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Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 5 n. 19 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)

GIUGNO 2012 ANNO V NUMERO 19

RIGENERAZIONE URBANA PRESENTATA A ROMA LA NUOVA MATRICE DELLA QUALITÀ

RICICLAGGIO RIFIUTI A VEDELAGO IL CENTRO CHE RIPORTA IN VITA I MATERIALI BONIFICHE AREE MARINE LO STATO DELL’ARTE DEGLI INTERVENTI ALL’INTERNO DEI SIN SPECIALE AMIANTO NORME E METODI PER IL TRATTAMENTO DEI RIFIUTI

GIUGNO 2012


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7,10NOVEMBRE2012RIMINIFIERA 7,10 DEMOLIZIONE E RIQUALIFICAZIONE DI AREE DISMESSE

2012

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Inizio demolizione


E D I TOR IA L E

URBANIZZAZIONE: PUNTARE SUL RECUPERO

L

a crisi morde e le casse degli italiani si asciugano. Guardandosi allo specchio, la recessione ci si legge in faccia e ha il volto della crisi del mercato immobiliare. Da circa due anni l’istituto di ricerca Nomisma sottolinea questa situazione: la liquidità dei cittadini scarseggia e, allo stesso tempo, la sfiducia del mercato finanziario rende sempre più difficile ottenere mutui e prestiti. Parallelamente la produzione italiana continua a scendere. Risultato? Case sfitte, degrado e aree industriali dismesse inutilizzate. Contemporaneamente, però, la crisi economica fa emergere le ambiguità del nostro tempo. A fronte di un crollo verticale della domanda, non corrisponde l’arrestarsi dell’offerta: naturale conseguenza del mercato. Le nostre città, in altre parole, continuano a crescere. L’ultimo rapporto sul consumo di suolo, redatto da Legambiente-Imu, mette in luce uno scenario grottesco e preoccupante: costruire non serve, ma si continua a sprecare il nostro territorio. Il paradosso è servito. L’urbanizzazione selvaggia riguarda tutta la penisola, ma la provincia di Milano è un caso emblematico. L’area è cresciuta, negli ultimi dieci anni, di oltre 7 mila ettari, pari cioè a più della metà del suo capoluogo, mentre il suolo urbanizzato cresce ogni giorno di 20 mila metri quadri: 1,2 volte piazza del Duomo. In totale sono andati perduti quasi 7 mila ettari di suolo agricolo, a fronte di un’urbanizzazione sempre più imponente. Stiamo vivendo, dunque, una realtà a due velocità. Una condizione che può essere riassunta dalla città di Torino, dove si inizia a parlare della cosiddetta emergenza casa. Nell’ultimo anno sono state emesse oltre 3 mila ingiunzioni di sfratto, solo la metà rispetto a Roma e Milano, a fronte di un notevole numero di abitanti in meno. Si tratta di un aumento del 30% rispetto a dieci anni fa. Una fotografia impietosa, accompagnata dallo spettacolo della chiusura di degli stabilimenti industriali in tutta la provincia e nelle periferie. Ma non è tutto. La crisi delle abitazioni è affiancata da un numero imponente di appartamenti sfitti: circa 50 mila, secondo l’Osservatorio sulla condizione abitativa. Gli oneri di urbanizzazione sembrano essere l’unica fonte di risorse per le amministrazioni e le energie vengono sempre di più impegnate in aree di nuova costruzione. Le alternative non mancano. Si potrebbe intervenire riqualificando le aree già urbanizzate e attuando politiche fiscali pronte a incentivare l’utilizzo di alloggi sfitti. Intervenire sul costruito, insomma. La spia è accesa e anche la politica sembra essersene accorta. L’auspicio è che le nuove iniziative territoriali, tra cui il Piano di Governo del Territorio della Lombardia, il Protocollo per la Qualità Urbana di Roma Capitale e il Piano Territoriale della Regione Liguria, vadano in questa direzione. Non ci sono alternative: l’obiettivo è fermare il consumo di suolo e puntare sulla riqualificazione di aree urbane e industriali. Massimo Viarenghi

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19 S O M M A R I O

GIUGNO 2012

ECO BONIFICHE RIFIUTI DEMOLIZIONI

19 SOSTENIBILITÀ ENERGETICA, AMBIENTALE ED ECONOMICA: I VANTAGGI DELL’UTILIZZO DI COMBUSTIBILI SOLIDI SECONDARI NEI CEMENTIFICI

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RUBRICHE ECONEWS VETRINA ECOAPPUNTAMENTI LIBRI

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STORIA DI COPERTINA RIGENERAZIONE URBANA, ECCO IL PROTOCOLLO di Massimo Viarenghi

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ATTUALITÀ

50 BIOGAS DA DISCARICA: IN CHE MODO LE NUOVE TECNOLOGIE DI PURIFICAZIONE FAVORISCONO LA PRODUZIONE DI ENERGIA A PARTIRE DAI RIFIUTI

DA UN’IDEA È NATO UN PROGETTO CHE OGGI È REALTÀ: COSÌ I RIFIUTI TORNANO IN VITA di Andrea Dotti

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T-SHIRT BIODEGRADABILI, LA MODA DIVENTA ECO FRIENDLY di Andrea Dotti

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FUORI DALLA DISCARICA I RIFIUTI DIVENTANO ENERGIA di Andrea Dotti

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SI AVVICINA L’APPUNTAMENTO CON IL SALONE DELLE BONIFICHE DI FERRARA di Daniela Modonesi

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FABBRICA DELLE IDEE

58 SICUREZZA NEL CAMPO DELLA DEMOLIZIONE CON ESPLOSIVI: VALUTAZIONE DEL RISCHIO E PIANIFICAZIONE PER LA TUTELA DI PERSONE E STRUTTURE

UN CELLULARE CHE VALE ORO di Andrea Dotti

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THE BIG EYE UN PROGETTO EUROPEO PER LA SPERIMENTAZIONE DI PROCESSI DI TRATTAMENTO DEI FANGHI di G. Mininni, A. Sbrilli e S. Berselli

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REPORT BONIFICHE NELLE AREE MARINE E DI TRANSIZIONE di E. Romano, A. Ausili e M. Gabellini

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SPECIALE

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Anno 5 - Numero 19

LA BONIFICA DA AMIANTO DEI SITI INDUSTRIALI DISMESSI di Sergio Clarelli

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Anno 5 - Numero 19 Giugno 2012 Foto di copertina: di Gaetano Paraggio

Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore editoriale: Tina Corleto Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin

PANORAMA AZIENDE GREEN REMEDIATION: BONIFICHE AMICHE DELL’AMBIENTE di Maria Beatrice Celino

