Cosa Rimane

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COSA RIMANE

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Comune di Cento Assessorato alla Cultura

Partecipanza Agraria di Cento

“Cosa rimane” mostra fotografica realizzata dagli allievi del laboratorio di fotografia promosso dal Circolo Culturale Amici del Museo, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Cento a cura di Andrea Samaritani foto di Mirco Balboni, Federica Brunelli, Enrica Gilli, Luca Govoni, Lorenzo Guerzoni, Walter Sau, Andrea Tomba testi di Alba Balboni Circolo culturale Amici del Museo Presidente: Maurizio Colletti Consiglio direttivo: Cristina Cristofori, Rossella Cavalli, Ornella Tassinari, Elisa Fortini, Andrea Samaritani, Walter Sau Sito: www.amicidelmuseorenazzo.it La mostra, nell’ambito della 38° edizione della Fiera delle Pere di Renazzo, è frutto dei laboratorio di fotografia dei corsi annuali tenuti dal Circolo all’interno delle sale parrocchiali di Renazzo Ringraziamenti: don Ivo Cevenini e il Comitato Fiera delle Pere di Renazzo Sito: www.officinacontroluce.wix.com/officina-controluce Progetto grafico ed impaginazione: Enrica Gilli Foto di copertina: Federica Brunelli Renazzo (FE) 2014

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Personaggi, Storie e Tradizioni 3 Collana promossa in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Cento

COSA RIMANE I mestieri, la gastronomia e le tradizioni delle terre d e l l a Pa rt e c i pa n z a A g r a r i a d i C e n t o

laboratorio di fotografia promosso dal Circolo Amici del Museo a cura di Andrea Samaritani foto di Mirco Balboni, Federica Brunelli, Enrica Gilli, Luca Govoni, Lorenzo Guerzoni, Walter Sau, Andrea Tomba

Circolo culturale “AMICI DEL MUSEO”

Renazzo

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Bevilacqua (Fe) - Rogo della Befana Il parroco Don Silvio colloquia con gli spettatori Foto di Mirco Balboni

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Renazzo (Fe) - Pleasure Love I Pleasure Love ritratti nell’allora Piazza delle Rimembranze nel 1990. Da sinistra: Mauro Lodi, a seguire Maurizio Colletti, Marco Bertelli, Davide Bertelli, Umberto Bisi, Stefano Gessi, Giorgio Vecchietti, Lorenzo Zambelli Foto di Gianni Lenzi

Renazzo (Fe) - Pleasure Love I Pleasure Love ritratti nel 2014, a distanza di ventriquattro anni, in Piazza Ferruccio Lamborghini, nella medesima disposizione della vecchia foto. Da sinistra: Mauro Lodi, a seguire Maurizio Colletti, Marco Bertelli, Davide Bertelli, Umberto Bisi, Stefano Gessi, Giorgio Vecchietti, Lorenzo Zambelli Foto di Gianni Lenzi

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Certo, qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure che popolano questo catalogo. Non riesco a non fare un paragone musicale con il risultato del laboratorio di fotografia di quest’anno. E’ più forte di me, lo sapete. Le varie situazioni che vengono magnificamente immortalate nelle foto che vedrete possono benissimo essere intese come tanti bozzetti. Ognuno facente parte di una strofa o di un ritornello di un canzone. Di una canzone popolare, di quelle che rimangono nel tempo. Di quelle dove la melodia e i suoni ti sembrano sempre attuali. Di quelle che piacciono alla maggioranza delle persone. Basta fargliele conoscere. Le tradizioni che abbiamo voluto fissare sono così. I lavori, la gastronomia legata al culto del maiale, i riti civili e religiosi: tutte cose che rimangono immutate nel tempo e che addirittura trovano sempre nuova vita e nuovi stimoli attraverso le persone che continuano ad amarle e a seguirle. È stato impegnativo quest’anno scegliere il tema sul quale lavorare, varie idee erano in gioco. Poi l’illuminazione, il titolo: “Cosa rimane”. Non sembra quello di una canzone? Da lì, un fiume in piena. Quanta gente conosciamo che ancora è legata alla tradizione? Quanti ragazzi giovani si entusiasmano per certe passioni che sembrano antiche? Solamente rimanendo legati al territorio renazzese avremmo potuto riempire vari libri. Quest’anno, però, abbiamo voluto spingerci oltre, nei paesi vicini legati a noi da radici che vengono da lontano. Perciò troverete personaggi che popolano tutta la zona della Partecipanza Agraria di Cento: campanari, scultori, falegnami, rigattieri, collezionisti d’arte, calzolai, pastori, proiezionisti, tipografi. E ancora le affettatrici, le sagre, l’investitura del maiale, e poi la mia vecchia band, i Pleasure Love, ritratta in uno degli scatti fatti nel vecchio Piazzale delle Rimembranze (ora Piazza F. Lamborghini) per motivi pubblicitari. Qualcosa rimane, qualcosa no... Questo è il terzo capitolo di una storia nata nel 2012 con il primo volumetto “La banda rosso mattone”. Il luccichio degli ottoni della banda ci aveva illuminato la strada. “Officina Lamborghini” del 2013 aveva focalizzato il nostro interesse sull’internazionalità renazzese di una figura imponente come quella di Ferruccio Lamborghini, ad oggi ancora un mito indiscusso tra tutti coloro che sono appassionati di tecnologia. Quest’anno, citando Bob Dylan, stiamo riportando tutto a casa. Chiudiamo il cerchio. Ne rimarrete entusiasti.

Maurizio Colletti Presidente del Circolo Culturale “Amici del museo”

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Cosa Rimane nelle fotografie che gli allievi del laboratorio di fotografia “Officina Controluce” hanno realizzato nel corso dell’anno 2014? Rimane la testimonianza, la documentazione di una comunità territoriale che si ritrova, che si rivede nelle fotografie, che la ritraggono nel migliore dei modi. Senza concedersi troppo alle abbaglianti luci del digitale, della postproduzione spinta, alle lusinghe di successo e di consenso dei filtri prestabiliti e modaioli imposti dai socialnetwork. Rimane il racconto visivo di tante storie che si intrecciano e formano insieme la cultura storica del territorio che fa perno in Renazzo e si dirama nelle frazioni e nei comuni limitrofi, tracciando una mappa geografica che coincide con le terre della Partecipanza Agraria di Cento e di Pieve di Cento. Il Cristo con le braccia al cielo di Mirco Balboni è una delle immagini simbolo di questa ricerca. Non è ancora sulla croce, non è illuminato dalle luci di scena, non è inquadrato come al cinema, è in una disadorna aula parrocchiale, ma l’occhio ormai allenato di Mirco ha colto questo momento ironico, che sintetizza tutta la vicenda terrena del Cristo. Qui la fotografia diventa potente, può scardinare gli stereotipi visivi, si pone all’altezza dello scrittore che interpreta un personaggio, dietro le quinte, nella sua riservatezza. Mirco ripropone questo schema visivo anche nell’affrontare il laboratorio dei presepisti, si piega con loro sotto i marchingegni elettrici, si sdraia per inquadrare un backstage tecnologico artigianale, cercando di svelare i misteri del fascino del presepe. La fotografia in copertina è di Federica Brunelli, che da lontano con il suo teleobiettivo ha fermato un momento curioso e insolito, il gesto sospeso del palo della cuccagna. Una postura che evoca la la danza, il balletto. Federica ha guardato intensamente anche a casa sua, a Buonacompra, esaltando i gesti veloci e decisi degli anziani che producono la famosa salama da sugo. Federica sta ancora sperimentando l’angolo di campo che gli regala il grandangolo, obiettivo che abbraccia tantissima realtà. Lo fa con rigore e con idee precise, offrendoci così dei quadri completi e complessi densi di soggetti, forme e particolari. Le tradizioni sono dentro casa. Ecco allora che Enrica Gilli sceglie suo nonno per registrare il suo lavoro di scultore nel capannone di casa, le sue statuine del presepe. Immagini dolci, affettuose, nel riavvicinarsi al nonno ha sentito anche l’esigenza di girare un video per documentare, per avere materiale a disposizione negli anni a venire. I suoi interessi stanno andando verso la fotografia di food,

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così si sofferma sui prodotti gastronomici, li inquadra con una grande attenzione grafica e compositiva. Interpretando ricette antiche come fossero piatti realizzati da chef stellati di ultima generazione. Fedele al suo bianco e nero, Luca Govoni incontra le persone con discrezione e costruisce dei quadri senza tempo, sospesi in un tempo eterno. I suoi scatti sono pochi, ponderati, pensati e calibrati. Nel suo computer le cartelle contengono poche foto. Solo quelle giuste. Per lui. Poche immagini, però d’autore. Luca ha già chiaro che il mondo lo si può raccontare con una visione selettiva e personale. Piaccia o non piaccia: è la condizione timida, ma determinata, del nostro autore. La sua composizione fotografica, i toni delle sue immagini non sono, non possono, essere più in discussione. Sono quadri già incorniciati. Finiti. Firmati. Pronti per entrare nella storia della fotografia. L’obiettivo fotografico di Lorenzo Guerzoni è allegro e simpatico, orientato a cogliere aspetti giocosi e divertenti nelle situazioni nelle quali si trova. Il suo è un colore caldo, avvolgente, non saturo né alterato. E’ il colore della realtà, della quotidianità, che per lui è incontro, ascolto, adesione e rispetto pieno e istintivo al soggetto che ha davanti. Walter Sau si sta smarcando dalla visione cinematografica realizzata con il teleobiettivo, ma non del tutto. Nelle sue immagini c’è ancora la ricerca del rapporto tra i piani, meno ravvicinati di un tempo, ma pur sempre elementi da incrociare e mettere in fila. Piani infilati per sottrazione o per addizione, divergenti o convergenti, in contrasto o in armonia. Le linee sono le parole chiave delle sue immagini. Un punto di vista già ben orientato quello di Walter. Una maestria che si sta affinando sempre di più. In questa ricerca Andrea Tomba si è lasciato affascinare dalle alte luci, realizzando fotografie con il cavalletto e scattando con tempi lunghi fino a cuocere i bianchi ed esaltare i pochi colori residui, ne sono uscite delle immagini di grande fascino. I suoi tempi lunghi di esposizione gli permettono anche di registrare imprevisti spostamenti, sfasamenti, sdoppiamenti dei soggetti che si muovono, creando così immagini stranianti, evanescenti, che si scompongono. Immagini che erodono i contorni ed escono dalle forme, nella sensazione dilatata del sogno o dell’incubo. Anche questa è arte. Cosa Rimane? Rimane che le situazioni da documentare sono ancora tante e tanti sono ancora i personaggi da conoscere e fotografare. La ricerca dei sette autori di “Officina Controluce” continua.

