Mensile Valori n.38 2006

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Anno 6 numero 38. Aprile 2006. € 3,50

valori Mensile di economia sociale e finanza etica

osservatorio

nuove povertà

Le paure contano più del disagio reale nella Pordenone del nord-est dove alla crisi dei distretti e dei poli industriali si somma quelle dei valori

CHRISTOPHER ANDERSON / MAGNUM PHOTOS

Fotoreportage > Energia pulita

Dossier > Microcentrali, risparmio, fonti rinnovabili sono realtà già oggi

L’energia si rinnova Pensioni > Cresce l’opzione etica e sostenibile per i fondi negoziali Bolivia > Il taxi, strumento di lavoro e lotta politica Economie leggere > ln punta di piedi per crescere su un terreno fragile Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.P.


| editoriale |

Le sfide rinnovabili

dello sviluppo sostenibile di Walter Ganapini

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POSTE

L’AUTORE Walter Ganapini

Nato a Reggio Emilia cinquantaquattro anni fa da una famiglia operaia di tradizioni comuniste, ma con un’adolescenza vissuta in contatto con i fermenti del dissenso cattolico. Il suo apprendistato è tutto interno alle tecnostrutture in cui ha potuto mettere a frutto le competenze scientifiche correlate a tematiche ambientali: il Crpa di Reggio, poi l’Enea, Lombardia Risorse e infine l’Anpa. Il professor Walter Ganapini, laureato in chimica, già docente nelle Università di Venezia, Udine e Milano, è presidente di Greenpeace Italia e membro onorario del Comitato Scientifico dell’Agenzia Europea dell’Ambiente. È stato tra i fondatori di Legambiente e assessore all’Ambiente del comune di Milano.

IDURRE LE EMISSIONI DI ANIDRIDE CARBONICA, migliorare il mix produttivo, avviare una nuova filiera industriale, abbassare i costi di produzione nel lungo termine, offrire una concreta opportunità di sviluppo sostenibile e creare nuove figure professionali: queste alcune delle sfide lanciate negli ultimi tempi dalle energie rinnovabili e, in parte, già vinte. Anche il nostro Paese può disporne come di una leva fondamentale per realizzare politiche energetiche sostenibili, che progressivamente portino a liberare città e regioni dalla dipendenza da fonti fossili, azzerando le emissioni e riducendo la bolletta energetica: oltre 400 comuni italiani, infatti, investendo sul solare, l’eolico, le biomasse, la geotermia ed il miniidroelettrico, si alimentano già oggi con energia al 100% rinnovabile. Lo constata un recente censimento, che ha registrato in Italia la presenza di circa 49.000 metri quadri di pannelli solari termici, mentre, per quanto attiene il fotovoltaico, il cosiddetto “conto energia” sta determinando un vero boom sul versante della domanda. Finora ci si basava, anche in campo energetico, sul conto capitale, senza riscontro del ritorno degli investimenti. Il nuovo approccio di filiera analizza il conto economico dell’iniziativa – quanto costa il nuovo impianto, quanto può produrre nella sua vita utile – e commisura l’incentivo in modo tale che la vita economico-finanziaria dell’iniziativa sia sostenibile, non massimizzando l’impianto, ma il rendimento economico della produzione da fonte rinnovabile. Dalle centrali idroelettriche proviene il contributo più importante da fonti rinnovabili alla bilancia energetica italiana (nel 2004 oltre il 75% della produzione di energia elettrica per 42.744 GWh): per una reale sostenibilità di questa risorsa, la prospettiva da sviluppare è quella del miniidroelettrico (fino a 3MW), sfruttando le più avanzate tecnologie. Con il geotermoelettrico nel 2004 sono stati prodotti 5.400 GWh, pari al 9,76% della produzione energetica totale da fonte rinnovabile ed al fabbisogno elettrico di oltre 1.800.000 famiglie. Per quanto concerne l’eolico, in Italia si misura una potenza installata pari a 1.765 MW, tale da soddisfare il fabbisogno di oltre 1.140.000 famiglie. La diffusione degli impianti eolici in Italia evidenzia, comunque, forti ritardi rispetto ad altri Paesi europei come la Germania (con 17.000 MW installati), la Spagna (quasi 9.000 MW), la Danimarca (oltre 3.000 MW). Gli impianti italiani che producono energia da biomasse forniscono un contributo pari a 1.981 GWh, che equivale al fabbisogno di circa 660.000 famiglie, non considerando né la produzione da biogas né quella da incenerimento rifiuti , che purtroppo in Italia riceve incentivi per le fonti rinnovabili a differenza di quanto previsto dalla Direttiva europea. L’obiettivo è realizzare, contemporaneamente ad un forte impegno nel campo della efficienza negli usi finali, un forte sviluppo delle fonti rinnovabili, che arrivi a produrre anche da noi il 25% dell’elettricità e a contribuire, con schemi cogenerativi anche a piccola scala, al soddisfacimento di buona parte del fabbisogno termico, non dimenticando, al riguardo, che un recente studio di Greenpeace ha dimostrato come, nel Regno Unito, le centrali termoelettriche dissipino calore pari al fabbisogno termico dell’intero Paese, ciò che la dice lunga sulla filosofia dello spreco che ha sin qui sotteso le politiche d’uso delle risorse finite di cui disponiamo. Le ricadute della politica innovativa sin qui tratteggiata, in termini di nuova occupazione qualificata, sono state dimostrate dall’esperienza del Sistema Germania, che ha registrato in pochi anni la creazione di 160.000 posti di lavoro.

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valori aprile 2006 mensile www.valori.it

anno 6 numero 38 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005

ROBERTO CACCURI / CONTRASTO

| sommario |

Società Cooperativa Editoriale Etica Via Copernico, 1 - 20125 Milano

Serre persano, la più grande centrale solare del mondo. È gestita da Enel Green Power e al suo interno si sperimentano vari tipi di pannelli fotovoltaici prodotti in tutto il mondo. Operai controllano un settore della centrale.

promossa da Banca Etica

Salerno, 2002

editore

soci

Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, TransFair Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Agemi, Publistampa, Federazione Trentina delle Cooperative, Rodrigo Vergara, Fondazione Fontana consiglio di amministrazione

Sabina Siniscalchi, Sergio Slavazza, Stefano Biondi, Pino Di Francesco Fabio Silva (presidente@valori.it) collegio dei sindaci

Giuseppe Chiacchio (presidente), Danilo Guberti, Mario Caizzone

BANCA ETICA

bandabassotti

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fotoreportage. Energia pulita

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dossier. Energia

16

La Germania ha il sole in fronte L’Italia ha scelto di non scegliere I profitti del petrolio verniciati di verde

18 23 25

finanzaetica

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Sabina Siniscalchi (siniscalchi@valori.it)

La scelta etica convince anche i fondi pensione

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direttore responsabile

lavanderia

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osservatorionuovepovertà

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Nella ricca Pordenone più paure che disagio reale La vera povertà di oggi è quella dei valori

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bruttiecattivi

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internazionale

48

Un’ondata di scioperi scuote il Vietnam, prossima tigre asiatica La nuova Bolivia. La parola passa al popolo Taxi bolivariano strumento di lavoro e lotta politica

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Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 12, Pergine Valsugana (Trento)

economiasolidale

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distributore nazionale

In punta di piedi per correre su un terreno fragile Oltre il bio la Natural Valley

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utopieconcrete

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altrevoci

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stilidivita

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numeridivalori

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padridell’economia

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direttore editoriale

Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) redazione (redazione@valori.it)

Via Copernico, 1 - 20125 Milano Cristina Artoni, Paola Baiocchi, Francesco Carcano, Paola Fiorio, Michele Mancino, Sarah Pozzoli, Francesca Paola Rampinelli, Elisabetta Tramonto

44

revisione testi

Silvia Calvi progetto grafico e impaginazione

Francesco Camagna (francesco@camagna.it) Simona Corvaia (simona.corvaia@fastwebnet.it) Adriana Collura (infografica) fotografie

Donatello Brogioni, Roberto Caccuri, Hiroji Kubota, Giancarlo Rupolo (Contrasto/Magnum Photos)

53 54

stampa

Eurostampa srl (Torino) tel. 011 538166-7

60

abbonamento

10 numeri 30,00 euro ˜ sostenitore 60,00 euro come abbonarsi I

bollettino postale c/c n° 28027324 Intestato a: Società Cooperativa Editoriale Etica, via Copernico 1 - 20125 Milano Causale: abbonamento/Rinnovo Valori

bonifico bancario c/c n° 108836 - Abi 05018 - Cab 12100 - Cin A della Banca Popolare Etica Intestato a: Società Cooperativa Editoriale Etica, via Copernico 1 - 20125 Milano Causale: abbonamento/Rinnovo Valori + Cognome Nome e indirizzo dell’abbonato I carta di credito sul sito www.valori.it sezione come abbonarsi Causale: abbonamento/Rinnovo Valori

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È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte.

INVIARE LETTERE E CONTRIBUTI A Società Cooperativa Editoriale Etica

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Per le fotografie di cui, nonostante le ricerche eseguite, non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamente disponibile ad adempiere ai propri doveri.

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Carta ecologica gr 90 Long Life prodotta secondo le norme Iso 9706 - Elemental Chlorine Free

distefano@valori.it redazione@valori.it direzione@valori.it

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Spioni e annessi

La nuova razza di intrallazzatori di Giovanni Vignali

È UNA RAZZA DI INTRALLAZZATORI NUOVA, ANZI ANTICHISSIMA, nel sottobosco della politica italiana: gli spioni.

C’

ETICA SGR BANCA POPOLARE MILANO

Dal caso Laziogate che ha portato alle dimissioni l’ex ministro alla Sanità Francesco Storace, all’iscrizione nel registro degli indagati dell’inchiesta per truffa ambientale in Calabria del segretario Udc Lorenzo Cesa, la trama delle ultime settimane sembra seguire percorsi analoghi. I magistrati catanzaresi Luigi De Magistris e Isabella De Angelis stavano da tempo investigando su che fine avessero fatto i soldi che da Bruxelles dovevano servire per ricostruire la rete di depuratori della regione meridionale, travolta nell’estate 2005 da un’ondata di inquinamento tale da ridurre le presenze turistiche del 35%. Il mare al sapore di plastica aveva fatto indignare per prima la Corte dei Conti, che in un suo rapporto aveva accertato che solo il 10% degli impianti messi a bilancio era stato collaudato, mentre crescevano singolarmente i casi di infezioni dermatologiche e di gastroenteriti fra i bagnanti che decidevano di immergersi. Seguendo questa pista, fra politici più o meno noti ora indagati anche per corruzione e riciclaggio, è comparsa come d’improvviso una strana sigla: Spb Optikal Disk srl. Apparentemente una qualunque azienda che avrebbe dovuto produrre cd e dvd, ma nella cui compagine societaria stavano tre persone nient’affatto qualunque. Giovanbattista Papello, ex subcommissario calabrese all’emergenza rifiuti, uomo di An; Fabio Schettini, a lungo braccio destro dell’ex ministro di Forza Italia Franco Frattini e, infine, Lorenza Cesa: segretario nazionale dell’Udc, l’uomo scelto Un filo rosso sembra collegare da Pieferdinando Casini per il dopo-Follini. In Calabria il Laziogate allo scandalo l’Spb Optikal disk avrebbe dovuto produrre dvd, creare almeno dei depuratori della Calabria: 40 posti di lavoro in quel di Magonza, vicino a Cosenza, intercettazioni illegali, e per questo avrebbe percepito 5 miliardi delle vecchie lire documenti e legami scottanti nell’ambito del Programma operativo regionale con finanziamento erogato dalla Comunità europea. Chi rilevò in seguito la struttura ha raccontato ai magistrati che «pur avendo superato il collaudo, l’edificio mancava ancora del tetto, dell’allacciamento alla rete fognaria. I macchinari al suo interno erano ancora imballati». Cos’era accaduto nel frattempo? Un passaggio di mano con cessione delle quote di Papello, Cesa e Schettini alla Data General Security, un colosso nel settore delle bonifiche ambientali e telefoniche, specializzata nel trovare le cosiddette cimici. Società di proprietà di Salvatore Di Gangi e Fabio Pelizon, pure loro oggi indagati. De Magistris e De Angelis hanno voluto vederci chiaro. La circostanza di questa vendita, unita al transitare di 200mila euro dalla Data General Security ai conti di Maria Assunta Lanzetta, convivente di Papello; la scoperta di strane intercettazioni telefoniche proprio a casa di Papello - intercettazioni illegali, mai ordinate da nessuna Procura d’Italia, nelle quali c’era chi ascoltava e trascriveva dialoghi fra Fassino, Folena e il presidente Anas Pozzi - meritavano un approfondimento. Adesso i magistrati calabresi cercano di verificare se è vero quanto sostiene chi ha raccontato loro che quei cinque miliardi incassati dalla società di Schettini, Cesa e Papello furono fatti confluire alla Data General Security. Mentre da Milano i pm che si occupano dello scandalo Laziogate che ha travolto Storace hanno assunto informazioni proprio sulla società di Di Gangi e Pelizon, per capire se non facesse parte di un’unica centrale di spionaggio illegale.

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| fotoreportage | ROBERTO CACCURI / CONTRASTO

> Energia pulita foto di Roberto Caccuri / Contrasto

Nei prossimi 50 anni il petrolio è destinato ad esaurirsi e alcune nazioni sono già corse ai ripari. La Svezia, entro 15 anni, convertirà il sistema energetico nazionale alle energie rinnovabili. Sulla stessa lunghezza d’onda lslanda e Brasile. In Europa cresce esponenzialmente la produzione di energia eolica e si sta affermando il fotovoltaico.

no dei temi portanti della terza edizione di “Terra Futura” (www.terrafutura.it) è il futuro energetico e le fonti rinnovabili. Una riflessione che non si può evitare alla luce di quanto è successo recentemente con la crisi del gas e con la prospettiva a breve termine dell’esaurimento dei giacimenti di petrolio. In Italia siamo dipendenti dai paesi esteri su tutti i fronti energetici (gas, petrolio, nucleare e carbone). Una dipendenza che ci costa circa 40 miliardi di euro, pari al 20 per cento dell’export. La scoperta di nuovi giacimenti di oro nero ha toccato il suo picco a metà degli anni Sessanta, ma a partire dagli anni Ottanta se ne consuma più di quanto se ne scopra. Quanto durerà ancora? Dipende dai ritmi di estrazione e dalla domanda. Una cosa è certa: il petrolio è destinato a finire e anche abbastanza presto. Nel 1956 tutto questo era stato previsto dal geologo M. King Hubbert. Lo scienziato infatti aveva affermato, con tanto di dimostrazione matematica, che la produzione di petrolio negli Usa avrebbe toccato un picco massimo nel 1971 per poi decrescere. Una bella curva a campana o gaussiana, come preferiscono chiamarla i tecnici, che qualcuno allora aveva sottovalutato e che oggi si è costretti a vedere nella sua inesorabile parabola discendente e non solo per la produzione di petrolio americano. Qualche Paese è però già corso ai ripari. La Svezia, ad esempio, ha recentemente annunciato al mondo che entro il 2020 abbandonerà definitivamente il greggio e convertirà l’intero sistema energetico nazionale alle energie rinnovabili, senza costruire nuovi impianti nucleari. Il programma per l’uscita dal petrolio sarà studiato da un comitato di industriali, accademici, agricoltori, costruttori di auto, impiegati pubblici, che nei prossimi mesi riferiranno al parlamento i contenuti del progetto. L’Islanda ha, invece, dichiarato che entro il 2050 alimenterà le sue auto e le sue navi con l’idrogeno prodotto da fonti rinnovabili, in particolare geotermia e idroelettrico. Mentre il Brasile, entro 5 anni, intende alimentare l’80 per cento delle sue navi da trasporto con l’etanolo derivato principalmente dalla canna da zucchero. Le due fonti di energia rinnovabile, che incidono maggiormente sulla produzione mondiale, sono quella eolica e quella fotovoltaica. La prima, grazie anche al livello tecnologico raggiunto, è diventata competitiva sul mercato, tanto che la potenza eolica installata cresce del 30 per cento ogni anno. Alla fine dello scorso anno era pari a 47 Gw, quantità che contribuisce allo 0,8 per cento circa dei consumi elettrici mondiali. Buone notizie anche per il fotovoltaico: la tecnologia è cresciuta in maniera esponenziale, ma con un ritardo di circa 10 anni rispetto all’eolico, il suo contributo alla produzione di energia comincerà ad essere significativo intorno al 2015. Insomma il sole e il vento se ne infischiano del picco di Hubbert.

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L’AUTORE Roberto Caccuri è nato a Lodi nel 1975 e vive a Roma. Segue temi di attualità e inchiesta sviluppandoli in ampi reportage. Alcuni dei suoi lavori che hanno avuto maggiore diffusione sono stati i progetti fotografici riguardanti l’emergenza ambientale e l’inquinamento in Italia, il mondo dell’economia e della finanza, le attività delle maggiori università italiane. Pubblica e lavora per le maggiori testate nazionali (Panorama, L’Espresso, Io Donna) e internazionali (Focus Germania, Der Spiegel). È il più giovane fotografo accreditato in Vaticano, dove segue le principali celebrazioni del Papa e l’attualità della Santa Sede dal 2002. Nel settembre 2004, con il suo reportage sulla costruzione delle linee ferroviarie ad alta velocità, è stata allestita un’esposizione nell’ambito della Biennale di architettura di Venezia, presso la Fondazione Querini Stampalia. È entrato a far parte dello staff di Contrasto nel 2000.

La centrale eolica monopala sulle montagne dell’Abruzzo. Operazioni di manutenzione di una torre: la sostituzione di un generatore da parte di un operaio. Oggi l’energia eolica è competitiva sul mercato.

Collarmele, 2002

> Energia pulita

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| fotoreportage |

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A destra, le torri della centrale eolica installate sui crinali delle montagne che sovrastano il paese. Questo impianto, di cui fanno parte oltre cento torri, è uno dei più estesi in italia. Sopra, una centrale eolica monopala sulle montagne dell’Abruzzo; la sostituzione di un generatore su una torre; una pala smontata.

Castiglione Messer Marino / Collarmele (Aq) / Salerno, 2002

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> Energia pulita

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| fotoreportage |

| fotoreportage |

A destra e nella pagina precedente, la centrale solare di Salerno: è la piÚ grande del mondo. Gestita da Enel Green Power, al suo interno sperimenta vari tipi di pannelli fotovoltaici. Sopra, un tecnico controlla i meccanismi automatizzati che permettono ai pannelli di muoversi seguendo gli spostamenti del sole; una cavalletta prende il sole su un pannello; operai controllano un settore della centrale.

Serre Persano (Sa), 2002

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La Germania ha il sole in fronte >18 L’Italia ha scelto di non scegliere >20 Energia alla portata di tutti >22 I profitti del petrolio verniciati di verde >24

a cura di Paola Baiocchi, Mauro Meggiolaro e Sarah Pozzoli

ROBERTO CACCURI / CONTRASTO

dossier

Le società di produzione di energie “pulite” stanno allestendo nuove centrali eoliche, soprannominate anche Parchi eolici e solari in molte aree del territorio nazionale, soprattutto nel sud, dove l’insolazione è più prolungata nel corso dell’anno e nella fascia appenninica dove la presenza di vento è più costante e redditizia. Torre eolica tripala sulle colline nelle vicinanze della città di Serre.

Campania, 2002

Energia

Rinnoviamo il rinnovabile Oltre il petrolio un nuovo mondo è possibile dove lo sviluppo è sostenibile grazie a modelli leggeri e piccole produzioni alternative al gigantismo

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di Mauro Meggiolaro

estate tedesca è solo un inverno dipinto di verde», scriveva il poeta Heinrich Heine. In effetti in Germania il sole si fa vedere poco, anche nei mesi estivi. L’insolazione media è inferiore del 50% a quella italiana. Eppure a livello mondiale la Germania è seconda solo al Giappone nello sfruttamento dell’energia solare. I cittadini tedeschi che usano il calore del sole per il riscaldamento delle abitazioni o dell’acqua sono già più di due milioni. Il prezzo del petrolio continua a salire e le famiglie si difendono, coprendo i tetti di pannelli. Solo nel 2005 sono stati installati 100.000 nuovi impianti, il 25% in più rispetto al 2004. Con i raggi del sole si può riscaldare l’acqua per uso domestico (solare termico) oppure produrre energia elettrica con pannelli di silicio (solare fotovoltaico - vedi GLOSSARIO ). Come quelli che produce Solarworld AG, l’unica impresa del settore che fa tutto in casa, dalla lavorazione del silicio alla vendita di moduli solari.

«L’

Le riserve di petrolio si stanno consumando sempre più rapidamente. Il prezzo del greggio sale alle stelle e in tutto il mondo si cerca di correre ai ripari C’è chi punta al nucleare, chi sul gas, chi riporta in auge il carbone. E chi, come la Germania, ha deciso di sfruttare il sole e il vento. Risorse infinite di energia a costi sempre più bassi | 18 | valori |

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Ha sede a Bonn ma i maggiori impianti produttivi sono a Freiberg, una cittadina della Sassonia (ex DDR) che aveva costruito la sua fortuna sulle miniere d’argento. Con la caduta del muro è finita l’era dell’argento e la città si stava avviando verso un lento declino. Fino a quando non è arrivato Frank Asbeck, fondatore e direttore di Solarworld, “der Sonnenkönig”, il “re sole”, come lo chiamano da quelle parti. Nel giro di poco tempo, ha creato 730 posti di lavoro e prevede di espandersi ancora. Il titolo dell’impresa in borsa è da mesi in salita: nel 2005 ha reso il 528% e ormai capitalizza 2,8 miliardi di euro (più o meno come Italcementi, circa 1/3 del capitale azionario della Fiat). Basta che salga, anche di poco, il prezzo del greggio o che il presidente dell’Iran Ahmadinejad minacci l’occidente con un embargo petrolifero per far schizzare il titolo verso l’alto. «A dir la verità Ahmadinejad lavora per me», ha scherzato Asbeck in un’intervista al settimanale Der Spiegel. A far compagnia a Solarworld alla borsa di Francoforte ci sono i nomi di altre imprese tedesche che stanno puntando tutto sul sole: Solon, Sunways, Solar Fabrik, SAG Solarstrom, Phönix Sonnenstrom, Conergy. Hanno rendimenti sorprendenti, creano occupazione, investono in ricerca e sviluppo e, a differenza di molte imprese che negli anni novanta hanno gonfiato e fatto esplodere la bolla di Internet, producono qualcosa che si può vedere e toccare: moduli, pannelli, pompe solari.

LA PICCOLA DANIMARCA importatrice di energia, dal 1995 ha cominciato ad invertire la rotta, adottando una serie di strategie che le hanno permesso di diventare il principale produttore mondiale di turbine eoliche (con un mercato che nel 1999 copriva una quota del 60%) e a trarre, ormai, un quinto del proprio fabbisogno energetico dal vento, sfruttando anche impianti eolici marini. Come hanno fatto? Diversamente dal modello italiano hanno incoraggiato la proprietà privata e cooperativa dei siti eolici; hanno favorito lo sviluppo di progetti di piccole dimensioni, permettendo alla popolazione locale di trarre direttamente beneficio economico dallo sviluppo dell’eolico, riducendo l’opposizione alla sua diffusione. Investimenti “puliti” sui cittadini, contro gli interessi “sporchi” delle multinazionali del petrolio. La stabilità degli interventi danesi ha favorito la creazione di un mercato interno tra i più dinamici in Europa: nel 1997, l’industria dell’energia elettrica danese contava 111 società, di cui 46 possedute e gestite direttamente dai comuni, 43 organizzate sotto forma di cooperative di proprietà dei consumatori, 9 partnership, 11 fondazioni private e 2 società per azioni. L’energia eolica non generata dalle compagnie elettriche riceve un prezzo complessivo di circa 7 Eurocent per kWh generato. I progetti eolici di proprietà delle compagnie distributive CRESCITA DELL’ IMPIEGO NELLA PRODUZIONE non ricevono invece alcun trattamento DI TURBINE EOL ICHE IN DANIMARCA [1991–2002] fiscale preferenziale, avendo diritto al solo rimborso della tassa sui contenuti 20.000 di carbonio. Inoltre, sulla base 15.000 di un accordo stipulato con il Governo, le imprese elettriche danesi sono obbligate 10.000 alla costruzione di nuovi impianti, “rottamando” le vecchie centrali. 5.000 Paola Baiocchi 0 91

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GRAFICO 1

POSTI DI LAVORO CREATI DA ENERGIE RINNOVABILI IN GERMANIA

Fonte: Danish Wind Industry Association (2002)

La Germania ha il sole in fronte

LA STRATEGIA EOLICA DANESE

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Mulini a vento e forni a mais Il solare in Germania è diventato un caso nazionale ma sta conoscendo un vero e proprio boom solo da un paio di anni. Ben prima che sul sole i tedeschi hanno puntato sul vento. A partire dalla fine degli anni Novanta le pale eoliche sono cresciute come funghi sulle coste del mare del nord, sui rilievi dell’Eifel ai confini con il Belgio o sulle rive dell’Elba. Banche e società finanziarie sono entrate nel business del vento costruendo joint venture con gli installatori e gli enti locali o creando fondi chiusi dedicati a singoli parchi eolici. Oggi la Germania è leader mondiale nell’eolico con 17.000 Megawatt installati (in Italia sono appena 1.765). Se però non c’è vento le pale si fermano. E se c’è poca luce i pannelli sviluppano meno energia. Il solare e l’eolico dipendono fortemente dalle condizioni del clima. Non è così per l’altra fonte rinnovabile per eccellenza: il biogas. Prodotto dalla fermentazione di resti organici e di quelle che i tedeschi chiamano “NawaRos” (nachwachsender Rohstoffe, letteralmente “materie prime che ricre-

160.000 140.000 120.000 100.000 80.000 60.000 40.000 20.000 0

Geotermico Idroelettrico Bio-energia Solare Eolico Totale 1998

2002

2004

Fonte: Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung, giugno 2005

scono”), come il mais, il girasole o la barbabietola, il biogas può essere usato per generare calore ed energia elettrica 24 ore su 24. La Germania è all’avanguardia anche in questo settore, grazie a un contributo statale fisso e a un incentivo, introdotto nell’agosto del 2004, che premia chi coltiva “NawaRos” per la produzione di gas. Nel 2005 le imprese del settore, che sono oltre 350, hanno prodotto circa 650 Megawatt di energia e un fatturato totale di 650 milioni di euro. Secondo gli esperti siamo solo agli inizi: tra 15 anni il biogas potrebbe generare fino al 20% dell’energia prodotta in Germania, contro l’attuale 1%, dando lavoro a più di 85.000 persone.

160.000 nuovi posti di lavoro In un Paese dove il tasso di disoccupazione ha battuto tutti i record del dopoguerra, superando il 12%, è proprio il lavoro uno degli argomenti più solidi a sostegno delle energie rinnovabili. Secondo i dati diffusi a metà febbraio dal Bundesverband Erneuerbare Energie (BEE - Associazione Nazionale per le Energie Rinnovabili) i posti di lavoro creati dal sole, dal vento, dall’acqua e dalle biomasse sarebbero ormai 160.000, più del doppio rispetto alla fine degli anni novanta (vedi GRAFICO 1 ). Nel 2005 il fatturato complessivo del settore ha raggiunto i 16 miliardi di euro (+30% rispetto al 2004), superando tutte le previsioni. In nessun altro settore dell’economia tedesca i ricavi e le cifre sull’occupazione sono cresciuti così tanto. Dei 160.000 nuovi occupati, più di 50.000 lavorano nell’eolico, circa 30.000 nel solare e 50.000 nella produzione di biogas e bio-carburanti. Ma chi sono i lavoratori dell’eco-energia? Tecnici elettronici e metalmeccanici, installatori, ingegneri elettronici ed energetici, ma anche laureati in economia, scienze naturali o esperti in pubbliche relazioni. Negli ultimi anni si sono aggiunti nuovi profili professionali grazie all’istituzione di corsi di diploma e di laurea ad hoc. In futuro sarà facilitato chi si laureerà, per esempio, in “Sistemi energetici rinnovabili” o chi sceglierà di diplomarsi in “Agraria dell’energia” o diventerà “tecnico del solare” o “assistente tecnico per le energie rinnovabili e per il management energetico”. «Entro il 2020 le fonti di energia alternative costituiranno il 30% della produzione tedesca di elettricità e compenseranno abbondantemente l’uscita della Germania dal nucleare. Tra meno di 15 anni gli addetti del settore potrebbero essere 500.000», ha dichiarato Peter Ahmels, presidente del BEE. Non sono in pochi a pensare che queste stime siano in realtà arrotondate per difetto. Già oggi le rinnovabili soddisfano più

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PRODUZIONE DI ENERGIA DA RINNOVABILI [KTEP] ITALIA 2000-2004

I DUBBI DEL CONTO ENERGIA ACCOLTO INIZIALMENTE CON GRANDE ENTUSIASMO, il Conto energia nella sua nuova versione ha suscitato non poche perplessità tra gli addetti ai lavori. Nel mirino degli operatori del fotovoltaico ci sono le “modifiche al decreto del 28 luglio 2005” pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 6 febbraio scorso. Tra le più significative, l’eliminazione per gli impianti autorizzati entro il 2005 e per tutto il 2006 dell’aggiornamento della tariffa incentivante sulla base del tasso di variazione annua dei prezzi al consumo rilevati dall’Istat, che viene previsto solo per quelli ammessi a partire dal 2007. Non solo: “tra le regole cambiate nel corso della partita” molti annoverano anche la “decurtazione” annua del contributo, che passa dall’iniziale 2 per cento al 5 per cento attuale e che, dunque, riduce di molto l’efficacia del programma d’incentivazione sull’abbattimento dei costi dell’impianto installato. Tutto sommato, però, per Gianni Silvestrini la seconda versione «non rende meno

del 10% della domanda interna di energia e comportano una riduzione del 10% delle emissioni di CO2 (anidride carbonica) nell’aria. Non è un caso che la Germania sia a un passo dagli obiettivi fissati dal protocollo di Kyoto. Con sei anni di anticipo.

Il segreto: una legge visionaria Come tutte le favole che si rispettino, anche quella del sole, del vento e del biogas tedeschi si basa su un incantesimo. Si chiama EEG, Erneurbare-Energien-Gesetz (legge sulle energie rinnovabili) ed è stata approvata nel 2000 dal governo rosso-verde guidato da Gerard Schröder con l’obiettivo di portare le rinnovabili al 12,5% della produzione di energia entro il 2010 e al 20% entro il 2020. La EEG obbliga i gestori della rete elettrica ad acquistare e mettere in circolo tutta l’elettricità prodotta da fonti rinnovabili a prezzi prefissati – superiori ai prezzi di

GLOSSARIO Energie rinnovabili A differenza dei combustibili fossili e nucleari destinati ad esaurirsi in un tempo finito, le energie rinnovabili possono essere considerate inesauribili: non diminuiscono con l’uso e sono in grado di rinnovarsi in continuazione con il ciclo naturale dei fenomeni del globo. Si tratta di vento, energia da biomasse e biogas, irradiazione solare, energia geotermica e idroelettrica, moto ondoso e maree.

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vantaggioso il programma d’incentivazione». Spiega il direttore scientifico del Kyoto Club: «Intanto, oltre all’innalzamento del tetto dei megawatt incentivabili, nel nuovo testo viene dato più spazio ai piccoli impianti (quelli fino a 50 Kw di potenza, ndr) che beneficeranno di ben 360 Mw su un totale di 500 Mw incentivabili. Questo è in linea con la filosofia del fotovoltaico, che ha senso solo se è diffuso sul territorio e non se è limitato a pochi grandi impianti ma isolati, utili semmai se associati al recupero di aree degradate, come le discariche, o ad aree estese come i parcheggi». Inoltre, aggiunge, «è previsto un ulteriore premio del 10 per cento per il fotovoltaico integrato nell’edilizia che, a conti fatti, compensa i ritocchi al meccanismo d’incentivazione ed è stato dato libero accesso a nuove tecnologie che si affiancano a quelle più tradizionali basate sul silicio cristallino, che consentiranno a medio termine di abbattere i costi di installazione dei moduli fotovoltaici». Francesco Nicoletti

mercato- che rimangono costanti per 20 anni. In pratica, chi applica oggi un pannello fotovoltaico sul tetto sa che lo Stato comprerà la sua energia per 20 anni ad un prezzo di 43,42 per Kwh. Chi invece installa pale eoliche potrà ottenere 5,39 centesimi ogni Kilowatt. Anno dopo anno il prezzo garantito per i nuovi impianti cala progressivamente (del 2% per l’eolico, del 5% per il solare e dell’1,5% per la bio-energia). I costruttori di pale eoliche e pannelli solari sono quindi costretti a rendere i loro prodotti sempre più efficienti e competitivi perché sanno che, con l’andar del tempo, l’incentivo statale per le nuove installazioni è destinato a ridursi progressivamente. Lo scopo è chiaro: accompagnare con prezzi di favore la produzione di energia da fonti rinnovabili e renderla sempre meno dipendente dai contributi pubblici e sempre più competitiva con le altre fonti energetiche. Il successo di questa strategia è evidente soprattutto per il solare e

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IDROELETTRICO

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BIOMASSA E RIFIUTI

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GEOTERMIA

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BIOMASSA E RIFIUTI 30,5 9

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CONTO ENERGIA, MEGLIO CHIARIRSI LE IDEE

PRODUZIONE DI ENERGIA PER FONTE RINNOVABILE ITALIA 2004

IDROELETTRICO 57,8 2001

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Il trend di produzione energetica da fonti rinnovabili negli ultimi cinque anni mostra una forte fluttuazione dell’idroelettrico condizionata dai fattori climatici; un buon incremento della produzione da biomassa e rifiuti, comunque attestata su valori ancora molto lontani da quelli tipici dei Paesi europei; e un leggero incremento della produzione da fonte geotermica. Il contributo dalle nuove fonti rinnovabili (eolico e solare) non mostra variazioni apprezzabili. (Enea, Le fonti rinnovabili 2005)

GEOTERMIA EOLICO E SOLARE 2,7

In Italia le fonti rinnovabili di energia hanno contribuito nel 2004 a poco più del 7% del consumo interno lordo. Tale percentuale, pur allineata alla media europea, è dovuta all’idroelettrico e della geotermia che hanno coperto insieme oltre il 65% del totale. Il contributo di energia da biomasse e rifiuti, si attesta oltre il 30% mentre il contributo di eolico e solare - le cosiddette “nuove rinnovabili” - non raggiunge complessivamente il 3% con un contributo del solare inferiore allo 0,15% (Enea, Le fonti rinnovabili 2005)

l’eolico. Dal 1991 al 2003 i costi per la produzione di energia eolica sono scesi del 55%, mentre l’energia solare si puo’ produrre oggi spendendo il 70% in meno di 15 anni fa. Il sovrapprezzo garantito dallo Stato per l’acquisto di energia da fonti rinnovabili (2,2 miliardi di euro nel 2004) viene pagato dai cittadini con un piccolo contributo in bolletta: 1,50 euro al mese per una famiglia media. Dato il successo della legge, l’esempio della Germania è stato seguito altri Paesi, come l’Irlanda, la Spagna, il Portogallo,la Rep. Ceca e Cina. In Italia, dove si è adottato finora un altro metodo, meno efficace sul fronte dell’abbattimento dei costi di produzione (incentivi a fondo perduto in conto capitale), si è aperto uno spiraglio con il decreto sul “Conto Energia” (vedi BOX ) che prevede un incentivo fisso alla tedesca per la produzione di energia solare. Sarà il primo passo per dare inizio anche da noi alla favola del vento e del sole?

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L’Italia ha scelto di non scegliere Il Bel Paese investe sui . Risultato: aumento emissioni, completa dipendenza dall’estero. Solo il 7 per cento del fabbisogno proviene da fonti rinnovabili.