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WORK IN PROGRESS ATTENUAZIONE NATURALE CONTROLLATA PER LA BONIFICA DI PICCOLE AREE CONTAMINATE di Andrea Tagliabue

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DALLA RACCOLTA AL TRATTAMENTO: LE FASI DEL RICICLAGGIO DEI RIFIUTI PLASTICI IN TOSCANA di Andrea Villani

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DAL DECOMMISSIONING ALLE BONIFICHE: UN IMPIANTO A 360° di Andrea Negro

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TRATTAMENTO DI BIOGAS DA RIFIUTI URBANI di Guido Italiano e Enrico Calcaterra

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TRATTAMENTO DI TERRENI CONTAMINATI DA IDROCARBURI MEDIANTE BIOPILE di M.C. Collivignarelli, M. Canato e M. Vaccari

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ANALISI DEI RISCHI NELLA DEMOLIZIONE DI STRUTTURE MEDIANTE L’USO DI ESPLOSIVI di Stefano Scaini

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BIOGAS DA DISCARICA, NASI ELETTRONICI E VALIDAZIONE DEI MODELLI DI DISPERSIONE di Guido Robasto

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NORMATIVA

LA STRUTTURA DEL CENTRO DI ROTTAMAZIONE DEGLI AUTOVEICOLI di Rosa Bertuzzi MUD E DICHIARAZIONE SISTRI: CHI, COSA, QUANDO E COME di Daniele Carissimi

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ASSOCIAZIONE STUDI AMBIENTALI AGGIORNAMENTI E NOTIZIE

Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (CESI spa – RemTech) Laura D'Aprile (ISPRA, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Provincia di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino) Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7802164 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it Grafica, disegni e impaginazione: PeVmedia - C.so Francia, 128 - 10143 Torino

PROGETTI E TECNOLOGIE

IL SISTRI E LA GESTIONE DEI RIFIUTI SANITARI di Francesca Prestinaci

Collaboratori: Antonella Ausili, Sara Berselli, Rosa Bertuzzi, Enrico Calcaterra, Matteo Canato, Daniele Carissimi, Maria Beatrice Celino, Sergio Clarelli, Maria Cristina Collivignarelli, Andrea Dotti, Massimo Gabellini, Guido Italiano, Giuseppe Mininni, Daniela Modonesi, Andrea Negro, Francesca Prestinaci, Elena Romano, Guido Robasto, Andrea Sbrilli, Stefano Scaini, Andrea Tagliabue, Mentore Vaccari, Andrea Villani

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Abbonamenti: Italia annuo € 35,00 - estero annuo € 70,00 copia singola € 9,50 - arretrati € 11,50 Per abbonarsi è sufficiente fare richiesta a info@deaedizioni.it Stampa: Tipografica Derthona - s.s. per Genova, 3/I - 15057 Tortona (AL) Responsabilità: la riproduzione delle illustrazioni e articoli pubblicati dalla rivista è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati, e la Casa Editrice non si assume responsabilità per il caso che si tratti di esemplari unici. La Casa Editrice non si assume responsabilità per i casi di eventuali errori contenuti negli articoli pubblicati o di errori in cui fosse incorsa nella loro riproduzione sulla rivista. La responsabilità di quanto espresso negli articoli firmati rimane esclusivamente agli Autori. Direzione, Redazione, Abbonamenti, Amministrazione:

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Organo Ufficiale dell'Associazione Studi Ambientali L’abbonamento è deducibile al 100%. Per la deducibilità del costo ai fini fiscali vale la ricevuta del versamento a norma D.P.R. 22/12/86 n. 917 artt. 50 e 75. Conservare il tagliando - ricevuta, esso costituisce documento idoneo e sufficiente ad ogni effetto contabile. Non si rilasciano in ogni caso altre quietanze o fatture per i versamenti in c.c.p. Pubblicazione bimestrale Poste Italiane Spa – Sped. in a.p. D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art. 1, c. 1 – registrata presso il Tribunale di Torino il 19 ottobre 2009 al n. 56. Ai sensi del D.Lgs. 196/2003, informiamo che i dati personali vengono utilizzati esclusivamente per l’invio delle pubblicazioni edite da DEA edizioni s.a.s. Telefonando o scrivendo alla redazione è possibile esercitare tutti i diritti previsti dall’articolo 7 del D. Lgs. 196/2003.


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BICCHIERI E PIATTI NEL BIDONE DELL A PL ASTICA Bicchieri e piatti di plastica entrano nel circuito della differenziata. E' quanto stabilito dal comitato di coordinamento che sovrintende alla gestione e applicazione dell’Accordo Quadro Anci-Conai. Potranno essere conferiti nel bidone della plastica bicchieri e piatti usa e getta, ma non i materiali plastici durevoli della stessa categoria di utensili. L'obiettivo è allargare il raggio di azione dei materiali riciclabili, in tema di recupero energetico e impatto ambientale: si stima che il bacino di materiale riciclabile sia attorno alle 140mila tonnellate l'anno. Piatti e bicchieri, però, dovranno essere privi di residui: dovranno essere, quindi, svuotati prima di essere gettati. Le motivazioni, in questo senso, sono da attribuire alla volontà di non sporcare tutto il materiale raccolto, per non rendere più difficoltoso il lavoro di selezione. «Questa estensione della raccolta differenziata rappresenta un'opportunità oltre che un fattore di chiarezza - ha detto il presidente di Corepla, Giuseppe Rossi -. E' un'opportunità perché i piatti e bicchieri monouso in plastica inseriti nella corretta raccolta differenziata, potranno continuare ad offrire tutta la loro praticità con in più la certezza di un loro effettivo recupero. Al tempo stesso, riteniamo di aver fornito a tutti i cittadini un elemento di semplificazione oltre ad aver eliminato dubbi ed incertezze».

CRA ED ENEA INSIEME PER UN’AgrIcOLTUrA sOsTENIBILE Una collaborazione per le biomasse. È stato firmato a Roma l’accordo tra Enea e il Centro di Ricerca Agroalimentare (Cra), per sostenere e sviluppare, in ambito energetico, l’efficienza agricola. In due parole: sostenibilità e risparmio. L’accordo conterrebbe le linee guida per gestire razionalmente le risorse agricole. Il punto di partenza è attuare strategie per abbattere il consumo di carbonio entro il 2020. L’efficienza energetica deve diventare,

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Anno 5 - Numero 19

in questo senso, la ragion d’essere delle filiere agricole: maggiore attenzione nell’ambito del consumo di suolo, acqua, fertilizzanti e nei processi di trasformazione dei prodotti. C’è poi la questione delle rinnovabili. In questo contesto la dichiarazione di intenti va nella direzione di una maggiore diffusione dell’innovazione tecnologica e la promozione per l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili. Un tipo di sostenibilità che dovrebbe incentivare anche la competitività delle imprese sui mercati internazionali. Da questo accordo, in sostanza, dovrebbero nascere dei prototipi di impresa agricola sostenibili: autosufficienti, multifunzionali, a zero emissioni e orientate al recupero energetico. Tali aziende dovranno inoltre essere certificate dal punto di vista del processo produttivo. E il biogas agricolo? Per i promotori dell’accordo si tratta di una fonte sempre più importante: 0,8Mtep di energia vengono prodotti con questo sistema. Una soluzione, dunque, da tenere in seria considerazione.

