E il mensile marzo 2012

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parte meridionali, ma la presenza dei veneti rappresentava una quota molto significativa. Sugli elettrodomestici, il marchio della multinazionale non compariva mai. Al suo posto, quelli della San Giorgio, della Philips, della Zanussi. Nel film di Pietro Balla, le voci dell’epoca raccontano una vita tutto sommato felice nonostante l’avversione piemontese nei confronti dei “terroni”. Poi arriva il 9 agosto 1975. Gli americani hanno fiutato da tempo il vento della crisi economica, la domanda di frigoriferi e lavatrici è in netta discesa. Che fare? Licenziare, ovviamente. Con una lettera recapitata proprio nel bel mezzo delle ferie estive. Chiudere e svendere, magari con il contentino di qualche posto garantito dalla nuova proprietà. Cominciano mille e più giorni di lotta che entreranno a far parte della storia operaia italiana. I lavoratori si riuniscono in assemblea permanente. Dormono, mangiano, discutono, trascorrono le feste comandate, dentro la fabbrica. E dalla fabbrica escono in corteo, attraversando i campi per andare a Torino, Milano, Roma. Portano lì le voci della loro rabbia, le uniscono a quelle di una rabbia collettiva che crescerà sempre più forte e avrà i suoi interpreti folli nell’Autonomia e nelle Brigate rosse. Anche sui muri della Singer comparirà la stella a cinque punte, e tra gli operai circolerà il fondato sospetto che qualcuno appartenga alle Br. Il 29 novembre 1975 nasce un’altra voce. Viaggia sulle frequenze Fm 93 e 103, si annuncia a chi la ascolta con il nome di Radio Singer, una tra le prime radio libere italiane nate dopo la riforma che ha tolto alla Rai il monopolio dell’etere. L’antenna è sul tetto della parrocchia di Leinì, con la complicità del parroco. Il suo raggio di diffusione copre una decina di chilometri, ma la fama della radio arriva ben oltre. Radio Singer racconta l’occupazione, dialoga con tanti ascoltatori che non sono operai; manda la musica degli Area, di Pierangelo Bertoli, di Joan Baez, di Bob Dylan, della Nuova Compagnia di Canto Popolare. Sono anni, quelli della Singer in assemblea permanente, dove la parola solidarietà ha un significato ben preciso. E gli artisti che portano un nome famoso la esprimono con la loro presenza, senza pretendere alcun compenso. Così, nella piccola Leinì che sta perdendo ogni speranza nel futuro, danno spettacolo Dario Fo e Franca Rame, Milva, Fabrizio De Andrè, Ciccio Busacca, Ivan Della Mea. Gli IntiIllimani esuli dal Cile, dopo il loro concerto dipingono a tinte sudamericane un muro nel recinto della fabbrica, che la nuova proprietà ha pensato bene di abbattere. Uno spettacolo di strada del Living Theatre attraversa per alcuni giorni le strade del paese, tra lo stupore e il divertimento della gente per quei “capelloni” geniali e incomprensibili. L’avventura umana e sindacale finisce nel 1978, con la chiusura e la vendita della fabbrica alla famiglia De Benedetti. Guerrino Babbini, ex operaio, ha dedicato alla Singer molte pagine del suo libro Quando la fede e la lotta sono di classe, edizioni n.d.r. Abita a Leinì. Gli chiedi se il nome Singer abbia ancora un significato da queste parti, e lui ti risponde: «Lo ricordano soltanto i vecchi come me». La memoria della modernità è sempre troppo corta. Al viaggiatore spetta un compito preciso: trovarla e restituirla. Non importa se nel posto più bello del mondo, oppure a Leinì.

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