Andrea Samaritani Docente del laboratorio di fotografia

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XII Morelli (Fe) Foto di gruppo. Da sinistra: Walter Sau, Andrea Samaritani, Mirco Balboni, Federica Brunelli, Luca Govoni, Enrica Gilli, Lorenzo Guerzoni, Alba Balboni, Andrea Tomba Foto di Nadia Sacenti

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I MESTIERI Il mestiere dell’artista – Adelfo Galli scultore

Il cortile della sua casa in campagna a Renazzo è disseminato di terrecotte: statue, mezzibusti, animali, le mani. Dentro casa ogni stanza è un laboratorio con opere imbastite, quasi pronte, da ritoccare, solo da cuocere. Tenute umide e coperte con teli di plastica. Adelfo Galli fa l’artista di mestiere. Dall’età di quarant’anni, dopo svariati lavori, si dedica a tempo pieno alla creta, a modellarla secondo quella che è la sua visione dell’uomo. Ha una profonda passione per la meraviglia dell’essere umano; vuole esprimere e raccontare con le sue sculture quanto sono belle le persone. Sa bene che ognuno di noi ha una propria personale visione di se stesso ma ritiene che non siamo capaci di rappresentarla agli altri. Allora osserva e riproduce. Il risultato finale incanta; i suoi ritratti ammutoliscono tanto sono rassomiglianti, fa meravigliose sculture di argilla che cotta poi in forno a mille gradi si trasforma in terracotta. Non è un accademico è un istintivo; la sua tecnica è un dono di natura che è scaturita però dalla pratica che ha fatto fin da bambino, creando le statuine del presepe che ogni anno veniva allestito nella comunità dove ha vissuto. Fa lezione nelle scuole per far appassionare i ragazzi, non solo alla manualità ma anche all’essere umano. Insegna a non curarsi solo delle tribolazioni quotidiane ma a cercare la vera bellezza positiva che è dentro ad ognuno di noi. I suoi lavori non hanno prezzo o almeno non glielo vuole attribuire. Vive fra le sue opere, gli parla, quasi commosso. In modo gogliardico ce le racconta, gli scatti di Lorenzo Guerzoni quasi quasi parlano. Opere con una storia originale scaturita dalla sua anima passionale, tribolata e profonda che gli ha letto negli occhi Mirco Balboni. Ha accettato la collaborazione per la realizzazione del Presepe in Piazza a Renazzo come una sfida, solo a condizione che partecipassero genitori e figli con l’intento di “tirar su” una nuova generazione di artisti.

Il mestiere del falegname – Sandro “di Rossi”

Classe 1930, nato in una famiglia di sarti Gilli Giovanni Alessandro conosciuto da sempre da tutti con lo “scucmai” (soprannome derivante dal nome della famiglia di provenienza) di Sandro “di Rossi” appena tredicenne va a bottega per imparare il mestiere di falegname. Dopo solo alcuni anni la vita però lo costringe ad intraprendere un mestiere del tutto diverso, il commerciante di frutta, ma si era già radicato in lui quel tarlo che in ogni momento libero lo spinge verso un pezzo di legno da scolpire per tirare fuori quello che c’è dentro. Non solo legno ma si cimenta anche in creature di creta e cartapesta ed

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esibisce tutto il suo estro nella realizzazione di maschere per i carri allegorici della società carnevalesca il Poligono fondata da ragazzo, con alcuni amici. Fino al 2000 anche Fagiolino, maschera del carnevale di Renazzo e la Befana sono state sue creazioni, originali ogni anno con dettagli puntuali a richiamare l’attualità. Negli anni ‘90 si cimenta in prestigiosi lavori di restauro: la ricostruzione degli stucchi e delle cornici absidali dell’Oratorio di S. Carlo di villa Govoni (ex Chiarelli), nel ghetto ebraico di Cento dove ha restituito il volto a una figura umana e restaurato vari stucchi e decori di una sala. Ha donato nel 1999 alla parrocchia di Renazzo un pregevole scranno in legno di ciliegio magistralmente intagliato e intarsiato e anche la sua ultima opera realizzata: uno splendido ambone in ciliegio nazionale, tutto scolpito, raffigurante il martirio di S. Sebastiano. Affabile e sorridente agli scatti amorevoli dell’amata nipote Enrica Gilli, ancora oggi trascorre molto tempo nel suo laboratorio nel cortile di casa per il piacere di scolpire e intagliare ciò che il momento gli suggerisce, come ad esempio le statuine del suo presepe, dettagliate, curate e realistiche.

Il mestiere del collezionista – La gipsoteca Vitali

Nascosta dietro ad un grigio portone da capannone industriale c’è a Cento, in Via Santa Liberata, zona Centro Sportivo, la Gipsoteca Vitali. Incuriosisce l’insegna di legno con la scritta a colori pastello. Dal greco antico gypsos che significa “gesso” è una raccolta di statue, forme, bassorilievi o anche solo di pezzi incompleti fatti proprio di gesso, riprodotti utilizzando i calchi effettuati su opere originali di bronzo, di marmo o di terracotta; con la stessa forma e dimensione delle vere opere d’arte. All’interno un’ampia sala, a lato una scala che sale sul soppalco a balcone. Ci accoglie Giorgio Vitali: ha visto crescere negli anni questa collezione e ci racconta molto timidamente l’interessante passione che il padre Guerrino, scomparso ormai da 24 anni, ha coltivato a partire dagli anni ‘70. Era un professore di disegno, ha insegnato a scuola e nel frattempo ha gestito una fabbrica di lampioni, piscine e fontane danzanti. Arredo giardino un po’ fuori dal comune. In stretto contatto con una azienda di Firenze alla quale venivano affidati gli appalti per i calchi originali delle statue ha raccolto per anni e portato nel suo laboratorio tanti pezzi unici: sono 174 le opere catalogate. Le sue preferite erano e sono anche per Giorgio la testa del David di Donatello e la Pietà di Michelangelo, proprio come quella che si trova in Vaticano. Alle pareti tanti disegni e dipinti di Guerrino, altra passione mai abbandonata. Quelli venduti nel tempo sono appena una trentina. Vuole rimanere in ombra Giorgio, si lascia ritrarre dall’obiettivo di Andrea Tomba solamente nell’angolo meno illuminato della gipsoteca quasi a non voler offuscare il ricordo del padre o forse per ricordare che dai punti più in ombra il babbo stava ad ammirare i suoi pezzi preferiti. Si può visitare questa raccolta così inconsueta dove convivono statue circondate da quadri, su appuntamento. Di tanto in tanto qualcuno chiede informazioni ma Giorgio ci confessa rammaricato che negli ultimi 24 anni non si è mani-

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festato a Cento molto interesse per la collezione pur con la sua volontà di poter mettere tanta arte a completa disposizione della città. Il mestiere dell’artista – Vasco Fortini scultore. Si rifugia per dipingere, circondato da tante sue creazioni, nello studio situato nel cuore della città, il Ghetto Ebraico di Cento. E’ un centese vero Vasco, di quelli che da ragazzo ha studiato alle scuole Taddia, quando significava imparare i segreti della meccanica e metterli in pratica. E la lavorazione del ferro lo ha sempre appassionato così da caratterizzare non solo la sua professione di tecnico per macchine da ufficio Olivetti ma anche il suo tempo libero. Ama costruire oggetti combinando fra loro materiali nobili: l’acciaio inox, il porfido, il granito e magari il legno di rovere di un trave antico. Cornici e cavalletti per impreziosire prestigiose opere d’arte, forme sferiche diverse nei materiali e nelle dimensioni ad esprimere la sua personale visione ed interpretazione del mondo. Ricopre attualmente la carica di Presidente del Consiglio Comunale ed è un Magistrato Anziano della Partecipanza Agraria di Cento. Gli impegni pubblici non gli impediscono la costruzione di nuove scintillanti opere all’interno della sua officina sbirciata profondamente dall’obiettivo tecnico di Andrea Tomba.

Il mestiere del tipografo – Lucio Pellegatti - La tipografia Barbini

Percorrendo Via Guercino a Cento quasi non la si nota; nascosta dietro ad un portone e due alte finestre con le inferriate, già con l’occhio proiettato verso l’imponenza della Rocca. Una piccola insegna di latta serigrafata sul muro all’esterno e i caratteri adesivi a comporre la scritta “tipografia” nella parte alta della porta a vetri. Un passo all’interno e si rimane di stucco: su un antico pavimento di pietre rosse poggiano al centro dell’unica stanza-laboratorio le grandi macchine meccaniche da stampa. Nere. Luca Govoni è rimasto colpito dai riflessi del sole che entrano dalla finestra e le fanno scintillare quasi avessero luce propria. Sono elettriche: una platina Heidelberg “stella” degli anni ‘60, macchina a due piani, uno porta clichè e uno porta carta, che rimane ancora la più utilizzata per piccoli lavori e per la stampa di tirature ridotte. Una Saroglia a cilindri; qui si stampano biglietti da visita, partecipazioni, manifesti, carte intestate, inviti, volantini. C’è anche un antico torchio del 1700 funzionante ma non più utilizzato. Una infinità di cassetti di legno con la maniglia, semiaperti, intervistati dallo scatto di Lorenzo Guerzoni, mostrano migliaia di caratteri tipografici di tutte le misure, piccoli, medi, grandi, lettere maiuscole e lettere minuscole, ognuna con lo scasso per essere inserita nell’altra e per attacare i separatori. Il lavoro di composizione è la vera abilità del tipografo: sa a memoria quale cassetto aprire, conosce perfettamente la sequenza della disposizione e in quale fila prelevare la lettera per completare la parola che gli serve. Poi ogni sequenza viene appoggiata e fissata sul telaio e a lavoro

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completato si parte con la stampa. Lucio Pellegatti è l’abile tipografo che dal 1986 gestisce con la moglie Agostina questa attività, oggi qualificata come “Bottega storica”. La tipografia è stata fondata nel 1796 e passata di mano prima dalla famiglia Soffritti poi alla Famiglia Barbini fino a Lucio che non ha voluto far sparire il nome del suo vecchio titolare dal quale ha imparato il mestiere. “Qui si stampa ancora come faceva Guttenberg” ci racconta orgoglioso, “qui sono nati i loghi delle più prestigiose aziende di Cento”. Oggi le richieste sono sempre meno; secondo i moderni studi di settore la bottega avrebbe già dovuto chiudere. E’ il lavoro di una vita ed è il piacere di farlo che spinge Lucio a continuare a stampare fino a quando Agostina non raggiungerà l’età per la pensione. Poi si vedrà. Per ora non vuole nemmeno pensare di separarsi dalle sue macchine.