COREPL A: DIFFERENZIATA IN AUMENTO PER GLI IMBALL AGGI DI PL ASTICA Più di 650mila tonnellate di plastica, riciclo meccanico sopra il 60% e netto miglioramento rispetto agli anni precedenti. Sono i dati del Corepla che si riferiscono alla raccolta differenziata degli imballaggi in plastica nel corso del 2011. Il materiale plastico che non trova spazio nel mercato, avrebbe sottolineato il consorzio, viene comunque riutilizzato. La parte che non viene mandata a riciclo, in questo senso, è destinata al recupero energetico: cementifici e termovalorizzatori. Corepla avrebbe destinato a questa funzione 225mila tonnellate di plastica. Le conseguenze per l’ambiente sono enormi: 770mila tonnellate di CO2 in meno disperse nell’atmosfera nel 2011, più di 6 milioni dal 2002 a oggi. Per quanto riguarda il consumo energetico, secondo i dati del Corepla, siamo intorno ai 6.920 GWh risparmiati. Se si somma la quantità di plastica riciclata a quella riutilizzata per scopi energetici, si hanno valori di recupero di quasi un milione e mezzo di tonnellate. «Corepla migliora le sue prestazioni, sia dal punto di vista degli obiettivi di raccolta, riciclo e recupero, sia da quelli dell’ottimizzazione dei costi del sistema. Anche in una fase difficile per il Paese, questo è un comparto in grado di dare soddisfazioni, contribuendo allo sviluppo della green economy. Le nuove sfide sono l’ulteriore crescita della raccolta differenziata di qualità», avrebbe dichiarato il presidente del consorzio Giuseppe Rossi.


UNO TSUNAMI DI RIFIUTI chE MINAccIA L’AMErIcA C’è un’isola che non si trova sulle cartine e che non si è formata durante il ciclo di vita del nostro Pianeta. È un’isola composta da rifiuti, formatasi nel corso degli ultimi 50 anni e la cui morfologia è costituita da spazzatura. Stiamo parlando del Pacific Trash Vortex, la macchia di rifiuti grande quasi il doppio del Texas che dagli anni Cinquanta galleggia nell’oceano pacifico. Quest’isola potrebbe, tuttavia, allargarsi ulteriormente. I rifiuti prodotti dallo tsunami del Giappone di un anno fa, infatti, stanno andando alla deriva, ingrossando la dimensione della chiazza. I rifiuti del dopo terremoto si troverebbero nelle vicinanze dell'Atollo di Midway: quasi a tremila miglia di distanza da Tokio e potrebbero presto raggiungere le coste statunitensi. Secondo le prime stime, è possibile che parte di questi rifiuti possano raggiungere le coste americane entro il prossimo autunno. Ma c’è un lato positivo: avvicinandosi alla costa, sarà possibile raccogliere e recuperare almeno parte dei rifiuti dispersi in mare. Potrebbe trattarsi di quasi 8 milioni di tonnellate di rifiuti. Secondo i dati diffusi dal governo giapponese, infatti, lo tsunami del marzo 2011 avrebbe scaraventato in mare 25 milioni di tonnellate di spazzatura. Un terzo di questi è stazionata intorno alle coste nipponiche, mentre il restante galleggia inesorabilmente verso la deriva oceanica.

NEL 2015 NUOVA CUPOL A PROTETTIVA PER CHERNOBYL. DEMOLITO IL SARCOFAGO DI CEMENTO ARMATO

Un arco d’acciaio a protezione del quarto reattore della centrale di Chernobyl. A 26 anni dall’esplosione atomica, il vecchio contenitore di cemento armato, utilizzato per seppellire le scorie, è risultato insufficiente: la costruzione sembra attraversata da lacerazioni e squarci. Per questo motivo è stata affidata al consorzio francese Novarka, la costruzione del nuovo cupolone, che pesa tre volte la Torre Eiffel ed è alto 105 metri. Le prime avvisaglie della necessità di una nuova costruzione erano emerse già nel 2006, quando nella vecchia struttura di cemento sono state rilevate 100 mq di crepe e fessure: quanto basta per far infiltrare più di duemila metri cubi di acqua piovana all’anno. I lavori preliminari sono iniziati nel 2009, ma solo ora si è entrati nel vivo con la demolizione del vecchio sarcofago. La fine delle costruzioni è prevista per il 2015, per una spesa totale di un miliardo e 600mila euro. Per la demolizione e la ricostruzione sarà, dunque, necessario ria-

prire l’area contaminata. Una possibilità che non piace a Legambiente, che ha espresso le sue perplessità. «È assurdo e inconcepibile che dopo 26 anni dall’incidente di Chernobyl, con la centrale che ancora non è stata messa in sicurezza e i rischi e le conseguenze legate alla contaminazione radioattiva per centinaia di migliaia di persone, si proponga di riaprire le aree più contaminate intorno a Chernobyl. La migliore risposta per Legambiente è, invece, quella di continuare a monitorare la grave situazione dal punto di vista ambientale e sanitario», ha detto Angelo Gentili, della segreteria nazionale.

RAVENNA: FESTIVAL SU RIFIUTI, ACQUA ED ENERGIA Prenderà il via il 26 settembre Ravenna2012, l’evento a km zero che si svolge interamente nel Centro Storico pedonale della città romagnola, all'interno di 12 sale attrezzate. L’iniziativa è incentrata sui temi della sostenibilità ambientale e delle buone pratiche in tema rifiuti, acqua e energia. La manifestazione cercherà di miscelare contenuti tecnico-scientifici nella cornice del centro urbano. L’obiettivo è coinvolgere tutti gli attori che hanno a che fare con queste tematiche, come istituzioni, associazioni di categoria, imprese o semplici cittadini, i quali saranno coordinati da Labelab, un gruppo di professionisti del settore. Tutti gli eventi sono gratuiti, ad eccezione dei corsi di formazione, e durante le tre giornate di Ravenna sono numerosi i momenti di incontro previsti: conferenze, momenti formativi, workshop ed eventi culturali. La manifestazione sarà affiancata dal blog di Labelab (www.labelab. it/blog), contenitore che gli organizzatori definiscono «una piattaforma di conversazioni sostenibili in tema ambientale»: un punto di incontro virtuale dove informarsi e discutere della manifestazione.

