Valori n°112 2013

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Cooperativa Editoriale Etica Anno 13 numero 112. Settembre 2013. € 4,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento Contiene I.R.

ARIANNA ANGELONI

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

Adesso pedaliamo Dalla crisi si esce sulle due ruote. Un’opportunità economica e culturale Finanza > Indici etici: spesso solo green washing. Valori chiede trasparenza e rigore Economia solidale > Pasti a km zero nelle mense: dalla Lombardia un progetto anti-cemento | ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 | Internazionale > Egitto: 2 presidenti destituiti in 2 anni. La difficile ricerca della stabilità


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| editoriale |

Due ruote per cambiare il mondo di Andrea Di Stefano

«D

atemi un punto d’appoggio e solleverò il Mondo»: la leggenda attribuisce ad Archimede questa celebre frase. Noi potremmo dire, parafrasando il matematico e fisico greco, «datemi una bici e cambierò il Mondo». Non tanto e non solo per gli stili di vita che le due ruote incentivano, ma per i risvolti economici rivoluzionari che possono produrre sulle comunità locali. Diversi studi condotti in Nord America stimano che l’utilizzo di una bicicletta, invece che di una qualsiasi automobile, produce un saldo netto positivo per tutti, dal singolo utente all’economia pubblica del territorio. Abbandonare le quattro ruote permette un risparmio stimato per ogni cittadino in circa 12-15 mila dollari l’anno, secondo i dati ufficiali delle principali associazioni di categoria, tra costi di gestione, carburante, tasse e quote di ammortamento del veicolo. Ci sono poi le esternalità. Mediamente un cittadino statunitense percorre ogni anno in una metropoli circa 10 mila miglia (circa 16 mila chilometri) in auto e paga direttamente in imposte e tasse circa 350 dollari: i costi esterni legati all’utilizzo della vettura sono invece stimati in 3.360 dollari. Scegliendo l’alternativa delle due ruote è comunque garantito un incasso di circa 300 dollari, ma i costi per le cosiddette esternalità non superano i 36 dollari. Tutti dati riconducibili a una ricerca condotta da Todd Litman del Victoria Transport Policy Institute (www.vtpi.org). Thomas Gotschi dell’Università di Zurigo nel 2011 ha pubblicato il primo studio organico per la valutazione delle politiche della città di Portland, nell’Oregon, a sostegno della mobilità ciclistica. Il ricercatore ha analizzato i costi previsti per i piani di investimento con i benefici per la salute, i risparmi sui costi sanitari e l’incremento della vita utile dei cittadini. Entro il 2040 gli investimenti per la mobilità su due ruote stimati tra 138 e 605 milioni di dollari si tradurranno in risparmi sui costi di assistenza sanitaria tra 388 e 594 milioni di dollari, un taglio dei consumi di carburante stimabile tra 143 e 218 milioni di dollari e un risparmio in termini di miglioramento della vita dei cittadini tra 7 e 12 miliardi di dollari. In altre parole la spesa per promuovere la mobilità dolce e sostenibile della bicicletta ha un ritorno immediato senza neppure considerare il moltiplicatore rappresentato dall’incremento della vita media. Numeri che da soli dovremmo stampare su grandi tazebao per esporli in tutti i consigli comunali delle nostre città quando si esaminano progetti di nuovi assi viari per la mobilità veicolare invece che incentivi e strumenti per facilitare l’integrazione ispirata alla mobilità sostenibile. Ancora oggi portare le bici sui treni è una rarità (salvo alcuni casi evoluti del Trentino-Alto Adige) e non sono pochi gli utenti che devono inventarsi incredibili soluzioni fai da te per conquistare agibilità a due ruote mettendo a repentaglio la loro incolumità. Intanto assurdi regolamenti impediscono di identificare come piste ciclabili sentieri e percorsi naturalmente presenti in molte aree del nostro Paese. 

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ARIANNA ANGELONI

| sommario |

settembre 2013 mensile www.valori.it anno 13 numero 112 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 editore Società Cooperativa Editoriale Etica Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano promossa da Banca Etica soci Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa, Federazione Trentina della Cooperazione, Rodrigo Vergara, Circom soc. coop.,Donato Dall’Ava consiglio di amministrazione Antonio Cossu, Donato Dall’Ava, Maurizio Gemelli, Emanuele Patti, Marco Piccolo, Sergio Slavazza, Fabio Silva (presidente@valori.it). direzione generale Giancarlo Roncaglioni (roncaglioni@valori.it) collegio dei sindaci Mario Caizzone, Danilo Guberti, Giuseppe Chiacchio (presidente). direttore editoriale Mariateresa Ruggiero (ruggiero.fondazione@bancaetica.org) direttore responsabile Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) caporedattore Elisabetta Tramonto (tramonto@valori.it) redazione (redazione@valori.it) Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano Paola Baiocchi, Andrea Baranes, Andrea Barolini, Francesco Carcano, Matteo Cavallito, Corrado Fontana, Emanuele Isonio, Michele Mancino, Mauro Meggiolaro, Andrea Montella, Valentina Neri grafica, impaginazione e stampa Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento) fotografie e illustrazioni Arianna Angeloni, Lucas Brunelle, A. Ferrillo (Bicycle Film Festival); Roger Anis, S. Behn, Dodudidochon (http://commons.wikimedia.org); www.marcocremascoli.it; www.firstfloorunder.com; © Deutscher Bundestag / Werner Schüring; Ilja Luciani

La Cargo Race organizzata dalla Stazione delle Biciclette durante l’ultima edizione milanese del Bicycle Film Festival: si tratta di una curiosa competizione in cui i concorrenti devono trasportare più materiale possibile. (Milano 2012)

dossier Adesso pedaliamo

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La crisi si affronta a pedali Due ruote, Italia lontanissima dall’Europa Pedalando verso il bike sharing Ciclo-vacanze sostenibili e diverse L’auto pulita si fa strada

finanzaetica

È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte. Per le fotografie di cui, nonostante le ricerche eseguite, non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamente disponibile ad adempiere ai propri doveri. chiusura in stampa: 27 agosto 2013 in posta: 30 agosto 2013

Quale etica dietro gli indici etici? Peccato originale Il fumo nero di Enel Cina e finanza: l’affannoso respiro del drago Usa, tasse e corporation: l’inarrestabile corsa al risparmio globalvision e valorifiscali

17 19 21 22 24

numeridellaterra economiasolidale

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Mense e contadini. Alleati contro il cemento Mensa ideale, adieu Il welfare circolare che rigenera le istituzioni Innovazione. La parola d’ordine per la carta italiana Quante idee dietro un pezzo di carta

31 33 35 36 38

consumiditerritorio internazionale

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Egitto, la difficile ricerca della stabilità Europa, Angela Merkel über alles L’eccellenza italiana ridà vita all’antico Vietnam

43 46 48

altrevoci bancor

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Il Forest Stewardship Council® (FSC®) garantisce tra l’altro che legno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali. Involucro in Mater-Bi®

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dossier

a cura di Paola Baiocchi, Andrea Barolini e Valentina Neri

La crisi si affronta a pedali > 8 Due ruote, Italia lontanissima dall’Europa > 10 Pedalando verso il bike sharing > 11 Ciclo-vacanze, sostenibili e diverse > 12 L’auto pulita si fa strada > 14


BICYCLE FILM FESTIVAL

Adesso pedaliamo

In Europa la bici non è solo un mezzo anti-crisi, ma un’abitudine quotidiana e consolidata L’Italia è ancora indietro, ma le due ruote costituiscono un’enorme opportunità economica e culturale ???


dossier

| adesso pedaliamo |

riormente ampliato lo scorso anno, e se è vero che dal 2011 al 2012 le vendite di bici hanno segnato comunque un -8,2% e la produzione un -9,8%, in compenso, rivela lo studio commissionato a Gfk Eurisko da Confindustria Ancma (Associazione nazionale ciclo motociclo e accessori), la bilancia commerciale è in attivo di 161 milioni di euro. Si diffonde, inoltre, la bici a pedalata assistita: l’anno scorso ne sono state vendute quasi 50 mila (+9,5% rispetto al 2011), anche se siamo ancora lontani dalle 200 mila della Germania.

La crisi si affronta a pedali di Valentina Neri

portiva o da città, arrugginita o nuova fiammante, la bici sta riconquistando a pieno titolo un ruolo da protagonista sulle nostre strade. È una moda? Anche. Ma è soprattutto una risposta immediata e alla portata di tutti alla crisi economica che ci costringe a ripensare anche le piccole spese quotidiane. Una risposta che, per giunta, può migliorare sensibilmente la qualità della vita nelle nostre città soffocate dal traffico e da un’aria irrespirabile.

S

Per la prima volta da 48 anni, nel 2011 le vendite delle bici hanno superato quelle delle auto in Italia. E non si tratta solo di una scelta economica tato al sorpasso silenzioso delle bici: nel 2011, per la prima volta in 48 anni, le vendite (1.750.000 unità) hanno superato quelle delle auto (1.748.000). Il divario si è ulte-

NON È UN PAESE PER CICLISTI

CICLISTI VITTIME DI INCIDENTI STRADALI Anno Vittime 1988 688 2007 352 2009 297 2010 265 2011 282

Diminuiscono in Italia gli incidenti stradali mortali: nel 2011 la diminuzione rispetto al 2001 è stata del 45,6%. Anche se non abbiamo raggiunto l’obiettivo fissato dall’Unione europea nel Libro bianco del 2001, che prevedeva la riduzione della mortalità del 50% entro il 2010, il valore è stato più consistente della media europea, pari a -44,5%. Non sono altrettanto positive, invece, le notizie per le due ruote, aumentano del 7,2% i ciclisti uccisi dall’impatto con un veicolo a motore. Nel 2010 i decessi erano stati 265, nel 2011 sono stati 282. Le cause sono l’eccesso di velocità delle auto, il non rispetto delle precedenze, la mancanza di piste ciclabili, le nostre strade male illuminate e senza attraversamenti protetti, come nel recente caso della ragazza travolta di notte a Gorgonzola mentre con la sua bici cercava di andare dall’altro lato della Statale. Per contrastare questa strage – che ha visto cadere 2.556 vittime in dieci anni, più del doppio di quelle registrate nello stesso periodo nel Regno unito (1.275) – le proposte sono molte e vanno dalla formazione alla sicurezza di ciclisti e autisti inserita nei test di guida, al limite di 30 km/h nelle aree residenziali sprovviste di piste ciclabili. Sono state sintetizzate in “Caro sindaco”, una lettera in dieci punti rivolta ai sindaci e pubblicata sul sito salvaiciclisti. Pa.Bai.

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FONTE: ADFC-RADREISEANALYSE 2011

Avere una o più auto e usarle anche per gli spostamenti brevi come quelli casalavoro, oltre ad avere un pesante impatto ambientale, sta diventando un lusso. Lo dimostrano le cifre. Nel 2007, in Italia si immatricolavano più di 2,5 milioni di auto e oltre 430 mila moto. Nel 2012 le immatricolazioni di auto erano scese a 1,4 milioni e quelle di moto si erano più che dimezzate (vedi GRAFICI ). Un trend che non sembra destinato a rovesciarsi. E che ha por-

La cultura delle due ruote La crisi, dunque, ha convinto una volta per tutte gli italiani a convertirsi alla mobilità sostenibile? Conviene fare i dovuti distinguo, secondo Andrea Stocchetti, prorettore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Quando si sceglie di usare la bici, infatti, «oltre al fattore economico entra in gioco quello culturale». Delle 11 mila persone interpellate per l’indagine nazionale della Fiab (Federazione italiana amici della bicicletta), curata da Andrea Scagni, docente di Statistica all’Università di Torino, 7 su 10, infatti, hanno affermato di usare la bici perché è piacevole; il 67% perché fa bene alla salute, il 58% perché non inquina e il 46% per evitare problemi di parcheggio. Solo il 28% degli intervistati usa la bici perché è economica e meno del 10% perché non ha altri mezzi per spostarsi. Si tratta di persone per cui la bici non è un hobby, ma un’abitudine: 6 su 10 la usano per andare al lavoro. Quando entra in gioco un fattore culturale, difficilmente si torna indietro. A patto, certo, che ci siano le infrastrutture adatte. Lo dimostrano i dati delle vendite, che vedono in testa Veneto ed Emilia Romagna, che offrono numerose piste ciclabili; maglia nera, invece, per il Centro Italia.

Mobilità anticrisi Ma la mobilità sostenibile non può vivere di sola bici, che necessariamente esclude le persone anziane e disabili. Serve un’integrazione tra tutti i mezzi alternativi all’auto, compreso il trasporto pubblico. Su quest’ultimo versante, afferma Stocchetti, «l’Italia è molto arretrata rispetto ad altri Paesi europei, che hanno accolto le linee guida che l’Ue emana ormai da più


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di dieci anni per promuovere una mobilità meno incentrata sull’auto nei centri urbani». In Italia, invece, la bici «è in concorrenza con altre forme di mobilità sostenibile. Dove ci sono le rotaie dei tram i ciclisti rischiano la vita, quindi bisognerebbe costruire piste ciclabili sicure, che però toglierebbero spazio per altri mezzi di trasporto», spiega. Qual è la soluzione, dunque? «Serve una progettazione complessiva e non incrementale. Non basta aggiungere una corsia in un tratto di strada trafficato. Bisognerebbe prendere la mappa urbana e ripensarla nel complesso, a partire dall’urbanistica, per poi studiare le linee di trasporto pubblico e i sistemi di tariffazione. Città come New York e Londra danno priorità ai mezzi pubblici e alle bici. I loro abitanti quindi non usano meno l’auto perché c’è una crisi, come accade in Italia, ma perché ci sono alternative comode, veloci ed efficienti». Tutto ciò richiede investimenti, che però potrebbero avere un ritorno concreto. Sia aiutando i cittadini a fare le scelte di mobilità migliori per l’ambiente e le loro tasche, sia rendendo più vivibile l’area urbana. «Scoraggiare il traffico motorizzato – conclude Stocchetti – rivitalizza il tessuto urbano, migliora la qualità della vita e alza il valore degli immobili e delle attività. A trovarsi svantaggiati sono solo i supermercati, che vengono scelti se sono facili da raggiungere e in cui si vendono prodotti che potrebbero invece essere trovati altrove. Ma i cosiddetti shopping goods e specialty goods, vale a dire i negozi specializzati e più piccoli di abbigliamento, occhialeria, gioielleria e molto altro, avrebbero solo da guadagnarci». 

200 VOLONTARI PER LA MOBILITÀ SOSTENIBILE Sono circa duecento e sono già sguinzagliati per Milano come tanti agenti segreti della mobilità sostenibile. Sono i volontari che, dal 9 al 29 settembre, hanno dato la loro adesione alla seconda parte di SuperHub, che sta per SUstainable and PERsuasive Human Users moBility in future cities, cioè mobilità sostenibile e persuasiva, convincente, delle persone nelle società future. La prima parte della sperimentazione si è svolta a giugno del 2012: SuperHub è un progetto voluto dalla Commissione europea, promosso dalla Fondazione Legambiente, sostenuto dall’Azienda dei trasporti milanesi (Atm), e si svolge allo stesso tempo a Barcellona, a Helsinki e nella capitale meneghina. A dimostrazione che è possibile cambiare le abitudini più inveterate, i volontari ricevono su smartphone le indicazioni sui percorsi da effettuare senza utilizzare la macchina e risparmiando soldi, tempo ed emissioni di CO2. Il punto di forza di SuperHub sono i volontari, che forniranno ai politici e ai tecnici importanti indicazioni per ottimizzare i trasporti pubblici e l’utilizzo di soluzioni collettive; mentre il vero “oggetto magico” del progetto è una piattaforma che fornisce i percorsi in tempo reale, suggerendo itinerari che evitano gli ingorghi attorno ai cantieri e tengono anche conto delle condizioni meteorologiche. www.superhubproject.eu Pa.Bai.

CINEMA A DUE RUOTE Un’intera rassegna cinematografica (e non solo) incentrata sulla cultura della bicicletta. Si chiama Bicycle Film Festival. Un evento dedicato alla bici non può che essere itinerante: nasce a New York da un’idea di Brendt Barbur e a ogni edizione tocca una trentina di città in tutto il mondo, da Bruxelles a Rio de Janeiro, da Tokyo a San Francisco. L’anno scorso è arrivato a Milano, all’area ex Ansaldo (le foto che vedete in queste pagine sono state scattate proprio durante l’edizione 2012). E quest’anno torna in Italia dal 26 al 29 settembre, in contemporanea coi mondiali di ciclismo. Per la precisione a Firenze, all’ex stazione Leopolda. È una rassegna sui generis, che conta una sessantina di film tra corti e lungometraggi, ma non prevede premi e, oltre ai cinefili, attira anche un pubblico di non addetti ai lavori. Proprio per questo le proiezioni sono affiancate da concerti, dj set, tornei di bike polo e BMX, oltre alle mostre fotografiche: a Firenze è prevista la Ronde Around, dedicata al centenario del Giro delle Fiandre. L’edizione italiana è curata da Ciclica (www.ciclica.it). Il programma è disponibile al sito www.bicyclefilmfestival.com/firenze V.N.

1.972.070

2.177.601

2.193.570

2.516.276

2.348.008

2.295.904

2.238.334

1.403.463

500.000

1.765.011

1.000.000

2.235.957

1.500.000

2.383.514

2.000.000

2.359.674

2.500.000

2.497.862

IMMATRICOLAZIONI DI AUTO NUOVE IN ITALIA

0.000 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

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dossier

| adesso pedaliamo |

Due ruote, Italia lontanissima dall’Europa In Olanda il 27% degli spostamenti si effettua in bici; in Danimarca il 18%. In Europa la media è del 9,45%: una percentuale più che doppia rispetto a quella del nostro Paese

FONTE: LEGAMBIENTE, L’A-BICI, 2010

di Andrea Barolini

IMMATRICOLAZIONI MOTOCICLI NUOVI IN ITALIA 220

grandi

medie

297

piccole

200 180 160 140 120

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80 60 40 20 Vienna Monaco Lione Berlino Bruxelles Torino Parigi Praga Barcellona Grande Londra Roma Milano Madrid Napoli Helsinki Hannover Stoccolma Goteborg Copenaghen Dresda Bristol Bologna Oslo Firenze Saragozza Riga Palermo Genova Turku Aalborg Tampere Aarhus Heidelberg Verona Venezia Patrasso Bari Catania

0

CHILOMETRI PERCORSI QUOTIDIANAMENTE IN BICICLETTA DA OGNI ABITANTE Danimarca

2,6

Olanda

2,3

Belgio

0,9

Germania

0,8

Finlandia

0,7

Svezia

0,6

Irlanda

0,5

Austria

0,4

Italia

0,4

Francia

0,2

Utenti 2009

15.000

Utenti 2011

100 300 320 95 113 Prato 120 80

Genova

Venezia* 100

200 400 730 159

Siracusa

Cagliari* 200

Terni

Udine

Bari

R. Emilia

Parma

Novara

Bergamo

1.600 1.037 1.037 600 800 710 750 900 700 430 560 651 1.000 1.050 600 200 287 386 210 250 264

8.266

Brescia

Milano

0

2.300 3.400

4.200

5.000

Torino

10.000

Utenti 2010

14.400 12.346 13.000 13.000

16.800 16.800

20.000

FONTE: ELABORAZIONE SU DATI BICINCITTÀ, BIKEMI - *DATI AGGIORNATI AL 2010

FONTE: LEGAMBIENTE, L’A-BICI, 2010

BIKE SHARING: SISTEMA ELETTRONICO / ISCRITTI AL SERVIZIO

8.700

L

100

Roma

e città italiane, in termini di infrastrutture “a misura di bici”, sono ancora molto lontane da quelle europee. Nel 2010, un rapporto di Legambiente intitolato L’a-bici spiegava che diversi Paesi del Vecchio Continente hanno investito già da tempo sulla ciclabilità, sulla mobilità non motorizzata e sul trasporto pubblico. E i risultati, ormai, si vedono. In Olanda, ad esempio, il 27% degli spostamenti urbani viene effettuato in bici, in Danimarca il 18%, in Svezia il 12,6%. In media, in Europa, il 9,45% degli spostamenti è realizzato in bicicletta: oltre il doppio rispetto all’Italia. Basti pensare alle tante piccole città del Nord (da Turku ad Aalborg, da Tampere ad Aarhus), che offrono reti di piste ciclabili superiori ai 300 km. O a quelle di medie dimensioni, tra le quali primeggia Helsinki seguita da Stoccolma e Hannover. Tra le più grandi, invece, spiccano Vienna e Monaco di Baviera: «Anche prendendo in considerazione le migliori esperienze nazionali – spiega Legambiente – il confronto con le città tedesche e del Nord Europa rimane impari». Di conseguenza, la distanza percorsa sulle due ruote in Italia è molto più bassa rispetto a quella delle città europee più “bicycle friendly” (amiche della bicicletta). Nel nostro Paese si pedala mediamente per 400 metri al giorno, contro i 2,6 chilometri dei danesi e i 2,3 degli olandesi. 


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Pedalando verso il bike sharing di Valentina Neri

Lorenzo Bertuccio, direttore scientifico di Euromobility, spiega che il bike sharing comincia a diffondersi anche in alcune città italiane, ma sottolinea i numerosi problemi logistici e la mancanza di impegno da parte delle istituzioni a bicicletta, in questi ultimi mesi, sta riconquistando un ruolo da protagonista. Merito di mobilitazioni come la campagna #Salvaiciclisti, o del fatto che si tratti di un’alternativa salutare alle code delle grandi arterie urbane. Anche la bici si può condividere: ne parliamo con Lorenzo Bertuccio, direttore scientifico di Euromobility.