CHE COS’È? Il conto energia è un sistema di incentivi per chi produce energia elettrica, istallando sul tetto della propria casa pannelli solari fotovoltaici (da 1 a 1000 chilowatt). COME FUNZIONA? I pannelli fotovoltaici sono collegati all’impianto elettrico dell’abitazione e alla rete nazionale. Una parte dell’energia prodotta viene consumata dalla famiglia, la parte rimanente viene immessa nella rete nazionale. L’energia immessa in rete viene pagata a un prezzo molto vantaggioso per chi la produce, quasi tre volte il prezzo di mercato (16 centesimi di euro). In questo modo viene erogato un incentivo che permette in pochi anni, circa 10, di recuperare la spesa iniziale sostenuta per istallare l’impianto. Per ogni chilowatt di elettricità prodotto si ricevono: 44,5 centesimi di euro (per impianti da 1 a 20 chilowatt), 46 centesimi (per impianti da 20 a 50 chilowatt), 49 centesimi (per impianti da 50 a 1000 chilowatt). L’incentivo dura 20 anni. CHI PUÒ ACCEDERE AGLI INCENTIVI? Per accedere agli incentivi bisogna presentare una domanda al GRTN, il Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale. Ogni anno, in base al decreto valido ad oggi, vengono accolte le domande fino al raggiungimento di un massimo di energia prodotta di 85 megawatt all’anno (l’incentivo è previsto per 500 megawatt totali entro il 2012). La graduatoria è stilata in base alla data di presentazione delle domande. QUANDO PRESENTARE LE DOMANDE? Le domande di incentivo possono essere presentate dall’1 al 30 (o al 31) dei mesi di gennaio, marzo, giugno, settembre e dicembre. UN ESEMPIO: Costo dell’impianto (stima per una famiglia di 4 persone): 15.000 euro Produzione di elettricità (impianto da 2 chilowatt): 2.600 kwh all’anno Guadagno da vendita elettricità: 2.600x0,445 euro=1.157 euro all’anno Costo evitato per energia consumata: 2.600x euro=416 euro all’anno Vantaggio economico totale annuale: 1.157+416 euro=1.573 euro all’anno Tempo di ritorno dell’impianto: 15.000:1.573=10 anni circa

combustibili fossili

I

L PREZZO DEL GREGGIO È IN CONTINUA CRESCITA dall’inizio

del 2004, i giacimenti di petrolio sono in rapido esaurimento per la domanda crescente di Cina e India, i gas serra hanno efdi Francesco Nicoletti fetti sempre più pericolosi sul clima. Sono tutti fattori che spingono a un serio ripensamento sulle risorse energetiche tradizionali. Peccato che, a fronte di questa situazione, l’Italia continui a investire prevalentemente in combustibili fossili. Ciò comporta elevate emissioni (+12% rispetto al 1990, con una tendenza ad aumentare che allontana l’obiettivo di riduzione del 6,5% entro il 2012 stabilito dal protocollo di Kyoto per il nostro Pease) e una quasi totale dipendenza dall’estero per il riforni-

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mento di energia, circostanza che ci indebolisce molto soprattutto in momenti di crisi, come quella recente del gas innescata dalle tensioni tra Russia e Ucraina a gennaio. Solo il 7 per cento del fabbisogno energetico nazionale proviene da fonti rinnovabili, che in questo scenario sarebbero enormemente più convenienti. L’Italia, che deve importare dall’estero gli idrocarburi, ha un’intensità di irradiazione solare molto superiore a quella dei Paesi del nord Europa. Da noi, però, ci sono solo 30 Megawatt installati di pannelli fotovoltaici contro i 1.400 della Germania. Il sole in tutto costituisce solo lo 0,15 per cento dell’energia pulita nazionale. La quota del vento è leggermente superiore (2,5 per cento), mentre l’apporto maggiore viene dal geotermico e dall’idroelettrico (67 per cento) e dalle

biomasse e i rifiuti (30 per cento). Secondo il rapporto Enea 2005 sulle fonti rinnovabili l’industria nazionale del settore «sconta un pesante ritardo» nei confronti delle filiere europee corrispondenti che forniscono ai rispettivi paesi quote ben maggiori di energia pulita. Inoltre, l’Italia è ben lontana dall’assolvere gli obblighi comunitari, che stabiliscono per il nostro paese una quota del 22 per cento di energia elettrica da fonti pulite entro il 2010.

La scelta di “non scegliere” Cosa ha causato questo ritardo? «L’errore più grave dell’Italia», spiega Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club, «è stato quello di non scegliere di puntare sulle fonti alternative a differenza di paesi come la Germania,

la Danimarca (vedi BOX) e la Spagna. L’Italia è stata a guardare e ora paga il divario con gli altri paesi europei soprattutto in termini di mancato sviluppo tecnologico e una maggiore dipendenza dall’estero». A questo, poi, si aggiunge la mancanza di un sistema di incentivi adeguato come è accaduto in Germania. «La fortuna di nuove tecnologie sul mercato», dice Fabrizio Fabbri, responsabile energia dei Verdi, «è sempre fortemente condizionata dai sistemi di incentivazione adottati. Il sistema “all’italiana” ha finito per favorire interessi di parte. Come è avvenuto nel caso della tariffa A3 (vedi BOX)». Si tratta di una “voce” della nostra bolletta, un’imposta introdotta con il provvedimento n. 6 del 1992 del Comitato interministeriale dei prezzi (noto come Cip 6) per sostenere la diffu-

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GLOSSARIO Biomassa Per biomassa si intende tutto ciò che ha matrice organica, con esclusione delle materie plastiche e fossili. Le tipologie più importanti di biomassa sono i residui forestali, gli scarti dell’industria di trasformazione del legno (trucioli, segatura, ecc.), gli scarti delle aziende zootecniche, i rifiuti solidi urbani e le colture energetiche (salice, eucalipto, colza, soia, girasole, ecc.). La biomassa ha tre applicazioni principali: biopower (produzione di energia elettrica e termica), biofuels (produzione di combustibili, es.: biodiesel dalla colza, etanolo dalla barbabietola da zucchero), bioproducts (produzione di composti chimici, es.: Mater-Bi®).

sione delle fonti rinnovabili in Italia, solo che a eolico e solare sono state “assimilate” fonti quali la combustione dei rifiuti o gli scarti della lavorazione del petrolio. «Una vera e propria furbizia che ha dirottato il 70 per cento dei ricavi a inceneritori e raffinerie», sottolinea Fabbri. L’altra forma di incentivo presente nel nostro Paese, i certificati verdi che premiano i produttori che sul totale di energia prodotta riservano almeno una quota del 2 per cento alle fonti rinnovabili, si è rivelata infruttuosa: l’anno scorso con questa formula è stato raggiunto solo lo 0,46 per cento del fabbisogno nazionale. «Un incremento del ricorso alle rinnovabili non può prescindere da tutta un’altra serie di interventi come, ad esempio, la manutenzione della rete di distribuzione e l’ammodernamento delle tecnologie che consente di ridurre gli sprechi», aggiunge Fabbri. E, infatti, lo svecchiamento del parco centrali in Italia è avvenuto solo di recente con il passaggio dagli obsoleti impianti termoelettrici a olio combustibile, con rendimenti inferiori al 35 per cento, a centrali a ciclo combinato a gas naturale che trasformano in elettricità più della metà dell’energia prodotta con una riduzione consistente dell’anidride carbonica emessa. Proprio grazie al suo minore carico inquinante, «l’uso del metano», prosegue Fabbri, «potrebbe essere una soluzione di transizione in attesa dello sviluppo dell’energie pulite. Ma non basta. Più efficace in questa direzione sarebbe la diffusione della microgenerazione: tanti impianti di piccole dimensioni, che hanno una maggiore efficienza e non comportano perdite di trasmissione perché quello che viene prodotto viene consumato in loco con un minore impatto sull’ambiente».

È l’ora delle rinnovabili Sul fronte degli incentivi sembra però essersi sbloccato qualcosa. Lo dimostra il boom di adesioni al Conto Energia (vedi BOX), la nuova iniziativa lanciata dal governo italiano nel luglio scorso che, prendendo a modello un meccanismo d’incentivazione tedesco, premia chi installa sul tetto della propria abitazione pannelli fotovoltaici per prodursi in casa l’elettricità che gli serve. Il contributo è pari a circa tre volte il prezzo dell’energia elettrica in bolletta per ogni Kwh prodotto (da 0,445 a 0,49 euro per impianti da 1 a 1000 Kw di potenza). Finora sono state 10 mila le richieste di installazione per un totale massimo incentivabile di 100 Mw, soglia che a febbraio scorso è stata portata a 300 Mw proprio per il successo registrato dal provvedimento. Se consideriamo che fino al 2004 in tutta Italia erano stati installati solo 30 Mw fotovoltaici e che sono più di 220 i Mw richiesti nell’arco di pochi mesi, possiamo immaginare le prospettive di crescita per il mercato del fotovoltaico italiano aperte dal Conto energia. Che, nonostante le critiche suscitate dalle ultime modifiche di febbraio (vedi BOX?), «resta comunque un’iniziativa positiva», dice Gianni Silvestrini del Kyoto Club, «indice della vivacità di tutta la filiera del solare in questo momento, che conferma, nonostante i ritardi accumulati dal nostro Paese, il buon momento che nel complesso stanno attraversando le fonti rinnovabili». Anche l’eolico ha fatto registrare un buon incremento, 450 Mw installati in più nel 2005 rispetto all’anno precedente e ulteriori possibilità di crescita offerte dalla nuova tecnologia “ad asse verticale” molto prometten-

te con rese superiori alle pale tradizionali del 30-50 per cento; mentre per le biomasse potrebbero arrivare interessanti novità dall’Unione europea, che di recente ha annunciato di voler puntare su questo settore per incrementare del 5 per cento la quota delle rinnovabili dei 25 Stati membri (vedi BOX). «Una risposta all’agricoltura che, in GLOSSARIO seguito agli accordi commerciali internazionali, si è vista diminuire i sussidi su un Biogas Gas ricco di metano elevato numero di colture come la barbaprodotto dalla bietola da zucchero, che potrebbe ricevere digestione anaerobica (fermentazione) ora nuovo slancio per la produzione di bioedi residui come tanolo», aggiunge Silvestrini. Per l’Italia, deiezioni animali, reflui civili (acque dunque, sono in arrivo una serie di occasiodi scarico urbane), ni da non perdere se vuole recuperare il gap rifiuti alimentari e la frazione organica accumulato con gli altri Paesi europei. dei rifiuti solidi urbani. Un’altra opportunità sarà la liberalizzazione Il biogas può essere utilizzato per del mercato elettrico a partire dal 1° luglio il funzionamento del 2007, in adempimento alle indicazioni delle stufe, delle lampade, di piccoli provenienti da Bruxelles, che darà la possimacchinari e per bilità ai cittadini europei non solo di scegenerare elettricità. gliere tra i fornitori e le tariffe più conveEnergia eolica nienti, ma anche le modalità di produzione Energia cinetica posseduta dal vento. dell’energia elettrica. In futuro il “signor Negli impianti eolici Rossi” potrebbe prodursi in casa l’energia e il vento fa girare le pale di un’elica; questa immettere le eccedenze in un network di a sua volta è collegata migliaia di piccoli impianti sparsi sul terriad un generatore che trasforma l’energia torio. Già oggi in Giappone accade grazie a meccanica 300 mila case solari. In Italia si comincia a (rotazione della pala) in energia elettrica. vedere qua e là: primi passi che hanno bisogno al più presto di una guida.

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Energia alla portata di tutti

IN ITALIA LA BEFFA ARRIVA IN BOLLETTA DAL 2000 LE FAMIGLIE TEDESCHE pagano in media 1,50 euro al mese in bolletta per il sostegno delle energie rinnovabili. I risultati di questa piccola imposta sono sorprendenti: in pochi anni la Germania è diventata leader mondiale nella produzione di energia dal vento e seconda solo al Giappone nello sfruttamento del sole. Le famiglie italiane, dal 1991, pagano più del doppio ma il nostro Paese continua ad essere agli ultimi posti in Europa nella creazione di energia dal sole, dal vento e dalle biomasse. Com’è possibile? Alla base di tutto c’è l’ennesima furberia all’italiana. La legge n. 9 del 1991, poi tradotta nella delibera n. 6/1992 del Comitato Interministeriale Prezzi, la cosiddetta “Cip 6”, prevede che gli utenti italiani paghino in bolletta (categoria A3) un sovrapprezzo di circa un centesimo di euro su ogni Kwh consumato per “sostegno alle fonti rinnovabili”. Il gettito annuale di questo prelievo si puo’ stimare, in base ai consumi elettrici nazionali, in circa 2,6 miliardi di euro. Un’iniziativa lodevole. Peccato che nell’iter di approvazione della legge qualcuno abbia fatto aggiungere alla dizione “fonti rinnovabili” i termini “o assimilate”. Due paroline che hanno stravolto il significato degli incentivi, anche perché nessuno si è mai preso la briga di definire che cosa si intenda per fonte “assimilabile” alle rinnovabili. Ed è così che dal 1991 al 2003 una somma di denaro pubblico stimata in 30 miliardi di euro è stata erogata in assoluta prevalenza a sostegno di fonti che non ne avrebbero nessun diritto: inceneritori di rifiuti non biodegradabili e, soprattutto, scarti di raffinerie petrolifere. Lo si è saputo da una fonte ufficiale, la X Commissione della Camera (attività produttive), presieduta da Bruno Tabacci. Alle rinnovabili vere sarebbero finite solo le briciole: poco più del 15% del totale versato dai cittadini. «Una tassa occulta in favore dei petrolieri», l’ha definita Tabacci. Peccato che il perverso meccanismo normativo continui tranquillamente a funzionare. Alla faccia della direttiva comunitaria 2001/77/CE. E degli ignari cittadini che pagano per l’energia pulita ma finanziano l’energia sporca. Il tutto per colpa di due M.M. paroline. Del resto, si sa, il diavolo si nasconde nei dettagli.

Come risolvere la crisi energetica partendo dal risparmio e dall’autoproduzione. Intervista a Maurizio Pallante fondatore del Comitato per l’uso razionale dell’energia. A volte me ne vergogno!». Esordisce così Maurizio Pallante, teorico e pratico del risparmio energetico come prima fonte di energia, un “giacimento” ancora da scoprire e sfruttare a pieno. La sua metafora preferita è di Sarah Pozzoli quella del secchio bucato per descrivere i modi in cui usiamo l’energia: più della metà va in sprechi, inefficienze e usi impropri. «Invece di riparare i buchi», afferma Pallante, «fior di esperti, di politici e di “sè dicenti” ambientalisti si concentrano su come riempirlo, cioè come supplire alla domanda crescente di consumi e di sprechi. E si scontrano tra “nuclearisti”, “fotovoltaici” e altre forme di sostenitori di energie “alternative” o “pulite”». Per Pallante, la questione energetica non è da porre in termini strettamente ecologici, ma di efficienza e di risparmio economico. «Molti problemi che abbiamo oggi, non dipendono», continua Pallante, «dall’esaurirsi delle fonti fossili, quanto dal mancato sfruttamento dell’e-

«L

E COSE CHE DICO SONO DI UNA BANALITÀ SCONCERTANTE.

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nergia latente negli enormi sprechi e nelle tecnologie superate» Per uscire dalla dipendenza del petrolio, non basta una conversione alle energie rinnovabili, tecnologie ad oggi insufficienti: occorre riconvertire l’industria, l’efficienza energetica delle nostre abitazioni e dei mezzi di trasporto. «Noi non abbiamo bisogno di fonti LIBRI energetiche, ma di servizi energetici», sottolinea. «Con un barile di petrolio in casa tu non ci fai nulla. Quello che ti serve è la luce e il riscaldamento. Tra fonti e servizi ci sono trasformazioni che per la legge della fisica perdono energia sotto forma di calore. Quindi il problema non è ridurre i servizi, ma ridurre le Maurizio Pallante Un futuro senza luce? perdite e aumentare l’efficienza energetica». Come evitare i black out senza costruire nuove centrali Editori Riuniti, 2004

Cosa dovrebbe fare un prossimo governo per cambiare seriamente strategia energetica?

«Dovrebbe innanzitutto porre il problema energetico al centro della politica economica industriale, dal punto di vista economico e non ideologico. Se il problema è l’approvvigionamento del petrolio, delle fonti fossili, del gas, allora l’enfasi va messa sulla riduzione della domanda, non sulla diversificazione dell’offerta. Questo perché la riduzione della domanda ha uno spazio ampio su cui lavorare (si calcola oggi che lo spreco si aggira intorno ai 2/3 dell’energia prodotta), si può fare velocemente, e ha un costo relativamente più basso rispetto all’investimento fatto esclusivamente su fonti rinnovabili». Con quale risultato? «Se un governo favorisse la ristrutturazione energetica del nostro patrimonio edilizio, abbattendo dei 2/3 i consumi con tecnologie di micro cogenerazioni, riuscirebbe a produrre molti posti di lavoro (è un mercato vergine). La diminuzione dei consumi porterebbe a una decrescita economica, compensata dal gigantesco risparmio dato dal tra-

sferimento minore di fonti fossili dall’estero (gas, petrolio) a fonti locali, con il paradosso che aumenterebbe i posti di lavoro. Altro aspetto è che si creano così le condizioni per lo sviluppo reale delle fonti rinnovabili, che attualmente costano di più e rendono molto meno delle fonti fossili. Nella logica dell’utente finale, la riduzione dei consumi delle fonti fossili consente di poter risparmiare per investire nelle fonti rinnovabili». Allora, cos’è che blocca una politica come questa? «Anzitutto il sostanziale monopolio in cui agiscono gli attuali fornitori di energia. Ne abbiamo due a livello nazionale, ENI ed ENEL, e una manciata a livello locale, che sono le ex municipalizzate. Occorre liberalizzare questo settore, facendo bene attenzione a distinguere tra liberalizzazione (quindi pluralità di soggetti e concorrenza) e privatizzazione. La liberalizzazione non significa nemmeno affiancare altri grandi produttori a quelli attuali, ma avere piccoli e piccolissimi

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TI RICORDI CERNOBYL? VENT’ANNI FA un incidente alla centrale nucleare di Cernobyl ha causato uno dei peggiori disastri della storia civile contemporanea. Il fall-out radioattivo ha interessato oltre 1.500 chilometri quadrati di territorio tra Bielorussia, Ucraina e Russia e ha coinvolto più di sei milioni di persone. In molte regioni, soprattutto in Bielorussia, la popolazione vive ancora oggi a livelli di radioattività esorbitanti. La centrale di Cernobyl ha cessato la sua attività nel dicembre 2000. Ma ancora non è stato realizzato nessun intervento di messa in sicurezza e il sarcofago che copre i resti del reattore esploso presenta evidenti segni di cedimento. E a quasi vent’anni dal referendum che ha decretato la fine del nucleare in Italia, c’è chi vorrebbe reintrodurlo anziché mettere mano a una seria politica energetica basata sulle rinnovabili. Questo libro, attraverso racconti di storie vissute, vuole porre l’accento sulla necessità di mantenere vivo il ricordo di una tragedia che è ancora quotidianità per tante persone – a cominciare dai bambini, tra le principali vittime – e vuole indicare una strada diversa per il futuro dell’energia. A cura di Lucia Venturi. Con contributi di Roberto Della Seta, Gianni Mattioli, Massimo Scalia, Sergio Zavoli, Paolo Gentiloni, Ermete Realacci, Roberto Rebecchi, Peppe Ruggiero, Massimo Tosti Balducci, Paolo Diciotti, Angelo Gentili, Lucia Venturi, Simonetta Grechi, Pierluigi Senatore, Stefano Generali, Stefano Ciafani, Edoardo Zanchini, Massimo Serafini, Herman Scheer.

produttori sul mercato energetico. In altre parole, ciò significa offrire l’opportunità a tutti i consumatori di essere autoproduttori della propria energia. E di poterla scambiare con gli altri, mettendola in rete. La rete elettrica è l’unico vero monopolio naturale inalienabile. Non ci possono essere più reti, ma tanti produttori che immettono nella stessa rete (questa sì monopolio, gestita dallo stato che la mantiene) la loro sovrapproduzione». Se dirigesse un’azienda come la Fiat, cosa farebbe produrre? «Automobili meno inquinanti (motori alternativi, ibridi – ma soprattutto che a parità di carburante percorrano molti più km), tenendo presente comunque che non è un mercato in espansione – anzi il parco macchine va diminuito. Ma produrrei anche microcogeneratori. Il primo microcogeneratore è stato prodotto proprio al centro Fiat di Torino nel 1973, prima della prima crisi energetica! Sono fabbricati con le stesGRAFICO 2

PREZZO DEL PETROLIO [01.2003-07.2005] US$ BARILE

lia, ahimè, dall’obiettivo modesto di riduzione del 6,5% di CO2, si è invece aumentata l’emissione del 13%».

se tecnologie: un motore di automobile + motore elettrico + carrozzeria + elettronica. L’energia meccanica si trasforma in energia elettrica, con un rendimento maggiore perché la velocità del motore è costante e al massimo punto di rendimento. In più, generano calore, utilizzabile molto meglio delle automobili che lo disperdono con i gas di scarico».

Ma qualcosa si muove anche in Italia... «L’idea che stiamo elaborando in un progetto con Banca Etica è di avere una linea di credito per sostenere gli investimenti che fanno le ESCO (Energy Saving Company) per le operazioni di risparmio di energia che si trasformano poi in risparmi economici e permettano di rientrare negli anni previsti nell’investimento. Banca Etica può valutare e coprire l’investimento, costituire delle società veicolo che sono proprietarie dell’impianto ristrutturato per la durata del tempo necessaria a rientrare e vendere ai risparmiatori quote della società, il cui rendimento è inversamente proporzionale alla riduzione di emissione di CO2. Maggiore l’efficienza del progetto, minore il tempo di rientro e quindi migliore la redditività del capitale».

Ci sono esempi di uso di questa tecnologia su larga scala? «Stanno arrivando. La prima compagnia energetica inglese, per esempio, ha ordinato 700.000 microcogeneratori da 800watt (per soddisfare la domanda media di un contatore domestico). In questa maniera la società elettrica rimane proprietaria e fattura all’utente finale il servizio: energia elettrica e calore. Dimezzando l’impiego di fonti fossili e di emissioni di CO2. E la Gran Bretagna che aveva posto il suo obiettivo a Kyoto di riduzione dell’emissione di CO2 al 12,5% entro il 2010 lo ha già spostato al 21%, avendolo già realizzato in buona parte. In Ita-

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FATTURATO E UTILE NETTO DAL 2003 AL 2005 DELLE MAGGIORI COMPAGNIE PETROLIFERE SHELL

Fonte: Elaborazione Enea su dati Doe e Aie

FATTURATO

60.000

EXXON

UTILE NETTO

FATTURATO

UTILE NETTO

BRITISH PETROLEUM FATTURATO

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TOTAL FATTURATO

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UTILE NETTO

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UTILE NETTO

50.000

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169

13,9

328

36,1

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12,3

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12,2

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14,1

73

8,8

40.000

2004

145

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25,3

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9,6

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30.000

2003

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7,6

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6,6

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VARIAZ. UTILE 2003-2005

+82,89% in mld di sterline

2003

2004

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+67,91% in mld di dollari

+92,19% in mld di sterline

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95,83%

in mld di euro

57,14%

in mld di dollari

in mld di euro

Fonte: Bloomberg

I profitti del petrolio verniciati di verde In due anni le compagnie petrolifere hanno raddoppiato i loro utili. Ora riempiono i giornali di pubblicità sulle energie rinnovabili. Per farsi perdonare il caro benzina. E sfuggire alla temuta windfall tax.

“P

OSSIAMO TRASFORMARE IL VENTO IN ELETTRICITÀ”, “È ora di agi-

re contro i cambiamenti del clima”, “L’energia nel rispetto dell’ambiente”. Vi trovate d’accordo con questi messaggi? Bene, allora comprate il Financial Times, l’Economist o di Mauro Meggiolaro qualche altra rivista internazionale. Sfogliate le prime pagine e fermatevi sulla pubblicità. LIBRI Non parla d’altro. Se poi guardate in basso a destra e vi aspettate di trovare il logo e i recapiti di Greenpeace o degli Amici della Terra rimarrete delusi. Al loro posto ci sono il sole giallo-verde di British Petroleum, la conchiglia di Royal Dutch Shell, le mostrine di Chevron Texaco. Sì, le grandi compagnie petrolifere hanno scoperto le energie rinnovabili e non vedono l’ora di comunicarAA. VV. lo a tutto il mondo. British Petroleum (BP), che dal 2000 Energia. Responsabilità democrazia. si fa chiamare “Beyond Petroleum” (oltre il petrolio), ha Punto Rosso, 2005 creato BP Alternative Energy, una società collegata per

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investire 8 miliardi di dollari in dieci anni nel sole, nel vento, nell’idrogeno e in tecnologie che abbattono le emissioni di CO2. I progetti di Chevron si possono leggere su willyoujoinus.com, un sito che la compagnia ha aperto per raccontare tutto il suo impegno nella ricerca di alternative al petrolio. Jeroen van der Veer, amministratore delegato di Shell ha recentemente dichiarato che la sua società «potrebbe trasformare in business almeno un tipo di energia rinnovabile». E molti sono pronti a scommettere che il settore prescelto dalla società anglo-olandese sia l’eolico. Il 23 febbraio scorso i rumours su una possibile scalata della danese Vestas, maggiore produttore mondiale di turbine eoliche, si sono fatti insistenti. Il titolo di Vestas è salito di 6 punti percentuali in poche ore. Shell ha preferito non commentare, ma forse per l’acquisizione è solo questione di tempo. Perfino Exxon (in Europa Esso), l’unica compa-

gnia che non riconosce il legame tra petrolio e cambiamenti climatici, si è sentita in dovere di fare qualcosa. Ha deciso di finanziare il “Global Climate and Energy Project” (GCEP) della Stanford University. Un progetto di ricerca sullo sviluppo di tecnologie più sostenibili per la combustione dei carburanti fossili.

Pochissimo arrosto Cosa sta succedendo? I petrolieri sono stanchi di inquinare? Sono preoccupati per l’esaurimento del petrolio? Se diamo un’occhiata ai numeri sembrerebbe proprio di no. Cominciamo da Exxon. La pluri-boicottata compagnia americana prevede di spendere 10 milioni di dollari all’anno per 10 anni nel progetto GCEP, “il più grande investimento di tutti i tempi nella ricerca indipendente sul clima e l’energia”, come dice la pubblicità. 100 milioni di dollari complessivi: il profitto che Exxon, nel 2005, ha

realizzato – mediamente - in un solo giorno. Le cose non stanno molto diversamente per Shell e Chevron. Negli ultimi cinque anni hanno speso più o meno un miliardo di dollari a testa nelle energie rinnovabili. Molto più di Exxon, non ci sono dubbi. Ma ancora pochi se confrontati con i profitti record che le due compagnie hanno portato a casa negli ultimi due anni, grazie al raddoppio del prezzo del greggio (vedi GRAFICO 2 ). British Petroleum, che nelle rinnovabili ha investito appena 57,1 milioni di sterline (104 milioni di dollari) all’anno dal 2001 al 2005, sembra dare segnali più convincenti. Ha creato BP Alternative Energy, ha avviato nuovi programmi per sostenere l’eolico, il solare, l’idrogeno e le turbine a gas in ciclo combinato. Ma la proporzione degli investimenti rispetto agli utili è ancora minima. «Nella sostanza si tratta di greenwash», ha dichiarato al Sunday Herald Jeremy Leggett, ex direttore scientifico di Greenpeace e amministra-

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GLOSSARIO Pannello solare termico Serve a catturare l’energia che giunge dal sole sulla terra e ad utilizzarla per produrre acqua calda ad una temperatura dell’ordine di 38- 45 °C. Pannello fotovoltaico Attraverso una serie di cellule fotovoltaiche, assemblate in moduli, trasforma la luce solare in energia elettrica sfruttando le proprietà fisiche di alcuni semiconduttori come il silicio.

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GLOSSARIO Energia idroelettrica Energia elettrica generata da un flusso di acqua. Una cascata naturale fornisce energia sotto forma di acqua in movimento, che può essere usata per azionare una turbina idraulica. Questa turbina può essere accoppiata a un generatore per produrre energia elettrica.

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tore delegato di Solarcentury, il primo produttore di pannelli fotovoltaici in Gran Bretagna. «BP fino a poco tempo fa era il maggiore concorrente di Solarcentury nel Regno Unito. Ora è fuori dal mercato. Le opportunità del settore sono enormi, BP manca di convinzione, potrebbe fare molto di più». Greenwash. Nel gergo dei movimenti ambientalisti è l’operazione di facciata con la quale le multinazionali cercano di dipingere di verde la loro immagine. Sembra essere questa la vera strategia dei petrolieri. E sono in molti a sospettare che le compagnie stiano spendendo di più in pubblicità con messaggi ambientali che in progetti per lo sviluppo delle energie rinnovabili. Peccato che nessuno voglia rendere noti i dati sugli investimenti pubblicitari. «Abbiamo chiesto più volte a BP di pubblicare i costi che ha sostenuto per cambiare il suo marchio in Beyond Petroleum. Non ci hanno mai risposto», ha dichiarato Duncan McLaren, direttore della sezione scozzese di Friends of the Earth (Amici della Terra). Chevron e Shell non sono state da meno. Bocche cucite. Ma cosa c’è dietro?

Le compagnie petrolifere fanno spot ambientali e non investono in progetti per le energie rinnovabili

Lo spauracchio della windfall tax Di sicuro il desiderio di recuperare la fiducia dei consumatori, messi a dura prova dagli aumenti continui di benzina e gasolio. Senza dubbio il tentativo di accattivarsi le simpatie degli attivisti. Ma non solo. Questa volta la posta in gioco è più alta. Si chiama “windfall tax”, imposta sui proventi straordinari e inattesi. A più riprese hanno minacciato di applicarla i politici di Stati Uniti e Gran Bretagna. Un balzello, per colpire i megaprofitti delle compagnie petrolifere e ridistribuirli a favore della collettività. Exxon ha chiuso il 2005 con un utile di 36,1 miliardi di dollari. Un record nella storia economica americana. Shell ha iscritto a bilancio un profitto di 13,9 miliardi di sterline (23 miliardi di dollari): il migliore risultato di tutti i tempi per una società britannica. Le reazioni non si sono fatte attendere. «Shell approfitta dell’alto prezzo del petrolio, ma i costi ambientali delle emissioni li stiamo pagando noi», ha dichiarato Craig Bennet di Friends of the Earth. «È ora che il governo intervenga perché le compagnie facciano di più per minimizzare i danni che creano all’ambiente. C’è bisogno di una tassa straordinaria». «Più che tassare i profitti sarebbe necessario che le società ne investissero una parte sostanziale nelle energie rinnovabili», han-

no rilanciato i parlamentari liberal-democratici inglesi Sharon Bowles e Vincent Cable.

Big Oil alle corde Dall’altra parte dell’oceano politici e attivisti fanno eco ai loro colleghi inglesi. «Exxon-Mobil si sta arricchendo smisuratamente sulle spalle delle famiglie. Spero che il Congresso si decida a prendere qualche provvedimento. Le compagnie devono essere forzate a risarcire i cittadini», ha detto Jim Doyle, democratico, governatore del Wisconsin. La coalizione ambientalista ExxposeExxon (www.exxposeexxon.com) invita a spedire lettere all’impresa e rilancia il boicottaggio del pieno. I mal di pancia americani per i profitti di Big Oil si erano fatti sentire già a novembre dell’anno scorso. Per placare gli animi la maggioranza repubblicana, preoccupata per il suo calo di popolarità (dovuto in buona parte al caro benzina), aveva deciso di convocare in Campidoglio i responsabili di Exxon, Chevron, Conoco Phillips, BP e Shell per un confronto con il Congresso. Presenti decine di giornalisti e attivisti che non hanno voluto perdersi lo spettacolo dei top executive del petrolio messi alle corde dalle domande incalzanti dei senatori: «Perché non donate il 10% dei vostri utili come sgravi sulle bollette de-

gli americani più poveri?», «L’aumento del 24% della benzina subito dopo Katrina non vi sembra eccessivo?». Un vero e proprio tiro al piccione inscenato dall’amministrazione Bush. La stessa che non ha mai nascosto di favorire i petrolieri bloccando ogni azione contro il controllo delle emissioni di CO2 (Kyoto in testa) e garantendo sgravi fiscali dell’ordine di miliardi di dollari. Favori sempre cortesemente ricambiati dalle compagnie: solo alle presidenziali del 2004 hanno donato in totale 13,3 milioni di dollari ai candidati repubblicani. Ma la festa potrebbe avviarsi presto verso la conclusione. I grandi del petrolio temono che dal Congresso sia in arrivo qualcosa di più pesante di un semplice botta e risposta in Campidoglio. E quindi non perdono occasione per spiegare alla stampa che i profitti in realtà non sono così alti rispetto alle vendite, che in proporzione altri settori guadagnano molto di più. E che, in fondo, stanno facendo di tutto per investire gli utili nell’energia pulita. Del resto la windfall tax «diventerebbe più giustificabile politicamente se l’industria del petrolio dimostrasse di non prendere alcun provvedimento per la riduzione delle emissioni», spiega Duncan McLaren. Sarà per questo che i giornali sono tappezzati di inserzioni verdi?

GLOSSARIO Combustibili fossili I combustibili fossili come il carbone, il petrolio o il gas naturale, sono formati dalla decomposizione di animali e piante vissuti nell’antichità. Non sono considerati “rinnovabili”, dato che il processo di fossilizzazione della sostanza organica è estremamente lungo e la quantità che si fossilizza è trascurabile rispetto ai fabbisogni energetici della società in cui viviamo.

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La nuova rivoluzione industriale... al naturale Il libro di Hawken e Lovins è impietoso con l’attuale sistema di sprechi delle risorse naturali. Ma al tempo stesso dimostra che il cambiamento è già sul mercato ed è vincente, socialemente ed economicamente sostenibile.

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CRITTO CINQUE ANNI FA, Capitalismo Naturale (2001) è uno

di quei testi che segnano la strada del futuro sostenibile (il sottotitolo recita “la prossima rivoluzione industriale”) e che varrà per i prossimi vent’anni almeno. Sulla scorta di Fattore 4 e di una ricerca che ha portato alla luce centinaia di pratiche virtuose, il libro di Hawken e Lovins dimostra che il cambiamento è già “sul mercato” ed è competitivo, vincente, e al tempo stesso socialmente ed ecologicamente sostenibile. Il messaggio, in sostanza, è: oggi le premesse del capitalismo (crescita illimitata e dominio sulla natura) non sono più valide e va radicalmente cambiato il paradigma economico. Senza “contabilizzare” il capitale naturale e inserirlo in un’ecologia di mercato, non c’è futuro. Nuove tecnologie ecoefficienti, risparmio energetico, assecondamento degli ecosistemi e dei processi naturali sono i mezzi per garantire l’efficienza delle risorse e riuscire a produrre di più con meno. Molte di queste pratiche esistono già e le aziende più attente hanno iniziato a scoprire enormi opportunità per risparmiare risorse e denaro, applicando tecnologie e pratiche commerciali innovative.

L’attuale sistema economico e industriale è antieconomico Capitalismo naturale parte da una critica di fondo all’attuale sistema produttivo.

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«Come è stato possibile creare un sistema economico che ci racconta che è più conveniente distruggere la Terra e sfruttare i suoi abitanti piuttosto che prendersi cura di entrambi?», si chiede Hawken. E ancora: «È sensato avere un sistema di prezzi che pratica sconti sul futuro mentre svende il passato? Sprecare risorse per ottenere profitti non è giustificabile in alcun modo, sprecare persone per raggiungere un Pil più elevato non migliora gli standard di vita, sprecare l’ambiente in nome della crescita economica non ha a che fare né con la crescita né con l’economia». L’analisi di Hawken è impietosa. Tra qualche decennio, guardando indietro, «gli storici dimostreranno come la politica, i media, l’economia e il commercio hanno creato un regime industriale nel Ventesimo secolo che ha sprecato il nostro ambiente naturale e sociale e lo ha chiamato crescita». Le istituzioni commerciali ignorano che i sistemi viventi sani (aria e acqua pulite, suolo fertile, clima stabile) sono parte integrante a un’economia funzionante. In altre parole, «non sono le riserve di petrolio o di rame che mettono a repentaglio il nostro sviluppo, bensì le riserve della vita stessa. Oggi il nostro progresso non è minacciato dal numero delle imbarcazioni da pesca ma dal decrescente numero dei pesci; non dalla potenza delle pompe idriche ma dalla contrazione delle falde acquifere; non dal numero delle motoseghe ma dalla scomparsa delle foreste primarie».

