MEDICINA DI FAMIGLIA 4-2011

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RIFLESSIONI

DICEMBRE 2010 Medicina di Famiglia

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La vita umana, al nascere, nelle situazioni di confine Filippo M. Boscia Presidente SIBCE Dipartimento Materno-Infantile e di Fisiopatologia della Riproduzione Umana dell’Azienda Sanitaria Metropolitana di Bari

Che cosa significa vita umana, al nascere, nelle situazioni di confine? E’ un’esperienza sicuramente cruciale che interessa ostetrici, neonatologi, studiosi di bioetica e tutti gli operatori socio-sanitari chiamati ad intervenire. Ogni situazione di confine pone a diversi livelli numerosi problemi convergenti tra loro sia sotto il profilo della società, delle strutture, dell’organizzazione sanitaria, dei processi assistenziali in riferimento a cure giuste, appropriate, al consenso informato. Nella prima parte di questa relazione voglio riferirmi al problema del neonato altamente immaturo, cioè a quel problema di frontiera posto all’inizio della vita quando è incerto il confine tra vita e non-vita. Le decisioni che vengono prese in circostanze difficili come queste possono avere le caratteristiche della cosiddetta “bioetica tragica”, di fronte alla quale molti sono gli operatori che cinicamente preferirebbero non esserci. Sono situazioni nelle quali, dalle iniziali incertezze sui labili confini tra non-vita e vita, necessariamente si passa agli altrettanto incerti confini tra vita e non-vita. Sono situazioni che pongono problematiche di rilevanza medica, giuridica, etica del tutto simili a quelle che noi consideriamo per le persone in fase terminale affette da gravi e spesso irreversibili infermità, questioni che con efficace provocazione possono essere ricondotte all’alternativa eutanasia/ accanimento terapeutico. La definizione di neonato immaturo giustamente non si riscontra in nessuna normativa: una definizione medica o per legge si rivelerebbe inopportuna e illusoria nella sua consistenza concettuale proprio in considerazione della vertiginosa evoluzione delle tecnologie, che condiziona la relatività dell’agire o del non agire. Il neonato immaturo di oggi non coincide con quello di alcuni anni or sono e quello odierno verosimilmente non coinciderà con quello degli anni a venire. La sopravvivenza dei feti di età

gestazionale compresa tra le 23 e le 25 settimane oggi è una realtà non più rara per frequenza, sia a seguito di eventi spontanei e improvvisi, sia dopo interruzione volontaria di gravidanza, ottenuta entro il 180° giorno. Noi abbiamo vissuto due casi di feti abortiti: uno di questi entro il 170° giorno di gravidanza era portatore anche di malformazioni che non hanno impedito la sopravvivenza. Nel caso di sopravvivenza dopo l’interruzione volontaria di gravidanza, la situazione è ancora più complessa perché la legge 194/78, che consente l’interruzione di gravidanza sino al 6° mese, all’art. 6 prescrive di adottare tutte le procedure idonee a salvaguardare la vita del feto ove questo abbia possibilità di vita autonoma. Nell’ostetricia moderna la problematica è dominante e grave non solo nella citata situazione di interruzione volontaria di gravidanza, ma anche in presenza di patologia materna, ma ancora più in presenza di gravi patologie fetali quali la seria sofferenza fetale, il serio ritardo di crescita intrauterina del feto, le sindromi malformative, l’arresto di crescita intrauterina dopo la 20° settimana. Qui l’interrogativo va posto su un punto cruciale, se e quando si possa parlare di nascita, almeno nella piena accezione del termine, che si basa, secondo alcune definizioni, sull’esistenza di uno stato di vita da salvare. Il dialogo continuo che abbiamo come ostetrici con i neonatologi intensivisti è sui limiti temporanei della durata minima della gravidanza, atteso che le sopravvivenze ottimali sono ottenibili a partire dalla 23^ / 25^ settimana. Questo dialogo, assolutamente irrinunciabile serve a proporre nuove modalità di approccio ai problemi: Un consapevole e meditato atteggiamento su questa delicata questione, a mio avviso, potrà in futuro influire in maniera importante e positiva sugli esiti post-natali degli altamente prematuri e dei grandi pretermine, cioè di quei neonati che sono al di qua della maturità, (nel passato


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