Il mestiere del calzolaio - Learco, il mago della scarpa

Un piccolo negozio con la vetrina a Cento in fondo a Via Baruffaldi. La porta è aperta; sono entrata e mi ha accolto subito una sedia così senza tanti inviti mi sono seduta. Profumo di cuoio, intenso odore di colla e di lucido da scarpe; sembra quasi di sentirli anche negli scatti dettagliati di Lorenzo Guerzoni. Dopo un attimo ti ci abitui e te li dimentichi. Lo sguardo corre sulle pareti, comincia a rincorrere uno dietro l’altro tutti gli oggetti appesi fin sul soffitto. Sveglie, forconi, fusi per macchine da maglieria, un giogo, bilance di ottone, un megafono, un prete e una suora, quelli che si mettevano nel letto con le braci, tanti macinacaffè. Learco, il Mago della scarpa, spegne la sua macchina e mi chiede cosa può fare per me. Non ho scarpe da riparare, sono solo entrata per dare un’occhiata e allora chiacchieriamo. Ammette senza vergogna che da ragazzino non aveva tanta voglia di studiare, la matematica non era proprio la sua materia preferita così con l’aiuto delle sorella maggiore, appena quattordicenne ha incominciato a lavorare in una fabbrica di scarpe di una marca prestigiosa, facendo l’aiuto, il tuttofare un po’ in tutti i reparti. E’ stata la sua fortuna! Ha potuto imparare da tutti a lavorare su qualunque parte della scarpa e così alla chiusura dell’azienda, rilevate due macchine si è messo in proprio aprendo la bottega del calzolaio. E’ il suo negozio e rispecchia quello che lui è: un appassionato di oggetti di una volta, di oggetti curiosi recuperati a qualche mercatino o che qualche amico di tanto in tanto gli regala. Due radio sono funzionanti e anche molte delle sveglie. I macinacaffè sono davvero belli; un forcone di legno per ricordare quelle che sono le origini contadine della famiglia. Le persone che entrano si ritrovano così in un posto pieno di oggetti che magari non avevano mai visto e allora ci pensa Learco a raccontare che cos’è e a cosa serviva, ridando grande valore a queste cose di un tempo che fu. Fare il calzolaio oggi è un mestiere che richiede “sbuzzo” estro e fantasia. Ecco il perché del nome del suo negozio, divertente e positivo magicamente catturato da Luca Govoni. Le scarpe sono sempre più di scarsa qualità, le riparazioni devono essere economiche, oggi aggiusta anche qualche borsa. Un solo grande rammarico: in tutti questi anni non è mai entrato nessuno a chiedere di poter imparare il mestiere.

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Il restauratore di affettatrici – Vidmer delle Officine Cantelli

“Inzgnadur”. E’ una parola dialettale che non ha traduzione. Rende bene l’idea di un soggetto che pur non avendo una laurea in ingegneria inventa, progetta, crea. Un ingegnere senza studio, inventore per “sbuzzo” e per ingegno. Vidmer da Renazzo è un “inzgnadur”. Figlio di Jago Cantelli che nel dopoguerra era uno dei pochi qui intorno ad avere la macchina e a richiesta faceva servizio taxi. Non tutti però avevano i soldi per pagare e così barattava la corsa con oggetti che non funzionavano più, oggetti da riparare o addirittura da buttare via. E per non buttare nulla tutto veniva sistemato o rimesso a nuovo per essere rivenduto. A Cento, a Bologna, sulle colline. Erano tempi in cui ci si arrangiava davvero per vivere. Le affettatrici erano uno di questi oggetti; affettatrici manuali dimenticate in cantina come ferraglia perché soppiantate dai più moderni modelli elettrici. Oggetti d’epoca, pezzi unici che riprendevano vita e riacquistavano valore. Appassionato di meccanica, Vidmer non ha avuto la possibilità di studiare e fin da ragazzo ha lavorato in una officina Fiat come riparatore di automobili. Un mondo che gli andava troppo stretto e così un po’ alla volta ha deciso di mettere a frutto l’esperienza fatta seguendo il lavoro del babbo. Un padre geloso del suo sapere dal quale “prender su”, imparare osservando. Un padre che però lo ha spinto ed incoraggiato ad andare in giro per il mondo per acquistare affettatrici, bilance, macinacaffè, registratori di cassa e altri oggetti meccanici d’epoca da portare in officina, da restaurare e far funzionare a cui ridare un senso, un valore e un mercato. Le mitiche Berkel, incredibili affettatrici manuali a volano, rosse, spiegate e raccontate fotograficamente da Andrea Tomba. Le San Marco, il cui marchio è stato rilevato dal 2009 proprio dalle Officine Cantelli per non vedere morire un pezzo di storia e arte artigiana italiana. Macchine russe e americane. I pezzi mancanti vengono progettati e ricostruiti artigianalmente. Macchine smontate pezzo per pezzo, ripulite, cromate, stuccate, riverniciate e decorate a mano come le originali. Poi la fase di montaggio per arrivare al momento più piacevole: il collaudo. Magari affettando un buon prosciutto da degustare in compagnia. Un lavoro meticoloso, preciso che richiede pazienza e tanto tempo. Alle Officine Cantelli non c’è orologio e non c’è marcatempo. Un vero e proprio patrimonio storico che non deve andare disperso e così è nato l’archivio italiano delle affettatrici d’epoca: un registro nel quale vengono individuate tutte le opere di restauro dell’officina. Storia, marca, modello e caratteristiche di ogni singola macchina, con tanto di foto, certificato e descrizione minuziosa; uno strumento fondamentale per la classificazione, valorizzazione e conservazione di questi manufatti. E’ consultabile presso la sua casa museo dove si possono ammirare molti dei suoi lavori. Vidmer è oggi un personaggio conosciuto in molte parti del mondo sia nell’ambito dei mercati antiquari che delle fiere enogstronomiche internazionali. E’ riuscito a convincere gli spagnoli che sia Pata Negra o Jamón Serrano, normalmente tagliati a fetta grossa a coltello possono essere valorizzati da un taglio a velo con lama concava, come avviene con le sue macchine Berkel. Ciò non sfibra la carne, non riscalda la fetta, ed evita per la concavità della lama lo scambio di

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cariche batteriche. Tante sono le sue collaborazioni con le aziende italiane produttrici di salumi a cominciare proprio con la mortadella di Negrini da Renazzo. Storia, meccanica, ingegneria, tradizione, gastronomia e tanta passione per valorizzare con grande soddisfazione l’eccellenza dei nostri insaccati emiliani nel mondo.

Il mestiere del rigattiere - Mazzent, Alberto Mazzanti

Lo trovi intento a dare il fondo da legno ad una cornice, il sabato mattina nel suo capannone quasi in centro a Renazzo. Era una carrozzeria per automobili, oggi è il suo laboratorio dove raccoglie, accatasta aggiusta e sistema qualunque cosa. Mobili, vecchie valigie, sedie lampadari, quadri, libri, scatole di latta, una botte, una panchina, un ventilatore, dei rubinetti, vecchie insegne: insomma un po’ di tutto. Mazzent, al secolo Alberto Mazzanti lo si può chiamare per svuotare il solaio o la cantina, per sgomberare un negozio chiuso da tempo. Si arrangia, aggiusta, ripara e restaura a modo suo quello che gli piace, per passione, per il piacere di farlo, per la soddisfazione di vedere le sue cose riutilizzate in un modo diverso da quello per cui erano state costruite. Ogni pezzo pian piano ritroverà poi una nuova collocazione: le vecchie grandi lavagne di scuola ora completano l’arredamento delle trattorie romagnole, così come le scatole di latta o le vecchie insegne pubblicitarie. Complementi d’arredo anni ‘70 che vengono riproposti dalle vetrine dei moderni negozi di abbigliamento, panche di legno, comodini o l’armadio della nonna, troppo ingombranti per gli striminziti appartamenti moderni, collocati nell’ingresso di una birreria di Berlino. Una madonnina di gesso con una mano crepata, un po’ acciaccata dal terremoto. Questa non si vende: “mi sono affezionato” confessa, “la tengo qui a farmi compagnia”. Qualcuno che va e viene, un giro a curiosare, due parole e qualche richiesta. Spesso chiedono proprio quello che non c’è. Così Mazzent ti può procurare quello che cerchi, contattando colleghi rigattieri. Questo lavoro è una delle passioni che ha sempre coltivato, fin da bambino come quella per vecchi berretti e cappelli. Estemporaneo e non databile il ritratto che ha scattato di lui Andrea Tomba; irriverente e sornione lo specchio nel quale ha saputo magistralmente collocarlo il suo amico Walter Sau. Frequentatore ed esperto di mercati d’antiquariato negli ultimi anni è rimasto molto deluso dal marasma di bancarelle improvvisate piene di scarpe e vestiti usati buttati lì solo per far di moneta e allora approfittando della tecnologia ecco che utilizzando internet gli scambi si possono fare anche da casa e in questo modo il mondo è tutto un po’ più vicino. Non è sparito però il piacere della trattativa e qualche volta dello scambio; il suo carretto è andato a finire a casa di un amico che ci carica sopra la legna, e fra una chiacchiera e l’altra lo ha barattato con tre gustosissimi salami. Così com’era, lasciando anche la targa Robi Vecchi Mazzent.

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Cine-teatro Don Zucchini

A marzo di quest’anno presso il cine-teatro Don Zucchini è stato installata la nuova cinemeccanica digitale. Indispensabile per mantenere il passo con i tempi, per facilitare il lavoro degli operatori e per garantire a tutti gli affezionati spettatori la visione perfetta dei film di rassegna che da alcuni anni viene proiettata in questa “bomboniera” del centro storico di Cento. Lorenzo Guerzoni ce ne regala una romantica immagine ma non va in pensione e rimane per la proiezione di film in versione originale lo splendido proiettore cinematografico a pellicola Victoria 8 della Cinemeccanica di Milano, macchina risalente agli anni ‘60 e ancora funzionante. Questo oratorio di via Guercino, donato alla parrocchia di San Biagio agli inizi del ‘900, utilizzato per molti anni come luogo per il ritrovo e l’educazione dei giovani è stato completamente ristrutturato negli anni ‘70. Ospita ora la Biblioteca Capitolare ed è sede della Cooperativa Culturale Città di Cento. La sala cine-teatro è l’unica sala cinematografica attualmente funzionante del centro storico disponibile anche per conferenze, dibattiti, attività scolastiche e culturali. Il pubblico che va al cinema è sempre più numeroso. L’interesse è sicuramente per la qualità dei film scelti e proposti, ma anche per la gradevole accoglienza del luogo e perché per molte persone l’andare al cinema significa ancora fare due passi in centro e chiacchierare all’entrata e all’uscita con amici e conoscenti. Un ambiente a misura d’uomo, che vive ora il suo secondo tempo.

Il mestiere del pastore – Roberto Balboni

E’ il giorno di Natale. Inverno, nuvoloso ma non fa troppo freddo e a passeggio su uno stradello di campagna nei pressi di Reno Centese incontriamo Roberto Balboni che fa di mestiere il pastore. Da molti anni, per passione ma oggi il suo è un piccolo gregge al pascolo. Una ventina di pecore da macello, prevalentemente bianche, tutte radunate intorno a lui, sembrano spaventate dalla presenza di estranei. Le custodisce e le sorveglia; non ha il cane. Il suo lavoro è scandito dalle ore di luce della giornata e dai ritmi dei suoi animali. E’ un lavoro antico, oggi molto pesante e senza futuro, segnato da tante difficoltà: regole sanitarie, vaccinazioni, permessi. Questo sarà probabilmente il suo ultimo gregge; la lana non è più richiesta e i contadini non sono più disposti a consentire il pascolo degli animali sui propri terreni. Una velata malinconia quasi oppressa dal cielo plumbeo incorniciata dalla panoramica di Federica Burnelli.