Efficienza ambientale e sociali L’obiettivo del capitalismo naturale è quello di «estendere i sani principi del mercato a tutte le fonti del valore materiale, anziché limitarli a quelle che la storia ha accidentalmente portato a considerare interne al sistema di mercato». Questo significa adottare strumenti di mercato che funzionano bene dal punto di vista ambientale, economico ed etico. «Rendere le persone più ricche, infatti, non richiede l’elaborazione di nuove teorie. Basta il buon senso, ed è sufficiente basarsi su una semplice affermazione: tutti i capitali hanno valore. Se può non esserci un modo “giusto” di stabilire il valore di una foresta, di un fiume o di un bambino, è certamente sbagliato non attribuirgli alcun valore. Se ci sono dei dubbi su come stimare il valore di un albero vecchio di settant’anni, chiedetevi quanto costerebbe fabbricarne uno uguale. O una nuova atmosfera, o una nuova cultura».

no facendo di più per garantire un futuro vitale al business di quanto fanno tutte le Camere di Commercio messe assieme».

Il futuro La strada che indicano i numerosi esempi esposti ribalta la concezione classica di produttività delle risorse, presentando al mondo economico e politico uno scenario alternativo: «operare riduzioni drastiche nello sfruttamento delle risorse, innalzando contemporaneamente i tassi di occupazione. In altre parole: portare l’economia verso la produttività delle risorse può incrementare sia i livelli complessivi sia la qualità dell’occupazione, diminuendo in modo radicale il nostro impatto sull’ambiente».

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Paul Hawken è autore di numerose pubblicazioni su un’economia che si fondi sulla consapevolezza ecologica. Tra i suoi titoli più recenti: The Ecology of Commerce, Growing a Business e The Next Economy.

I veri capitalisti Dunque i nuovi capitalisti non sono i finanzieri della new economy, ma «decine di migliaia di organizzazioni, in tutto il mondo, che] si stanno impegnando nell’impresa di assemblare gli ingredienti per comporre un vero manuale d’uso per il pianeta. (...) Occupandosi di temi come i gas serra, l’equità sociale, la contaminazione chimica, il crollo degli stock ittici, i corridoi ecologici e le foreste primarie, stan-

Amory Lovins e L. Hunter Lovins sono i fondatori del Rocky Mountain Institute, celebre organismo indipendente di ricerca sui temi della politica delle risorse. Tra i molti titoli pubblicati ricordiamo: Fattore 4. Come ridurre l’impatto ambientale moltiplicando per quattro l’efficienza (con Ernst von Weizsäcker) e Green Development: Integrating Ecology and Real Estate.

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La scelta etica convince anche i fondi pensione >30 Misselling scandal, il caso dei fondi inglesi >34

finanzaetica LA BANCA MONDIALE ANNACQUA I SUOI STANDARD SOCIO AMBIENTALI

BANCA ETICA E BIOLOGICO SI INCONTRANO

STANZIAMENTI DELLA UE PER I RIFUGIATI POLITICI

ESPOSTO IN PROCURA CONTRO OPENGATE

UNA RETE SOLIDALE PER COMBATTERE L’EMARGINAZIONE E LE POVERTÀ

OBESITÀ E BUSINESS UN RAPPORTO DALLA GB

I nuovi standard socio-ambientali del ramo della Banca Mondiale che presta ai privati sono inadeguati. La protesta arriva dalla Crbm (Campagna per la riforma della Banca Mondiale) e si unisce alle contestazioni di molte ong internazionali. Secondo i promotori della campagna, le modifiche alle linee guide dell’International finance corporation (Ifc) sono una regressione rispetto alla tutela dell’ambiente e dei diritti delle popolazioni locali, su cui ricadono le conseguenze negative, e non i benefici, dei progetti promossi dall’Ifc a vantaggio delle più grandi multinazionali del pianeta. Gli standard introdotti sono contraddistinti da un’estrema vaghezza, non specificano più quando dovranno essere tenute le consultazioni con le popolazioni locali che subiscono le operazioni della Ifc, non proteggono adeguatamente i diritti delle popolazioni indigene allo sfruttamento delle risorse naturali e delle loro terre. Inoltre non è più garantita la valutazione indipendente dell’impatto dei progetti, visto che ci si affida esclusivamente ai rapporti elaborati dalle compagnie private responsabili dell’esecuzione delle opere. Dure le critiche di Antonio Tricarico, coordinatore della campagna per la riforma, che accusa la Ifc di aver perso la sua missione originaria, ovvero la riduzione della povertà nel mondo, diventando di fatto un consulente delle società private che beneficiano dei suoi finanziamenti. «Con la modifica degli standard dell’Ifc la Banca Mondiale ci vuol far credere che delle linee guida così vaghe e approssimative saranno applicate con estremo rigore» afferma Tricarico. Non è mancata una stoccata ai governi europei che, secondo il coordinatore della campagna, sono troppo indaffarati nel garantire i contratti della banca anche per le loro imprese.

Sabato 22 aprile molti negozi italiani di prodotti biologici si mobiliteranno per la finanza etica. I soci volontari di Banca Etica saranno infatti ospiti per un giorno nei punti vendita specializzati per favorire la conoscenza e la sensibilizzazione sui temi della finanza etica. I soci delle circoscrizioni locali di Banca Etica spiegheranno ai consumatori i valori di questo modo differente di intendere la finanza, offriranno materiali informativi e una copia del mensile Valori. Si tratta di un’iniziativa nata grazie alla collaborazione tra Ecor, società agrobiologica - biodinamica, e Banca Etica, per avvicinare i mondi del biologico e della finanza etica, animati dalla stesse tensioni morali, di equità e giustizia, ma che troppo spesso viaggiano su binari paralleli. I negozi coinvolti saranno un centinaio in tutta Italia, i soci di Banca Etica altrettanti, per un totale di quaranta circoscrizioni. I volontari spiegheranno i contenuti della finanza etica e il fatto che l’ambiente e, in parte, anche il biologico sono tra le realtà destinatarie dei finanziamenti della banca, perché uno dei 5 settori di impiego della banca. Per chi volesse ulteriori informazioni sulla giornata e per sapere quali punti vendita saranno interessati dall’iniziativa il numero verde da contattare è 800 489311.

La Commissione europea ha deciso di stanziare quattro milioni di euro in aiuti umanitari per sostenere e potenziare i programmi di protezione predisposti dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr). Assicurare una protezione fisica e legale ai rifugiati, responsabilità fondamentale degli Stati, precisa una nota della Commissione, è la maggiore preoccupazione dell’Alto Commissariato. I rifugiati, infatti, incontrano sempre più problemi quando cercano protezione internazionale. La riprova è l’aumento delle istanze di rimpatrio da parte di alcuni stati, che spesso vengono meno agli obblighi di accoglienza e protezione verso i rifugiati. Tra le cause principali nelle richieste di asilo ci sono: la repressione politica e la violazione dei diritti umani, cause che interessano in totale 19,1 milioni di persone, di cui 9,2 milioni ottengono lo status di rifugiati. L’aiuto della Commissione ha permesso all’agenzia delle Nazioni Unite di sviluppare nuovi programmi di protezione. Tra i quali il Project profile un moderno sistema di registrazione delle popolazioni di rifugiati, il Surge project per lo schieramento d’emergenza di personale di protezione qualificato e, più in generale, i progetti di aggiornamento dei meccanismi di preparazione e reazione in caso di emergenza.

Il caso Opengate finisce nuovamente in procura a Milano. Circa 1000 azionisti, rappresentati dal Siti, sindacato di piccoli risparmiatori che vanta più di 15 mila iscritti tra le sua fila, hanno presentato un esposto al tribunale di Milano. Si chiede ai giudici di verificare se nel caso di Opengate ci siano gli estremi per procedere per i reati di aggiotaggio e false comunicazioni sociali. I 1000 piccoli risparmiatori, autori dell’esposto, hanno subito una perdita stimata in 12 milioni di euro. Alla base dell’esposto del Siti (Sindacato Italiano per la Tutela dell’ Investimento e del Risparmio) ci sarebbero documentazioni e informative nuove. Opengate fu la prima società a quotarsi nel Nuovo Mercato. Il titolo, al momento del collocamento in borsa nel giugno del 1999, valeva 34 euro contro un valore nominale dell’azione di poco più di 3 euro. L’apice venne toccato nel pieno della bolla speculativa di internet, quando il titolo superò i 400 euro. Opengate era il simbolo della new economy italiana al punto da meritarsi un libro che ne raccontava il caso. Il successo svanì quasi subito, dopo una serie “infinita” di acquisizioni, e la quotazione si sgonfiò. L’epilogo fu disastroso per tutti quelli che avevano creduto nel titolo: revoca della quotazione in borsa e, nel 2003,la dichiarazione di fallimento di Opengate Group spa.

Si chiama “Rete provinciale di inclusione sociale” ed è un progetto per favorire l’inclusione sociale di persone in situazione di povertà estrema. I concetti-guida su cui si baserà il progetto sono la rete, il territorio, l’inclusione, il sociale e il volontariato titolare di partecipazione. Gli attori principali sono: Provincia di Vicenza, Caritas diocesana e cinque comuni, che svilupperanno una serie di servizi per favorire percorsi di reinserimento sociale di persone che hanno rotto tutti i legami con una “normale” vita sociale. Persone prive delle risorse per soddisfare anche esigenze basilari come l’alimentazione, la casa, l’igiene personale, il lavoro. Il progetto è stato possibile grazie ad un finanziamento di tre milioni e 580 mila euro, da parte della Fondazione Cariverona. Saranno costruiti o riattati, nei cinque poli di Vicenza, Arzignano, Schio, Bassano e Valdagno, alcuni edifici grazie ai quali sarà possibile offrire servizi essenziali come mense, ricoveri notturni, segretariato sociale, laboratori occupazionali a bassa soglia, docce e lavanderie. L’intervento della fondazione permetterà di sostenere, assieme ai comuni interessati, i costi di gestione per i primi due anni di attività. Complessivamente si passerà da 75 a 109 posti letto di prima emergenza e da 16 a 160 posti mensa, oltre ai servizi docce, lavanderia, laboratori occupazionali e segretariato sociale. Sarà avviato anche un osservatorio provinciale sulle povertà estreme con partecipazione dell’amministrazione provinciale. Con questo progetto si permetterà alle persone escluse di riacquisire diritti, di vedersi restituita una cittadinanza negata attraverso percorsi di inclusione per loro sostenibili. Basti pensare alle persone senza dimora, fra cui i migranti, i primi ad essere travolti nei momenti di crisi economica e ad entrare in una situazione di grave precarietà, oppure gli ex carcerati che, dopo aver scontato la pena, si ritrovano spesso privi di riferimenti parentali e abitativi. Il sociale in questo contesto significa recupero del vivere civile e reinserimento nella rete di relazioni, oltreché garantire due effetti indotti nell’ambito della sicurezza e della sanità pubblica.

Il rapporto si chiama Obesity concerns in the food and beverage industry. È stato elaborato dall’istituto di ricerca britannico Ethical Investment Research Services (Eiris), specializzato nel monitorare le performance etiche, ambientali e sociali delle singole aziende e che collabora con l’indice azionario Ftse4Good. Lo studio analizza come l’industria alimentare e delle bevande risponde a quella che ormai è diventata un’emergenza, ovvero la diffusione dell’obesità tra i consumatori, e i rischi che comporta per il loro settore commerciale. Le società inserite nello studio sono sei: Cadbury-Schweppes, The Coca-Cola Company, Kraft Foods, PepsiCo, McDonald’s e Unilever. Le ultime due sono quelle più in ritardo rispetto ai tre maggiori rischi non finanziari: cambiamenti di legislazioni, controversie giudiziarie e resistenza dei consumatori, avendo sistemi limitati in grado di valutare i rischi sociali, ambientali ed etici, a cui sono esposti in relazione all’obesità. Al tempo stesso però sono le uniche due che riconoscono esplicitamente il proprio ruolo nel combattere l’obesità infantile. Per quanto riguarda l’attenzione ad una pubblicità e ad un marketing responsabili nei confronti dei piccoli consumatori, Cadbury Schweppes ottiene una valutazione alta, mentre McDonald’s si pone al livello più basso.

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La scelta etica convince anche i fondi pensione Piccoli passi, ma sostanziosi. Alcune realtà stanno specializzando gli investimenti. Ma c’è ancora molta diffidenza e impera il nodo del rendimento. Per alcune aziende abbandonare la visione della beneficenza è molto difficile. Casse e fondi pensione aziendali tra le esperienze più interessanti nell’investimento etico.

ti importanti fondi pensione negoziali (frutto della contrattazione) e di singole realtà aziendali, oltre che fondi aperti ed Sgr, che hanno già attivato l’investimento in fondi etici nei loro portafogli. E ci sono altri fondi che di Paolo Andruccioli hanno cominciato ad avviare al loro interno una riflessione sul tipo di asset allocation praticata. I problemi sono ancora tanti, per diversi ordini di ragioni, tra cui il ritardo della previdenza complementare (la riforma del governo Berlusconi è stata ulteriormente rinviata al primo gennaio 2008), la dimensione dei fondi pensione di categoria, la dispersione dei fondi aziendali e infine l’insufficienza nell’offerta di “prodotti” finanziari etici. Legata a questi temi, c’è poi la questione più generale – ben nota ai lettori di questa rivista – della definizione teorica e pratica di una finanza davvero etica, una finanza socialmente responsabile che produca frutti, oltre che marketing. In questo articolo cercheremo di dar conto delle principali novità concentrando l’attenzione proprio sui fondi pensione sindacali e tralasciando per un momento la grande proliferazione di nuovi prodotti “etici” nel mercato finanziario generale. Ci vogliamo concentrare proprio sui fondi sindacali, con qualche riferimento anche all’estero, sia perché proprio qui si sconta il ritardo maggiore, sia perché qui esiste un potenziale molto vasto di investimento eticamente orientato.

Previambiente è stato uno dei pionieri della scelta etica. Conta 22 mila iscritti e un patrimonio di 135 milioni di euro

L’etica nei fondi negoziali La Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, sta preparando proprio in questi giorni i nuovi regolamenti per attuare la riforma del sistema previdenziale complementare. La Covip deve definire (il termine è fissato per il giugno 2006) i nuovi spazi di azione dei fondi chiusi, di quelli aperti e il delicatissimo rapporto | 30 | valori |

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L’Italia è tra i paesi con il più alto indice di vecchiaia al mondo. Al primo gennaio 2004 c’erano 135 persone di 65 anni e oltre ogni 100 giovani al di sotto dei 15 anni. Le stime per il futuro prossimo non sono favorevoli ai pensionati italiani, perché parlano di pensioni pubbliche al di sotto del 50 per cento dell’ultima retribuzione.

Matera, 1990 DONATELLO BROGIONI / CONTRASTO

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AL MONDO DEI FONDI PENSIONE arrivano segnali nuovi. Ci sono infat-

tra fondi collettivi e polizze previdenziali individuali. Nello stesso tempo la Covip ha deciso di aprire una finestra d’attenzione sulla finanza etica. L’indicazione, che dovrà essere formalizzata e dovrà tradursi in un ampliamento dei controlli e degli studi che la Commissione produce ogni anno, è stata stimolata dalla scelta di alcuni fondi pensione che hanno attivato appunto linee di investimento etico. Il fondo pensione Previambiente, a cui aderiscono i lavoratori subordinati addetti prevalentemente al settore dell’igiene ambientale (ma anche alle farmacie comunali e ad altri servizi affini), non è stato tra i primi a essere attivato, ma è sicuramente uno dei primissimi pionieri della scelta etica. Il fondo è stato autorizzato all’esercizio nel gennaio del 2000 e alla fine dell’anno seguente aveva raccolto circa 15 mila iscritti con più di duecento aziende aderenti. Oggi gli iscritti a

Previambiente sono più di 22 mila e il patrimonio complessivo è di 135 milioni di euro, con una crescita stimata in circa 2 milioni di euro al mese. Il fondo pensione Previambiente ha optato da subito per la linea etica. Ovviamente all’inizio si è trattato di studiare il mercato, provare il rodaggio del fondo stesso e aprire un dialogo con gli associati e il mondo sindacale che li rappresenta. Il presidente, Alessandro Ruggini, con una consolidata carriera sindacale alle spalle, ha cercato di dare un indirizzo alle scelte di investimento e così Previambiente ha deciso di convogliare sull’investimento socialmente responsabile una parte della linea azionaria. Si tratta oggi del 60% del portafoglio azionario che viene investito in fondi etici o prodotti certificati. Una scelta che non solo non è stata osteggiata – anche perché i rendimenti di questi anni sono sempre stati

buoni o addirittura superiori alla media – ma che verrà prossimamente rafforzata. Ruggini ci dice infatti che il consiglio di amministrazione di Previambiente è intenzionato a spostare sugli investimenti etici il 100% del pacchetto azionario del fondo. Il benchmark etico scelto da Previambiente è l’Ethical index euro, calcolato da E. Capital Partners, che è una delle società di rating che si è specializzata nel nuovo settore del socialmente responsabile e della sostenibilità. L’Ethical index euro è ormai uno degli indici etici a cui si fa più riferimento e che contiene le società europee considerate, secondo i parametri adottati, compatibili con le finalità etica e in particolare con i parametri e i principi etici che sono stati fissati negli anni scorsi da Finetica, l’istituto che vede la collaborazione tra la Pontificia Università Lateranense e l’Università Bocconi di Milano. |

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| finanzaetica | Iscritti attivi e cosiddetti differiti. Risorse complessivamente destinate alle prestazioni. Esse comprendono: l’attivo netto destinato alle prestazioni (ANDP) per i fondi negoziali e aperti di nuova costituzione e per i fondi preesistenti dotati di soggettività giuridica; i patrimoni di destinazione ovvero le riserve matematiche per i fondi preesistenti privi di soggettività giuridica; le riserve matematiche costituite a favore degli iscritti presso le compagnie di assicurazione per i fondi preesistenti gestiti tramite polizze assicurative; le riserve matematiche per i PIP di tipo tradizionale e il valore delle quote in essere per i PIP di tipo unit linked. (3) I dati sono parzialmente stimati. Per i fondi interni a banche, il dato relativo agli iscritti si riferisce al 2003. (4) Il dato sugli iscritti è basato sul numero di polizze emesse dall’avvio della commercializzazione dei prodotti e potrebbe risultare sovrastimato a causa di duplicazioni. (1)

LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE IN ITALIA. DATI DI SINTESI. [DATI DI FINE PERIODO; IMPORTI IN MILIONI DI EURO]

(2)

ISCRITTI(1)

FONDI 2004

Fondi pensione di nuova istituzione Fondi pensione negoziali Fondi pensione aperti Totali fondi di nuova istituzione Fondi pensione preesistenti di competenza Covip Interni a banche Interni a imprese di assicurazione Totale TOTALE FONDI PENSIONE Polizze Individuali Pensionistiche TOTALE GENERALE

2003

2004

42 92 134

42 96 138

1.062.907 382.149 1.445.056

348 139 7 494 628

361 147 7 515 653

601.722 56.258 98 658.078 2.103.134 648.892 2.788.026

RISORSE D.P.(2)

VAR. % 2004/2003

Risultati molto buoni Finora i risultati raggiunti dalla parte etica del portafoglio di Previambiente sono molto lusinghieri e i dirigenti del fondo non hanno avuto finora troppe difficoltà nel difendere una scelta comunque difficile nel campo della previdenza complementare, dove l’obiettivo principale e prioritario non è assimilabile al tradizionale investimento finanziario. I fondi pensione (soprattutto quelli negoziali) hanno come compito quello di garantire una pensione integrativa agli iscritti. Si tratta di lavoratori dipendenti che

2,0 4,8 2,7

23,5

2004

5.881 2.230 8.111 26.842 3.665 39 30.546 38.657 2.150 40.807

VAR.% 2004/2003

29,5 28,8 29,3

68,3

hanno scelto di affidare il loro Tfr e una parte dei loro contributi previdenziali a un fondo che dovrà garantire la necessaria integrazione della pensione pubblica che si stima – per i prossimi anni – sempre più bassa (le ultime proiezioni parlano di pensioni pubbliche sotto il 50% dell’ultima retribuzione). Un altro fondo di categoria che ha scelto di investire in etica è quello dei ferrovieri. Il fondo pensione chiuso si chiama Eurofer ed è relativamente giovane, essendosi insediato solo nel 2001. Nel novembre del 2004 il consiglio

FONDI PENSIONE DI NUOVA ISTITUZIONE E PIP. DATI DI SINTESI. PRIMO TRIMESTRE 2005. [DATI DI FINE PERIODO; IMPORTI IN MILIONI DI EURO] RISORSE D.P.(2)

ISCRITTI MARZO 2005

Fondi pensione di nuova istituzione Fondi pensione negoziali Fondi pensione aperti Totali fondi di nuova istituzione Polizze Individuali Pensionistiche(1)

VAR. % MAR 05/DIC 04

1.074.327 388.039 1.462.366 703.687

FONDI PENSIONE E PIP. COMMISSIONE DI GESTIONE IN PERCENTUALE SUL PATRIMONIO [VALORI PERCENTUALI]

1,1 1,5 1,2 2,7

MARZO VAR.% 2005 MAR 05/DIC 04

6.302 2.351 8.653

7,2 5,4 6,7

(1) Il dato sugli iscritti è basato sul numero di polizze emesse dall’avvio della commercializzazione dei prodotti e potrebbe risultare sovrastimato a causa di duplicazioni

Gli investimenti dei fondi etici spesso puntano sul principio di esclusione del negativo, piuttosto che all’applicazione dello screening positivo di amministrazione ha scelto di convogliare una parte dei soldi sull’investimento etico (Ftse4Good, E-Capital Ethical). Si tratta di una parte del pacchetto azionario del fondo che equivale a circa il 20% del patrimonio. Il vincolo di scegliere fondi etici è stato dato ai gestori (che come si sa, per la legge del 1993, devono essere diversi e separati dal fondo stesso). I controlli sugli investimenti, come succede in tutti i fondi negoziali, devono però essere a carico degli amministratori del fondo stesso. Il presidente di Eurofer, Sergio Slavec, ci dice che la scelta “etica” è arrivata in modo abbastanza spontaneo. «Ne abbiamo cominciato a discutere sin dall’inizio», racconta Slavec, «ma poi solo nel 2004 siamo riusciti a dargli una forma». Ma se la scelta è stata spontanea e per certi versi “naturale”, non si può dire la stessa cosa per la discussione sugli indici etici da adottare. Il dibattito rischiava di diventare interminabile e troppo filosofico e alla fine si è scelto di delegare ai gestori la scelta migliore degli indici dopo aver fornito l’indicazione di massima. Gli iscritti ad Eurofer sono oggi 31 mila. Con la riforma che dovrà essere applicata dal gennaio del 2008 e che permetterà il trasferimento del Tfr, si stima che gli iscritti ad Eurofer potranno crescere d’altre 20 o 30 mila unità. Finora, infatti, il modello del fondo di categoria sembra capace di coprire e attirare in media il 30% dei lavoratori complessivi di quella singola categoria professionale. Per quanto riguarda il tipo di prodotti etici o comunque d’aziende su cui si stanno indirizzando gli investimenti di Eurofer siamo di fronte ad uno di quei casi in cui funziona di più il principio di esclusione (no alle fabbriche d’armi, alla droga, alle aziende che sfruttano, ecc…) piuttosto che all’applicazione dello screening positivo. Nel pacchetto di titoli etici o meglio eticamente compatibili di Eurofer ci troviamo quindi anche gruppi multinazionali, insieme a grandi gruppi italiani come Eni e Telecom. Per quanto riguarda l’altro spinoso problema della destinazio-

Fondi pensione negoziali (1) PERIODO DI PERMANENZA

0,45 3 ANNI

10 ANNI

35 ANNI

1,9 8,1

1,4 3,2

1,3 2,3

Fondi pensione aperti (2) Pip

(1) Calcolato in base ai dati a consuntivo dei fondi pensione negoziali che alla fine del 2004 avevano conferito in gestione le risorse finanziarie (2) Calcolato sulla base delle condizioni di costo previste nei regolamenti e nei contratti e riferita a figure tipo

FONDI PENSIONE NEGOZIALI. ONERI DI GESTIONE DEL PATRIMONIO(1) [ANNI VARI; VALORI PERCENTUALI]

Spese complessive / patrimonio Gestione amministrativa Gestione finanziaria

2002

2003

2004

0,52 0,40 0,12

0,47 0,34 0,13

0,45 0,30 0,14

(1) Le elaborazioni riguardano i fondi negoziali che alla fine dei periodi considerati avevano conferito in gestione le risorse finanziarie

ne finale della parte obbligazionaria del portafoglio, il fondo Eurofer ha scelto semplicemente di investire in titoli di debito pubblico europeo. In questo modo si è evitata la discussione ricorrente sulla contraddizione di investire in obbligazioni e titoli di debito pubblico americani, nei paesi dove ancora vige la pena di morte. Eurofer – per ora – ha aggirato l’ostacolo e non finanzia il debito Usa. Altre esperienze interessanti nel giovane panorama italiano dell’investimento etico dei fondi pensione sono quelle delle casse aziendali o dei fondi pensione aziendali.

Il caso Deutsche Bank Alla fine del 2004, per merito dell’iniziativa di un gruppo di sindacalisti della Cisl e della Cgil dei bancari, il fondo pensione della Deutsche Bank italiana, ha deciso di avviare un tipo d’investimento etico. Nel febbraio dell’anno successivo, il 2005, il consiglio d’amministrazione del fondo della Deutsche Bank ha deciso di comprare quote di un fondo di investimento di Banca Etica. In particolare è stato deciso un investimento di 5 milioni di euro nel Fondo etico Valori Responsabili Monetario di Etica Sgr, gruppo Banca Etica. L’iniziativa è stata sollecitata dai consiglieri eletti nella fila del sindacato e in particolare dai consiglieri della Fisac (Cgil), della Fiba (Cisl), della Uilca (Uil) e della Falcri. «Il problema più difficile per noi», dice Angelo Pozzi, rappresentante della Fisac, «è quello di far capire, soprattutto all’azienda, che l’investimento etico è profittevole». I rappresentanti aziendali del fondo pensione della Deutsche Bank hanno infatti contrapposto a una visione positiva dell’investimento etico una visione più legata alla beneficenza. Il bene comune da difendere, per loro, è quello del massimo rendimento che deriva solo ed esclusivamente dal massimo profitto. La battaglia – anche culturale – è stata dunque lunga e dura, raccontano i rappresentanti dei |

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Le polizze individuali pensionistiche (Pip) sono gravate da oneri variabili, ma mediamente piuttosto elevati. La maggiore onerosità è dovuta alle basse economie di scala, agli oneri di costruzione e di promozione del mercato. In quello previdenziale tende a diffondersi di più il prodotto meno conveniente per l’acquirente, ma sul quale il promotore investe di più.

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| finanzaetica |

DONATELLO BROGIONI / CONTRASTO

Ci vuole convinzione e una buona dose di spirito innovativo per creare anche qui in Italia un vero mercato della finanza etica

almeno a livello internazionale – i fondi pensione si sono gettati anche sugli hedge funds». Un’altra esperienza nuova nel panorama italiano è quella della Cassa di Risparmio di San Miniato. Roberto Orsini, rappresentante sindacale della Fiba-Cisl della Cassa ci spiega che è stata attivata una linea di investimento etico in collaborazione con Etica Sgr di Banca Etica all’interno delle cinque linee del fondo pensione. La decisione è stata presa nel novembre scorso e l’indicazione di aderire anche a una linea etica è stata seguita per ora da una piccola minoranza di lavoratori. Su 750 dipendenti, solo 11 hanno scelto di aderire alla linea etica del fondo, una linea che ovviamente – a differenza delle altre – non può offrire rendimenti di tipo speculativo. Il fondo non ha investito per esempio in petroliferi. Eppure, nonostante le difficoltà dell’inizio, la scelta ha suscitato un grande interesse tra i lavoratori. «Siamo rimasti sorpresi noi stessi», dice Orsini che racconta di vari incontri con i colleghi che hanno necessità di capire i meccanismi reali della nuova finanza etica. Orsini pensa che queste cose sono troppo importanti per bruciarle con tempi accelerati.

Un fondo per crescere Ci vuole pazienza e capacità di far comprendere e di informare. E ci vuole anche molta convinzione e una buona dose di spirito innovativo per creare anche qui in Italia un vero mercato della finanza etica e dell’investimento socialmente responsabile; uno spirito che sembra animare progetti innovativi come quello di Banca Etica con Itas Assicurazioni. Si tratta di un fondo pensione aperto che dovrebbe partire (dopo l’approvazione dell’Isvap) in primavera. Si chiamerà AequItas e si dovrebbe basare (ma la rivista tornerà a parlarne approfonditamente) sulla selezione socio-ambientale dei fondi, sull’azionariato attivo e sul contributo da dare a progetti di microcredito in Italia,

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DAL 31.12.03 DAL 31.12.02 DAL 31.12.01 DAL 31.12.00 DAL 31.12.99 DAL 31.12.98 AL 31.12.04 AL 31.12.04 AL 31.12.04 AL 31.12.04 AL 31.12.04 AL 31.12.04 [1 ANNO] [2 ANNI] [3 ANNI] [4 ANNI] [5 ANNI] [6 ANNI] STIMA DANNO ECONOMICO

LAVORATORI LAVORATORI LAVORATORI LAVORATORI > 50 ANNI ETÀ < 50 ANNI ETÀ > 50 ANNI ETÀ < 50 ANNI ETÀ

>

Brindisi di Montagna (Pt), 1990

FONDI PENSIONE. RENDIMENTI PLURIENNALI [VALORI PERCENTUALI]

IL “MISSELLING SCANDAL” NEL REGNO UNITO [IMPORTI IN MILIONI DI STERLINE] NUMERO DI CASI

I fondi dovranno garantire la necessaria integrazione della pensione pubblica che in futuro si stima sempre più bassa.

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Tra il 1989 e 1992 i premi incassati in Inghilterra per le polizze previdenziali erano pari a 10 miliardi di sterline, il 40 % della nuova produzione delle imprese di assicurazione. Le sottoscrissero 2 milioni di cittadini britannici.

IL CASO INGLESE BOX UK (+TABELLA)

LA PRIMA ESPERIENZA DI AVVIO DEI FONDI PENSIONISTICI PRIVATI È STATA DISASTROSA PER I LAVORATORI. Il caso, diventato emblematico, è conosciuto dagli addetti ai lavori come “miselling scandal” e ha visto protagonisti i lavoratori inglesi nel periodo dal 1984 al 1996. La vicenda ha portato a identificare quattro tipi di violazione delle regole da parte degli operatori del settore: Una strategia consapevole di vendita di prodotto inidonei a soddisfare l’interesse previdenziale del cliente; Una tattica di vendita aggressiva volta a identificare categorie di soggetti prossimi al pensionamento acquisendone, più o meno lecitamente, i dati personali (viene citato il caso dei minatori espulsi dalla Thatcher) La mancata fornitura di informazioni adeguate quanto alla confrontabilità del prodotto offerto in rapporto ad altri prodotti pensionistici disponibili; L’incompetenza professionale delle forze di vendita e la conseguente loro inadeguatezza, a fronte della delicatezza e del valore sociale del compito ad esse affidato La prima stima effettuata dalla Fsa (Financial service authority) sulla portata del danno economico sofferto dai sottoscrittori vittime dello scandalo è stata di 11,5 miliardi di sterline.

anche nel potente mondo degli investitori istituzionali. L’Europa e le sue esperienze nazionali sono in movimento e meriterebbero approfondimenti e confronti. Molto importante, solo per dare dei titoli in breve, l’esperienza svizzera della Fondazione Ethos che gestisce 610 milioni di euro per conto di circa 80 fondi pensione svizzeri. Molto interessante l’esperienza norvegese, dove è il Fondo pensione statale a fissare i criteri etici. Il fondo della Norvegia, con i suoi 160 miliardi di euro di patrimonio è uno dei più grandi fondi previdenziali del mondo.

finalizzati alla nascita e allo sviluppo di microimprese. Il nuovo fondo di Banca Etica e di Itas sarà innovativo dunque anche nel campo dell’azionariato attivo, terreno ancora alla preistoria in Italia, a differenza di altri paesi dove ormai non solo si è sviluppato, ma ha dovuto superare anche crisi profonde, come dimostrano le vicende capitate all’ex presidente di Calpers, il fondo pensione dei lavoratori pubblici della California, vicende che sono state raccontate da questa rivista nei numeri passati. All’estero, comunque, l’investimento etico prende sempre più corpo,

Transfers [usciti da fondi pensione di loro ex datori di lavoro]

155.000

985.000

673

2.522

Opt outs [usciti da fondi pensione aziendali]

154.000

154.000

1.502

799

Non joiners [usciti dal Serps]

110.000

682.000

1.357

3.329

Totale

419.000

1.821.000

3.532

6.650

FONTE: FSA, PENSION TRANSFERS AND OPT OUTS REVIEWS, 1998

lavoratori, ma alla fine i sindacati l’hanno spuntata anche se la quantità delle risorse investite è per ora minima: cinque milioni su 250 milioni complessivi di patrimonio del fondo. Dopo averla spuntata nella decisione, per i sindacalisti non è stato facile poi difendere la scelta, anche se quest’anno sono stati aiutati dai rendimenti. Il fondo etico è stato infatti nella media, più o meno a metà delle classifiche di Morningstar. I rappresentanti aziendali della Deutsche Bank non demordono e accusano per esempio i gestori dei fondi etici di dare poche informazioni. Pozzi ci spiega comunque che la scelta ancora resiste e potrebbe essere anche rafforzata nel futuro. Per ora i 5 milioni “etici” sono investiti in una linea di bilanciato azionario di Etica Sgr, in un fondo di Credit Agricole e una terza parte in Pictet. Il monitoraggio è affidato a Ethibel, mentre anche tra i rappresentanti dei sindacati si è sviluppata una discussione sui reali confini e la reale natura di un investimento etico. Negli ultimi mesi, per esempio, all’interno del portafoglio dei titoli scelti sono capitate spesso anche le azioni dei grandi gruppi dell’energia, gli stessi che spesso hanno condotto una politica dei prezzi non sempre assimilabile a criteri etici. È sempre Angelo Pozzi che ci spiega come non risulta per nulla agevole superare il concetto tradizionale di economia mercantile quando si tratta di decidere investimenti di tipo etico. I fondi pensione sono facilmente strozzati dalla necessità di garantire un certo livello di rendimento, mentre l’investimento etico espone anche al rischio di rendimenti più bassi. «È la stessa contraddizione che si vive», dice Pozzi «nel campo del commercio equo e solidale, dove si scontano spesso prezzi più alti delle merci eque. E questo in un campo dove –

Fondi pensione negoziali Fondi pensione aperti Generale Azionari Bilanciati Obbligazionari misti Obbligazionari puri Per memoria Rivalutazione netta del Tfr (2)

4,5

9,7

6,0

5,4

9,2

-

4,3 4,8 4,2 4,1 2,8

10,3 13,6 9,3 7,3 4,7

-4,2 -10,6 -2,9 6,6 9,0

-9,6 -19,6 -6,9 8,7 13,6

-6,9 -18,9 -2,9 15,8 19,2

15,4 18,4 16,3 23,0 19,5

2,5

5,4

8,7

11,8

15,8

19,4

(1) Rendimenti calcolati come variazione degli indici di capitalizzazione. I rendimenti relativi ai fondi sono rappresentativi della performance media al netto di tutti gli oneri (di gestione e fiscali) gravanti sui fondi. (2)

Tasso di rivalutazione al netto dell’imposta sostitutiva introdotta a partire dal 1° gennaio 2001.

