 20 chili pro capite all’anno equivalenti a meno della metà della media mondiale e a circa 1/4 del valore registrato nelle economie più sviluppate. Il consumo nel continente africano, in ogni caso, è comunque superiore a quello medio rilevato in tutto il mondo 60 anni fa.

Il banchetto dei giganti In questo quadro di espansione a dominare sono comunque in pochi. Lo si intuisce dal peso crescente delle economie di scala che spingono il settore verso la concentrazione come conseguenza della concorrenza sui costi. Dal 1992 al 2009, ricorda il rapporto FOE, il numero dei maiali presenti negli Stati Uniti è rimasto sostanzialmente invariato. Quello degli allevatori, in compenso, si è ridotto del 70%. Le prime dieci compagnie alimentari attive nel mercato della carne hanno fatturato, nell’ultimo anno per il quale sono disponibili i dati, qualcosa come 190 miliardi di dollari. Una cifra equivalente al Pil dell’Irlanda. La combinazione tra un trend di crescita e un mercato concentrato produce varie conseguenze, a cominciare dalla capacità di “fare il prezzo”. E qui il ragionamento si allarga, perché molte sono le variabili in gioco. Da un lato, come si diceva, c’è la possibilità di sostenere costi più bassi, prima conseguenza del vantaggio “dimensionale”. È la logica degli allevamenti intensivi, con tutte le sue conseguenze in termini di filiera, prezzi e mercati paralleli, mangimi, ma anche antibiotici (vedi ARTICOLO a pag. 34). Ma è anche la logica, per dirne una, che ha accompagnato l’anno scorso la maxi operazione di acquisizione del | 32 | valori | ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 |

Il mercato della carne è sempre più concentrato nelle mani di pochi colossi. E la grande finanza ci ha messo lo zampino colosso Usa della carne di maiale Smithfield Food da parte della cinese Shuanghui International. Una transazione da 4,7 miliardi di dollari, nuovo record per un’operazione del genere sull’asse CinaStati Uniti. In Cina si produce più o meno la metà della carne di maiale consumata ogni anno nel mondo (109 milioni di tonnellate), ma i costi di produzione, ha rilevato Wu Shangzhi, il presidente della CDH Investments – una delle maggiori società di private equity cinesi (che agisce anche per conto del fondo pensione nazionale) nonché primo azionista di Shuanghui – sono molto più alti che negli Stati Uniti. Nel Paese, nota il New York Times, prevalgono i grandi allevamenti mentre in Cina i piccoli produttori sono ancora la maggioranza. Il risultato è che per produrre la stessa quantità di maiale gli americani, rispetto ai cinesi, spendono circa il 60%. Per questo l’acquisizione della major statunitense dovrebbe garantire al colosso di Pechino

un significativo risparmio sui costi nei prossimi anni.

Il fattore finanziario Ma il bello, a quanto pare, deve ancora venire. Perché la Shuanghui, che l’anno scorso ha registrato ricavi per 6,3 miliardi di dollari e oggi si chiama WH Group, si prepara ora a quotarsi in Borsa nella promettente piazza di Hong Kong. L’offerta pubblica iniziale (Initial public offer, Ipo) dovrebbe fruttare 5,3 miliardi. Ma chi controlla WH? Nel giugno scorso, notava ancora il quotidiano Usa, a spartirsi metà delle quote, oltre ovviamente a CDH, c’erano alcuni autentici pesi massimi: il fondo sovrano di Singapore, la società di investimento New Horizon Capital – una private equity che annovera tra i fondatori anche il figlio dell’ex primo ministro di Pechino Wen Jiabao – e la banca d’affari Usa Goldman Sachs. Domanda: cosa c’entra Goldman Sachs con il mercato delle materie prime (commodities)? La risposta la fornisce una cifra, 1,25 miliardi di dollari, vale a dire i profitti dell’attività di commodity-trading realizzati dalla banca nel solo 2012. Un dato da non sottovalutare in considerazione del peso che i mercati finanziari hanno assunto da tempo per il comparto della carne.


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LA CARNE IN BORSA Espansione dei volumi e aumento dei prezzi. Sono i trend principali 160 +85% registrati nel mercato finanziario 150 140 della carne, alla luce dell’analisi 130 120 condotta su due contratti chiave: il Live 110 100 Cattle e il Lean Hogs, scambiati entrambi 90 80 nella principale piazza delle materie 70 prime, la Chicago Mercantile Exchange 60 (CME). Il Live Cattle Future contract è il contratto di acquisto differito per il bestiame bovino degli allevamenti industriali dal peso unitario non FUTURE_LC1 (BOVINO), VOLUME superiore alle 800 libbre. 70.000,00 Questo contratto esprime un prezzo 60.000,00 unitario in dollari per 100 libbre di carne 50.000,00 (ma la dimensione del contratto 40.000,00 30.000,00 è di 40 mila libbre, più o meno 20.000,00 18 tonnellate). Tra le varie tipologie 10.000,00 di Live Cattle Future, il Front Month, 0,00 Il boom delle materie priil cui nome tecnico è “CME Live Cattle me, infatti, non ha risparmiato Futures, Continuous Contract #1 certo gli animali e i loro pro(LC1)” è il contratto di consegna dotti. Le componenti “carne” e per il mese successivo. Solitamente FUTURE_LN1 (MAIALE), PREZZO “latticini” del Food Price Index viene preso ad esempio per evidenziare 140 della Fao viaggiano oggi in +89% l’andamento dei prezzi in una serie 130 120 prossimità dei loro record stostorica. 110 100 rici (rispettivamente a 185 e Dieci anni fa, dicono i dati di trading 90 80 268,5 contro gli 89,9 e 80,9 pungiornaliero della CME (diffusi 70 ti registrati nel 2002) eviden60 da Quandl.com, un data provider 50 ziando una clamorosa crescita canadese), il prezzo unitario del Future 40 dei prezzi. A pesare è la cresciLC1 viaggiava sui 79 centesimi per libbra. ta della domanda, ma anche lo Oggi siamo a 1,46 dollari (146 per 100 sviluppo del mercato finanzialibbre quindi) con un aumento dell’85%. rio parallelo dei futures (vedi L’aumento dei prezzi riflette anche FUTURE_LN1 (MAIALE), VOLUME BOX ) nel quale operano sia i la crescita dei volumi. I dati giornalieri 45000,00 produttori del settore che gli sono storicamente molto variabili 40000,00 35000,00 investitori (società finanziarie ma è comunque possibile individuare 30000,00 e in misura minore le banche) una tendenza al rialzo. 25000,00 20000,00 non direttamente coinvolti Nel 2004, ad esempio, si superava 15000,00 nel comparto. Ovvero gli spe10000,00 molto raramente la soglia giornaliera 5000,00 culatori duri e puri. I prezzi dei dei 10 mila contratti. Oggi si supera 0,00 futures sui bovini e i maiali spesso quella dei 20 mila. Il 10 marzo scambiati alla Borsa di Chica2011, nel pieno del boom delle go (la principale piazza monFONTE: CHICAGO MERCANTILE EXCHANGE (CME), IN QUANDL commodities, si sono scambiati in un solo (WWW.QUANDL.COM). APRILE 2014. diale delle materie prime) sono oggi ai giorno oltre 59 mila contratti LC1. massimi storici. Negli ultimi dieci anni, Discorso simile per i maiali. Nel marzo del 2004, il prezzo fissato dal CME Lean Hogs dicono i dati dello US Department of Futures, Continuous Contract #1 (LN1) (Front Month) segnava 67 centesimi per Agriculture, il prezzo medio della carne libbra. Dieci anni dopo il valore è salito a 1,26 dollari. Quasi il doppio. di maiale nei supermercati americani è Nel 2005, il record di volumi giornalieri è stato di circa 17 mila contratti LN1. aumentato del 40%, quello della carne Tra il 2012 e il 2014, si è superata quota 30 mila in ben 25 occasioni. M.Cav. 31-03-14

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Genetica, farmaci e oligopoli alla base della filiera di massa di Matteo Cavallito

Il sistema carne coinvolge molti comparti. Ma a comandare sono in pochi. E la varietà di ciò che consumiamo è sempre più ridotta

nelle mani di pochi. Per capirlo basta guardare alle dinamiche stesse della produzione che, negli ultimi anni, sono sempre più dominate dagli allevamenti intensivi. Un trend non privo di conseguenze.

Allevamenti intensivi i sono i grandi e i piccoli allevatori. Ci sono i grandi gruppi della commercializzazione e della distribuzione. E ci sono i mega operatori dei comparti paralleli (ma non per questo meno coinvolti) dalla genetica al settore farmaceutico. Nel sistema produttivo della carne, in un modo o nell’altro, ci entrano più o meno tutti. Ma il peso di ciascun attore resta profondamente diverso e i profitti, in definitiva, si concentrano

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In primo luogo c’è la spinta alla produttività che crea un eccesso di offerta ai primi livelli della catena. «Il risultato è che i grandi gruppi, quelli che in definitiva fanno il prezzo, possono acquistare carne e latte a prezzi molto bassi», spiega Sebastiano Canavesio, titolare dell’omonima azienda agricola a Vittuone (MI). «I prezzi riconosciuti agli allevatori in Italia – prosegue – vanno incontro a variazioni annuali, ma in media sono fermi agli anni

AMBIENTE E PRODUZIONE: L’IMPATTO DELLA CARNE La crescita eccessiva della produzione di carne su scala globale ha un impatto tutt’altro che trascurabile sul Pianeta. È l’accusa che si è fatta strada negli ultimi anni a fronte delle dinamiche (e delle cifre) che accompagnano il fenomeno. Un problema evidente, sostengono i critici, a prescindere dai giudizi sulle scelte alimentari (dieta onnivora, vegetariana o vegana), tutte legittime, degli individui. In cima alla lista dei capi d’imputazione c’è la diffusione dei nitrati, una conseguenza dei processi di iper-fertilizzazione dei terreni con l’obiettivo di garantire alti livelli di raccolto di cereali alla base della produzione dei mangimi. I terreni smettono di drenare l’acqua piovana, l’erosione aumenta, i nitrati contaminano l’acqua mentre l’azoto e i suoi composti si insinuano nell’atmosfera. È il circolo inarrestabile della produzione intensiva – allevamento e coltura – che divora il suolo riducendo la biodiversità. Ma le critiche non si esauriscono qui. Il settore dell’allevamento, segnalava a gennaio un editoriale della rivista Nature, è responsabile del 14,5% delle emissioni gassose provocate (indirettamente, in questo caso) dall’uomo. L’area dedicata al pascolo equivale al 26% della superficie terrestre, quella occupata complessivamente dall’industria dell’allevamento compensa il 70% della terra destinata all’agricoltura. Per questo, osservava la rivista, «la riduzione del numero dei ruminanti e della produzione di carne derivante da essi porterebbe simultaneamente benefici in termini di sicurezza alimentare, salute umana e tutela ambientale». M.Cav.