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Renazzo (Fe) - Abitazione-studio di Adelfo Galli Adelfo Galli prima di dedicarsi ad una sua opera Foto di Luca Govoni

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Renazzo (Fe) - Abitazione-studio di Adelfo Galli Il giardino di Adelfo è una mostra a cielo aperto Foto di Lorenzo Guerzoni 19


Renazzo (Fe) - Abitazione-studio di Adelfo Galli Particolare evanescente di un volto scultoreo Foto di Andrea Tomba

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Renazzo (Fe) - Abitazione-studio di Adelfo Galli Ritratto etereo dello scultore Adelfo Galli Foto di Andrea Tomba

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Renazzo (Fe) - Abitazione-studio di Adelfo Galli Adelfo tra le sue opere Foto Lorenzo Guerzoni

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Renazzo (Fe) - Abitazione-studio di Adelfo Galli La concentrazione di Adelfo si manifesta attraverso la sua mimica Foto di Lorenzo Guerzoni

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Renazzo (Fe) - Abitazione-studio di Adelfo Galli La mano sapiente di Adelfo che ritocca il naso di una sua opera Foto di Walter Sau

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Renazzo (Fe) - Abitazione-studio di Adelfo Galli La mano laboriosa di Adelfo “ buca lo schermo � Foto di Andrea Tomba

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Renazzo (Fe) - Abitazione-studio di Adelfo Galli La scultura di Agostino Merighi in sella al suo trattore Foto di Andrea Tomba

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Renazzo (Fe) - Abitazione-studio di Adelfo Galli Fusione fra le mani dell’artista e la sua argilla Foto di Andrea Tomba

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Renazzo (Fe) - Abitazione-studio di Adelfo Galli Sequenza nella quale Adelfo esprime la mimica espressiva Foto di Mirco Balboni

Nella pagina a fianco Renazzo (Fe) - Abitazione-studio di Adelfo Galli Intenso ritratto di Adelfo Foto di Mirco Balboni

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Renazzo (Fe) - Falegnameria di Giovanni Alessandro Gilli Ritratto di Sandro Foto di Enrica Gilli Nella pagina a fianco Renazzo (Fe) - Falegnameria di Giovanni Alessandro Gilli Scultore per passione, Sandro al lavoro realizza le statuine di un presepe Foto di Enrica Gilli

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Renazzo (Fe) - Falegnameria di Giovanni Alessandro Gilli Studio delle proporzioni di una statuina del presepe Foto di Enrica Gilli 32


Renazzo (Fe) - Falegnameria di Giovanni Alessandro Gilli Sandro “crea” con mazza e scalpello Foto di Enrica Gilli 33


Cento (Fe) - Gipsoteca Vitali Giorgio Vitali in contrapposizione ad una scultura del padre Guerrino Foto Andrea Tomba

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Cento (Fe) - Gipsoteca Vitali Le sculture di due ballerine danzano armonicamente insieme Foto di Walter Sau 36


Cento (Fe) - Gipsoteca Vitali Giorgio Vitali posa fiero tra alcuni dipinti di suo padre Guerrino Foto di Andrea Tomba

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Cento (Fe) - Gipsoteca Vitali La ballerina dipinta da Guerrino Vitali domina la sala principale Foto di Federica Brunelli

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Nella pagina a fianco Cento (Fe) - Gipsoteca Vitali Ritratto di Giorgio Vitali, il proprietario della Gipsoteca Foto di Mirco Balboni


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Cento (Fe) - Gipsoteca Vitali Il laboratorio con statue e particolari in gesso Foto di Federica Brunelli

Cento (Fe) - Gipsoteca Vitali L’imponente dipinto di Guerrino Vitali “avvolge” una sua statua di gesso Foto di Federica Brunelli

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Cento (Fe) - Gipsoteca Vitali Una luccicante scultura è avvolta da una parete ricca di quadri Foto di Walter Sau

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Cento (Fe) - Laboratorio di Vasco Fortini Un’opera in fase “embrionale” dello scultore e pittore Vasco Fortini Foto di Andrea Tomba

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Cento (Fe) - Tipografia Barbini Una macchina per stampare brilla di luce propria Foto di Luca Govoni

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Cento (Fe) - Tipografia Barbini Lucio Pellegatti, il titolare, si adopera nella manutenzione dei suoi “gioielli� Foto di Luca Govoni

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Cento (Fe) - Tipografia Barbini Una veduta della storica “ bottega� Foto di Lorenzo Guerzoni

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Cento (Fe) - Tipografia Barbini Lucio Pellegatti, il titolare, posa in mezzo alle sue macchine Foto di Luca Govoni

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Cento (Fe) - Tipografia Barbini Particolare caratteristico all’interno del laboratorio Foto di Lorenzo Guerzoni

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Cento (Fe) - Il “Mago della scarpa� Learco Guerzoni aggiusta una delle centinaia di scarpe nel suo negozio Foto di Luca Govoni

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Cento (Fe) - Il “Mago della scarpa” Learco Guerzoni nel suo laboratorio Foto di Luca Govoni

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Cento (Fe) - Il “Mago della scarpa� La bottega si mostra nella sua pienezza Foto di Lorenzo Guerzoni

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Cento (Fe) - Il “Mago della scarpa” Lo storico banco di lavoro di Learco Foto di Lorenzo Guerzoni

Cento (Fe) - Il “Mago della scarpa” Come nuove, le scarpe appena riparate da Learco Foto di Lorenzo Guerzoni

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Pieve di Cento (Bo) - Officina di Vidmer Cantelli Vidmer cura con passione ed esperienza una Berkel Foto di Andrea Tomba

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Pieve di Cento (Bo) - Officina di Vidmer Cantelli Vidmer, riparatore e collezionista e di affettatrici d’epoca, rifinisce con cura una “Berkel” Foto di Walter Sau

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Pieve di Cento (Bo) - Officina di Vidmer Cantelli Panoramica dell’Officina Cantelli Foto di Walter Sau 57


Pieve di Cento (Bo) - Officina di Vidmer Cantelli Una Berkel impegna Vidmer nella riparazione Foto di Andrea Tomba

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Pieve di Cento (Bo) - Officina di Vidmer Cantelli Uno spaccato del laboratorio di Vidmer Foto di Andrea Tomba

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Renazzo (Fe) - Magazzino di Alberto Mazzanti Allo specchio, Alberto, collezionista e commerciante d’ antiquariato, verifica il funzionamento di un oggetto d’epoca Foto di Walter Sau Nella pagina a fianco Renazzo (Fe) - Magazzino di Alberto Mazzanti Ritratto di Alberto Foto di Andrea Tomba

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Renazzo (Fe) - Magazzino di Alberto Mazzanti La posa di Alberto, in un contesto paradisiaco Foto di Andrea Tomba

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Renazzo (Fe) - Magazzino di Alberto Mazzanti Alberto in controluce, munito di carretto, si appresta a spostare alcune sedie Foto di Walter Sau

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Cento (Fe) - Cinema Don Zucchini Particolare del proiettore all’interno del cinematografo Foto di Lorenzo Guerzoni

Cento (Fe) - Cinema Don Zucchini Particolare della pellicola in bobina Foto di Lorenzo Guerzoni

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Buonacompra (Fe) Il pastore Roberto Balboni accompagna le sue pecore al pascolo Foto di Federica Brunelli Nella pagina successiva Buonacompra (Fe) Sullo sfondo di un cielo plumbeo, si staglia il pastore Roberto Balboni ed il suo gregge Foto di Federica Brunelli

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LA GASTRONOMIA L’investitura del maiale E’ una mattina nuvolosa d’inverno, nemmeno tanto fredda a Pieve di Decima di Persiceto (Bo) e nel cortile dell’Azienda Agricola Malaguti è tutto pronto per l’investitura del maiale. Stivali di gomma, il tavolato di legno già posizionato, il paiolo con l’acqua bollente, coltelli ben affilati, i raschietti per la rasatura del pelo e via che si procede. E’ una scena cruda! Un momento che non lascia spazio ai sentimentalismi. La penombra dominata dai colori di Walter Sau non ne attenua le emozioni. Una immagine che riporta indietro nel tempo, a quando in ogni aia di casa contadina c’era il porcile che ospitava uno o più maiali. All’ingrasso per tutto l’anno per poi essere trasformato durante l’inverno in tanti buoni prodotti da stagionare per il sostentamento di tutta la famiglia. Abitudine rurale che è andata via via spegnendosi e perdendosi negli corso degli ultimi 40 anni, che ancora si pratica in alcune realtà classificate oggi come “aziende agricole”. Anche a Corporeno (FE), presso il capannone di Giuseppe Bianchi (detto Beppe) un sabato di buon mattino ci si dedica alla lavorazione tradizionale del maiale. Un interessante hobby gastronomico per un gruppo di amici che il maiale lo hanno acquistato a pezzi. E’ tutto un po’ più semplice. Ma c’è comunque molto lavoro da fare. E non è mica arrivato con il libretto delle istruzioni. E così i più giovani prima postano foto delle loro marachelle sui social network, colti sul fatto da Walter Sau, e in questo sono davvero bravi, poi si affidano all’esperienza di Beppe. Sono venuti proprio per imparare a fare il “mazaler”. E qui da noi ce ne sono ancora: uomini che hanno imparato dai loro padri e ogni inverno perpetuano questo rito, abili macellai che conoscono a memoria ogni operazione, che sanno da dove cominciare, capaci di tagliare, sgrassare, scotennare per dare forma a tutti i prodotti e agli insaccati che dal maiale si ricavano. Salami, cotechini, una zeia, una matassa di salsiccia, una salama, il tintorino, la coppa di testa, i ciccioli. Il prosciutto, la pancetta, qualche costina, un po’ di carne per il ragù dei maccheroni e il bollito con zampetti, orecchie e anche la coda. E’ un detto risaputo: “del maiale non si butta via niente” ed è proprio vero. Vero anche che il maiale è uno dei grandi protagonisti delle nostre specialità gastronomiche che vengono con successo prodotte e commercializzate dai tanti salumifici artigianali locali ma allo stesso tempo riproposte dai ristoranti e dalle sagre del territorio che promuovono e danno lustro alla cucina tipica di questa nostra terra. La Salama da Sugo di Buonacompra (Fe) E’ la regina della cucina Ferrarese, fin dai tempi di Borso d’Este che ne faceva dono a Lorenzo il Magnifico. A Buonacompra la locale Polisportiva produce artigianalmente da quarant’anni questo prelibato insaccato: carne di maiale

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scelta con attenzione, sale, pepe, noce moscata, vin clinto rosso; il tutto accuratamente macinato, condito e mescolato a mano poi imbudellato nella vescica del maiale. Operazione abilmente fissata dall’obiettivo di Federica Brunelli. L’aria non deve entrare per non farla rancidire durante la stagionatura. Un massaggio per dare la giusta forma e un abile gioco di mani con lo spago per la legatura a otto spicchi con il collo del budello rigorosamente legato nella parte bassa. Un elastico sul “girovita” per compattare l’operazione. A due a due si tengono compagnia gocciolanti, per qualche giorno, sulla pertica per l’asciugatura poi tutte a stagionare in una vecchia cantina per almeno sei mesi. La nebbia umida dell’inverno la ricopre di nobile muffa. Prima di poterla gustare si perpetua un altro rito: una notte a bagno in acqua fredda e al mattino, in una penombra vibrante di colori cupi e antichi, rubata anche dall’obiettivo di Federica, la mano esperta dei norcini a ripulire la pelle da tutte le impurità dell’inverno. Solo dopo sei ore di bollitura a fuoco lento all’interno di un sacchetto da cottura e senza entrare a contatto con il fondo della pentola si potrà finalmente sentire il suo profumo intenso e lasciare andare in estasi il palato. Un sapore forte e intenso della nostra terra. Un sapore che sarebbe andato perduto, ma che non andrà perduto. Le famiglie contadine che ogni anno macellavano in casa il maiale vanno sparendo e per tramandare questa prelibatezza a Buonacompra il gruppo di amici che da quarant’anni organizza la locale sagra è rassicurato dall’esperienza di Dante esperto anziano norcino che da sempre osserva i tagli di carne e ne analizza la composizione, prepara la concia e controlla la stagionatura. Un gruppo affiatato di uomini che condivide ogni anno l’esperienza della produzione, della stagionatura e della cottura per la degustazione. Un gusto che si tramanda. Ma che bei cotechini – Alberone (Fe) Chiacchierano, in dialetto, tranquillamente affaccendati. Ognuno intento al proprio lavoro: chi taglia la carne, chi prepara la macchina per la macinatura, chi pensa alle budella, chi pesa la cotica, chi dosa le spezie e prepara il vino. Si parla della partita e anche di politica ma a tener banco sono sempre le faccende di paese nella grande cucina della sala polivalente del circolo sportivo Alberonese dove un affiatato gruppo di norcini provetti si ritrova per la produzione del Cotechino. E non è mica un cotechino qualunque! E’ un cotechino da record: vanta l’iscrizione nel guinnes dei primati: il 5 agosto 1999 è stato realizzato, cotto e servito al pubblico per la degustazione, un cotechino del peso di 485 kg della lunghezza di 137,50 mt. Una bella soddisfazione!