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| lavanderia |

Traffico di minori

a cura di Paola Fiorio e Francesca Paola Rampinelli

osservatorio

nuove povertà

Uno scandalo di nome Panaf di Paolo Fusi

a colpi di cioccolate e suonerie per telefonini? Vendetelo in Nigeria e rifatevi una vita. Tutto perfettamente legale. E non crediate di essere dei mostri. Se volete eccedere c’è anche la possibilità di mandare il piccolo rompiscatole in vacanza in Mozambico, dove ve lo squartano, ne vendono i pezzi di ricambio e vi pagano la vostra percentuale su una banca di vostro piacimento. Esentasse. Già vi vedo con gli occhi increduli: ma che dice sto scemo? Se non mi credete telefonate allo 001-770-4399809. Risponde il Panaf Nite Club di Doraville, in Georgia (Stati Uniti). L’addetto allo smistamento si chiama Ugo Onyemaobi, ed è uno che non scherza, abituato a scelte impopolari. È lui, novello Salomone, a decidere sulla sorte dei pargoli: chi è carino, a prescindere dal sesso, viene affidato ad intermediari per pedofili russi ed arabi. Chi è bruttino, a prescindere dal sesso, è destinato alle guerre d’Africa, alle miniere di diamanti o alla schiavitù in Arabia Saudita. Il Panaf è collegato con una potente organizzazione di nigeriani e liberiani che prospera nelle città di Doraville, Marietta, Stone Mountain e Peachtree City – bei nomi pieni di dolcezza in una terra diretta col pugno di titanio da estremisti cattolici di tutte le razze, divisi in sette apocalittiche da far rabbrividire un mujaheddin. Le ditte che si occupano della “trasposizione della massa lavoratrice” si trovano soprattutto in Africa: in Nigeria e Liberia, ma anche in Senegal, in Guinea, in Ghana, in Sierra Leone, in Libia. A coordinarle ci sono due gentiluomini d’altri tempi: Eugene Opara (proprietario del Panaf, referente dello stato federato nigeriano Nella città di Doraville di Imo per gli Stati Uniti d’America e segretario particolare negli Stati Uniti ha sede dell’ex dittatore liberiano Charles G. Taylor) e Foday Saybana Sankoh, un’organizzazione internazionale che generalissimo del RUF (Revolutionary Unity Front, un’esercito gestisce “la trasposizione mercenario che difende i comuni interessi libici, americani e russi della massa lavoratrice” nei campi di diamanti disseminati tra la Sierra Leone e la Liberia), che abita in una suite all’Hotel Deux Fevrier a Lomè, la capitale del Togo. Potete vendere i vostri scavezzacolli senza preoccupazioni legali. Se volete eccedere in prudenza, dopo averli consegnati, potete denunciarne la scomparsa all’assicurazione ed alla polizia. Dato che l’Unione Europea non ha ancora reso obbligatori i chips elettronici iniettati nel collo (ci sono, li fanno una società legata alla famiglia Bin Laden ed una società tedesca fondata dal regime nazista nel 1933), nessuno potrà mai rintracciare il minore. Se sopravvive, avrà imparato una severa lezione sulla vita, le buone maniere, molta disciplina, ed avrà un mestiere sicuro per il futuro. Se ci sono società italiane che aiutano? Capisco, certo, non siete molto familiari con le lingue straniere... Non è il caso di farne una malattia. A prescindere dal fatto che molti impiegati libici parlano fluentemente l’italiano, c’è una societuccia somala che appoggerebbe l’organizzazione di questi soggiorni di studio per bimbi che rompono. La gestisce a Mogadiscio un cugino di Said Omar Mugne – un vecchio amico di Bettino Craxi, da lui e dai suoi incaricato di portare la pace (a cannonate) e la prosperità (seppellendo materiali radioattivi nelle campagne somale) dell’ex colonia italiana. Non per altro, ma non vorremmo che Berlusconi o chi per lui ci accusino di non aver tenuto conto come si deve, nel pubblicizzare un mercato che cresce, il Made in Italy. Chiedetelo al suo amico Beretta, che secondo la procura della Repubblica di Brescia rifornirebbe (involontariamente) Al Qaida in Iraq con le pistole dismesse dai servizi segreti italiani.

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È da sempre una delle province più industrializzate d’Italia. Mobili, coltelli ed elettrodomestici sono le sue produzioni d’eccellenza. La bassa disoccupazione e la ricchezza diffusa hanno lasciato il posto alla precarietà e alla paura della crisi. Una preoccupazione che ha colpito anche gli imprenditori sempre meno propensi ad investire in azienda.

pordenone

La fabbrica di ceramiche Ideal Standard.

Brescia, 2002

GIANCARLO RUPOLO

A

VETE UN BIMBO UN PO’ FASTIDIOSO E POCHI SOLDI PER BLANDIRLO

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pordenone

osservatorio

| osservatorio nuove povertà | pordenone |

nuove povertà

Nella ricca Pordenone più paura che disagio reale di Paola Fiorio

«C

hi è povero si sente fallito perché in una situazione ricca come quella di Pordenone significa che non è capace di fare nulla». Don Livio Corazza, direttore del-

la Caritas locale, inquadra così uno dei principali problemi della città. «Il lavoro è come un passepartout», continua, «e chi timbra il cartellino lo fa anche nella società». In realtà, la disoccupazione qui è al 4 per cento, contro circa l’8,5 per cento della media nazionale. «L’occupazione, spiega don Corazza, in effetti è alta, anche se c’è stato un rallentamento. Il problema è che gran parte dei contratti sono flessibili e questo aumenta la precarietà. Nella diocesi di Pordenone ci sono 8.500 famiglie sotto la soglia di povertà relativa, quantificata in circa 800 euro al mese». Quelle più in difficoltà sono le famiglie monoreddito, ma anche nei nuclei dove lavorano entrambi i coniugi arrivare a fine mese non è una passeggiata per-

E IL SABATO SERA È FEBBRE DA GIOCO «VENTOTTO MILIARDI DI EURO spesi nel gioco legale in Italia solo nel 2005. Non serve dire altro. La battaglia contro le dipendenze legali è una guerra persa». Questo l’amaro commento di Rolando De Luca, responsabile del centro di recupero di Campoformido (Udine) che ogni settimana incontra nei gruppi di terapia circa cento giocatori d’azzardo compulsivi e le loro famiglie. Persone che hanno bruciato tutti i risparmi per sfidare la sorte al gioco e che nel loro declino economico e psicologico si sono trascinati dietro i familiari. Inquadrare il fenomeno del gioco d’azzardo in Italia non è facile perché mancano dati specifici. «Le proiezioni parlano del 3% della popolazione adulta dei Paesi europei dedito al gioco d’azzardo in forma patologica. Per Pordenone, e in generale per il Friuli Venezia Giulia, la stima potrebbe raggiungere il 4%. Qui, infatti - prosegue De Luca ogni fine settimana partono corriere per andare a giocare nei vicini casinò, a Venezia, ma soprattutto in Slovenia, Austria, Croazia». Ma gioco d’azzardo non è solo tavolo verde, roulette e slot machines. Ci sono anche il Lotto, il Bingo, il Superenalotto, le lotterie, le scommesse, il Gratta&Vinci, il Totip. E anche qui Pordenone non si tira indietro. Se infatti l’anno scorso nella provincia le giocate al Lotto e la vendita di biglietti della Lotteria hanno registrato un calo (–30,1% e –17,6% rispettivamente), è invece pordenonese quasi la metà dei giocatori di Bingo di tutto il Friuli Venezia Giulia (48,5%) con oltre sette milioni di euro spesi. Tiene anche il Superenalotto con 17.672.701 di combinazioni convalidate nel 2005, pari al 19,2% del totale regionale. In totale, in questi giochi, Pordenone ha speso nel 2005 32,5 milioni di euro e ne ha vinti 17. Uno vero sperpero di denaro per chi gioca, ma un guadagno sicuro per lo Stato che ogni anno ricava dal settore circa 6,5 milioni di euro.

ché, spiega Stefano Franzin, responsabile dei progetti Centro Casa e Accoglienza profughi: Don Livio Corazza, direttore della Caritas di Pordenone.

costo della vita “Ilèdella alto, il più alto regione e tra

i più alti d’Italia. Le voci di spesa, casa, figli e trasporti, pesano molto sul bilancio della famiglia

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«Il costo della vita è alto, il più alto della regione e uno dei più alti in Italia. Le tre voci principali di spesa, casa, figli e trasporti, pesano molto sul bilancio familiare». Ma è soprattutto la casa a farla da padrona, con affitti altissimi e un mercato immobiliare alle stelle. «Inoltre - continua Franzin - molti cercano di mantenere un tenore di vita alto anche quando le possibilità economiche diminuiscono e finiscono per vivere al di sopra delle proprie possibilità». Le famiglie finiscono per indebitarsi e le tensioni crescono. «C’è poca criminalità da queste parti e l’intervento della polizia è principalmente per sedare le liti domestiche», chiarisce Franzin. «Difficoltà nelle relazioni, solitudine e alcolismo, aggiunge don Corazza, sono il segno della precarietà sociale di Pordenone». Nella relazione annuale, diffusa in febbraio, sull’operato della Caritas di Pordenone, si denunciava proprio l’aumento delle problematiche sociali e delle difficoltà economiche. Ma la città sta affrontando un’emergenza? «Non c’è crisi, ma c’è paura della crisi», sottolinea il direttore della Caritas. «Questo ha raffreddato l’economia. Non si assume, non si fanno investimenti, non si rinnova. È la paura di perdere che fa perdere. In questo clima si sono individuati alcuni capri espiatori, come gli immigrati».

La paura della crisi L’integrazione degli extracomunitari, 120 etnie che rappresentano circa l’8 per cento della popolazione dell’intera provincia e l’11 per cento di quella cittadina, non è un processo facile. «Una fascia di popolazione è ostile ai cambiamenti e non ha accettato gli immigrati», spiega don Corazza. «Qui si trovano più ostacoli che da altre parti e possiamo parlare di un ‘caso Pordenone’. Gli atteggiamenti, infatti, se confrontati con quelli di comuni limitrofi, sono più rigidi. Molta gente non vuole gli stranieri, ma è costretta ad accoglierli perché vanno a sostituire una forza lavoro mancante a causa del forte calo demografico». La preoccupazione è che l’immigrazione sia considerata una minaccia e che la mancata integrazione renda la convivenza ancora più difficile. Ma tra i pordenonesi c’è persino sospetto nei confronti delle iniziative della Caritas, accusata spesso di essere la colpa dell’immigrazione clandestina. «È come dire che l’ambulanza è responsabile dei feriti per strada», scherza don Livio. «Ma nemmeno chi apre la porta senza porsi domande tiene conto dei problemi», avverte. «Non accettare e accettare indiscriminatamente sono due estremismi e noi cerchiamo di operare nel mezzo». La regola princi-

Il lavoro al centro delle preoccupazioni. In aumento solitudine e alcolismo, mentre la paura dello straniero rende difficile l’integrazione. Caritas: possiamo parlare di un “caso Pordenone” FATISCENTE E SOVRAFFOLLATO IL CARCERE «CIRCA 83 DETENUTI CONTRO I 53 REGOLAMENTARI ospitati in una struttura che, per quanto di grande valore storico-architettonico (è un castello del 1200 in pieno centro città), appare assolutamente fatiscente e inadeguata alle esigenze di un carcere moderno». Lo afferma Paola Bonatelli, coordinatrice dell’Osservatorio nazionale Antigone per il nord est d’Italia, sottolineando che, se quello del sovraffollamento è un problema purtroppo comune alla carceri nazionali, a Pordenone, la vetustà dell’edificio, dove, tra l’altro anche la quantità di luce naturale è insufficiente e il passaggio dell'aria è ostacolato da grate e pannelli di plastica, costituisce veramente un problema da risolvere al più presto. Il fatto di non avere spazio rende più complicato anche lo svolgimento di tutte le attività che vengono organizzate per i detenuti. La direttrice della struttura, Maria Vittoria Menenti, (giovane ed energica, sottolinea Bonatelli) che è anche vicedirettore degli istituti penitenziari di Venezia, considerati un modello di eccellenza dagli addetti ai lavori, organizza infatti corsi interni che vanno dalle tecniche del mosaico (tradizione locale) ai corsi per diventare manutentori di caldaie od idraulici oltre agli ordinari percorsi scolastici. A questo proposito Menenti sottolinea con orgoglio che c’è anche un detenuto che studia ingegneria all’università. Un altro aspetto che sta molto a cuore alla direttrice è quello che riguarda la grande professionalità di tutti i dipendenti del Ministero della Giustizia che operano all’interno della struttura e che riescono comunque a garantire una dimensione umana all’istituto nonostante le difficoltà logistiche pesino non poco anche su di loro. Il nuovo carcere di Pordenone era stato inizialmente pensato dal ministro Castelli con un costo stimato di 20 miliardi di lire. Nel 2003 il ministero ha messo a punto una nuova formula di costruzione in leasing grazie alla quale la stima prevista è lievitata a 32,5 milioni di euro, circa tre volte tanto. Inoltre continua il balletto relativo al luogo dove dovrebbe essere costruita la prossima sede del carcere di cui, per il momento non è comparsa neanche la prima pietra. Il problema delle condizioni di vita all’interno dell’istituto è molto sentito anche dalla cittadinanza tanto che a marzo il vescovo di Pordenone, Monsignor Ovidio Poletto, ha organizzato una fiaccolata davanti al Castello. «Da troppi anni la comunità di Pordenone attende invano la costruzione del nuovo carcere. Nel frattempo i detenuti e il personale di polizia penitenziaria continuano a vivere in condizioni critiche. Spero che a breve si possa uscire da questa grave situazione, che non rispecchia l’umanità della gente friulana», aveva già affermato il vescovo in occasione dell’annuale festa della polizia penitenziaria.

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pale diventa allora non ghettizzare. La chiamano “Accoglienza diffusa”. Non abbiamo una mensa, spiegano, e usiamo quella della Casa dello studente o del centro spirituale La Madonna pellegrina. Anche l’accoglienza non è fatta in un dormitorio, ma in case parrocchiali o della diocesi, o addirittura in pensione, se c’è un’emergenza. L’anno scorso hanno chiesto accoglienza temporanea 71 persone di 28 nazionalità. Non solo stranieri. A dire il vero, gli italiani prevalgono di gran lunga (18,3%), seguiti da ghanesi (10%) e romeni (8,5%). Ma chi si rivolge alla Caritas? Nel 2005 al Centro di ascolto si sono recate 931 persone, in calo del 39,5 per cento rispetto all’anno precedente. La flessione, spiega Adriana Segato, responsabile della struttura, è dovuta alla diversificazione degli sportelli di accesso diretto: «abbiamo investito in servizi specifici come Cerco casa, Italia Lavoro e Nuovi vicini, per l’accoglienza degli extracomunitari e soggetti socialmente deboli. Quando la risposta richiede professionalità e continuità indirizziamo l’utente a uno sportello preposto». Per quanto riguarda il Centro di ascolto, il 10 per cento dei visitatori è italiano, una quota importante se si tiene conto che i nostri connazionali in difficoltà utilizzano soprattutto il canale parrocchiale e quello dei servizi sociali. Sono soprattutto uomini con problemi di dipendenze, senza fissa dimora e che vivono situazioni di estrema

marginalità. Le loro richieste riguardano principalmente il lavoro. Le donne, invece, separate o divorziate con minori a carico, chiedono un aiuto economico concreto e sollievo dalla solitudine. Per gli stranieri il profilo parla di donne, in gran parte provenienti dall’Est europeo, e uomini, in testa i ghanesi, con problemi di lavoro. L’occupazione, insomma, la fa da padrona. «Questo - sottolinea don Corazza - pone una grande domanda sul funzionamento dei centri per l’impiego che riescono a collocare solo l’8 per cento di chi vi si rivolge». Il servizio che forniscono alla Caritas è semplice, ma non banale. Aiutano il lavoratore che ha un profilo basso a crescere professionalmente e a compilare un curriculum, affiancano un tutor come interfaccia tra il lavoratore e le realtà economiche e istituzionali, mediano tra lavoratori stranieri ed eventuali offerte di lavoro per agevolare un colloquio. In tutte queste attività non sempre la Caritas è affiancata dalle istituzioni. «Cerchiamo il dialogo, ma spesso non siamo ripagati. Di fronte a un caso specifico scappano tutti», si lamenta don Corazza, che aggiunge: «siamo costretti ad avere tre legali perché anche i provvedimenti più semplici devono passare attraverso un ricorso». Un esempio è il programma di protezione sociale delle prostitute previsto dalla legge Bossi-Fini: «non c’è collaborazione nemmeno per ottenere il permesso di soggiorno anche se le ragazze che riescono ad averlo denunciano i propri sfruttatori con un contributo notevole alla difesa della legalità. Ogni giorno dobbiamo strappare le collaborazioni passo a passo», conclude don Corazza.

AVIANO, BOMBE ATOMICHE CONTRO POSTI DI LAVORO NON È UN CASO CHE LA LA PRIMA UDIENZA del processo civile contro il Governo Usa accusato di detenere sul suolo italiano della base di Aviano bombe atomiche in violazione del diritto internazionale sia fissata per il il 7 luglio prossimo. «L’8 luglio ricorre il decennale della pubblicazione di un parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia sulla legittimità dell’uso dell’arma atomica», spiega Tiziano Tissino, dei Beati costruttori di pace, uno dei promotori dell'iniziativa insieme a Giuseppe Rizzardo, membro del Comitato unitario contro Aviano 2000, a Carlo Mayer, del coordinamento no global di Pordenone, a Michele Negro, segretario di Rifondazione comunista e a Monia Giacomini, candidato sindaco alle comunali del capoluogo per Verdi, Comunisti Italiani e Rifondazione comunista. La denuncia, messa a punto con il supporto tecnico dalla sezione italiana dell'Ialana, l'associazione internazionale dei giuristi contro le armi nucleari, parte dal presupposto che all’interno della base statunitense siano custodite 50 testate nucleari. «Ci sono le foto scattate dai satelliti che evidenziano la presenza dei contenitori tipici adibiti alla custodia delle bombe ed è possibile individuare anche lavori di manutenzione degli ordigni», afferma Tissino precisando che secondo alcuni ricercatori dell’americano Nrdc,

Natural Resources Defense Council, «sarebbero stati predisposti spazi sufficienti per 72 atomiche». Al giudice italiano (di Pordenone, proprio per non allontanarsi neanche geograficamente dal centro del problema spiega Tissino) si chiede di imporre lo smantellamento di tutti gli ordigni nucleari presenti che costituirebbero un’evidente fonte di pericolo in violazione del Trattato internazionale di non proliferazione del 1968. La base militare di Aviano è stata, fin dalla sua istituzione nel 1951, oggetto di accese polemiche; si tratta infatti di una sorta di paese militarizzato, autonomo, con proprie scuole, negozi e istituzioni. I militari americani in servizio permanente all’interno dell’enclave sono circa 4.200, mentre i civili sono 300 contro i circa 600 civili italiani che lavorano alla base. Proprio il fatto di impiegare tanta manodopera locale ha da sempre reso i cittadini di Aviano, paese di 8.000 abitanti ai piedi delle Prealpi Carniche, circa ad una dozzina di chilometri di distanza da Pordenone, strenui difensori della presenza degli americani che, peraltro, se già si mischiavano poco agli abitanti della zona dopo gli allarmi terrorismo degli ultimi anni fanno vita assolutamente autonoma uscendo dalla base solo lo stretto indispensabile.

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Il Comune studia i giovani per affrontare la crisi di domani «Bisogna riformulare i progetti di protezione sociale», dice Giovanni Zanolin, assessore alle politiche sociali, lavoriamo con i ragazzi per formare dei mediatori interculturali. Bisogna sviluppare le capacità che le persone hanno dentro».

M di Paola Fiorio

Si può parlare di crisi sociale? «Non c’è emergenza sociale oggi, ma ci sarà domani. Quello a cui stiamo assistendo oggi è l’inizio. Il conflitto ci sarà e questo è salutare». Cosa vuole dire? «Che è bene che il conflitto si manifesti, per vedere le differenze e lavorarci sopra. La vera emergenza al momento è capire. Abbiamo difficoltà a comprendere che la complessità sociale oggi è complessità culturale, mentre noi siamo abituati a lavorare in un contesto culturalmente compatto. A Pordenone oggi gli immigrati rappresentano un quarto della popolazione giovanile. Ecco | 40 | valori |

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allora che l’aggregarsi dei giovani può spiegarci tante cose; non va banalizzato». E le bande giovanili? «La crisi non nasce dalle bande giovanili: esse sono effetto della crisi». Nella sua relazione alla giunta lei però ha sottolineato la possibile deriva violenta delle aggregazioni giovanili. «Il problema ce l’abbiamo con i ragazzi che vengono dal sud Italia. Hanno assorbito con la televisione un’idea di ricchezza facile e credono che la criminalità possa dargli questa ricchezza. C’è poi il pericolo di una saldatura tra la delinquenza italiana e gli immigrati. Lo spaccio della marijuana, per esempio, è già in mano agli albanesi. Ma la questione non è l’impatto violento di questi gruppi, quanto capire come sarà il conflitto di domani. Le dinamiche delle bande allora diventano interessanti e vanno studiate». Come? «Bisogna riformulare i progetti di protezione e promozione sociale, lavorare con i ragazzi per formare dei mediatori interculturali».

Con quali azioni concrete? «Io penso che le persone abbiano già dentro tutto quello che serve. Bisogna solamente sviluppare le capacità dandogli gli strumenti per esprimersi e i luoghi per farlo. Per esempio, sale per ascoltare e incidere musica e per accedere a internet. Quello della differenza di accesso al digitale tra italiani e immigrati, infatti, è un problema da superare perché è un incubatore di conflitti».

Alcune associazioni di volontariato sostengono che creare una rete con le istituzioni sia a volte molto difficile. Cosa risponde? «Ci sono state resistenze. Far ragionare le istituzioni in termini di rete è duro. Ma anche tra le associazioni di volontariato manca coordinamento. Perché tutti hanno timore di perdere il proprio spazio. Un po’ alla volta, però, sono convinto che ci riusciremo».

E il razzismo? «Noi siamo convinti che il razzismo sia solo bianco, ma non è vero. C’è razzismo anche tra le diverse etnie di immigrati. I ghanesi, per esempio, sono contro gli albanesi. Il problema allora è convincere tutti a non essere razzisti».

Per i Piani di zona ha funzionato… «Penso che i progetti per gli anziani, gli immigrati, i giovani, vadano condivisi il più possibile per confrontare le idee. Il Piano di zona è stato questo. Mettere tutti attorno a un tavolo per vedere cosa era meglio fare. L’obiettivo è sviluppare l’autonomia della società civile perché solo così ci possono essere democrazia e libertà».

Quali esempi di integrazione non seguirebbe? «Quelli delle grandi città francesi, inglesi e tedesche. Ma seguirei quelli delle piccole e medie città francesi, inglesi e tedesche» Perché? «La piccola città permette di evitare luoghi esclusivi dedicati solo a un’etnia. Dobbiamo far interagire la gente, stimolare la curiosità, capire i comportamenti degli altri».

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IL MERCATO DEL LAVORO OCCUPATI [AL 31.12.2004] EXTRACOMUNITARI 10.000 FONTI: ISTAT E IRES FRIULI VENEZIA GIULIA (MESSAGGERO VENETO)

OLTO ATTENTO ALLE QUESTIONI GIOVANILI, Giovanni Zanolin, assessore alle Politiche sociali di Pordenone con la prima amministrazione del sindaco Bolzonello, nella primavera scorsa ha portato all’attenzione della giunta la situazione del disagio minorile in città, ponendo l’accento sulle difficoltà di integrazione dei giovani immigrati e sulla propensione alla criminalità dei ragazzi provenienti dal Meridione. «Mi fa paura», dice, «che la nostra incapacità a capire i fenomeni giovanili lasci una breccia alla grande criminalità organizzata».

7,7%

ITALIANI 120.000 92,3% ASSUNZIONI [AL 31.12.2004] 6.495 24% EXTRACOM. ITALIANI 20.368 75,6%

piccola città permette “La di evitare luoghi esclusivi dedicati solo a un’etnia. Dobbiamo far interagire la gente

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Aziende locali hanno creato gruppi composti in media da 4 o 5 mobilifici con specializzazioni diversificate

RIPRENDE QUOTA IL MOBILE DEL LIVENZA PENSIAMO A QUELLE BELLE CUCINE STILE RUSTICO tipo supermercatone del mobile o alle classiche sedie di legno un po’ anticate che si trovano in tutti i bar e i ristoranti della provincia italiana (per carità non nei centri di città moderne e cosmopolite come Milano o Roma), ebbene sono quasi tutte prodotte nel distretto del mobile di Pordenone. Infatti la città dove prima di tutto si lavora, si lavora e ancora si lavora è universalmente nota per tre caratteristiche produzioni locali: gli elettrodomestici (il “cosiddetto” bianco), i coltelli e i mobili, e, in particolare, i mobili in legno. Nell’area dell'Alto Livenza, un vasto territorio a cavallo tra il Friuli ed il Veneto Orientale, si trova la maggiore area mobiliera a livello nazionale, che, nel complesso, dà lavoro a più di 25mila persone. Il Distretto del Mobile del Livenza, nella sola provincia di Pordenone, conta su oltre un migliaio di aziende industriali e artigianali, occupa circa 11 mila addetti e vanta un fatturato superiore a 1,5 miliardi di euro mentre

27.022 IMPRESE ATTIVE AL 31.12.2005 [+ 69 RISPETTO AL 2004]

+10,4%

in totale, nell’intero Distretto, le unità locali appartenenti al settore legno-mobile sono circa 1600 ed occupano oltre 22mila addetti che diventano, considerando tutto l’indotto circa 25 mila. A partire dagli anni '80 alcune aziende locali hanno poi creato gruppi composti in media da 4 o 5 mobilifici con specializzazioni produttive diversificate. Attualmente nel distretto si contano circa dieci gruppi e tra questi vi sono alcuni dei più importanti produttori nazionali ed europei di mobili per la casa, con fatturati superiori ai 100 miliardi. «L’impressione è che, dopo un biennio di frenata, stia arrivando un periodo di deciso miglioramento», afferma Ermes Moras, presidente del Distretto del Mobile del Livenza e sindaco di Brugnera. «Già negli ultimi mesi del 2005 abbiamo registrato segnali positivi che continuano a manifestarsi e stiamo riconquistando quote di mercato anche all’estero», prosegue il primo cittadino del centro friulano. «Tutto sommato - conclude Moras - il tessuto ha tenuto bene». F.P.R.

LAVORATORI POSTI IN MOBILITÀ NEL PERIODO DAL 01.01.2000 AL 31.08.2005 SUDDIVISI PER SETTORE DI PROVENIENZA

+4,97% ATTIVITÀ IMMOBILIARI

SERVIZI PUBBLICI, SOCIALI E PERSONALI

INTERMEDIAZ. MONETARIA E FINANZIARIA

+2,45% COSTRUZIONI

MOBILI E ALTRE MANIFATTURE

+2,13%

+2,83%

Agricoltura e pesca Industria Servizi Non dichiarato Totale

UOMINI

DONNE

TOTALE

13

11

24

1.634

1.199

2.833

359

641

1.000

4

4

8

2.010

1.855

3.865

FONTE: PROVINCIA DI PORDENONE

I SETTORI PIÙ DINAMICI [VAR. 2005/2004]

MANIAGO, LEADER MONDIALE DEI COLTELLI

LA GRANDE MADRE ZANUSSI

HANNO LE IDEE CHIARE E NON DUBITANO ASSOLUTAMENTE DELLA LORO, per altro indiscussa e indiscutibile, professionalità i “Coltellinai di Maniago” che, con questa frase ad effetto di Henry James, introducono il visitatore al loro lavoro definito senza esitazione un’arte. A Maniago, comune di 11 mila abitanti a 25 chilometri da Pordenone, in effetti fin dal tardo Medioevo è diffusa l’arte della lavorazione dei metalli. Nel 1960 nacque il “Consorzio Coltellinai Maniago”, che rappresenta la quasi totalità delle aziende del territorio ed il cui scopo principale è la promozione del prodotto in Italia e all'estero. Oggi, il Distretto delle Coltellerie è il secondo polo industriale della provincia di Pordenone. Circa 140 imprese impegnate nel ciclo produttivo del coltello e dei suoi affini per un migliaio di addetti, rappresentano l’eccellenza della produzione che occupa storicamente il gradino più alto della categoria. «Per poter affrontare il mercato globale adesso sarebbe necessario spingere per promuovere ulteriormente l’aggregazione delle imprese che hanno ancora dimensioni troppo piccole rispetto alle esigenze di internazionalizzazione sempre più pressanti» afferma Roberto Grandinetti, docente di economia e gestione delle imprese presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università degli Studi di Padova, che si è occupato del distretto maniaghese svolgendo un’indagine dettagliatissima su “Imprese, relazioni sistemiche e progetti di politica industriale”. «Gli anni ottanta registrano una progressiva e massiccia contrazione della base produttiva e occupazionale del distretto», aveva scritto il professore nel 2000 aggiungendo però che «negli anni novanta compaiono alcuni segnali evolutivi». «In questi ultimi anni sono state portate avanti moltissime iniziative dal Comitato di distretto - precisa oggi Grandinetti - dal progetto del marchio di qualità, al laboratorio di metallurgia, alle attività di formazione a supporto delle imprese, alla creazione di una fiera di settore. È chiaro - aggiunge ancora il professore che si tratta di investimenti a redditività differita ma i risultati stanno arrivando». In effetti a Maniago e dintorni assolutamente tutto ruota intorno ai coltelli e la fantasia degli abitanti della cittadina friulana è davvero tanta; negli ultimi anni alle iniziative istituzionali come quelle a cui accenna il professor Grandinetti si sono aggiunti la creazione di un Museo dell'arte fabbrile e delle coltellerie, un Concorso Internazionale di Design per Coltelli e addirittura un concorso letterario dedicato al racconto giallo-nero intitolato “Lama e trama”.

LA STORIA DELLA ZANUSSI È FORTEMENTE LEGATA AL TERRITORIO di Pordenone. Non per niente da queste parti la chiamano la Grande madre, come a sottolineare che in ogni famiglia c’è almeno un componente che lavora nel comparto dell’industria degli elettrodomestici bianchi o nel suo indotto. Ma la stagnazione della domanda in Europa e la concorrenza dell’Est stanno mettendo in crisi anche l’ex Zanussi, da tempo confluita nel colosso Electrolux. Fondata nel 1916 da Antonio Zanussi come impresa artigiana, l’omonima ditta è cresciuta negli anni, soprattutto a partire dal secondo Dopoguerra grazie all’impulso industriale e tecnologico dell’epoca che ha portato nelle case degli italiani i primi frigoriferi e le lavatrici. Nel 1984 la svolta. Negli stabilimenti di Porcia, alle porte di Pordenone, arrivano infatti gli svedesi della multinazionale Electrolux, a cui appartengono anche i marchi Juno, Frigidaire e AEG e che conta 27 impianti in tutto il mondo. La storia di oggi per i circa 9.500 lavoratori delle nove fabbriche italiane di elettrodomestici del gruppo parla di esuberi e delocalizzazione verso l’Europa dell’Est, l’Asia e il Messico, dove verrà spostata la produzione di frigoriferi, lavastoviglie e lavabiancheria. Per i nuovi investimenti l’azienda svedese ha già stanziato, a partire dal 2003, 124 milioni di euro, mentre l’anno scorso Hans Straberg, presidente di Electrolux, ha indicato nel 2008 la data entro cui si deciderà lo spostamento in Paesi a basso costo di circa il 50 per cento della produzione europea e statunitense. Per quanto riguarda l’Italia, l’impianto milanese di Parabiago (che produce rasaerba) è stato chiuso e l’attività trasferita a Solaro (Milano) e Valmadrera (Lecco), mentre a Scandicci (Firenze) è stata eliminata la linea di piccoli frigoriferi con una riduzione di 170 addetti. Ma Stoccolma pensa anche a rilanciare il polo di eccellenza di Porcia con un investimento di 25 milioni di euro per creare una piattaforma globale per le lavabiancheria. Dopo la mobilitazione dei sindacati, l’accordo raggiunto prevede un aumento del ritmo di linea di montaggio da 75 a 95 pezzi all’ora. Rimandata alla fine del 2006 la questione spinosa della riduzione del personale. Parte della componentistica, infatti, verrà acquistata da terzi e questo produrrà degli esuberi. Insomma, l’azienda svedese punta molto sullo stabilimento di Porcia, ma dalla dirigenza avvertono che l’ex Zanussi P.F. dovrà dimostrare di essere competitiva.

Anche la ricca Pordenone risente della crisi nazionale È affaticato ma tiene il comparto storico degli elettrodomestici, in lieve affanno il settore del mobile mentre, in una delle province più industrializzate d’Italia, compare il problema dei “lavoratori poveri”. Il carovita strangola le famiglie che si rivolgono ai comuni.

«A

NCHE PORDENONE, STORICAMENTE CENTRO noto per l’ottimo

tenore di vita e l’alto tasso di occupazione è colpita da un fenomeno pesantissimo e mai conosciuto prima in Italia in queste dimensioni: la crescita massiccia di lavoratori poveri. Si tratta di persone che, pur essendo occupate, vivono di fatto in condizioni di povertà». Lo afferma Emanuele Iodice, di Francesca Paola Rampinelli segretario provinciale della Cgil precisando che «nella ricca Pordenone, solamente in città, nel 2005, su 51 mila residenti 1400 famiglie hanno chiesto aiuto al Comune: per pagare le spese condominiali, per pagare la retta della casa di riposo dei genitori, per mangiare». «E - sottolinea con forza il sindacalista - conoscendo un po’ la nostra gente e l’importanza che dà alla

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difesa della propria dignità, penso che quasi tutte le persone che si rivolgono al Comune lo facciano davvero quando non hanno più nessuna alternativa». «Perché cambino immediatamente le condizioni economiche di una famiglia è spesso sufficiente che uno dei due coniugi non percepisca più la paga con regolarità, a causa della difficile situazione economica dell’azienda in cui lavora», spiega Iodice. Eppure Pordenone è tra le 15 province più industrializzate d'Italia, dove la creazione di reddito è attribuibile per oltre il 40% al settore industriale. L'Unione degli Industriali della provincia friulana rappresenta 800 aziende per un totale di circa 35 mila dipendenti. I settori più forti sono quelli della meccanica e del legno, in una compagine associativa

tendenzialmente omogenea, fatta da realtà medio-piccole ma economicamente e professionalmente forti. Secondo un’indagine congiunturale relativa al primo trimestre del 2005, svolta dalla Camera di Commercio di Pordenone, il settore manifatturiero e del legno-arredo ha segnato un calo dovuto ad una contrazione della domanda del mercato interno; la sempre presente domanda estera ha permesso però di mantenere comunque i valori ad un buon livello. Una performance positiva è stata invece registrata dalla metalmeccanica e dai prodotti in metallo mentre è addirittura in crescita il settore del commercio al dettaglio, con +2,6% rispetto al 2° semestre 2004. Sempre secondo il rapporto della Cciaa, in un’ottica di sviluppo internazionale appare piuttosto “impreparato” il settore manifatturiero,

mentre mostrano segnali di maggior programmazione quello del metallo e della metalmeccanica. I nuovi investimenti delle aziende puntano a migliorare, per il 45% la ricerca di innovazione tecnologica, per il 40% la ricerca di standard qualitativi migliori, per il 35% la ricerca di nuovi mercati di sbocco tra i quali i più frequentati restano Germania, Francia e Spagna, partner storici per la provincia, mentre tra le nuove mete emergono Cina e Russia. Eppure, nonostante questi dati appaiano sostanzialmente positivi, Iodice sottolinea che «la malattia principale del sistema imprenditoriale locale e nazionale si chiama: bassissima propensione al rischio da parte dell’imprenditore». «Far impresa è diventato sempre più impegnativo e di fronte a questo dato molti imprenditori in questi anni si sono fermati, non hanno fatto investimenti significativi in azienda», spiega |

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MAURO COVACICH, 1965 Nato a Trieste e vive a Pordenone. Collabora con varie testate, scrivendo reportage, racconti di viaggio e storie tratte dalla cronaca. Ha esordito nel 1993 con il romanzo “Storie di pazzi e di normali” a cui sono seguiti una decina di romanzi. Collaboratore assiduo del Corriere della Sera, ha inoltre realizzato per la RAI alcuni radio documentari e il radiodramma “Safari”. Nel 1999 l’Università di Vienna gli ha conferito l’Abraham Woursell Prize. LUIGI DE PUPPI, 1942 Amministratore delegato e direttore generale della Banca Popolare FriulAdria, è stato insignito della prima laurea ad honorem in Banca e finanza dell’Università di Udine. Nato a Udine. Dopo un decennio alla Olivetti, è passato in Montedison, e per 18 anni, alla Zanussi-Electrolux di cui nel 1996 è nominato amministratore delegato. Nel 2001 è amministratore delegato di Benetton. È stato presidente di Friulia, la finanziaria della Regione Friuli-Venezia Giulia, e di Cometa, il fondo pensione integrativa dei metalmeccanici. DON LUCIANO PADOVESE Don Luciano Padovese, laureato alla Gregoriana di Roma, insegna teologia morale a Pordenone e a Padova. È autore di numerosi libri, saggi, articoli. Collabora con riviste e periodici di teologia e cultura. Dirige il Centro culturale “Casa A. Zanussi” di Pordenone e il periodico mensile “Il Momento2”.