L

Quali sono i casi di eccellenza del bike sharing italiano? Milano e Torino, insieme a Brescia e Bergamo, sono le città in cui il servizio ha raggiunto una certa dimensione, che non è però paragonabile alle migliori esperienze europee. Ad esempio a Londra parliamo di 6 mila biciclette mentre

a Milano sono la metà. In Europa segnalo anche Lione, Parigi e Barcellona. Cosa determina il successo di un’iniziativa di bike sharing ? Servono una copertura territoriale fitta, un’attività di comunicazione efficace e una facile accessibilità del servizio. In alcune città italiane l’utente deve sottoscrivere un contratto e le cose si complicano per chi non è residente. Chi arriva a Londra invece scende dal treno, mette la carta di credito in un totem e prende immediatamente una bici. Esiste per il bike sharing qualcosa di simile a Iniziativa Car Sharing? Purtroppo no: ogni città che vuole av-

viare un servizio di bike sharing si gestisce in autonomia. Anche su iniziativa di Euromobility è nato il Ccbs, Club delle città del bike sharing, ma non è mai riuscito a decollare perché è mancato interesse a livello governativo. Una persona iscritta a un servizio di car sharing può prendere un’auto anche in un’altra città ma con le bici non è possibile: eppure sarebbe un’opportunità preziosa, soprattutto ipotizzando di arrivare in stazione in bici, prendere il treno e trovare un’altra bici a destinazione. Ci sono in Italia casi in cui il bike sharing a livello economico si autosostiene? In qualsiasi città il 65% dei costi dei mezzi pubblici è pagato dalla Regione e l’azienda che gestisce il servizio copre la parte restante con i ricavi dei biglietti e della vendita di spazi pubblicitari. Anche il bike sharing con gli abbonamenti annuali copre una percentuale dei costi che va dal 20 al 40%. La differenza è che non è considerato un servizio di trasporto pubblico a tutti gli effetti, e perciò il suo costo ricade sull'Ente locale. A Milano, ad esempio, la società di gestione degli spazi pubblicitari si incarica del servizio in cambio di un certo numero di spazi lasciati gratuitamente a sua disposizione per essere poi rivenduti ai privati. Per l’amministrazione, dunque, il costo non è monetario, ma sta nel mancato introito dalla vendita di quegli spazi. A mio avviso ci sono ancora diversi scogli, soprattutto politici, da superare. 

LADRI DI BICICLETTE A ROMA Estella Marino, assessore all’Ambiente della nuova giunta romana, appena insediata ha annunciato il proposito di far ripartire il bike sharing nella capitale. Le bici in affitto per cittadini e turisti, che in tante città sono state un vero successo, a Roma invece sono partite con il piede sbagliato e hanno registrato un flop fatto di incuria e inciviltà. Partiamo dall’inizio: nel giugno 2008, quasi al termine del mandato di Veltroni come sindaco, una società spagnola di affissioni pubblicitarie, la Cemusa, propone un progetto pilota senza oneri (quindi senza bando) all’amministrazione capitolina, chiamato Roma’n’bike: 19 parcheggi, 263 colonnine, 160 bici, più la manutenzione per sei mesi. Veltroni approva e lascia in eredità la sperimentazione alla giunta Alemanno che gli succede e che, allo scadere dei primi sei mesi, rinnova

con Cemusa un altro semestre. Nonostante le bici siano poche e solo nel centro storico, nonostante sia complicato trovare le tessere per ritirare le biciclette, Roma’n’bike registra numeri di tutto rispetto: 4.500 tessere vendute nel 2009 e 4.500 nel 2010. Ma, invece di indire una gara d’appalto e pensare a migliorare il servizio, nel giugno 2009 Alemanno assegna all’Atac la gestione degli impianti, che la società municipalizzata dei trasporti compra dalla società spagnola per 450 mila euro, ma lascia naufragare. La fine della giunta Alemanno, travolta dalle denunce e dall’inefficienza, la conosciamo: il bike sharing aspetta, invece, che si riparta con serietà e restituendo ai cittadini qualcosa di quei 1,2 milioni di euro spariti. Assieme a circa 600 biciclette che i soliti “furbi” hanno portato a casa. Pa.Bai.

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dossier

| adesso pedaliamo |

Ciclo-vacanze sostenibili e diverse di Valentina Neri

In Europa è sempre maggiore il numero di turisti che scelgono di muoversi in bicicletta. Gli itinerari sono innumerevoli, e si può scegliere anche tra i tanti pacchetti proposti da associazioni e tour operator n viaggio di una settimana da Passau, la città bavarese “dei tre fiumi”, a Vienna, percorrendo quasi tutta l’Austria settentrionale lungo il Danubio. O ancora un giro per la costa ovest della Sardegna, da Alghero a Cagliari, passando per la piana di Arborea. Descritti così, sembrano giri turistici come tanti altri. Ma se a organizzarli è la Fiab (Federazione italiana amici della bicicletta), si intuisce che l’unico mezzo di trasporto previsto è a pedali. Per sperimentare il cicloturismo non è necessa-

U

rio essere degli atleti. A darci la conferma, mentre pedala per le strade della Sicilia, è Antonio Dalla Venezia, che della Fiab è stato a lungo presidente: «Il cicloturista-tipo ha dai 40 ai 60 anni, ha un lavoro stabile e, magari, soprattutto quan-

Per i Paesi che ospitano i cicloturisti si tratta anche di una grande opportunità economica, come insegna in Italia il caso dell’Alto Adige

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PONY EXPRESS A IMPATTO ZERO Farsi portare per pranzo, direttamente in ufficio, un panino appena sfornato. Oppure recapitare un regalo alla fidanzata per farle una sorpresa o consegnare ai clienti la merce che hanno ordinato. Ma con una differenza non da poco rispetto a quello a cui siamo abituati: i pacchetti non vengono trasportati da un camion, ma nella borsa di alcuni pony express che si spostano rigorosamente a pedali. Nelle grandi città americane le consegne in bici sono comuni ormai dagli anni Settanta. In Italia i pionieri sono gli Urban Bike Messengers di Milano, attivi a partire dal mese di settembre del 2008. Ora contano su 22 corrieri stabili (oltre a molti altri “a chiamata”), attivi sette giorni su sette, dalle 9 alle 22.30, anche con la pioggia e con la neve. E che, a forza di pedalare, arrivano a un totale di circa tremila consegne al mese. Quasi in contemporanea, a Roma, Tamas Lazlo Simon fondava “E adesso pedala”, un analogo servizio di consegne su due ruote che ora dà lavoro a dodici persone. Quest’esempio è stato seguito in molte altre città italiane: è il caso di Torino, Venezia, Bologna, Parma, Firenze, Roma, Bari, Palermo e Catania. www.urbanbikemessengers.it / eadessopedala.it

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do è donna, decide di partire con un paio di amiche. Ogni anno ai nostri viaggi si presentano tante facce nuove». I pacchetti (il cui prezzo va dai 600 agli 800 euro a settimana) di norma sono “tutto compreso”: il pullman per arrivare fino al punto di partenza dell’escursione, il furgone per trasportare i bagagli ed eventualmente aiutare chi è in difficoltà, le notti in albergo, le visite guidate.

L’Europa del cicloturismo Ma quali sono le dimensioni economiche di questo modo di viaggiare alternativo e, soprattutto, “pulito”? Per quanto riguarda la Fiab ogni anno si contano quattro o cinque viaggi a livello nazionale, a cui partecipa una cinquantina di persone, oltre a una trentina di gruppi più piccoli coordinati a livello locale. Ma ci sono anche decine di tour operator specializzati, censiti sul sito www.biciviaggi.it. «Le uniche stime economiche disponibili sono relative al Trentino, dove la ricaduta del cicloturismo sul territorio è valutata in 80 milioni di euro», afferma Dalla Venezia. D’altronde si tratta di un territorio che ha 400 km di piste ciclabili ed è vicino a Paesi come Austria, Germania e Svizzera, le punte di diamante europee in termini di diffusione dei viaggi a due ruote, insieme a Olanda, Danimarca, Francia e Repubblica Ceca. In Germania l’ADFC – l’equivalente della Fiab, 130 mila iscritti – in un rapporto pubblicato nel 2011 rivela che 4,9 milioni di tedeschi nel 2009 avevano intrapreso una vacanza in


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bici di almeno due giorni. Le strutture ricettive Bett+Bike che offrono servizi dedicati ai ciclisti (l’equivalente italiano è Albergabici, www.albergabici.it), che nel 1995 erano 216, a dicembre del 2010 erano più di 5 mila. Solo sul percorso ciclabile lungo il fiume Elba, lungo ben 840 km, sono transitati 155 mila ciclisti, con una percorrenza media di nove giorni. E la percentuale di stranieri nell’arco di due anni è raddoppiata, passando dal 4,6% del 2008 all’8,9% del 2010. Ma in Europa la “regina” è la pista ciclabile del Danubio: ogni anno la attraversano 300 mila ciclisti e si stima che almeno 60-70 mila di loro percorrano i suoi 320 km per intero. Lo sa bene lo Stato austriaco, che da lì nel 2010 ha ricavato ben 71,8 milioni di euro.

Una risorsa a portata di mano E se – come riporta l’ADFC – tra le cinque mete estere preferite dai tedeschi c’è anche il “nostro” Alto Adige, perché non scommettere sulle due ruote per risollevare il turismo? La crisi, infatti, si fa sentire: stando a Confartigianato, tra aprile 2012 e marzo 2013 il numero di clienti delle strutture ricettive italiane è calato del 5,7%. Per attirare migliaia di visitatori magari si potrebbe cominciare migliorando i collegamenti ferroviari e i servizi per i ciclisti, dal momento che il 42% dei cicloturisti tedeschi preferisce usare la combina-

LA BICI “INTERMODALE” MADE IN UK L’idea nacque ben 37 anni fa, quando LA SPESA MEDIA DEI TEDESCHI PER UNA VACANZA Andrews Ritchie immaginò un mezzo che IN BICICLETTA [COMPRESE LE SPESE DI VIAGGIO] avrebbe, a suo modo, rivoluzionato Meno di 500 € 25% 500-999 € 47% il concetto di mobilità nel Regno Unito 1.000-1.499 € 15% (e non solo). Una bici ultra compatta, 1.500-1.999 € 5% pieghevole e trasportabile. Perfetta per 2.000-2.999 € 4% la città e per l’intermodalità (la possibilità 3.000-4.999 € 1% di un uso combinato di diversi mezzi più di 5.000 € 3% di trasporto: bici+treno, bici+bus, Totale 100% bici+traghetto). La Brompton, oggi, è conosciuta in tutta la Gran Bretagna ed è nota anche nel resto del mondo: la casa di Brentford, non lontano da Londra, è infatti il primo produttore inglese ed esporta il 70% delle bici. Si può portare in aereo, entra nel baule dell’auto; il suo peso è compreso tra 9 e 12,5 kg, le dimensioni (piegata) sono pari a 58,5 x 56,5 x 27 cm. Il tutto senza perdere il comfort: aperta è una bici simile alle altre “city bike”, dotata anche di cambio a sei velocità. Chiusa, la Brompton è anche trascinabile dal manubrio, come fosse un piccolo trolley. Unico neo il prezzo, che si aggira attorno ai mille euro. Ma chi la compra deve ricordarsi che non sta acquistando una bici “normale”.

zione treno+bici, a fronte del 33% che usa l’auto. Se infatti si vuole promuovere questo turismo, che per giunta è a impatto zero e rispettoso del territorio, «non si può sperare solo nei privati: le politiche pubbliche sono indispensabili», continua Dalla Venezia. E le infrastrutture di base ci sono già. Si tratta delle ferrovie dismesse, che possono essere riqualificate e trasformate in piste ciclabili. Solo in Italia si estendono per circa 5 mila chilometri e sa-

rebbero sufficienti per raddoppiare l’estensione delle piste ciclabili, che – riporta Legambiente – alla fine del 2009 ammontavano complessivamente a 3227 km. Per non parlare delle strade secondarie, quasi sconosciute al traffico: «Ce ne sono centinaia soprattutto in Puglia, dove per giunta si gode di un clima favorevole, come in tutto il Sud Italia – conclude Dalla Venezia –. Purtroppo manca un progetto di sviluppo unitario». 

BICI E TRENO, UN CONNUBIO A METÀ Arrivare in stazione lasciandosi alle spalle il traffico UTILIZZO DEL SERVIZIO TRENO+BICI PER CHI USA LA BICI PER SVAGO E TURISMO cittadino, caricare la propria bici sul treno e Usi la bici per: svago e turismo Utilizzi il servizio treno+bici? raggiungere il lago o la collina, dove trascorrere No, mai Talvolta Spesso Totale il weekend all’insegna delle due ruote. Possibile? No 81,1% 17,1% 1,8% 100,0% Sì, ma con riserva. In Italia la bici può viaggiare Sì 55,2% 38,3% 6,5% 100,0% a fronte di un piccolo supplemento di 3 euro e 50 centesimi, ma solo sui treni regionali provvisti a risultati paragonabili a quelli della Germania, dove nel 2010 di spazi appositi. Porte sbarrate, invece, per tutti i treni a lunga le ferrovie hanno venduto 272 mila biglietti per la bici, percorrenza. L’unica alternativa è che la bici sia pieghevole 43 mila dei quali su tratte internazionali. o che il proprietario, una volta arrivato in stazione, la smonti «Il problema dei treni a lunga percorrenza italiani – spiega per riporla in una sacca ad hoc da depositare insieme agli altri Giacomo Scognamillo della Fiab – è che non ci sono spazi bagagli: in tal caso il trasporto è possibile gratuitamente adatti. Proprio Trenitalia ci ha sottoposto dieci domande su tutti i treni. Una vittoria parziale per gli appassionati delle per individuare le modifiche che sarebbero necessarie per due ruote a pedali, che è stata ottenuta grazie alla mediazione i Frecciabianca. Senza dubbio ci sarebbero dei costi, ma alla della Fiab, che ha lanciato la sua prima campagna per base c’è una questione culturale: nel nostro Paese non si crede l’integrazione bici-treno addirittura nel 1987. Ma è evidente abbastanza nella possibilità di rilanciare il cicloturismo che c’è ancora molta strada da fare se si vuole arrivare tramite l’intermodalità bici-treno». V.N.

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L’auto pulita si fa strada di Andrea Barolini

Il settore delle auto “a carburante alternativo” non è più soltanto un mercato di nicchia. Le immatricolazioni di veicoli elettrici sono passate nell’Ue dalle 700 del 2010 alle 14 mila del 2012. E, comprese ibride e a gas, l’Italia non sfigura ossiamo considerarlo ancora come il mercato del futuro, certo, ma già oggi dobbiamo cominciare a parlarne come di un segmento che sta superando con decisione i confini della “nicchia”. L’auto ecologica è destinata a imporsi – per ragioni ambientali ma anche economiche ed energetiche – nella mobilità globale dei prossimi anni. Un trend confermato dalle vendite degli ultimi anni. Secondo il rapporto Monitoring CO2 emissions from new passenger cars in the EU dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), le immatricolazioni di nuovi veicoli

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LE IMMATRICOLAZIONI NELL’UE PER TIPOLOGIA DI MOTORE 2000

2010

2011

2012

68,9

64

59,2

55,5

51,9

50,7

49,4

47,3

47,4

51,1

45,3

43,4

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Diesel

31

35,9

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44,4

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49,1

50,3

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45,1

51,3

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AFV*

0,1

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0,1

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1,3

3,8

3,5

1,4

2,2

Benzina

2001 2002 2003 2004 2005 2006

2007 2008 2009

* Gli Alternative Fuel Vechicles includono le auto ibride, le elettriche e quelle alimentate a gas FONTE: AGENZIA EUROPEA PER L’AMBIENTE, MONITORING CO2 EMISSIONS FROM NEW PASSENGER CARS IN THE EU, 2013

elettrici sono passate dalle circa 700 del 2010 alle 14 mila del 2012. I risultati migliori sono stati registrati in Francia (oltre 5.500 veicoli lo scorso anno) e in Germania (poco meno di 3 mila immatricolazioni). Non stupisce, in questo senso, che una delle prime case a lanciarsi nel mercato dell’ibrido elettrico-benzina, la Toyota, sia riuscita a vendere ormai ben 3 milioni di Prius (la prima auto con motore ibrido) a partire dal suo lancio, nel 1997. Il punto di forza della berlina giapponese è stato sempre quello tecnologico: per ricaricare le batterie elettriche non c’è bisogno di trovare paline disponibili (ancora oggi la dotazione nelle città italiane è insufficiente), né si è vincolati ai limiti di percorrenza imposti dalla maggior parte delle batterie. La ricarica è infatti automatica, e si aziona a ciascuna frenata o rallentamento, tramite un sistema di recupero dell’energia (che altrimenti, schiacciando un pedale del freno tradizionale, verrebbe

L’elettrico conviene davvero? di Andrea Barolini

L’auto elettrica consente di risparmiare molto sui costi di esercizio. Ma, a oggi, il prezzo di acquisto ne rende il mercato meno concorrenziale rispetto ai propulsori ibridi. Muoversi con un’auto elettrica presenta una serie di vantaggi indiscutibili: secondo uno studio pubblicato da Altroconsumo nel

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gennaio scorso, il costo di un pieno per un “EV” (electric vehicle) non supera i 2-3 euro. Inoltre – sottolinea un’analisi di SuperMoney pubblicata dal portale Rinnovabili.it – si deve considerare un risparmio del 30% sulla polizza auto, e del 100% in termini di tasse: le elettriche sono esenti dal bollo per i primi cinque anni (poi, solo in alcune regioni, si paga il 75% dell’imposta). Paragonando due auto della stessa casa – l’elettrica C-Zero e la C1 a benzina, entrambe Citroen – in termini di costi per


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dissipata in calore). Un sistema che la casa nipponica ha anche migliorato negli anni, arrivando oggi a un tasso di emissioni di CO2 pari a 89 g/km. Ma anche un marchio come Ford, ad esempio, ha ottenuto ottimi risultati nei primi cinque mesi del 2013 per quanto riguarda i veicoli ibridi: il produttore ha già superato a livello globale le vendite del 2011 (che erano pari a 35.496 unità), e ha segnato un +375% rispetto ai primi cinque mesi del 2012. In particolare – secondo il mensile specializzato Quattroruote – negli Usa le vendite delle Fusion ibride sono aumentate di circa il 70%, mentre quelle delle C-Max ibride del 63%. Sempre negli States, solo a maggio sono state vendute 60 mila auto ecologiche (+30% rispetto al mese precedente): anche oltreoceano la Toyota resta leader del segmento, ma ottimi risultati sono stati raggiunti anche dalla Leaf (+319,22%) di Nissan. In Francia, invece, si fa largo la piccola Renault Zoe (100% elettrica) della quale, nei primi sei mesi del 2013, sono stati venduti 2.830 esemplari (a cui si aggiungono i 1.730 della versione elettrica della Kangoo).

Cresce l’auto alternativa Insomma, appare evidente come la necessità di modificare i trasporti nell’ottica di una mobilità più sostenibile stia facendo sempre più breccia tra i consumatori. E benché il trasporto pubblico e l’uso di bici o altri mezzi “completamente ecologici” rappresentino comunque la strada maestra da percorrere (per categorizzare le auto, infatti, spesso di parla di emissioni di CO2 ma si considerano meno altri fattori altamente pericolosi come ad esempio le

TESLA, IN AMERICA SPOPOLA LA RETE DI RICARICA SUPERVELOCE In Italia è ancora poco nota, ma in America è la nuova moda (soprattutto tra i “vip”, considerato prezzi e tipologia delle auto proposte). È la Tesla, azienda che produce vetture sportive con motori al 100% elettrici, e che ha sviluppato una rete di punti di rifornimento superveloci, capaci di fare il pieno in soli 20 minuti. La diffusione dei “benzinai elettrici” di Tesla è in rapida espansione, e promette di coprire buona parte del territorio statunitense e canadese entro il 2015. Ce ne saranno infatti 200, e via via dovrebbero – secondo le intenzioni del numero uno dell’azienda, Elon Musk – distaccarsi rapidamente dalla rete elettrica per sfruttare l’energia solare. Quanto alle auto, come detto, il mercato è di nicchia. Ma, in un’intervista all’agenzia Bloomberg, Musk ha spiegato di voler proporre un modello a un prezzo inferiore ai 40 mila dollari (31 mila euro circa), che avrà un’autonomia di 320 km. Per ora, i ricchi americani che vogliono portare a casa una Tesla devono spendere almeno 62.400 dollari per la Model S.

L’offerta di motori elettrici o ibridi è sempre più ampia. E si avvertono i primi effetti sulle emissioni medie di CO2 emissioni di polveri sottili PM10 e PM2,5), l’aumento di veicoli meno inquinanti in circolazione non può che essere accolto con soddisfazione. L’EEA sottolinea, infatti, come le immatricolazioni di AFV (Alternative Fuel Vehicles, veicoli ad alimentazione alternativa) siano cresciute del 51% tra il 2011 e il 2012. E, per una volta, l’Italia è il Paese che ha segnato il maggior incremento: +85%, in gran parte grazie alle vendite di auto a gas metano e a GPL. Tuttavia, occorre sottolineare che – benché

il carburante si passa da 1,5 a 8,6 euro per 100 km. Non solo: gli “EV” possono girare liberamente nelle zone a traffico limitato (il che, ad esempio in un comune come quello di Milano, significa arrivare a risparmiare fino a 5 euro al giorno), sulle corsie preferenziali o in occasione dei blocchi del traffico. E non pagano sulle strisce blu. Purtroppo, però, non mancano i contro. Innanzitutto l’investimento iniziale, che oscilla secondo Altroconsumo tra i 30 e i 40 mila euro. Il che significa che per abbattere i costi iniziali occorre utilizzare l’auto per almeno 200 mila km. E qui sorge un altro problema: le batterie hanno una durata di vita di circa 100 mila km. A metà “vita” dell’auto bisogna perciò sostituirle,

secondo i dati pubblicati dall’associazione Ruoteperaria, da inizio anno fino alla fine di giugno siano state immatricolate, in totale, 6.869 vetture ibride e 402 elettriche – tale quota rappresenta ancora, rispettivamente, solo lo 0,94% e lo 0,05% del totale delle auto vendute in Italia. Di strada, insomma, ce n’è ancora molta da fare, ma il trend di crescita è confortante. Tanto che, insieme al miglioramento dell’efficienza dei motori termici tradizionali (benzina e diesel), l’ingresso più marcato delle auto ecologiche (nel loro complesso, non solo elettriche) ha consentito nel 2012 di diminuire l’emissione media di CO2 delle auto in circolazione in Europa, che ha raggiunto i 132,2 grammi per km (-2,6% rispetto all’anno precedente). 

pagando fino ad altri 10 mila euro. L’autonomia, inoltre, è ancora bassa per le auto sul mercato: guidando in modo “morbido” e senza condizionatore, si fatica comunque a superare i 100 km. Che fare, dunque, per rispettare l’ambiente a costi sostenibili? Per ora il compromesso che appare più ragionevole è l’ibrido. In questo caso il motore elettrico integra quello tradizionale a benzina, soprattutto in fase di partenza e accelerazione, e si ricarica senza doversi fermare. Certo, in autostrada il risparmio è praticamente azzerato (l’auto viaggia oltre una certa velocità solo grazie al motore termico), ma i costi iniziali in compenso sono ben più bassi: si può comprare una Yaris ibrida, ad esempio, con circa 18 mila euro.