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’80, senza contare che negli ultimi anni sono aumentati i costi di alcune materie prime come il fieno e la farina, cosa che ha ridotto ulteriormente i margini già bassi ottenuti dagli allevatori». Come a dire che i prezzi corrisposti a questi ultimi non sono aumentati sebbene, dal 1996 ad oggi, il costo della carne al supermercato (dati Istat) sia aumentato del 42% (in linea con l’inflazione complessiva del periodo, 46,6%). Canavesio ha scelto da tempo la strada dell’allevamento biologico puntando, al pari del collega Nicolò Reverdini, titolare dell’Azienda Agricola La Forestina Bosco di Riazzolo di Cisliano (MI), sulla conservazione della “varzese”, razza autoctona lombarda miracolosamente salvata dall’estinzione nei primi anni 2000. Canavesio e Reverdini utilizzano da tempo mangimi bio pur sapendo che la qualità di questi ultimi, di regola, non influisce sul prezzo che i grandi gruppi riconoscono agli allevatori. Quello della varzese, in definitiva, sopravvive come mercato di nicchia (è un Presidio Slow Food), ma è un caso relativamente isolato. Perché la realtà, a conti fatti, è costituita da un mercato dominato da pochi attori – nel 2013 il gruppo Cremonini, leader italiano, ha fatturato da solo 3,5 miliardi – e, particolare significativo, da poche razze.

Un circolo vizioso Il fatto è che la grande industria ha sviluppato negli anni poche razze iperproduttive che, ricorda l’ultimo rapporto FOE, «necessitano di nutrimenti ad alto contenuto proteico, medicinali costosi e ambienti climatizzati» dove crescere e produrre. Anche per questo le major dell’allevamento – come la thailandese Cha-


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roen Pokphand, la tedesca EW Group, la britannica Genus o la francese Groupe Grimaud, per citarne solo alcune – finiscono per dominare le attività di ricerca e sviluppo nel comparto della genetica animale. «Il problema – spiega ancora Canavesio – è che un animale che garantisce 15 litri di latte al giorno mangia come quello che ne produce 50». E, siccome i costi fissi incidono molto, «dal punto di vista economico a chi alleva in serie conviene puntare su animali che rendono di più come la frisona, ad esempio, o le razze francese e belga che hanno una massa muscolare enorme». Oggi, rileva il FOE, l’83% dei prodotti caseari viene dalle frisone. Sul fronte della macellazione bovina, tre sole razze – Angus, Hereford e Simmental – compensano oltre la metà della produzione. Di fatto si tratta di un circolo vizioso ad ogni livello, a partire dalla diffusione stessa dei mangimi industriali che, nota Reverdini, «sono studiati per spingere l’animale al massimo e portarlo il più rapidamente possibile alla macellazione». La conseguenza? «Le razze si indeboliscono – pre-

UE, LE FARINE ANIMALI SONO DI NUOVO LEGALI La messa al bando è durata 12 anni e alla fine è arrivata la riapertura, sebbene con alcune limitazioni chiave. All’inizio dell’anno scorso, con l’approvazione del Regolamento n. 56 (16 gennaio 2013), l’Unione europea ha reintrodotto negli allevamenti le farine animali, ovvero i mangimi contenenti le cosiddette Pat (proteine animali trasformate). Il nuovo regolamento europeo ha riammesso le farine ottenute da galli, galline e suini per il nutrimento di questi ultimi nonché dei pesci di allevamento mantenendo il divieto per quelle originate dai ruminanti (bovini, ovini e caprini). Resta proibito il “cannibalismo”: le farine di origine avicola potranno essere usate solo per il nutrimento dei maiali e viceversa. Il divieto originario era stato imposto nel 2001, a qualche anno di distanza dall’esplosione dell’emergenza “mucca pazza”, l’epidemia di encefalopatia spongiforme bovina (Bovine spongiform encephalopathy, BSE) che aveva avuto il suo epicentro nel Regno Unito e che, secondo la più diffusa ipotesi scientifica, sarebbe stata originata proprio dall’impiego di questo genere di farine. La “trasmissione” della BSE all’uomo è stata identificata sotto forma di una variante del morbo di Creutzfeldt-Jakob (vCJD), una malattia neurodegenerativa letale. Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, dall’ottobre del 1996 al marzo del 2011, si sono avuti 224 casi di vCJD di cui 175 nel Regno Unito e 25 in Francia. Due i casi registrati in Italia. M.Cav.

cisa – e sono più facilmente esposte alle patologie, come dimostra il caso delle razze più diffuse nell’allevamento in serie come la frisona». E così, mentre l’Europa riabbraccia le contestatissime farine animali (vedi BOX ), le industrie farmaceuti-

che possono venire incontro alle esigenze degli allevamenti intensivi. Oggi, gli animali allevati in Italia consumano circa 370 milligrammi di antibiotici per chilo. Il livello più alto d’Europa dopo quello registrato a Cipro (408). 


| economiasolidale | consumo di suolo |

Per salvare la campagna riscopriamo la città di Valentina Neri

Negli ultimi tre anni sono stati divorati dal cemento 720 km quadrati. Lo denuncia un recente rapporto dell’Ispra. La colpa non è tanto delle nuove case, ma delle strade. Un’urbanizzazione disordinata che danneggia il territorio

Più strade che case Ma, al di là delle cifre (che riportiamo nei grafici in queste pagine), la vera novità di questo rapporto è che disaggrega i dati per capire quali sono le opere responsabili del consumo di suolo. «Ne emerge che i veri protagonisti non sono case, scuole e ospedali, ma le infrastrutture per la mobilità: insomma, siamo più asfaltati che cementificati. D’altronde, in un momento in cui l’edilizia vive una crisi senza precedenti, cosa si continua a

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«Le grandi opere, dalla Tav alle autostrade, certamente hanno un ruolo nel consumo di suolo», spiega l’ingegner Michele Munafò, autore del rapporto. «Bisogna considerare anche le strade secondarie e locali, che, prese singolarmente, sembrano ininfluenti, ma nel loro insieme coprono una superficie con-

STIMA DEL SUOLO CONSUMATO (%) A LIVELLO RIPARTIZIONALE, PER ANNO

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Un’urbanizzazione disordinata

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STIMA DEL SUOLO CONSUMATO A LIVELLO NAZIONALE, PER ANNO Suolo stimato [percentuale sulla superficie nazionale] Suolo consumato [km2, ettari per anno]

costruire se non le strade?», spiega a Valori il presidente di Legambiente Lombardia, Damiano Di Simine. Le strade coprono, infatti, quasi la metà del suolo consumato. A loro bisogna aggiungere un altro 14% formato da piazzali, parcheggi, cantieri, discariche e aree estrattive. Agli edifici rimane solo (si fa per dire) il 30%. Un dato che fa letteralmente a pugni con il sentire comune e con le affermazioni della politica, che dipingono l’Italia come un Paese in perenne ritardo infrastrutturale.

5,5% 5,2% 4,8%

I

malato, che si sta privando di una risorsa fondamentale per contrastare le emissioni di CO2, garantire la biodiversità e l’equilibrio idrogeologico. Un problema che si fa sentire da Nord a Sud dello Stivale: se in Lombardia e in Veneto si supera il 10% di suolo consumato, le percentuali sono comprese tra l’8 e il 10% anche in Campania, Lazio, Puglia e Sicilia.

3,9% 2,9% 2,3% 2,6%

mmaginiamo di sommare il territorio dei comuni di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo. Otteniamo 720 chilometri quadrati. Vale a dire l’equivalente di tutto il suolo italiano che è stato divorato dal cemento negli ultimi tre anni. Ogni secondo, notte compresa, ne perdiamo 8 metri quadri. Ogni giorno, 70 ettari: l’equivalente di un centinaio di campi da calcio. Ed è praticamente impossibile tornare indietro. Il consumo di suolo è un tema che su Valori seguiamo da tempo. È prepotentemente tornato alla ribalta alla fine di marzo, quando l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha pubblicato un rapporto che, per la prima volta, ricostruisce il suo andamento dal secondo dopoguerra a oggi. Se questi dati hanno conquistato pagine e pagine sui principali quotidiani nazionali è perché non possono lasciare indifferenti. Dipingono un Paese

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siderevole. Ma il ruolo più importante è quello delle infrastrutture legate a un modello insediativo che tende sempre di più verso un sistema di dispersione urbana e non di città compatta». Tradotto: se si costruisce un centro commerciale fuori città si “perdono” i metri quadri occupati dall’edificio, ma anche quelli coperti dalle strade, dai parcheggi, dagli svincoli e da tutte quelle attività e quegli insediamenti che nascono in funzione del centro commerciale stesso. E le nostre città tendono sempre di più a espandersi in questo modo disordinato: si tratta del cosiddetto urban sprawl, di cui abbiamo parlato diffusamente su Valori di dicembre/gennaio. Quello dell’espansione incontrollata delle aree urbane a bassa densità di popolazione non è un fenomeno solo nostrano. Gli esempi più famosi, non a caso, sono Los Angeles e Atlanta. È una tendenza che in parte nasce da fattori socio-economici sedimentati negli ultimi sessant’anni, come – ricorda Di Simine – il graduale spostamento delle fabbriche dal centro alla periferia. Ma anche la convenienza economica gioca un ruolo importante. Com’è noto, infatti, la casa in campagna per l’acquirente ha un costo al metro quadro molto più basso rispetto all’appartamento in città, ma garantisce molto di più al costruttore in termini di rendita differenziale. «Dobbiamo avere il coraggio – afferma Di Simine – di aggredire con un diverso carico impositivo fiscale questo meccanismo, che è alla base della speculazione immobiliare. Per contro, dobbiamo privilegiare l’edilizia del riuso, semplificandone i tempi e le procedure. Il ragionamento deve essere questo: si può costruire su aree libere, consumando suolo, a patto che le esigenze lo impongano. Non certo perché è la via più breve per arricchire il portafogli dei costruttori». «Né tantomeno per risollevare i bilanci dei Comuni – gli fa eco Munafò – che incassano i proventi degli oneri di urbanizzazione e, a seguito dell’abrogazione della legge Bucalossi, li possono utilizzare al 75% come moneta corrente».

STIMA DEL SUOLO CONSUMATO A LIVELLO REGIONALE NEGLI ANNI ’50 E NEL 2012

ANNI ’50

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Città da ri-utilizzare Se vogliamo tutelare le nostre campagne minacciate dall’avanzata del cemento, insomma, è dalle città che dobbiamo ripartire. Lavorando su più fronti per la rigenerazione urbana, per la rinascita dei piccoli borghi, per il riuso del patrimonio edilizio già esistente e delle aree industriali dismesse. «Gli enti locali spesso non sanno neppure quali sono gli edifici inutilizzati nel loro territorio – spiega Munafò –, edifici che potrebbero rivelarsi utilissimi per risolvere i problemi abitativi, magari attraverso una politica parallela degli affitti». In sintesi, c’è tanto da fare. «In alcune città come Milano, le zone centrali si sono svuotate di popolazione per lasciare spazio alla finanza. Altrove, soprattutto al centro-sud, gli edifici vuoti hanno iniziato letteralmente a crollare. Dobbiamo fare quello che per anni non abbiamo fatto: investire sulle città. E non è un investimento di poco conto! Fermare il consumo di suolo dunque non significa deprimere ancora di più l’economia ma, al contrario, significa far rinascere l’edilizia sulla base di un nuovo modello di politiche industriali. Stiamo parlando di economia vera, un’economia fatta di cantieri, di opere, di interventi», argomenta Di Simine.