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N E WS

DISASTRO DOLOSO: LE MOTIVAZIONI DELL A SENTENZA ETERNIT Omissioni dolose di cautele contro gli infortuni sul lavoro e disastro doloso. Condannati perché hanno «omesso di adottare i provvedimenti tecnici, organizzativi, procedurali, igienici necessari per contenere l'esposizione all'amianto, di curare la fornitura e l'effettivo impiego di idonei apparecchi personali di protezione, di sottoporre i lavoratori ad adeguato controllo sanitario mirato sui rischi specifici da amianto, di informarsi ed informare i lavoratori medesimi circa i rischi specifici derivanti dall'amianto e circa le misure per ovviare a tali rischi». È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza di condanna ai danni di Stephan Schmidheiny e Louis De Cartier De Marchienne, nell'ambito del processo Eternit di Casale Monferrato. Le motivazioni sono state espresse il 14 maggio, mentre la condanna è arrivata due mesi prima. I due dovranno scontare 16 anni di reclusione. Sarà inoltre disposta l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, l'interdizione legale per la durata della pena e l'incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione per tre anni. Dovranno, infine, risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali a lavoratori, cittadini, Enti locali, associazioni e sindacati, oltre alla rifusione di spese processuali. Il testo del Tribunale è lungo, 713 pagine, e oltre all'omissione dei provvedimenti di sicurezza, i due sono stati condannati poiché hanno «fornito a privati e a enti pubblici e mantenuto in uso, materiali di amianto per la pavimentazione di strade, cortili, aie, o per la coibentazione di sottotetti di civile abitazione, determinando un'esposizione incontrollata, continuativa e a tutt'oggi perdurante, senza rendere edotti gli esposti circa la pericolosità dei predetti materiali e per giunta inducendo un'esposizione di fanciulli e adolescenti anche durante attività ludiche». Dalle carte della sentenza, inoltre, emerge «tutta l'intensità del dolo degli imputati, perché, nonostante tutto, hanno continuato e non si sono fermati, né hanno ritenuto di dover modificare radicalmente e strutturalmente la situazione, al fine di migliorare l'ambiente di lavoro e di limitare per quanto possibile l'inquinamento ambientale».

PORTO MARGHERA: TRA 6 MESI SI PARTE CON L A BONIFICA 2 miliardi di investimenti privati, 3 di fondi pubblici e circa cento aziende coinvolte. È il primo bilancio sulla bonifica di un’area di Porto Marghera. Una delle zone più inquinate di Italia sta, infatti, per essere riqualificata. O, almeno, è quello che prevede un accordo pilota firmato a Venezia a metà aprile dalla Regione Veneto e dal Ministero dell’Ambiente. Il ministro dell'Ambiente Corrado Clini, il governatore del Veneto Luca Zaia, il magistrato alle Acque Ciriaco d'Alessio, il sindaco Giorgio Orsoni, il presidente della Provincia Francesca Zaccariotto e quello dell'autorità Portuale Paolo Costa, infatti, si sono incontrati a Palazzo Balbi per sottoscrivere un accordo

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di programma finalizzato ad attivare il processo di disinquinamento. Si tratta della prima fase di un progetto più ampio, che prevede anche la riconversione industriale e la riqualificazione economica del Sito di interesse nazionale (SIN) di Venezia-Porto Marghera e delle aree limitrofe. Il documento, 14 pagine e 12 articoli, ha come perno «l'accelerazione e la semplificazione delle procedure di bonifica, per giungere sia al ripristino ambientale, sia allo sviluppo di attività produttive sostenibili, coerenti con l'esigenza di assicurare il rilancio dell'occupazione». La validità dell’accordo è di 10 anni, mentre l’inizio delle attività è previsto entro i prossimi 6 mesi.

RIFIUTI: CAMPANIA CON IL FIATO SOSPESO PER LE DECISIONI UE Da una parte l’Unione Europea, dall’altra i comitati di protesta. In mezzo: la Campania e l’emergenza rifiuti. Secondo i dati riportati dal Sole24Ore, in Campania vengono prodotte un milione e mezzo di tonnellate di rifiuti l’anno di cui 600 mila vengono incenerite. La buona notizia è che nell’ultimo anno la Regione ha raggiunto il 40% di raccolta differenziata. Nel mese di aprile è stata presentata all’Unione una prima bozza del programma per la gestione dei rifiuti, a giugno, probabilmente, il piano definitivo per il periodo 2012-2016. L’Europa, inoltre, ha richiesto all’Italia la redazione di un rapporto dettagliato ogni tre mesi di lavoro. Non resta che aspettare, ma le preoccupazioni sono alte. Secondo il Sole24Ore, infatti, si teme per una proroga della durata delle discariche attive e che la Regione possa risprofondare nell'emergenza. A rischio ci sono 300 milioni di euro di fondi europei, bloccati dall’Unione, e una possibile sanzione. «La città di Napoli ha fatto progressi, ma il sistema resta fragile, c'è molto lavoro da fare», avrebbe dichiarato il sindaco di Napoli Luigi De Magistris al quotidiano di Confindustria. In città, infine, è tornata viva la protesta contro l’apertura di nuove discariche. I comitati di cittadini, in particolare, manifestano contro le discariche di Castagnaro e Vesuvio. E Franco Matrone, portavoce della rete dei comitati Vesuviani denuncia: «Il percolato dovrebbe essere immesso in fogna, ma mancando un tratto di questa, viene smaltito a Lamezia Terme sostenendo un costo altissimo. Oggi la discarica produce una grande quantità di biogas che potrebbe essere trasformato in energia con gruppi elettrogeni, invece ne vengono bruciati 2.500 metri cubi l'ora. In cifre: buttiamo 1,2 milioni l'anno di soldi pubblici». La replica delle istituzioni non si è lasciata attendere. L’assessore Giovanni Romano ha affermato che «una sanzione oggi sarebbe ingiusta. Il commissario straordinario alle discariche, Annunziato Vardè, ha individuato 3mila cave da ricomporre. Castagnaro è tra quelle da riempire di frazione organica stabilizzata. Stiamo valutando la fattibilità. Non comprendo l'allarme. Chi impedisce la realizzazione di impianti non fa che alimentare i trasferimenti dei rifiuti e i costi dei trasporti».


SERVIZI E TECNOLOGIE ECOLOGICHE

Tre aziende primarie nel settore ambientale hanno unito le proprie professionalità ed esperienze nella realizzazione di un evento dedicato alla sostenibilità degli interventi ambientali. Il convegno, che si svolgerà il 28 giugno 2012 a Milano nella splendida location di Palazzo Cusani, sarà lo spunto per un confronto sull’approccio innovativo della Green Remediation.