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finanzaetica Peccato originale > 19 Cina e finanza: l’affannoso respiro del drago > 22

Usa, tasse e corporation: l’inarrestabile corsa al risparmio > 24

Quale etica dietro gli indici etici? di Andrea Di Stefano

l nostro impegno per la sostenibilità sociale e ambientale è certificato dalla presenza continua della nostra società negli indici azionari etici Dow Jones Sustainability (DJSI) e Footsie4Good, i più autorevoli al mondo». Con questa semplice dichiarazione, grandi società quotate in Borsa come Eni ed Enel liquidano molto spesso le domande critiche di azionisti, associazioni e Ong su violazioni ambientali e dei diritti umani o casi di sospetta corruzione. A volte, come nel caso di Eni, il fatto che l’impresa sia presente negli indici etici contribuisce a determinare la remunerazione variabile degli amministratori e del top management. Un bonus etico, che premia obiettivi di Corporate Social Responsibility (CSR) certificati dalla presenza negli indici. Ma come sono costruiti i due principali indi-

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Indici etici come il Dow Jones Sustainability e il Footsie4Good sono spesso foglie di fico dietro cui si riparano le multinazionali. Basati in gran parte su informazioni fornite dalle stesse aziende. Valori lancia un appello per una maggiore trasparenza e procedure di verifica delle dichiarazioni delle imprese

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ci etici? Se si analizza la metodologia di selezione dei titoli, si scopre che DJSGI e Footsie4Good si basano soprattutto su informazioni fornite dalle stesse imprese e finiscono per avvantaggiare società di grandi dimensioni, dotate di un ufficio CSR o di un dipartimento di investor relations specializzato nei rapporti con i fondi di investimento socialmente responsabili (SRI). Molto spesso, più che il livello di responsabilità sociale viene quindi valutata l’efficacia e la prontezza dell’impresa nel rispondere a domande su temi sociali e ambientali.

Un appello: più trasparenza e verifiche dirette! Valori ritiene che sia indispensabile approfondire il tema e lanciare un appello alle Ong affinché chiedano ai gestori dei due indici maggiore trasparenza e, soprattutto, procedure chiare di verifica delle dichiarazioni delle imprese per evitare che l’inserimento in Ftse4Good possa essere utilizzato da aziende come Enel con dichiarazioni di questo tenore rilanciate dall’agenzia Adnkronos: «In uno scenario mondiale segnato da un perdurante clima di incertezza, le aziende possono dare un contributo al rilancio delle economie con l’innovazione tecnologica e l’adozione di politiche sostenibili nei confronti delle persone e dell’ambiente». Lo afferma Fulvio Conti, Amministratore delegato e Direttore generale di Enel, nel suo contributo allo Speciale Italia Sostenibile della 23esima edizione del Libro

dei Fatti, dedicata appunto alla sostenibilità, in vendita nelle librerie in versione rilegata da collezione e in omaggio per un mese negli Autogrill della rete autostradale a chi acquista un altro libro, in edizione speciale per il 50esimo anniversario dell’agenzia Adnkronos.

Indici: etichette di santità «Anche nel 2012, l’impegno di Enel nella Csr è stato confermato – sottolinea Conti – dalla presenza nei principali indici globali di sostenibilità (Dow Jones Sustainability Indexes, FTSE4Good, Carbon Disclosure Project) e dalla fiducia degli investitori socialmente responsabili, che rappresentano circa il 14,6% del nostro azionariato istituzionale». E ancora: «La creazione di valore condiviso implica una solida governance che sostiene la nostra credibilità sui mercati e promuove la nostra accountability presso gli investitori. In linea con questo impegno, il Cda di Enel ha approvato – ri-

Parola all’indice di Corrado Fontana

Revisioni periodiche dei criteri di inclusione, notizia pubblica delle compagnie depennate, niente armi e tabacco, ma nessuna verifica sul campo della CSR. Così opera FTSE4Good Index. Valori ha intervistato un responsabile FTSE4Good Index è tra i più seguiti indici etici del mondo ed è gestito da una società indipendente (FTSE International Limited) di proprietà del London Stock Exchange Group (la Borsa

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corda Conti – la Policy sui Diritti Umani, basata sulle Linee guida delle Nazioni Unite in materia. Inoltre, la Climate Strategy del Gruppo ha consentito di raggiungere nel 2012 l’obiettivo di riduzione dell’intensità di emissione di CO2 del 7% rispetto al 2007, confermando il target di riduzione del 15% al 2020 rispetto al 2007». «Nel 2012, più del 42% dell’energia prodotta da Enel è a zero emissioni. Proseguiamo in questo impegno – aggiunge Conti – sviluppando l’innovazione tecnologica nella generazione e distribuzione dell’energia elettrica, offrendo ai clienti soluzioni sostenibili: dall’efficienza energetica alla mobilità elettrica, dalle smart grid alle smart city». Dichiarazioni che da sole, considerando la scelta strategica di Enel di puntare sul carbone, fotografano una situazione a dir poco surreale: mentre l’A.d. dell’azienda energetica si vanta del ruolo della sua azienda nella “sostenibilità”, Greenpeace combatte nei tribunali di mezza Italia per difendere la sua campagna contro il killer del clima e della salute dei cittadini.

L’autocertificazione che favorisce le big company Il nodo delle fonti è uno dei punti di debolezza anche delle agenzie di rating etico. In particolare, dal momento che le agenzie valutano il profilo di responsabilità sociale di un numero sempre maggiore di società quotate in Borsa (fino a 5 mila), l’analisi si effettua sempre di più

di Londra). Lanciato nel luglio 2001 e suddiviso per aree geografiche, punta a misurare la performance di 2.400 compagnie quotate su diverse piazze azionarie (Regno Unito, Usa, Europa, Giappone) e, per le sue analisi, si avvale della collaborazione di Ethical Investment Research Services (EIRIS). «I nostri criteri (di valutazione, inclusione ed esclusione, ndr) – spiega Maxi Freeman, responsabile della comunicazione societaria di FTSE Group – prevedono che le imprese rendano pubbliche le informazioni e non che le forniscano solo a FTSE, anche se alcuni dei nostri criteri valutano se tali informazioni siano state verificate in modo indipendente. Il ruolo di FTSE come indice e fornitore di analisi è, infatti, quello di misurare questi livelli di diffusione e di pratica, piuttosto che svolgere controlli. Nello stesso modo in cui non verifichiamo le informative


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su dati messi a disposizione direttamente dalle imprese (in particolare siti Internet e bilanci socio-ambientali). Questo approccio finisce spesso per favorire nel rating finale imprese di dimensioni medio-grandi, che hanno la possibilità di dotarsi di staff dedicati alla responsabilità sociale e alle relazioni con i diversi portatori di interesse (stakeholder) e sono in grado quindi di pubblicare informazioni aggiornate sul sistema di gestione ambientale, sulla riduzione delle emissioni di CO2 o su altri indicatori oggetto di valutazione da parte delle società di rating. Al contrario le imprese quotate medio-piccole (mediumsmall cap) molto spesso non sono oggetto di analisi (perché i loro titoli non sono considerati sufficientemente liquidi e i gestori dei fondi non li richiedono) e, se lo sono, rischiano di essere penalizzate a causa della mancanza di strutture dedicate alla comunicazione sulla responsabilità sociale, nonostante la performance relativa ai diversi criteri sia nella norma o superiore alla media del settore di riferimento. Il numero elevato dei criteri da analizzare e il loro carattere spesso qualitativo renderebbe necessarie analisi supplementari, più propriamente investigative, basate su ricerche più approfondite all’interno di banche dati (registri delle imprese, banche dati giudiziarie, registri navali, ecc.) con l’aiuto di informazioni e documenti reperiti nel deep web o attraverso interviste con i principali portatori di interesse (sindacati, azionisti di minoranza, organizzazioni ambientaliste e per la tutela dei diritti umani, comunità locali). Nonostante siano stati fatti passi avanti in questo senso, in particolare da parte di grandi investitori istituzionali come il fondo sovrano del governo norvegese, la ricerca e la valutazione delle società di rating etico continuano a essere forse troppo legate a informazioni pubblicamente disponibili messe a disposizione dalle stesse imprese oggetto di analisi. 

Peccato originale di Corrado Fontana ed Elisabetta Tramonto

Spesso usati come bollini di Responsabilità sociale d’impresa e come strumenti di marketing, gli indici etici sono oggetto di dibattito tra i gruppi più attivi a favore dello sviluppo sostenibile e della finanza etica

I dati utilizzati per valutare le grandi aziende sono sostanzialmente quantitativi. Servono analisi più approfondite e ampie

n indice etico è valido solo se viene usato per gli scopi per cui è stato creato: misurare il risultato di un investimento finanziario, confrontandolo con l’andamento di società scremate sulla base del rispetto dei principi della responsabilità sociale. Spesso, però, ciò non avviene». Sintetizza così la questione Federica Loconsolo, responsabile dell’area commerciale di Etica Sgr. «Non siamo contrari ai CSR Indices – continua – ma troppo spesso ne viene fatto un uso improprio dagli investitori, che si accontentano dell’appartenenza a un indice etico per considerare un’azienda responsabile». Un uso improprio che, aggiungiamo noi, viene effettuato anche dalle imprese, che trasformano tale appartenenza in un’etichetta di bontà e la usano come strumento di marketing. «Se la base di partenza da cui gli indici etici estraggono il loro paniere di titoli selezionati è l’insieme delle imprese quotate nelle Borse tradizionali, non possiamo farci troppe illusioni», puntualizza Davide Dal Maso, segretario generale del Forum per

finanziarie di ogni azienda, non verifichiamo le informative sull’ESG - Environmental, Social and Governance (cioè questioni ambientali, sociali e di gestione aziendale, ndr). I costi di un’operazione simile sarebbero proibitivi. Il comitato indipendente per la condotta di FTSE4Good, che sovrintende l’indice, si compone di una sezione trasversale cui partecipano diversi stakeholders, comprese le Ong, i sindacati e gli esperti nel campo della sostenibilità. Sono loro che forniscono a FTSE le indicazioni su quali siano i temi appropriati per essere affrontati dai criteri». Due volte l’anno, a marzo e a settembre, FTSE4Good emana la sua revisione dell’indice, specificando eventuali nuove inclusioni o esclusioni, e indicando – solo fino a qualche tempo fa e sommariamente – la causa per cui una compagnia sia stata depennata (alcuni esempi: a marzo 2013 venne esclusa

Mitsubishi Corporations; a settembre 2012 Mattel; a settembre 2011 la nostra A2A, con una generica motivazione “Human and Labour Rights”, che chiama in causa i diritti umani e dei lavoratori). Ricordando una particolare attenzione riservata ultimamente al settore minerario, a forte rischio sui temi della responsabilità sociale d’impresa (vedi anche Valori di luglio-agosto), Freeman conclude: «I parametri che vengono applicati alle società dipendono da quanto ciascuna sia esposta a potenziali rischi nelle questioni ESG: maggiore è l’esposizione, più alti gli standard che devono raggiungere. […] Le aziende vengono rimosse dall’indice se non riescono a soddisfare completamente i criteri di inclusione. Periodicamente vengono introdotti nuovi criteri e, in questi casi, FTSE contatta le aziende interessate per dare loro un lasso di tempo – solitamente 12-18 mesi – utile a soddisfarli».

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| finanzaetica |

L’ETICA ENTRA IN BORSA Gli indici etici o di sostenibilità o CSR Indices sono indici azionari che evidenziano la maggiore o minore responsabilità sociale delle aziende quotate. Per farne parte un’azienda viene valutata sulla base di parametri che riguardano la tutela ambientale, il rispetto dei diritti umani e dei territori dove operano e il trattamento dei lavoratori. Informazioni che le società (private) che gestiscono gli indici reperiscono tramite questionari inviati alle imprese, pubblicazioni ufficiali delle stesse e altre fonti esterne autorizzate, eventualmente approfondite e analizzate da società specializzate. Per motivi di concorrenza tra gli indici, la lista completa delle imprese ammesse da ciascuno non è pubblica (lo era tempo fa), ma vengono periodicamente segnalati i nuovi inserimenti o le esclusioni. Gli indici azionari etici si sono sviluppati negli ultimi vent’anni per offrire un riferimento a chi intende investire in Borsa seguendo anche criteri sociali e ambientali. Inoltre, se confrontati con gli indici tradizionali, rappresentano una misura del rendimento che la finanza etica può offrire rispetto a quella tradizionale. Per questo motivo gli indici etici sono utilizzati da chi colloca sul mercato fondi comuni d’investimento etici, come benchmark per misurare la redditività che un prodotto può offrire. Per le aziende che ne fanno parte, poi, sono ormai usati come mezzo di autopromozione e come “etichetta di eticità”. Ma, come abbiamo visto in queste pagine, non sono esenti da critiche. Tra i principali indici etici: il Dow Jones Sustainability Index (DJSI), il FTSE4Good, l’ASPI Eurozone e il Mcsi Kld 400 Social Index (ex Dsi400, Domini Social Index 400).

la finanza sostenibile ed ex collaboratore di Vigeo (società francese che stila l’indice etico ASPI Europe). «È naturale che vi rientrino società cui di primo acchito non assoceresti il concetto di responsabilità

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sociale». Più che un insieme di imprese ideali sotto il profilo della sostenibilità, sembra il meno peggio di quanto si trova sul mercato. Non a caso l’appartenenza a questi indici «interessa più alle imprese

che agli investitori, tanto che le società la valorizzano in modo anche strumentale, al punto di venderla e comunicarla come fosse una certificazione della qualità della responsabilità sociale, cosa che obiettivamente non è, o lo è solo in parte».

Problemi strutturali C’è insomma un peccato originale, da cui discendono altri punti deboli evidenziati dai fautori della finanza etica e dagli ecologisti. «Per loro natura gli indici etici sono rigidi e standardizzati, non permettono una valutazione approfondita dell’eticità di un’impresa», precisa Federica Loconsolo. «Noi invece abbiamo scelto di separare le due questioni: da un lato la valutazione finanziaria (confrontando i nostri fondi con benchmark di mercato, non etici). Dall’altro, l’analisi extrafinanziaria, cioè la valutazione dell’eticità del comportamento di un’impresa, con parametri sociali ambientali e di governance». E continua: «I CSR Indices considerano solitamente imprese a grande capitalizzazione, escludendo le medio-piccole che non fanno parte dei grandi indici internazionali». Perché vi si rivolgono soprattutto gli investitori istituzionali, che puntano su società a forte capitalizzazione e con grandi liquidità. «Gli indici etici più che valutare l’eticità del comportamento delle imprese, considerano l’aderenza a principi stabiliti. Talvolta basta che un’azienda risponda in modo trasparente a un questionario sottoposto dai responsabili dell’indice per essere considerata etica», aggiunge Federica Loconsolo. Sembra quindi non esserci alcun interesse per il contenuto della risposta, né per la sua veridicità. Un aspetto, quello delle verifiche delle dichiarazioni, su cui punta Elena Gerebizza dell’associazione Re-Common, la cui mission è «sottrarre al mercato e alle istituzioni finanziarie private e pubbliche il controllo delle risorse naturali»: «Questi indici pongono delle domande alle aziende e, in base alle risposte delle imprese stesse, redigono il livello di sostenibilità». Manca il riscontro di questi dati e, «se anche ci fosse una verifica sul campo, sarebbe necessario fosse svolta da un ente indipendente. Ma un accertamento di questo tipo, compiuto a largo raggio su


| finanzaetica |

centinaia di imprese, avrebbe un costo molto alto, che non sembra gli indici vogliano sostenere».

Il fumo nero di Enel

Ombre certe e qualche luce (forse) Un accertamento sul posto potrebbe risultare decisivo nel confermare o meno il rating di sostenibilità delle imprese. Come dimostrazione Elena Gerebizza porta alcuni esempi relativi a Eni: «Recandoci presso l’impianto della centrale nigeriana di Ebocha nel 2011 abbiamo constatato che il gas flaring non era affatto terminato, come invece dichiarato dall’azienda nel suo rapporto di sostenibilità, e che la centrale non era operativa né produceva ancora energia. E così per il caso simile dell’impianto di Okpai, anche questo nel delta del Niger, dove abbiamo verificato incongruenze rispetto alle promesse nella fornitura di energia alla popolazione locale, questioni irrisolte sugli espropri delle terre e mancanze degli impianti relativamente alle preventivate riduzioni delle emissioni di CO2, disattendendo perciò la corrispondenza con il controvalore in crediti di carbonio annunciati dal progetto (e generando quindi una alterazione del carbon market, ndr)». Se, insomma, sono tante le ombre che si addensano su questi sistemi di valutazione, tali disfunzioni potrebbero ridursi grazie a un’intensificazione del dialogo tra chi compila e aggiorna questi indici e le Ong o i gruppi della società civile, come anche, sottolinea infine Gerebizza, «con chi vive sul territorio, che non necessariamente esprime la stessa voce di queste organizzazioni». Un dialogo che, secondo Dal Maso, non è comunque assente: «Alcuni indici coinvolgono anche gli stakeholders (i portatori d’interesse, ndr) nella fase di analisi o nella fase di definizione della metodologia di analisi, anche se ciò non accade in modo sistematico e non nella valutazione specifica di ogni singolo titolo». 

IN RETE www.ftse.com www.finanzasostenibile.it www.recommon.org www.greenpeace.org/italy/it

di Corrado Fontana

L’azienda è stata confermata per il nono anno consecutivo nel Dow Jones Sustainability Index. Eppure continua a investire sul carbone, che acquista tra l’altro dalla controversa multinazionale texana Drummond Tra i casi capaci di scatenare il dibattito in tema di Corporate Social Responsability c’è senz’altro quello di Enel, di cui lo Stato italiano è azionista di riferimento con il 31%. Riconfermata nel settembre 2012, per il nono anno consecutivo, nel Dow Jones Sustainability Index (World e Europe) con un punteggio di 83/100, ottenendo il riconoscimento Sustainability Distinction dalla società di analisi Robeco SAM, lo scorso marzo Enel è stata anche riconfermata nella Semi-Annual Review di FTSE4Good (88/100). Titoli di merito assoluto, che la multinazionale naturalmente non perde occasione di sottolineare, e che però non cancellano la dura campagna di critica portata avanti da Greenpeace, da cui è partita la richiesta alla compagnia di abbandonare l’utilizzo prevalente del dannosissimo carbone per la produzione dell’energia elettrica. La questione ambientale all’interno dei CSR Indices è uno dei punti che solleva più critiche. «I cosiddetti indici etici a volte sono centrati anche sui temi dell’ambiente, ma, per lo più, su questo aspetto adottano parametri abbastanza laschi», spiega Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia. «In più, per quanto riguarda Enel – continua Boraschi – c’è un’altra questione critica (pur considerando un elemento di cui Greenpeace non si occupa spesso da vicino): la compagnia si approvvigiona di carbone dalla multinazionale texana Drummond, che opera soprattutto in Sud America e particolarmente in Colombia. È da 10-15 anni che questa compagnia entra ed esce dai tribunali, giudicata anche negli Stati Uniti, con procedimenti e indagini ancora aperti. È stata accusata, con prove non sufficienti per giungere a una condanna, di finanziare i cosiddetti squadroni della morte colombiani, ovvero gruppi paramilitari dediti alla repressione del sindacato, delle comunità locali e dei campesinos che si oppongono alla realizzazione di alcune infrastrutture utili all’estrazione e alla movimentazione del carbone». Boraschi evidenzia, insomma, una questione di opportunità, quanto meno, che in qualche modo contraddice la credibilità degli indici. Marina Migliorato, Responsabile Corporate Social Responsibility di Enel, cui abbiamo chiesto quali fossero i termini del rapporto di fornitura con i texani, ci ha risposto che «il gruppo americano Drummond è uno dei principali player del mercato internazionale del carbone. Tra i suoi clienti, oltre a Enel, ci sono le principali utilities europee (EDF, E.On, EDP, Tirreno Power), statunitensi e asiatiche. […] il Gruppo Enel intrattiene rapporti di fornitura carbone con Drummond per una parte marginale del proprio portafoglio di importazione via mare». Una relazione che parrebbe insomma consolidata, e vincolata – precisa Enel – dalla prassi applicata su ogni contratto di fornitura: «Drummond è impegnata al rispetto dei principi contenuti nel nostro Codice Etico». Inutile dire che le perplessità rimangono.

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| finanzaetica | cash crunch |

Cina e finanza: l’affannoso respiro del drago di Matteo Cavallito

lla fine se ne è saputo poco o nulla. Come sempre, per altro, in questi casi. Ma una volta tanto parole e dettagli, elargiti ovviamente con estrema parsimonia, sono stati sufficienti a rendere bene l’idea della situazione, suscitando un fastidioso brivido lungo la schiena della comunità finanziaria globale. All’inizio dell’estate il motore della seconda economia del Pianeta si è ingolfato improvvisamente. Solo che, una volta tanto, l’apprezzato meccanico di fiducia, che da quelle parti si chiama Banca del Popolo, ha deciso di non farsi trovare, abbandonando così il malcapitato “sistema” in balia delle forze di mercato. Che, manco a dirlo, si sono comportate di conseguenza.

A

Banche sotto shock La storia, in linea generale, è ormai nota. Lo scorso 20 giugno le banche cinesi si sono trovate con le casse vuote. Una situazione, notava il Wall Street Journal, «non certo insolita, specialmente sul finire di un trimestre, quando gli istituti si trovano a dover trasferire gli asset per adeguarsi ai requisiti regolamentari che impongono un limite al rapporto tra depositi e prestiti». In momenti come questi, tipicamente, la banca centrale interviene con le opportune iniezioni di liquidità consentendo al sistema di non subire contraccolpi. Solo che, come | 22 | valori | ANNO 13 N. 112 | SETTEMBRE 2013 |

si diceva, questa volta è accaduto l’esatto contrario: la Banca del Popolo si è rifiutata di intervenire e i singoli istituti, a secco di rifornimento, sono andati nel panico. I tassi overnight, ovvero gli interessi caricati dagli istituti nei reciproci finanziamenti, sono aumentati di due volte e mezzo nello spazio di 24 ore salendo fino a quota 25%, a riprova di come la fiducia tra i singoli operatori bancari fosse letteralmente crollata. E così, di fronte al disastro, in molti hanno iniziato a interrogarsi sulle ragioni di una simile omissione. Una prima spiegazione l’ha fornita il quotidiano finanziario China Securities Journal, di fatto un maxi megafono governativo. «A differenza di quanto accadeva in passato, non possiamo più utilizzare la rapida crescita del sostegno monetario per la promozione della crescita economica» ha sostenuto il giornale in un articolo ripreso dal Financial Times. «Questo significa che le autorità

Cooperativa Editoriale Etica Anno 12 numero 97. Marzo 2012. € 4,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento Contiene I.R.