A questo punto, inevitabilmente, deve entrare in gioco la politica. Una politica che si sta facendo avanti: mentre scriviamo questo numero di Valori, il disegno di legge sul Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato è all’esame della commissione Ambiente della Camera. Anche l’Ispra ha collaborato per elaborare le definizioni tecniche e allineare il testo alle linee guida pubblicate nel 2012 dall’Unione europea per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo, fino ad arrivare entro il 2050 a un consumo di suolo netto pari a zero. «Siamo globalmente soddisfatti di questa norma – commenta Munafò – ma a preoccuparci sono i tempi. Il disegno di legge prevede una serie di passaggi che dovranno essere definiti tramite decreti specifici. Noi proponiamo però di stabilire già da subito degli obiettivi cautelativi per evitare che nel frattempo si prosegua come se niente fosse con i piani urbanistici previsti da gran parte dei Comuni italiani, che ci porterebbero a perdere buona parte del nostro territorio. È un qualcosa che non ci possiamo più permettere: i numeri dimostrano che ormai il nostro territorio in gran parte è già perso, è fragile e non si può consumare ancora».  | ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 | valori | 37 |


| economiasolidale | inchiesta |

Io, infiltrato da Amazon Il migliore dei mondi di Elisabetta Tramonto

Jean-Baptiste Malet, un giovane giornalista francese, si fa assumere da Amazon per verificare le condizioni di lavoro nel magazzino d’Oltralpe. Una situazione di quasi schiavitù, fisica e psicologica.Valori lo ha intervistato olevo fare un’inchiesta sulle condizioni di lavoro da Amazon, ma quando ho provato a intervistare i lavoratori, tutti avevano paura di parlare. La risposta era: se parlo sarò licenziato. Così ho deciso di verificare di persona». Jean-Baptiste Malet è un giornalista ventiseienne francese. Si è fatto assumere dal colosso del commercio on line, per un paio di mesi ha fatto il picker, l’addetto al recupero del materiale da spedire, sostenendo i ritmi inumani da operaio del turno di notte e toccando con mano il “metodo Amazon”. Il suo libro che racconta questa esperienza, dopo il boom editoriale in Francia (10.000 copie vendute in poche settimane) e in Spagna, è arrivato anche in Italia con il titolo En Amazonie. Un infiltrato “nel migliore dei mondi”. Lo abbiamo in-

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Jean-Baptiste Malet, giornalista francese, intervistato da Valori a Milano.

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contrato lo scorso 5 aprile, a Milano, in una libreria indipendente del quartiere Isola. Una scelta efficace per mostrare quello che Amazon sta distruggendo. Che tipo di controllo esercita Amazon? È un controllo fisico e psicologico. Il motto di Amazon recita: “Work hard, have fun, make history”, cioè “lavora duro, divertiti, fai la storia”. Pensavo fosse un innocuo slogan aziendale, invece i lavoratori vengono martellati. La frase viene ripetuta continuamente e diventa una realtà nella giornata di lavoro. Il controllo è incessante: un sistema informatico calcola minuto per minuto la produttività del lavoratore. I dati vengono archiviati e usati per stilare delle classifiche. Ogni inizio turno si fanno degli assembramenti e si dichiara il lavoratore migliore, il top performer, che tutti devono applaudire. Una sorta di propaganda dell’operaio modello. Ed

ecco i primi segnali dell’ideologia che domina. Il picker, anche quando è fisicamente lontano dai suoi superiori gerarchici, è “tracciato” permanentemente dal suo scan wi-fi, che trasmette in modo continuo tutte le informazioni registrate. Il manager verifica la sua produttività e lo riprende se non migliora rispetto al giorno prima. Perché non esistono dei ritmi di lavoro prestabiliti: ogni giorno devi essere più rapido del giorno prima. Il ritmo di lavoro deve aumentare di continuo, il che è ideologico e assurdo. Ma quando lavori per Amazon entri in questa logica. E il controllo avviene anche tra colleghi. Come viene chiesto ai lavoratori

LIBRI Jean-Baptiste Malet “En Amazon ie”. Un infiltrato nel “migliore dei mondi” Kogoi Edizioni, 2013


| economiasolidale |

di segnalare guasti e anomalie nella produzione, allo stesso modo si induce a “denunciare” ai superiori i colleghi che chiacchierano durante l’orario di lavoro, perché riducono la produttività dell’intero stabilimento. In questo modo i lavoratori sono indotti a interiorizzare il controllo sociale. Sembrano più regole da caserma… Certo, Amazon stessa afferma che i principi che organizzano la sorveglianza sono simili a quelli validi nell’esercito: «Leadership, Disciplina, Organizzazione. Se lasciate l’esercito, avete perlomeno queste qualità. E potete mettervi al servizio di Amazon. Se avete esperienza nell’esercito, condividete certamente i nostri valori. I nostri metodi di lavoro non dovrebbero crearvi difficoltà». Nello stabilimento sono proibiti orologi, gioielli, occhiali da sole. Non si può tenere niente in testa, i capelli devono essere legati, è permessa solo la fede nuziale, che però, dicono, potrebbe far perdere tempo durante lo screening. Contemporaneamente Amazon organizza momenti di convivialità artificiale fuori dall’orario di lavoro: gite, svaghi, addirittura massaggi. Ma spesso si traducono in qualcosa di surreale. Come la distribuzione delle caramelle o la caccia all’uovo di Pasqua nel parcheggio dello stabilimento. O ancora i turni vestiti in maschera: alcuni giorni i manager fissano un tema e i lavoratori sono invitati a venire a lavoro travestiti secondo il tema, come clown, calciatori o altro. Vige un neopaternalismo applicato all’organizzazione del lavoro. Il lavoro è così faticoso? Sì, un picker cammina ogni giorno per chilometri nell’immenso stabilimento. In più la merce è stoccata con una logica appositamente caotica, per ottimizzare gli spazi usati. Se arrivano duemila copie di un bestseller da vendere in una settimana, sarebbe un problema liberare un unico spazio dove stoccarle tutte insieme. È più semplice metterle dove c’è posto, sparpagliate, in mezzo all’altra merce. Nessuno sa dove si trovano i prodotti, solo il sistema informatico. Sullo

NON È TUTTO ORO NEL PARADISO DI AMAZON Nel 2013 Amazon ha fatturato 74,45 miliardi di dollari in tutto il mondo, 274 milioni di utile (in crescita dal 2012), al netto delle tasse e di ogni altra spesa, con 117 mila dipendenti nel mondo. Il colosso della vendita on line, dominatore dell’editoria digitale grazie al suo e-reader Kindle, muove moltissimo denaro ma, in proporzione, ricaverebbe poco, stimolando la curiosità e l’attenzione fiscale di vari Stati europei, dove lavora e vende merci ma non sovvenziona granché l’erario. Anche perché Amazon EU SARL è una società a responsabilità limitata di diritto lussemburghese, Paese notoriamente favorevole sul piano fiscale, mentre la “casa madre” ha la sede principale a Beacon Hill, nei pressi di Seattle, nello stato americano di Washington. Decine i centri di spedizione e magazzini nel mondo, numerose le sedi oltre a Usa e Lussemburgo: Monaco di Baviera, Parigi, Dublino, Slough (UK), Tokyo e Pechino. Negli ultimi anni alcune inchieste giornalistiche si sono occupate della florida multinazionale dell’e-commerce, criticando spesso le condizioni di lavoro dei dipendenti, specialmente nel periodo delle festività natalizie: a febbraio 2013 lo hanno fatto Diana Löbl e Peter Onneken con un videoreportage sui lavoratori temporanei stranieri presso la sede tedesca di Bad Hersfeld; a dicembre 2013 Carole Cadwalladr per The Observer, lavoratrice “infiltrata” a Swansea, in Galles, denunciava contratti precari, turni di lavoro massacranti e licenziamenti facili. C.F.

stesso ripiano possono esserci un paio di scarpe, un telefonino, un libro di Gramsci e un cd di musica classica. Il libro viene desacralizzato, è solo merce da vendere, come un paio di scarpe. Si perde totalmente il rispetto del libro che invece si trova in una libreria come questa. E per il lavoratore significa fare chilometri, seguendo l’indicazione del proprio scanner, senza neanche sapere esattamente dove si sta andando. 20 chilometri in media al giorno, dichiara ufficialmente Amazon, anche 24 secondo il sindacato. Vengono violati i diritti dei lavoratori? Anche i più basilari . Ogni notte, i lavoratori hanno diritto solo a due pause. Una retribuita da Amazon, l’altra è a carico del lavoratore. Spesso negli stabilimenti fa un caldo da soffocare e non ci sono finestre. Oppure d’inverno si gela e non viene acceso il riscaldamento. In uno stabilimento in Francia si è riusciti a ottenere che fosse acceso solo dopo una serie di scioperi (per il riscaldamento!). Com’è possibile che i lavoratori non si rendano conto della situazione? La maggior parte se ne rende conto, ma la disoccupazione e la precarietà sono talmente gravi che il bisogno di lavorare

prevale su tutto. Quando vieni assunto da Amazon ti viene subito detto: «Hai un’occasione incredibile, la possibilità di avere un lavoro, un contratto a tempo indeterminato». E si entra subito in una logica di dominazione. Si vuole solo conservare il posto. C’è poi chi entra nel meccanismo per cui se lavori velocemente e se fai la spia su un collega puoi risalire la scala gerarchica. Ma anche i manager hanno una vita disastrosa, mal pagati, e costretti a fare un lavoro fisicamente faticoso. Perché hai voluto scrivere questo libro? Per far capire alla gente che è vero che comprare un libro su Amazon è facile e spesso più economico, ma così si alimenta uno sfruttamento e si fa una scelta di società e non solo di consumo. Secondo i dati della Federazione dell’e-commerce e della vendita a distanza, per vendere lo stesso numero di libri servono diciotto volte meno impiegati in un magazzino logistico di Amazon che in una libreria indipendente. Più cresce Amazon più viene distrutto lavoro. Come ha reagito Amazon alla pubblicazione di una simile denuncia? Nel modo più intelligente e disarmante possibile: mettendo in vendita il libro.  | ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 | valori | 39 |


| socialinnovation |

Resilienza ecologica

La versione canadese del welfare di comunità er contribuire a promuovere nuovi approcci alla soluzione delle sempre più complesse sfide sociali, la provincia canadese dell’Alberta ha costituito il Fondo Sociale di Innovazione Sociale (Fsis), con una dotazione iniziale di un miliardo di dollari. Molti problemi sono comuni a sistemi di welfare nostrani, come i senzatetto, la violenza familiare,