Convegno Sostenibilità ambientale ed economica delle bonifiche: interventi non invasivi Il convegno, moderato dal Prof. Vincenzo Francani, del Politecnico di Milano, si articolerà in una prima parte di carattere giuridico con la partecipazione degli avv. Federico Vanetti (partner DLA Piper) e Fabio Todarello (Studio Todarello & Partners) che affronteranno i temi della sostenibilità economica delle bonifiche, la possibilità di realizzarle per fasi e gli incentivi previsti in Lombardia dalla L.R.7/2012 nonché il controverso caso dei materiali di riporto nei procedimenti di bonifica tra Decreto “Salva Italia” e decreti legge in materia ambientale. Seguirà una seconda parte di carattere prettamente tecnico con numerosi interventi sostenuti da professionisti di comprovata esperienza in campo ambientale che illustreranno diverse tecniche di bonifica non invasive ed i relativi vantaggi della loro applicazione. Il convegno si concluderà con un’approfondita tavola rotonda, invitato a moderare Cristiano dell’Oste giornalista de “Il Sole 24 Ore” : Partecipanti invitati: Ing. Claudio De Albertis-Assimpredil ANCE, Dott. Damiano Di Simine-Legambiente, Arch. Paola Faravelli / Dott.Enzo Erra-Filca Cooperative, Sgr Dott. Piergiorgio Valentini-Provincia di Milano, Dott.ssa Vittoria Villa-ARPA Lombardia, Ten.Col. Alfredo Musumeci-DIA, Dott.ssa Cristina Stancari Assessore Ambiente Provincia di Milano, Dott. Marco Sala Assessore Ambiente Provincia di Monza-Brianza

La partecipazione al convegno è gratuita. Per informazioni, per scaricare la locandina con il programma della giornata ed il modulo di registrazione contattare: • Segreteria Organizzativa: telefono 02/213 9951 • e-mail: eventi@evolutionvisionadvisory.com


S TOR I A D I CO P E RT I N A

RIGENERAZIONE URBANA, ECCO IL PROTOCOLLO VELOCITÀ, TRASPARENZA E FLESSIBILITÀ: NELLA CAPITALE ARRIVA L’ACCORDO PER MIGLIORARE IL PROCESSO DI DEFINIZIONE E APPROVAZIONE DEI PROGETTI di Massimo Viarenghi

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e procedure di rigenerazione urbana, soprattutto nel contesto di una grande metropoli, sono spesso complicate e costellate da ostacoli di varia natura. La macchina burocratica rischia, a volte, di inceppare i meccanismi di attuazione e far naufragare anche i migliori progetti. Allo stesso tempo, le pubbliche amministrazioni devono far fronte alla valutazione di una grande mole di progetti e soluzioni, con la necessità di far rispettare canoni ed esigenze qualitative imprescindibili.

Dott.ssa Marina Dragotto, coordinatrice tecnica di Audis

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Questo avviene in un momento storico come quello che stiamo vivendo, dove è ormai impossibile non fare i conti con i concetti di sostenibilità ambientale ed economica. Come uscirne? È una partita che non ammette sconfitti. Tutti devono vincere. È proprio in questo contesto che cerca di inserirsi il Protocollo della Qualità Urbana di Roma Capitale, adottato da Roma Capitale e promosso dall’Associazione Aree Urbane Dismesse (Audis) e da Risorse per Roma spa. Si tratta di un accordo che si pone l’obiettivo di far incontrare gli interessi delle amministrazioni e degli operatori privati in tema di rigenerazione urbana, senza dimenticare i cittadini. In che modo? Lo abbiamo chiesto a Marina Dragotto, coordinatrice tecnica di Audis. L’intenzione del Protocollo della Qualità Urbana di Roma Capitale è migliorare la qualità degli interventi di trasformazione urbana. In che modo questa impostazione si traduce nell’ambito della rigenerazione delle aree dismesse? Nell’ampio panorama degli interventi di rigenerazione che è possibile attivare nelle nostre città, sul tessuto costruito e sul patrimonio sociale e culturale, le aree dismesse occupano un ruolo di primo piano. In realtà è il concetto stesso di area dismessa che in questi anni si è notevolmente ampliato e, dall’iniziale riferimento alle aree industriali, si è passati a servizi, porti, terziario, fino a includere parti di aree residenziali che, sebbene non tecnicamente dismesse, necessitano

di interventi di riqualificazione complessi. Per questa ragione oggi utilizziamo l’espressione rigenerazione urbana, che include tutti i progetti di trasformazione che mirano a riqualificare, tanto la parte architettonica (edifici, infrastrutture, spazi pubblici), quanto i servizi e il tessuto socio-economico. In questo contesto le aree industriali dismesse mantengono un ruolo potenziale di primaria importanza. La loro dimensione, generalmente rilevante, la loro struttura proprietaria, unitaria o poco frammentata, la loro collocazione, spesso centrale e ben servita dalle infrastrutture, le rende occasioni preziose per le città che vogliono attuare programmi di rigenerazione urbana che le aiutino a migliorare la loro offerta di qualità del vivere, dell’abitare e del lavorare. La costruzione su aree bonificate è privilegiata rispetto alla costruzione su aree di nuova urbanizzazione? Certamente tutto il nostro lavoro ha alla base la promozione del costruire sul costruito. Le ragioni di questo impegno attendono a tre ordini di ragioni: ricompattare i tessuti urbani evitando di avere all’interno delle città aree abbandonate o sottoutilizzate; sfruttare i vantaggi competitivi delle aree dismesse dati dalla loro collocazione e dal loro rapporto con le infrastrutture della mobilità pubblica e privata; contrastare il consumo di nuovi suoli. Non sempre è possibile evitare nuove espansioni, ma riteniamo sia giunto il momento di porsi seriamente l’obiettivo di limitarle al


massimo, non solo in considerazione degli ingenti danni ambientali che stiamo continuando a provocare, ma anche in considerazione dei danni sociali sempre più evidenti del modello di crescita urbana degli ultimi 30 anni. Dagli anni 70, infatti, tutte le nostre città sono cresciute inglobando i comuni di prima e seconda cintura. Questo ha generato una dispersione della residenza prima e di alcuni servizi poi (per esempio il commercio) che costano alla collettività milioni di ore consumate nel traffico e sottratte ad attività sociali, familiari, culturali, sportive, oltre che un aumento dell’inquinamento. Per queste ragioni riteniamo che riutilizzare le aree dismesse convenga, anche considerando i non trascurabili costi delle eventuali bonifiche. Accordi simili non sono una novità per AUDIS. Che differenza c’è tra il Protocollo della Qualità Urbana e la Carta AUDIS della Rigenerazione urbana? È sbagliato considerarlo una continuazione di quel documento? Il nostro è un lavoro che si è sviluppato in oltre 15 anni di attività, di confronto tra i soci - pubblici e privati - e di analisi degli interventi sul campo. La Carta AUDIS della rigenerazione urbana, pubblicata nel 2008, è stata un passaggio fondamentale perché ha messo a coerenza il percorso e i temi che tutti i progetti di rigenerazione urbana dovrebbero tenere in considerazione per costruire soluzioni solide e complete. Il Protocollo parte dai principi espressi in modo discorsivo dalla Carta traducendoli in obiettivi, criteri e parametri che chiariscono in modo preciso che cosa si chiede ad un progetto di affrontare, senza con questo dare ricette preconfezionate.