TOTALE CARICO DI LAVORO

2.207 (901) 2.269 (1.050) 2.717 (1.281) 3.271 (1.677) 3.072 (1.539) 1.863 (931)

1.909 2.248 3.474 2.966 2.136 783

933 1.050 1.043 858 840 935

5.049 5.567 7.234 7.095 6.048 3.581

2000 2001 2002 2003 2004 2005 24%

PRINCIPALI NAZIONALITÀ CHE SI RIVOLGONO AL CENTRO DI ASCOLTO 14%

LE RICHIESTE FORMAZIONE VISITE MEDICHE CONSULENZA PRESTITI/SUSSIDI ALLOGGIO 5% 2 6% 8% 7%

10%

6% ASCOLTO

LAVORO 38%

VITTO 19%

5% 9% BENI MATERIALI

Dallo scrittore-scultore-attore Mauro Corona intervistato a Erto, uno dei paesi del disastro del Vajont, una riflessione sull’inutilità di un’esistenza vissuta nella fretta per accumulare sempre più cose. La scultura metafora della vita.

F

A FREDDO A ERTO. E Mauro Corona ci lascia ad

aspettarlo fuori dal suo laboratorio di sculture in legno. È arrabbiato perché, dice, siamo in ritardo. Addio intervista. Forse. Lo seguiamo quando di Paola Fiorio si infila, in pantaloni corti e canottiera, nell’unico bar aperto di questo paese, arrampicato nella Valcellina e tristemente famoso per il disastro del Vajont. L’inizio non promette bene, ma non ci facciamo scoraggiare. In fondo, al telefono ci aveva avvertiti che le cose migliori vanno conquistate. E infatti, davanti a qualche bicchiere di vino rosso, anche quello che sembrava un burbero uomo di montagna si scioglie. Non solo scalatore professionista, scultore e scrittore. L’abbiamo vista nei panni dell’oste nel film di Martinelli sul Vajont. «Sì, ho fatto il venditore di vino perché per una volta volevo stare dall’altra parte del bancone». Nei suoi libri lei parla molto di tradizioni e rievoca le storie e i personaggi della sua infanzia. Ha nostalgia?

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INTERVENTI

La vera povertà di oggi è quella dei valori

CINZIA PALAZZETTI, 1950 Presidente Associazione Industriali di Pordenone. Nata a Pordenone, figlia d’arte, formatasi nelle aziende di famiglia di caminetti, la Palazzetti Lelio Spa che oggi conta 5 stabilimenti, tutti con oltre 300 addetti, attualmente è amministratore delegato dell’omonima azienda a Zoppola, dove circa una settantina di dipendenti producono i barbecue e tutti i materiali refrattari. ANNO 6 N.38

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CONTATTI SUCCESSIVI

ALBANESI

CARLA CORSO, 1946 Nata a Verona, Vive a Pordenone. Dal 1982 è impegnata nel Comitato per i diritti civili delle prostitute di cui è presidente. Nel 1985 ha fondato insieme a Pia Covre il giornale “Lucciola”.

VISITE RICEVUTE (DI CUI PERSONEASCOLTATE)

ITALIANI

MAURO CORONA, 1950 Nato a Erto, in provincia di Pordenone. Autodidatta, montanaro dai mille mestieri, ex pastore, ex boscaiolo, spaccapietre, bracconiere, muratore, casaro. È uno scalatore ed uno scultore del legno di fama internazionale. Ha incontrato un incredibile successo con racconti e romanzi sulla vita nei boschi.

ANNO

RUMENI

TULLIO AVOLEDO, 1957 Nato a Valvasone, in Friuli. Vive a Pordenone, dove lavora presso l’ufficio legale di una banca. Con “L’elenco telefonico di Atlantide” nel 2003 è diventato famoso presso il grande pubblico. Ha scritto anche “Mare di Bering” (2003) e “Lo stato dell'unione” (2005).

ra intorno all’8,5% e il quadro generale appare sostanzialmente positivo visto che i nuovi ordini, nel quarto trimestre del 2005 sono aumentati del 7% rispetto al periodo precedente e del 16% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Certo resta il problema pressante della riqualificazione del personale ma in tempi ravvicinati non si vedono problemi occupazionali», conclude il sindacalista. Su tutto il territorio nazionale però l'industria del bianco sta perdendo competitività e i piani per il futuro del colosso Electrolux, la maggior realtà industriale della provincia, destano notevoli preoccupazioni. L’azienda infatti ha comunicato di voler razionalizzare la produzione entro il 2008 e intanto ha spostato da Firenze all’Europa dell’Est la produzione di piccoli frigoriferi e ha avviato la chiusura dell'impianto di Norimberga, 1.750 addetti, con trasferimento della produzione in Italia e in Polonia con l’intento però di rilanciare gli investimenti sui poli d'eccellenza di Porcia e Solaro vicino a Milano. «Il nostro territorio non è in grado di sopportare, economicamente e socialmente, una drastica riduzione della presenza di Electrolux, per questo la forte tendenza della multinazionale a delocalizzare va contrastata dal sistema territoriale». Afferma Iodice ricordando che «in questo quadro difficile il recente accordo sindacale che riguarda lo stabilimento di Porcia ha ottenuto alcuni primi risultati, cioè nuovi investimenti e il blocco dei licenziamenti pretesi da Electrolux».

GHANESI

il segretario della Cgil aggiungendo che «ci sono lodevoli eccezioni, ma sono appunto eccezioni. La verità è che in molti si erano illusi che aumentando semplicemente la cosiddetta flessibilità della prestazione lavorativa si potesse andare avanti come prima». «Il contratto a tempo indeterminato deve tornare ad essere il contratto prevalente, i cosiddetti contratti flessibili devono tornare ad essere uno strumento eccezionale», sottolinea ancora Iodice. Quello delle assunzioni “precarie” infatti, è, qui come in molte zone fortemente industrializzate del nostro paese, un nodo centrale. «Nel settore meccanico il precariato è il normale sistema di ingresso», afferma Renato I NUMERI Pizzolitto, neoeletto segretario della Cisl. «SetDELLA PROVINCIA DI PORDENONE te lavoratori su dieci al loro primo impiego sono assunti con contratti a tempo determinato Superficie 2.273 kmq Popolazione 50.000 (circa la metà risiede in provincia) e "flessibili" in un un tessuto produttivo forDi cui stranieri 8,67% mato da molte piccole e medie imprese che Comuni 51 operano nella subfornitura: un sistema proDisoccupazione 4% duttivo che sta risentendo degli effetti di alcuInflazione 1,73% ne ristrutturazioni tanto che il tasso di disocDepositi bancari (in migliaia di euro. Al 30.06.05) 2.946.277 Impieghi bancari (in migliaia di euro. Al 30.06.05) 6.168.619 cupazione è salito dal 2,9 al 4,2%». Pizzolitto Rapporto crediti in sofferenza/impieghi (al 30.06.05) 2,2% però è più ottimista del collega: «quello del tasRicchezza prodotta pro capite 24.698 euro so di disoccupazione è comunque un buon Laureati ogni mille giovani dai 19 ai 25 anni 59,14 dato rispetto alla media nazionale che si aggi-

CHIÈCHI

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IL CENTRO DI ASCOLTO CARITAS FONTE: RELAZIONE ANNUALE 2005, CENTRO DI ASCOLTO DIOCESANO – CARITAS DIOCESANA CONCORDIA PORDENONE

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«Se la malinconia è quello che traspare allora li cambio subito. Un libro, diceva Brodski, non si scrive per la caducità della propria carne, ma per salvare qualcosa della civiltà di ognuno di noi. Ecco, i miei libri sono questo. Un documento. Se uno analizza i miei racconti trova come si facevano le scarpe, la slitta, la gerla. Ho cercato di salvare una cultura. Allo stesso modo che si salvano le sculture egizie o le pitture di Giotto della cappella degli Scrovegni, dobbiamo salvare anche le conoscenze della nostra civiltà. Per questo scrivo delle storie passate. Lo faccio apposta». Ma è cambiata molto la vita qui a Erto da quando lei era giovane? «È cambiato di più negli ultimi vent’anni che nei duecento anni prima». Troppo veloce… «Sì, e chi non ha retto il colpo siamo stati noi della mia generazione, nati nel dopoguerra. Nel ’63 a Erto c’erano tre automobili e un telefono. Sono passati appena quarant’anni eppure la vita è trasformata e quelli della mia età si sono trovati sbilancia-

ti, proiettati troppo velocemente in un mondo che non ci apparteneva». In mezzo c’è stato anche il Vajont. «La bomba l’ha scatenata proprio quella sciagura, ma non per i morti». Si spieghi. «Tutte le grandi civiltà scomparse ci hanno messo degli anni. Noi due minuti. Ci siamo svegliati la mattina in un altro mondo. Ci hanno sbattuti provvisoriamente nelle città e abbiamo perso usi e costumi tradizionali. E il paese». Ma poi Erto è stata ricostruita ed è arrivato anche un certo benessere… «Il benessere ha portato via tutti i valori. Una volta si sottraeva alla Natura quello di cui avevamo bisogno, ma la rispettavamo. C’erano dei riti, dell’affetto, del calore nei confronti della terra. Anche perché avevamo più tempo. Oggi vanno tutti di fretta, devono correre per accumulare sempre di più. La vita invece è come la scultura. È tutto un togliere. Devi levare legno per far emergere la figura. Devi liberarti dell’ecces-

d’arte della Valcellina? Ci può essere un ragazzo che ha voglia di scolpire, no?»

so. La vera povertà di oggi è quella dei valori. Bisogna insegnare ai bambini che i soldi servono solo a restare in vita e nient’altro».

Cosa pensa dei giovani di oggi? «Che sono preparati e svegli. Che studiano e si impegnano per avere un possibilità e poi si accorgono che se non sei raccomandato o non sei figlio di qualcuno non hai possibilità. C’è un bombardamento mediatico che impone di apparire, di andare in televisione e diventare un personaggio. Abbiamo insegnato ai nostri ragazzi a fare sogni proibiti. Vorrebbero arrivare là dove arriva solo uno su un milione. E quando capiscono che questi sogni sono irrealizzabili si sentono traditi e si buttano via. Vogliono uccidersi, ma non con un colpo di pistola. Vogliono uccidersi vivendo, un po’ alla volta».

Che rapporto ha con le sue radici? «Io ricordo quando i vecchi d’inverno lavoravano il legno e ne facevano cucchiai e scodelle. Se mancava un piatto mio nonno usciva in cortile e in un momento ne forgiava uno dal legno di ciliegio. Bello rosa. Guardo con affetto a queste memorie, ma non posso pretendere che torni tutto come allora. Però, perché non fanno una scuola

Si riferisce alle tossicodipendenze? «I giovani cercano conforto nella droga e nell’alcol perché sono abbandonati. Non economicamente, ma affettivamente. Il problema dell’alcol è una piaga italiana, non solo di Pordenone. Ma dell’alcolismo nessuno dice niente. I politici si lavano la bocca con la legge sulla droga».

vita è come “La una scultura, devi liberarti dell’eccesso ”

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osservatorio

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nuove povertà

Sfruttamento

Casa dello studente e università, i due centri di aggregazione della cultura

In Bangladesh si muore In Occidente si compra di Andrea Di Stefano

NI HOSIERY, MERMAID INTERNATIONAL, ATT ENTERPRISE E VIDA ENTERPRISE CORP. Ma anche Karstadt Quelle

Un piccolo Beaubourg donato da Lino Zanussi a metà degli anni Sessanta. Un contenitore culturale diventato un riferimento per la città e per tutta la regione. Un Consorzio di studi universitari che dà alla città capacità di ricerca scientifica e di innovazione da mettere al servizio delle piccole imprese del distretto. ARE CULTURA IN UNA CITTÀ DI PROVINCIA è sempre una scommessa. Può andare male, oppure può produrre piccoli gioielli come a Pordenone. Qui, infatti, da oltre quarant’anni don Luciano Padovese anima la Casa dello studente, donata alla città da Lino Zanussi a metà degli anni Sessanta e ormai punto di riferimento culturale della città del Noncello. Nonostante il nome, infatti, il centro non è un dormitorio per studenti, ma un vero contenitore culturale, precursore, in piccolo, del più famoso Beaubourg parigino, nato appena qualche anno dopo. LE “GIORNATE DEL MUTO” Nella struttura trovano spazio una mensa, «aperta a tutti, DA 24 ANNI È UN APPUNTAMENTO IMPERDIBILE studenti, operai, immigrati per esperti e appassionati. All’inizio di ottobre infatti spiega don Luciano - perché voi fan di questo particolare tipo di arte si ritrovano gliamo essere un centro di agtra Sacile e Pordenone, per le “Giornate del cinema gregazione», una galleria d’arte, muto”, uno dei più importanti festival di settore una biblioteca, un’emeroteca del mondo. «Il nostro pubblico è perlopiù con giornali stranieri, laboratointernazionale: solo un terzo dei cinefili, musicisti, ri, un auditorium e altri spazi di ricercatori, restauratori, tecnici, studenti, incontro. «Siamo aperti a tutta collezionisti che vengono al festival sono italiani», la società per dare un segnale a spiega Livio Jacob, presidente della Cineteca Pordenone, e negli anni - contidel Friuli, che organizza la rassegna. In poco nua il presidente della Casa - siamo riusciti a costruire una culpiù di un ventennio la manifestazione ha raggiunto tura in città. Aiutiamo le una tale importanza che la scorsa edizione coscienze a diventare critiche e ha toccato la quota record di 35mila presenze. lo facciamo al di là del colore Nel 1999 la sede del festival è stata trasferita politico di ognuno». da Pordenone a Sacile, ma ora in realtà la rassegna In media ogni giorno passano si divide tra i due centri che per una settimana di qui tra le sei e le ottocento perin autunno si riempiono di fanatici cinefili. sone. C’è chi viene a mangiare, Il festival, con il passare degli anni, ha assunto chi frequenta un corso di lingue, sempre più un carattere internazionale. di pittura di fotografia o di montaggio digitale, chi va all’univer-

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sità per la terza età, chi viene per i concerti, per il cineforum, chi partecipa alle attività dell’Istituto regionale di studi europei. Da qui sono passati personaggi del calibro di Ezra Pound, Margherita Hack, Paul Ricoeur, Umberto Saba. Ma fiore all’occhiello dell’organizzazione è la Galleria Sagittaria per l’arte contemporanea con alle spalle ben 500 mostre. «È diventata un punto di riferimento a livello regionale - si inorgoglisce don Luciano - con scambi nazionali e internazionali e visite guidate per le scolaresche come quelle che fa la National Gallery di Londra». Nel curriculum culturale della città però non c’è solo la Casa dello studente. Da qualche hanno Pordenone si è dotata di un Consorzio di studi universitari che ha decentrato alcuni diplomi e facoltà da Udine e Trieste. «L’idea spiega don Padovese che per dieci anni è stato nel consiglio di amministrazione della struttura universitaria - era di dare alla città una capacità di ricerca scientifica e di innovazione perché il tessuto economico era di piccole industrie che non potevano affrontare gli oneri di laboratori di ricerca interni». Gli imprenditori del pordenonese, inoltre, «erano bravi a lavorare, ma incapaci di strategie. C’era bisogno di manager e di quadri che fino a quel momento venivano assoldati tra le conoscenze più o meno dotate. Abbiamo allora voluto creare uno zoccolo culturale e scientifico con la formazione di persone specializzate nel settore ingegneristico e umanistico». Oggi il Consorzio offre ai suoi 2500 studenti una facoltà di ingegneria meccanica e industriale, una di economia aziendale e una di scienze e tecnologie multimediali oltre ai diplomi in infermieristica e in servizi sociali. «Purtroppo - si rammarica don Luciano - abbiamo facoltà specialistiche che però il territorio, regionale e nazionale, non può assorbire se non in minima parte. I laureati trovano allora lavoro in altri ambiti. Ci sono laureati in archeologia che fanno i centralinisti».

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e Steillmann (Germania), Scapino (Olanda),Cotton Group e B&C (Belgio), Carrefour (Francia) e Zara/Inditex (Spagna). Sono le imprese che si rifornivano per i loro capi di abbigliamento dalle aziende del Bangladesh dove hanno perso la vita decine di lavoratori. Il 23 febbraio, a Chittagong, è bruciata la fabbrica della KTS Textile Industries, probabilmente a causa di un corto circuito, che ha fatto scoppiare un radiatore. I morti sono stati 65, di cui 45 donne, e i feriti almeno 80. Le uscite della fabbrica erano chiuse e molte finestre sigillate. La KTS riforniva aziende statunitensi, quali Uni Hosiery, Mermaid International, ATT Enterprise e VIDA Enterprise Corp. Due giorni dopo, il 25 febbraio, nella capitale Dhaka, è crollato un edificio di sei piani, che ospitava la fabbrica, gli uffici e i magazzini dell’azienda tessile Phoenix Textile, che esporta principalmente in Europa,. I lavoratori presenti erano circa 150: 16 morti e 50 feriti il bilancio provvisorio. L’edificio era nella lista dei 100 di cui era stata decisa la demolizione per motivi di sicurezza, dopo che l’11 aprile scorso, nella città industriale di Savar, a 30 chilometri dalla capitale, era crollato uno stabile, dove si trovava un maglificio della Spectrum, probabilmente per lo scoppio di una bombola. L’edificio, accartocciatosi in pochi secondi, era una costruzione di nove piani, che originariamente era di quattro piani, costruita tre anni prima, senza permessi, su un terreno paludoso. Il bilancio in questo caso era stato di 64 morti e oltre 70 feriti. Tra le imprese che si rifornivano dalla Spectrum vi erano Karstadt Quelle e Steillmann (Germania), Altri due casi di fabbriche tessili Scapino (Olanda),Cotton Group e B&C (Belgio), Carrefour senza norme di sicurezza (Francia) e Zara/Inditex (Spagna). L’associazione delle e diritti che sono costati la vita a decine di lavoratori, in prevalenza imprese tessili esportatrici del Bangladesh (Bangladesh Garment Manufacturers and Exporters Association - BGMEA) donne. Gli acquirenti: imprese statunitensi e europee. ha deciso di far ispezionare le 4.000 fabbriche del Paese, Nonostante le tante dichiarazioni decidendo di espellere quelle che non si adegueranno di responsabilità sociale in breve tempo alle misure di sicurezza nazionali e internazionali. Secondo la BGMEA, ben il 30% delle fabbriche tessili non sarebbe in regola. Contemporaneamente, il parlamento ha approvato una nuova legge sulle norme costruttive, che punisce le violazioni con pesanti sanzioni e sette anni di carcere. Secondo i dati ufficiali, dal 1990 ci sono stati 25 incidenti in fabbriche tessili del Bangladesh, con circa 400 morti e 3.000 feriti. Dopo ogni disgrazia, industriali e governo hanno promesso azioni severe, a cui non è seguito alcun fatto concreto. Il settore tessile è il principale esportatore del Bangladesh, con entrate pari a circa sei miliardi di dollari l’anno, e occupa due milioni di persone, in maggioranza donne. Il vero problema è che le ispezioni promosse per attività di responsabilità sociale sono nella gran maggioranza un fallimento: è quanto denuncia un rapporto della Clean Clothes Campaign basato su interviste a 670 lavoratori di 40 fabbriche, in otto Paesi (Bangladesh, Cina, Kenya, India, Indonesia, Marocco, Pakistan e Romania). Il fallimento delle ispezioni di controllo riguarda, soprattutto, le violazioni del diritto di libertà d’associazione, gli straordinari eccessivi e forzati, comportamenti abusivi e discriminazioni. I lavoratori e le loro organizzazioni sono spesso marginalizzati, durante i processi di audit sociale, e la loro non partecipazione impedisce l’emergere della realtà dei luoghi di lavoro.

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Vietnam la nuova tigre del Sud-Est asiatico >50 Bolivia, la parola all’asssemblea costituente>53

internazionale NIENTE CONDIVISIONE DI FILE GRATIS, LA FRANCIA BOCCIA IL PEER TO PEER

DIAMO DA MANGIARE AL MONDO

ACCUSATA DI SPAMMING RISCHIA 15 ANNI DI CARCERE

CONTINUA LA CENSURA DELLA CINA SULLA RETE

PRIMO RAPPORTO MONDIALE SUGLI OGM

VIMINALE E BERETTA GIOCANO A RISIKO

Il peer-to-peer (p2p), la rete per la condivisione di file sharing, non garba al Governo francese che sull’argomento fa marcia indietro e cancella una bozza di legge che avrebbe legalizzato l’uso del sistema di condivisione. Una decisione presa probabilmente a causa delle forti pressioni dell’industria della distribuzione tradizionale di contenuti. Una grande delusione per la comunità di navigatori transalpini e non solo, che non più di un mese fa avevano esultato per la sentenza di un tribunale parigino che affermava la legalità dell’uso del p2p per scaricare e condividere file protetti dal diritto d’autore a fini personali e in assenza di finalità commerciali e di lucro. Una sentenza che si inseriva in un dibattito parlamentare che vedeva crescere le voci a favore del p2p. Gli emendamenti sull’articolo di legge prevedevano un canone mensile aggiuntivo per il p2p, pagando il quale un utente internet era libero di utilizzare i sistemi di sharing in modo legale, un progetto che riprendeva una vecchia proposta dell’ Electronic frontier foundation (Eff). La proposta sarà comunque ulteriormente discussa: fin qui prevede sanzioni ridotte per chi abusa del diritto d’autore a fini personali (multe fino a 38 euro per la prima violazione del genere) punendo invece più pesantemente chi lo fa a fini di lucro. Un parlamentare del partito di maggioranza ha chiesto l’istituzione di una commissione parlamentare sulla questione e ammonito sul pericolo di assecondare acriticamente i desideri dell’industria. Il Fimi, la Federazione della musica italiana, alla notizia della decisione francese di cancellare la legalizzazione del p2p ha applaudito e sostenuto che si tratta di un passo nella giusta direzione perché in armonia con le direttive europee in materia.

We feed the World (Diamo da mangiare al mondo) è un film che mostra cosa provocano le storture e le iniquità della produzione globalizzata del cibo nei mercati africani e del Sud del Mondo e le sue conseguenze per il pianeta. Dal mais coltivato e poi bruciato perché il prezzo è troppo basso, alla foresta amazzonica abbattuta per far posto ai campi di soja, fino alle strategie delle grandi multinazionali che equiparando l’acqua ad un alimento come gli altri, le impongono un prezzo. Una lunga intervista a Jean Ziegler, relatore speciale dell’Onu sul diritto all’alimentazione, fa da filo conduttore al film. A causa delle sovvenzioni all’agricoltura in Europa e negli Stati Uniti, nei mercati in Senegal - un paese che vive di agricoltura si trova frutta e verdura europea ad un terzo del prezzo di quella coltivata dai contadini locali. Agli africani, strozzati dalle sovvenzioni, non rimane che emigrare nel Nord del Mondo. Secondo Ziegler il mercato libero non ha niente a che vedere con la libertà, perché è in mano a circa 500 potentissime aziende che pensano solo al profitto. In un testo presentato recentemente all’Onu , Ziegler definisce una menzogna l’obiettivo del millennio, che prevede di dimezzare la popolazione che vive nella fame entro il 2015.

L’accusa è quella di aver violato il Can-spam act che regolamenta le email commerciali. L’aver fatto spamming pornografico potrebbe costare caro a Jennifer R. Clason, fino a 15 anni di carcere, il massimo della pena previsto dalla legge e quanto chiesto dall’accusa. La sentenza attesa nei prossimi mesi potrebbe costituire un precedente giurisprudenziale importante. La donna, che ha ammesso la sua colpa, ha violato due norme e per lei si prospetta anche l’associazione a delinquere in quanto ha agito insieme ad altri due individui. La Clason, insieme ai suoi complici, ha ideato e realizzato una consistente attività di spamming pornografico, scoperta dopo le proteste di oltre 500 mila utenti del provider America Online, colpiti dalle missive oscene. Le mail pubblicizzavano una serie di siti pornografici, facendo guadagnare agli spammer ingenti somme provenienti dal traffico internet generato. Ogni mail conteneva immagini hard core, e per questo motivo - come ha sentenziato in passato la Corte Suprema - si profila anche il reato di diffusione di oscenità. Le transazioni finanziarie, frutto del business illegale, venivano filtrate attraverso due conti cifrati delle Mauritius e dell’Isola di Mann. La donna ha detto di voler restituire i soldi illecitamente guadagnati. L’ultima condanna nei confronti di un cyber criminale non superava i cinque anni di reclusione, ma in quel caso non c’era l’associazione a delinquere.

I blog di Wang Xiaofeng, giornalista di Pechino, e quello di Yuan Lei, reporter di spettacolo di un quotidiano di Guangzhou, sono stati chiusi per ordine del governo cinese. Si tratta dell’ultimo capitolo di una serie di chiusure di siti e censure che confermano il giro di vite delle autorità cinesi sul cyberspazio, soprattutto in occasione della riunione del parlamento nazionale. La Cina dispone di un corpo di polizia cibernetica che controlla i messaggi politicamente sensibili. Sui siti dei due giornalisti è comparsa la scritta «Per motivi inevitabili noti a tutti, questo blog è temporaneamente chiuso». Una formula volutamente soft per non scatenare troppe proteste. Il blog satirico di Wang che aveva più di un milione di contatti giornalieri, copriva tutto, dallo stato dei media cinesi alla difesa del più volgare slang di Pechino. Diverse persone che scrivono sul web sono state incarcerate perché le loro email e le loro inserzioni erano di contenuto sensibile. Non sono tempi facili per i cybernauti cinesi. La riprova è la scelta di Google China che ha spostato tutti i dati sensibili negli Stati Uniti, al riparo dalle mani delle autorità di Pechino. Un modo per salvaguardare la privacy degli utenti, ed evitare il rischio che il governo cinese possa impadronirsi di risultati di ricerca ed indirizzi ip per incriminare eventuali dissidenti.

Greenpeace ha presentato il primo rapporto mondiale su ogm e contaminazione genetica. Il rapporto, disponibile on line (www.greenpeace.org/bsp2006), mostra 113 casi verificatesi in 39 Paesi del mondo, il doppio dei Paesi nei quali la coltivazione di piante Ogm è consentita. In Italia, ad esempio, nel 2003 sono stati distrutti quasi 400 ettari di campi di mais contaminato in Piemonte. La frequenza degli “incidenti” è purtroppo in aumento, con 11 nuovi casi che si sono aggiunti alla lista nera nel solo 2005. Tra i casi da segnalare: carne di maiale geneticamente modificata venduta erroneamente ad ignari consumatori, coltivazioni contaminate da Ogm farmaceutici, coltivazione e distribuzione di mais non autorizzato resistente agli antibiotici, presenza di Ogm non autorizzati negli alimenti, anche negli invii di aiuti alimentari, inavvertito utilizzo di diverse varietà di Ogm perfino in campi sperimentali di standard elevati. La maggior parte degli incidenti vengono attualmente tenuti segreti dalle aziende e dalle autorità pubbliche. Un accordo rigoroso sulla biosicurezza e la tracciabilità, era stato bloccato da Brasile e Nuova Zelanda, sostenuti dai maggiori esportatori di Ogm, Usa, Argentina e Canada, che non hanno aderito al Protocollo di Cartagena.

Pistole vendute, ricomprate e rivendute. Dalla Beretta al Viminale e dal Viminale alla Berretta, per poi finire in Iraq, in mano ai guerriglieri, passando dalla Gran Bretagna, in un Risiko fin troppo realistico, anzi reale. Lo scandalo esplode l’anno scorso, nel febbraio 2005, quando i carabinieri italiani in Iraq trovano “alcune pistole Beretta 92S in possesso di forze ostili”. Come sono finite le armi italiane tra le mani dei guerriglieri iracheni? La vicenda è complessa e i passaggi sono molti. Li ha ricostruiti il settimanale l’Espresso (nel numero in edicola la prima settimana di marzo, consultabile sul sito internet www.espressonline.it). Tra il 1978 e il 1980 il ministero dell’Interno acquista circa 45 mila pistole dalla Beretta destinate alla polizia italiana. Tra il 2003 e il 2004 le 92S vengono rivendute, a un prezzo stracciato, alla fabbrica bresciana, perché dichiarate “fuori uso”. Nel giro di pochi mesi però una metà delle pistole sono rimesse a nuovo dalla Beretta e vendute, questa volta a una società inglese, la Super Vision International Ltd. Un usato decisamente costoso. Per 20 mila armi che hanno quasi trent’anni, la fabbrica bresciana incassa quasi 400 mila euro. Il tutto è accaduto violando una serie di leggi. Quelle sul commercio di armi, che prevedono che venga sempre comunicato al ministero dell’Interno la destinazione finale delle pistole. La Beretta poi non aveva la licenza per riparare armi. Un problema facilmente superato. È bastata una legge ad hoc, arrivata con il decreto per le Olimpiadi, in cui è spuntato un articolo che permette a chi fabbrica armi anche di ripararle. Il capitolo però non è ancora chiuso, anzi, è sul tavolo della procura di Brescia che ha aperto un’inchiesta sulla Beretta.

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Un’ondata di scioperi scuote il Paese considerato la prossima tigre del Sud-Est asiatico

Una lunga fila di biciclette attraversa il ponte Long Bien, uno dei più grandi della città. A sinistra, Duong Thu Huong, dissidente vietnamita, radiata dal Partito comunista nel 1990 e costretta al silenzio per molti anni.

Hanoi, 1996

di Cristina Artoni

Corruzione, burocrazia pesante, scarse garanzie sindacali. Così procede il boom economico I DATI SULLA CRESCITA ECONOMICA DEL VIETNAM

L’Occidente negli ultimi anni ha messo gli occhi sul Vietnam con l’attesa che si trasformi presto nel nuovo fenomeno economico del sud-est asiatico. I dati di crescita si muovono effettivamente nella linea auspicata dai paesi occidentali con un Prodotto interno lordo in crescita nel 2005dell’8,4%, nonostante le gravi calamità naturali e la diffusione negli ultimi mesi dell’influenza aviaria. Le esportazioni nel paese sono aumentate del 21,6% e gli investimenti diretti esteri almeno del 40%. Ma l’inflazione nel paese è comunque alta, con un aumento dell’indice dei prezzi al consumo del 1,2% nei primi mesi del 2006. Le attività economiche si concentrano intorno a due poli in concorrenza tra loro: Hanoi, al nord e Ho Chi Minh City (ex Saigon) al sud. Ma il centro malgrado qualche risorsa mineraria e energetica resta poco sviluppato. È quindi l’agricoltura a rimanere il settore che ricopre ancora il ruolo più importante nel paese e che impiega il 76% della popolazione. Hanoi negli ultimi anni ha compiuto i primi passi per entrare nell’Organizzazione mondiale del Commercio per tentare di consolidare la crescita economica. Per ora il governo vietnamita si è trovato la strada sbarrata dagli Stati Uniti, ma se mai si arrivasse all’ipotesi di un accordo, l’intesa dovrebbe passare al vaglio del Congresso Usa, dove molti parlamentari si sono già dichiarati contrari perchè richiedono garanzie sulla libertà religiosa dal governo vietnamita. Tra i paesi che erano esclusi con la stessa motivazione compariva la Cina che ora è entrata a pieno titolo nel Wto.

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Una ricetta che si rivelerà solo una scelta economica Dagli anni Ottanta, quindi, in Vietnam regna il doppio binario dell’economia mista Stato+mercato e dove lo Stato ha il compito di assicurare al “mercato” tutte le condizioni di appetibilità degli investimenti. Ci sono quindi imprese statali, private e joint-ventures tra Stato e investitori stranieri in cui lo stato vietnamita concede la terra e il privato investe il capitale. Come il potente vicino cinese, anche il Vietnam insegue il miracolo economico che procede a colpi di corruzione, mancanza di infrastrutture e servizi, burocrazia pesante e scarse garanzie sindacali. Un quadro fosco che negli ultimi mesi è stato messo in discussione da massicce proteste di lavoratori dipendenti di ditte estere delle zone industriali di Ho Chi Minh City e Hanoi che chiedevano un aumento dei livelli salariali fissati per legge. La rivolta è partita alla fine di dicembre e ha coinvolto decine di migliaia di lavoratori che per settimane hanno bloccato con gli scioperi il lavoro di molte ditte straniere. La richiesta avanzata dai dipendenti era che lo stipendio fosse equiparato al costo della vita. La paga base in Vietnam era di 40-45 dollari al mese, ma nel 1999 il governo nel tentativo di rilanciare nuovamente gli investimenti esteri l’ha portata tra i 35 e i 45 dollari. Da allora non è più cambiata, malgrado il costo della vita sia aumentato. In Cina, per fare

La Nuova legge sul Lavoro del 1996 sostiene che lo sciopero deve “essere l’ultima soluzione” dopo che tutti gli sforzi di riconciliazione sono stati fatti e può essere proclamato solo se “le rivendicazioni sono legittime”. Gli scioperi delle scorse settimane erano dunque delle iniziative illegali perchè organizzati dai singoli lavoratori, che avevano agito in modo indipendente per non essere ostacolati. L’ondata di proteste ha messo in reale difficoltà il governo e ha costretto il Premier Phan Van Khai a intervenire per scongiurare il blocco delle attività economiche del paese. La soluzione è stata un aumento del 40% del salario minimo per gli operai privi di qualifica che lavorano in ditte estere. Lo stipendio per lavoratori con esperienza sarà integrato da un ulteriore 7%. La proposta ha convinto i lavoratori che sono tornati nelle fabbriche, ma non prima di altri scioperi illegali che si sono protratti per qualche giorno. Sembra però che le proteste abbiano comunque aperto la strada a nuove rivendicazioni, come quelle dei lavoratori che dipendono da ditte esclusivamente vietnamite e che ricevono paghe più basse. Ma per il Vietnam mantenere il costo della manodopera basso, significa rimanere competitivo. Non solo per Stati Uniti e Europa, ma anche per l’intero continente asiatico, dove il paese rappresenta HIROJI KUBOTA / MAGNUM PHOTOS

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ESSUNO HA REALMENTE BISOGNO DI PAROLE. La massima necessità per qualcuno oggi, è l’acqua potabile ed il cibo e, a fronte della tubercolosi, delle epidemie, vi è bisogno di antibiotici e di vaccini. Gli uomini in situazioni di emergenza non hanno bisogno di letteratura. Ma per resistere alle tenebre della barbarie, per conoscere se stessi e per imparare a diffidare dei sogni utopistici, pericolosi e catastrofici, la letteratura ha una precisa responsabilità. È nella comprensione profonda dell’impossibile a comprendersi che gli scrittori possono creare opere meravigliose». A spendere senza stanchezza queste parole è la scrittrice Duong Thu Huong, dissidente vietnamita, radiata dal Partito Comunista del suo paese nel 1990, e costretta al silenzio per molti anni. Ora, il ruolo di “grillo parlante” di Duong Thu Huong ritorna negli echi delle proteste che negli ultimi mesi stanno attraversando il Vietnam. Con la parola molti intellettuali della “generazione senza compromessi” avevano denunciato il degrado morale del potere vietnamita, che nel 1986 aveva aperto il paese al “socialismo di mercato”, sull’onda della svolta politica realizzata da Deng Xiaoping, in Cina.

un confronto con un altro paese della regione, lo stipendio minimo per un lavoratore è di 63 dollari. In Vietnam gli scioperi sono partiti spontaneamente, poi si sono allargati a macchia d’olio. Una reale rivoluzione nel paese, dove le proteste, che vengono riconosciute dal Codice del Lavoro, devono essere organizzate dallo stesso sindacato GCL, emanazione del partito unico al potere.