P

di Andrea Vecci

le nuove povertà. La provincia canadese incentiva l’integrazione di metodologie di intervento assai diverse, sviluppate dal pubblico, dal privato e dal terzo settore. Uno dei concetti alla base del fondo è la resilienza ecologica, la capacità cioè di un ecosistema di trovare nuove forme di equilibrio dopo una crisi. In biologia si stima che un ecosistema con maggiore variabilità dei fattori ambientali produca una più alta resilienza delle specie che vi appartengono. La capacità di adattamento canadese si basa sulla già forte partnership tra profit, non profit e i diversi governi provinciali. Il fondo svilupperà tre funzioni importanti: la ricerca e sviluppo delle trasformazioni sociali e delle policy, il design e l’implementazione di interventi tipo, i prototipi sociali e il modello di finanziamento dell’innovazione sociale. Un altro degli operatori più importanti, simili al Fsis, si trova nella provincia di Ontario ed è il MaRS Discovery District, un fondo di accelerazione degli investimenti, che ha una dotazione finanziaria più ridotta del primo, 148 milioni di dollari, ma è in grado di raccoglierne altri 300 ogni anno. Li ripartisce in quelli che ritiene essere i settori a maggiore variabilità quali l’Ict e il digitale, la ricerca medico-scientifica applicata al benes-

nadese compri meno di due francobolli al mese. A partire dal 2014 ci sarà una razionalizzazione di cinque milioni di caselle postali singole verso caselle di posta “comunitarie”, condivise, che consentirà un taglio di settemila posti di lavoro, circa il 10% del totale. I 6.400 uffici postali sono la più grande rete di vendita al dettaglio in Canada e anche questi sportelli subiranno una riconversione per migliorare i servizi logistici dello shopping online di altri operatori, un mercato in forte espansione. Come può inserirsi un’azienda in crisi all’interno del panorama della resilienza canadese? Canada Post ha deciso di ricostruire un valore condiviso creando un servizio di check-up di alto livello in cui il personale addetto alle consegne, opportunamente formato, potrà svolgere un controllo sanitario domiciliare agli anziani che lo richiederanno. Il servizio integra anche la consegna di viveri, sviluppando così le funzioni postali con nuove funzioni di welfare che manterrebbero costante il flusso di consegne. In questo scenario gli anziani sono curati regolarmente, ottengono generi alimentari consegnati alla loro porta, le poste hanno un’entrata aggiuntiva, ma come si chiameranno questi nuovi postini?  Info sul blog Social Innovation di valori.it

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La lezione dell’ecologia applicata all’innovazione sociale: quando la variabilità vince sulla stabilità sere, la green economy e la social innovation. L’uso strategico del fondo produce 1.500 nuovi posti di lavoro diretti. I sistemi di welfare comunitari che non innovano, i cui parametri ambientali sono rimasti quasi immutati per anni, non hanno la capacità di rigenerarsi a seguito di disturbi anche molto meno pesanti dell’attuale crisi economica. Canada Post, ad esempio, ha in programma di eliminare gradualmente i servizi di consegna delle lettere porta a porta entro il 2019. La società postale canadese è costretta a intervenire per motivi finanziari. La rivoluzione digitale delle mail e della Pec ha ridotto drasticamente il servizio di consegne: si stima che in media ogni famiglia ca-


fotoracconto 04/05

ARCHIVIO WWF

Il pub White Bear (cioè Orso bianco, manco a dirlo!) di Tewkesbury, nella regione del Gloucestershire, in Gran Bretagna, completamente circondato dalle acque. Conseguenza delle forti piogge che hanno gonfiato i fiumi Severn e Avon, per una inodazione che ha allagato l’Inghilterra centro-meridionale lasciando centinaia di migliaia di persone senza acqua ed elettricità. Era il 20 luglio del 2007. | ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 | valori | 41 |



| materiali preziosi |

internazionale Elezioni indiane: la frattura tra antico e moderno > 46 HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG / STEVE JURVETSON FROM MENLO PARK, USA

L’urlo di Shila, sopravvissuta al disastro del Rana Plaza > 48 Municipali francesi: sono le tv a votare Front National > 49

Terre rare Comanderà ancora Pechino Il WTO dà torto alla Cina. Ma la leadership del dragone nel mercato mondiale è destinata a durare ancora a lungo. I programmi di indipendenza di Stati Uniti ed Europa procedono a rilento Foxconn, la fabbrica elettronica a Shenzen, in Cina. Gli operai indossano gli occhiali come protezione dalla luce utilizzata per foto-curare la resina epossidica contenuta nei componenti in fibra ottica.

di Matteo Cavallito

a sentenza, ampiamente attesa, è arrivata a fine marzo: i limiti alle esportazioni imposti dalla Cina nel comparto delle terre rare sono illegittimi. Lo ha stabilito il WTO (World Trade Organization), l’Organizzazione mondiale per il commercio. Pechino, in altri termini, avrebbe compiuto una pratica commerciale scorretta danneggiando in primis Stati Uniti e Unione europea, due dei principali mercati di destinazione degli elementi, e producendo, di fatto, una limitazione dell’offerta capace di innescare una corsa al rialzo dei prezzi. La vicenda, in realtà, non è ancora conclusa, visto che la Cina avrà tempo fino a fine maggio per presentare appello, anche se tutto lascia supporre che la massima organizzazione del commercio mondiale

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| internazionale |

non cambierà idea. Ma il punto, ed è questo l’aspetto più importante, è che la decisione rischia di non modificare più di tanto gli equilibri di mercato. Perché il dominio cinese non dà certo l’impressione di vacillare. E allo stato attuale delle cose, le prospettive di indipendenza dell’Occidente sono ancora lontane. Ma facciamo un passo indietro.

Le terre rare, o Rare earth elements, sono un insieme di 17 metalli (vedi BOX ) essenziali per le produzioni dell’industria hi-tech e non solo. Morale: se avete installato un pannello fotovoltaico o più banalmente guidate un’automobile, possedete una tv, utilizzate uno smartphone oppure un tablet, è pressoché certo che abbiate a che fare quotidianamente con esse.

TERRE RARE, ASCESA E CADUTA DEI PREZZI

FONTE: STOXX LIMITED (WWW.STOXX.COM), APRILE 2014. PREZZO IN DOLLARI USA

Una valida fotografia del trend dei prezzi delle terre rare la offrono, tra gli altri, i celebri cinque elementi “critici”. Il prezzo medio del neodimio, dicono i dati storici diffusi da Metal Pages, è praticamente raddoppiato tra il 2005 e il 2009 per poi triplicare nello spazio di un solo anno e aumentare ancora di 4,8 volte nei dodici mesi successivi. Il prezzo del disprosio è aumentato quasi del 3.500% tra il 2005 e il 2011 mentre, nello spazio di cinque anni, il valore di mercato dell’ittrio è cresciuto del 3.300%. La ripresa delle attività minerarie negli Stati Uniti ha contribuito a un aumento dell’offerta e a una conseguente riduzione dei prezzi. Alla fine di marzo il prezzo dell’ittrio viaggiava poco sopra ai livelli del 2008-09 evidenziando, non diversamente dagli altri elementi, un trend ribassista di lungo periodo. Molto interessante l’impatto dei prezzi di mercato sulle redditività delle compagnie del settore. Lo evidenzia il cosiddetto STOXX Global Rare Earth, un indice che misura la performance delle imprese che generano almeno il 30% dei propri ricavi nel settore delle terre rare attraverso attività di esplorazione, estrazione, trasporto, lavorazione e così via. Alla fine di aprile 2011 l’indice ha toccato il suo picco attorno a quota 600 dollari per quota, con un aumento del 500% circa rispetto al giugno 2009. Nell’aprile di quest’anno, l’indice ha aggiornato il suo record negativo con un valore unitario inferiore agli 83 dollari. M.Cav. RARE EARTH: LA PERFORMANCE DELLE IMPRESE DEL SETTORE 2009-2014 700 600 500 400 300 200 100 0

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ASCESA E CADUTA DEI PREZZI: ELEMENTI “CRITICI” 2005-14

Neodimio Disprosio

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7,4

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15

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234

114

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Secondo l’Office of the United States Trade Representative (USTR), le industrie che utilizzano le terre rare – da General Electric a Toyota, da Blackberry ad Apple per citarne solo alcune – contribuiscono all’economia americana per oltre 300 miliardi di dollari (quasi il 2% del Pil Usa).

Dominio cinese Il problema è che la Cina conserverebbe nei suoi giacimenti riserve per 55 milioni di tonnellate, meno della metà del totale del Pianeta (vedi GRAFICO ). Eppure, ad oggi, controlla ancora quasi il 90% del mercato mondiale. Una leadership nata negli anni ’90 quando «una politica di sussidi e sovvenzioni all’industria mineraria ha permesso agli estrattori cinesi di vendere in perdita i loro lantanidi, proponendo prezzi pari al 5% di quelli praticati dagli abituali produttori internazionali», spiega a Valori Alessandro Riccardo Ungaro*, assistente alla ricerca nell’area Sicurezza e Difesa dell’Istituto Affari Internazionali (IAI). È stato allora che i leader di mercato come Australia, Brasile, India, Malesia e Stati Uniti «hanno dovuto dismettere gran parte delle loro miniere» lasciando campo libero a Pechino. «In questo contesto – aggiunge Ungaro – la produzione di terre rare è raddoppiata inizialmente tra il 1990 e il 1995, e una seconda volta tra il 1995 e gli ultimi anni». Nel 2010 la Cina ha posto limiti all’estrazione, chiamando in causa il tema della tutela ambientale. Con le esportazioni ridotte artificialmente, i prezzi delle terre rare sono saliti alle stelle con incrementi percentuali a quattro cifre (vedi BOX ). Negli anni successivi l’aumento dell’efficienza nell’utilizzo degli elementi e lo sviluppo «di nuove fonti alternative in altri Paesi – Groenlandia, Russia e soprattutto Giappone – hanno determinato un sensibile calo dei prezzi». Ma non tutti i problemi sono stati risolti. A cominciare dal più importante di tutti: quello della dipendenza.

41

69

83

112

104

232

1471

980

534

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Indipendenza ancora lontana

Terbio

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Europio

277

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Nel 2011 il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha individuato in tal senso cinque elementi “critici”. Neodimio, disprosio, terbio, europio e ittrio, sostiene Washington, sono essenziali per l’econo-

Ittrio

FONTE: METAL PAGES IN ARAFURA RESOURCES (WWW.ARAFURARESOURCES.COM.AU) APRILE 2014. PREZZI MEDI PER 1KG IN DOLLARI USA. *DATO MENSILE AL 27 MARZO 2014.