Il Protocollo è formato di due parti: • la Matrice della Qualità urbana: è derivata dalla Carta AUDIS e dal confronto fatto attraverso l’analisi di casi studio e affinata nel lavoro di redazione del Protocollo della Qualità Urbana di Roma Capitale che ha visto l’attivazione di 4 gruppi di lavoro che hanno impegnato 29 esperti in diverse discipline, la partecipazione di enti, società, università e operatori (24 in tutto) e 35 interviste a docenti universitari (25) e operatori del settore (10); • una proposta di riorganizzazione delle procedure amministrative che, a normativa invariata, consente di accelerare i tempi di approvazione e attuazione dei piani/ progetti di trasformazione urbana. Si parla molto di qualità: i progetti per i nuovi interventi dovranno rispettare determinati criteri. Chi, precisamente, avrà il compito di controllare e valutare? I progetti di trasformazione urbana che riguardano le aree dismesse, variamente intese, sono sempre estremamente complessi, sia per la dimensione urbana interessata sia per l’inevitabile varietà di questioni da affrontare. Noi riteniamo che più che uno strumento di rigido controllo e valutazione sia utile avere uno strumento che aiuti a costruire il processo che sviluppa il progetto. Il Protocollo si propone dunque come uno strumento che rende espliciti fin dall’inizio gli elementi di confronto tra amministrazione pubblica, proponenti e cittadini. Una sorta di piattaforma di confronto che aiuta tutti a parlare lo stesso linguaggio (la Matrice della Qualità Urbana). In questo contesto, il Protocollo chiede all’amministrazione pubblica di chiarire, in fase ini-

ziale quali sono le aspettative sullo sviluppo di una determinata area (obiettivi di tipo urbanistico, architettonico, ambientale, culturale, sociale). Al proponente, invece, viene chiesto di spiegare e descrivere al meglio come il progetto risponde alle aspettative e come sviluppa gli altri punti del progetto. L’amministrazione, ovviamente, non ha aspettative precise su tutti i punti definiti dal Protocollo, in quanto molti sono temi di competenza del progettista. Alla fine del processo - che certamente avrà momenti di contrattazione tra le parti, nelle quali potranno essere inseriti anche momenti di partecipazione dei cittadini - spetta all’amministrazione dare una valutazione finale degli esiti.

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S TOR I A D I CO P E RT I N A

Riteniamo però che in questo modo la valutazione finale non sia la parte più interessante, anche se rimane fondamentale. Se i progetti rispetteranno i criteri di qualità avranno agevolazioni in termini di snellimento burocratico: le procedure saranno, quindi, più veloci. In che modo questa velocizzazione dei tempi si traduce nel concreto? Vorrei chiarire prima di tutto un aspetto che credo fondamentale: la nostra proposta di lavoro mira a ridurre i tempi di definizione e approvazione dei progetti senza variare la normativa vigente, perché i tempi sarebbero lunghissimi. In questo senso, perciò, non proponiamo uno snellimento burocratico eliminando uno o più passaggi delle procedure oggi vigenti. Noi pensiamo che si possa fare moltissimo per contenere i tempi lavorando sull’organizzazione del processo di definizione del progetto. In questo senso il Protocollo della Qualità Urbana di Roma Capitale agisce a tre livelli: 1. rende pubblici e trasparenti i punti sui quali sarà organizzato il confronto tra pubblico e privato per chiarire i contenuti del progetto (la Matrice della qualità urbana); 2. istituisce un Comitato di Coordinamento Interdipartimentale (Comitato CI) dedicato ai progetti che, volontariamente, accettano di adottare il Protocollo come riferimento. Il primo compito del Comitato CI, in fase di avvio del procedimento,

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è chiarire e comunicare tutte le aspettative dell’Amministrazione sullo sviluppo di quella determinata area. Oltre a tutti gli uffici interni interessati (urbanistica, edilizia, mobilità, ambiente, sociale, servizi, ecc), il Comitato CI, attraverso la stesura di Protocolli d’intenti, può coinvolgere anche amministrazioni competenti esterne, prime fra tutte le Soprintendenze. Il secondo compito del Comitato CI è di accompagnare e preparare tutti i materiali istruttori per le Conferenze dei Servizi previste dalla procedura in modo che le conferenze possano aprirsi e chiudersi nella stessa seduta; 3. aiuta a chiarire i rapporti tra parte politica e parte tecnica della pubblica amministrazione, sia nella fase di avvio del procedimento, quando vanno condivisi gli obiettivi del piano-progetto, sia nella fase di approvazione finale quando il progetto approda in Giunta o in Consiglio Comunale. Nella prima fase, “costringendo” l’amministrazione a mettere nero su bianco le sue aspettative, definisce anche una sintesi tra parte politica e parte tecnica; nella seconda fase la “narrazione” dei contenuti attraverso la Matrice aiuta la leggibilità del progetto. Ancora sulla qualità. Si legge nel testo del Protocollo che i criteri di valutazione, pur essendo regolati dalle leggi in vigore, saranno flessibili. Può spiegarci meglio cosa intendete per flessibilità? Quando si tratta di progettare aree urbane, per definizione sempre molto diverse tra loro per condizione dimensionale, geografica o ambientale, è impossibile definire degli indicatori o dei benchmark di riferimento realmente efficaci. A differenza di quello che si può fare con le certificazioni di qualità dei singoli edifici, per le aree urbane le variabili sono troppe e intrecciate in modo complesso: l’area è in una grande città o in un piccolo centro? È collocata nelle aree centrali o in periferia? È inquinata o pulita? In che contesto è inserita? Ha intorno aree già riqualificate o è in un contesto difficile? In che relazione è con le infrastrutture della mobilità? Quali sono i bisogni della città e/o del territorio che la circonda? Quale domanda di aree esprime il territorio?