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità OLIVER BOLCH / ANZENBERGER / CONTRASTO

Alla fine di giugno il sistema bancario cinese ha rischiato lo shock. Tutto risolto, almeno per ora. Ma lo spettro della bolla è sempre più concreto

La copertina del numero di Valori di marzo 2012, nel quale il nostro giornale metteva in guardia dai rischi della crescita “esagerata” dell’economia cinese

Super bolla cinese Dopo anni di crescita incontrollata rischia un brutto atterraggio Finanza > Le armi (finanziarie) di distruzione di massa contro la Ttf Economia solidale > Il modello cooperativo contro la crisi del capitalismo | ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 | Internazionale > Dopo le sette sorelle del petrolio, nuove società danno forma al mondo

dovranno controllare il ritmo di espansione della moneta in circolazione». A finire sotto accusa, insomma, sono gli anni del credito facile passato tra flussi e riflussi dallo Stato alle banche, ma anche dalle banche alle imprese oppure tra i singoli istituti. Prestiti rischiosi e privi di garanzie, magari cartolarizzati attraverso prodotti e veicoli di investimento opachi impastati insieme nel calderone della bolla immobiliare. Un universo di denaro impazzito che avrebbe fatto girare la testa a troppi operatori provocando assuefazione al rischio, opacità e precarietà sistemica. L’anticamera di

BANCHE IN CRISI, E A PECHINO SCATTA LA CENSURA Minimizzare la crisi creando un’immagine più rassicurante del sistema finanziario e tranquillizzando i lettori circa la sua solidità e la sua capacità di finanziamento. È il messaggio diffuso nei giorni seguenti alla crisi bancaria dalle autorità cinesi attraverso una circolare inviata ai principali media del Paese. Una vera e propria lettera di istruzioni, insomma, circolata in via riservata prima di essere scoperta dal Financial Times che ne ha così dato notizia. «I media devono riferire e spiegare che i nostri mercati hanno la garanzia di avere liquidità sufficiente e che la nostra politica monetaria è solida non restrittiva», si legge nel documento citato dal quotidiano londinese. «I mezzi d’informazione – prosegue la missiva – devono riportare in pieno gli aspetti positivi della nostra attuale situazione economica sostenendo la fiducia del mercato». In Cina, gli ordini di censura non rappresentano di per sé una novità, ma è raro, nota il Ft, che questi vengano diffusi presso i media finanziari.


| finanzaetica |

CINA: L’ESPANSIONE DEL CREDITO E DELL’ECONOMIA (2002-12) STATISTICHE UFFICIALI

CINA: RAPPORTO CREDITI/PIL. DIVERSE IPOTESI

Crediti 80.000

300%

100%

dic. ’12

dic. ’11

Dato ufficiale

240%

200%

Credit Suisse

Fitch

Bernstein Research

Goldman Sachs

FONTI: CREDIT SUISSE (WWW.CREDIT-SUISSE.COM/RESEARCHANDANALYTICSANALYST), FITCH IN THE TELEGRAPH 16/6/2013(WWW.TELEGRAPH.CO.UK), BERNSTEIN RESEARCH IN FINANCIAL TIMES 17/4/2013 (HTTP://FTALPHAVILLE.FT.COM), GOLDMAN SACHS IN ZERO HEDGE 11/4/2013 (WWW.ZEROHEDGE.COM). THE PEOPLE’S BANK OF CHINA 01/2013 (WWW.PBC.GOV.CN), NATIONAL BUREAU OF STATISTICS OF CHINA 01/2013 (WWW.STATS.GOV.CN), NOSTRA ELABORAZIONE

decennio (vedi GRAFICO 1 ). I prestiti in circolazione varrebbero oggi circa il 130% del Pil. Altre analisi, tuttavia, dipingono scenari molto diversi: secondo Credit Suisse il totale dei prestiti pendenti in Cina equivale oggi al 176% del Pil; Fitch e Bernstein Research parlano addirittura di un livello di credito doppio rispetto alla ricchezza prodotta nel Paese, mentre Goldman Sachs ipotizza addirittura un rapporto del 240% (vedi GRAFICO 2 ). Ma a preoccupare è soprattutto il sistema bancario ombra, l’insieme cioè dei prestiti concessi al di fuori dei circuiti tradizionali. Nel gennaio 2012, le autorità cinesi avevano parlato di 2 trilioni di yuan (circa 317 miliardi di dollari), mentre China Union Pay, l’associazione bancaria delle carte di credito cinesi, aveva alzato la stima a 18 trilioni. Nel maggio di quest’anno JP Morgan ha valutato il credito ombra in 36 trilioni (5.800 miliardi di dollari), praticamente il 70% del Pil. Nel giugno 2011 le pubbliche amministrazioni cinesi risultavano indebitate di 10,72 trilioni di yuan (1,7 trilioni di dollari). Nel luglio di quest’anno il vice ministro delle finanze Zhu Guangyao ha dichiarato alla Reuters di non essere a conoscenza del dato attuale.

ultimamente appaiono particolarmente preoccupanti. Dal tracollo Lehman a oggi, sostiene Fitch, il rapporto crediti/Pil è passato dal 75 al 200% con un aumento di 125 punti percentuali contro i 40 registrati negli Usa nel quinquennio precrisi. «È qualcosa che non avevamo mai visto in una grande economia, i prossimi sei mesi saranno decisivi», ha dichiarato al Daily Telegraph Charlene Chu, direttrice senior dell’ufficio di Pechino dell’agenzia di rating. «Lo Stato – ha aggiunto – ha una grande potenza di fuoco ed è assolutamente in grado di sostenere il sistema bancario. La vera domanda è che cosa significhi tutto questo per la crescita e, quindi, per i rischi sociali e politici». Ma questa, ovviamente, è tutta un’altra storia.  LA FINANZA OMBRA IN CINA TIPOLOGIA

VALORE

% sul PIL

Trust

7.741

14,4%

WMP’s

7.100

13,7%

Entrust loans

5.750

11,1%

Bank acceptances

5.904

11,4%

Security firms

1.000

1,9%

277

0,5%

1.200

2,3%

592

1,1%

3.442

6,6%

770

1,5%

Banchi dei pegni Garanzie Piccoli prestatori Finance companies

Una bolla latente Il tema della maxi bolla cinese è al centro del dibattito ormai da diverso tempo (vedi Valori n. 97, di marzo 2012), ma le cifre

Financial Leasing Prestiti del sommerso TOTALE

2.500

4,8%

36.006

69,3%

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FONTE: JP MORGAN, MAGGIO 2013. DATI IN MILIARDI DI YUAN

I timori si sprecano soprattutto in relazione alla variabile dei prestiti. Il problema, notano gli analisti, è che l’economia cinese rischia di essere drogata da questi ultimi e il loro ammontare complessivo resta di fatto sconosciuto. Se si combinano i dati ufficiali forniti dalla Banca del Popolo e dall’Ufficio statistico centrale si scopre, ad esempio, che la ricchezza prodotta nel Paese e il credito circolante sono cresciuti in modo sostanzialmente armonico nel corso del

176%

50%

dic. ’10

dic. ’09

dic. ’08

dic. ’07

Ombre sul credito

130%

150%

202%

67.290 51.932

58.190 47.310

50.900 40.151

34.090

32.000 31.405

26.581

23.800 21.631

20.700

200%

FONTI: THE PEOPLE’S BANK OF CHINA (WWW.PBC.GOV.CN), NATIONAL BUREAU OF STATISTICS OF CHINA (WWW.STATS.GOV.CN), NOSTRA ELABORAZIONE. DATI IN MILIARDI DI YUAN NON INDICIZZATI ALL’INFLAZIONE, LUGLIO 2013 (1 MLD DI YUAN CORRISPONDE A 163 MILIONI DI DOLLARI)

una mega crisi, insomma. Per questo, ha ricordato il fondatore di CNC Asset Management, Na Liu, interpellato dal Financial Times, Pechino avrebbe voluto lanciare «un avvertimento alle banche commerciali e agli altri emittenti in merito al fatto che un’espansione incontrollata del credito attraverso lo shadow banking in particolare non sarebbe stata incoraggiata». Una volta raggiunto lo scopo, la Banca centrale ha cambiato rotta annunciando, il successivo 26 giugno, di essere pronta a sostenere gli istituti in maggiore difficoltà ricominciando così a rassicurare i mercati anche a colpi di censura giornalistica (vedi BOX ). Gli investitori di tutto il mondo hanno tirato un sospiro di sollievo, ma la domanda è rimasta nell’aria: possibile che questa volta le banche cinesi abbiano davvero imparato la lezione?

Pil

250%

0% dic. ’06

dic. ’04

dic. ’03

dic. ’02

13.651 10.000 10.240 11.669 0

dic. ’05 18.232

17.000

20.000

14.000

40.000

18.900

50.000

27.800

60.000

42.560

70.000

30.000

Totale crediti

Pil


| finanzaetica | storture fiscali |

Usa, tasse e corporation: l’inarrestabile corsa al risparmio Le grandi imprese Usa dovrebbero versare in tasse il 35% dei loro profitti, ma in media risparmiano ²/³ della cifra. E così, il peso del finanziamento dello Stato è scaricato sempre di più sui privati cittadini

USA: PESO % DELLE TASSE SUGLI INTROITI FEDERALI 1950-2018* 55

Cittadini

Corporations

* Stime

50 45 40 35 30 25

gni anno le imprese americane sono chiamate a versare tasse pari al 35% dei loro profitti. Ma nel corso del 2010, l’ultimo anno per il quale sono disponibili informazioni complete, la quota di income trasferita dalle casse delle grandi corporation a quelle dell’agenzia delle entrate Usa è stata pari ad appena il 12,6% Lo ha riferito di recente uno studio del Government Accountability Office (GAO), l’equivalente statunitense della nostra Corte dei Conti, commissionato un anno fa dal senatore democratico Carl Levin e dal repubblicano Tom Coburn, rispettivamente presidente e membro del Permanent Subcommittee on Investigations del Senato.

O

Vuoti legislativi, grandi risparmi Il mega risparmio ottenuto dalle società con asset superiori a 10 milioni di dollari (quelle oggetto di indagine) è frutto da un lato di esenzioni, incentivi e crediti accumulati, dall’altro nasce dalla debole pressione fiscale sulle attività estere e dalle basse imposte locali. Anche aggiungendo al calcolo questi ultimi elementi, infatti, l’aliquota effettiva cresce solo al 16,9%. Di illegale, è bene chiarirlo, non c’è assolutamente nulla. Ma il problema, forse, sta proprio in questo. Il sistema di finanziamento delle casse statali è calcolato in | 24 | valori | ANNO 13 N. 112 | SETTEMBRE 2013 |

20 15 10 5 1950

1960

1970

1980

modo del tutto teorico e l’universo di regole fiscali esistenti finisce spesso per vanificare il tutto. Svuotando di significato l’eterno dibattito sulla fiscalità come strumento di stimolo economico. «Chi chiede di abbassare le tasse sui profitti evidenzia spesso come l’aliquota nominale statunitense sia relativamente alta rispetto a quella di altri Paesi», si legge nel rapporto. Tuttavia, già nel 2008, uno studio del GAO evidenziava che quasi il 55% delle imprese Usa non aveva versato un centesimo di tasse, «almeno una volta tra il 1998 e il 2005». Nel 2012 uno studio di Citizen for Tax Justice, un’associazione di Washington, aveva rivelato che negli ultimi tre anni 30 multinazionali americane non avevano pagato un centesimo di tasse pur avendo fatto registrare profitti per oltre 160 miliardi. Tra il 2009 e il 2012, ha riferito il Subcommittee del Senato Usa, Apple e Microsoft hanno eluso legalmente il fisco per oltre 94 miliardi di dollari.

I costi sociali Il vero problema, in definitiva, sta nella ricaduta sociale di simili privilegi. Secondo

1990

2000

2010

il senatore Coburn «ogni risparmio fiscale da parte di una multinazionale si traduce in un aumento della tassazione per i cittadini della classe media e per quelli di basso reddito», come dimostrano per altro le cifre fornite dall’Office of Management and Budget della Casa Bianca (vedi GRAFICO ). Nel 1952 le tasse pagate dalle corporations compensavano il 32% delle entrate fiscali mentre le imposte sul reddito versate dai cittadini costituivano il 42% circa degli ingressi totali. Nel 1983, in piena Reaganomics, il peso delle tasse “corporate” toccò il minimo storico del 6,2% contro il 48,1 della componente “privati cittadini”. Nel 2012, le imposte sui profitti delle corporation hanno raggiunto i 242 miliardi di dollari contro i 1.100 miliardi delle tasse sui redditi dei singoli cittadini. 

IN RETE U.S. Government Accountability Office (GAO), “Corporate Income Tax: Effective Tax Rates Can Differ Significantly from the Statutory Rate”. Rapporto al Congresso degli Stati Uniti, maggio 2013. www.gao.gov/products/GAO-13-520

FONTE: THE WHITE HOUSE, OFFICE OF MANAGEMENT AND BUDGET, 2013 (HTTP://WWW.WHITEHOUSE.GOV/OMB/BUDGET/HISTORICALS). *STIME

di Matteo Cavallito


| ANNO 13 N. 112 | SETTEMBRE 2013 | valori | 25 |


| globalvision |

Progetti di ripresa

Italia a parte

| valorifiscali |

Equivoci

Evasione di soppravvivenza

di Alberto Berrini

di Alessandro Santoro

a geografia della ripresa è la solita degli ultimi tempi: segnala un mondo a tre velocità. Ma con dei cambiamenti rilevanti. L’area “emergente” (India, Cina, Brasile in testa), pur mantenendo un’alta velocità, rallenta.

anno destato diverse polemiche le affermazioni di Stefano Fassina, viceministro dell’Economia, sull’evasione di sopravvivenza. Si tratta dell’ennesima dimostrazione del fatto che “le parole sono importanti” in politica (e non solo). Il sistema produttivo italiano è fragile, caratterizzato da una molteplicità di

L

H

Gli Stati Uniti consolidano una ripresa che però attività economiche di dimensione troppo ridotta, che non potrebbero è sempre meno esplosiva. Ma la vera novità è l’Eu- stare sul mercato se non potessero evadere. Per queste attività econoropa, che dopo un anno e mezzo di recessione mo- miche, quindi, l’evasione serve come un ammortizzatore sociale, occulstra i primi timidi segni di ripresa (+0,3% del II tri- to e distorsivo, ma pur sempre tale da garantire una qualche sopravvimestre 2013). Un dato che non permette di “lasciarsi venza. Si può guardare a questo fenomeno con un occhio clemente, andare” a facili entusiasmi. Perché non vi sono pensando, ad esempio, che questo tipo di evasione sia “meno colpevole”, chiari segnali di ripresa dell’occupazione, che costi- da un punto di vista morale, di quella realizzata dalle multinazionali che tuisce l’indicatore fondamentale di un’inversione aumentano ulteriormente i propri profitti grazie a sofisticate tecniche del ciclo economico. Perché si tratta di un risultato elusive. Ma, se si va oltre il piano dell’umana condivisione, e si ragiona ottenuto grazie all’inaspettato dinamismo di Ger- in termini sistemici, ci si rende conto che l’evasione come ammortizzamania e Francia (+0,7% e +0,5%), che evidenzia una tore sociale è un male molto grave. Perché, se un’attività economica non crescita mal distribuita. Ma soprattutto perché, sta da sola sul mercato, due sono i casi. O si ritiene che produca cocon in media un +0,3%, non si può certo sperare di munque benessere sociale, e quindi la si sussidia e le si concedono bestrappare alla crisi le economie periferiche. nefici fiscali commisurati a questo beneficio di cui gode la comunità. In questo quadro congiunturale, che al più fa Oppure, le si impedisce di evadere e ci si preoccupa della condizione presagire una ripresa lenta, che dopo un 2014 posi- economica di chi grazie ad essa sopravviveva usando, però, gli ammortivo si consoliderà solo nel 2015, spicca il -0,2% del- tizzatori sociali previsti dal sistema, a parità di regole di accesso per tutl’Italia. Un dato che deve essere letto da due diver- ti coloro che ne possono beneficiare. L’evasione di sopravvivenza è se angolazioni. Una negativa: il risultato ancora quindi un concetto equivoco e pericoloso non perché non abbia un suo una volta sfavorevole, anche rispetto agli altri Pae- fondamento, e neppure per le sue implicazioni morali, ma perché semsi europei, è da attribuire alla perdurante debolez- bra rinviare la necessità, invero impellente, di eliminare le inefficienze za dei consumi. Segnale di una distribuzione del e le distorsioni del nostro sistema economico (prima che fiscale).  reddito che da anni penalizza pesantemente le classi sociali meno abbienti, compreso quello che una volta si chiamava “ceto medio”, ed è anche il riflesso di un disastroso dato occupazionale (3.140.000 senza lavoro di cui 647.000 giovani). Una in qualche modo positiva: ci si aspettava un risultato peggiore al punto che le stime del Pil annuale sono state riviste al rialzo (-1,5% contro il -1,8% precedentemente stimato). Insomma si può parlare di una svolta, ma solo nel senso che abbiamo smesso di cadere. E, poiché eravamo precipitati in un punto molto basso, la risalita non sarà né facile né veloce. L’uscita dalla crisi, se ci sarà, non sarà e non potrà essere un ritorno al passato. Dovrà essere necessariamente un punto di partenza e non di arrivo. La ripresa non arriverà in modo automatico, ma richiederà di ridisegnare un intero sistema sociale e produttivo che la crisi ha sconvolto. La ripresa è un progetto di futuro, di cui purtroppo l’Italia è ancora priva.  | 26 | valori | ANNO 13 N. 112 | SETTEMBRE 2013 |


|| BICYCLE FILM FESTIVAL

ARIANNA ANGELONI

fotoracconto

Continua il fotoreportage sul Bicycle Film Festival, che si terrà a Firenze, all’ex stazione Leopolda, dal 26 al 29 settembre. Le foto in queste pagine sono state scattate l’anno scorso, durante l’ultima edizione del festival, che si è svolto a Milano, all’area ex Ansaldo. Nella foto in alto Cargo bike, una gara di “bici cargo”. La classifica finale è stilata in base al tempo impiegato e al peso trasportato, che siano copertoni, birre, o persone. Si è tenuta al Bicycle Film Festival grazie a La Stazione delle Biciclette.

Nella foto a destra Alla 20 Inch Race tante bici BMX, ma non solo. I più temerari in sella alla classica “graziella”, purché monti cerchi da 20 pollici. FOTO: A. FERRILLO

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| numeridellaterra |

Città a misura di bici

AMSTERDAM, PAESI BASSI [1]

MONTREAL, CANADA [11] Amsterdam è la città più “a misura di bici” del mondo. Le infrastrutture sono considerate praticamente perfette e le numerose aree con velocità massima di 30 km/h per i veicoli a motore rendono sicuro muoversi su due ruote. L’unico neo è il “traffico” eccessivo di biciclette nel centro storico, che è relativamente piccolo.

DUBLINO, IRLANDA [9]

Nel Nord America è la città più “amica” delle due ruote. Le prime piste ciclabili sono state costruite oltre trent’anni fa e oggi il sistema di bike sharing è particolarmente diffuso ed efficiente. Sono presenti anche molte “cargo-bikes” per i trasporti di materiali.

di Andrea Barolini

ono venti le città che hanno ricevuto i punteggi migliori nell’ambito del Copenhagenize Index 2013, che valuta quanto siano “a misura di bici”. I risultati si basano su una serie di criteri, tra cui la qualità e la quantità delle infrastrutture, la sicurezza, la pianificazione urbana, e ancora le misure di riduzione del traffico. L’indice è curato dalla Copenhagenize Design Co., azienda di Frederiksberg, in Danimarca, specializzata nella promozione dell’uso della bicicletta. Ciò che salta agli occhi in modo evidente è la totale assenza di città italiane, nonostante ben 16 su 20 siano europee. Francia, Olanda e Germania risultano i Paesi più virtuosi, con tre città in classifica. Ma anche la Spagna, Paese meno ricco rispetto ai meglio piazzati, è presente. Segno che ciò che serve è soprattutto la volontà istituzionale. Che da noi, evidentemente, manca. 

È considerata «la più grande speranza tra le città “emergenti” nel Copenhagenize Index». In particolare il programma di bike sharing ha riscontrato “un successo incredibile”. Dal punto di vista della sicurezza, poi, Dublino è considerata la capitale migliore d’Europa, grazie soprattutto alle numerose “zone a 30km/h”.

S

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RIO DE JANEIRO, BRASILE [12]

Le prime piste nella megalopoli sudamericana furono introdotte nel 1992, in occasione del Rio Climate Summit, a partire dalla spiaggia di Capocabana. Da allora lo sviluppo è stato continuo, anche se sono necessarie nuove misure per tutelare la sicurezza e regolamentare il traffico a motore.


COPENHAGEN, DANIMARCA [2]

MALMÖ, SVEZIA [7]

La capitale danese è in seconda posizione nel Copenhagenize Index, grazie soprattutto all’impegno delle istituzioni: numerosi progetti sono in cantiere nonostante il livello già alto. È presente una fitta rete di piste ciclabili, nonché una serie di “super-autostrade” sicure riservate alle bici.

La terza città della Svezia ha investito 47 milioni di euro per incentivare l’uso delle bici nei prossimi 7 anni. Le piste ciclabili sono state nominate, di modo da essere facilmente rintracciabili sui GPS e sono state introdotte promozioni per la vendita di caschetti.

BERLINO, GERMANIA [8]

TOKYO, GIAPPONE [10]

Arrivare a un 13% di spostamenti intermodali comprendenti l’uso della bici è stato giudicato dai promotori del Copenhagenize Index «impressionante per una città delle dimensioni della capitale tedesca». A Berlino si riscontra infatti un uso elevato anche nella fascia di popolazione meno giovane.

È la città più grande presente nella lista del Copenhagenize Index. Sebbene il Giappone sia uno dei principali produttori di auto al mondo, le autorità sembrano aver compreso il ruolo delle due ruote, che sono sfruttate grazie anche alla fitta rete di metropolitane (che presto viaggeranno 24 ore su 24).

BORDEAUX, FRANCIA [4]

ANVERSA, BELGIO [5]

Bordeaux ha spodestato Strasburgo dal ruolo di città migliore di Francia per le due ruote. Le piste ciclabili sono pari a 200 km nel territorio urbano e salgono a 400 nell’hinterland. Ciò anche grazie alla rete di tram, che consente di spostarsi facilmente e in modo “inter-modale”.

Ad Anversa la bici è uno dei principali mezzi di trasposto, utilizzato nel 16% degli spostamenti cittadini. Tra il 2006 e il 2012 sono stati completati 100 km di piste ciclabili, ed è molto sviluppato anche il servizio di bike sharing.