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VIETNAM 220 RUSSIA 2.400 MALESIA 100 INDIA 2.900

USA 4.000

ALTRI 41

USA 13

AUSTRALIA 2.000

AUSTRALIA 2,1

BRASILE 140

TERRE RARE, PRODUZIONE MONDIALE (2013)

CINA 100.000

MALESIA 0,03

INDIA 3,1

TERRE RARE, RISERVE GLOBALI (2013)

BRASILE 22

CINA 55

LE 17 TERRE RARE Elemento

Simbolo

Numero atomico

Scandio

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Ittrio

Y

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Lantanio

La

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Cerio

Ce

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Praseodimio

Pr

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Neodimio

Nd

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Promezio

Pm

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Samario

Sm

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Europio

Eu

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Gadolinio

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Terbio

Tb

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Disprosio

Dy

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Olmio

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Erbio

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Tulio

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Itterbio

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Lutezio

Lu

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mia ma la loro disponibilità è tuttora a rischio a fronte di problemi relativi alla stabilità politica o alle scelte regolamentari (limiti all’export o all’estrazione, ad esempio). Un anno prima anche l’Ue aveva seguito il medesimo ragionamento stilando una lista di critical raw elements. Il totale ammonta a 14 e comprende terre rare e altre materie prime. Un paio di esse, ha rilevato Bruxelles, sarebbero presenti in modo significativo in Italia anche se nei confini Ue, al momento, non esiste alcun tipo di attività estrattiva (vedi BOX ) visto che nel Vecchio continente si

L’ITALIA? UNA MINIERA DI ELEMENTI PREZIOSI La “bomba” l’ha sganciata di recente la Commissione europea: l’Italia conserverebbe nel sottosuolo rilevanti quantità di antimonio e titanio, due risorse che, pur non rientrando nella categoria delle “terre rare”, risultano fondamentali per l’industria hi-tech e che, ad oggi, il Continente è costretto a importare interamente dall’estero. «Il potenziale geologico in Europa esiste per entrambi gli elementi», spiegano a Valori fonti della Commissione Ue. «Nuove attività minerarie potrebbero ridurre la nostra dipendenza dalle importazioni dai Paesi extraeuropei come la Cina». In passato, precisano ancora da Bruxelles, la produzione di antimonio era attiva in Francia e Romania ma al momento non si registrano più attività di estrazione. Diverso, invece, il discorso relativo al capitolo “esplorazione”. Proprio in Italia, sostiene la Ue, si evidenzierebbero “potenzialità di sviluppo minerario” nel deposito di titanio di Piampaludo, in Liguria, senza contare le indagini in corso sui siti di antimonio presenti in Toscana. «Abbiamo una cassaforte piena di ricchezza sepolta nel terreno e non la tiriamo fuori», aveva dichiarato all’Ansa il responsabile per le materie prime nella Commissione europea, Mattia Pellegrini, a margine di un convegno dello scorso 6 dicembre presso l’Università La Sapienza di Roma. Spontaneo chiedersi il motivo, ma basta girare la domanda agli uffici della Commissione Ue per ricevere, in via informale, un commento piuttosto eloquente: «bisognerebbe chiederlo al Governo italiano». M.Cav.

realizza soltanto produzione secondaria, ovvero lavorazioni (o riciclo) di elementi estratti altrove. Tra il 2009 e il 2012, la quota di domanda americana soddisfatta dalle esportazioni cinesi è calata dal 91 al 79%. Nel 2013, in compenso, i consumi interni Usa sono quasi raddoppiati (10.500 tonnellate contro le 5.770 del 2012). Dopo anni di totale inattività, gli Usa hanno ripreso le operazioni minerarie nel 2012 quando la principale società del settore, la Molycorp, ha riaperto dopo un decennio la miniera californiana di Mountain Pass. «La miniera – ricorda Ungaro – do-

vrebbe arrivare a produrre 20 mila tonnellate di terre rare all’anno, da riservare ai mercati statunitense, europeo e giapponese. Secondo alcuni esperti occorreranno però almeno 15 anni prima che gli Stati Uniti possano rilanciare le proprie miniere e affrancarsi dalla dipendenza dalla Cina». Nel 2013, gli Usa hanno estratto complessivamente quattromila tonnellate. Pechino, nello stesso anno, ne ha prodotte 25 volte tanto.  * L’intervista completa è disponibile su www.valori.it | ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 | valori | 45 |

FONTE: U.S. GEOLOGICAL SURVEY (HTTP://MINERALS.USGS.GOV), MINERAL COMMODITY SUMMARIES, FEBBRAIO 2014. DATI IN TONNELLATE

FONTE: U.S. GEOLOGICAL SURVEY (HTTP://MINERALS.USGS.GOV), MINERAL COMMODITY SUMMARIES, FEBBRAIO 2014. DATI IN TONNELLATE

| internazionale |


FONTE: HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG / DADEROT

| internazionale | grandi potenze |

Elezioni indiane: la frattura tra antico e moderno

di Paola Baiocchi

Il rinnovo parlamentare in corso potrebbe segnare il definitivo declino della dinastia Gandhi e rappresentare un vero spartiacque per il gigante asiatico, alla ricerca di un nuovo ruolo come potenza regionale econdo Paese più popoloso al mondo dopo la Cina, l’India mostra tutta la sua portata demografica nei numeri del rinnovo parlamentare in corso e nella complessità delle operazioni di voto. Sono, infatti, 815 milioni gli aventi diritto – cento milioni in più rispetto alle precedenti elezioni del 2009 – che hanno cominciato ad esprimersi il 7 aprile nella prima delle sette date cadenzate fino al 12 maggio. Voteranno in circa nove milioni di seggi, raccolti in 543 circoscrizioni, che esprimeranno ognuna un parlamentare della Camera del Popolo, una delle due Camere di cui è

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composto il Parlamento indiano (l’altra è il Consiglio degli stati, formata da non più di 250 membri). I cento milioni di giovani al primo voto rappresentano solo uno dei fattori dell’interesse per questa tornata elettorale. Il toto voto al momento prevede che l’Indian National Congress (vedi BOX ), lo storico partito dell’Indipendenza dal colonialismo inglese, attualmente nella coalizione di governo, potrebbe perdere fino alla metà dei seggi che detiene arrivando a meno di cento. L’Inc esce indebolito da dieci anni in cui sono fioccati gli scandali per corruzione e gli orribili casi di stupro sulle giovani donne, l’economia ha rallentato e l’aumento dei prezzi dei carburanti ha fatto lievitare il debito pubblico, frenando la realizzazione di nuove infrastrutture. Elezioni caldissime dunque, anche perché cadranno nella stagione pre-monsonica, con temperature che raggiungono anche i 50 gradi.

I fondamentalisti hindu Il più quotato oppositore dell’Indian National Congress è Narendra Modi, del partito fondamentalista hindu Bharatiya Janata Party (Bjp). Ex venditore di tè nelle stazioni ferroviarie, 62 anni, rappresentante dei Sudra, una casta di servitori appena sopra gli “intoccabili”, Modi da tredici anni è al governo dello Stato del Gujarat, dove ha raggiunto successi importanti: i tassi di crescita sono sopra il 10%, più del doppio rispetto alla media del Paese, la disoccupazione è la più bassa di tutta l’India (1%) e, durante il suo mandato, Modi garantisce di aver dimezzato la percentuale di povertà dal 31 al 16%. Infine più del 90% delle case e delle imprese hanno acqua e corrente elettrica. Con questi numeri è facile capire che il leader fondamentalista, che critica la “laicizzazione” e l’allontanamento dalle tradizioni del Partito del Congresso, ha l’appoggio delle grandi compagnie mul-


FONTE: NOSTRA ELABORAZIONE, SU DATI DE AGOSTINI, CIA WORLD FACTBOOK

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I PARTITI IN CAMPO

IL PAESE IN CIFRE Indipendenza: dalla Gran Bretagna il 15/08/1947 Forma di Governo: Repubblica federale dal 26/01/1950. L’Unione Indiana comprende 28 Stati, ciascuno dotato di assemblea legislativa e governo propri, e 7 territori amministrati dal governo centrale. Costituzione: 26/01/1950 Capitale: New Delhi Superficie: 3.287.263 kmq Popolazione: 1.258.350.971 abitanti (stima 2012) Densità: 382,80 abitanti/kmq Unità monetaria: rupia indiana Pil: 1.824. 832 mln $ Usa (2012) Pil/abitante: 1.492 $ Usa (2012) Pnl: 1.824.735 ml $ USA (2012) Debito pubblico: 51,8% del Pil (stime 2013) Composizione forza lavoro: 74,7% maschi; 25,3% femmine (2011) Disoccupazione: 8,8% (stime 2013) Inflazione: 9,6% (stime 2013) Indice di sviluppo umano: 0,554 (136° posto) Analfabetismo: 34% Lingua ufficiale: l’hindi (lingua madre per 1/3 degli abitanti); le lingue riconosciute sono 22, tra cui il sanscrito e il tamil, considerate lingue classiche; l’inglese è usato nei documenti pubblici. Religioni (dati 2005): induisti 72%; musulmani sunniti 8,1%; musulmani sciiti 4,2%; animisti 3,8%; sikh 1,9%; protestanti 1,7%; cattolici 1,6%; non religiosi 1,4%; buddisti 0,7; giainisti/altri 4,6%.

tinazionali indiane e internazionali, alle quali ha concesso di impiantare fabbriche e imprese nel Gujarat, e ora auspicano un’ondata di liberalizzazioni. E potrebbe anche conquistare i giovani cittadini della classe media, che si affacciano al voto istruiti e rampanti alla ricerca del rinnovamento. Ma, allo stesso tempo, la crescita del Bjp fa temere agli osservatori internazionali che possa aumentare la polarizzazione religiosa all’interno del subcontinente, soprattutto nella campagne, e possano acuirsi le storiche tensioni con il vicino Pakistan musulmano, dando il via a un nuovo conflitto regionale che impensierirebbe anche la Cina.

I grillini indiani L’elemento che da una parte ci fa sorridere, in queste elezioni epocali, perché si può dire che abbiamo fatto scuola sia per il nome che per le modalità, è il successo del Partito dell’uomo qualunque, l’Aam Aadmi Party (Aap). Nato appena un anno fa, ha come simbolo una scopa con la quale vuole spazzare via la corruzione e i corrotti. Nello scorso mese di dicembre l’Aap è arrivato secondo nelle

815 milioni di indiani al voto dal 7 aprile al 12 maggio. L’Inc è in netto calo: colpa di 10 anni di corruzione e del rallentamento dell’economia elezioni locali della città di New Delhi: a sorpresa si è accordato con il Partito del Congresso per un appoggio esterno che garantisse un governo delle “larghe intese”. L’esperimento è durato solo 49 giorni perché le contraddizioni nella visione politica si sono manifestate tutte. Il suo leader, Arvind Kejriwal, ha i modi plateali di Beppe Grillo: durante quei 49 giorni, per chiedere la sospensione di alcuni poliziotti accusati di prendere le mazzette, Kejriwal ha inscenato una manifestazione davanti al ministero degli Interni, presieduto da un rappresentante dell’Inc, per cui è stato preso in consegna dalle forze dell’ordine federali. Praticamente è stato fermato da un membro dello stesso partito nazionale che localmente gli ha concesso l’appoggio. Una schizofrenia che non deve assolutamente stupirci nell’epoca dei partiti post-democratici, per dirla con Colin Crouch. 