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“Ben alora se lì ag pinsè ueltar mi a mett su al ragù” (bene allora se lì ci pensate voi io metto su il ragù); mentre gli altri impastano le carni macinate e si apprestano all’imbudellatura si diffonde il profumino di soffritto del ragù che Liviano cucina per tutti. Un occhio alla padella e un occhio alla pentola dove ha messo a lessare le code del maiale in un colorato brodo di verdure. Sempre attenti ad ogni operazione ma ormai pratici e abituati ad eseguire gesti consueti che si ripetono ad ogni produzione del cotechino: prima di ogni edizione della sagra, occasione che ha dato tanta notorietà a questo piccolo paese. Imbudellati, legati alle estremità e foracchiati, annodati due a due e appesi ad asciugare su un alto castello di pertiche ben distanziate. Tutti gocciolanti, stesi per qualche giorno, a colpo d’occhio sono una vera architettura gastronomica, proprio un bello spettacolo! Ed è pronto anche il ragù mentre si riordina la cucina e con cura si ripuliscono e asciugano tutti i meccanismi della macchina tritacarne magistralmente immortalati quasi a natura morta dalla sensibilità di Enrica Gilli. Quanti bei cotechini! E la giornata trascorsa con loro in cucina a scattare foto è stata una vera esperienza: ognuno sa cosa deve fare, tutti maestri esperti, meccanismi quasi automatici; penso che se dovessero scrivere una sequenza di operazioni per lasciare istruzioni si troverebbero più in difficoltà. Non si può spiegare solo in teoria come si fa un cotechino, serve l’esperienza sul campo, mani in pasta con grande soddisfazione poi per il risultato. Le sagre della nostra zona promuovono davvero un prodotto tipico e sono una vera fucina che alimenta le nostre tradizioni gastronomiche. Il salame alla brace Alla fine di una giornata di intenso lavoro passata a tagliar carne e imbudellare è d’obbligo un bel piatto di maccheroni conditi con il ragù fresco di maiale, intanto si accende il camino e si posiziona la pertica dei salami proprio lì davanti ad asciugare. E per chiudere in bellezza, sfruttando le braci e il calore della pietra del focolare, ecco un’altra nostra gustosissima tradizione gastronomica: il salame alla brace. Freschissimo o solo asciugato qualche giorno un salame di medie dimensioni viene avvolto in un foglio di carta di mais o di carta gialla inumidita. Coperto prima con cenere calda poi con le braci roventi a cuocere per un oretta. E’ un’antica usanza, citata per la prima volta dagli storici che raccontano di un sontuoso pranzo offerto nel 1688 dal duca Alessandro II Pico della Mirandola. Tolto dal camino, srotolato o tagliato a spesse fette ancora avvolto nella carta, diffonde un profumo intenso di pepe appena macinato, di vino condito con aglio, sale e spezie e di carne appena conciata. Va servito a fianco di una bella fetta di polenta

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o con il purè di patate ed è il motivo per trascorrere una serata a tavola in compagnia degli amici e di un buon bicchiere di vino rosso. Rendono corposamente omaggio al salame gli scatti incandescenti e profumati di Enrica Gilli. Non sempre c’è un camino con un grande focolare a disposizione per asciugare le pertiche di salami di questi moderni inverni e allora si può provare la cottura nella stufa a legna o nel forno. E proprio alla brace viene cotto il salame che la Polisportiva XII Morelli propone ad agosto alla relativa sagra. Un’altra prelibatezza del nostro maiale che sa di questa terra e che le piccole località veicolano per animare le estati gastronomiche. La mostatura dell’uva Profuma intensa di settembre l’aria di un sabato pomeriggio in campagna. Un rustico ristrutturato in zona Casumaro da Donato Minonne di origini pugliesi è il ritrovo dopolavoro di alcuni colleghi che per tutta la settimana si incontrano al chiuso di una fabbrica metalmeccanica. Insieme a lui Marco Balboni di Finale Emilia, Massimo Poggi e Davide Natali. Non c’è la vigna e non hanno nemmeno vendemmiato ma l’uva che hanno acquistato e già lì che li aspetta, nelle cassette; pignoletto bianco, vin clinto, lambrusco. Una vecchia mostatrice a manovella appoggiata sopra un tino per schiacciare l’uva a forza di braccia come se qui il tempo si fosse fermato. Bianco e nero insieme e il risultato è un profumato mosto rosè. Spillato dal tino, da dividere un po’ per uno, buono per fare i sughi, poi lasciato lì il resto per qualche giorno a fermentare. A fine giornata c’è in ognuno la soddisfazione per quel lavoro manuale condiviso ed è piacevole anche l’appiccicaticcio zuccherino che rimane sulle mani. Attacca anche la macchina fotografica di Luca Govoni che ha documentato il lavoro ma ha anche piacevolmente bevuto con i colleghi. Il risultato finale che sarà imbottigliato porterà orgoglioso l’etichetta con scritto “L’abbiamo fatto noi” e di sicuro non mancherà l’occasione per essere sorseggiato in compagnia. Anche fare il vino in casa era una delle consuetudini della vita rurale di questa zona; qualcuno che ha mantenuto la vigna lo fa ancora; tutti con almeno un filare di vin Clinton, rosso scuro, corposo, grosso e secco da pasto. Una bevanda fuorilegge che per la troppo bassa gradazione alcolica non è nemmeno classificato come vino e che per l’alta percentuale di tannino contenuta non può essere commercializzato. Ma è buonissimo per fare i sughi e qui da noi si beve ancora. La tradizione contadina qua e là rimane. Che sia possibile con le tecniche moderne rivalutare questo vino e ridargli il ruolo di protagonista di questa terra come merita?

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Corporeno (Fe) - Capannone di Giuseppe Bianchi Adattate per l’occasione, le orecchie del maiale, vengono indossate da Michele Colletti per questa foto ricordo Foto di Walter Sau

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Corporeno (Fe) - Capannone di Giuseppe Bianchi Il pentolone della coppa di testa Foto di Walter Sau

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Pieve di Decima di Persiceto (Bo) - Azienda Agricola Malaguti Uno dei momenti piÚ faticosi dell’investitura, la rasatura Foto di Walter Sau

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Corporeno (Fe) - Capannone di Giuseppe Bianchi Giuseppe Bianchi, il Mastro Macellaio, intento a tritare la carne Foto di Walter Sau

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Corporeno (Fe) - Capannone di Giuseppe Bianchi Il momento della pesatura, affidato a Davide Roncarati e Mattia Colletti Foto di Walter Sau

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Corporeno (Fe) - Capannone di Giuseppe Bianchi Dopo la cottura, la testa del maiale viene minuziosamente ripulita Foto di Walter Sau Nella pagina a fianco Corporeno (Fe) - Capannone di Giuseppe Bianchi La cotenna pulita per la produzione dei ciccioli Foto di Mirco Balboni 82


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Corporeno (Fe) - Capannone di Giuseppe Bianchi La mano esperta di Giuseppe Bianchi, cosparge sulla carne trita la giuste dose di pepe Foto di Walter Sau

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Corporeno (Fe) - Capannone di Giuseppe Bianchi Giuseppe Bianchi ed i suoi collaboratori, durante l’insaccatura dei salami e della salsiccia Foto di Federica Brunelli

Corporeno (Fe) - Capannone di Giuseppe Bianchi Giuseppe Bianchi condisce con vino rosso e aglio la carne Foto di Federica Brunelli

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Corporeno (Fe) - Capannone di Giuseppe Bianchi Il fumo del paiolo avvolge il Mastro Macellaio Giuseppe Bianchi Foto di Mirco Balboni

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Buonacompra (Fe) La salama da sugo insaccata e legata, è pronta per essere appesa ad asciugare Foto di Federica Brunelli

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Buonacompra (Fe) Salama da sugo appena insaccata pronta per passare alla legatura Foto di Federica Brunelli

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Buonacompra (Fe) La salama da sugo viene pulita e asciugata prima di essere cotta Foto di Federica Brunelli

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Alberone (Fe) - I cotechini di Alberone La selezione della carne che sarĂ macinata Foto di Enrica Gilli

Alberone (Fe) - I cotechini di Alberone Il signor Vittorio pulisce il trita-carne Foto di Enrica Gilli

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Alberone (Fe) - I cotechini di Alberone Le code di maiale lessate in un brodo di verdure, sono il pranzo dei lavoratori Foto di Enrica Gilli

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Alberone (Fe) - I cotechini di Alberone I cotechini pronti per essere serviti nella sagra paesana Foto di Enrica Gilli Nella pagina a fianco Alberone (Fe) - I cotechini di Alberone Il signor Franco predispone l’impalcatura per appendere ed asciugare i cotechini Foto di Enrica Gilli

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Renazzo (Fe) I salami, avvolti in carta bagnata, vengono coperti dalle braci incandescenti Foto di Enrica Gilli

Renazzo (Fe) I salami vengono estratti dalle braci e liberati dalla carta Foto di Enrica Gilli

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Renazzo (Fe) I salami sono pronti per essere portati in tavola Foto di Enrica Gilli

Renazzo (Fe) La portata principale accompagnata da un bicchiere di vino rosso Foto di Enrica Gilli

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Casumaro (Fe) - Cantina di Minonne Donato Mostatura dell’uva Foto di Luca Govoni

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Casumaro (Fe) - Cantina di Minonne Donato La mano di Donato Minonne si appoggia in un momento di riposo Foto di Luca Govoni