Data l’irriducibile complessità delle circostanze, quando si tratta di aree urbane, noi pensiamo che tutti i progetti possano porsi una serie di questioni alle quali rispondere (espresse dalla Matrice della Qualità urbana), ma che sia “smart” calibrare gli obiettivi alle possibilità e alle necessità reali dei diversi contesti. In questo senso le valutazioni devono necessariamente essere flessibili, non perché ci si “accontenti” di risposte progettuali superficiali, ma perché gli obiettivi devono essere calibrati con intelligenza e realismo al contesto nel quale di agisce. Uno dei punti di forza dichiarati è rendere le amministrazioni locali più trasparenti. Cosa significa? Noi riteniamo che dichiarare fin dall’inizio gli elementi sui quali verrà valutato il progetto (la Matrice) e tutti gli obiettivi dell’ente pubblico attraverso un unico organismo (il Comitato di Coordinamento Interdipartimentale), renda di per sé più trasparenti gli atti delle amministrazioni. Anche se ogni Comune ha una sua specifica organizzazione, è indubbio che oggi la frammentazione delle competenze rende molto difficile per un operatore tenere insieme tutti i pareri e le impostazioni che uniscono e a volte mettono in contraddizione aspetti fondamentali del progetto (per esempio gli obiettivi infrastrutturali con quelli ambientali o quelli sociali con quelli economici). Inoltre, la costruzione e il consolidamento di un linguaggio comune tra tutti i soggetti, aiuta anche il privato a essere più trasparente e i cittadini a comprendere meglio e a dare il loro contributo in modo consapevole e efficace. Per ora il Protocollo riguarda solamente Roma Capitale. Crede che sia possibile estenderlo anche ad altre realtà? Certamente. La Matrice della Qualità Urbana è applicabile a tutte le realtà italiane. La parte che va adattata e quella delle procedure la cui organizzazione dipende, oltre che dalle norme nazionali, anche da quelle regionali e provinciali e dalle Norme Tecniche di Attuazione dei Piani urbanistici comunali. A Roma cominceremo entro la primavera la fase di sperimentazione, ma abbiamo già avviato i contatti con altre città italiane, a partire dai nostri soci.


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ATTUA L I TÀ

DA UN’IDEA È NATO UN PROGETTO CHE OGGI È REALTÀ: COSÌ I RIFIUTI TORNANO IN VITA NEL CENTRO DI RICICLO DI VEDELAGO SI SVILUPPANO NUMEROSI PROGETTI CON L’OBIETTIVO DI RECUPERARE I RIFIUTI E TRASFORMARLI IN MANUFATTI PER L’EDILIZIA E NON SOLO di Andrea Dotti

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rifiuti non esistono. La filosofia del Centro Riciclo di Vedelago è chiara: tutto si recupera, tutto può essere riutilizzato. L’obiettivo è realizzare l’utopia dei rifiuti zero. La spazzatura, in questo contesto, altro non è che un ammasso di materie prime seconde, che possono trasformarsi in pavimentazioni, materiale per l’edilizia o imballaggi. «Una bottiglia di plastica non è spazzatura, ma un contenitore che può venire impiegato di nuovo», ci racconta Carla Poli, che in questi anni ha investito tempo ed energia nel suo Centro di Riciclo trevigiano. A Vedelago si fa proprio questo: si dà una nuova vita ai rifiuti. Niente discariche, niente inceneritori e niente degrado urbano. Si tratta di un nuovo modo di concepire la produzione e un nuovo modo di fare economia: verde, sostenibile e vantaggiosa. «Attenzione – avverte Carla Poli -, noi siamo il punto di partenza: la rivoluzione deve essere culturale e deve partire da tutti». Di cosa si occupa, precisamente, il vostro centro di riciclo? Chi sono i vostri clienti? Il Centro Riciclo Vedelago si occupa di molte cose. Io e mio figlio, Alessandro Mardegan, crediamo fortemente nella diversificazione e nell’innovazione. Investiamo molto tempo per sviluppare progetti innovativi.

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Il Centro, alla fine degli anni ‘90, è nato per gestire due tipi di attività: la selezione e la valorizzazione dei rifiuti da raccolte differenziate e il riciclo. Selezioniamo per immettere nel mercato materiali utili alla trasformazione e ricicliamo perché abbiamo investito molto in un impianto di nuova concezione. Mi preme anche descrivere le altre attività che facciamo e che riguardano per lo più ricerca e sviluppo. Queste attività le attiviamo con la collaborazione di un Istituto di ricerca, il CETMA di Brindisi, che è un’eccellenza nel settore di studio e fattibilità di progetti sui materiali, con propri laboratori e specialisti. Ma l’innovazione proviene anche dalla partnership con grandi realtà multinazionali. Abbiamo un accordo sottoscritto con Fater S.p.a. di Pescara per l’installazione, nella nostra azienda, di un impianto pilota per il riciclo dei pannolini post-consumo. Non ritengo, tuttavia, che questi siano semplici rapporti tra cliente e fornitore: da sempre noi collaboriamo con aziende pubbliche e private. Dall’inizio, nel 1998, abbiamo aiutato il Consorzio Priula di Treviso a implementare le raccolte differenziate, ma l’abbiamo fatto anche con altre realtà pubbliche, per arrivare alla collaborazione con il Comune di Ponte nelle Alpi, che con la nostra collaborazione è arrivato a quote del 90% di effettivo recupero.

Da dove arrivano i rifiuti che trattate, quali manufatti vengono prodotti dal vostro lavoro e qual è il principale mercato di sbocco? Il Centro Riciclo Vedelago è un progetto. È stato pensato per il territorio e per rispondere alle sue esigenze. Alla situazione attuale, non riteniamo ci debbano essere confini e perciò non ci limitiamo al territorio: siamo pur sempre un’azienda privata. Oltre alla selezione, come detto, ricicliamo soprattutto materie plastiche che diventano un granulato, il Polimar, attraverso il quale i nostri clienti producono manu-