INDIAN NATIONAL CONGRESS È il Partito storico dell’Indipendenza indiana (una sorta di centrosinistra) che governa dal 2004 con il Primo Ministro Manmohan Singh (INC) riconfermato nel 2009: presidentessa dell’Inc è Sonia Gandhi, di origini italiane, vedova dell’ex premier Rajiv (figlio di Indira Gandhi) ucciso in un attentato nel maggio 1991. La campagna elettorale è condotta da Rahul, il figlio più giovane di Sonia, che non è al momento il candidato premier. Il Partito del Congresso lo deciderà assieme al resto degli alleati, una volta che i risultati elettorali saranno pubblici. BHARATIYA JANATA PARTY Partito fondamentalista hindu di destra, anti musulmano e tradizionalista, al momento all’opposizione. Il candidato premier è Narendra Modi, da tredici anni al governo dello stato del Gujarat. La campagna elettorale è concentrata contro l’Inc, giudicato incapace di far ripartire la crescita in India e colpevole di numerosi scandali per corruzione. Il suo motto è: “sviluppo”. AAM AADMI PARTY Ovvero il Partito dell’uomo comune, nato appena un anno fa. Sono i “grillini” indiani, guidati da Arvind Kejriwal, 44 anni. Il Partito ha conquistato un successo strabiliante nelle elezioni di fine anno a Delhi, mantenendo il governo della città per soli 49 giorni. La sua ragione d’essere è la lotta alla corruzione, che riassume nel suo simbolo: una scopa, che dovrebbe spazzare via tutti i corrotti. Il suo motto è: “tutti a casa”. THIRD FRONT (TERZO FRONTE) Unione di diversi partiti regionali (guidato dal CPI-M, Partito comunista marxista), che vantano un discreto peso nei rispettivi Stati, ma al momento in cui scriviamo (metà aprile) non hanno ancora raggiunto l’intesa sulla campagna elettorale e sul candidato. TRINAMOOL PARTY E ANNA HAZARE Il Trinamool è una formazione anticomunista fondata e condotta da Mamata Banerjee, primo ministro del Bengala occidentale da dove ha spazzato via una reggenza comunista che durava da quarant’anni. È sostenuto da Anna Hazare, leader del movimento anti corruzione indiano. Focus della loro campagna sono il Bengala, l’Assam e alcuni stati del Nord Est, dove dovrebbero raccogliere alcuni seggi che potrebbero risultare decisivi nell’aritmetica del voto a urne chiuse. | ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 | valori | 47 |


| internazionale | tessile assassino |

L’urlo di Shila: «Sono qui per mia figlia» di Emanuele Isonio

Parla una delle lavoratrici sopravvissute al crollo del Rana Plaza. Le denunce (inascoltate) nei giorni prima della tragedia, la paura per il futuro. E un appello ai cittadini europei: «Senza la vostra pressione, le aziende non cambieranno» Pensavi a lei nei momenti del disastro? Mi ripetevo che non meritava di rimanere sola al mondo. È l’unica cosa che mi ha fatto resistere fino all’arrivo dei soccorsi. Ci sono volute 16 ore.

Shila Begum, 24 anni, sopravvissuta del Rana Plaza, crollato il 24 aprile 2013.

a lo sguardo costantemente fisso nel vuoto, Shila Begum. Due occhi di un nero immenso almeno quanto la disperazione che trasmettono e che lo stridente trionfo di colori del suo vestito non fa che accentuare. 24 anni, madre da 10, vedova da 8. E da un anno tra i sopravvissuti del Rana Plaza. Un’isterectomia e una delicata operazione al braccio destro, che ancora non vuole saperne di tornare a funzionare bene. Ma nonostante tutto è una ragazza fortunata, perché è viva per raccontarlo. A differenza di 1.138 suoi colleghi, rimasti sotto le materie dell’edificio nella periferia di Dacca, al servizio della compulsiva mania occidentale dell’ultima griffe a basso livello. Di qualità e di diritti. Disperazione e indignazione hanno dato la forza a Shila di affrontare un tour in giro per l’Europa, che sarebbe massacrante per chiunque. Amsterdam, Roma, Parigi, Francoforte e alla fine Amburgo.

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Cinque tappe in dieci giorni per raccontare la sua storia. Metafora di una realtà che – rivela il principale sindacato bengalese del settore tessile, NGWF – accomuna 40 milioni di persone, soprattutto donne, divise in 5mila aziende. Una testimonianza che diventa per Shila un percorso di consapevolezza. «Solo dopo questa tragedia mi si è aperto un mondo: prima non immaginavo che i nostri turni sfiancanti e i rischi ai quali siamo sottoposti servissero a far guadagnare cifre enormi ai grandi marchi dell’abbigliamento mondiale». Come ti ha fatto sentire questa scoperta? Ho poco tempo per la rabbia. È troppa l’angoscia e la paura per il futuro incerto di mia figlia. Ho iniziato a lavorare al Rana Plaza perché, dopo la morte di mio marito, non pensavo che a lei. È una bambina intelligente ma senza soldi non posso assicurarle un’istruzione adeguata e una vita migliore della mia.

Che compito avevi al Rana Plaza? Ero addetta alla cucitura. Come operaia esperta il mio salario era di cento dollari al mese. Uno dei più alti: molti altri prendevano 38 dollari. Sapevate che il palazzo era a rischio crollo? Lo sapevano tutti. Lo vedevano tutti. Il giorno prima del disastro ci eravamo riuniti davanti all’ingresso. Nessuno voleva entrare. Le crepe sull’edificio erano evidenti. Poi i capi ci hanno detto: o entrate o a fine mese non riceverete lo stipendio. Hai ottenuto risarcimenti per l’incidente? Finora niente. Per aiutarmi a tirare avanti, mia sorella di 17 anni ha smesso di studiare e si è messa a lavorare. Anche per questo ho accettato di fare questo viaggio in Europa. Sono qui per tutti i 5mila dipendenti del Rana Plaza. Molti di loro, soprattutto le donne, sono in difficoltà, non lavorano e vivono la mia stessa angoscia. Che cosa chiedi ai cittadini europei? Di non lasciarci sole. Di far sentire la loro voce soprattutto verso le aziende che fanno profitti sfruttando la nostra povertà. Senza una pressione forte non cambierà niente. E ci saranno altre tragedie e altre sofferenze. 


| elezioni d’oltralpe | internazionale |

Municipali francesi sono le tv a votare Front National di Andrea Barolini

I media hanno sovraesposto il partito di Marine Le Pen, rendendola di fatto un fenomeno mediatico. E perdendo di vista gli altri risultati delle elezioni imponente avanzata del Front National”, titolavano a marzo i media francesi. Ed è in effetti evidente l’affermazione dell’ultradestra transalpina alle recenti municipali. Ma la lettura della tornata elettorale non può limitarsi a questo aspetto (per quanto preoccupante, in vista delle prossime europee, che potrebbero consacrare il FN come primo partito francese).

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Il flop del Partito Socialista Andiamo per ordine: è indubitabile che la consultazione abbia imposto al Partito Socialista (PS) una sconfitta, in buona parte dipesa dalla delusione degli elettori di “centro-sinistra” rispetto alla presidenza di François Hollande e al governo di JeanMarc Ayrault. C’è tuttavia da dire che, analizzando i dati elettorali, appare evidente come gli elettori del PS non siano confluiti soltanto nell’astensionismo (che con dati attorno al 40% risulta in ogni caso il vero vincitore della tornata: un record per le amministrative in Francia). Una parte dell’elettorato ha certamente voluto inviare un “segnale” al PS, scegliendo candidati del Front de Gauche (FdG) e di Europe-Ecologie Les Verts (EELV). Eppure i media francesi – e quelli italiani a ruota – si sono concentrati unicamente sull’allarme legato all’emergere del FN. Ora, è certamente vero che il partito di Marine Le Pen abbia ottenuto un buon

risultato. Ed è altrettanto vero che appare, giustamente, sbalorditivo che un partito razzista, xenofobo e anti-tutto-ciòche-non-è-noi-stessi, possa raggiungere certe percentuali nel cuore dell’Europa. Ma non può sfuggire che la Le Pen gongola, e non tanto e non solo per i voti raccolti. Gongola per lo straordinario richiamo mediatico che le viene concesso. Lei, infatti, non aspetta altro: come e più del padre, è un pugile. E per un pugile non c’è nulla di meglio che combattere per rafforzare i muscoli: più i media la attaccano e la sovraespongono, più lei guadagna consensi.

Una realtà diversa Sia chiaro: è ovvio e democratico che all’estrema destra venga concesso spazio in tv e sui giornali. Ma la realtà è che al FN sono stati regalati i riflettori. Basti pensare che il partito, nei giorni precedenti al primo turno, ha beneficiato di un’esposizione del 22% sul canale consacrato all’informazione politica, France 2. Cifra che cresce al 29% su France 3. E schizza al 65% su France 5, e al 50% su Canal Plus. A sentire i media, insomma, quella del FN sembrava quasi un’egemonia. Eppure la realtà è oggettivamente diversa. Prendiamo ad esempio i Verdi dell’EELV: ben-

Marine Le Pen, Presidente del Fronte Nazionale dal 16 gennaio 2011. FONTE: HTTP://IT.WIKIPEDIA.ORG

ché alleati di Hollande, nei 262 comuni in cui si sono presentati al primo turno con una propria lista, hanno raggiunto da soli l’11,6% in media (contro il 9% scarso del 2008). A Parigi, ad eccezione del 16mo arrondissement, gli ecologisti guadagnano ovunque. E non è tutto: i dati nazionali devono essere anche considerati parziali. È chiaro, ad esempio, che i Verdi scontano il fatto di essersi presentati in pochi comuni: 262, appunto. Nei sistemi di calcolo ufficiali i suffragi “mescolati” a candidati del FdG o del PS o del Partito Comunista non sono contabilizzati. Torniamo ora al FN: nei 597 luoghi in cui si è presentato, la media dei voti è stata del 4,7%. Un altro dato “mancato” dai media è quello legato allo scontro tra una sinistra “moderata” e una più “radicale”. Eclatante è il caso di Grenoble, città universitaria, culla della ricerca scientifica francese ed europea (colma di studenti e scienziati italiani), nella quale si sono scontrati Jérôme Safar, del PS, e Eric Piolle, di EELV. Il primo è stato per anni vice sindaco dell’uscente Michel Destot (sempre PS). Il secondo si è presentato invece con una lista sostenuta da EELV e dal FdG. Outsider, ha lanciato un programma ambizioso. Tre esempi: «Se vincerò, rifiuterò prestiti da banche che hanno contatti diretti o indiretti con i paradisi fiscali». E ancora: «La crisi impone investimenti pubblici: municipalizzeremo l’azienda che gestisce energia elettrica e gas». Di più: «I mezzi pubblici saranno gratis per i giovani. Una scelta per l’ambiente, il sociale e l’economia». Risultato: Piolle è stato la grande sorpresa delle elezioni francesi. Con oltre il 29% è risultato in testa al primo turno, sopravanzando il candidato socialista. E al secondo ha aumentato i consensi, staccando l’avversario di oltre 10 punti . Il tutto in una città per nulla indifferente: l’undicesima più grande della Francia, con 160 mila persone e un bagaglio storico immenso (fu la prima a lanciare la Rivoluzione francese e ospitò, sull’altopiano del Vercors, la porzione più gloriosa ed eroica della Resistenza durante la guerra). Libération ha parlato di Grenoble come di un «laboratorio politico di una sinistra alternativa». Ma in Italia, evidentemente, questa non era una notizia.  | ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 | valori | 49 |


fotoracconto 05/05

Zhang Dadi, anziano contadino di Ordos, nella Mongolia centrale, mentre vede riarso il suo campo nell’ottobre del 2013. Il pozzo profondo 150 metri da cui che egli ricava l’acqua per irrigare il suo mais è sempre più secco perché i livelli delle acque sotterranee diminuiscono ogni anno e non piove. Così la porzione di terra che può essere irrigata si riduce di stagione in stagione. | 50 | valori | ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 |