LE PRIME 20 CITTÀ DEL COPENHAGENIZE INDEX 2013 1. 2. 3. 4. 4. 5. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 11. 11. 12. 13. 13. 13. 14.

Amsterdam, Olanda Copenhagen, Danimarca Utrecht, Olanda Siviglia, Spagna Bordeaux, Francia Nantes, Francia Anversa, Belgio Eindhoven, Olanda Malmö, Svezia Berlino, Germania Dublino, Irlanda Tokyo, Giappone Monaco, Germania Montreal, Canada Nagoya, Giappone Rio de Janeiro, Brasile Barcellona, Spagna Budapest, Ungheria Parigi, Francia Amburgo, Germania

BARCELLONA, SPAGNA [13]

È considerata una delle città a misura di bici “emergenti”. L’amministrazione locale ha imposto numerose “zone a 30km/h”, anche se – sottolineano i promotori del Copenhagenize Index – negli ultimi anni i miglioramenti sono stati troppo pochi, il che ha comportato lo scivolamento dalla 3ª alla 11ª posizione nell’indice.

| ANNO 13 N. 112 | SETTEMBRE 2013 | valori | 29 |

ILLUSTRAZIONE BASE CARTINA: DAVIDE VIGANÒ / CREDIT PHOTO: COPENHAGENIZE DESIGN CO.

| due ruote urbane |


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| un futuro diverso |

economiasolidale Mensa ideale, adieu > 33 Il welfare circolare che rigenera le istituzioni > 35 Innovazione, la parola d’ordine per la carta italiana > 36

Mense e contadini Alleati contro il cemento di Emanuele Isonio

obiettivo è ambizioso. Soprattutto nella Lombardia che continua a cedere al cemento diciotto San Siro al giorno (130 mila metri quadri): trasformare in una “bioregione agricola” il territorio a più alto tasso industriale d’Italia. Ma ambizioso, in questo caso, non vuol dire né irrealizzabile né utopico né antieconomico. Di esperienze pilota, con ottimi risultati al seguito, ce ne sono. Sia in Italia (Piacenza), sia all’estero (Andalusia). L’idea è venuta a un team di ricercatori della Facoltà di Scienze agrarie e alimentari della Statale e del Politecnico di Milano, guidati dal professor Stefano Bocchi: stimolare l’utilizzo agricolo del suolo e aumentare il valore dei prodotti, facendo incontrare domanda e offerta di cibi locali e biologici. Due mondi spesso vicini ma che altrettanto spesso poco si conoscono. Il grimaldello per farli incontrare e spo-

L’

Politecnico e Statale di Milano lavorano al progetto “Bioregione”: costruire un sistema agroalimentare sostenibile che permetta alla ristorazione istituzionale di servirsi di prodotti locali e di qualità, garantendo un futuro stabile alle imprese agricole della Lombardia. Un bacino da 200 milioni di pasti all’anno

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n° pasti/anno [*1.000]

n° pasti/giorno [*1.000]

Fatturato [milioni €/anno]

700.000 730.000 380.000 190.000 2.000.000

2.200 2.300 2.000 650 7.150

€ 2.400 € 2.520 € 1.300 € 650 € 6.870

Aziende Sanità-Sociale Scuole Altro Totale

FONTE: FIPE ANGEM 2010

| economiasolidale |

stare grandi numeri? La ristorazione istituzionale. Una fitta rete di mense scolastiche, ospedaliere, di uffici pubblici e privati che rappresentano di fatto il più grande “ristorante diffuso” della Lombardia.

62 miliardi per mangiare fuori casa Ristorazione scolastica

LA RISTORAZIONE ISTITUZIONALE IN LOMBARDIA: 212 MILIONI DI PASTI OGNI ANNO

Ristorazione ospedaliera Ristorazione UdOS Minori

CO 5,6% VA 7,4%

Ristorazione UdOS Anziani

SO 1,9%

LC BG 3,2% 10,4% MB 8,4%

Ristorazione UdOS Disabili

BS 11,6%

MI 33,6%

PV 6,9%

LO 2,4%

CR 4,8%

MN 3,9%

Il bacino di utenti è impressionante: secondo le analisi della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi), il 31% dei pasti in Italia sono stati consumati fuori casa. E al Nord la percentuale sale al 38%. In pratica un pasto su tre, per una spesa di 62 miliardi e un trend che da qui al 2020 dovrebbe portare a superare il 50%. I dati relativi alle mense collettive disegnano un universo fatto da oltre 7 milioni di pasti consumati ogni giorno (circa 2 miliardi ogni anno), per un fatturato di 6,8 miliardi di euro (vedi TABELLA ). Nella sola Milano, 1,7 milioni di persone mangiano fuori casa ogni giorno (cifra superiore alla popolazione residente della città) e di questi oltre mezzo milione utilizza la ristorazione istituzionale: riuscire a orientare i criteri di scelta dei decisori (in 2.300 sono responsabili delle materie prime usate per oltre 200 milioni di pasti) significa assicurare uno sbocco occupazionale enorme alle imprese agricole lombarde. «Dire no al consumo di suolo non basta», osserva Roberto Spigarolo, ricercatore della Statale di Milano e coordinatore del “progetto Bioregione”.

IL CASO PIACENZA: IN SCUOLE E OSPEDALI IL 77% DEL CIBO È BIOLOGICO E LOCALE Chi è curioso dei risultati possibili grazie all’incontro tra produttori locali e ristorazione collettiva deve gettare un occhio al caso Piacenza. Un’eccellenza a livello nazionale. Premio Economia Verde di Legambiente e Coldiretti. Best practice studiata (e ospitata con tutti gli onori) al Biofach di Norimberga, il più importante appuntamento mondiale del biologico. Nella città emiliana opera dal 2002 il consorzio BioPiace, nato nel 2002 per riunire 70 aziende in prevalenza biologiche, appartenenti a diverse realtà agricole, dalla coltivazione alla vendita. Multifunzionalità, filiera corta, origine certa e produzioni a km0 e no-Ogm i suoi principi ispiratori. La capacità delle aziende del consorzio di offrire una gamma completa di prodotti biologici del territorio ha permesso di stringere accordi con le mense scolastiche e ospedaliere del piacentino

| 32 | valori | ANNO 13 N. 112 | SETTEMBRE 2013 |

(nel progetto è stata coinvolta una trentina di Comuni). Dal settore lattiero-caseario ai cereali, dall’ortofrutta alle carni, dalle conserve al miele, il 77% del cibo cucinato nelle mense piacentine usa materie prime locali e biologiche. Il grande vantaggio per i produttori sta nell’aver sottoscritto contratti di durata novennale con la ristorazione collettiva e di essere finalmente liberi dagli umori dei mercati internazionali delle commodities agricole. In più, l’accordo con la ristorazione istituzionale ha permesso a molti piccoli produttori montani di salvarsi dalla crisi. Ma l’aspetto di maggior successo è forse in un altro dato: a undici anni di distanza, oggi le forniture alle mense coprono solo il 40% delle produzioni. La parte restante è destinata ad agriturismi e ristoranti. Anche loro si sono convertiti alle materie prime del territorio. www.consorziobiopiace.it


| economiasolidale |

«Dobbiamo fornire alternative economiche ai tanti agricoltori, soprattutto delle aree periurbane, le più esposte al rischio cementificazione».

Due mondi che (ancora) si conoscono poco Ma centrare l’impresa non è un gioco da ragazzi. Il progetto prevede quindi un impegno triennale che, prima ancora di avviare e testare alcune buone pratiche, richiede un immane lavoro di monitoraggio. «Dobbiamo mappare cosa si produce in regione e cosa si consuma», spiega Spigarolo. «E vanno studiati i criteri di costruzione dei metodi di approvvigionamento della ristorazione istituzionale, la propensione verso i prodotti biologici, di qualità e locali, analizzare in che modo vengono redatti i capitolati d’appalto. Al tempo stesso dobbiamo mappare le aziende produttrici e capire quanto ne sanno delle logiche di acquisto delle mense collettive». Un lavoro apparentemente oscuro, ma fondamentale per superare la scarsa conoscenza reciproca di questi due mondi: «Agricoltori e decisori della ristorazione istituzionale non si conoscono, ma potrebbero essere l’un l’altro una grande risorsa». Le esperienze condotte finora dimostrano, infatti, che, accordandosi con le mense collettive, i produttori possono contare su contratti sicuri e pluriennali, spuntando prezzi concordati, liberandosi dal rischio di oscillazione sempre più frequente sui mercati internazionali. Chi gestisce le mense potrà a sua volta controllare più facilmente la provenienza dei prodotti e la qualità delle coltivazioni. Un circolo virtuoso da milioni di euro che, in questo modo, potrebbero rimanere sul territorio. «Questo trend – prosegue Spigarolo – non solo ha cambiato le scelte degli agricoltori relative alle specie, varietà e razze da coltivare e allevare, ma ha anche contribuito a implementare l’introduzione di sistemi di coltivazione e di allevamento sostenibili». A chiudere il cerchio, l’ultimo tassello di Bioregione prevede un’attenzione anche alla fase di smaltimento degli scarti alimentari. Oltre 200 tonnellate al giorno di sprechi solo a Milano. «Vogliamo cercare di ridurre il numero di scarti, attuando azioni educative nelle mense e una filiera corta dei rifiuti vegetali e animali che, se recuperati, potrebbero essere riutilizzati per arricchire il suolo di sostanze organiche». 

Mensa ideale, adieu di Emanuele Isonio

All’ospedale “Cardinal Massaia” di Asti avevano ideato un modo per far mangiar bene i pazienti, risparmiare denaro e mantenerlo nel territorio. Tutto finito, a causa delle nuove regole d’acquisto imposte dalla spending review. Che, in questo caso, non riducono nemmeno i costi a dir poco paradossale quello che sta accadendo alla mensa del “Cardinal Massaia” di Asti: uno dei progetti più innovativi (e invidiati) nel panorama delle mense ospedaliere italiane chiude. Immolato sull’altare delle nuove regole sugli approvvigionamenti imposte dalla spending review introdotta dal governo Monti. Punitive per chi si rifornisce di prodotti locali. E, beffa che si aggiunge al danno, nemmeno utili a ridurre i costi.

È

Menù di qualità, ricoveri più brevi Il progetto era nato nel 2007, mosso da una visione: far mangiare bene i pazienti selezionando principalmente prodotti di qualità del territorio. Nessun motivo caritatevole ma un ragionamento ben preciso: in questo modo si sarebbero avuti effetti positivi sui tempi di guarigione, si sarebbe stimolata una cultura del cibo sano, si sarebbe sviluppata una filiera corta delle materie prime alimentari. Menù (per lo più biologici) da leccarsi i baffi, grazie a un accordo con Coldiretti, Slow Food e

ANDALUSIA ESEMPIO LEADER IN SPAGNA Per ogni ettaro di territorio coltivato in modo biologico in Spagna, più della metà si trova in Andalusia: 990 mila ettari, in crescita del 69% negli ultimi cinque anni, con 9.750 agricoltori (erano 7.500 nel 2008. Un modello di tutto rispetto per il Paese iberico. Reso realtà anche grazie a uno dei progetti più interessanti fra i tentativi di costruire una domanda stabile e locale dei prodotti biologici. Anche qui sono stati coinvolti i canali della ristorazione collettiva. Il programma ha preso il via nel 2005 grazie all’accordo tra cinque ministri del governo regionale per diffondere il consumo di cibi organici tra giovani e adulti. Sono stati quindi coinvolti 6 mila bambini e 1.300 adulti,

attraverso le mense di scuole, asili, ospedali e centri anziani. Gli obiettivi dichiarati in realtà trascendevano il mero aspetto economico: il governo andaluso voleva riuscire a fornire uno sbocco sicuro all’offerta di prodotti agricoli locali e di qualità, stimolando anche il consumo di frutta e verdura biologica fra la popolazione per consolidare la domanda, sviluppare stili di vita più sani e un sistema di agricoltura a minore impatto ambientale. Per riuscirci, il programma ha introdotto un nuovo punteggio nei bandi pubblici per premiare le compagnie di catering che utilizzavano cibo bio.

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| economiasolidale |

Il nuovo sistema costa di più, non insegna il valore del cibo sano e svilisce le capacità di chi ha saputo creare un modello d’eccellenza molti produttori locali: carne bovina piemontese, pollo Tonchese allevato sulle colline del Monferrato, robiola di Roccaverano, latte appena munto, formaggi e insaccati Dop, pasta trafilata al bronzo. Il tutto al costo di un euro in più dei cibi surgelati. «I pasti in ospedale sono molto importanti per i degenti. Ma lo sono anche per noi perché nutrirli correttamente significa accorciare i tempi di degenza. E un giorno in meno di ricovero vuol dire recuperare 600 volte quell’euro in più speso», spiegava l’allora direttore generale del “Cardinal Massaia”, Luigi Robino. Semplice matematica applicata alla salute pubblica. Col tempo, l’accurata selezione dei fornitori ha permesso di unire ulteriormente qualità e controllo dei costi. «Dal milione e 800 mila euro spesi nel 2008 siamo scesi l’anno scorso a 1,4 milioni» spiega Angelo Risi, funzionario dell’Asl di Asti che ha seguito fin dall’inizio il progetto. Ma dal 2013, il decreto sulla spending review ha imposto di acquistare i prodotti in modo centralizzato attraverso la Consip, la centrale unica acquisti per la pubblica amministrazione. Filiera corta, addio. Perché il criterio della prossimità al luogo di acquisto non è più previsto. | 34 | valori | ANNO 13 N. 112 | SETTEMBRE 2013 |

«Prima, riuscivamo ad avere carne, latte, frutta e verdura da produttori lontani un paio di chilometri dall’ospedale. Ora abbiamo prodotti provenienti da tutta Europa», rivela Risi. «Anche comprando prodotti comunque di prima fascia, in termini di qualità, i due “carrelli della spesa” non sono comparabili. Senza considerare il totale abbandono dell’aspetto terapeutico del pasto e della formazione a un’alimentazione sana che il nostro progetto garantiva».

Acquisti centralizzati Costi più elevati L’effetto più irritante è però quello economico: perché il passaggio al nuovo sistema non serve nemmeno ad abbassare i costi. «La verdura, che non proviene più dal territorio, ha prezzi palesemente più cari» ammette Risi. «Stesso discorso per i

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GLOSSARIO CONSIP Nata nel 1997 per gestire i servizi informativi del ministero del Tesoro e del Bilancio, la “Concessionaria Servizi Informativi Pubblici” ha visto ampliare negli anni successivi i suoi spazi d’intervento. Dal 2000 le è stato affidato il compito di gestire il programma per razionalizzare la spesa pubblica per beni e servizi del ministero dell’Economia. E l’anno scorso, con il decreto “Salva Italia” il perimetro è cresciuto ancora, coinvolgendo tutti i ministeri, Regioni ed enti locali: l’uso del “sistema Consip” è obbligatorio e i contratti stipulati in violazione di tali obblighi sono nulli.

cibi biologici. Sono più costosi di quando li compravamo direttamente noi. E abbiamo dovuto dire addio ai prodotti da lotta integrata, ottenuti cioè riducendo drasticamente l’uso di fitofarmaci. La Consip non li prevede». Facendo due conti, il nuovo sistema due risultati però li ha ottenuti. Ma non c’è da andarne fieri: i soldi spesi non rimangono sul territorio e non aiutano quindi la sopravvivenza di molti produttori agricoli locali né la riconversione biologica delle colture. E ha di fatto svilito la professionalità dei molti dipendenti pubblici che hanno reso realtà un progetto d’eccellenza studiato in tutta Europa. «Il giusto equilibrio sarebbe stato facilmente raggiungibile» commenta Risi. «Fermo restando l’obbligo a usare la centrale d’acquisto Consip, se riesco a spuntare prezzi più bassi con le aziende del territorio e la qualità è migliore, perché non posso comprare i prodotti autonomamente?» 


| economiasolidale | terzo settore |

Il welfare circolare che rigenera le istituzioni di Corrado Fontana

A ottobre le Giornate di Bertinoro per l’economia civile. Obiettivo sdoganare definitivamente l’innovazione sociale: la sponda pubblica c’è, il triangolo virtuoso con l’imprenditoria capitalistica è in formazione, e la finanza dedicata potrebbe dare una mano le in Italia e, particolarmente, nel Terzo settore. Nel comparto industriale tutti sanno di cosa si tratta: l’iPad è una innovazione di rottura, ad esempio. In ambito sociale innovazione di rottura vuol dire trovare i modelli di governance necessari per realizzare la sussidiarietà circolare».

Che cosa intende per sussidiarietà circolare?

er colpa di una deformazione culturale, quando si usa la parola innovazione nel nostro Paese tutti fanno riferimento a quella tecnologica, a quella scientifica o a quella organizzativa, mai a quella sociale»: un vulnus sottolineato dal professor Stefano Zamagni e che la prossima edizione delle Giornate di Bertinoro per l’economia civile (11-12 ottobre 2013) punta a superare. Perché secondo il docente di Economia politica dell’Università di Bologna, nonché ex presidente dell’Agenzia per il Terzo settore (chiusa nel 2012), in questa XIII edizione dell’evento, intitolata significativamente “Rigenerare le istituzioni”, è finalmente a portata di mano una riformulazione del modello di welfare di riferimento: «Le innovazioni possono essere di processo, di prodotto e di rottura (disrupting innovation). Queste ultime sono quelle di cui c’è bisogno oggi in genera-

«P

È tempo di fare il passo decisivo mettendo la sfera degli enti pubblici e il blocco imprenditoriale e quello del Terzo settore in condizioni, non solo di dialogare, ma di progettare e gestire insieme tutta una serie di servizi nell’ambito del welfare, inteso in senso ampio (non solo sanità e assistenza ma tutto ciò che riguarda il benessere delle persone: quindi anche la cultura, i beni comuni). Bisogna creare per questo un modello teorico di governance che ancora non esiste al mondo, mentre esistono delle buone pratiche che, in questo caso, sono venute prima della teoria, e alcune si stanno realizzando in Italia: a Messina hanno creato un distretto sociale o del welfare, applicando la sussidiarietà circolare attraverso l’interazione tra le imprese (quelle che ci stavano), le cooperative sociali, una fondazione di comunità e l’ente locale, rappresentato dal Comune e dalla Provincia. A Padova c’è un’iniziativa simile realizzata con il Distretto di cittadinanza. Le Giornate di Bertinoro servono a sancire la legittimità di questa linea, che ciascuno potrà poi modulare a seconda

della propria realtà locale; a tirare la volata e a fornire argomenti al policy maker pubblico. Non dobbiamo perdere questa opportunità.

Ma qualcosa si muove anche sul piano economico dei soggetti del Terzo settore... Rispetto alla dimensione economicofinanziaria nel prossimo futuro verranno introdotte numerose novità, a cominciare dai così detti social bond. Si tratta dello strumento delle obbligazioni sociali che gli inglesi stanno applicando (vedi Valori maggio 2013), ma l’idea è nostra: io per primo li ho inseriti nell’articolo 29 della mia legge nell’ormai lontano 1997 (Dlgs 460/1997). Inoltre c’è un progetto in corso tendente a riprendere in mano l’idea della Borsa sociale: lanciata circa quattro anni fa all’alba della crisi di governo, ora sta tornando in auge. Anche le imprese sociali devono avere un loro mercato di capitali dedicato, per scongiurare le forme di usura e le speculazioni... Bisogna trovare un canale adeguato e trasparente per permettere alle imprese sociali di trovare i finanziamenti, superando così la stretta del credito. 

APPUNTAMENTO 11-12 ottobre, Bertinoro (Forlì) Le Giornate di Bertinoro per l’economia civile “Rigenerare le istituzioni. Il contributo dell’economia civile all’innovazione istituzionale” www.legiornatedibertinoro.it

| ANNO 13 N. 112 | SETTEMBRE 2013 | valori | 35 |


| economiasolidale | made in italy a rischio/puntata 6 |

Innovazione La parola d’ordine per la carta italiana di Emanuele Isonio

Dal 2007 persi un quarto del fatturato e 38 mila addetti, consumi interni fermi al palo, crisi dell’editoria: dalle maglie della recessione sembrano salvarsi solo i gruppi maggiori e chi investe in innovazione on è certo un bel periodo questo per gli operatori del settore carta. La crisi economica, è naturale, morde qui come in molti altri comparti industriali. Ma ad essa si aggiungono ulteriori fattori che rendono per nulla certo il futuro di una delle filiere storiche dell’industria italiana: l’enorme incidenza dei costi energetici, la crisi dell’editoria, una politica culturale assente da ormai troppo tempo, le nuove tecnologie. Tanti ostacoli che si trasformano in altrettante sfide per evitare che la recessione attuale sfoci in un declino irreversibile.

N

In fumo dieci miliardi in cinque anni Basta leggere i dati macroeconomici più rilevanti per delineare la situazione del settore cartario in Italia. Una filiera complessa, che riunisce molte aziende diverse (vedi GRAFICO ): dalle cartiere alle macchine per grafica, alle tipografie, fino alle imprese di stampa pubblicitaria ed editoriali. Tutte insieme l’anno scorso hanno realizzato un fatturato di 32,8 miliardi di euro. | 36 | valori | ANNO 13 N. 112 | SETTEMBRE 2013 |

Una cifra di tutto rispetto che però è ben lontana dai valori del decennio precedente: -18% rispetto al 2003, -23% rispetto a cinque anni fa. Dieci miliardi di euro in fumo, interamente legati al crollo delle vendite interne (passate dai 33,7 miliardi del 2007 ai 23,7 dell’anno scorso). «Il fatturato, le vendite interne e il consumo apparente hanno toccato, nel

2012, i valori annui minimi dal 2000», spiega Alessandro Nova, docente di Pianificazione finanziaria e analisi degli investimenti alla Bocconi di Milano. «La compressione del fatturato (-7,9% rispetto al 2011) sottolinea in modo ancor più netto le difficoltà della filiera rispetto alle già non favorevoli condizioni del resto dell’industria italiana».

LA STRUTTURA DELLA FILIERA STAMPA EDITORIALE

STAMPA PUBBLICITARIA E COMMERCIALE

EDITORIA [libraria, quotidiana, periodica, periodica special.]

