E il mensile marzo 2012

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decoder di

Violetta Bellocchio

è caduta la regina Pietra angolare dei romanzi rosa fin dai tempi di Angelica la Marchesa degli Angeli, e degli ultimi trent’anni di televisione ovunque, la formula “le persone famose sono belle ma infelici” è destinata a non passare di moda troppo presto. Anzi, mai. Funziona anche nella cronaca, perché da un lato obbedisce a una morale da fiaba vecchio stile (meglio volare basso/accontentati di quello che già hai), dall’altro si può adattare a qualsiasi definizione (o livello) di celebrità. Ma per essere certi che la storia raggiunga il grande pubblico c’è un solo tipo di protagonista su cui puntare: la Regina Caduta. La Regina, in Italia, è Laura Antonelli, eroina popolare del cinema anni Settanta e bersaglio di una sfortuna sia interminabile sia facile da organizzare intorno ai tre elementi-chiave della formula. La prima cosa che deve sparire è la bellezza materiale, meglio se non per un semplice,“naturale” processo di invecchiamento: e Antonelli si sottopose a un intervento di chirurgia estetica che quasi la sfigurò. Poi devono sparire il prestigio, l’intoccabilità; e Antonelli finì in carcere con l’accusa di spaccio di cocaina. Poi arriva l’isolamento: amici e uomini scomparsi nel nulla, di figli non ne ha avuti. Conclusione: oggi la diva è triste e povera a Ladispoli. Unica compagnia, la badante. Passa il giorno a pregare. Come lei, molte ex “ragazze da sogno” si sono ritirate a vita privata, non si sa quanto serenamente. Però su di loro qualcosa da raccontare ci sarebbe: hanno una famiglia, un nuovo lavoro. Invece, una volta all’anno, è la storia di Antonelli che torna sui quotidiani. E funziona, ogni anno, perché la sua situazione nel frattempo non è cambiata. Lei vive nella stessa città, nelle stesse condizioni economiche, senza grandi ritorni all’orizzonte. Se poi ogni articolo può essere accostato alle immagini di quando la protagonista era giovane e attraente, e farcito di considerazioni sulla crudeltà del “mondo dello spettacolo’’, tanto meglio. Siamo tutti felici.

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il capitale di

Niccolò Mancini

foto Todd Davidson [getty images]

diamoci una regolata Accantonate le paure legate allo spread e le tensioni sui tassi d’interesse fuori controllo, possiamo ricominciare a parlare di mercati e delle regole che li governano. Le ultime aste di titoli a breve scadenza hanno evidenziato rendimenti poco superiori al 2 per cento sui dodici mesi e addirittura inferiori sui Bot a sei mesi. Si può infatti immaginare che sia interesse di tutti, o quasi, disinnescare l’Armageddon costituito da prodotti derivati e strutturati che nell’ultimo decennio ha ripetutamente portato il mondo sull’orlo del crash con conseguenze drammatiche per l’economia. Limitare l’impatto della finanza sui mercati e sulle economie sempre più globalizzati (si pensi alla crescente “occidentalizzazione” della Borsa cinese che proprio recentemente ha introdotto la possibilità di vendere allo scoperto) con l’approvazione di regole più severe, è quanto viene chiesto a gran voce da molti economisti e finanzieri, consci dei danni che la politica del laissez-faire ha provocato e che sono stati solo parzialmente limitati dall’intervento congiunto delle principali banche centrali mondiali. Tra le regole più suggestive e moralizzanti ipotizzate, c’è certamente la Tobin Tax, una tassa di pochi centesimi su tutte le operazioni finanziarie che potrebbe portare a un gettito annuo di circa 57 miliardi di euro. Mica male, in teoria, perché nella realtà una tassazione di questo tipo, limitata ai Paesi dell’Unione europea, non farebbe altro che “spostare” gli scambi su intermediari non comunitari. Gli stessi investitori europei potrebbero preferire acquistare e vendere utilizzando broker esterni all’Ue, bypassando così l’odiata tassa mentre qualche istituzione finanziaria troverebbe conveniente spostare la propria sede fuori dal Vecchio continente innescando una fuga di capitali con conseguenti forti impatti sulle economie. Insomma, la strada verso un mercato meno speculativo che torni al suo ruolo di raccolta di capitali per aziende, istituzioni e Stati, meno condizionato dai derivati e dai giudizi a orologeria delle agenzie di rating e appare ancora lunga e tortuosa. In più, questo percorso non può prescindere da un accordo politico tra i principali governi del G20, compresi quelli di Stati Uniti e Gran Bretagna, per i quali la quota di Prodotto interno lordo generato dalla finanza è vicina o superiore al 10 per cento.

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