BO QIU / GREENPEACE


| LASTNEWS |

altrevoci FONTE: HTTP://WWW.TOSCANA-NOTIZIE.IT

TOSCANA: L’UNIVERSITÀ APRE I BATTENTI IN CARCERE

SE LA BICI REGALA 200 MILIARDI DI EURO Utilizzare la bicicletta non è solo benefico per la nostra salute, ma anche per l’economia. Secondo una ricerca della European Cyclists’ Federation, nel Vecchio Continente pedalare può voler dire generare 200 miliardi di euro di benefici economici. In particolare, secondo l’analisi, ogni chilometro percorso pedalando può portare alla società un guadagno netto di 42 centesimi di euro (perché si migliora la sicurezza, il turismo, la salute e i trasporti), mentre percorrendo lo stesso tratto in automobile si genererebbe una perdita di 3 centesimi. Secondo il rapporto, in particolare, la maggior parte dei benefici arriverebbe dalla diminuzione dei costi sanitari, che potrebbe superare i 114 miliardi di euro. La riduzione del traffico, invece, garantirebbe un risparmio di 24 miliardi di euro, ai quali si aggiungerebbe una cifra compresa tra i 3 e i 6 miliardi legata al risparmio di carburante. La bici, infine, consentirebbe di alimentare una crescita economica che è stata stimata in 62 miliardi. È per questo che vanno presi con soddisfazione i dati di Confindustria ANCMA, secondo i quali in Italia si vendono circa 50 mila biciclette elettriche all’anno, con un tasso di crescita vicino al 10%. E si tratta di numeri che si riferiscono esclusivamente alle bici elettriche vendute già assemblate (non cioè a quelle trasformate in bici a pedalata assistita). [A.BAR.]

È stata inaugurata a metà aprile una nuova sezione universitaria in Toscana: è all’interno della Casa circondariale La Dogaia di Prato, alle porte di Firenze: 17 posti, ottenuti grazie alla manodopera di una parte dei detenuti, che hanno imbiancato tutte le aule della scuola elementare di Montale, un comune pistoiese che confina con il territorio in cui opera il carcere. Nella stessa giornata si è svolta anche la cerimonia di inaugurazione del nuovo anno accademico del Polo universitario penitenziario toscano. Le sedi del Polo sono le Case circondariali di Prato e Pisa nonché la Casa di reclusione di Ranza-San Gimignano, ciascuna dedicata alle attività che fanno capo alle università di Firenze, Pisa e Siena. Al vertice del polo un Comitato di indirizzo e coordinamento. Nelle diverse sedi le attività sono affidate ai delegati dei tre rettori. L’ateneo fiorentino gestisce la segreteria regionale del polo, finanziata dalla Regione Toscana, costituita da operatori del Servizio civile regionale e integrata con l’Associazione del volontariato penitenziario (Avp), presso cui operano, come tutor senior, anche docenti universitari in pensione. 24 i detenuti che, in seguito alle attività del polo penitenziario, si sono laureati dal 2000 ad oggi presso l’Università di Firenze: 5 in agraria e altrettanti in giurisprudenza, 4 in Scienza della Formazione e 3 in Scienze politiche, 3 in Lettere e filosofia, 2 in Medicina e chirurgia. Gli altri due si sono laureati in Belle arti e in Farmacia. [PA.BAI.]

ALIBABA, L’E-COMMERCE CINESE CHE VALE PIÙ DI FACEBOOK

UE, GIRO DI VITE SULL’HIGH FREQUENCY TRADING

150 miliardi di dollari. Anzi, “molto di più”. È la stima realizzata dall’analista di Bernstein Research, Carlos Kirjner, sul valore di mercato di Alibaba, leader cinese dell’e-commerce prossimo ormai all’ingresso in Borsa. A riferirlo, ad aprile, è stato il Wall Street Journal evidenziando, in un’analisi dettagliata, i punti di forza della società. La cifra dovrebbe emergere in occasione del completamento della Ipo (Initial public offer), ovvero del collocamento pubblico del titolo azionario che darà via libera al mercato nel fare il prezzo della compagnia. Se le stime fossero confermate, il gigante cinese si confermerebbe come uno dei massimi operatori mondiali nel comparto tecnologico, sorpassando rivali più accreditati e più noti (soprattutto in Occidente). Facebook, entrata in Borsa due anni fa, aveva registrato all’esordio un valore complessivo di poco superiore ai 100 miliardi. Ma cosa dovrebbe spingere gli investitori a puntare sul colosso del dragone? La risposta, forse, sta nelle cifre. Alibaba gestisce la vendita di circa 800 milioni di prodotti e offre servizi a circa 7 milioni di venditori. L’anno scorso, evidenzia ancora il WSJ citando i dati resi noti da Yahoo (che ha una partecipazione in Alibaba), la compagnia ha registrato ricavi per 3 miliardi di dollari evidenziando una crescita del 66% rispetto al 2012. I profitti, inoltre, sono più che raddoppiati attestandosi a quota 1,35 miliardi. Con l’ingresso in Borsa, sostiene ancora Kirjner, Alibaba dovrebbe entrare nella Top 10 delle compagnie tecnologiche nella classifica mondiale per valore di mercato stilata tra le società quotate. [M.CAV.]

“Alcune tra le regole più severe del mondo”. Così Bloomberg ha definito le norme della nuova legislazione europea in materia di high frequency trading, il sistema di transazioni algoritmiche che caratterizza da tempo una quota sempre più rilevante degli scambi che hanno luogo nei mercati finanziari. Il trading ad alta frequenza opera con una pluralità di transazioni condotte nello spazio di poche frazioni di secondo con l’obiettivo di sfruttare le variazioni sui margini di prezzo di un asset che viene scambiato sulla piazza. Un affare redditizio, ma anche pericoloso per la stabilità dei mercati. E che, come tale, necessita di una nuova regolamentazione. A metà aprile, il Parlamento europeo ha votato a favore della normativa, segnando così un passo decisivo nel processo di riforma regolamentare. La legislazione, che rientra nelle cosiddette Markets In Financial Instruments Directive e Markets In Financial Instruments Regulation (MIFID e MIFIR), dovrà ora trovare l’approvazione finale da parte del Consiglio d’Europa per poi entrare definitivamente in vigore venti giorni più tardi. Nel dettaglio le regole europee mirano a disciplinare le operazioni, imponendo alle società attive nel comparto high frequency di mettere in atto sistemi di controllo in grado di fermare le operazioni qualora si dovessero registrare livelli di volatilità troppo alti. I sistemi algoritmici, inoltre, dovranno essere testati e quindi sottoposti ad autorizzazione da parte dei regolatori. Tutte le operazioni finanziarie dovranno essere registrate in modo da poter sottoporre i dati ai controllori qualora questi chiedessero di consultarli nell’ambito di un’indagine. [M.CAV.] | ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 | valori | 51 |


| ECONOMIAEFINANZA | per segnalazioni scrivete a redazione@valori.it

IL CAPITALISMO NON SI DISTRUGGE, SI TRASFORMA Paol Leon Il capitalismo e lo Stato. Crisi e trasformazione delle strutture economiche Castelvecchi, 2014

La crisi del 2007 è l’inizio della fine del paradigma reaganiano-thatcheriano che ha costruito un particolare equilibrio tra Stato e capitale. È nel conflitto capitale-Stato che si manifesta la principale tensione nell’economia: «Il capitalismo, infatti, è un modo di essere delle società che non si distrugge nelle crisi, ma evidentemente si trasforma e, una volta trasformato, dà luogo a una nuova cultura capitalistica». È la principale tesi suggerita da Leon in questo testo. L’altra riflessione è che il 2007-8 è stato il risveglio amaro tra un’era economica (finita) e un’altra (da costruire), con istituzioni-modelli consolidati: globalizzazione, integrazione dei mercati finanziari, allargamento e nuova divisione internazionale della forza lavoro. La terza tesi puntualizza come il modello Thatcher-Reagan abbia creato il mercato dei titoli pubblici e tasse che assolvono al nuovo (aggiuntivo) compito di pagare un tasso di interesse al mercato regolato dal mercato stesso. Si comprende allora la speculazione verso i Paesi indebitati: lo speculatore gioca al ribasso perché fa mercato, non politica economica. Non corre rischi se lo Stato sotto attacco ripaga ogni volta la rata del debito aumentando della pressione fiscale. È la fine della politica monetaria. [ROBERTO ROMANO]

OPPORSI AL NUCLEARE CIVILE PER DIRE NO A QUELLO MILITARE

LE RIBELLIONI ALLA CRISI SULLE RIVE DEL MEDITERRANEO

UNA RIVOLUZIONE A PICCOLI PASSI

Più che un libro tradizionale un vero pamphlet contro la persistenza dell’opzione nucleare, non più percepita come pericolo imminente neanche dal fronte pacifista. E mentre Stéphane Hessel, ex diplomatico e scrittore francese scomparso un anno fa, e lo scienziato Albert Jacquard, coautori dell’edizione transalpina Exigez!, ricordavano che «Il nucleare civile è una via privilegiata verso il nucleare militare», un trio di autori esperti in tema di proliferazione nucleare traduce e rielabora per l’Italia il loro best seller per approfondire temi come quello dell’uso e dei costi delle armi nucleari, del Trattato di non-proliferazione, del ruolo politico delle armi atomiche, del nucleare civile (tutt’altro che in via d’abbandono nel mondo), ripercorrendo questa parabola sia in ambito bellico che civile. Un prezioso contributo alla conoscenza della situazione attuale, con un focus particolare sul contesto italiano, dove il nucleare militare starebbe tornando d’attualità attraverso l’adeguamento delle bombe nucleari Usa nelle basi di Ghedi e Aviano: le nuove B61, che verranno rese trasportabili entro il 2020 sui cacciabombardieri F35.

Storie di Mediterraneo. Sono quelle che racconta Gianluca Solera nel suo libro. Vite, volti, pensieri di chi abita questa fetta di mondo e che negli ultimi mesi è stato protagonista di proteste, ribellioni, chi è sceso in piazza e ha fatto sentire la sua voce. Due anni e mezzo di lavoro durante i quali Gianluca Solera ha raccolto le testimonianze che hanno dato vita a questo volume. «Non è un libro sulle rivoluzioni arabe, ma sul Mediterraneo», precisa l’autore. «Le Rivoluzioni arabe sono il frutto della mancanza di libertà civile e politica; i movimenti di protesta dei cittadini cosiddetti “indignati” sulla costa settentrionale sono il frutto, invece, di una crisi economica. Io penso che siano le due facce della stessa medaglia. Le crisi economica e politica sono l’espressione, a diversi livelli di sviluppo di Paesi e società, della questione della relazione tra il cittadino ed il potere». «Dalle storie raccontate da Gianluca Solera emerge cosa tiene insieme i popoli in Spagna e in Egitto, in Tunisia e in Italia – spiega nella prefazione Leoluca Orlando –, l’insopportabilità delle logiche economiche e finanziarie e delle misure repressive, quelle che papa Francesco definisce idolatria del denaro».