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LE TRADIZIONI Il palo della cuccagna a Penzale – Cento (Fe) Penzale, quartiere di Cento con la sua parrocchia, la chiesa, il campanile e le sue tradizioni, che ogni anno, la terza domenica di settembre, festeggia la Beata Vergine del Penzale. Un quadro pieno di simboli di questa terra dipinto da Federica Brunelli con una sola immagine. Cerimonia religiosa molto sentita e partecipata dalla gente con la celebrazione pomeridiana della messa seguita dalla processione solenne. Ma l’evento più atteso della giornata è sempre stato il gioco del palo della cuccagna. Un grosso palo di legno alto 14 metri tutto unto di grasso per ingranaggi, posizionato in verticale circondato da balle di paglia nel centro del cortile della parrocchia con in cima, legati ad una ruota da bicicletta mortadella, pancetta, formaggio, salami e prosciutti. Luca Govoni ha visto e sospeso questi incredibili dettagli. Prelibatezze da raggiungere e recuperare a squadre salendo sul palo e raggiungendo la cima nel minor tempo possibile. Una vera e propria competizione fra cinque o sei gruppi di ragazzi della parrocchia o dei paesi vicini. Una disputa tipica delle piccole località di campagna, come anche il tiro alla fune, un gioco che per i protagonisti era l’avvenimento dell’anno, di cui continuare a raccontare e discutere fino alla sfida successiva. Ma all’inizio degli anni ’90 per motivi di sicurezza, necessità di imbragature e rimpalli di burocratica responsabilità gli organizzatori interrompono a malincuore questa manifestazione. Fino allo scorso ottobre quando un gruppo di nostalgici fra i quali gli stessi ragazzi, ormai cresciuti, che da concorrenti sfidavano il palo hanno fortemente voluto riportare a Penzale la sua principale attrazione invitando gli atleti della Associazione Sportiva “Gli Acrobati della Cuccagna”. Da Bergamo sono arrivati portando con se tutto il necessario: palo, reti di protezione a norma di legge, grasso, tiranti, sostegni e anche la bandiera italiana da far sventolare sulla cima. Il cortile della parrocchia è uno spazio troppo piccolo e allora tutto viene montato nell’area di parcheggio di fronte alla chiesa. Loro sono i campioni italiani in carica di questa disciplina: una vecchia tradizione divenuta un vero e proprio sport con tanto di gare a squadre in tutta Italia. Questo gruppo iscritto alla federazione sportiva amatoriale UISP ha ottenuto l’affiliazione al CONI e da qualche anno promuove e propone in giro per tutte le piazze d’Italia questo spettacolo sportivo. Fa da sfondo il campanile allo scatto di Andrea Tomba che osserva questi veri folletti acrobatici in tuta verde con grossi calzettoni. Utilizzando la tecnica a schema classico in pochi secondi hanno mostrato al folto pubblico che si era radunato come raggiungere i premi. Uno in groppa all’altro con il terzultimo che scavalca l’ultimo per agguantare il prosciutto. Insieme a loro, provenienti da altre regioni tre ulteriori squadre invitate per l’occasione hanno dato prova della loro tecnica e velocità di risalita per un pomeriggio davvero ricco e competitivo. Suggestivo ed emozionante per i bambini ma soprattutto per gli organizzatori il momento in cui dall’alto sono piovute sul

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pubblico manciate di caramelle. Un evento tornato sotto il campanile davvero voluto, sentito e molto rincuorante. Penzale potrà riavere la sua attrazione, il gruppo parrocchiale ci sta pensando molto seriamente; la tradizione in questo caso non si è scoraggiata di fronte a normative di sicurezza, burocrazia e scartoffie: c’è chi muovendosi ingegnosamente sopra le maglie di questa rete ha saputo reinventare un’antica competizione di paese portandola a nuova vita come vera e propria disciplina sportiva. Cambiano i tempi, aumentano le difficoltà, migliora la sicurezza ma con questo spirito rivivono le tradizioni. I campanari di Renazzo (Fe) Siete mai saliti su un campanile? Si stagliano nel cielo tutto il giorno, di notte, con il sole, se nevica. Anche quando piove. Quasi non li vediamo, sono fermi lì da sempre e ormai li diamo per scontati, ma ce ne sono tanti. E suonano! I nostri campanili sono vivi. Allegramente vissuti dai campanari; un folto gruppo di energici giovani che facendosi carico di secoli di tradizione ha riaperto e dato voce ai tanti campanili della nostra pianura. I più esperti tengono lezioni di suono a doppio alla Bolognese, della tecnica a trave o dello scampanio per formare nuove leve e tramandare questa desueta passione. Sui campanili o in una vera e propria scuola dove si può utilizzare uno splendido castello di campane mobili. Sintonia, ritmo, forza e spirito di squadra per affrontare una suonata a festa, un servizio a corredo di una celebrazione liturgica o una gara fra campanari. La cella campanaria è un luogo magico, fuori dal tempo. Custodisce i preziosi bronzi e viene trattata con molto rispetto; ordine, disciplina, ogni ciappo e ogni puntello al suo posto e pochi schiamazzi. La campana è un vero e proprio strumento: elegante e potente. Un bronzo musicale unico, progettato e fuso; decisa e vibrante la sua nota; i decori la datano come un documento d’archivio. Non una uguale ad un’altra. Ogni melodia è un’intima sintonia fra il campanaro e la sua campana. Parla la campana e la osserva il campanaro nel bianco e nero di Andrea Tomba. La mattina di Natale, proprio in campanile, incontriamo Denis, renazzese Doc, intento a “scampanzare” cioè a suonare tirando il battacchio con cordini legati a mani e piedi: Mirco Balboni, appoggiato sul davanzale opposto inquadra questa particolare tecnica. Dopo il terremoto non è più possibile suonare a slancio e far girare le campane. Non si dovrebbe nemmeno salire. Ma piange il cuore lasciare il campanile muto il giorno di Natale! Ha cominciato a suonare da ragazzino, tirato su per le scale, per le orecchie da un vecchio campanaro che invece di fargli la ramanzina per essere stato da lui chiuso ripetutamente in campanile gli ha mostrato quel che succedeva nella cella campanaria. Una scoperta affascinante, una sfida stimolante, una attività fuori del comune, per Denis più interessante di una partita di calcio o di tennis. E così ha imparato a suonare

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e con intelligente e leggera gogliardia ha incuriosito allo stesso modo altri coetanei e ragazzi più giovani diventandone il maestro, sia in campanile che alla scuola. Ora fa parte del Consiglio della Unione Campanari Bolognesi, colleziona campane e tiene conferenze per promuovere questa secolare disciplina, sia per farla conoscere che per incuriosire nuovi allievi. Capo torre, sempre con le chiavi del campanile in tasca ma molto attento a non lasciarla mai infilata nella toppa; non capiti che sotto ci sia un “cinno” come lui che si diverta a chiuderlo dentro. Regola numero uno del capo torre! Sorride e si illumina mentre racconta aneddoti campanari all’obiettivo di Walter Sau. Spalancando gli ampi finestroni dei campanili costruiti nello stile architettonico bolognese uno sguardo alla nostra terra: una vista piacevole e inconsueta di tetti, distese di campi, incroci di strade incontrando l’orizzonte ai colli euganei o alle colline bolognesi. Altra regola: non deve mancare mai una bottiglia di buon vino per due chiacchiere in compagnia ad organizzare l’appuntamento successivo, prima di scendere le scale. Saranno necessari progetti, importanti lavori e trascorreranno anni prima di poter nuovamente suonare a festa a Renazzo, a San Biagio, a Reno Centese e in tutti i campanili segnati dal terremoto, ma grazie alla voglia di stare insieme e di divertirsi di questi giovani campanari questa secolare tradizione si tramanderà. E voi siete mai saliti su un campanile? I presepisti di Bevilacqua (Bo) Il presepe a Bevilacqua veniva sempre allestito in un piccolo altare laterale della chiesa da Don Silvio e dai ragazzi del paese. “Un pomeriggio per caso entro in chiesa” – ci racconta Angelo Pirani – “e il parroco mi apostrofa: se hai due minuti dai ben una mano a questo ragazzo che finiamo il presepio!” Da quei due minuti ha preso il via l’idea di Angelo, affascinato fin da bambino dalla magia del presepe, di realizzarne uno meccanico per la parrocchia, con le statuine in movimento, il giorno e la notte, il ruscello con l’acqua. Appassionato di meccanica Angelo coinvolge gli amici Abdon Papi e Roger Sandoni e da sei anni a questa parte dedicano il loro tempo libero alla costruzione di meccanismi e movimenti per animare le tante statuine che oggi compongono uno spettacolare presepe riconosciuto persino come il migliore realizzato di tutta la diocesi di Bologna. Un piccolo laboratorio con poco spazio e tanti attrezzi reso spazioso dalla profondità impressa da Mirco Balboni. La chiesa è inagibile ma il locale a fianco, la cappella feriale è grande a sufficienza e già dal mese di novembre incomincia l’allestimento che si conclude la vigilia di Natale con l’apertura al pubblico del presepe proprio durante la messa di mezzanotte. Un motore elettrico collegato ad una ruota che gira con tante camme, ognuna delle quali è un movimento e una

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statuina ne può fare anche più di uno; si muovono gli animali e si aprono e si chiudono anche i portoni delle case. Statuine di dimensioni differenti per esigenze di prospettiva, hanno un corpo metallico che viene vestito con abiti colorati e curati nel minimo dettaglio mentre mani e testa sono di terracotta. Nel suo laboratorio il falegname taglia con la sega una grossa trave, sul far della sera si corica stanco dietro al suo portone che si chiude per ricominciare il lavoro il mattino successivo. Al fiume la massaia riempie di acqua un secchio e lo versa precisa in un otre e la lavandaia bagna e lava con cura un indumento. Il fornaio prende dalla dispensa una pagnotta bianca, cruda, la infila nel forno, si abbassa a controllare la cottura poi estrae dal forno la pagnotta cotta, scura e la ripone nella cesta; dal sacco della farina anche un topolino di tanto in tanto fa capolino. Enrica Gilli ha scelto per noi il maniscalco che di notte riposa nella stalla alle luci del giorno, che sotto lo sguardo attento del suo somarello batte il martello sullo zoccolo di un cavallo intento a brucare l’erba. Il fabbro martella un paiolo che non gli sembra venuto proprio bene; si ferma, si piega, controlla il lavoro, gira il paiolo e continua battere. Un paiolo ribolle con il fuoco acceso e da luce ad un pastore che si è addormentato all’aperto; si muove l’addome quasi a percepirne il respiro. Le galline becchettano sul prato; i pesci rossi che nuotano del laghetto sono veri. Un vasaio con il piede fa girare il tornio mentre realizza il suo vaso, “l’arzdora” mescola la polenta nel paiolo sul fuoco acceso, la tessitrice lavora al telaio con mani e piedi e si ferma per controllare un neonato che dorme. Dettagli delle abitazioni davvero perfetti, il ponte sul fiume, muschio, arbusti, sassolini, gli alberi, i sassi del fiume, i panni che sventolano e si asciugano, c’è anche la neve. Tutto a far da contorno alla natività in primo piano: Maria si china, solleva Gesù e lo presenta a Giuseppe che si inginocchia pregando; anche i pastori e i Re Magi si inginocchiano. Il bue e l’asinello che ruotano il capo. Luci colorate che alternano il giorno alla notte e musica di sottofondo che ci accompagnano nella visita di questo bellissima magia di Natale. Il presepe di Renazzo (Fe) Incantevole! A voler descrivere in una sola parola il presepe che la Parrocchia di Renazzo ha affidato allo scultore Adelfo Galli. Parcheggiato a Natale su due grandi carri di legno sul sagrato davanti alla chiesa. Incantevole! Replica anche il punto di vista di Enrica Gilli. Una mezzo balone di fieno a fare da quinta ad una serie di statue in terracotta grezza realizzate da bambini e adulti del gruppo presepe, la natività in primo piano, il bue e l’asinello, due meravigliosi Angeli trombettieri ai lati e le statue raffiguranti alcune persone del paese, perfettamente riconoscibili che lo stesso artista ha voluto aggiungere realizzate di sua mano. Un trattore, un asinello che traina un carretto, la banda che suona, un albero con sopra un passerotto