FATTURATO 2012* 32.851 [mln di €]

CARTA, CARTONE, INCHIOSTRI E MATERIALI GRAFICI MACCHINE [per grafica e cartotecnica]

CARTOTECNICA E TRASFORMAZIONE


| economiasolidale |

QUELL’IMPIANTO TEDESCO CHE FA INVIDIA ALLE IMPRESE ITALIANE Abbattere i nodi competitivi per ridurre i costi e, con loro, anche il rischio di perdere posizioni rispetto ai concorrenti esteri. Un tema che sta molto a cuore agli imprenditori del settore carta, che lo hanno affrontato durante l’assemblea annuale di Assocarta organizzata a Roma a metà giugno. La competitività della filiera – secondo gli industriali – passa per un intervento sui costi energetici e sulla riduzione degli scarti. Ma certo, lo scoramento non manca, alla luce dei tempi lunghi necessari in Italia ad adeguare gli impianti: «In Germania – rivela il presidente di Assocarta, Massimo Medugno – un produttore di imballaggi ha potuto costruire un impianto per trasformare i propri scarti industriali in energia. Gli sono bastati 26 mesi. Ora quell’impianto garantisce l’approvvigionamento elettrico dell’azienda oltre a devolvere 17 MW alla rete pubblica. Da noi tutto questo sarebbe impedito da lungaggini e opposizioni spesso preconcette». Inevitabile la domanda per il futuro: «Se lì il rifiuto diventa leva competitiva di un’azienda e qui no, come potremo colmare il gap competitivo?». Su altri fronti va un po’ meglio: grazie al consorzio Gas Intensive, che riunisce oltre ad Assocarta altre sette associazioni di categoria, trecento aziende possono riuscire a spuntare migliori condizioni per l’approvvigionamento di gas (il consorzio è oggi il più grande consumatore industriale di gas naturale in Italia).

LA DINAMICA DELLE MACROVARIABILI DELLA FILIERA [milioni di €] 45.000

260.000

40.000

234.000 208.000

35.000

182.000 30.000 156.000

Energia: quanto mi costi «Non mi stupirei – prosegue Medugno – se da qui a qualche anno rimanessero solo le aziende più grandi, che possono sfruttare le economie di scala e possono permettersi di farsi pagare gli ordini con più ritardo dai committenti». A osservare i dati del principale operatore tra le aziende cartarie, la cuneese Burgo, l’analisi parrebbe inconfutabile: dal 2004, ricavi aumentati da 1,9 a 2,4 miliardi di euro. Ma i 188 lavoratori cassaintegrati dello stabilimento di Mantova che, per protesta, hanno coltivato l’orto biologico davanti all’ingresso dell’azienda (con tanto di spaventapasseri in tuta blu), qualche dubbio lo fanno sorgere. Quel che pare invece certo è che, piccole o grandi che siano, obiettivo ineludibile per le aziende sia un altro: puntare sull’innovazione. «Resisteranno le aziende che si sono specializzate in nicchie particolari di mercato. Una scelta essen-

25.000 130.000 20.000 104.000 15.000 78.000 10.000

52.000

5.000 0 2003 2004 Fatturato Vendite

26.000 2005 Export

2006 2007 2008 2009 Import Consumo apparente

ziale – spiega Medugno – per aumentare i servizi offerti e per ridurre i costi». A partire da quelli ambientali ed energetici. Questi ultimi incidono per il 20-40%. L’industria cartaria è, infatti, una delle più energivore, sia per il gas sia per l’elettricità utilizzata. «Occorre fare di tutto per ridurre questo gap competitivo rispetto ai concorrenti esteri» (vedi BOX ). «Ma accanto agli investimenti per l’innovazione tecnologica – commenta Novi

2010 Addetti

2011

2012**

0

* valori aggregati; ** stime

– sarebbero estremamente utili una serie di misure da inserire in un programma di politica industriale di medio-lungo periodo: rifinanziare il credito agevolato per le aziende della filiera, il credito d’imposta per le imprese editoriali e per gli investimenti pubblicitari e di comunicazione sulla stampa (crollati del 17,7% nel periodo 2011-2012), detassare la spesa per i libri di studio e per gli abbonamenti a periodici e quotidiani».  | ANNO 13 N. 112 | SETTEMBRE 2013 | valori | 37 |

FONTE: UFFICI STUDI ASSOCIAZIONI DI FILIERA

All’interno del settore, i dati negativi riguardano quasi tutti i comparti, trainati in basso dal crollo vertiginoso dell’editoria: -12% nell’ultimo quinquennio le tipografie e cartotecnica, -17% per le imprese librarie, -44% per l’editoria quotidiana e periodica. Le uniche a festeggiare sono le aziende produttrici di macchinari per la grafica e quelle della carta igienico-sanitaria, «un settore anticiclico, in cui i consumi sono inevitabilmente più stabili e per il quale oggi siamo primi in Europa per quantità, davanti a Germania e Regno Unito», osserva Massimo Medugno, presidente di Assocarta. «Anche se basta osservare gli scaffali di qualsiasi supermercato per notare che il consumatore si sta comunque orientando su prodotti di fascia bassa». Inevitabili le ripercussioni sul fronte occupazionale: dal 2003 si sono persi quasi 47 mila addetti su 260 mila. «La contrazione – prevede Medugno – è destinata a continuare». Le uniche note positive, come già rilevato in altri casi, vengono dall’estero, con le esportazioni (in crescita del 20% in dieci anni, nonostante il leggero segno meno fatto registrare nel 2012 rispetto all’anno precedente) che oggi rappresentano oltre il 27% del fatturato totale del settore (nel 2003 erano appena il 18%).


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CERTIFICATA O RICICLATA: IL LATO VERDE DELLA CARTA

Non è un invito a sprecar fogli bianchi, piuttosto un modo per sfatare molti luoghi comuni che nell’opinione pubblica fanno considerare questo materiale come sinonimo di deforestazione. Con questo spirito, i vari soggetti coinvolti nella filiera italiana della comunicazione hanno lanciato “Twosides - il lato verde della carta”. Obiettivo: informare sul carattere naturale e rinnovabile del legno, materia prima indispensabile per il settore, insieme alla carta da macero. Secondo i dati dello European Recovered Paper Council (ERPC) il 70% della carta usata in Europa viene raccolta e riciclata. Un numero che fa di questo materiale il più riciclato a livello europeo. A dimostrazione che il suo utilizzo non danneggia gli alberi europei, Assocarta ricorda che la superficie forestale in Europa è cresciuta del 30% rispetto al 1950: 850 mila ettari ogni anno (più o meno un milione e mezzo di campi da calcio). E in Europa la quantità di CO2 emessa per realizzare i prodotti cartacei consumati in media da ciascun cittadino (circa 200 chili) è analoga a quella di un’auto di media cilindrata che percorre 900 chilometri. Stesso discorso per la posta, che impatta per lo 0,1% delle emissioni di anidride carbonica di un nucleo familiare: circa 14 chili, pari a un viaggio in auto di 70 chilometri o alla produzione di nove litri di latte. Dati che però potrebbero essere sensibilmente abbattuti se si facesse uso solo di carta riciclata o certificata: «Il mix perfetto – spiega Antonio Nicoletti, responsabile Foreste e commercio legno di Legambiente – sarebbe quello di utilizzare sia carta prodotta attraverso il riciclo sia da materia prima proveniente da foreste gestite in modo sostenibile. In questo senso le certificazioni forestali Pefc e Fsc rappresentano un importante strumento di tutela per il consumatore che deve fare la sua parte, rifiutando prodotti di dubbia provenienza». Certo, anche la Pubblica amministrazione dovrebbe impegnarsi: «È inutile chiedere attenzione ai cittadini se poi, attraverso i criteri della Consip (la società del ministero dell’Economia che gestisce gli acquisti pubblici, ndr), non si incentiva l’uso di prodotti verdi da parte degli organismi pubblici. Un’occasione sprecata per spingere il mercato verso produzioni a minore impatto». Optare per la carta riciclata oppure per quella certificata dipende ovviamente da molti fattori: «l’uso che se ne deve fare, l’acqua necessaria per realizzare la carta riciclata rispetto a quella ottenuta da foreste certificate, l’energia e i prodotti chimici consumati per il riciclo. Ma anche il luogo di provenienza della cellulosa».

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Quante idee dietro un pezzo di carta di Emanuele Isonio

Sono molte le aziende che, per rimanere sul mercato e conquistare nuovi clienti, investono sulla ricerca tecnologica e di processo. Risultato: la filiera italiana è seconda in Europa per numero di domande di brevetti è l’azienda che si è specializzata nella produzione di carta da alghe e da altri residui vegetali, il distretto produttivo che punta a dimezzare il proprio fabbisogno di energia, l’impresa che considera gli scarti di produzione come risorse da immettere nuovamente nel proprio ciclo produttivo. E quella che ha sviluppato un imballaggio per alimenti che può essere riciclato insieme al rifiuto umido e al compost. Pur nel mezzo della crisi che aggredisce e scoraggia, l’Italia che crede nell’innovazione non ha rinunciato al proprio sogno di uscire rafforzata, grazie alla costruzione di un sistema industriale a basso impatto ambientale. Oltre alle storie di molte aziende, lo testimonia il numero di domande per tecnologie green presentate, negli ultimi cinque anni, all’Ufficio europeo dei brevetti: 1.955 in tutta Europa. Di queste, 84 (il 4,3%) sono italiane, cifra che colloca il nostro Paese al secondo posto. Obiettivi: costruirsi nicchie di mercato che possano rispondere alle nuove esigenze dei committenti. E trovare soluzioni per ridurre i costi di smaltimento ambientale e i consumi energetici di un settore tra i maggiori utilizzatori di gas ed elettricità. I risultati raggiunti finora (2 mila chili recuperati ogni ora, il 57% della materia prima ottenuta dal macero) sono rilevanti. Ma alcune questioni aperte permangono: «Ancora molto va fatto – spiega Domenico Sturabotti, direttore di Symbola, fondazione per le Qualità italiane – nell’ambito dei rifiuti di processo, che, in misura maggiore di quella attuale, potrebbero costituire un’importante fonte di energia per il settore. In parallelo possono crescere i risparmi energetici, aumentando l’approvvigionamento da cogenerazione. Infine, in un’ottica d’integrazione, le cartiere potrebbero ampliare la gamma di servizi offerti alla collettività, allargando la loro attività al recupero di rifiuti propri e delle città». Le eccellenze alle quali guardare con fiducia comunque non mancano: come la viterbese Policarta di Bassano in Teverina, che, per evitare la produzione di rifiuti difficilmente riciclabili, come chiesto dalla normativa europea, si è inventata fogli per alimenti a base cellulosica e di biofilm che possono essere smal-

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titi insieme agli scarti degli alimenti. O come la Favini di Rossano Veneto in cui le alghe essiccate e i residui di frutta, caffè, cacao, costituiscono il 10% delle materie prime usate per produrre carta e hanno permesso un risparmio di 4 mila tonnellate di cellulosa all’anno. Sul fronte del risparmio energetico e idrico, da citare il Distretto cartario di Capannori, a una manciata di chilometri da Lucca, che copre con la cogenerazione il 50% dell’energia utilizzata: il calore prodotto dalla fabbrica viene trasformato in energia elettrica. E, grazie al progetto Paperbref, ha ridotto di un terzo il consumo di acqua nelle fasi di produzione. In Trentino, invece, le Cartiere di Villa Lagarina hanno realizzato un impianto di cogenerazione ad alto rendimento, cofinanziato al 45% (su 950 mila euro totali) dalla Provincia. Il sistema fornirà acqua calda gratuita per riscaldare gli edifici pubblici di tre Comuni limitrofi. Le Cartiere manterranno i livelli occupazionali attuali (73 dipendenti) fino al 2019. 

MONDADORI: COME VENDERE LA TIPOGRAFIA E METTERE IN GINOCCHIO L’ACQUIRENTE Anche questa è la realtà alla quale vanno incontro le imprese tipografiche in Italia: la storia ha coinvolto, nei mesi scorsi, la Elcograf, controllata dal gruppo bergamasco Pozzoni, primo gruppo grafico in Italia, terzo in Europa. Cinque anni fa Pozzoni ha rilevato (140 milioni più 60 di debito) l’80% di Mondadori Printing, tipografia di libri e periodici targati Mondadori Editore (universo Fininvest). Nell’accordo di cessione, una clausola: mantenere inalterati prezzi e testate da stampare per i successivi otto anni (fino al 2017). Nel 2012 Pozzoni, sborsando altri 19 milioni, diviene proprietario del restante 20% di azioni della Mondadori Printing. Una manciata di giorni ed ecco la richiesta della Mondadori editore: ribassare fino al 30% i prezzi di stampa pattuiti. Lo “sconto”, stando ai calcoli di Slc-Cgil, si aggirerebbe sui 15 milioni di euro, con una perdita di posti di lavoro tra 250 e 300 unità, sulle mille totali. Il braccio di ferro tra il gruppo berlusconiano e Pozzoni non ha però portato ad alcun accordo. Anzi: a fine maggio, la casa editrice guidata da Marina Berlusconi ha comunicato la formale disdetta del contratto di stampa. Per Elcograf un colpo forse irrecuperabile, visto che le commesse di Mondadori contribuiscono a più del 60% del fatturato totale. A voi la scelta dell’aggettivo migliore per definire certe strategie imprenditoriali.

IMBALLAGGI: IL SISTEMA È MATURO MA PUÒ CRESCERE ANCORA

Imballaggi

Nord

Centro

Non imballaggi

75%

79% Sud

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57%

60%

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80%

75%

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86%

100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0%

74%

CONFRONTO DEI TASSI DI RACCOLTA SU DISPONIBILITÀ DI CARTA E CARTONE PER MACROAREA [anno 2011]

91%

Per una volta l’Italia è ai vertici Ue per un dato positivo: il tasso degli imballaggi cartacei recuperati e riciclati si attesta attorno all’80% (3 milioni di tonnellate), valore più alto della media Ue. Se a questo si aggiungono gli imballaggi trasformati in energia, la percentuale di recupero raggiunge l’87,6%: in pratica 9 su 10 vengono riciclati. Segno di un sistema ormai maturo e ben rodato, che dal 1999 ha evitato la realizzazione di 248 discariche. Rilevante l’impatto economico: considerando occupazione e indotto, il valore della materia prima generata dal riciclo e i mancati costi di smaltimento, il sistema ha prodotto nel 2011 un beneficio di 478 milioni. Cifra che sale a 4 miliardi se si guarda agli ultimi 12 anni. Ma, come spesso accade, le varie regioni non hanno gli stessi meriti (vedi GRAFICO ). Al Nord la raccolta si è stabilizzata su tassi di dieci punti superiori rispetto alla media italiana. Il Sud è invece molto indietro, con valori 16-18 punti inferiori al resto d’Italia. «Nel nostro Paese – spiega Claudio Francia, analista di AEW Research &Consulting – il rapporto tra raccolta e disponibilità totale di carta e cartone è valutato nella misura del 75%. Se raggiungessimo una percentuale del 90% della materia prima disponibile nelle province in cui questo ancora non avviene, significherebbe aumentare la materia prima di circa 1,4 milioni di tonnellate rispetto a oggi». Un incremento in cui il Sud farebbe la parte del leone, con 783 mila tonnellate, seguito dal Nord con 439 mila e dalle regioni del Centro con 208 mila. Basterebbe concentrarsi su Sicilia, Campania e Lazio per ottenere il 45%

Italia

Totale materiali cellulosici

dell’intero potenziale. Dalle grandi città il contributo potenzialmente più rilevante: Roma da sola potrebbe raccogliere ulteriori 120 mila tonnellate, Napoli 90 mila e Palermo 60 mila. Ma per stimolare la raccolta sarebbe necessario anche aumentare l’uso di materiali cellulosici. In tal senso, un aiuto giunge dal taglio del contributo ambientale deciso dal Conai (Consorzio Nazionale Imballaggi) l’anno scorso: una sequenza di tre riduzioni consecutive che hanno portato le aziende a pagare il 73% in meno: sei euro a tonnellata, rispetto ai 22 del 2011. «Grazie alle nuove riduzioni – calcolano dal Conai – le aziende italiane risparmieranno nel 2013 dieci milioni, che si sommeranno ai 30 già risparmiati nel 2012».

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| consumiditerritorio |

La Darpa nella mappatura del cervello

La sindrome del dominio o scorso 2 aprile il presidente Obama ha presentato un grande progetto chiamato Brain, cioè cervello, acronimo di Brain Research through Advancing Innovative Neurotechnologies (ricerca sul cervello con neurotecnologie avanzate e innovative). L’investimento su Brain è paragonabile a quello del Progetto Genoma: in dieci anni da Washington arriveranno

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di Paola Baiocchi

circa tre miliardi di dollari, mentre Bruxelles partecipa con un miliardo per i laboratori europei. L’intenzione annunciata è di «rivoluzionare la nostra comprensione della mente umana, per scoprire nuovi modi di prevenire e curare i disturbi del cervello come l’Alzheimer, la schizofrenia, l’autismo, l’epilessia». La Casa Bianca ha sottolineato che «la conoscenza di come ricordiamo, impariamo e percepiamo» sarà molto redditizia, portando ad esempio i 140 dollari generati da ogni dollaro investito nella ricerca sulla mappatura del DNA. L’entusiasmo nella comunità scientifica è quello per una conquista dello spazio post guerra fredda. Di moltissime malattie che colpiscono il cervello non conosciamo esattamente nemmeno l’origine. Mancano perfino gli strumenti in grado di scandagliare in modo dettagliato, ma anche generale, la “giungla” dei neuroni. Una complessità che non è data solo dai suoi numeri, 100 miliardi di neuroni e 100 trilioni di interconnessioni. Ma soprattutto da quel di più oltre la biologia che è la specificità di ogni persona, quel bios unico e irripetibile, fatto di esperienze e intuizione che, al momento, ci permette di dare risposte più flessibili rispetto a quelle dei robot. Tutti i dati sul funzionamento del cervello dovrebbero poi essere trasferiti in un computer, un model-

la Difesa responsabile per lo sviluppo di nuove tecnologie militari, nata nel 1958 come risposta al lancio dei russi nel 1957 del primo satellite orbitante nello spazio, lo Sputnik, che aveva preceduto lo statunitense Explorer. Quell’anticipo rappresentò per il presidente Eisenhower “un’umiliazione” perché dimostrava la supremazia del sistema comunista su quello capitalista. La Darpa ha all’attivo progetti come Arpanet, da cui è nata internet; le tecnologie stealth per rendere invisibili gli aerei militari ai radar. Ha prodotto i droni e le munizioni “intelligenti” testate su tutte le popolazioni con cui gli Usa sono entrati in guerra. A capo del team di Brain c’è Cornelia Bargmann dell’Università Rockefeller; partecipano l’Istituto di ricerche mediche Howard Hughes e l’Istituto Allen per la scienza del cervello. Il gotha di una ricerca privata (ma finanziata con le nostre tasse) che riprende la teoria del dominio di Bacone, che coniuga l’industria alla scienza, per modificare la natura e ottenere quell’obbedienza docile necessaria al mantenimento del sistema. Se da queste ricerche militari poi si avranno delle ricadute in campo medico, per le società private sarà un bel business.  www.darpa.mil • www.whitehouse.gov/info graphics/brain-initiative

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Un progetto Usa sui misteri del cervello. Potenzialità enormi ma anche rischi lo in silicio di una mente che dovrebbe simulare l’andamento delle malattie e dei farmaci. E dovrebbe servire anche per implementare le capacità cerebrali. È chiaro che l’obiettivo di accrescere le possibilità di vita sana è affascinante e integrare le capacità di un computer in una mente potrebbe recuperare facoltà distrutte da malattie degenerative. Ma la ricerca non è mai neutrale – l’abbiamo verificato con le armi nucleari – e l’obiettivo di replicare i comportamenti umani per controllarli, o per rendere sempre meno necessarie le persone o infine per creare dei super-soldati, è compreso nel progetto. Tra gli investitori c’è la Defense Advanced Research Projects Agency (Darpa), l’agenzia del Dipartimento del-


fotoracconto

BICYCLE FILM FESTIVAL

BMX Contest, una competizione di Bmx curata da NoSoccer, progettata ad hoc per il Bicycle Film Festival con legno riciclato dei consorzi nazionali del riciclo. (Milano 2012) | ANNO 13 N. 112 | SETTEMBRE 2013 | valori | 41 |


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internazionale Angela Merkel über alles > 46 ROGER ANIS / HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG:

L’eccellenza italiana ridà vita all’antico Vietnam > 48

Il 14 agosto 2013, le forze di sicurezza egiziane hanno fatto irruzione in due campi di manifestanti al Cairo: uno di al-Nahda Square e uno più grande nella moschea di Rabaa al-Adawiya. I due siti erano stati occupati da sostenitori del deposto presidente Mohamed Morsi, che è stato rimosso dal suo incarico dai militari dopo le proteste di piazza contro di lui.

Egitto la difficile ricerca della stabilità In due anni gli egiziani hanno destituito due presidenti: prima Hosni Mubarak, poi Mohamed Morsi. Con l’esercito come bilanciere della situazione. Con qualche aiuto...

di Paola Baiocchi ire che il 3 luglio il presidente egiziano Mohamed Morsi è stato destituito e arrestato con un golpe militare non sembra essere una priorità dell’amministrazione Obama. Anzi, per continuare a erogare il cospicuo aiuto finanziario da 1,3 miliardi di dollari (secondo solo a quello per Israele) che annualmente dal 1979 gli Usa erogano all’Egitto, la questione può essere rimandata all’anno prossimo. Secondo quanto suggerisce un articolo del New York Times del 16 agosto, dal titolo “Ties with Egypt Army Constrain Washington” (“I legami con l’esercito egiziano tengono a freno Washington”). Con considerazioni di realpolitik che suonano come uno schiaffo, il NYT afferma: «Dato il numero di Paesi della regione che non permettono sorvoli militari americani, soprattutto per le missioni di combattimento, la posizione dell’Egitto è una vitale e relativamente diretta via d’accesso a un’area di crescente instabilità, di importanza strategica». «E – conti-

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nua l’articolo – l’amministrazione Obama ha soprattutto evitato la minaccia di tagliare 1,3 miliardi di dollari annuali di assistenza militare all’Egitto, riconoscendo che il danaro ha contribuito a garantire la pace con Israele negli ultimi 35 anni. Tutto l’aiuto di quest’anno è già stato autorizzato, quindi – dicono gli articolisti Shanker e Schmitt – anche un ordine di fermare l’assistenza finanziaria non avrebbe un impatto fino al prossimo anno». Impossibile recidere i legami con l’alleato utile, secondo il NYT, anche perché si rischierebbe di perdere «l’affinità» con l’esercito americano «se la prossima generazione di promettenti ufficiali egiziani non venisse inviata nelle scuole militari americane». Dove si è formato anche il generale Abdel Fattah al-Sisi, che ha destituito Morsi sotto la pressione delle piazze occupate da centinaia di migliaia di laici esasperati e dalla Tamarrod (vedi BOX ). E che poi, come vicepremier dopo un braccio di ferro durato più di un mese, ha fatto sgomberare durante la settimana di Ferragosto con la forza e centinaia di morti i presidi organizzati dai sostenitori dei Fratelli musulmani. Spiega Manlio Dinucci, saggista che per Il Manifesto scrive la rubrica L’arte della guerra: «al-Sisi è uomo di fiducia del

S. BEHN / HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG

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Un uomo in piazza Tahrir mostra un adesivo che dice “No al terrorismo” in riferimento ai Fratelli musulmani, 7 luglio 2013

Pentagono, perfezionatosi allo US Army War College di Carlisle (accademia militare della Pennsylvania), già capo dei servizi segreti militari, principale interlocutore di Israele, nominato meno di un anno fa dal presidente Morsi capo di stato maggiore e ministro della Difesa. L’11 febbraio scorso – continua Dinucci – era stato convocato dal generale James Mattis allora capo del Comando centrale Usa, nella cui area rientra l’Egitto poiché svolge una “influenza stabilizzante in Medio Oriente”, soprattutto nei confronti di Gaza. All’ordine del giorno (presente l’ambasciatrice al Cairo Anne Patterson), la “cooperazione militare Usa-Egitto” nel quadro della “instabilità politica” al Cairo».