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LA BUROCRAZIA AL POTERE IL VIETNAM, DOPO AVER SCONFITTO gli Stati Uniti, viene ufficialmente riunificato nel 1976 sotto il controllo del governo del nord con il nome di “Repubblica Socialista del Vietnam”. Da allora, fino ai giorni nostri la politica del paese è dominata dal partito comunista vietnamita (PCV), inizialmente chiamato Partito dei Lavoratori. Come per la Cina, la vita politica è caratterizzata dal partito unico (politica burocratica) per cui i vertici del potere statale si possono rintracciare all’interno del PCV. Ma tra il partito e la popolazione si interpone un’organizzazione di massa, il Fronte della patria, che raggruppa oltre al PCV altre organizzazioni come l’Unione delle donne, i sindacati e alcune associazioni a carattere confessionale. Il Fronte della patria gioca un ruolo importante, anche se non fondamentale, nelle elezioni dell’Assemblea nazionale perchè ha il compito di approvare la nomina di alcuni candidati indipendenti dalle liste del partito. In Vietnam quindi anche se vige un regime di partito unico, tutti i candidati al Parlamento non sono necessariamente membri del partito. Il PCV controlla tutti i posti chiave negli apparati politici, dell’amministrazione e nel settore produttivo pubblico ma non raccoglie più di due milioni di membri, su una popolazione di circa 80 milioni di abitanti.

un vero punto di riferimento, tanto che ditte della Corea del Sud, di Taiwan o della Cina investono in Vietnam. Ad esempio nell’area industriale di Song Than, alla periferia di Ho Chi Minh City, l’80% delle industrie è di proprietà di imprenditori taiwanesi che producono vestiti, scarpe, biciclette rivolte all’esportazione. Una gonna prodotta in Vietnam costa circa 2 dollari e viene rivenduta almeno a 40 dollari negli Stati Uniti. Gli investimenti stranieri, che lo scorso anno si sono attestati sui 5.8 miliardi di dollari, sono un’entrata fondamentale per il Vietnam. La produzione è divisa tra le grandi ditte estere e centinaia di piccole e medie imprese locali, specializzate in manodopera di supporto alle grosse compagnie. Il governo non fa mistero di voler incentivare sempre più la presenza straniera: «La nostra politica – ha dichiarato il premier Phan Van Khai – consiste da un lato nella promozione delle imprese private e dell’altra nell’aumentare con rapidità l’efficienza del settore economico statale. Le risorse estere sono molto importanti per noi e cerchiamo di creare una situazione sempre più favorevole per questi investimenti». A riprova di questa volontà in una nuova recente mossa il governo ha ridotto le tasse all’importazione di componenti elettronici di quasi il 3% per rendere la produzione meno costosa che in Occidente. L’operazione ha favorito la presenza delle maggiori ditte elettroniche mondiali in Vietnam. Il Doi Moi, la perestrojka vietnamita, speranza di gran parte della popolazione in attesa di un miglioramento delle condizioni di vita, ha quindi portato solo fin qui. Era stato sbandierato nel 1986 dal partito comunista, che con l’introduzione della politica di liberalizzazione economica aveva in realtà l’obiettivo di evitare la crisi del regime. Rappresentava di fatto un estremo tentativo per il partito comunista vietnamita di conservare il potere, pur rinnegando senza mai ammetterlo, i fondamenti della propria ideologia.

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La nuova Bolivia la parola passa al popolo Valori ha incontrato a Caracas il sindacalista boliviano Oscar Olivera, portavoce della Coordinadora per la difesa dell’acqua. E della vita. La grande speranza riposta nell’assemblea costituente e nel nuovo presidente, Evo Morales. I suoi predecessori erano tutti in una condizione di sudditanza rispetto agli Usa. L’appello all’unità è indispensabile per respingere il tentativo di corruzione dei poteri forti, che aspirano al controllo delle fonti energetiche. GRAN CONDOR. L’IMMAGINE DIO EVO MORALES, neo presidente della Bolivia, mentre compie un rito sacro in vestiti tradizionali ha fatto il giro del mondo. Articoli e commenti in quantità, entusiasmi occidi Angelo Miotto dentali al limite della curiosità folkloristica, quasi a rispecchiare il mito del “buon selvaggio” nel nuovo corso boliviano. Sulla rivoluzione di La Paz hanno investito, e in maniera qualificata, Brasile, Argentina e Venezuela. Il presidente Hugo Chavez ha promesso benzina in cambio di derrate alimentari che vengono prodotte in Bolivia. Guerra. Il rischio di un conflitto – si è citata a più riprese la parola “balcanizzazione” – è stato scongiurato dall’elezione di Evo Morales, el primer presidente indigena. L’importanza di un indigena al governo può sfuggire, forse, al continente da cui partirono i Conquistadores: nel simbolo Morales si iscrivono centinaia di anni di sofferenze, di battaglie e lotte contro la discriminazione razziale. La Bolivia, oggi, è un laboratorio. Si costruirà una nuova Costituzione, si ridisegnerà alle radici la legge sugli idrocarburi, la chiave di volta per il futuro del Paese. Alla base della vittoria di Evo Morales ci sono i Movimenti. Valori ha incontrato a Caracas Oscar Olivera, sindacalista, portavoce della Coordinadora por l’agua y la vida: è uno dei protagonisti della guerra del gaz. Ha rinunciato a un ministero per rimanere nel movimento e ora si appresta a partecipare ai lavori della prossima Cositutente. In Venezuela ha raccontato al Forum Sociale Oscar Olivera, Mondiale le tante vittorie e l’incredibile sforzo e soffeportavoce renza delle battaglie boliviane degli ultimi dieci anni. della Coordinadora por l’agua y la vida. L’intervista ha una scenografia bellissima: l’Universidad

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nuovo “Un Paese diverso da quello che ci hanno imposto le nazioni e le istituzioni monetarie

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Central de Venezuela (UCV) fra pareti traforate che lasciano passare freschi refoli di vento fra il cemento armato della struttura e la folta vegetazione.

Oscar Olivera: acqua e vita «Stiamo attraversando un momento che definirei quasi di “gravidanza”; un nuovo paese sta nascendo e questo succederà grazie ai lavori della futura Assemblea Costituente. È una delle richieste più sentite dei popoli indigeni, soprattutto nel Sud della Bolivia che nel 1992 marciarono per oltre 1200 chilometri per reclamare, già allora, la convocazione di una Assemblea costituente, come spazio di incontro di tutti i settori sociali della Bolivia. Volevano fissare sulla carta i principi utili per riuscire a superare le differenze razziali ed etniche, per raggiungere la diffusione della tolleranza, con un nuovo tipo di istituzioni che portassero alla democrazia partecipativa». «Democrazia – dice Olivera, in maglietta blu e con il suo inseparabile cappello – non vuol dire soltanto votare. La democrazia non deve e non può essere solo patrimonio dei governanti, o proprietà privata dei partiti. La politica deve saper andare per le strade, nei sentieri, dove la gente possa decidere come cittadino, per il suo presente e per il suo futuro. L’Assemblea Costituente è lo strumento per costruire un nuovo Paese. Un Paese diverso da quello che ci hanno imposto altre nazioni, le istituzioni monetarie internazionali e il saccheggio continuo delle multinazionali. Un saccheggio che prosegue da secoli». Ora, però, c’è il governo di Evo Morales. Oscar Olivera lo conosce bene, si sono trovati spalla a spalla in molte lotte, anche se in diverse occasioni hanno dimostrato due |

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Sotto, una delle arterie principali di Caracas. Nella capita vivono quasi due milioni di persone, tre se si conta la periferia.

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concezioni diverse di interpretare movimenti e politica. Cosa deve fare, oltre alla Costituente, questo governo per poter partire e dirigersi nella giusta direzione? «Il governo di Evo Morales – ci spiega con voce pacata, ma ferma, Olivera – è per noi un governo di transizione, un governo ponte. Al di là della Costituente si deve affrontare la nazionalizzazione degli idrocarburi. Se questo governo non costituisce la base economica per dare soluzione ai problemi correnti della gente, stiamo parlando di salute, educazione, lavoro, casa, servizi base, la gente non riuscirà materialmente ad arrivare alla vera discussione, quella sulle nuove regole per un nuovo Paese. Il popolo chiede miglioramenti. Da subito. E questo significa che dal governo si devono appoggiare forme creative, autonome, di gestione della soluzione quotidiana che il popolo ha sviluppato per suo conto. Perché per 20 anni lo stato boliviano è scomparso, se non per garantire i profitti delle multinazionali. Uno stato spogliato di ogni prerogativa propria. Questo governo deve cominciare da lì. Ma questa base economica potrà essere possibile solo con la nazionalizzazione degli idrocarburi. E questo lo deve fare senza pretendere che tutti i movimenti sociali aderiscano in ma-

niera incondizionata alla politica del governo, senza pretendere di cooptare i migliori portavoce del movimento per trasformarli in amministratori pubblici. Questa sarebbe una forma molto sottile di liquidare le associazioni, di liquidare i movimenti, l’inventiva e la capacità di creare che c’è nella gente. Noi lotteremo per questo, anche perché, per quanto mi riguarda, delle preoccupazioni rispetto al governo Morales, su questo punto, ci sono».

La politica va condivisa Difficile dire che ruolo intenderà giocare Washington su uno scenario che è stato oggetto di decine di simulazioni virtuali da parte degli uffici del Pentagono. Sono giochi di variabili e dati reali del recente passato: una miscela fra arte divinatoria e il più pericoloso controllo e intervento di raccolta dati. I presidenti che si sono succeduti, uno via l’altro, erano in evidenti condizioni di sudditanza rispetto agli Stati Uniti, le politiche delle transnazionali. E di certo l’amministrazione Bush non vuole farsi scappare un mercato energetico come quello che custodisce nel suo ventre la Bolivia, derubata fino ad oggi di milioni di dollari, incamerati dai giganti del greggio e del gas. Anche se l’infra-

struttura, l’indotto del mercato energetico boliviano sarebbe completamente assente, se non fosse per le stesse multinazionali che hanno scippato ormai da molti anni ai boliviani la loro terra e quanto vi contiene, il sottosuolo. «Per prima cosa – è particolarmente deciso su questo punto Oscar Olivera – come rappresentante dei movimenti sociali boliviani, mi aspetto un’attitudine conseguente di chi sta al governo. Non ci può essere un doppio discorso, non si può dire che la si farà finita con l’esclusione, con il colonialismo, con il razzismo, se non c’è poi una coerenza nell’azione politica. Non ci deve essere esclusione, verticalismo». C’è ben più di un paradosso, secondo il sindacalista boliviano: «Spero che tutto l’apparato governativo capisca che la politica non è solo patrimonio dei governanti. E che come l’abbiamo condivisa insieme ad Evo, quando non era un politico. Siamo stati capaci di imporre un’agenda alla politica. Tutte le nostre lotte secolari sono state lotte contro lo Stato. Ma oggi i movimenti sociali hanno occupato lo Stato: e allora che cosa facciamo adesso di questo stato. Deleghiamo il potere alla base, alla gente? Come trasformiamo quello spazio, come cambiamo la concezione

della politica? E, nello stesso tempo, credo che dobbiamo sviluppare un dibattito ideologico con il governo per capire, come rappresentanti della comunità indigena, quale tipo di funzione possiamo giocare rispetto alla nostra responsabilità verso tutto il mondo. Come la guerra dell’acqua, questa vittoria di Morales dà molta speranza ai settori popolari e dimostra loro che si può vincere il nemico. Il rischio è che la destra ha 5 governatori nelle cinque province dove c’è molta ricchezza, là dove le multinazionali non vogliono perdere il loro profitto, dove l’ambasciata Usa non vuole arretrare neanche di un passo rispetto al proprio potere, dove i media della destra sanno come lavorare. Il panorama è molto difficile, anche perché la Bolivia è molto dipendente dalla cooperazione internazionale». «Evo deve capire che è necessario mantenere l’unità della nostra patria, anche perché i nemici lavoreranno in maniera incredibile e cercheranno di confondere, di manipolare e di corrompere, con tanti soldi, i nuovi amministratori».

nostri nemici “Icercheranno di confondere, manipolare, e corrompere con tanti soldi

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Taxi bolivariano, strumento di lavoro e di lotta politica A Caracas l’associazione dei tassisti ha oltre mille iscritti, una banca cooperativa, l’Unidad de coches, e tratta direttamente con i politici della città. La cooperativa aiuta a comprare l’auto nuova, a pagare il meccanico e i pezzi di ricambio. di Angelo Miotto

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le elezioni “Durante aiutiamo il sindaco nella mobilitazione

per i cortei, i comizi e le marce

nelle chiacchiere dei suoi tassisti. Caracas è caotica, traffico impazzito, strane circonvallazioni che si inoltrano a serpentina fra grattacieli a specchio, centri commerciali, umili barrios fatti di poco, calce e mattoni, spesso a vista. La metropolitana è un serpente che avvolge i quattro punti cardinali, ma il taxi è imbattibile, per le storie che vi si raccontano nelle macchine scassate, spesso rumorose, che girano a media velocità bevendo benzina a fiotti. Tanto un pieno, 40 litri, costano poco più di un euro e mezzo. Juan è un tassista robusto. Giocava a baseball, lo sport che fa gridare nelle strade, che divide e appassiona il Venezuela. Tifoso dei Leones di Caracas, ha due pizzerie ed è vice presidente di una delle associazioni più numerose di tassisti di tutto il Paese. Mi porta a zonzo, dall’università centrale del Venezuela fino a uno dei quartieri alti. E intanto parla. LI UMORI DI UNA METROPOLI

Associazione Fuerza Bolivariana de taxis C’è l’associazione e c’è una banca, anzi un istituto di credito cooperativo che aiuta l’associazione in tutti i servizi che riguardano gli strumenti di lavoro dei tassisti. «È una cooperativa che funziona come ente assicuratore – spiega Juan – Quando riceviamo dei finanziamenti dalla Alcaldia mayor (l’amministrazione che governa sulle quattro municipalità in cui è divisa Caracas) trattiamo attraverso i nostri concessionari. Ti faccio un esempio: il comune ci ha approvato un finanziamento di ottocento milioni di bolivares che ci sta saldando in varie tranches (1 $= 2200 bolivares). Questo denaro lo usiamo come un fondo rotato| 54 | valori |

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rio». La rotazione è più che mai chiara: quando il Governo ha stanziato 3 miliardi di bolivares per l’associazione dei taxisti, che raccoglie solo nella capitale oltre mille lavoratori, sono stati comprati 200 taxi nuovi. Macchine che sono state distribuite ai soci, che sono obbligati a sottoscrivere un accordo con l’associazione pagando al mese 666mila bolivares. Quei soldi che vanno alla banca cooperativa, hanno portato a una cifra di 120 milioni di bolivares mensili, un fondo che permetterà di comprare taxi e auto per gli altri soci, che ancora non hanno ricevuto i nuovi mezzi.

Assicurazione sociale L’associazione bolivariana dei tassisti ha pensato anche al principio della mutua solidarietà e si preoccupa di rispondere a un’altra esigenza forte nella capitale: la casa. Tassisti che hanno la capacità di sviluppare una politica abitativa. Pare un discorso surreale, ma le braccia muscolose di Juan e le sue mani a pinza sul volante sono una realtà tangibile. Mille tassisti, cinque volte tanto in tutto il Venezuela, sono capaci di discutere di freni, gomme e motori, ma di scendere anche attivamente nell’agone politico. Dalla parte del presidente Hugo Chavez, che fra le parole “Repubblica” e “del Venezuela” ci ha voluto inserire anche l’aggettivo che contraddistingue la sua rivoluzione: bolivariana. «Tutti quelli che si associano hanno il diritto di godere di tutti i benefici che noi riusciamo ad ottenere dal governo. Quindi, tutto quello che riusciamo ad ottenere è per il loro benessere». «Certo», commenta Juan, «abbiamo un ruolo anche politico, c’è

un accordo preciso con il sindaco della città . Quando c’è campagna elettorale, che sia amministrativa o nazionale, noi lo aiutiamo nella mobilitazione e nella capacità di trasporto per i comizi. Siamo alle marce, ci mobilitiamo nei barrios e nelle parrocchie. Ci chiamano e ci dicono: abbiamo bisogno di 50 taxi in un certo posto. E noi ci andiamo veloci come fulmini».

Unidad de coches La banca si chiama cooperativa Unidad de coches, ed è una realtà a parte. La cooperativa è nazionale. Ma come ci si affilia alla banca? «La forza bolivariana è l’organizzazione, mentre la cooperativa rappresenta la banca. Per affiliarsi è necessario comprare una quota con 500 mila bolivares: 100 mila vanno versati quando ti iscrivi, mentre il restante può essere diluito nei mesi seguenti. E quando avrai pagato, ti daranno un certificato che dichiara che sei socio della banca. La cooperativa ti aiuterà per il meccanico, per riparare quello che si rompe o con un prestito per comprare una macchina nuova». C’è anche una quota mensile da versare per coprire le spese correnti e per costituire un fondo di solidarietà che viene usato dai soci in caso di ,malattia, di inattività, per comprare le medicine necessarie. Mentre attraversiamo la città ci supera una moto: sopra il fanale c’è un cartello verde fosforescente: taxi. Anche quella una cooperativa, costruita da tanti giovani sbandati che hanno scoperto che uniti e con i principi del cooperativismo si può vivere bene ed essere utili. La chiamano la Brigada Motorizada Bolivariana.

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In punta di piedi per correre su un terreno fragile >58 Cinque casi di rinascita economica del territorio >60

economiasolidale L’APPELLO DELLE ONG PER UN EQUO SVILUPPO

LA GRAN BRETAGNA SPOSA IL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE SOSTENENDO L’ASSOCIAZIONE FAIRTRADE

“PIANETA IMMORTALE” BOCCIA I SEMI MODIFICATI

PADOVA PERCORRE LA VIA ASIATICA

BIOPIRATERIA, È L’AFRICA IL CONTINENTE PIÙ SACCHEGGIATO

LA SVEZIA DICE ADDIO AL PETROLIO

L’Associazione delle ong italiane ha consegnato un documento dal titolo “Povertà e sviluppo nel sud del mondo: avanti così?” alla parlamentare Luisa Morgantini, presidente della Commissione sviluppo del parlamento europeo. Nel documento, sottoscritto anche da Medici per l’Africa Cuamm, Forum permanente del terzo settore e Fondazione culturale responsabilità, si sottolinea la necessità di un nuovo approccio globale allo sviluppo e la sconfortante situazione in cui versa la cooperazione allo sviluppo in Italia. L’appello contiene 10 punti: 1) definire insieme i valori e il significato della cooperazione allo sviluppo; 2) evitare la confusione e l’incoerenza; 3) provvedere aiuti più efficaci e più rapidi; 4) impegnare le risorse addizionali promesse e le risorse liberate dal debito; 5) partire dai bisogni e dalle priorità locali; 6) tutelare l’equità e combattere le malattie della povertà in Africa; 7) mostrare i risultati e dimostrare le responsabilità; 8) imparare sul sud dal sud; 9) costruire nella cittadinanza consenso e partecipazione attorno al tema dello sviluppo globale; 10) non affossare il presente mentre si parla del futuro.

Per due settimane i commercianti inglesi aiuteranno i paesi del Sud del Mondo vendendo i loro prodotti nei rispettivi negozi e grandi magazzini. Un’iniziativa della Gran Bretagna per sostenere Fairtrade, l’associazione inglese del commercio equo solidale che lavora con 58 paesi in via di sviluppo e sostiene circa cinque milioni di persone, tra i lavoratori e le loro famiglie. Il colosso inglese della grande distribuzione Marks and Spencer ha sottoscritto un impegno a lungo termine annunciando che d’ora in poi acquisterà solo the e caffè del commercio solidale. L’azienda ha inoltre deciso di aumentare la quantità di cotone che viene acquistato a fini etici. Stessa sorte per il the e il caffè, che dal mese prossimo avranno solo il bollino della solidarietà. Un’inversione di nuova tendenza che, secondo gli esperti, sarà destinata ad aumentare in futuro. Secondo un rapporto pubblicato recentemente dal Fair Trade advocacy office, il commercio equo conosce una forte crescita in tutta Europa: a partire dal 2000 le vendite dei prodotti del commercio equo hanno avuto un aumento del 20% annuo. Il valore netto dei prodotti venduti al dettaglio supera ormai i 660 milioni di euro, ossia due volte di più rispetto a cinque anni fa. Il record spetta al Belgio, dove le vendite sono decollate: le banane e il caffè equi hanno totalizzato, nel 2004, una crescita rispettivamente del 50% e del 7%. Il valore totale dei prodotti venduti al dettaglio ammonta a 20 milioni di euro a dicembre del 2004, contro 5 milioni € nel 2000. Le banane e il caffè equo-solidali rappresentavano, nel 2005, rispettivamente il 4% e l’1,7% del consumo nazionale dei medesimi tipi di prodotto. La ragione del successo belga è la rete capillare di punti vendita che espongono prodotti equi: 1.050, tra cui 700 supermercati e 295 negozi specializzati.

L’hanno chiamata Banca dei semi dei contadini e inizierà la sua attività il 17 aprile, un modo concreto per ricordare tutti i contadini del mondo che hanno dato le loro vite nella lotta per avere migliori condizioni di lavoro e maggiore dignità. Questa storia comincia tredici anni fa, nel 1993, quando i contadini indiani hanno dato vita al “Satyagraha dei Semi”, una protesta non violenta contro i diritti di proprietà intellettuale in agricoltura che le multinazionali esercitano attraverso i brevetti sugli organismi viventi. Nel primo raduno a Bangalore (India) partecipano 500 mila contadini. Viene fondata l’associazione “Amrita Bhoomi” che significa: il pianeta immortale. Molti paesi in via di sviluppo, India compresa, vengono spinti ad applicare la legge sui semi redatta dalle multinazionali produttrici di semi, in particolare da quelle Bio-tech. Una normativa che privilegia i semi modificati geneticamente che a loro volta contribuiranno all’esclusione dei piccoli contadini dai loro diritti di riseminare, selezionare e scambiare i semi. L’associazione sta organizzando un simposio internazionale sul transgenico in agricoltura a Mysore, India, che avrà luogo il 18 e 19 aprile. Il Simposio è aperto a tutti i contadini, ma soprattutto alle donne contadine custodi tradizionali delle sementi.

Il World Social Agenda, giunto alla sua settima edizione, si terrà anche quest’anno a Padova. Ad organizzare l’evento è la Fondazione Fontana assieme al Consorzio Etimos, Banca Popolare Etica e Civitas. In questa edizione si parlerà della “Via asiatica”. Tra i vari incontri è prevista una conferenza internazionale, in programma per il 5 maggio, dove interverranno relatrici di rilevanza mondiale per parlare di economia, politica, obiettivi di sviluppo del millennio e di autodeterminazione della comunità di cui la donna è, soprattutto in Asia, la principale animatrice. Tra gli ospiti spiccano i nomi di Chea Vannath, donna simbolo del genocidio dimenticato operato dai Khmer rossi negli anni Settanta e candidata al Nobel per la pace nel 2005, e di Charika Marasinghe, presidente di Sarvodaya, la più grande ong dello Sri Lanka, che dà aiuto materiale e spirituale alle vittime dello Tsunami. Non mancherà uno sguardo sull’Asia raccontata attraverso alcuni autori migranti. Un percorso a parte è dedicato agli studenti padovani. Ai ragazzi delle scuole elementari e medie è stato riservato il percorso “GirAsia” che comprende una serie di offerte formative presentate e realizzate da sei associazioni che operano per l’Asia. All’iniziativa, tra scuole medie ed elementari, hanno aderito cento classi.

Nel corso degli ultimi venti anni moltissimi prodotti naturali provenienti da tutta l’Africa sono stati utilizzati dai ricercatori delle multinazionali per sintetizzare farmaci, antiparassitari, antibatterici, cosmetici e perfino prodotti agricoli e industriali. Le scoperte dei ricercatori, sono state poi protette da brevetti internazionali che hanno portato nelle casse delle multinazionali ricavi da capogiro. Ad esempio la Bayer, colosso farmaceutico tedesco, negli ultimi anni ha ricavato 380 milioni di dollari da un antidiabetico ottenuto da un batterio di una diga keniana. Eppure nell’articolo comparso sul Journal of Bacteriology non cita mai il nome “kenya”. Questa è la conclusione di uno studio condotto dal ricercatore Jay McGown. “Out of Africa: Mysteries of Access and Benefit Sharing” è stato commissionato dall’organizzazione ambientalista statunitense Edmonds Institute e dall’African Centre For Biosafety. Secondo l’autore della ricerca ci troviamo di fronte ad un vero caso di biopirateria e finché l’accesso non verrà regolamentato in maniera seria l’Africa sarà un terreno di caccia privilegiato proprio per la sua ricca biodiversità. Fino ad oggi secondo McGown sono 32 gli stati africani che hanno subito il saccheggio di risorse biologiche. Oggetto di attenzione da parte delle multinazionali sono particolari principi attivi estratti dalle piante, batteri presenti in determinati habitat che oggi rientrano nel loro esclusivo patrimonio intellettuale. Di esempi ce ne sono molti: si va dai fungicidi ricavati dai batteri degli escrementi delle giraffe in Namibia ai cosmetici a base di estratti del frutto Kokori in Nigeria, fino creme e prodotti di bellezza che l’impresa francese Dior Group ha realizzato grazie alla resina dell’albero di “okouamé” in Gabon, Camerun, Guinea Equatoriale e Congo. Nessuno di questi Stati ha beneficiato o beneficerà dei 13,5 miliardi di dollari ricavati dalla Dior Group.

Nel giro di 15 anni la Svezia utilizzerà energia derivante dall’utilizzo di fonti rinnovabili ed ecocompatibili. Lo ha dichiarato il ministro per lo sviluppo sostenibile, Mona Sahlin. La Svezia vuole essere, dunque, indipendente dal petrolio entro il 2020, una scelta che la pone al top della classifica dei paesi occidentali che hanno deciso di puntare all’energia rinnovabile e preparare il Paese all’abbandono del petrolio. Il settore pubblico non dovrà più approvvigionarsi con l’oro nero, ma potrà godere di energia prodotta da combustibili biologici. Una tendenza intrapresa dalla Svezia a partire dalla crisi del 1970: il paese scandinavo infatti è passato dal 77% al 32% di energia prodotta attraverso il petrolio. Oggi la metà del fabbisogno energetico è garantito dalle centrali nucleari di Agesta e Oskarshamn. Il riscaldamento proviene da fonti geotermiche o rifiuti. Il 26% dell’energia prodotta proviene da fonti rinnovabili, contro la media del 6% Europea. L’idea per il futuro è quella di produrre biocarburante attraverso l’uso, sostenibile, delle sue sterminate foreste, di aumentare la produzione di energia eolica e di sfruttare maggiormente l’energia delle maree e delle onde. Il Governo svedese sta lavorando con le università, centri di ricerca e produttori di automobili come Saab e Volvo. Quest’ultime dovranno produrre veicoli ad etanolo.

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In punta di piedi per correre su un terreno fragile

I Colli Tortonesi sono una terra di vini in provincia di Alessandria. Collocati vicino al triangolo industriale Torino-Milano Genova, negli anni ‘70 hanno subito un fenomeno di spopolamento costante. Un operaio guadagnava il doppio di un contadino.

Per problemi diversi servono soluzioni su misura, fantasia e creatività. Un’economia leggera, che valorizzi le risorse del territorio, le relazioni umane e la conoscenza e che riduca l’impatto ambientale. Alcune esperienze hanno dimostrato che è una via percorribile, perché dove c’è un’idea innovativa c’è anche lavoro stabile. di Elisabetta Tramonto

L NORD ITALIA CORRE, IL SUD NO. È ancora vero? Il copione di un Italia spaccata in due con un’economia in crescita, lavoro in abbondanza, ricchezza e benessere nelle regioni settentrionali e, dall’altra parte, un Mezzogiorno in stallo, inizia a fare acqua. Proprio nel ricco Nord stanno venendo a galla delle falle sempre più evidenti. Aree dai confini ben definiti, escluse dalle principali rotte commerciali, dove l’economia non parte, il lavoro manca, il reddito è basso e da dove la gente scappa per cercare fortuna in città. È possibile ridare vita a queste zone? Qual è la strategia migliore? Si è cercato di rispondere a queste domande in un convegno intitolato “Un’economia leggera per aree fragili” che si è tenuto a febbraio a Rovigo. Teoria e pratica si sono incontrate: l’analisi di docenti universitari e le storie vere di chi, proprio in queste aree fragili, ha trovato una soluzione per alzarsi e ricominciare a correre.

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Le aree in difficoltà sono zone di montagna. Redditi bassi, mancanza di lavoro e popolazione che invecchia

Nella foto i Colli Tortonesi in Piemonte, famosi per la loro produzione vinicola. | 58 | valori |

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RITORNO ALLA TERRA

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Mappa di un Nord in bilico È possibile disegnare con precisione la mappa di queste zone in difficoltà e delinearne un profilo. Sono soprattutto aree di montagna, con qualche eccezione nella pianura del Po. Aree dove la conformazione del territorio spesso rende difficile il decollo di un’attività economica di qualsiasi tipo. Centri sempre meno popolati e, contemporaneamente, sempre più abitati da anziani, dove il lavoro manca, le famiglie vivono con un reddito basso e i giovani sono andati in città, in cerca di un lavoro e di un futuro. «Sono due gli indicatori che abbiamo usato per individuare le zone economicamente deboli: il declino demografico e il reddito pro-capite», spiega Giorgio Osti, docente di sociologia all’Università di Trieste. Sovrapponendo questi due indicatori a una cartina del Nord Italia sono emerse le pecore nere del Nord Italia (vedi mappa). Una zona fragile corre lungo il crinale dell’Appennino emiliano-romagnolo, per manifestarsi in pieno all’incrocio tra le quattro province di Piacenza, Pavia, Alessandria e Genova. C’è poi una parte della montagna cuneese e torinese, i comuni perife-

rici della Val d’Ossola e della Valsesia, i comuni che dividono la Valtellina dalle vallate bergamasche e bresciane. Quindi l’alta Carnia, parte della provincia di Belluno e di Pordenone. Allontanandosi dalle montagne le situazioni più difficili emergono nei comuni rivieraschi del Po a valle di Rovigo e Ferrara e nella zona collinare del Piemonte centro-meridionale.

Un cocktail di perché Perché queste zone non sono riuscite a tenere il passo del resto dell’Italia settentrionale? «Non esiste un’unica spiegazione, ma un mix di ragioni», risponde Giorgio Osti, «le difficoltà provocate da un territorio come la montagna che rende difficile qualsiasi attività economica, l’isolamento, una tradizione industriale debole, l’aumento della competitività, la vicinanza e contemporaneamente l’esclusione dalla dinamica dei grandi poli del Nord Italia». «È un problema che nasce da lontano», aggiunge Mauro Bonaiuti, docente di economia del territorio all’Università di Bologna. «Questa situazione è la conseguenza di un modello economico

LA COOPERATIVA VALLI UNITE racconta la storia di una migrazione al contrario, dalla città alla campagna. La storia di tre amici sui ventenni, Ottavio Rube, Cesare Berutti ed Enrico Boveri, che nel 1977 lasciano il lavoro in fabbrica per trasferirsi nella Val Curone, sui colli Tortonesi, per prendere in mano le aziende agricole, ormai abbandonate, dei propri genitori. Una scelta economicamente per niente conveniente (un operaio in fabbrica guadagnava il doppio di un contadino) ma in cui credono molto. Uniscono le loro forze per affrontare una sfida difficile in una zona impervia: pendii scoscesi che certo non aiutano l’agricoltura. Siamo all’incrocio tra le province di Alessandria, Pavia, Piacenza e Genova. Una zona che alla fine degli anni ‘70 aveva già iniziato a spopolarsi, la gente lasciava i campi per spostarsi nelle più comode città dei dintorni. Nel 1981 insieme ad altri 7 soci fondano la Cooperativa Valli Unite e nel giro di pochi anni decidono di dedicarsi all’agricoltura biologica. Difficili gli inizi, ci sono voluti anni per ingranare. In paese, a Costa Vescovato, li prendevano per matti. Oggi nella cooperativa lavorano 16 persone. Producono soprattutto vino, tutto rigorosamente bio. Ma coltivano anche fieno e cereali e allevano suini e bovini. Hanno un agriturismo e un locale ristorazione dove gustare i piatti classici della cucina piemontese e i vini della cooperativa. Hanno saputo trovare la ricetta giusta per sfruttare le risorse del territorio senza alterarne la natura. Hanno accorciato le distanze con il consumatore, vendendo i prodotti allo spaccio della Cooperativa e trovando dei contatti con i Gas, i gruppi di acquisto solidale della zona. E stanno già guardando oltre: a un progetto di raccolta differenziata dei rifiuti organici, per poi utilizzarli per la coltivazione della vite. L’unico neo: la vendita del vino oltreconfine. In questo caso la filiera non è più corta e i costi ambientali ed economici aumentano. Ma, in compenso, in Olanda, Germania e Svizzera possono gustare il vino Valli Unite. Per informazioni: www.valliunite.com

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OLTRE IL BIO, LA NATURAL VALLEY

SULLA STRADA DELL’AUTOSUFFICIENZA ENERGETICA

PRODOTTI NON SOLO BIOLOGICI, DI PIÙ. Un’attenzione al territorio, il recupero delle antiche tradizioni agricole locali, il rispetto di standard qualitativi rigorosi. Il marchio Natural Valley identifica un’area ben definita della provincia di Piacenza: 60 mila ettari di terreno di montagna e di alta collina selezionati dopo un’attenta analisi che ha verificato l’assenza di fonti di inquinamento di acqua, aria e suolo. Sono una cinquantina le aziende agricole che hanno superato l’esame e che possono vendere i propri prodotti con il marchio Natural Valley. Un’idea nata quattro anni fa da alcuni giovani agricoltori della zona per caratterizzare i propri prodotti, con un marchio di qualità superiore. La maggior parte delle aziende che hanno Cinquanta aziende agricole hanno superato aderito, infatti, sono formate l’esame per vendere i prodotti di qualità. da trenta-quarantenni, con molta voglia di innovare e di investire in un’agricoltura di qualità. Alcuni di loro fino a pochi anni fa vivevano in città, mentre oggi allevano capre e coltivano cereali biologici. È una produzione di nicchia: latte, carni, frutta, farine biologiche, formaggi realizzati con metodi tradizionali, salumi di animali allo stato brado. Tutto realizzato in quantità limitate e distribuito solo nella zona, dal consorzio Bio-Piace. L’80% della produzione arriva nelle mense scolastiche di Piacenza e dintorni. Un esempio di un’iniziativa che ha valorizzato le risorse del territorio e ha saputo attirare popolazione giovane, invertendo un esodo iniziato almeno vent’anni fa. Per informazioni: www.provincia.piacenza.it/agricoltura/natural%20valley/nv.htm

UNA SQUADRA DI ESPERTI AL LAVORO PER STUDIARE A TAVOLINO IL PIANO ENERGETICO di 6 comuni nella provincia di Ferrara: Copparo, Berra, Jolanda di Savoia, Tresigallo, Formignana e Ro. Obiettivo: raggiungere l’autosufficienza grazie alle fonti energetiche rinnovabili. Blackout, nevicate e guasti alla rete, pronti a capitare all’improvviso, provocando l’interruzione dell’erogazione di elettricità, hanno fatto salire il progetto “energia locale” in cima alla classifica delle priorità delle amministrazioni locali. Eventi che dal 2002, quando il progetto è iniziato, ad oggi sono puntualmente capitati, provocando danni notevoli per il mondo agricolo e industriale e disagi per i cittadini. Il progetto per l’autosufficienza energetica è in dirittura di arrivo. Dopo aver analizzato il fabbisogno energetico dei sei comuni e aver individuato la migliore fonte rinnovabile da adottare in base alle risorse del territorio, la soluzione migliore sembra essere una centrale a cogenerazione, che quindi produca energia elettrica e riscaldamento, alimentata a biomassa, utilizzando come combustibile i residui agro-alimentari, soprattutto il mais, abbondante nella zona. Una soluzione che potrebbe avvantaggiare anche gli agricoltori in crisi da anni. Per soddisfare il fabbisogno energetico dei sei comuni, circa 255 mila megawatt di energia elettrica e 540 mila megawatt di energia termica all’anno, sarà sufficiente un impianto di dimensioni ridotte, da 30 megawatt di potenza.

L’ALBERGO DIFFUSO CARNIA

La “Bassa Ferrarese”, 6 comuni hanno dato vita ad un progetto per raggiungere l’autosufficienza energetica grazie alle fonti rinnovabili.

La Val Camonica ha promosso un progetto per dare servizi bibliotecari a 29 paesi della valle.

La realtà territoriale italiana risulta caratterizzata non solo dal dualismo nord-sud, ma anche da quello tra vaste aree montane, collinari e centri minori della pianura in spopolamento e aree metropolitane e fasce costiere invece in espansione. Il mutamento della fisionomia dei fenomeni demografici è quasi sempre in relazione con le modificazioni dell’assetto economico-territoriale.