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realizzato in fil di ferro. Si potrebbe rimanere per ore ad osservare i dettagli e se si incontra Adelfo ti racconta appassionato aneddoti e motivazioni di ogni particolare. E allora ecco che nel presepe si riconosce benissimo la Merope, la perpetua di Don Ivo, riprodotta per intero, vicino alla natività, rappresenta la prima donna che ha incontrato Gesù. Con la schiena ricurva, il grembiule indosso, il concio a raccogliere i capelli e le mani leggermente contratte a stringere un panno per Gesù Bambino appena nato. Adelfo e la Merope sono davvero due personaggi. Lui artista di mestiere, lei perpetua di mestiere. Lui insistente e cocciuto avrebbe voluto crearla intenta a dar da mangiare alle galline nel pollaio con un seguito di pulcini. Lei più testarda di lui che come modella si è sempre negata. E allora la Merope che Adelfo ha messo nel presepio vicino alla natività l’ha osservata e ritratta in canonica; per rubare la sua immagine ha sfruttato il tempo che lei ha impiegato a lavare i piatti, non in posa ma senza che potesse fuggire. E come ringraziamento ne ha ricavato anche un rimprovero per aver sporcato il pavimento con “tutt cal soi” (tutto quel fango). D’altro canto lui ha bonariamente replicato sgridandola per essersi tagliata i capelli: la Merope del presepio ha il concio anche se ora lei non ce l’ha più. Sono amici veri, sono due persone con gli occhi che brillano; se ne accorge la sensibilità di Luca Govoni. Sempre sorridenti e quando lei parla di Adelfo lo apostrofa “al me zingan” (il mio zingaro). La befana di Agostino Merighi Imponente nei suoi dodici metri, elegantemente colorata, incorniciata dal buio, la Befana di Merighi è ogni anno uno spettacolo unico e suggestivo. Posta nel cortile dell’azienda è illuminata da un fascio di luci che la rende impenetrabile e misteriosa. E’ da oltre vent’anni un appuntamento fisso per grandi e piccini, nata da un idea che il gruppo di amici e compagni di scuola di Agostino ha avuto in una delle tante serate trascorse in compagnia nel loro club privato durante una cena del venerdì sera. Fare la befana per i bambini, quelli che all’epoca erano i loro figli piccoli. Così è stata costruita una grande struttura di ferro che viene riempita di paglia, poi vestita con i consueti abiti pieni di pezze e rattoppi sulla quale, utilizzando i mezzi aziendali, viene montata la testa di cartapesta. Un bellissimo viso da befana con le rughe, tante lentiggini, gli occhi celesti, gli occhiali, gote e labbra rosse, il nasone e uno sguardo da dolce vecchina realizzato con cura e precisione da Andrea, il figlio piccolo ormai adulto e dai nipoti che negli anni si sono appassionati alla tecnica della cartapesta e fanno parte di un gruppo carnevalesco per la realizzazione dei carri del carnevale di Cento. Intenso il ritratto della befana di Lorenzo Guerzoni. Per tutti

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i presenti un bicchiere di fumante vin brulè mentre sul piazzale arriva, ogni anno trainato da un mezzo diverso, il carretto con le calze che la befana distribuisce a tutti i bambini. Un somarello oppure un cavallo o un trattore Lamborghini. Non fa differenza quale, uno dei tanti trattori della collezione privata di Agostino. E qui ci addentriamo in una delle sue passioni, i vecchi trattori, li cerca, li rimette in funzione, li colleziona. La befana duemilatredici è stata trainata dal “marziano,” il primo esemplare di trattore Gandolfi costruito a Cento nel dopoguerra quando l’officina con meccanico Carassiti era situata all’interno del ghetto ebraico in pieno centro città. Voi lo sapevate? Ve ne siete accorti? In un solo scatto Luca Govoni ci ha messo dentro tutto questo. E ancora botti e fuochi d’artificio; tutti con il naso all’insù. I bambini si meravigliano e si spaventano anche un pochino ma e bello vedere che anche gli adulti subiscono ancora il fascino di questa tradizione. Ha radici antiche la festa dell’Epifania, una storia che si perde nella notte dei tempi legata al calendario agrario; un fantoccio da esporre nella notte di conclusione del solstizio d’inverno e l’inizio del nuovo anno solare. Da bruciare con fuoco purificatore per portar via l’anno vecchio e aprire con doni beneauguranti quello nuovo. Nei nostri paesi questa tradizione del rogo è ancora molto radicata, tante sono le località, anche vicine fra di loro che la sera del 5 gennaio bruciano la befana. Grande, piccola, bella, brutta, con i gnocchini fritti o la salsiccia, poco importa. E’ una festa davvero partecipata dalla gente, per il piacere di passare qualche ora in compagnia e che onora davvero la Befana. Agostino è uno dei più veri frutti di questa nostra terra! Il lavoro, la famiglia, l’amicizia, le feste, la passione e la voglia di condividere quello che ha animato la sua vita con tutti. Le pieghe che scavano il suo viso, il berretto in testa e gli occhi vispi che si illuminano al minimo sorriso. Così sono gli uomini che rendono vivo e interessante questo nostro territorio. Riti e Passione della settimana Santa Cento. Una Città ancora ferita dal terremoto con chiese inagibili imprigionate fra puntelli e ponteggi. I campanili muti. Ma a Pasqua la città rivive, si anima, ad ogni ora della giornata, la sera si popolano le vie con le processioni e i riti della settimana Santa. Un castello di campane mobili sul sagrato della chiesa di San Lorenzo dalla domenica delle Palme per scandire ad ogni ora le funzioni delle quarantore; maestri campanari davvero abili nel portare alla vista di tutti il suono squillante del “doppio” del campanile di San Biagio. Una vibrante musica a festa diffusa lungo tutto Corso Guercino. Un colpo d’occhio quasi inquietante, per chi non ne conosce l’antica tradizione, la presenza alla liturgia delle 40 ore della

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Confraternita dei Sacchi, uomini centesi incappucciati e vestiti con saio bianco. Una precisa ed accurata vestizione, una ordinata processione dalla sacrestia fino all’altare sbirciata da diverse angolature per coglierne i momenti più curiosi: Mirco Balboni si sofferma sui dettagli, Federica Brunelli dal balcone del coro inquadra e incornicia l’uscita dalla sacrestia; Luca Govoni riprende dal basso tutto il gruppo nel bianco dell’architettura dell’edificio. La Compagnia fu fondata nel 1641 da Fra Giovanni da Sestola e anticamente, senza svelare alla città l’identità dei confratelli, raccoglieva denari, grano e farina da trasformare in pane da distribuire il giovedì santo ai poveri della città e delle località limitrofe; anche qualche servizio ingrato quale il conforto ai condannati a morte o le sepolture. Oggi i Sacchi sono impegnati, come previsto da statuto, nella raccolta fondi per il mantenimento, il recupero ed il restauro della chiesa dei Servi di Santa Maria Addolorata di Via Gennari a Cento. Uno dei gioielli della città, che anche se inagibile e ancora chiuso dopo il terremoto del 2012, è rimasto comunque meta di pellegrinaggio dei centesi la sera del giovedì Santo, sera di apertura di tutti i sepolcri: sotto un bel cielo stellato, sul sagrato illuminato da tante candele i simboli della passione: chiodi, corona di spine e sul monte la croce. Sono cambiati i tempi, si sono trasformate le povertà e anche gli scopi della confraternita oggi sono meno gravosi di un tempo. Agli occhi dei centesi prevale l’aspetto scenico-folkloristico durante i riti della settimana Santa, affascinati ancora oggi dal suono dei violini che misticamente accompagna le funzioni e dal mistero dell’ l’anonimato dei confratelli che continuano a non indossare fra di loro alcun segno distintivo. Fra i confratelli è invece quasi unanime la necessità di rivedere in chiave moderna lo statuto per aprire ad una maggiore partecipazione, per adattare le attività ai tempi moderni e per una maggiore autonomia dall’autorità ecclesiastica. Una storica tradizione che rivive ogni anno con la presenza alle celebrazioni liturgiche ma che ha necessità di ammodernare l’operatività. Tutta centese la tradizionale apertura dei sepolcri della città il giovedì santo, motivo di pellegrinaggio di chiesa in chiesa fino a notte fonda. In ogni luogo di culto viene addobbato e reinterpretato l’altare della croce; le vie si popolano, ci si incontra anche più volte, ci si scambiano gli auguri di Buona Pasqua. Una serata vera, sobria e composta. Chi entra solo per fare una visita, chi per recitare una preghiera, chi per un ora di adorazione. Si accende una candela, si lascia un offerta. Di questo 2014 ricorderemo il profumo di legno della splendida chiesa temporanea di Penzale, la modernità della foto raffigurante il cristo morto scelta dai ragazzi dell’oratorio di San Biagio, i colori del sepolcro allestito sul sagrato della chiesa dei Servi, la spirituale intimità dell’oratorio della Crocetta fotograficamente interpretata da Walter Sau. L’oratorio, donato nel 2001 dal

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Dottor Alessandro Falzoni Gallerani alla parrocchia di Penzale in condizioni di grave degrado è stato restaurato a cura di una associazione spontanea di volontari, Associazione Crocetta Onlus, che grazie alla ricerca di sponsor e con il contributo di finanziatori ha potuto consolidare la struttura, restaurare l’esterno e recuperare gli affreschi. La statua che viene collocata sull’altare il giovedì Santo è un Ecce Homo di propriètà della parrocchia di Penzale e rappresenta il Cristo con le mani legate, ricordando, secondo le scritture un fatto veramente accaduto il giovedì Santo. Quindi alla Crocetta invece dell’altare della deposizione troviamo un intenso invito alla meditazione sulla sofferenza. Due gli affreschi alle pareti che richiamano la passione di Gesù: la Croce con i simboli del martirio: la corona di spine, il cartiglio, la lancia e il bastone con la spugna e la Pietà; quest’ultimo, anche se molto rovinato raffigura la madonna con il figlio morto sulle ginocchia. Ad accoglierci e disponibile a raccontare dettagli dell’edificio e di tutto il lavoro fatto è Giacomo, vero motore della associazione che rimboccandosi le maniche e con la collaborazione di tutta la famiglia ha portato a conclusione i lavori. Con uno sguardo al futuro per il pieno recupero al culto di questo edificio. La Crocetta non rimarrà solamente un monumento storico-artistico ma uno spazio aperto agli uomini, a coloro che cercano Dio con il cuore per fermarsi un attimo, per una preghiera, una riflessione all’ombra della croce. Tutto questo entrando in oratorio e soffermandosi qualche minuto si percepisce davvero. Cosa rimane, com’è e come sarà. Processione religiosa del venerdì Santo anche a Casumaro, frazione del Comune di Cento ma anche di Bondeno e di Finale Emilia. Ripresa dopo un anno di smarrimento causato dal sisma. Tanti figuranti in costume che sfilano davanti all’imponente crocifisso ligneo. Un Gesù Cristo originale ed adorante ritratto da Mirco Balboni prima della processione. Dall’altare della chiesa, ora chiusa, scendeva scenograficamente per sfilare lungo la via principale del paese; per l’occasione è modestamente sceso a forza di braccia dal palco allestito nella sala polivalente per essere portato a spalla dai membri della Compagnia del Santissimo, preceduti dalle priore, lungo un percorso tutto nuovo, attorno al parco della nuova zona residenziale. Senza traffico, in silenzio, non una preghiera; solo la lenta e cupa marcia funebre eseguita dalla Corpo bandistico “G. Verdi” di Cento. Soldati, centurioni, Maria, le pie donne, Maria Maddalena e Gesù sotto il peso della croce; personaggi e costumi curati nel dettaglio e colti nei momenti della preparazione dall’occhio attento di Federica Brunelli. Parrocchiani che per l’occasione si immedesimano, tolgono le scarpe da tennis per indossare le caligae romane, calzari di cuoio da marcia, con un impegnativo intreccio di lacci. Armature di metallo con spada ed elmo che hanno affascinato gli scatti di Enrica Gilli.