Il continuo flusso di danaro dagli Stati Uniti verso l’esercito egiziano ha contribuito a trasformarlo profondamente. Non ha più nulla in comune con il Movimento degli Ufficiali liberi che nel 1952 rovesciò la monarchia corrotta e filo-occidentale di Farouk I e instaurò la Repubblica araba d’Egitto, guidata dal 1956 al 1970 dal colonnello Gamal Abdel Nasser. Le forze armate attuali non si richiamano al socialismo panarabo che aveva portato nel 1956 alla nazionalizzazione della Compagnia del Canale di Suez, allora di proprietà franco-britannica. I vertici militari sono ora una classe potente politicamente ed economicamente. Con partecipazioni nella costruzione

Tamarrod: la ribellione che raccoglie le firme di Paola Baiocchi

Il movimento è stato parte attiva nelle manifestazioni che hanno portato alla destituzione di Morsi. Con iniziative “spettacolar-mediatiche” A Giuseppe Acconcia, giornalista che collabora con diverse testate dal Cairo ed è autore di La primavera egiziana e le Rivoluzioni in Medio Oriente (Infinito Edizioni, 2012), abbiamo chiesto alcuni chiarimenti su Tamarrod. Il movimento è stato parte attiva nelle manifestazioni che hanno portato alla destituzione di Morsi; ha esercitato un certo appeal sui media per le sue iniziative spettacolar-mediatiche.

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Quando è nato e da chi è formato il movimento Tamarrod? Il movimento Tamarrod, cioè ribellione, è nato per chiedere le dimissioni dell’ex presidente Mohammed Morsi attraverso una raccolta di firme. È composto da alcuni giovani dei movimenti rivoluzionari Kifaya (nato nel 2005 contro la rielezione di Mubarak), e della Coalizione dei giovani rivoluzionari (formatasi dopo le rivolte del 2011). Si è trattato di un movimento informale, che ha avuto il sostegno di quasi tutti i partiti politici di opposizione, compresi liberali e socialisti. Con la manifestazione del 30 giugno scorso il movimento è stato manipolato dall’esercito e dagli uomini del vecchio regime che hanno usato la campagna per riproporre la loro agenda politica e procedere al colpo di Stato del 3 luglio 2013 che ha portato all’arresto dell’ex presidente. Una


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L’analista americano Joshua Stacher calcola che i militari detengono tra il 35 e il 45 per cento dell’economia nazionale egiziana «Nonostante il Paese sia un grosso esportatore di petrolio, gas e prodotti finiti – riprende Dinucci – l’Egitto ha accumulato un debito estero da 35 miliardi di dollari grazie alle politiche di privatizzazione e deregolamentazione con cui Mubarak ha aperto alle multinazionali. E per pagare gli interessi di 1 miliardo di dollari l’anno, dipende dai “prestiti” di Usa, Fmi e monarchie del Golfo».

I fatti gravissimi dell’estate egiziana hanno in parte oscurato altri gravi accadimenti. Il 25 luglio a Tunisi è stato assassinato Mohamed Brahmi, leader del Movimento del popolo, da poco nominato coordinatore del nuovo partito d’opposizione Corrente popolare. Ucciso, pare, con la stessa arma che a febbraio aveva eliminato un oppositore politico rappresentante dei lavoratori: Chokri Belaid, dirigente del blocco laico di sinistra. In Iraq, grazie alla pacificazione made in Usa, secondo l’Onu dal 1° gennaio a oggi sono morti 4 mila civili (soprattutto sciiti) e altri 9.865 sono rimasti feriti in attentati terroristico-confessionali.  S. BEHN / HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG

di strade e la gestione di resort turistici (l’autostrada dal Cairo al Mar Rosso è stata costruita dall’esercito su terreni dell’esercito). Che controllano fabbriche di stufe, frigoriferi e lavastoviglie e hanno partecipazioni nel commercio dell’olio d’oliva e dell’acqua minerale. L’analista americano Joshua Stacher calcola che i militari detengono tra il 33 e il 45 per cento dell’economia nazionale. Con i suoi 500 mila soldati attivi e 500 mila di riserva, la forza armata egiziana è la più grande ed efficiente dei Paesi arabi, utile al blocco Stati Uniti/Israele non solo come bilanciere della stabilità interna egiziana, ma anche come braccio esecutivo posto al controllo della Striscia di Gaza. Il finanziamento di 4 miliardi di dollari dall’Arabia Saudita e i 2 dagli Emirati Arabi che il governo ad interim ha dichiarato di aver ricevuto lo scorso 17 luglio, sono altri motivi per cui pensiamo che l’esercito riuscirà a garantire la transizione verso un nuovo governo, in cui i Fratelli musulmani avranno un ruolo forse solo “decorativo”. La loro gestione autoritaria che ha esautorato anche la magistratura e stravolto la Costituzione, unita alle misure fortemente recessive ispirate alla scuola di Chicago, ha dato il colpo di grazia all’Egitto, dove circa la metà della popolazione vive in povertà.

Molti di coloro che si sono radunati in piazza Tahrir hanno portato le loro famiglie e bambini, 7 luglio 2013.

prova di queste affermazioni viene dalle dichiarazioni di molti attivisti indipendenti che hanno riscontrato legami tra Tamarrod e i Servizi segreti egiziani (Mukabarat). I media hanno riportato che avrebbero raccolto 22 milioni di firme per chiedere la rimozione di Morsi. L’Egitto conta 85 milioni di abitanti, ma la cifra sembra improbabile. Non è possibile dire quante firme abbiano raccolto, 22 milioni è un numero esagerato poiché abbiamo testimoniato direttamente l’arbitrarietà con cui le firme sono state raccolte e le duplicazioni: molti hanno firmato più di una volta. In ogni caso, si tratta di un movimento preminentemente egiziano, che è esistito per appena un mese. Oggi gli uffici di Tamarrod sono vuoti. Non ci sono rappresentanti del movimento nel nuovo governo, il presidente ad interim ha parlato di un loro possibile coinvolgimento nell’Assemblea costituente. Non hanno criticato l’uso eccessivo della violenza con cui è stato sgomberato il sit-in islamista di Rabaa el Adaweya, ma soltanto la celerità (6 mesi) imposta dal governo pro tempore in vista delle elezioni.

UN ANNO CON I FRATELLI MUSULMANI Durante l’anno di presidenza Morsi, secondo la Mancha obrera, si sono svolte in Egitto circa 3.400 proteste di carattere economico-sindacale. I medici sono scesi in sciopero dal 1° ottobre al 21 dicembre 2012, chiedendo salari più alti e maggiori investimenti in infrastrutture ospedaliere. La maggior parte delle rivendicazioni dei lavoratori egiziani dei settori privati e pubblici si sono rivolte contro il Piano di adeguamento imposto dal Fondo monetario internazionale per continuare a ricevere i prestiti. Il Piano prevede aumenti dei prezzi dei beni di consumo, nuove imposte indirette, aumento di quelle esistenti, licenziamenti di lavoratori pubblici e privatizzazioni dei servizi pubblici. Le misure hanno portato l’inflazione al 10% e fatto crescere enormemente la disoccupazione.

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Europa, Angela Merkel über alles © DEUTSCHER BUNDESTAG / KATRIN NEUHAUSER

© DEUTSCHER BUNDESTAG / WERNER SCHÜRING

di Matteo Cavallito

Nelle elezioni federali che si svolgeranno in Germania il 22 settembre, la cancelliera si prepara a confermare la propria leadership. L’opinione di Angelo Bolaffi, filosofo, germanista e autore del saggio “Cuore tedesco” hanno contestata, insultata, derisa e addirittura vilipesa. Ma adesso, salvo clamorose sorprese, è pronta alla sua rivincita. Leader del suo partito, del suo Paese e del Vecchio Continente, Angela Merkel si prepara a conquistare la vittoria alle elezioni del 22 settembre centrando, così, un prestigioso primato: quello di primo capo di governo capace di ottenere una conferma dallo scoppio dell’eurocrisi a oggi. E dire che i sondaggi non erano sempre stati così favorevoli. Nell’autunno del 2011, evidenziavano le rilevazioni dell’istituto Allensbach, i socialdemocratici della Spd avevano raggiunto la Cdu. Da allora però la tendenza è cambiata radicalmente e la popolarità della cancelliera è tornata ai massimi storici. Nel frattempo, l’Europa resta alla finestra. E anche questo, a ben vedere, rappresenta un successo di Berlino. In attesa delle ele-

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zioni, Angela Merkel ha letteralmente stoppato il dibattito interno sulle riforme e la Ue si è adeguata congelando la propria agenda [ BOX ]. L’ennesimo, inevitabile tributo alla leadership tedesca. Ma il punto è che non si tratta di un’autorevolezza imposta con la forza, quanto piuttosto del frutto di una serie di scelte politiche vincenti ispirate a una visione europea di successo. Molto si è detto dell’egemonia economica favorita dal successo del modello di riforme (tagli alle tasse e alla spesa pubblica) dell’Agenda 2010 del cancelliere Schröder che hanno prodotto un forte calo della disoccupazione. Altrettanto della rinnovata centralità geopolitica dopo l’allargamento a Est della Ue. Di certo, come ha ricordato il filosofo Angelo Bolaffi nel suo ultimo testo (“Cuore tedesco”, Donzelli 2013), è stato proprio l’europeismo di Berlino a segnare passo. E le conseguenze, ha spie-

gato in questa intervista concessa a Valori, sono state inevitabili. Professor Bolaffi, tutti i sondaggi assegnano la vittoria elettorale ad Angela Merkel. Concorda? La leadership di Angela Merkel, in realtà, non è mai stata messa in discussione anche perché il candidato della Spd, Peer Steinbrück, non è riuscito a sfondare. In Germania il tema della stabilità sta molto a cuore agli elettori e questi ultimi scelgono di cambiare solo se adeguatamente motivati. Il punto centrale è quello delle alleanze. Personalmente sono convinto che la Merkel sarà confermata capo del governo in alleanza con i liberali o eventualmente alla testa di una grande coalizione con la Spd. Come giudica la situazione tedesca sul fronte interno? A differenza di una volta non ci sono troppe tensioni sull’asse Est-Ovest. Mi aspetto un aumento della tensione sociale: la situazione non è grave, ma la politica di compressione salariale, alla base per altro


Il modello tedesco è apprezzato, ma la politica del rigore lo è assai meno. Qualcuno ricorda sempre che all’epoca delle riforme anche Berlino finì per non rispettare in pieno i parametri di Maastricht. Sì, ma occorre chiarire che non lo fecero nemmeno Francia e Italia. Schröder operò in deroga ai limiti di Maastricht, è vero, ma lo fece per fare le riforme. Parigi e Roma invece non riformarono niente. E tuttora ne pagano le conseguenze. Si parla spesso di una moneta unica incapace di funzionare in assenza di unità politica e omogeneità fiscale. I critici oggi puntano il dito contro Berlino. È stata l’Europa a imporre l’euro alla Germania, non viceversa. I tedeschi, che all’epoca pativano i costi della riunificazione e anche per questo erano il vero elemento debole del Continente, avevano in mente un percorso graduale ma la Francia e l’Italia non erano disposte a procedere prima verso l’unità politica. La Germania, insomma, fu costretta ad abbandonare il marco per dare una garanzia definitiva del suo europeismo e il fatto che in seguito sia stata favorita dalle condizioni monetarie ed economiche, e mi riferisco ancora una volta alle riforme, non giustifica chi l’accusa di aver imposto la moneta unica.

Continente. Anche questo ha contribuito all’egemonia? Sì, anche se forse i tedeschi non sono ancora all’altezza di questo ruolo. Detto questo è comunque evidente che lo spostamento verso Est ha ridotto il peso politico di Francia e Italia. Ma ancora una volta le responsabilità sono di questi due Paesi che, negli anni, non sono mai stati capaci di avanzare proposte concrete per favorire l’integrazione europea.

sulla costruzione di uno spazio economico continentale in grado di competere con i nuovi grandi soggetti del Pianeta e di questo i tedeschi sono pienamente consapevoli. La verità è che la Germania continua ad avere molta cura della propria memoria storica ma il suo europeismo, rispetto a quello degli altri Paesi, è meno segnato dal ricordo del passato e più orientato alle sfide del futuro. 

LIBRI

Come dire che non sono abbastanza europeisti? L’europeismo di una volta basato sull’idea dell’unione come garanzia di pace andava bene prima del 1989, oggi non esiste più. La nuova idea di Europa si fonda

Angelo Bolaffi Cuore tedesco Donzelli 2013

GERMANIA AL VOTO, EUROPA IN STAND-BY Tutti fermi in attesa di Berlino. Lo dimostra il sostanziale stop alle riforme a cominciare dall’introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie. La proposta nasce dalla Spd, Angela Merkel l’ha accettata da tempo e se ne è fatta promotrice in Europa. I socialdemocratici, in cambio, hanno concesso il loro appoggio al fiscal compact. In attesa di definire nuovi equilibri politici la cancelliera ha congelato l’argomento nel dibattito interno. E la Ue si è adeguata: in piena estate il Parlamento di Bruxelles ha approvato una mozione che sollecita gli 11 Paesi della cooperazione rafforzata a introdurre la tassa ma i singoli Paesi restano divisi sui dettagli (come l’inclusione dei titoli di Stato che Italia, Francia e Spagna vorrebbero esentare). L’accordo per l’unione bancaria esiste già, ma l’entrata in vigore è stata rimandata al 2018 mentre l’intesa per un’estensione del fondo salva Stati per la ricapitalizzazione delle banche resta una chimera. Per l’ipotetico ingresso della Serbia nella Ue, infine, è ancora la Germania a dettare l’agenda della discussione.

GERMANIA: CONSENSO ELETTORALE 2009-2013 46,0 41,0 36,0 31,0

21,0 16,0 11,0

CDU/CSU

SPD

Grüne

FDP

Linke

19.06.13

17.04.13

23.01.13

17.10.12

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L’allargamento a Est della Ue ha portato Berlino al “centro” della geopolitica del

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Nel frattempo però crescono i pregiudizi anti tedeschi. Cosa ne pensa? Da un lato si intensificano i sentimenti anti tedeschi, dall’altro cresce l’ammirazione per la Germania e il suo successo economico. Quando un Paese diventa egemone è normale che si diffonda il risentimento.

Piraten

| ANNO 13 N. 112 | SETTEMBRE 2013 | valori | 47 |

FONTE: INSTITUT FÜR DEMOSKOPIE ALLENSBACH (WWW.IFD-ALLENSBACH.DE), CITATO IN WAHLRECHT, WWW.WAHLRECHT.DE/UMFRAGEN/ALLENSBACH.HTM, LUGLIO 2013

del successo del modello tedesco delle riforme, induce ora le classi medie a spingere per un aumento del potere d’acquisto. Se il prossimo governo riuscirà a centrare anche questo obiettivo, allora il Paese sperimenterà una ricaduta positiva sulla domanda interna con un beneficio per l’intera Europa.

ILJA LUCIANI

| internazionale |


| internazionale | italiani all’estero |

L’eccellenza italiana ridà vita all’antico Vietnam di Elisabetta Tramonto

Antichi templi Cham in Vietnam, a My Son erano stati rasi al suolo dai bombardamenti americani. Sono rinati grazie a sedici anni di lavoro di un team di archeologi italiani. Esperienze che potrebbero scomparire con i tagli a cultura e a ricerca a mia più grande soddisfazione non è tanto fare una scoperta sensazionale, né soltanto il recupero (seppur importantissimo) di un tesoro come questo. Ma è aver creato nuove professionalità e competenze, che poi potranno essere valorizzate anche dopo che il restauro sarà finito». A pronunciare queste parole è Patrizia Zolese (nella foto sotto), un’energica e ap-

«L

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passionata archeologa italiana della Fondazione Clerici del Politecnico di Milano. Siamo a My Son (che nella lingua locale significa “Bella montagna”), nella provincia di Danang, in una piccola valle isolata del Vietnam centrale, dove una foresta lussureggiante nasconde un gruppo di antichi templi induisti della civiltà Cham. Purtroppo i bombardamenti americani li hanno praticamente distrutti. Ma il lungo e certosino lavoro di un gruppo di archeologi li sta riportando alla luce in tutto il loro splendore. E gli italiani, questa volta, stanno facendo una splendida figura.

Archeologi made in Italy Dal 1996, grazie a un progetto dell’Unesco (che nel 1999 ha inserito questi monumenti tra i patrimoni dell’umanità) e al Politecnico di Milano, al lavoro sul si-

to di My Son c’è proprio un gruppo di archeologi italiani. L’anima del progetto è Patrizia Zolese, che guida la squadra di restauro. Con lei al momento (negli anni le professionalità al lavoro sono cambiate) ci sono altri due italiani, l’architetto Mara Landoni e il dottorando del Politecnico Michele Romano, e una schiera di operai vietnamiti. «Erano contadini che abitavano nei dintorni. Quando siamo arrivati – racconta Patrizia Zolese – il governo vietnamita li ha coinvolti per lavorare con noi. Manovalanza per niente qualificata, all’epoca. Ma pian piano hanno imparato, li abbiamo formati. E oggi sono la migliore squadra esistente in Vietnam per il restauro di templi Cham. Il prossimo architetto o archeologo che arriverà li chiamerà. E hanno ottenuto un lavoro: all’inizio guadagnavano 1 dol-


| internazionale |

laro al giorno, oggi quasi 10. Uno stipendio dignitosissimo se si pensa che un funzionario statale ne guadagna 2-300 al mese. Questa per me è soddisfazione». E non è l’unico beneficio portato dal progetto, al di là del valore del restauro dei templi. C’è tutto l’indotto. «Prendiamo per esempio la produzione dei mattoni per il recupero dei templi. Abbiamo coinvolto un artigiano locale che prima realizzava qualche mattone e qualche vaso per le case della zona. Gli abbiamo fornito la composizione dei mattoni perché fossero compatibili con i restauri Cham. E gli abbiamo commissionato decine di migliaia di pezzi. Una produzione che non aveva mai visto nella sua vita». Per non parlare del turismo: «Ogni giorno arrivano 7-800 visitatori, tantissimo per un sito archeologico. Ostia antica non li fa», commenta Patrizia Zolese.

Sedici anni di lavoro Il lavoro di recupero di My Son è stato lungo e difficile. Patrizia Zolese è arrivata nel 1996, ma il vero e proprio restauro è iniziato solo nel 2004. Gli anni precedenti sono serviti per una laboriosa raccolta e analisi dei dati da parte del Politecnico di Milano, per lo studio del territorio, per la ricerca dei materiali: come la resina naturale usata dagli antichi costruttori per tenere salde le mura dei templi, che il gruppo di archeologi italiani è riuscito a riprodurre. Ora, dopo 10 anni di restauro, il lavoro si può ritenere concluso. A giugno il sito è stato consegnato al governo vietnamita ed è stato aperto un museo all’ingresso del parco archeologico di My Son. I vietnamiti vorrebbero che Patrizia Zolese restasse per avviare una scuola di studi superiori di conservazione e archeologia. Ma questo è ancora da decidere.