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Dalla precarietà è nato un progetto culturale per i comuni della valle. I ragazzi che lavoravano in biblioteca adesso sono stati assunti

CULTURA IN RETE PER CREARE LAVORO

1991-2001

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Natural Valley: attenzione al territorio, il recupero delle antiche tradizioni agricole locali il rispetto degli standard qualitativi

BIBLIOTECA IN RETE VAL CAMONICA

Variazione percentuale della popolazione

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BASTA UN PIZZICO DI CREATIVITÀ per prendere due piccioni con una fava. Fornire servizi culturali a un intera vallata e contemporaneamente creare nuovi posti di lavoro. È questo il risultato di un progetto realizzato da 29 amministrazioni comunali della Val Camonica insieme alla comunità montana, con un investimento di circa 400 mila euro all’anno. Hanno creato una nuova società, per ora un ramo di una cooperativa esistente, la Csc, nel consorzio Sol.Co Camunia, ma che a novembre diventerà una nuova cooperativa sociale, per fornire servizi culturali e bibliotecari ai paesi della valle. Per capire l’utilità dell’iniziativa bisogna calarsi nel territorio. Una vallata che si sviluppa per 85 chilometri tra l’estremità nord del lago d’Iseo e il Passo del Tonale, su cui si aprono numerose valli laterali. 41 piccoli comuni piuttosto isolati, per un totale di circa 90 mila abitanti. Tra ogni paese e la città più vicina, Brescia o Bergamo ci sono da un minimo di 45 a un massimo di 130 chilometri. Trovare un libro era un’impresa. Da gennaio non più grazie al nuovo servizio bibliotecario che collega un rete di 29 biblioteche nella vallata. È attivo ad esempio un servizio di prestito interbibliotecario che permette di ricevere libri da Brescia. L’idea è nata dai ragazzi che lavoravano nelle biblioteche, molti precari. Nove di loro sono già stati assunti e stanno seguendo un corso di formazione per creare tra qualche mese la loro cooperativa sociale per i servizi culturali in Val Camonica. La comunità montana darà a ciascuno un premio: 2000 euro per costituire il capitale sociale. Per informazioni: www.solcocamunia.it

NATURAL VALLEY PROVINCIA DI PIACENZA

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LE VALLI UNITE COLLI TORTONESI

PIANO ENERGETICO COPPARO, BERRA, TRESIGALLO, FORMIGNANA, JOLANDA DI SAVOIA, RO

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Non esiste un’unica soluzione per le aree fragili del Nord Italia. Occorre un’economia su misura che guardi al contesto La storia dell’Albergo Diffuso Comeglians inizia nel 1978, quando il Politecnico di Zurigo elabora tesi di laurea sul tema della riconversione del territorio. Nel 1982, grazie a fondi europei parte il progetto pilota il cui scopo è quello di invertire la tendenza rispetto al degrado in atto. Da allora si parla di “Albergo diffuso”.

che pretende di imporsi ovunque, qualsiasi sia il contesto sociale e geografico. Un modello basato sulla produttività e sul processo tecnologico che innesca un circolo vizioso per cui chi produce di più, guadagna di più, quindi investe di più in tecnologia. È un circolo che si autoalimenta dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Ne paga le conseguenze chi resta indietro: il Sud del mondo rispetto al Nord del mondo, il Sud Italia rispetto al Nord Italia e, nello stesso Settentrione, le aree più fragili».

L’ambiente paga pegno

SE UN BORGO DIVENTA UN ALBERGO ADDIO ANONIME CAMERE D’ALBERGO. Chi non sceglierebbe il calore e la personalità di una vera casa con i confort di un hotel? Si chiama albergo diffuso, è un modo nuovo di pensare il turismo e, contemporaneamente, un metodo per recuperare e conservare il patrimonio storico e artistico dei borghi sparsi per tutta Italia. In questo caso siamo a Lauco, un paesino di 870 abitanti nella Carnia, in provincia di Udine. Tra meno di due mesi, a metà giugno, sarà inaugurato l’undicesimo albergo diffuso del Friuli Venezia Giulia. Anziché svilupparsi in verticale, come gli alberghi tradizionali, è disposto in orizzontale nell’intero paese. 114 posti letto in 10 residenze, rimesse a nuovo per l’occasione. La Regione infatti ha messo a disposizione dei fondi europei per ristrutturare le case che sono diventate “stanze” dell’albergo diffuso. La spesa è quindi ripartita tra la Regione (fino a un 50% dell’investimento e fino a un massimo di 100 mila euro) e i privati che aderiscono all’iniziativa. Con un investimento totale di 1,2 milioni di euro, di cui 650 mila di contributo europeo, gli organizzatori prevedono di chiudere il 2007 con un fatturato di circa 150 mila euro e precisano: realizzare lo stesso numero di posti letto in un albergo tradizionale sarebbe costato circa tre volte di più. A Lauco hanno partecipato dieci famiglie, che hanno fondato una cooperativa. Molti abitano a Udine e hanno in paese la loro seconda casa, spesso residenze storiche quasi abbandonate, che cadrebbero a pezzi se non fossero state ristrutturate. La gestione dell’albergo è affidata a una società esterna che si occupa della promozione, delle prenotazioni, dell’accoglienza degli ospiti, della manutenzione delle case. Come in un qualsiasi albergo, anche a Lauco c’è una reception, in un ex deposito nel palazzo del comune, dove gli ospiti vengono registrati e poi accompagnati nelle loro “stanze”. Possono cucinare in casa o usufruire dei ristoranti della zona convenzionati. I prezzi sono molto competitivi: a seconda del pregio della casa spaziano dai 20 ai 50 euro a persona per notte in alta stagione. A queste cifre si può dormire in un letto antico, nel centro di un borgo circondati da un paesaggio mozzafiato. Come dire di no. Per informazioni: info@albergodiffuso.it

È un modello di sviluppo che, concordi tutti i relatori del convegno, danneggia enormemente anche l’ambiente ed è ecologicamente insostenibile. «Usiamo le risorse ambientali come se fossero infinite, senza considerare che invece prima o poi finiranno», continua il professor Bonaiuti, «basta un po’ di buon senso per accorgersi che un pezzo di legno nella stufa non può bruciare più di una volta». «La struttura sociale che si sta affermando, in particolare nell’Italia settentrionale, non fa che peggiorare la situazione, danneggiando ulteriormente l’ambiente. Nelle aree fragili questo è ancora più evidente», sottolinea Giorgio Osti. «La società sta diventando sempre più mobile ed egoista. Le persone si spostano e comunicano velocemente. Le famiglie sono sempre più piccole e la cosiddetta reciprocità, cioè le relazioni sociali, l’aiuto reciproco in famiglia, tra amici o vicini di casa, sta scemando. Anche l’ambiente ne risente perché aumenta la cosiddetta impronta ecologica. Tanto più piccoli sono nuclei familiari quanto più aumenta il consumo di energia, la produzione di rifiuti, lo spreco di risorse».

Ricette leggere per rialzarsi Non esiste un’unica soluzione ai problemi delle aree fragili del Nord Italia. Per il professor Bonaiuti la risposta è un’economia su misura, diversa a seconda del contesto in cui viene realizzata. Due i fattori chiave per Giorgio Osti: una popolazione sufficientemente numerosa ed equilibrata nelle diverse fasce d’età e la sostenibilità ambientale. «Serve un’economia leggera, con il minimo impatto ambientale e che sappia sfruttare fattori immateriali dello sviluppo come la conoscenza e le capacità umane», conclude il professor Osti. Un’economia che valorizzi al massimo le relazioni umane, la mobilità anche virtuale, la diffusione dell’informazione, la vicinanza tra la produzione e il consumo. Qualcuno ha già imboccato questa strada e, nonostante le difficoltà iniziali, ha trovato la propria ricetta per correre, non il più velocemente possibile, ma alla velocità migliore per quel singolo caso.

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Soft economy

La risposta al declino del Bel Paese di Massimiliano Pontillo

I dati, quelli veri, non ci mettono certo di buon umore. Il Pil italiano è cresciuto nel 2004 del 1,2 %; nel 2005 la crescita è stata pari allo zero. Il Paese è entrato tecnicamente in recessione, afflitto da una straordinaria malattia: siamo i più lenti di tutti nello scattare in ripresa, i più veloci ad andare in frenata quando arriva il tempo delle vacche magre! Quale è la strada giusta da percorrere e verso quale direzione? Non sono certo i condoni, o le sanatorie edilizie e la deregulation a rimettere in moto il sistema produttivo, quello veramente capace di trasformare l’intera penisola in un brand di successo. Piuttosto è arrivato il momento di puntare con decisione su un’economia basata sulla conoscenza e l’innovazione, l’identità, la storia, la creatività, la qualità. Un’economia in grado di assicurare al contempo la coesione sociale e la competitività, traendo forza dalla comunità e dal territorio: una soft economy. Capace di rovesciare il nodo delicato dei rapporti commerciali con le nuove potenze mondiali, Cina e India in primo luogo, trasformando la minaccia di un’invasione di merci a basso costo nell’opportunità di un serio e proficuo bilancio dell’export italiano, con prodotti dell’alta qualità. Un nuovo made in Italy sinonimo del buon vivere, del gusto e del saper produrre. Daremo nuovo e brioso slancio al Bel Paese se saremo capaci di puntare sulla ricerca e sull’innovazione, sull’efficienza e l’uso razionale delle risorse, sul rispetto dell’ambiente e sui prodotti tipici e biologici. Possiamo, e dobbiamo, Crescendo assieme al territorio, anziché contro. Riqualificando puntare su un nuovo le città e valorizzando il nostro patrimonio storico- culturale, made in Italy sinonimo unico al mondo. del buon vivere, del gusto e del saper produrre La globalizzazione ci impone di puntare sulle nostre speciali in armonia con l’ambiente attitudini se vogliamo restare protagonisti sul mercato mondiale. Abbiamo ereditato dai nostri antenati, artigiani delle botteghe rinascimentali la qualità estetica, la raffinatezza, il gusto, la forza della cultura, della storia e del territorio: ossia la capacità di valorizzare un prodotto, qualunque esso sia, con alti contenuti simbolici. In tutto il mondo crescono i consumatori che comprano prodotti italiani alla ricerca di questi valori, e per noi è una grande opportunità! La generalizzazione su scala mondiale del benessere tende a far apprezzare sempre di più il valore intrinseco degli oggetti, delle idee, dei prodotti. Aprile è un mese importante per via delle elezioni politiche: potrà ridarci la speranza di un futuro produttivo a “misura d’uomo”? Per l’Italia portatrice di una economia sostenibile si apre una doppia scommessa. Da una parte, la possibilità di far crescere il proprio ruolo internazionale contribuendo alla definizione di uno stile di vita europeo capace di attrarre consensi, di rafforzare l’identità propria e della UE allargata e di porsi come punto di riferimento per un sistema di regole globali. Dall’altra, l’opportunità di aumentare il proprio peso specifico sviluppando una economia legata al territorio, recuperando i saperi tradizionali, difendendo le culture locali e il paesaggio, puntando sulla ricerca nei settori avanzati, all’hi-tech, alla tutela dell’ambiente. Dipenderà tutto dalla nostra capacità di usare le mille risorse, o di assecondare i mille vizi, del nostro Paese. Ci vorrebbe anche un pò di rock, prima che l’Italia si addormenti definitivamente. Possiamo ancora farcela!

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A SITUAZIONE ECONOMICA È DECISAMENTE PREOCCUPANTE.

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altrevoci COME NACQUE LA PRIMA BANCA POPOLARE ITALIANA

COOPERARE E VINCERE I PIRATI SI PUÒ

LOW COST E IL CETO MEDIO SCOMPARE

IDEA E STORIA DEL COMMERCIO SOLIDALE

FITZGERALD, CYBORG SENZA FUTURO

IL PASSATO È UNA TERRA AFRICANA

«Vi raccomando la banca». Tiziano Zalli, fondatore della Banca Popolare di Lodi, prima di morire ripeté questa frase per ben due volte. Un epilogo che ha il sapore della beffa, alla luce di quanto successo un secolo dopo all’istituto diretto da Gianpiero Fiorani. A fare la differenza non sono solo i baffoni risorgimentali, il cappello e il panciotto del primo, rispetto ai vestiti griffati, i capelli impomatati e la mondanità del secondo. La cosa che colpisce è lo scarto etico abissale tra l’uomo che diede vita a questa banca e chi ne raccolse l’eredità molto tempo dopo. Zalli morì quasi povero - che per un banchiere è già di per sé una cosa curiosa - lasciando in eredità alla comunità lodigiana la prima banca popolare italiana e un patrimonio di umanità inestimabile. «Lodi povera conosce il cuore di Zalli» scriveva il giornale locale nel giorno del suo funerale. La storia del padre della Popolare di Lodi è stata raccontata dallo storico Ercole Ongaro. Tiziano Zalli è l’ultimo di sette figli di una famiglia benestante. Oppositore degli austriaci è tra i sostenitori finanziari l’impresa garibaldina dei Mille. Nel 1860 fonda una società di mutuo soccorso. I soci sono 593, in buona parte operai e artisti. Zalli difende con forza la presenza di donne nella società, nonostante le pressioni per escluderle. Nel 1863 illustra sul “Corriere dell’Adda” il progetto di costituire a Lodi una banca popolare. Servirà soprattutto agli artigiani che hanno difficoltà ad accedere al credito e sono costretti a ricorrere al prestito d’usura con interessi insostenibili.

La cooperazione internazionale allo sviluppo è uno strumento fondamentale e strategico per costruire uno sviluppo umano sostenibile. Il libro di Luciano Carrino analizza i vari aspetti della cooperazione, soprattutto le criticità. Un concetto che va ripensato alla luce della globalizzazione, che impone la costruzione di un nuovo multilateralismo, dove il rapporto non è più tra paesi donatori e sottosviluppati. Un nuovo progetto di sviluppo può essere compreso solo se tutti gli attori sociali orientano la loro riflessione verso la costruzione di nuove regole per la cooperazione internazionale, partendo dalla domanda: come mai il grande divario di ricchezza tra Nord e Sud del Mondo è rimasto tale? Il problema, secondo l’autore, non è dovuto alla mancanza di fondi, ma alle logiche che presiedono le forme di aiuto che spesso sono uno strumento di penetrazione economica e culturale. Le esperienze di cooperazione sono perle, il problema è vincere l’aggressione dei pirati dello sviluppo.

È forse l’accoppiata di parole che più caratterizza questo tempo. Low cost è un fenomeno soprattutto economico, ma anche sociale e politico. Il basso costo è la formula dell’economia globalizzata, quella di chi vuole consumare di più e nel modo più conveniente. Tutti possono viaggiare a prezzi stracciati, vestirsi a prezzi stracciati, o comunicare a prezzi stracciati. Google, Zara, Skype, Ryanair, Ikea, Wal-Mart sono diventati il vessillo di questo nuovo popolo di consumatori. Al vecchio e caro ceto medio, incapace di adattarsi ai cambiamenti che impone questa rivoluzione democratica, non resta che abbandonare il campo. Il nuovo capitalismo osserva il tramonto di quello vecchio e con lui quello del consumatore borghese, che perde reddito e sicurezze. L’equazione più consumi e più squilibri genera i nuovi ricchi che ostentano senza ritegno la loro opulenza, incuranti dei nuovi poveri, pensionati e operai fino a ieri sicuri del loro reddito. Alla politica il compito di dare risposte nuove ed evitare la lotta tra miserabili.

«L’idea di arrivare sul posto per chiedere “Come va?” Non mi sembrava opportuna. “Eccone un altro che viene a trovarci” avrebbero pensato i campesinos. Una persona incontrata per caso mi parlò di un produttore di Los Pajaritos, a otto ore di cammino. Laggiù, ho raccolto caffè per quattro settimane». È questo l’inizio di un lungo percorso intrapreso da Frans van der Hoff, teologo ed economista, nato in Olanda nel 1939, che parte con la necessità intima, prima astratta poi man mano sempre più concreta, di rendere il mondo migliore. Nel libro è lui stesso a raccontare l’utopia che lo ha mosso, dopo aver conosciuto la miseria in cui vivono i piccoli produttori di caffè del Messico e aver vissuto e lavorato con loro. Di fronte a tanta ineguaglianza e per garantire un prezzo equo della materia prima, nel 1981 der Hoff fonda l’Unione delle cooperative indigene dell’istmo (Uciri), poi nel 1989 dà vita al marchio Max Havelaar con il quale apre la strada al commercio equo solidale. Un’idea coraggiosa per modificare le regole dei mercati.

Chi è Duane Fitzgerald? Un uomo o quel che rimane di un uomo? Il protagonista di questo romanzo è un quarantenne, schivo e misterioso, che vive in Irlanda sulla costa atlantica. Il suo problema però non è il futuro, bensì il passato. Duane è stato un militare, e non un soldato qualsiasi. Insieme ad altri ha partecipato ad un progetto che avrebbe dovuto trasformare lui e i suoi compagni in cyborg invincibili. Un segreto che non può confessare a nessuno. Un giorno in paese compare uno sconosciuto che sa molto di lui e lo sta cercando mentre gli altri suoi compagni nel progetto cominciano a scomparire uno dopo l’altro misteriosamente. Per Duane Fitzgerald gli anni della quiete sono finiti: inizia così una corsa contro il tempo e infatti non è un caso che ogni capitolo, tranne il primo, è aperto da una frase di Seneca. Lo scrittore Andreas Eschbach è autore di romanzi originali, fatti di intrecci narrativi brillanti, è diventato famoso con “Lo specchio di Dio”, un triller sul mistero della vita di Gesù.

Un algerino che ha vissuto in Germania, dove è emigrato circa 25 anni prima, ritorna negli anni Novanta nella sua terra di origine. La scelta di ritornare in patria arriva dopo la confessione di un amico berlinese, che gli racconta alcuni fatti di cui è venuto a conoscenza durante il periodo passato nella Legione straniera. Si tratta di un dramma che ha travolto un’intera famiglia algerina che l’emigrato riconosce come la propria. Il ritorno nella terra natia sarà doloroso, più del distacco di 25 anni prima. Un romanzo esistenzialista quello di Magani (1948) che affronta il tema del confronto tra le culture, ma anche quello drammatico della guerra civile vista con gli occhi di un uomo che ha subito la violenza del potere. L’autore infatti ha vissuto per molti anni in esilio in Germania, in quanto scrittore perseguitato, e fa di questo conflitto esitenziale la propria dimensione letteraria, dove il dolore personale diventa lo strumento per raccontare il dramma collettivo di un popolo. Magani ha vinto il Gran Prix litteraire di Algeri. .

ERCOLE ONGARO TIZIANO ZALLI. UNA VITA UNICAMENTE A VANTAGGIO DEL PAESE

LUCIANO CARRINO PERLE E PIRATI

M. GAGGI, E. NARDUZZI LA FINE DEL CETO MEDIO

FRANS VAN DER HOFF “FAREMO MIGLIORE IL MONDO”

ANDREAS ESCHBACH L’ULTIMO DEI PERFETTI

Einaudi, 2006

Bruno Mondadori, 2006

Fanucci, 2006

Erickson, 2005

Editrice Sae, 2005 | 66 | valori |

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MOHAMED MAGANI UN TEMPO BERLINESE

Besa, 2005

narrativa

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UNA STORIA D’AMORE IN MEDIO ORIENTE PETER, IL RAGAZZO CHE AMAVA ANNE FRANK

Il lettore non si deve lasciare spaventare dalla mole di questo libro (856 pagine) e tantomeno dall’albero genealogico del clan Si può essere profondi conoscitori del proprio Shain riprodotto all’inizio presente, ma non avere consapevolezza del del romanzo e quello del clan proprio passato. Quando è così al posto della Mushtak riprodotto alla fine. memoria si può usare l’istinto. Così vive Peter. Il libro di Rafik Schami si fa La sua vita scorre senza sussulti in un presente leggere con molta leggerezza, malato, perché è tale quello senza memoria. perché lo stile di questo Il suo futuro è appeso a questo oblio e tutto scrittore siriano (Damasco funziona fino a quando il Diario di Anne Frank 1946, costretto dal 1971 viene pubblicato. all’esilio in Germania per motivi E così quell’istinto si trasforma in storia politici) è fresco e brillante. e tutti i tasselli della vita dimenticata trovano Una scrittura cristallina una nuova collocazione. Lui potrebbe essere resa in maniera perfetta l’unico sopravvissuto della casa che si trova dalla traduzione dal tedesco al 263 di Prinsengracht ad Amsterdam. E se Peter di Rossella Zeni. Van Daan non fosse morto durante la marcia Shami racconta la storia della morte nel maggio 1945, dove vivrebbe? dell’amore del giovane Che cosa avrebbe fatto se fosse scampato e passionale Farid e della bella alla shoah? È quello che prova ad immaginare e sensuale Rana. Un amore reso in questo romanzo Ellen Feldman giornalista difficile dalla faida sanguinosa del New York Times e dell’American Heritage. delle due famiglie. Lo scrittore, Peter ha solo vent’anni, quando nel 1946 partendo da una piccola storia, sbarca negli Stati Uniti. Nel Nuovo Mondo riesce a ricostruire la vicenda si ricostruisce un’esistenza e realizza il sogno mediorientale dalla fine di vivere una vita ideale nell’America dell’Impero Ottomano fino del benessere, a costo di cancellare totalmente ai giorni nostri. Le incertezze, il suo passato. “Rifiuto di vivere nel passato. i timori e la passione dei due Non ne parlo. Non ci penso mai. Quando amanti diventano lo specchio la mia mente torna indietro, si ferma alla plancia dell’incertezza, della passione da sbarco della nave da cui sono sceso.” Peter e del timore di un popolo. nega, dunque, ogni ricordo, nega il suo essere E Quando la storia ti impone ebreo perfino alla moglie. C’è però quel diario la sua grandezza, allora l’amore a ricordargli che lui potrebbe essere il ragazzo puòanche sembrare un lusso. di cui Anne si innamora nel rifugio di Amsterdam. Non per Farid e Rana. ELLEN FELDMAN IL RAGAZZO CHE AMAVA ANNE FRANK

RAFIK SCHAMI IL LATO OSCURO DELL’AMORE

Corbaccio, 2006

Garzanti, 2006 |

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UFFICIALI, PRIGIONIERI DI GUERRA INEDITI

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A differenza di altre prigionie avvenute nel corso della Seconda Guerra Mondiale, quella dei soldati italiani in Germania, in particolare quella degli ufficiali, trovò un singolare testimone nelle macchine fotografiche. Tra la produzione fotografica realizzata nei lager, spesso frammentaria e tecnicamente non perfetta, emerge quella del tenente Vittorio Vialli, che riuscì a scattare clandestinamente nei diversi campi oltre 400 immagini, sviluppate solo a fine guerra, al rientro in Italia. In questo libro si propone una selezione a cui sono state aggiunte alcune immagini inedite scattate da altri prigionieri. Adolfo Mignemi coordina il gruppo di lavoro sulle fonti fotografiche dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia e della rete degli Istituti storici della Resistenza. Ha curato i volumi “Storia fotografica della Resistenza” (1995; nuova ed. 2002) e, con Giovanni De Luna, “Storia fotografica della Repubblica sociale italiana”; “La seconda guerra mondiale” (Roma 2000).

NOVECENTO UNO SGUARDO SULLA STORIA D’ITALIA “Novecento” di Bernardo Bertolucci è diventato un film culto e, a distanza di trent’anni dalle riprese, continua ad esercitare una forte influenza nell’arte cinematografica e non solo. Le foto di Angelo Novi fanno rivivere lo spazio scenico dove è stato girato il film: le terre della Bassa, dove scorre il Po, «l’unico fiume rispettabile che esista in Italia», come diceva Giovannino Guareschi. Un “mondo piccolo” o un “microcosmo assoluto”, secondo Bertolucci, dove la nebbia annulla i confini, l’ideale per riprodurre il macrocosmo, i cinquant’anni di storia italiana. “Novecento” è una storia dura, fatta di sangue, repressione violenta del desiderio di cambiamento e di emancipazione. Le foto in bianco e nero di Novi riprendono i due volti dell’Italia: quella del contadino Olmo (Gerad Depardieu) e quella del padrone Alfredo (Robert De Niro). Intorno a loro un piccolo mondo di attori che avrebbero fatto la storia del cinema: Donald Sutherland, Stefania Sandrelli, Burt Lancaster, Dominique Sanda, Laura Betti a cui vanno aggiunti circa 800 contadini, donne e bambini sconosciuti. Angelo Novi (Lanzo D’Intelvi 1930- 1997) era considerato un maestro della fotografia di scena. Aveva firmato tutti i set di Bertolucci e collaborato con registi importanti tra cui: Lattuada, Comencini, Pasolini, Leone, Bolognini, Zurlini.

fotografia

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L’ATTIMO CHE CHIUDE UN DESTINO

LE VISIONI DI LINDBERG TRA MODA E REALTÀ

Tre frasi sul risvolto di copertina. Tre grandi uomini del Novecento che dichiarano il loro posto nel dolore del mondo. Alex Langer, Vittorio Gassman e Fabrizio De André. Sono loro che iniziano il lettore di “Che la terra ti sia lieve” in un viaggio tra i cimiteri d’Italia. Un tour guidato tra le tombe dei personaggi che hanno fatto la storia di questo Paese dal dopoguerra in poi. Nessuno è stato escluso. Tutte le categorie hanno avuto la loro croce nel libro: politici, cantanti, attori, sportivi, scrittori, finanzieri, economisti, imprenditori, terroristi, magistrati, giornalisti. II giornalista Luca Cardinalini e il fotografo Giuseppe Cardoni raccontano la fine del tempo dei vari personaggi, l’attimo decisivo che chiude l’appuntamento col destino. Il luogo, l’ora, le circostanze della morte riportate nel dettaglio. C’è l’istante e anche il dopo: il funerale, l’omelia, le impressioni dei parenti, le polemiche, ciò che avrebbe fatto di lì a poco. Insomma tutto quello che nessuno ricorda mai e che svanisce con l’emozione del momento. Le foto raccontano invece l’ultima dimora. Tombe che diventano meta di pellegrinaggio e tombe dimenticate.

Peter Lindberg è noto come il “poeta del glamour”. Fotografo richiesto e acclamato dalla moda riesce a stabilire una distanza artistica tra il soggetto e la realtà che lo circonda. Nonostante il mondo della moda sia molto artificioso, per necessità scenica, questo fotografo è capace di cogliere nei volti delle modelle un’emotività tutt’altro che scontata, riuscendo ad avvicinare lo spettatore ad un mondo che per definizione è lontano dalla quotidianità. I suoi scatti introspettivi rendono le top model terribilmente vicine, perché è nei sentimenti che i mondi si avvicinano. Wim Wenders, nella prefazione al libro, si chiede come faccia Lindberg a trasformare degli esseri divini in esseri umani, senza privarli della loro aura. Una magia che forse è anche il motivo per cui questo fotografo tedesco resta uno dei più amati e più richiesti dalla moda. Lindbergh ha 62 anni, ha firmato varie edizioni del Calendario Pirelli e le sue fotografie sono pubblicate sulle più importanti riviste del mondo.

L. CARDINALINI, G. CARDONI CHE LA TERRA TI SIA LIEVE

PETER LINDBERGH VISIONI

Derive e Approdi, 2006

Contrasto, 2006

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A CURA DI ADOLFO MIGNEMI STORIA FOTOGRAFICA DELLA PRIGIONIA DEI MILITARI ITALIANI IN GERMANIA

TULLIO MASONI, GUIDO CONTI IL NOVECENTO DI BERNARDO BERTOLUCCI NELLE IMMAGINI DI ANGELO NOVI

Bollati Boringhieri, 2005

Monte Università di Parma, 2005 |

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ANTOLOGIA DI DVD E SORPRESE INASPETTATE Si chiama “Wholphin” ed è un’antologia in formato dvd pubblicata dallo staff di “McSweeney’s”, la più celebrata rivista di narrativa contemporanea americana. L’idea è venuta al fondatore Dave Eggers dopo aver visto un documentario su Al Gore, il candidato alla presidenza americana. Il film mostra il politico nell’intimità familiare, insieme a moglie e figli. Un documento inedito che rivela un lato nascosto di Gore, considerato introverso e chiuso e che, se fosse stato trasmesso in campagna elettorale, probabilmente lo avrebbe aiutato. La rivista “Wholphin” nasce, quindi, per far circolare e dare visibilità a cortometraggi, film sperimentali, documentari e film di animazione che vengono ignorati pur meritando attenzione. Tra le prime curiosità selezionate c’è il filmato intitolato “La casa al centro”, un documentario prodotto dal Dipartimento della Difesa americana negli anni ‘50, nel quale vengono mostrati gli effetti del calore su tre case in legno vicine al luogo di un’esplosione nucleare. Risultato: quella verniciata meglio e ben tenuta non ha conseguenze.

UN VIDEO MOSTRA COME HANNO DISTRUTTO L’ALFA DI ARESE

WWW.WOLPHINDVD.COM

WWW.ARCOIRIS.TV

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C’era un tempo in cui in fabbrica entrava il grande Eduardo De Filippo e c’era un tempo in cui il popolo operaio, con il vestito della festa, varcava insieme a tutta la famiglia la soglia del grande capannone 6 per andare a teatro. È accaduto molti anni fa, all’inizio degli anni 80, all’Alfa di Arese. Undicimila persone, tra operai e loro familiari, accorsero in massa per assistere alla rappresentazione della “Filumena Marturano”. All’Alfa c’era un ciclo produttivo completo: entrava il rottame grezzo e uscivano autovetture fiammanti. Il consiglio di fabbrica era composto da 400 persone e se si saliva sul tetto della fabbrica si poteva andare in qualsiasi reparto, senza toccare mai terra. Oggi entrare nel capannone 6 fa impressione perché è stato distrutto. La morte di questa fabbrica è stata filmata da Mario Agostinelli, consigliere regionale di Rc, e da Mario Portanova, giornalista di Diario. Ci sono i tracciati per la sicurezza, gli elenchi dei turni con i nomi, ma la catena, il cuore della produzione, è stata fisicamente tranciata. «Sono entrati nello stabilimento di Arese di notte - dicono i curatori del video - e con le seghe a smeriglio hanno devastato e tranciato le catene di montaggio, comprese quelle più innovative, come quella della Multipla a idrogeno e della Panda 4x4, per evitare il reintegro dei lavoratori deciso dal giudice». Il filmato è scaricabile gratuitamente da internet in più versioni, a seconda del tipo di collegamento Internet del navigatore.

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PAROLE DAL CARCERE, SOFRI RACCONTA

ENRON, LA BANCAROTTA ENTRA NELLA STORIA

Adriano Sofri, dopo una vicenda giudiziaria infinita e che ha diviso il Paese tra innocentisti e colpevolisti, è stato condannato come mandante dell’omicidio del commissario Calabresi. Dei 22 anni di detenzione ne ha già scontati otto nel penitenziario “Don Bosco” di Pisa. In un’intervista, effettuata al Penitenziario il 27 ottobre 2004, Adriano Sofri parla delle forme, dei modi e del significato della comunicazione in carcere e come le parole, i gesti, le emozioni e gli stati d’animo siano trasformati dalla realtà della detenzione. «Il carcere respinge ufficialmente, per regolamento, una serie di linguaggi e questo naturalmente ha un’influenza enorme sulla condizione delle persone, ne fa proprio una genia differente». Oltre all’intervista di Karen Hassan, il dvd contiene materiali di repertorio dell’Archivio audiovisivo del Movimento operaio e democratico. Documenti che ripercorrono la storia del ‘68 italiano e una testimonianza del ‘97 sulla nascita, la storia e lo scioglimento di Lotta Continua.

Bilanci gonfiati, ruberie, corruzione e menzogne. Una società che sul mercato vale 60 miliardi di dollari si sgretola sotto i colpi di un’inchiesta di una giovane giornalista. È il caso Enron la più grande bancarotta nella storia del capitalismo, oggi raccontata in un dvd, per la regia del bravo Alex Gibney che è anche scrittore e produttore. Un film che descrive la parabola degli uomini Enron: gli amici di Bush, la nuova razza di capitalisti, gli enfant prodige coccolati dai cantori della new-economy, additati ai discepoli nelle business-school di tutto il mondo. In 4-5 anni Enron cresce a dismisura sul mercato, ma all’inizio del 2001 una giovane giornalista comincia a indagare e l’impero inizia a scricchiolare. Gli uomini Enron hanno fatto di tutto, strangolando l’intera California con speculazioni sull’energia elettrica. In un mese la Enron sparisce: da 60 miliardi di dollari a zero, tutto finito, 20mila dipendenti per strada e senza pensione, chiusi gli splendidi uffici. Gli uomini Enron sono davvero “poche mele marce” come sostiene Bush?

ADRIANO SOFRI KAREN HASSAN PAROLE DEL CARCERE. ADRIANO SOFRI RACCONTA

ALEX GIBNEY ENRON

Casini, 2005

Feltrinelli, 2006

novamont


stilidivita PARCHI REGIONALI ANCHE PER I DISABILI

UN SMS PER COMBATTERE IL CARO PREZZI DI FRUTTA E VERDURA

NEL 2010 SEI MILIONI DI LIBRI ON LINE

UNA VERNICE SPECIALE BLOCCA IL CELLULARE

OGM, UNA RICERCA CONFERMA I DUBBI

In Italia il 44 % dei parchi regionali hanno prediposto aree utilizzabili dai disabili. Si tratta di 135 spazi divisi tra sentieri, piste ciclabili, centri visita, musei, punti di ristoro, foresterie, progettati in funzione delle esigenze delle persone disabili. Si tratta di un progetto sostenuto da CTS e Legambiente. Le strutture accessibili alle persone con disabilità sono concentrate in 46 parchi regionali, sui 105 istituiti sul territorio nazionale, concentrati soprattutto al Nord, dove 27 hanno dichiarato di avere unità potenzialmente accessibili, contro i 12 del Centro e i 6 del Sud. Con delle eccezioni, come l’enplein della Basilicata che ha entrambi i parchi regionali accessibili ai disabili, o la Sardegna (1 su 1), Sicilia (3 su 4), Umbria (4 su 6) e Toscana (3 su 5). Gli interventi, soprattutto nei parchi del Nord (33%), hanno ricercato soluzioni che tenessero conto anche della complessità e delle varie forme di disabilità (motoria, sensoriale, psichica). Gli interventi di accessibilità fatti a strutture, spazi aperti e servizi, nell’83% dei parchi del Centro e nell’89% di quelli del Nord, hanno tenuto conto di un’utenza ampliata.

Il cellulare è il nuovo alleato dei consumatori. Per la spesa al mercato o al reparto orto-frutta del centro commerciale, può comunicare, infatti, i prezzi di frutta e verdura. ll servizio si chiama “SMS Consumatori”, è gratuito e il suo funzionamento è molto semplice. È attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Basta inviare un sms col proprio cellulare (48236 per Tim, 3 e Wind; 4312345 per gli utenti Vodafone) indicando il nome della frutta o della verdura di cui si vuole conoscere il prezzo e il gioco è fatto. Il sistema riconosce sia i nomi plurali che quelli singolari e comunque gran parte degli alias simili al nome originale. Ad esempio: pomidoro, pomidori, pomodoro, pomodori. In pochi secondi arriva la risposta, sul proprio telefonino: il messaggio sms riporta il nome del prodotto selezionato e tutte le informazioni sulla filiera dei prezzi: quello all’origine, all’ingrosso e alla vendita, diversificando quest’ultimo dato tra nord, centro e sud Italia. Il servizio è gratuito e nasce da un’intesa tra le associazioni dei consumatori e il ministero per le Politiche agricole e forestali (Mipaf). Inoltre se il consumatore si trova davanti a prezzi troppo elevati, rispetto a quelli indicati dall’sms del ministero, può segnalare l’abuso indicando anche il punto vendita che “esagera”. La sintassi per denunciare il caro prezzi è la seguente: nome del prodotto troppo caro, preceduto dal punto esclamativo e seguito dai dati sull’indirizzo del punto vendita. Per chi volesse consultare il servizio senza il cellulare può andare sul sito internet www.smsconsumatori.it dove sono reperibili tutti i dettagli e le informazioni.

Il progetto di biblioteca digitale europea non è più solo un sogno di qualche visionario. Nei prossimi anni almeno sei milioni di libri potranno essere consultati on-line. Il progetto dell’esecutivo Ue è partito e già entro un paio d’anni saranno accessibili circa 2 milioni di libri e altro materiale: film, fotografie o manoscritti, fino ad arrivare a 6 milioni nel 2010. La biblioteca dovrebbe offrire un accesso multilingue basandosi sul sistema Tel (The european library) che consente attualmente di consultare tutti i cataloghi on line in diverse biblioteche nazionali. Già entro la fine del 2006 la biblioteca digitale europea dovrebbe poter contare sulla collaborazione di tutte le biblioteche nazionali dell’Ue da estendere negli anni successivi anche agli archivi e ai musei. Della decisione saranno entusiasti i circa 140 milioni di utenti registrati delle biblioteche europee. L’ente che si occupa del progetto “European Library” (Tel-Me-Mor) ha però rimarcato in una recente indagine che i nuovi stati membri sono in netto ritardo nella digitalizzazione delle loro opere. Un gruppo di alto livello sul progetto biblioteca digitale europea si riunirà per la prima volta alla fine di marzo.