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Al seguito della processione anche una rappresentanza dei Cavalieri di Malta avvolti in un elegante mantello con impressa la tipica Croce verde; il parroco, Don Marco, a Casumaro solo da qualche mese a chiudere il corteo. Nuove abitudini, nuovi percorsi, nuove interpretazioni delle tradizioni pasquali sempre vive in tutto il Centese.

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Cento (Fe) - Zona Penzale “palo della cuccagna” Foto di Federica Brunelli Nella pagina successiva Cento (Fe) - Zona Penzale Il campanile e la Chiesa di Penzale fanno da sfondo al gioco del “palo della cuccagna” Foto di Federica Brunelli

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Cento (Fe) - Zona Penzale Davanti la Chiesa di Penzale, si erge il “palo della cuccagna” Foto di Luca Govoni

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Cento (Fe) - Zona Penzale Una mano ingrassa il “palo della cuccagna” Foto di Luca Govoni

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Cento (Fe) - Zona Penzale Due partecipanti si aiutano per raggiungere la vetta del palo Foto di Luca Govoni

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Cento (Fe) - Zona Penzale Lo sguardo fiero e concentrato di un partecipante sul “palo della cuccagna� Foto di Luca Govoni

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Cento (Fe) - Zona Penzale Azione eroica di due partecipanti che raggiungono la vetta del “palo della cuccagna” Foto di Luca Govoni

Nella pagina a fianco Cento (Fe) - Zona Penzale Simili ad “Elfi” , raggiungono la vetta del “palo della cuccagna” Foto di Andrea Tomba

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Pieve di Cento (Bo) - I Campanari di Renazzo I Campanari posano sui loro “strumenti musicali� Foto di Enrica Gilli

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Pieve di Cento (Bo) - I Campanari di Renazzo Alcuni campanari si esercitano presso la loro “sala prove� Foto di Walter Sau

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Cento (Fe) - Chiesa di San Biagio L’apprendista campanaro Emanuele Balboni, in fase di studio Foto di Andrea Tomba

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Cento (Fe) - Chiesa di San Biagio Il campanaro Denis Cariani si mostra in contemplazione Foto di Andrea Tomba

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Cento (Fe) - Chiesa di Penzale Il campanaro Andrea Rigato si accinge a muovere le campane Foto di Walter Sau

Bologna - Campanile di S. Petronio Spalle solide per una tradizione millenaria Foto di Lorenzo Guerzoni

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Bologna - Campanile di S. Petronio Campanari all’opera per la “Festa dell’Immacolata” Foto di Lorenzo Guerzoni

Bologna - Campanile di S. Petronio Un campanaro cammina tra gli angusti spazi Foto di Luca Govoni

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Cento (Fe) - Chiesa di San Biagio Il campanaro Denis Cariani, si cimenta nella tecnica dello “Scampanio”, sotto lo sguardo dell’apprendista Emanuele Balboni Foto di Mirco Balboni

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Cento (Fe) - Chiesa di San Biagio L’apprendista campanaro Emanuele Balboni, si esercita Foto di Mirco Balboni

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Renazzo (Fe) - Chiesa di Renazzo Denis ammira le sue “Compagne - Campane� di avventura Foto di Lorenzo Guerzoni

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Renazzo (Fe) - Chiesa di Renazzo Il campanaro Denis Cariani sorride dopo alcuni melodici rintocchi Foto di Walter Sau

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Cento (Fe) - Campanile di Penzale Un attento Denis Cariani muove con saggia manualitĂ la sua campana Foto di Luca Govoni 128


Cento (Fe) - Chiesa di San Biagio Denis Cariani “tira le fila� e guida il suono delle campane Foto di Andrea Tomba

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Bevilacqua (Fe) - Laboratorio di Angelo Pirani Particolare del presepe mosso meccanicamente Foto di Enrica Gilli Nella pagina a fianco Bevilacqua (Fe) - Laboratorio di Angelo Pirani La casetta del presepe realizzata interamente a mano Foto di Enrica Gilli

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Bevilacqua (Fe) - Laboratorio di Angelo Pirani I presepisti Angelo Pirani e Roger Sandoni posizionano un modellino di capanna Foto di Mirco Balboni

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Bevilacqua (Fe) - Laboratorio di Angelo Pirani I presepisti Angelo Pirani e Roger Sandoni allestiscono la sala che ospita il Presepe Foto di Mirco Balboni


Bevilacqua (Fe) - Laboratorio di Angelo Pirani Angelo Pirani, Roger Sandoni e Abdon Papi collaudano la loro “creatura� Foto di Mirco Balboni 135


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Renazzo (Fe) - Chiesa di Renazzo Il trittico : Adelfo Galli, Merope scultorea, Merope Foto di Andrea Tomba

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Renazzo (Fe) - Chiesa di Renazzo Il presepe realizzato da Adelfo Galli e dai suoi collaboratori Foto di Enrica Gilli

Renazzo (Fe) - Chiesa di Renazzo Particolare di una statua plasmata da Adelfo Foto di Walter Sau

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Renazzo (Fe) - Chiesa di Renazzo Lo sguardo di Alberto Parentela incontra il suo ritratto scultoreo, realizzato da Adelfo Galli Foto di Luca Govoni Nella foto in basso a sinistra Renazzo (Fe) - Chiesa di Renazzo Piero Sciullo abbraccia la statua raffigurante se stesso e suo figlio Marco Foto di Federica Brunelli Nella foto in basso a destra Renazzo (Fe) - Chiesa di Renazzo Ritratto di Vittorio Penolazzi, modello per la statua di San Giuseppe Foto di Federica Brunelli

Nome opera Autore

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Renazzo (Fe) - Chiesa di Renazzo Sergio Bregoli , modello per il presepe di Adelfo Galli Foto di Andrea Samaritani Nella foto in alto a destra Renazzo (Fe) - Chiesa di Renazzo Maurizio Mazzanti nel prespe di Adelfo Galli Foto di Enrica Gilli Nella foto a lato Renazzo (Fe) - Chiesa di Renazzo Ritratto di Fabio Zanarini , modello per la statua di un Re Magio Foto di Mirco Balboni

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Renazzo (Fe) - Chiesa di Renazzo Ritratti intensi di Merope ed Adelfo Galli Foto di Luca Govoni

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Cento (Fe) - Azienda di Agostino Merighi Alle spalle della silhouette del trattore, si erge silente la befana di cartapesta Foto di Luca Govoni

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Bevilacqua (Fe) - Rogo della Befana Il parroco Don Silvio sfila in processione davanti al fuoco Foto di Mirco Balboni

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Cento (Fe) - Azienda di Agostino Merighi Veduta del piazzale prima del tradizionale rogo Foto di Lorenzo Guerzoni

Cento (Fe) - Azienda di Agostino Merighi Il sorriso della Befana Foto di Lorenzo Guerzoni

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Cento (Fe) - Chiesa di San Lorenzo I membri della “Confraternita del sacco� durante il rito Foto di Federica Brunelli

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Cento (Fe) - Chiesa di San Lorenzo I membri della “Confraternita del sacco� durante il rito Foto di Mirco Balboni

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Cento (Fe) - Chiesa di San Lorenzo La “Confraternita del sacco� durante la processione delle quarantore Foto di Luca Govoni

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Cento (Fe) - Chiesa di San Lorenzo La preghiera di un membro della Confraternita Foto di Lorenzo Guerzoni

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Cento (Fe) - Chiesa di San Lorenzo Particolare durante l’adorazione eucaristica Foto di Lorenzo Guerzoni

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Cento (Fe) - Chiesa di San Lorenzo I membri della “Confraternita del sacco” pronti per la processione Foto di Mirco Balboni

Cento (Fe) - Chiesa di San Lorenzo Membri della “Confraternita del sacco” si preparano per la processione Foto di Lorenzo Guerzoni

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Cento (Fe) - Chiesa di San Lorenzo Un membro della “Confraternita del sacco� in preghiera durante la messa Foto di Mirco Balboni

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Cento (Fe) - Chiesa di San Lorenzo La“Confraternita del sacco” si incammina verso l’altare durante la funzione Foto di Luca Govoni

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Cento (Fe) - Chiesa di San Lorenzo Particolare del Rosario di un membro della Confraternita Foto di Mirco Balboni

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Cento (Fe) - Oratorio della Crocetta Nel giorno dei sepolcri, questo piccolo ed affascinante oratorio , rimane aperto ai fedeli Foto di Walter Sau 158


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Cento (Fe) - Oratorio della Crocetta Le luci dell’altare si specchiano sul pavimento centenario Foto di Walter Sau

Cento (Fe) - Chiesa di Santa Maria Maddalena Alcune fedeli in adorazione per la serata dei Sepolcri Foto di Walter Sau

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Cento (Fe) - Castello della Rocca Omelia durante la processione serale Foto di Andrea Tomba

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Casumaro (Fe) Particolare del costume di un soldato romano Foto di Federica Brunelli

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Casumaro (Fe) Due soldati romani indossano i costumi Foto di Federica Brunelli

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Casumaro (Fe) Il personaggio di GesÚ ritratto in adorazione prima dell’inizio della processione Foto di Mirco Balboni

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Casumaro (Fe) Alcuni figuranti terminano gli ultimi preparativi per la processione Foto di Mirco Balboni

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Casumaro (Fe) I soldati romani nella raffigurazione della Via Crucis Foto d Enrica Gilli

Casumaro (Fe) I soldati romani anticipano in processione la croce con il Cristo Foto di Mirco Balboni

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Casumaro (Fe) Accensione dei ceri per la processione Foto di Federica Brunelli

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Renazzo (Fe) - Chiesa di Renazzo L’artista Adelfo Galli e la perpetua Merope posano fra due sculture Foto di Andrea Tomba

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