IL PAESE IN CIFRE Nome: Vietnam Capitale: Hanoi Governo: Stato comunista Indipendenza (dalla Francia): 2 settembre 1945 Guerra del Vietnam: 1960-1975 Popolazione: 92.477.857 (luglio 2013) Pil pro capite: 3.600 dollari Tasso di crescita 2012: 5% Tasso d’inflazione: 9,1% Disoccupazione: 4,3% Alfabetizzazione*: 93,4% Popolazione sotto la soglia di povertà: 11,3% Mortalità infantile: 19,6/1.000 nati Speranza di vita: 72 anni * Over 15 anni in grado di leggere e scrivere FONTE: CIA WORLD FACTBOOK

Tagli alla civiltà Il progetto è costato relativamente poco: «In tutto avremo raggiunto circa mezzo milione di euro di budget», un appartamento a Milano di medie dimensioni, insomma, per sedici anni di lavoro per recuperare un Patrimonio dell’Umanità praticamente distrutto. «Abbiamo dovuto lavorare al massimo risparmio. Un esempio: abbiamo usato impalcature di bambù, invece di quelle più sicure in materiali metallici. Ogni anno abbiamo lavorato solo per quattro mesi. Anche a causa dei monsoni, ma avremmo potuto fare di più o più rapidamente se avessimo avuto i fondi». Uno sguardo sconsolato e indignato quello di Patrizia Zolese. «Un tempo l’Italia era una delle nazioni più richieste per lavori archeologici e di restauro. Eravamo tra i migliori al mondo. Ma via via i budget del ministero degli Esteri dedicati a queste attività sono stati tagliati. Vent’anni fa un progetto come questo da solo mezzo milione di euro sa-

rebbe stato bilaterale Italia-Vietnam senza l’Unesco». «Il valore di quello che facciamo va al di là dei capolavori che salviamo. Come dicevo è anche nelle competenze che creiamo, nelle figure ad alta specializzazione che “restituiamo” alle università italiane, nella ricerca che portiamo avanti e che dà risultati dalle potenzialità enormi. Basti pensare alla resina che abbiamo creato per riprodurre la sostanza che teneva insieme i mattoni dei templi. Chi dice che non possa essere usata dalle imprese per altri scopi? E comunque la ricerca scientifica non è come aprire una bottega. Potrebbe anche non portare a nulla, ma va fatta. E ci vuole tempo». Patrizia Zolese è un fiume in piena: «Questo risultato a My Son non sarebbe arrivato senza anni di ricerca. Ma l’Italia non vuole più investire in ricerca, non c’è un sistema Paese. Tutto viene fatto random. Per noi è difficile fare programmazione. E negli ultimi 15 anni è sempre peggio. L’Italia ha tagliato tutto quello che è stato ritenuto superfluo, in primis la ricerca. Ma se vogliamo appartenere ai Paesi civili dobbiamo essere in grado di rispondere a tutte le domande, anche a quelle storiche. Dobbiamo poter dire che abbiamo specialisti in ogni settore: ricercatori, chimici, fisici, storici, archeologi. Ci hanno tolto un fiore all’occhiello, la ricerca, che si trasforma anche nella possibilità di essere competitivi sui mercati».  | ANNO 13 N. 112 | SETTEMBRE 2013 | valori | 49 |


fotoracconto

BICYCLE FILM FESTIVAL / LUCAS BRUNELLE

Un fotogramma del film Line of Sight (2012) di Lucas Brunelle, che da pi첫 di dieci anni gira il mondo catturando immagini in sella alla sua bici. | 50 | valori | ANNO 13 N. 112 | SETTEMBRE 2013 |


| LASTNEWS |

altrevoci UNA POLTRONA ALL’ARIA APERTA

Torna il cinema che fa pensare, quello indipendente, giovane, di denuncia; insieme alla musica e agli incontri con ospiti e registi internazionali. Torna il Milano Film Festival, che si accende dal 5 al 15 settembre in molti spazi nel cuore del capoluogo lombardo: il Teatro Strehler e il Piccolo Teatro Studio, innanzitutto, e il sagrato su cui si affacciano. Ma anche il Parco Sempione e il palazzo della Triennale, lo Spazio Oberdan, la Cascina Cuccagna e l’Auditorium San Fedele. Per chi non ha paura di assaggiare un cinema poco frequentato dai re del botteghino, ci sono lungometraggi e corti di ogni genere. In totale circa 200 opere e molte anteprime (tra le varie Le donne della Vucciria di Hiam Abbas), nate per il grande schermo eppure poco o mai viste dal grande pubblico, perché prodotte fuori dai circuiti della promozione milionaria. Si può assistere alla proiezione di Sylvain George, autore di cinema politico e sperimentale, che, nella sezione Colpe di Stato, affronta il tema della denuncia dei sistemi di potere nel mondo. Ci si può indignare, sospesi tra il viaggio di Marc Wiese attraverso la Korea (Camp 14 ) e la scoperta delle moderne campagne di evangelizzazione dell’America cristiana sulla cultura africana di God loves Uganda, presentato al Sundance Film Festival; si possono incontrare gli Infiltrators del palestinese Khaled Jarrar, che racconta i tentativi di creare varchi nel muro tra Palestina e Israele. [C.F.]

USA, LE UNIVERSITÀ SCELGONO LA CHIMICA VERDE L’ARABIA SAUDITA TEME LO SHALE GAS

SOSTENIBILITÀ A 360 GRADI IN UN CONVEGNO A MILANO

Il principe miliardario saudita, Alwaleed bin Talal, ha lanciato un allarme, puntando il dito contro lo shale gas. Non si tratta, tuttavia, di un afflato ambientalista, quanto piuttosto di un calcolo economico e commerciale: il rischio per l’Arabia Saudita è infatti quello di non riuscire a ottenere nei prossimi anni sufficienti risorse grazie alle esportazioni di petrolio. Di qui la necessità di diversificare i propri introiti. In una lettera aperta al ministro del petrolio del proprio Paese, Ali al Naimi, il principe ha infatti spiegato che la domanda nei confronti degli Stati dell’Opec (l’organizzazione delle nazioni esportatrici di greggio) «risulta in continuo declino». Un problema enorme per l’Arabia Saudita, che dipende fortemente dell’export di oro nero: «Ad oggi il 92% del nostro bilancio è alimentato dal petrolio – ha spiegato Alwaleed – e per questo è necessario implementare una strategia alternativa, mettendola in atto sin da ora». La nazione araba, infatti, aveva previsto di incrementare fino a 15 milioni di barili al giorno la propria produzione, ma oggi non va oltre i 12,5 milioni. E, da una parte per via della crisi internazionale, dall’altra proprio a causa dello shale gas, non riuscirà con ogni probabilità ad aumentare l’attuale livello di output. Un punto di vista condiviso dalla stessa Opec, che in un rapporto del mese scorso ha previsto per il 2014 un calo complessivo della domanda di petrolio pari a 250 mila barili al giorno. [A.BAR.]

In questo periodo di profonda crisi economica ogni riflessione sulla sostenibilità dovrebbe toccare contemporaneamente le dimensioni economica, sociale e ambientale. Il rilancio dell’occupazione dovrebbe intrecciarsi con modalità di produzione innovative e attente ai vincoli ecologici. Occorre superare la separazione tra una riflessione macro (quali politiche economiche?) e micro (quali innovazioni negli stili di vita collettivi?). Nasce da queste considerazioni il convegno dal titolo “PER UNA POLITICA ambientalmente, socialmente, economicamente SOSTENIBILE”, che si terrà a Milano, sabato 28 settembre, dalle 9.30 alle 19.00, presso la Cascina Cuccagna in via Muratori. Un convegno interdisciplinare organizzato dall’Associazione Economia e sostenibilità (EStà), insieme al mensile Valori e all’Associazione Consorzio Cantiere Cuccagna. Tra i relatori studiosi provenienti da campi di azione differenti: l’economia con Andrea Di Stefano (Valori ed EStà), Andrea Fumagalli (Unipavia), Roberto Romano (Cgil), Alessandro Santoro (Unibicocca); l’ambiente con Mario Agostinelli (Contratto mondiale energia e clima) e Walter Ganapini (Comitato Scientifico Agenzia Europea dell’Ambiente); l’urbanistica e la programmazione territoriale con Andrea Calori (Urgenci). Informazioni su www.economiaesostenibilita.it e su www.corsivalori.it [M.L.]

Sono dodici i college e le università americane che per primi hanno firmato il Green Chemistry Commitment, consorzio che comprende anche realtà industriali finalizzato a generare un nuovo modo di insegnare la chimica a livello accademico. Si tratta di un’iniziativa che mira a incentivare negli Stati Uniti l’approccio green, nonché a sfruttare le opportunità che la stessa chimica verde offre per il futuro. Secondo un rapporto del 2011 di Pike Research, infatti, le previsioni di crescita per il comparto sono tali da consentire di raggiungere un giro d’affari di oltre 100 miliardi di dollari entro il 2020 (rispetto ai soli 3 miliardi di due anni fa). Un boom che potrebbe essere guidato proprio dagli Usa, che potrebbero contribuire con circa 20 miliardi. «È modificando l’approccio in termini di insegnamento, insistendo sulla necessità di utilizzare prodotti a basso tasso di tossicità, piuttosto che agenti ad alto rischio sospettati perfino di essere cancerogeni, che si divulgano i principi concreti della chimica verde», ha spiegato Iry Levy, direttore del dipartimento di Chimica al Gordon College. Alla base dell’iniziativa c’è lo sforzo di una fondazione non profit, la Beyond Benign, che ha presentato il progetto – al quale hanno già aderito, tra le altre, le università di Berkeley e del Minnesota, insieme alla Northeastern University – alla diciassettesima Conferenza annuale sulla Chimica e l’Ingegneria verdi, tenutasi nello scorso mese di giugno nel Maryland. [A.BAR.] | ANNO 13 N. 112 | SETTEMBRE 2013 | valori | 51 |


| ECONOMIAEFINANZA | a cura di Michele Mancino | per segnalazioni scrivete a redazione@valori.it

LE FINANZE OSCURE DEL VATICANO Gabriele Di Battista, Carlo Pontesilli, Maurizio Turco Paradiso Ior Castelvecchi, 2013

Una delle prime cose che Papa Bergoglio ha detto di voler fare è la riforma dello Ior, la banca del Vaticano. L’Istituto per le opere di religione in questi anni ha alimentato non pochi scandali, alcuni di portata internazionale, segno della pervasività degli interessi della Chiesa rispetto ad affari ed equilibri di potere che di cristiano hanno ben poco. Questa inchiesta, che non risparmia niente e nessuno, rende pubbliche le finanze vaticane e le spericolate operazioni che spesso vi sottendono. Gli autori partono dalla fondazione dell’istituto fino al crack del Monte dei Paschi, due argini in mezzo ai quali scorre un fiume di soldi “sospetti” e personaggi discutibili che hanno fatto affari con lo Ior, incuranti dell’etica e della morale. Gli autori raccontano personaggi chiave come monsignor Marcinkus, le sue amicizie pericolose e tanti misteri non ancora risolti a partire dalle morti di Calvi e Sindona fino agli intrecci con la maxitangente Enimont e Mani Pulite, passando dalla bancarotta del Banco Ambrosiano.

IL CAPITALISMO ITALIANO SI TRASFORMA

GLI ARTIGIANI DIGITALI SONO IL FUTURO

SMART CITIES IL GOVERNO DELLA COMPLESSITÀ

«La crisi, più che un attraversamento-adattamento, è una metamorfosi sospesa tra ciò che non è più e ciò che non è ancora». Aldo Bonomi è lo studioso che più di ogni altro è riuscito a raccontare e ad analizzare con efficacia le grandi trasformazioni del sistema capitalistico e produttivo italiano. In questo tempo però ci si trova di fronte a qualcosa che va ben oltre la fenomenologia e la trasformazione dei distretti industriali o del made in Italy in senso lato. Bonomi pone una questione che è pre-economica o meglio, come dice lui, antropologica e sociale, dove il capitalismo molecolare e personale rappresentano gli ultimi fuochi di un sistema che è imploso insieme a tutti i suoi riferimenti politici e sociali e alle sue identità originarie, compresa quella dell’imprenditore. Ci sono imprese che resistono spremendo ciò che rimane, imprese (poche per la verità) proiettate sui nuovi mercati e chi invece, rompendo con i vecchi paradigmi, ha iniziato un nuovo cammino capace di tenere insieme la new economy con i territori.

Quando si pensa alla grande rivoluzione introdotta dalla cultura digitale ci si riferisce sempre alla produzione relativa all’economia della conoscenza, cioè ai libri, alla musica e ai video, anche se il processo di digitalizzazione di questi prodotti è ormai consolidato, anzi, normalizzato. Raramente si associa quella rivoluzione al mondo delle cose tangibili, agli oggetti e agli atomi, passaggio che invece è ormai in atto e rappresentato dalle stampanti 3D in grado di imprimere oggetti come si farebbe con un foglio di carta. La fabbrica personale, secondo l’autore, sarà in grado di passare dalla visione di nuovi oggetti-prodotti alla loro realizzazione, utilizzando poi la rete e il web per la loro commercializzazione e distribuzione. Questo processo sarà inoltre facilitato da una serie di nuovi modelli per il reperimento delle risorse tecnologiche e finanziarie, come l’open source , il crowdsourcing e crowdfunding. Sarà dunque un esercito di artigiani digitali a segnare il nuovo rinascimento produttivo.

La definizione smart cities è ormai entrata a pieno titolo nel vocabolario quotidiano degli italiani e richiama un’idea piuttosto generica di innovazione tecnologica e cambiamento nella vita cittadina, basata più su un criterio quantitativo, dell’utilizzo di software e hardware, che non qualitativo. Ci si sofferma invece ancora troppo poco sull’uso che ne fanno le persone e sulla ricaduta reale che le nuove tecnologie hanno sulla loro esistenza di cittadini. Quando si parla di cambiamento bisognerebbe dunque soffermarsi di più sul termine city user in quanto la visione di chi governa le nuove città dovrebbe avere come punto di riferimento proprio la moltitudine di lavoratori che si muovono in uno spazio urbano modellato dinamicamente dal social networking, cloud computing e device mobili. Le amministrazioni cittadine non possono più improvvisare perché per governare i nuovi processi innovativi delle città occorrono metodo, visione e strategia.

Chris Anderson Makers Rizzoli, 2013

Michele Vianello Smart Cities Maggioli Editore, 2013

Aldo Bonomi Capitalismo in-finito Einaudi, 2013

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| TERRAFUTURA | a cura di Valentina Neri | per segnalazioni scrivete a neri@valori.it

Dopo aver superato lo scorso anno il traguardo dei cinquanta espositori e dei cinquemila visitatori, da venerdì 20 a domenica 22 settembre torna “So Critical So Fashion”, la kermesse organizzata da Terre di Mezzo che punta i riflettori sulla moda critica, etica e indipendente. L’evento è parallelo alla settimana della moda milanese, ma vuole mostrare una realtà agli antipodi rispetto a quella di certi colossi globali che delocalizzano la produzione anche in Paesi che rischiano di rivelarsi disattenti nei confronti dell’ambiente e della tutela dei lavoratori, come ha dimostrato la strage di Dacca in Bangladesh. I sessanta brand che quest’anno presenteranno le loro collezioni nella location dei Frigoriferi Milanesi, infatti, hanno scelto una dimensione più “piccola”, artigianale e creativa. E vogliono dimostrare che è possibile essere competitivi sul mercato anche proponendo prodotti singolari e non standardizzati, usando materiali biologici e naturali, recuperando tecniche di lavorazione tradizionali e cimentandosi col riciclo creativo. Non mancheranno i workshop con cui i visitatori potranno mettere alla prova la loro manualità creando o personalizzando capi e accessori. www.criticalfashion.it

HTTP://COMMUNITYFOODBANK.COM

DEIANA

A MILANO SPAZIO A UNA MODA DIVERSA

A BRA FORMAGGI E SAPORI DA SALVARE

L’ARTIGIANATO RIVIVE COL MARE DI USTICA

Latte, caglio e sale: da questi tre ingredienti semplicissimi, solo prendendo in considerazione l’Italia, derivano almeno trecento varietà di formaggi. Un patrimonio per il palato, ma anche per la cultura e la tradizione di interi territori. Un patrimonio che, tuttavia, è messo a repentaglio dall’omologazione dei consumi dovuta allo strapotere della grande distribuzione. Nasce da qui una manifestazione come “Cheese”, promossa da Slow Food, dalla città di Bra e dal ministero delle Politiche agricole, che dal 20 al 23 settembre torna a Bra con la sua nona edizione. Anche nella cittadina piemontese approderà l’Arca del Gusto, il progetto con cui Slow Food dal 1996 punta a catalogare tutti i prodotti-simbolo dei cinque continenti: chiunque avrà la possibilità di segnalare un formaggio da salvare. Ma ci sarà spazio anche per i 38 Laboratori del gusto e per le conferenze, che approfondiranno temi come l’uso dei fermenti, la trasparenza delle etichette (con la proposta dell’ “etichetta narrante” portata avanti insieme ad Alce Nero), le contraffazioni alimentari e il benessere animale. cheese.slowfood.it

Stelle marine, pesci, conchiglie. Non stupisce il fatto che i manufatti dei coniugi Barraco (borse, segnalibri, strofinacci) abbiano sempre il mare come tema ispiratore. Il loro piccolo laboratorio artigiano, che si chiama proprio “I colori del mare”, d’altronde nasce e vive nell’isola di Ustica. Ed è un esempio di come una micro-attività, riscoprendo lavorazioni tradizionali e lavorando con tessuti che altrimenti andrebbero al macero come rimanenze di magazzino, possa riuscire a ritagliarsi una nicchia e sopravvivere, anche grazie ai negozi che distribuiscono i suoi prodotti in giro per l’Italia e alla possibilità di acquistare dal Web. Anche “I colori del mare” aderisce ad Addiopizzo: «A dire il vero – spiega Frances Barraco – non abbiamo mai avuto problemi di questo tipo in prima persona, anche perché Ustica è una realtà piccola e isolata. Ma, una volta conosciuta l’associazione Addiopizzo, abbiamo ritenuto indispensabile aderire, per noi stessi e per coerenza con quello che facciamo. Viviamo in Sicilia, ci sono temi che non si possono ignorare: e se nel nostro piccolo possiamo dare forza ad Addiopizzo, ben venga!» www.icoloridelmare.com

BANCO ALIMENTARE 2.0 Da Tucson, negli Stati Uniti, arriva un modello innovativo di banco alimentare, proattivo e che coniuga l’esperienza dei cosiddetti “orti urbani” alla solidarietà, tentando di proporre soluzioni per il lungo periodo. A realizzarlo è la Community Food Bank of Southern Arizona che, tra i vari progetti a sostegno delle persone più in difficoltà, gestisce Las Milpitas de Cottonwood , cioè una fattoria di comunità situata proprio nel cuore di uno dei quartieri abitati dalla popolazione a basso reddito. Nella fattoria dimorano gli orti di una cinquantina di famiglie povere, cui viene messo a disposizione in primis il terreno (duro e secco, all’apparenza, eppure buono per la coltivazione di basilico, cetrioli, peperoni, fagioli), ma poi anche i semi e l’acqua per innaffiare. E non solo. Perché tra i banchi alimentari americani sta crescendo un movimento trasversale che cerca di rendere più autosufficienti le persone, in continuo aumento, che vi si rivolgono. Oltre alla fattoria, il banco di Tucson aiuta, infatti, circa mille persone a realizzare un proprio orto domestico e invita a recuperare redditi aggiuntivi dalla vendita di frutta e verdura coltivata in eccesso dal proprio bisogno primario, eventualmente appoggiandosi al banco alimentare stesso. Il gruppo di Tucson, che attua una selezione del cibo da re-distribuire puntando alla diffusione di alimenti comunque sani, ha poi attivato programmi per educare gli studenti sul valore nutritivo dei cibi e per insegnare alle famiglie i rudimenti dell’allevamento dei polli. [C.F.] | ANNO 13 N. 112 | SETTEMBRE 2013 | valori | 53 |


| bancor |

La trasparenza della Bce

Dall’Italia un inatteso passo indietro

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dal cuore della City Luca Martino

Non solo nella politica, ma in quasi tutti quei luoghi dove dall’alto si amministra la società: apparati direzionali, ordini professionali, lobby, massonerie, salotti (più o meno buoni), circoli finanziari. Ci vorrebbero degli antropologi o dei sociologi per spiegare questa nostra segretezza ossessiva, che bene di certo non ha fatto al nostro Paese. Nel settore dell’economia e della finanza, ancora oggi alle prese con la più grave crisi di ogni tempo, in gran parte causata proprio dalle “banche ombra” e dalle speculazioni occulte, si sta valutando, con il favore di gran parte degli economisti e degli esperti di politica monetaria, l’obbligo per la Banca centrale europea di rendere pubbliche le “minute” e le dichiarazioni di voto delle sedute del comitato direttivo. Sul punto, con un articolo apparso il mese scorso sul Financial Times, è intervenuto con posizioni fortemente critiche e contrarie il professor Lorenzo Bini Smaghi. L’autorevolezza e la posatezza dell’economista toscano, membro del comitato direttivo dell’istituto di Francoforte dal 2005 fino a poco dopo la nomina di Draghi, nonché la sua esperienza internazionale maturata nelle accademie e nelle amministrazioni internazionali più importanti in Europa e negli Stati Uniti, davano adito ad aspettative ben diver-

statuto, ha invece l’obiettivo di essere credibile, efficace, oltre che di supporto alla prosperità dell’intera comunità? Sul tema, è giusto ricordarlo, la Banca centrale europea ha fatto alcuni passi importanti e molto altro ha in piano di fare in vista del ruolo ancor più strategico che avrà a partire dai prossimi anni: dalle misure sui conflitti di interesse del personale all’accessibilità dei documenti, dalla verifica parlamentare delle nomine dei suoi membri di grado più alto alle clausole di salvaguardia delle cosiddette revolving door, tese a prevenire che i membri del direttivo entrino ed escano dalla Banca centrale poco dopo o poco prima di assumere incarichi di peso in banche e in aziende di interesse nazionale, come è accaduto nel corso degli ultimi anni a una quarantina di esponenti della Banca d’Inghilterra, ultimo Hector Sants, oggi capo della compliance di Barclays, oppure allo stesso Bini Smaghi, oggi presidente di Snam Rete Gas. Tutto questo va nella direzione giusta, ma ci va anche la trasparenza delle relazioni e delle operazioni di voto del comitato direttivo che delibera sui tassi di interesse e sulle operazioni di acquisto del debito sovrano degli Stati membri, cosa che avviene peraltro in tutte le altre banche centrali del mondo. 

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DODUDIDOCHON / HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG

eve probabilmente scattare qualcosa di singolare in noi Italiani allorquando ci affacciamo al potere. Qualcosa che ci fa assumere, nella gestione della cosa pubblica, molto più di quanto avviene in altri Paesi, posizioni di ingiustificata riservatezza, che sfociano spesso in insopportabile ambiguità, in funzione di un non ben definito principio di tutela e di garanzia.

In discussione l’obbligo per la Bce di rendere pubbliche le operazioni di voto del comitato direttivo se circa le sue posizioni su un tema tanto più rivelante oggi che alla Bce è stata affidata la vigilanza dell’intero settore bancario. Bini Smaghi motiva la sua posizione argomentando sulla recente storia organizzativa dell’istituto, sulle particolari procedure di nomina, e quindi di rappresentanza, dei singoli eletti nel consiglio direttivo, e sulla coabitazione della banca centrale con i singoli istituti di vigilanza nazionali. Che c’entrano questi aspetti con la trasparenza? In che misura un generico omissis sulle argomentazioni e le dichiarazioni di voto maturati in consessi così importanti, dai quali dipendono ormai le sorti di milioni di persone, favorirebbe la politica monetaria europea che, da

todebate@gmail.com


g io In o m a g 1 1 o1 il n u m e r o s to /ag d i lu g lio o “ F u tu r o” c o n d iv is

Mi raccomando, quando vi abbonate scrivete i nomi di tutti i partecipanti… e quello del gruppo! Sharing economy? Dalla teoria alla pratica: condividete Valori (meglio di un tagliaerba, non serve neanche il prato), con l’abbonamento collettivo, per essere informati e consapevoli (anche in tempo di crisi). Una classe, un gruppo di amici, un Gas, una band, una squadra di calcetto. Qualunque sia il motivo che vi unisce, potete abbonarvi a Valori come gruppo. Per condividere la lettura… e la spesa. Il costo dell’abbonamento (annuale o biennale in formato cartaceo) resta lo stesso, ma potete ripartirlo tra i membri del gruppo.

E sul sito valori.it avrete uno spazio dedicato a voi, nella sezione “valori condivisi”, per dire la vostra, promuovere le vostre attività o condividere commenti sugli articoli di Valori. Scrivete a abbonamenticollettivi@valori.it



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