Un vademecum per cambiare l’economia e la finanza dal basso, a partire dalla vita di tutti i giorni, accessibile e praticabile per tutti. È quanto ha voluto regalare ai lettori Claudio Ferrari nel suo ultimo libro. Da appassionato socio attivo di Banca Etica, ha raccolto, in questo libro e nel precedente Economia e democrazia. Pensieri lenti, gli spunti e le riflessioni di dieci anni di impegno a favore della banca. Come abbiamo scritto sulla copertina di questo numero di Valori, anche Claudio Ferrari è partito dall’assunto che non ci sia più tempo da perdere. «La crisi, che non è solo finanziaria ma anche e soprattutto morale, ci impone scelte rapide per evitare il baratro che si sta avvicinando», spiega l’autore. «Cerco, nel mio libro, di dare dei consigli per quanto riguarda la finanza etica, il consumo, il lavoro, l’ambiente che deve essere assolutamente tutelato». La prefazione del libro è firmata da Maurizio Pallante, padre della “decrescita felice”, che scrive: «Questo nuovo libro di Claudio Ferrari è un documento molto significativo del fatto che l’organismo malato della società in cui viviamo sta secernendo degli anticorpi. […] non vuol dire che sia iniziato un processo di guarigione, ma che la malattia può guarire».

Gianluca Solera Riscatto mediterraneo. Voci e luoghi di dignità e resistenza Nuova dimensione, 2013

Claudio Ferrari Benvenuta leggerezza. Pensieri veloci Presentazione di Maurizio Pallante Publistampa, 2013

Stéphane Hessel, Albert Jacquard Esigete! Un disarmo nucleare totale Ediesse, 2014

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| TERRAFUTURA | a cura di Valentina Neri | per segnalazioni scrivete a neri@valori.it

UNA BOMBONIERA DI... VALORI Sabato 17 maggio sarà il giorno più importante per Fabio e Giuliana, che celebreranno il loro matrimonio in provincia di Padova. Ma in un certo senso sarà un giorno importante anche per noi della squadra di Valori, perché i due sposi hanno deciso di farci un bel regalo, ritagliandoci un piccolo ruolo nella loro storia: ogni invitato, infatti, riceverà come bomboniera una copia di questo giornale. «È stata un’idea molto spontanea», spiega Fabio che, come la sua futura moglie, lavora nel settore dei servizi, ma dedica il proprio tempo libero al mondo del commercio equo e del sociale. Fa parte della Commissione Nuovi Stili di Vita della diocesi di Padova, che organizza laboratori sui beni comuni, sulla lotta al gioco d’azzardo, sul consumo critico e altro. «Anche i nostri invitati sono sensibili a questi argomenti – continua – e per questo abbiamo pensato che fosse una buona occasione per regalare Valori, che ne dà una panoramica completa». A Fabio e Giuliana tanti auguri da parte di tutta la redazione!

I VOLONTARI DELL’INFORMATICA, DA MILANO ALLA SIERRA LEONE L’INCLUSIONE SOCIALE È COLORATA E CREATIVA A “Fa’ la cosa giusta!” si sono fatti notare con il loro stand vivace e colorato. Sono i ragazzi di Retrobottega, un progetto che prende per mano chi arriva da un percorso di crescita difficoltoso (fatto di abbandono scolastico, difficoltà relazionali o familiari) e cerca di inserirlo nel mondo lavorativo. Il settore è quello della serigrafia e i prodotti spaziano da t-shirt, borse e maglie, fino all’abbigliamento sportivo e ai gadget promozionali (calendari, agende, penne, articoli da regalo). I ragazzi hanno elaborato anche la propria linea di t-shirt, prodotte da Aarong, che da più di trent’anni sostiene gli artigiani delle aree rurali del Bangladesh, e decorate con i disegni ideati e realizzati da loro. «Ci appoggiamo ai negozi del circuito equo e solidale, ma da poco abbiamo sperimentato anche l’e-commerce», spiega Giorgio Cogliati, che fa parte del consiglio d’amministrazione della “madre” di questo e altri progetti. Retrobottega infatti è soltanto uno dei rami di attività della cooperativa Kwa Kusaidia di Galbiate (in provincia di Lecco). Un nome, preso a prestito dalla lingua swahili, che significa “per aiutarsi” e descrive bene questa realtà, che gestisce anche un laboratorio di falegnameria e un agriturismo con fattoria didattica nei pressi del lago di Como. www.retrobottega.net

AGRICOLTURA SOCIALE ED ECOTURISMO NEL CUORE DEL CILENTO «Transizione e innovazione sociale sono pratiche che nascono dalla terra e dalla solidarietà. Alcune visioni del mondo bisogna prima praticarle e poi predicarle». Sceglie di presentarsi così la cooperativa sociale Terra di Resilienza, che opera a Morigerati, nel Cilento. Una realtà che lavora in rete con altri soggetti della zona per il recupero delle sementi tradizionali, sia cerealicole sia ortive. Ma senza trascurare l’aspetto sociale, col progetto “Ripartire dalla terra” finanziato dalla Chiesa Valdese, che dallo scorso ottobre impegna nella produzione dell’olio quattro ragazzi che hanno avuto problemi di dipendenze. O ancora, impiegando quindici operai disoccupati nella cura di un uliveto comunale. La cooperativa si è messa alla prova anche con l’ecoturismo: «Nel periodo della raccolta delle olive, da ottobre a dicembre – racconta Claudia Mitidieri, socia fondatrice e segretaria – abbiamo organizzato un weekend in cui i nostri ospiti potevano raccogliere le olive con noi e poi portarsi a casa l’olio autoprodotto». www.terradiresilienza.it

Per chi ha voglia di aiutare gli altri, la prima cosa da fare è guardarsi intorno per scoprire quali sono le competenze da spendere e a chi potrebbero essere utili. È quello che ha fatto un variegato gruppo di professionisti dell’ICT e del Terzo Settore: ne è nata l’associazione Informatica Solidale, che a un anno e mezzo dalla sua fondazione già conta circa cinquanta soci e un centinaio di collaboratori sparsi fra Milano, Firenze e il Veneto. Questa realtà, su base esclusivamente volontaria, organizza corsi pratici per insegnare agli anziani a usare il web nella vita quotidiana. Ma si rivolge anche alle persone disabili, che al termine di un ciclo di lezioni vengono inserite nelle aziende con un periodo di stage lavorativo. È opera dell’associazione anche il supporto informatico ai progetti di Comunità Nuova (vedi Valori di maggio 2013) e del centro internazionale Helder Camara, che opera in Sierra Leone. Questi continui contatti col mondo della cooperazione – ci ha spiegato a “Fa’ la cosa giusta!” il presidente Claudio Tancini – ha permesso ai volontari di acquisire un bagaglio di competenze che si sta concretizzando in un Osservatorio sull’uso dell’informatica nel Terzo Settore e sulle buone pratiche da conoscere e replicare. www.informatica-solidale.org

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| bancor |

I debiti della Pubblica amministrazione

Tutti i rischi dell’operazione Cassa Depositi e Prestiti quasi mezzo secolo dallo sbarco sulla Luna, la Banca d’Italia, nel corso di un’audizione parlamentare ai limiti del grottesco, ha ammesso che «nel nostro Paese non possediamo informazioni sistematiche ed esaustive sull’entità dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche». Le stime più accreditate, basate su poche migliaia di autocertificazioni, par-

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dal cuore della City Luca Martino

lano di circa 100 miliardi di euro. Ora, se anche la certificazione di questo immenso debito fosse vicina alla realtà, la sua completa emersione, oggi essenziale per la ripresa della nostra economia, è un’operazione complessa, anzitutto per gli effetti sui saldi di finanza pubblica: 100 miliardi sono più di 6 punti di Pil. E, in qualsiasi modo onoreremo quel debito, non lo faremo in contanti, ma con altro debito, un fattore di rischio alla luce del Fiscal Compact e dei vincoli di Maastricht sui quali ci siamo nuovamente impegnati. Altre perplessità riguardano il pagamento stesso delle fatture scadute: se si decidesse di pagare subito tutto a tutti, e tutto a carico dello Stato centrale, si sanerebbero in egual maniera, ad esempio, il debito di un comune virtuoso per un ambulatorio perfettamente funzionante e costato il giusto, e lo scoperto di un ente in dissesto finanziario per una commessa magari inutile o realizzata male dietro ruberie o tangenti. Infine, particolarmente delicato è il ruolo di Cassa Depositi e Prestiti, il nostro “fondo sovrano” incaricato di gestire un’operazione di così vasta portata. Il meccanismo dovrebbe essere quello, anticipato a Letta dal presidente Bassanini, in parte già operativo anche se per importi decisamente più modesti.

ancorché a tassi vantaggiosi, vedrebbero la maggior parte delle amministrazioni pubbliche ancora insolventi. A quel punto, con l’aggravio di interessi e altri costi, gli istituti di credito presenterebbero il conto alla Cassa che, tramite delegazione di pagamento, avrebbe l’obbligo di intervenire, visto che l’opzione di escludere il diritto a vendere per le banche, pensata per evitare il consolidamento del debito nei conti dello Stato centrale, non sarebbe più praticabile, dati gli importi promessi dal governo. Il funding per questi interventi verrebbe infine da una gigantesca cartolarizzazione dove finirebbero come collaterali di garanzia anche i 240 miliardi di risparmi depositati nei libretti postali oggi in custodia alla Cassa. Di operazioni simili, nella Wall Street pre Lehman Brothers, se ne sono viste a centinaia e molte hanno fatto la fine che tutti sappiamo. L’impegno del nostro governo è lodevole, la fretta (“60 miliardi in 15 giorni”) è comprensibile, ma qui non si tratta di liquidare un paio di enti o vendere qualche auto blu. Quando è in gioco il quarto debito mondiale e il più grande stock di passività commerciali in Europa, il rischio di combinare qualche pasticcio è alto e meriterebbe maggiore cautela e che si esplorassero stratodebate@gmail.com de diverse. 

| 54 | valori | ANNO 14 N. 118 | MAGGIO 2014 |

Non abbiamo dati certi sui debiti delle amministrazioni pubbliche. Si stimano 100 mld di euro. Come trovarli? I debiti pregressi in conto capitale (per investimenti) e quelli relativi sia a spese correnti (per l’ordinaria gestione) che di capitale dell’anno in corso, che impattano sul deficit 2014, sarebbero pagati, anche tramite compensazione, con l’emissione di nuovo debito e l’allentamento del patto di stabilità. Per i debiti pregressi di parte corrente, il grosso del totale, lo Stato emetterebbe invece una garanzia, grazie alla quale le imprese sconterebbero i crediti con le banche in cambio di liquidità immediata (finanziabile, almeno in parte, con l’interbancario della Banca Centrale Europea, come avvenuto in Spagna) e, a fronte di piani di rientro sul breve periodo, che,


Ăˆ TEMPO DI CAMBIARE una nuova veste grafica da giugno 2014



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