Poco tempo fa fu lanciato da una società israeliana “C-Guard LP" un’apparecchiatura capace di schermare gli ambienti dalla telefonia cellulare. Ora è la volta di una vernice “intelligente”, capace di bloccare la telefonia mobile. La trovata è di una società americana specializzata in nanotecnologie. Poche pennellate di vernice in un ambiente e questo viene isolato dalle chiamate mobili. Grazie alle nanotecnologie sono state inserire particelle di rame nella vernice in grado di deviare i segnali radio. Il rame è integrato all’interno di nanotubi nel silicato idrato di alluminio. Lo spessore dei nanotubi è 20 mila volte inferiore ad un comune foglio di carta. L’inserimento delle molecole di rame è in grado di bloccare il segnale. Inoltre, in sinergia con un dispositivo che raccoglie i segnali radio al di fuori della stanza trattata, si può intervenire sulla selezione delle trasmissioni. La vernice non attiva un segnale radio di contrasto e un filtro hardware abilita tutte le chiamate di emergenza, quindi non vi è una limitazione del servizio radio pubblico. Pare che le prime richieste siano arrivate dai preti che devono contrastare il trillo del cellulare durante la messa.

Un progetto di ricerca sugli ogm, finanziato dal ministero per le Politiche agricole e forestali e coordinato dall’Istituto Nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (Inran), dimostrerebbe che mangiare cibi geneticamente modificati e coltivare piante di questo tipo non è come mangiare cibi tradizionali e il loro impatto sull’ambiente sarebbe diverso. I ricercatori hanno scoperto che le cavie che erano state nutrite con farina di mais transgenico avevano una diversa reazione immunitaria. Seppure i ricercatori non si sbilanciano, le implicazioni di questo risultato sono importanti perché fino ad oggi nessuno era riuscito a dimostrare con certezza che gli organismi geneticamente modificati avessero degli impatti diversi sulla salute e sull’ambiente rispetto a quelli naturali. Per quanto riguarda l’influenza sull’ambiente i ricercatori hanno notato piccole differenze a livello di composizione della microflora del suolo. Infine, il trinciato integrale del mais, utilizzato nei mangimi animali, è risultato molto più ricco di lignina rispetto al trinciato del mais convenzionale. Particolare che rende il mangime meno appetibile.

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ITALIA CAMPIONE NEL CONSUMO PRO CAPITE DI ACQUA IN BOTTIGLIA L’Italia è in testa alla classifica mondiale per il consumo di acqua in bottiglia pro capite, con quasi 184 litri, seguita da Messico ed Emirati Arabi Uniti, con 169 e 164 litri, Belgio e Francia con 145, Spagna con 137. Il consumo mondiale d’acqua in bottiglia, nel 2004, ha raggiunto i 154 miliardi di litri, il 57% in più, rispetto ai 98 miliardi di litri di cinque anni prima. La maggior parte dei paesi dove c’è maggior consumo di acqua imbottigliata sono quelli dove l’acqua di rubinetto è sicura e potabile. Un consumo smisurato che fa aumentare rifiuti e consumi energetici. I dati provengono dalla ricerca dell’Earth Policy Institute di Lester Brown. Gli Usa sono i maggiori consumatori di acqua in bottiglia, con 26 miliardi di litri nel 2004, seguiti dal Messico con 18 miliardi di litri, da Cina e Brasile, con 12 miliardi di litri ciascuno, mentre Italia e Germania sono quinta e sesta, con oltre 10 miliardi di litri. Nei paesi emergenti, come Cina e India, il consumo per persona è cresciuto meno ma in proporzione, considerata la popolazione, il consumo in India è triplicato e più che raddoppiato in Cina, con previsioni di ulteriore crescita. L’impatto ambientale di questo consumo è notevole, in buona parte dovuto al trasporto su gomma, che su lunghe distanze comporta forti consumi di combustibili fossili. A questo si aggiunge l’inquinamneto per la produzione delle bottiglie di plastica, che poi diventano rifiuti, con ulteriori costi di smaltimento. Il consumo mondiale di plastica per la produzione di bottiglie per l’acqua ammonta a 2,7 milioni di tonnellate annue.

GLI AEREI CAUSA DI ANSIA E INSONNIA

DEODORANTI E CANCRO AL SENO, FORSE UN LEGAME

I cittadini eruropei che vivono male a causa del rumore e degli scarichi inquinanti dovuti alla presenza degli aeroporti sono circa tre milioni e mezzo. Lo rivela un’inchiesta condotta dal mensile La Nuova Ecologia. Tra gli aeroporti più contestati: Heatrow (Londra) con oltre mezzo milione di persone; Tegel (Berlino) più di 300mila; Charles de Gaulle (Parigi) 216mila, Malpensa (Milano) 200mila. Imputato principale è il rumore, che nelle zone più esposte può arrivare a punte di 80-90 decibel, con una durata di 90 secondi per ogni sorvolo. Il frastuono crea problemi di comunicazione, incide negativamente sui risultati scolastici e porta disturbi del sonno. Ad esempio, nel raggio di 10 km dall’aeroporto di Heathrow sono aumentate del 14% le prescrizioni di ansiolitici e antiasmatici. Infatti altro problema sono le sostanze residue della combustione dei motori dei jet: Nox (ossidi di azoto) e Pm, le stesse polveri sottili prodotte dal traffico automobilistico cittadino. I danni sembrano destinati ad aumentare dato che il trasporto di merci e passeggeri che prendono il volo è in continua crescita.

Una sostanza contenuta nei deodoranti potrebbe essere un fattore di rischio per i tumori al seno. Si tratta dei sali di alluminio. Lo suggerisce, seppur con cautela, una revisione delle ricerche finora condotte, pubblicata sul Journal of Applied Toxicology. Secondo gli studi effettuati all’Università di Reading (Inghilterra) dalla professoressa Philippa Darbre, questi sali sarebbero in grado di ostruire i canali sudoripari ed inibire, quindi, il normale processo di traspirazione. Questi elementi chimici sono in grado di penetrare attraverso la pelle e interferire con l’azione degli ormoni estrogeni, che sono coinvolti nello sviluppo e nella progressione del cancro al seno. Inoltre, proprio per le loro piccole dimensioni, questi composti vengono facilmente assorbiti e potrebbero, con il tempo, accumularsi nell’organismo, attaccare e danneggiare il DNA e la sua capacità di autoripararsi. La quantità di alcuni composti a base di alluminio presente nei deodoranti è spesso pari a un quarto del volume totale. La ricercatrice sostiene che siano necessari ulteriori studi per approfondire e chiarire le implicazioni di questi primi dati.

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informazionedisinformazione

PICCHIANO STRANIERO, LI INCASTRA UN FILMATO

KENYA ANCORA GIORNALISTI IN CARCERE

Poco meno di due minuti di filmato fatto con un telefono cellulare. Immagini e audio abbastanza chiari: due carabinieri e un poliziotto in borghese picchiano un immigrato in stato di ubriachezza. L’uomo è in mutande e ammanettato a un polso. È un «soggetto conosciuto» che, all’arrivo degli agenti, lancia sassi li minaccia con in mano il collo di una bottiglia rotta. Nel video si vede che il marocchino viene scaraventato sulla macchina, preso a pugni, buttato per terra e uno dei due carabinieri gli salta ripetutamente addosso. Un gruppo di ragazzi, anche loro nordafricani, stanno guardando la scena e filmano tutto con il telefono cellulare. Il filmato finisce sul sito dei Giovani Musulmani d’Italia, 20 sezioni in tutto il Paese. Uno degli iscritti al forum lo carica, ma i responsabili del sito lo tolgono dopo qualche giorno e lo consegnano alla digos di Reggio Emilia e da qui alla procura di Modena. Il filmato diventa di pubblico dominio. Secondo Amnesty International, l’Italia deve introdurre il reato di tortura nel codice penale e fornire agli agenti di pubblica sicurezza un’adeguata formazione sul rispetto dei diritti umani.

In Kenya la libertà di stampa è in pericolo. Dopo l’arresto dei tre giornalisti del quotidiano The Standard edito a Nairobi, un raid di uomini mascherati, che fonti ufficiali dicono appartenenti alla polizia, ha appiccato il fuoco alla tipografia del giornale mandando in cenere migliaia di copie e bloccando le trasmissioni della tv del gruppo Standard, Kenya Television Network (KTN). La colpa dei giornalisti kenyani è di aver scritto di un incontro segreto tra il presidente Mwai Kibaki e il suo rivale Kalonzo Musyoka, ex ministro rimosso qualche mese fa dopo il fallito referendum sulla nuova costituzione. L’articolo denunciava che al rivale politico sarebbe stato proposto di entrare nel governo e sostituire l’attuale vice presidente Moody Awori, coinvolto nello scandalo per corruzione che sta attanagliando il governo kenyano in questo ultimo mese. Organizzazioni per la tutela dei giornalisti e della libertà di stampa – come il Committee to protect Journalists e la Kenya Union of Journalists - hanno definito l’accaduto come “una chiara minaccia alla libertà d’espressione”.

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STAMPA E OGM, POCA OBIETTIVITÀ MARANO RITORNA ALLA GUIDA DI RAI DUE DOPO LA CENSURA DI MASSIMO FINI Dopo la direzione di Massimo Ferrario (Lega Nord), il comando di Rai Due ritorna al leghista Antonio Marano. Il giornalista Massimo Fini se lo ricorda bene Marano, perché fu lui l’autore della “censura preventiva” di “Cyrano”, il programma che doveva essere condotto dal giornalista e stoppato poco prima di andare in onda. Secondo Fini si tratterebbe di una esclusione ad personam, considerato che l’ultimo stop è arrivato recentemente (doveva partecipare alla trasmissione di Gigi Moncalvo) poco prima del cambio di guardia a Rai Due. Il paradosso è che, prima di essere censurato, Massimo Fini andò a colloquio con Marano e si portò anche un bel registratore per documentare tutta la verità. Lo smacco per il giornalista fu grande, perché a finire davanti alla Commissione di vigilanza non fu il direttore della rete, autore della censura, bensì la vittima. Una censura dettata dalla paura del giornalismo indipendente. «Lo stop - ha dichiarato Fini - arrivò probabilmente perché secondo qualcuno non si poteva far lavorare un antiberlusconiano come me. Mentre “Cyrano” era una trasmissione che aveva contenuti generali, non legati alla stretta attualità. L’altro aspetto è che io sono un cane sciolto, non appartengo a nessuna banda, Marano o non Marano, leghisti o non leghisti. Questa libertà fa paura». «Se qualcuno insiste a censurarmi mi metterò una stella gialla in petto».

Una ricerca “OGM e stampa italiana” è stata condotta dall’Osservatorio MediaBiotech, realizzato dal Consiglio dei diritti genetici (CDG). Gli articoli monitorati sono stati 200, presi da dieci quotidiani e otto settimanali nel biennio 2003-2005 e all’inizio del 2005, nei momenti in cui gli organismi transgenici hanno acquisito maggiore visibilità pubblica. La ricerca ha evidenziato che gli articoli dove veniva sostenuta una tesi sugli OGM sono presenti in percentuale scarsa (12,7%), seguite da quelle oggettive, in cui non ci sono opinioni, riscontrate nel 22,3% dei casi. Nel 25,7% sono state invece rilevate presentazioni “interlocutorie”, ovvero con rassegne di punti vista, mentre nel 39,3% quelle “valutative”, ovvero articoli in cui era evidente una presa di posizione o da parte dei protagonisti o da parte del giornalista. Assenti articoli con una spiegazione oggettiva, semplice e divulgativa. La ricerca ha infatti registrato come questo tipo di informazioni sia stata relegata a box o altri apparati di accompagnamento agli articoli.

diario


IL CONTO ECONOMICO 2005

I SETTORI PRODUTTIVI

RISORSE E IMPIEGHI

VALORE AGGIUNTO AI PREZZI AL PRODUTTORE E PIL AI PREZZI DI MERCATO VALORI CONCATENATI - ANNO DI RIF. 2000 (VAR. % SULL'ANNO PRECEDENTE)

-2,2

-1,5

-2,0

INDUSTRIA

IND. SENSO STRETTO

COSTRUZIONI

SERVIZI

-0,3

0,0

0,0 PIL AI PREZZI DI MERCATO

0,7

0,5

VAL. AGGIUNTO AI PREZZI PROD.

0,0 1,4 0,3 0,1 1,2 2,7 -0,6 0,3

AGRIC., PESCA E SILVICOLTURA

PRODOTTO INTERNO LORDO AI PREZZI DI MERCATO IMPORTAZIONI DI BENIE SERVIZI FOB CONSUMI NAZIONALI SPESA DELLE FAMIGLIERESIDENT! SPESA DELLE LIP SPESA DELLE ISP INVESTIMENTI FISSI LORDI VARIAZIONE DELLE SCORTEE OGGETTI DI VALORE ESPORTAZIONI DI BENIE SERVIZI FOB

IVA E IMPOSTE IND. SU IMP.

VAR % 2005-2004

FONTE: ISTAT

FONTE: ISTAT

AGGREGGATI

numeri

123

L’Italia a crescita zero nasconde brutte sorprese

punto zero): e questo perché non siamo competitivi e quindi nei 2005 ABBIAMO AVUTO un contributo positivo, pari rapporti con l’estero andiamo male. La differenza, per arrivare alallo 0,3 per cento da parte dei consumi. E, in attesa lo zero tondo calcolato dall’Istat, è data da un lieve aumento deldi avere i dati definitivi e dettagliati, si può già dire le scorte. che questo 0,3 per cento positivo (unica voce del 2005 con il segno E questa è la radiografia dello zero del 2005. Anno nel quale, in più) è ingannevole. Non c’è stata infatti alcuna ripresa dei consumi pratica, c’è stata una sola cosa positiva, e cioè la spesa pubblica. Tutin Italia, e non poteva esserci, visto che l’occupazione è in calo e i to il resto è andato male. Nel 2005 l’Italia è stata un paese complesalari sono quelli che sono. Lo 0,3 per cento in più dei consumi natamente bloccato, anzi in arretramento, nel quale l’unica cosa in sce quasi interamente da spesa pubblica. Non è il paese, insomma, movimento è stata la pubblica amministrazione. Nel 2004 la presche ha speso un po’ di più: sono i ministri di Berlusconi e gli enti sione fiscale italiana era stata pari al 40,6 per cento del Pil e nel 2005 locali che hanno speso un po’ di soldi. Questo 0,3 per cento in più risulta scesa al 40,5. Si dirà che è scesa appena di un soffio, di un’undei consumi è stata l’unica voce positiva. Infatti abbiamo un conghia. Ma, purtroppo è falso anche tributo negativo pari allo 0,1 per cenL’OCCUPAZIONE Redditi di lavoro in % del valore aggiunto* questo dato vero. Ecco che cosa è to della voce investimenti. E va no(*) Aggiustata per ii rapporto occupati totali/occupati dipendenti; nel 1998 si è successo. Le imposte dirette (Irpef, tato che questi cifra contiene anche depurato l'effetto da riduzione contributi sanitari e introduzione Irap ecc.) sono aumentate del 2% e quelgli investimenti immobiliari (che soTotale economia 58 le indirette sono salite addirittura del no stati cospicui). Il risultato è che, Industria escluse costruzioni 3,3%. Ma come fa allora la pressione allora, gli investimenti in beni capi57 fiscale generale a diminuire, sia pure tali (quelli che servono a migliorare 56 di pochissimo? La risposta non è l’efficienza delle imprese) sono lette55 complicata: sono venuti meno i conralmente crollati. 54 doni. Sono crollate infatti del 77% le Il cerchio si chiude con un saldo imposte in conto capitale, che misucon l’estero che toglie uno 0,3 per 53 rano anche il gettito dei condoni. cento al totale generale (che è apEL

N

FONTE: ELABORAZIONE DEL SOLE 24ORE SU DATI ISTAT

radio popolare

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52

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| numeridell’economia |

I paesi ricchi crescono ma si intravede una frenata ESTA IN OTTIMA SALUTE l’economia mondiale che, secondo l’Fmi, crescerà del 4,8% nel 2006 e del 4,7% nel 2007. E segnali di ripresa si avvertono anche in Italia, sebbene a tassi assai più contenuti: +1,5% quest’anno e il prossimo. Un anda-

R

mento che colloca il nostro Paese al penultimo posto tra le nazioni industrializzate, avanti solo alla Germania per la quale gli esperti di Washington stimano un incremento del prodotto interno pari all’1,4% nel 2006 e all’1% nel 2007. Quanto all’Italia, assieme al Portogallo, viene

FONTE: ABI

| numeridell’economia | IL LIVELLO DEI TASSI NEL MONDO Costo del denaro (in %)

citata tra i Paesi europei che hanno visto il deficit crescere "bruscamente". Anche il debito e’ previsto in crescita: al 108,8% quest’anno e al 109,1% il prossimo. Stabile l’inflazione, rispettivamente al 2,3 e al 2,2%. In calo la disoccupazione, al 7,8% quest’anno e al 7,6% il prossimo.

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60

LE NAZIONI EMERGENTI

Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Dicembre IV Trimestre I Trimestre IV Trimestre IV Trimestre III Trimestre IV Trimestre IV Trimestre IV Trimestre IV Trimestre

+16,5 +5,0 +2,1 +4,2 +0,1 +1,3 +6,4 +4,4 +5,8 +3,2 +3,2 +7,7 +0,9 +0,9 +2,7 +13,5 +4,0 +7,0 +6,2 +4,5 +7,1 +11,0 +9,5 +4,4

+1,9 Gen. +4,4 Gen. +17,9 Feb. +3,2 Gen. +7,6 Feb. +1,8 Gen. +2,3 Feb. +1,0 Feb. +5,6 Feb. +11,5 Feb. +5,7 Dic. +4,1 Feb. +4,2 Feb. +3,9 Dic. +2,7 Feb. +12,5 Feb. +3,1 Dic. +3,4 Gen. +4,0 Gen. +8,2 Feb. +2,8 Feb. +2,7 Gen. +0,7 Gen. +11,1 Feb.

Dic. Dic. Dic. Dic. Dic. Gen. Gen. Gen. Gen. Gen. Dic. Gen. Dic. Dic. Dic. Dic. 2005 Dic. Dic. Dic. Dic. Gen. Gen. Gen.

QUANTO COSTA DIFENDERSI Budget Usa 2007, ripartizione % per voce di spesa SICUREZZA SOCIALE

DIFESA

18,2%

21%

BILANCIA COMMERCIALE

TASSI INTERESSE

+105,1 Gennaio -37,4 Gennaio +29,1 Gennaio +26,8 Gennaio -2,6 Dicembre +29,6 Dicembre +31,1 Gennaio +7,6 Febbraio -7,5 Gennaio +11,3 Dicembre +45,4 Gennaio +9,7 Febbraio +1,4 Dicembre -6,0 Gennaio +5,1 Dicembre +31,5 IV Trimestre -11,3 III Trimestre -8,4 Gennaio -4,1 Gennaio -42,9 Dicembre +1,7 Gennaio - 3,4 Dicembre -2,9 Dicembre +120,1 Dicembre

2,13 6,67 13,73 3,46 7,19 3,44 4,27 1,65 4,80 9,25 17,29 4,56 6,49 7,46 4,12 10,48 8,07 5,14 7,10 14,54 2,09 6,22 4,10 12,00

PIÙ PUBBLICO IN FRANCIA Spesa iieII'istruzione pubblica e privata, percentuale del Pu

Istruzione pubblica Istruzione privata

5,61 5,08

4,87

4,66

3,75

4,50

4,50

CANADA

USA

GB

3,47

2,50

2

NORVEGIA

AREA EURO

SVEZIA

0

PAESE

PIL

Australia Austria Belgio Gran Bretagna Canada Danimarca Francia Germania Italia Giappone Olanda Spagna Svezia Svizzera Stati Uniti Area Euro

MIN/MAX 2006

MIN/MAX 2007

2,3/3,7 1,8/2,4 1,7/2,5 1,7/2,6 2,7/3,4 2,5/3,3 1,5/2,2 1,5/2,2 1,0/1,5 1,9/3,5 1,6/3,1 2,8/3,5 3,0/4,1 1,7/2,8 2,8/3,9 1,8/2,4

2,7/3,9 1,2/2,2 1,6/2,2 1,9/2,8 2,6/3,1 2,0/3,1 1,6/2,4 0,2/2,1 0,6/1,7 1,4/3,8 1,4/2,4 2,4/3,1 2,5/3,1 0,9/2,5 2,4/3,5 1,3/2,4

MEDIA 2007

3,1 2,1 2,1 2,1 3,1 2,8 1,9 1,8 1,3 2,9 2,2 3,1 3,3 2,2 3,3 2,0

3,3 1,9 1,9 2,5 2,8 2,3 2,0 1,2 1,2 2,4 1,9 2,7 2,8 1,7 2,8 1,8

LA CORSA DELLA MONETA Offerta di Iiquidità e PIL nominale, 1995 = 100

500 PIL nominale M1 M2 + certificati di deposito Prestiti bancari

300

7,4% MEDICAID/SHIP**

ALTRO

8,9% 0,44

0,38

INTERESSI NETTI * Assistenza sanitaria per anziani e disabili ** Assistenza sanitaria per famiglie povere

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200

2,26

30,5%

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Francia

Usa

Italia

0,82

0,98

1,15

Germania

Giappone

2005

GIAPPONE

INFLAZIONE MEDIA 2006

14% MEDICARE*

AUSTRALIA

LE PREVISIONI SUI PAESI RICCHI

400

4,28

5,50 2,25

100

2007

BILANCIO STATALE (IN % DEL PIL) 2006 2007

2,7 1,8 1,9 1,9 2,2 1,9 1,6 2,3 1,9 0,6 1,5 2,8 1,9 1,2 2,3 2,1

-5,4 +0,2 +2,2 -2,3 2,0 2,9 -1,3 3,9 -1,5 3,7 5,2 -6,9 6,7 13,1 -6,8 -0,1

2006

2,9 2,0 2,2 1,9 2,1 1,9 1,7 1,6 2,1 0,3 1,5 3,3 1,4 1,1 2,9 2,1

I NUMERI DELLA RIPRESA PIL del Giappone, var. % trimestre su trimestre

1,5

1,4

1,3

-4,0 +0,2 2,3 -2,3 1,4 2,7 -1,1 3,9 -1,4 3,5 5,1 -7,0 6,3 12,4 -6,8 --------

FONTE: OCSE

IV IV IV IV IV IV IV IV IV III IV III III IV

PREZZI AL CONSUMO

FONTE: ELAB. DEL SOLE-24 ORE SU DATI BANCA DEL GIAPPONE

Cina +9,9 India +7,6 Indonesia +4,9 Malesia +5,2 Filippine +6,1 Singapore +8,7 Corea del Sud +5,2 Taiwan +6,4 Tailandia +4,7 Argentina +9,2 Brasile +1,4 Cile +5,2 Colombia +5,8 Messico +2,7 Perù +7,4 Venezuela +10,2 Egitto +5,2 Israele +4,8 Sud Africa +4,5 Turchia +7,0 Repubblica Ceca +6,4 Ungheria +4,3 Polonia +4,2 Russia +7,0

PRODUZIONE INDUSTRIALE

FONTE: ????????

PIL

FONTE: ?????????????

PAESE

2004 2005

0,9

0,3

0,2 -0,3

-0,2

0 Gb

‘95

’96 ’97 ’98 ’99

’00

’01 ’02 ’03 ’04 ‘05

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III

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I

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ANNO 6 N.38

III

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APRILE 2005

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indiceetico

| numeridivalori |

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IL PORTAFOGLIO DI VALORI

NORDISKT HÅLLBARHET INDEX NOME TITOLO

ATTIVITÀ

BORSA

Electrolux H&M Trelleborg Orkla Kesko Statoil Svenska Handelsbanken Storebrand Gambro Coloplast Novozymes Metso Skanska Tomra Tietoenator Nokia Holmen UPM-Kymmene Telenor Volvo

elettrodomestici abbigliamento componenti meccaniche alimentari/media distribuzione petrolio servizi bancari assicurazioni tecnologia medica tecnologia medica farmaceutici macchine industriali edilizia macchine industriali software telefoni carta carta telecomunicazioni automobili

Stoccolma, Svezia Stoccolma, Svezia Stoccolma, Svezia Oslo, Norvegia Helsinki, Finlandia Oslo, Norvegia Stoccolma, Svezia Oslo, Norvegia Stoccolma, Svezia Copenaghen, Danimarca Copenaghen, Danimarca Helsinki, Finlandia Stoccolma, Svezia Oslo, Norvegia Helsinki, Finlandia Helsinki, Finlandia Stoccolma, Svezia Helsinki, Finlandia Oslo, Norvegia Stoccolma, Svezia

Rendimento del portafoglio dal 31.12.2004 al 28.02.2006 *Il rendimento di Volvo è calcolato dall’entrata del titolo nell’indice (2 settembre 2005)

CORSO DELL’AZIONE AL 28.02.2006

RENDIMENTO DAL 31.12.2004 AL 28.02.2006

219,00 SEK 288,50 SEK 165,00 SEK 294,50 NOK 26,370 € 172,00 NOK 206,00 SEK 74,75 NOK 80,75 SEK 418,00 DKK 375,00 DKK 30,90 € 127,50 SEK 53,75 NOK 30,18 € 15,70 € 307,00 SEK 17,80 € 73,00 NOK 345,50 SEK

37,48% 18,92% 39,33% 65,69% 46,91% 85,54% 13,62% 30,94% -18,68% 38,62% 34,83% 165,01% 52,55% 65,41% 28,97% 35,11% 27,37% 8,80% 36,01% 0,97%

+39,75%

BORSA

Sabaf Heidelberger Druck. CSX Body Shop International Henkel Aviva Svenska Handelsbanken Novo Nordisk Merck Kgaa 3M Company FLS Industries Mayr – Melnhof Karton Verizon Intel Canon Stmicroelectronics BG Group Severn Trent Vestas Wind Systems Boiron

pezzi per forni a gas macchine per la stampa trasporti cosmetici detergenti, cosmetici assicurazioni servizi bancari farmaceutici farmaceutici/chimica grafica, edilizia edilizia cartone telecomunicazioni tecnologia Informatica tecnologia digitale semiconduttori gas ciclo acqua pale eoliche medicina omeopatica

Milano, Italia Francoforte, Germania New York, USA Londra, Gran Bretagna Francoforte, Germania Londra, Gran Bretagna Stoccolma, Svezia Copenaghen, Danimarca Darmstadt, Germania New York, USA Copenaghen, Danimarca Vienna, Austria New York, USA Santa Clara, USA Tokyo, Giappone Milano, Italia Londra, Gran Bretagna Londra, Gran Bretagna Copenaghen, Danimarca Parigi, Francia

CORSO DELL’AZIONE AL 28.02.2006

RENDIMENTO DAL 31.12.2004 AL 28.02.2006

21,25 € 36,06 € 55,38 USD 261,43£ 92,43 € 796,87 £ 206,00 SEK 368,00 DKK 83,70 € 73,59 USD 196,50 DKK 123,45 € 33,70 USD 20,60 USD 7.320,00 JPY 14,25 € 667,50 £ 1.159,32 £ 131,25 DKK 16,88 €

11,68% 44,24% 57,89% 68,98% 44,42% 31,66% 13,62% 22,64% 66,40% 2,46% 90,11% -1,48% -4,94% -18,42% 34,52% 0,30% 92,16% 24,37% 92,34% -31,10%

+ 32,92%

€ = euro, £ = sterline inglesi, USD = dollari USA, SEK = corone svedesi, DKK = corone danesi, JPY = yen giapponesi

Vento da record nel portafoglio etico pagine a cura di Mauro Meggiolaro

UN’IMPRESA AL MESE

Un combustibile naturale prodotto dalla fermentazione di diversi prodotti agricoli: mais, frumento, Rendimenti dal 31.12.2004 al 28.02.2006 Nordiskt Index [in Euro] 39,75% orzo, bietola, frutta, vinacce. In altre parole l’alcool etilico, quello che si trova nel vino e nella birra. È una fonte Eurostoxx 50 price Index [in Euro] 27,90% di energia rinnovabile - basta continuare a piantare mais, orzo, barbabietole. E pulita: la sua combustione non genera CO2. Può essere aggiunto alle benzine per una percentuale che può arrivare Novozymes fino al 30% senza dover modificare il motore. Sede Bagsvaerd, Danimarca Borsa Københavns Fondsbørs – Copenaghen Rendimento 31.12.2004 – 28.02.2006+34,83% Adottando alcuni accorgimenti tecnici, si arriAttività È leader mondiale nella produzione di enzimi, molto usati nell’industria alimentare e tessile e va anche al 100%. In Brasile è stato utilizzato per ricavare dai cereali il bio-etanolo, un carburante naturale la cui combustione non genera per diversi anni in sostituzione della benzina e biossido di carbonio. ancora oggi è uno dei carburanti più diffusi. Responsabilità sociale Novozymes, l’impresa del Nordiskt Index che Giudizio complessivo Ottima la gestione delle risorse umane. Molti prodotti di Novozymes hanno un impatto vi presentiamo questo mese, produce una serie positivo sull’ambiente. di enzimi che facilitano la conversione dei cereali in etanolo. In borsa, da inizio gioco Politica sociale interna Piani di carriera individuali per tutti i dipendenti. Buone le relazioni con i sindacati. (31.12.2004), ha reso il 35%. Nello stesso pePolitica ambientale Nei processi chimici in cui intervengono gli enzimi aiutano a risparmiare acqua, energia riodo il nostro indice nordico ha avuto un rene materie prime e riducono la quantità di rifiuti prodotti. dimento complessivo del 40%. Dodici punti in Politica sociale esterna Novozymes investe per lo sviluppo delle comunità locali. Nei PVS paga salari molto più alti di più rispetto alla media dei mercati europei. quelli che sarebbero richiesti dalle leggi. Che si ostinano ad andare a petrolio. UN’IMPRESA AL MESE

ATTIVITÀ

Rendimento del portafoglio dal 31.12.2004 al 28.02.2006

E MACCHINE VANNO ANCHE A ETANOLO.

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NOME TITOLO

€ = euro, SEK = corone svedesi, DKK = corone danesi, NOK = corone norvegesi

Nuovo carburante per il portafoglio nordico

L

portafoglioetico

VALORI. Lo spinge il vento. Quello che fa girare le turbine di Vestas, l’impresa in vetrina questo mese. Ha sede a Randers, nello JuRendimenti dal 31.12.2004 al 28.02.2006 Portafoglio di Valori [in Euro] 32,92% tland danese, ed è leader mondiale nelle tecnologie per lo sfruttamento dell’energia eolica. Ha 10.000 dipendenti, dei quali circa MSCI DM World price Index [in Euro] 27,95% 450 in Italia, nei due stabilimenti di Taranto. In borsa ha reso il 93,34% dalla fine del 2004, il risultato migliore del nostro portafoglio etico. Una turbina eolica può produrre fino 9 milioni di Vestas Wind Systems Kilowatt/ora di elettricità all’anno senza danSede Randers (Danimarca) ni per l’ambiente. Per produrre lo stesso quanBorsa Københavns Fondsbørs – Copenaghen titativo di energia bisogna bruciare 2.000 tonRendimento 31.12.2004 – 28.02.2006 +92,34% nellate di petrolio. Vanno molto bene anche le Attività Leader mondiale nella produzione di turbine eoliche. Ha circa 10.000 dipendenti. azioni di BG (British Gas), che estrae e distribuisce gas naturale. Ha chiuso febbraio a Responsabilità sociale +92,16% da inizio gioco. Il gas, che inquina Giudizio complessivo Tutti prodotti di Vestas hanno un impatto positivo sull’ambiente. Ottimi i programmi di molto meno del petrolio, potrebbe aiutare la formazione e salute e sicurezza. Buone le relazioni con i fornitori. transizione dall’era del greggio, che sta per fiPolitica sociale interna Crescita costante dell’occupazione. Progressiva riduzione degli incidenti sul lavoro. nire, all’era delle fonti rinnovabili. Intanto il portafoglio di Valori continua a far meglio delPolitica ambientale Eccellente. La maggior parte delle attività sono certificate ISO14001. la media dei mercati: 32,92%, contro il 27,95% Politica economica Buono il codice di condotta sui diritti umani. In genere i nuovi stabilimenti vengono collocati in dell’MSCI DM World Index. Cinque punti in aree con alta disoccupazione. più. E molto biossido di carbonio in meno.

V

OLA IL BORSINO ETICO DI

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in collaborazione con www.eticasgr.it | 80 | valori |

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| padridell’economia |

Friedrich August von Hayek

L’accesso al mercato garantito a tutti

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di Francesca Paola Rampinelli

sia aperto a tutti alle medesime condizioni, e che la legge non tolleri nessun tentativo da parte di individui o di gruppi di limitare tale accesso con la forza, palese o larvata». E ancora: «Se "capitalismo" significa qui un sistema competitivo fondato sulla libera disponibilità della proprietà privata, è di grande rilievo comprendere che la democrazia è possibile solo all’interno di un sistema del genere». Sono affermazioni di Friedrich August von Hayek, filosofo ed economista vincitore del premio Nobel nel 1974. «La libertà è essenziale per far posto all’imprevedibile e all’impredicibile; ne abbiamo bisogno perché, come abbiamo imparato, da essa nascono le occasioni per raggiungere molti dei nostri obiettivi» e «perché il sistema funzioni, l’essenziale è che ogni individuo possa agire in base alla sua particolare conoscenza, sempre unica, almeno in quanto si applica a circostanze particolari, e che utilizzare le sue capacità individuali e le sue occasioni entro i limiti e per un suo scopo individuale». Da questi assiomi fondamentali discendono tutte le convinzioni dello studioso austriaco, strenuo difensore del libero mercato in opposizione alle teorie socialiste e “costruttiviste”. «Credo che, dopo un po’ di socialismo», sostiene infatti von Hayek «la gente riconosca generalmente che è preferibile, per il proprio benessere e relativo status, dipendere dall’esito del gioco del mercato piuttosto che dalla volontà di un superiore al quale si sia assegnati d’autorità». Il professore austriaco nasce Per von Hayek se “capitalismo” significa un sistema competitivo a Vienna l’8 maggio del 1899 in un ambiente familiare pieno fondato sulla libera disponibilità di stimoli culturali grazie al padre, docente di biologia, della proprietà privata è l’unico che frequenta i salotti intellettuali austriaci. Dopo la prima sistema per la democrazia guerra mondiale si laurea in Giurisprudenza e Scienze politiche presso l’Università di Vienna ma frequenta con assiduità ambienti legati agli studi economici e soprattutto alla seconda generazione della cosiddetta “Scuola Austriaca” di economia fondata da Carl Menger. Nell’ottobre 1921 von Hayek conosce Ludwig von Mises, che in questo periodo è consigliere economico alla Camera di Commercio di Vienna e di cui diviene collaboratore prima e amico poi. Nel 1931, su invito di Lionel Robbins si reca in Inghilterra, per tenere una serie di lezioni alla London School of Economics dove poi insegnerà come “Toke Professor” nel campo delle scienze economiche e statistiche. Nel 1941 pubblica il suo primo lavoro in inglese Price and Production (Prezzi e produzione. Il dibattito sulla moneta). Con The Road of Serfdom, pubblicato nel 1944, in cui si difendono i principi della visione liberale e si sviluppa una critica durissima nei confronti dei sistemi totalitari e della loro visione economica liberticida, lo studioso europeo diventa famoso in tutto il mondo e in particolare negli Stati Uniti, dove si trasferirà qualche anno più tardi. Tornando ad approfondire i temi centrali del suo pensiero, nel 1968 scrive Legge. Legislazione e libertà in cui si affronta il nodo dello stato sociale: «non vi è motivo per cui in una società libera lo stato non debba assicurare a tutti la protezione contro la miseria sotto forma di un reddito minimo garantito, o di un livello sotto il quale nessuno scende». Continua a scrivere e a studiare e nel 1974 gli viene conferito il Premio Nobel per l’Economia. Muore a Friburgo, il 23 marzo 1992.

«È

ESSENZIALE CHE L’ACCESSO A QUALSIASI ATTIVITÀ ECONOMICA

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APRILE 2006

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Leggo doppio Leggo solidale Novità 2006 per i lettori: Valori a casa vostra, insieme a IC, il mensile della Caritas Italiana, per capire meglio la società e il mondo che ci ruotano attorno, nel segno della solidarietà. Alleanza di pagine e idee, a un prezzo conveniente.

Valori+Italia Caritas Dieci numeri annui dei due mensili a 40 euro Per aderire Bollettino postale

c/c n° 28027324

Intestato a:

Società Cooperativa Editoriale Etica, via Copernico 1 - 20125 Milano

Causale:

Abbonamento “Valori + Italia Caritas”

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