Dott.ssa Carla Poli, Direttrice del Centro Riciclo di Vedelago


fatti, come casseri a perdere, pavimentazioni, arredi da ufficio o attrezzature per l’edilizia e imballaggi. Il limite della selezione è che non concede spazi all’innovazione, mentre noi crediamo fortemente in questo modo di fare impresa. Può essere più costoso, ma è anche fortemente stimolante. Credo che solo così riusciremo ad avere una chance contro la crisi. Quale tipo di tecnologie utilizzate e quali tipologie di impianti? Per la selezione la tecnologia è poca e l’impianto prevede una forte componente umana. Per quanto riguarda il riciclo invece, abbiamo utilizzato impianti per la lavorazione della plastica, come gli estrusori, e li abbiamo adattati alle nostre esigenze. La lavorazione delle plastiche miste è molto particolare e prevede vari step per produrre una materia prima seconda adatta agli scopi prefissati. Il materiale in entrata ha un’umidità del 20-25%, che è necessario togliere, e la presenza di metalli ferrosi e non ferrosi, crea problematiche sia nell’utilizzo nell’industria di materie plastiche, che nei settori specifici per l’edilizia. Deferrizzatori, trituratori e granulatori sono le altre tecnologie utilizzate per il progetto di riciclo delle plastiche miste. Per quanto riguarda invece l’impianto di riciclo dei pannolini, cito, a titolo di esempio, la tecnologia che utilizzeremo. In quell’impianto la base essenziale per lo sviluppo di tutto il progetto è stata la scelta di utilizzare la tecnologia dell’autoclave, che con modifiche peraltro brevettate da Fater stessa, hanno reso unico l’impianto stesso. Cerchiamo, dunque, di adattare tecnologie già esistenti alle nostre esigenze e a quelle dei progetti che affrontiamo. Cosa intende quando sostiene che non esistono rifiuti, ma solamente materie prime seconde? Ho smesso qualche anno fa di guardare ai rifiuti come a qualcosa che si deve abbandonare o distruggere. Faccio un esempio: viene considerato rifiuto la bottiglia di acqua minerale dopo che ne è stato bevuto il contenuto. Io invece penso che quella sia un imballaggio. Come me lo pensa, ad esempio, anche Roberto Alibardi, proprietario di Aliplast S.p.a. di Istrana, un’azienda con la quale collaboriamo, che ha costruito un impianto affinché la bottiglia usata sia riciclata e torni ad essere bottiglia.

Le plastiche che ricicliamo verrebbero destinate all’incenerimento o alla discarica, mentre attraverso la nostra tecnologia vengono trasformate e re-immesse in altri circuiti industriali. È la sostenibilità del processo che mi interessa, perciò considero i rifiuti dei materiali. Il mio è un punto di vista di partenza, al quale la società, le istituzioni e gli industriali dovrebbero dare un seguito. Per voi è centrale il lavoro di ricerca e formazione. La vostra filosofia sembra essere la presenza costante all’interno delle scuole e degli istituti formativi, a sottolineare la centralità della cultura nel vostro modo di operare. Da chi deve partire il cambiamento culturale nella gestione dei rifiuti, dai cittadini, dall’industria o dalle amministrazioni pubbliche? Dal canto mio ho dato moltissimo e sto dando, tuttora, tempo e progetti a scuole e istituti superiori. Le generazioni dei prossimi adulti hanno compreso benissimo che la rivoluzione vera è cambiare le nostre abitudini, guardare con occhi diversi al futuro. Non bisogna ripetere gli errori del passato. Da un po’ di tempo, sento parlare troppo di green economy, ma quella vera non l’ho ancora vista. Sono certa che la vera economia del futuro l’abbiamo fatta con Fater S.p.a. e il Comune di Ponte nelle Alpi. Due anni e mezzo fa abbiamo collaborato per il Sustainability Manager di Fater Spa (una j.v. tra Procter & Gamble e Angelini Farmaceutici): Marcello Somma ci è venuto a trovare e con lui abbiamo iniziato un percorso di economia del futuro, green economy mi permetto di dire. Attraverso la loro esigenza di sostenibilità, si è generata un’innovazione che ha portato risposte e nuove opportunità di lavoro. Ma è stato il loro e il nostro salto culturale che ci ha permesso di fare economia del futuro. Con loro mettiamo in opera ciò che il Prof. Braumgart ha concepito essere un nuovo modello industriale: il cradle to cradle, dalla culla alla culla. Non ci si può esimere dal pensare a ciò che succederà al prodotto che produciamo e perciò ne dobbiamo essere responsabili. Ecco applicati di colpo, quindi, tutti i concetti chiave: sostenibilità, filiera industriale, corporate social responsability, riciclo e ambiente.

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Io dico che questo può essere l’esempio per sogna pensare a come lo si fa e a quali male grandi aziende italiane: cercare la collabo- teriali utilizzare. Bisogna pensare di rendere razione con i più piccoli, perché genera op- sostenibile tutto il progetto. Partecipiamo anche al progetto di eco-innovation PROWASTE, portunità, innovazione, e non sfruttamento. Siete anche inseriti in progetti di ricerca che prevede l’industrializzazione del processo europei. Potrebbe spiegarmi nel dettaglio di produzione di articoli in plastica riciclata e nello specifico, l’armatura con pultrusi plastici in cosa consistono? Il progetto di eco–innovation, denomina- per la produzione di pali. Partecipiamo infine to NUMIX, al quale partecipiamo, si riferisce al progetto eco-innovation RECALL: la verifica all’utilizzo del Polimar, come alleggerente per dell’industrializzazione del processo di riciclo aggregati cementizi. E poi c’è il SUSCON, un dei pannolini post-consumo, che le ho citato progetto inserito nel 7° Programma Quadro precedentemente. della Comunità Europea, nel quale CETMA è riuscito a coalizzare ben 16 partner di tutta Europa e due extra-europei. Siamo molto fiduciosi, lo sviluppo di questi due progetti e la collaborazione con CETMA ci premetteranno finalmente, dopo 3 anni, di vedere inserito in un contesto industriale il nostro materiale. Le aziende del comparto edile iniziano a comok B DEPURACQUE prendere 240X150.qxp:Layout 1 23-02-2010 9:13 Pagina 1 che anche l’edilizia deve evolversi. Non basta più pensare a tirare su le case, bi-

La sostenibilità ambientale è un ottimo presupposto, ma è ancora meglio quando accompagnata da salute economica. In che modo la vostra azienda incide sul mercato, l’occupazione e lo sviluppo economico del territorio? Questo è un aspetto fondamentale per chi fa impresa. I conti devono sempre tornare. Le assicuro che di questi tempi non è sempre così facile. Le aziende pagano in ritardo e le banche sono in difficoltà. Diciamo che sebbene siamo in un momento particolare, stiamo cercando di affrontare le problematiche del periodo ristrutturandoci. Puntiamo alla diversificazione. Non solo selezionare rifiuti, ma fare altre cose, collaborare con altre aziende, produrre progetti innovativi e investire in ricerca e sviluppo. Il mondo sta cambiando ed io, mio figlio e i nostri collaboratori vogliamo essere pronti.

impianti per il trattamento del percolato da discarica

L’impianto per il trattamento del percolato che si origina nelle discariche di R.S.U. è stato sviluppato sulla base del know-how e dell’esperienza che Depuracque ha acquisito nel campo degli evaporatori sotto vuoto per il trattamento di reflui altamente inquinanti in oltre dieci anni di realizzazioni applicative in area industriale. Questo impianto risolve in maniera definitiva il problema del trattamento del percolato con una soluzione tecnologicamente avanzata ed economicamente vantaggiosa in termini di costi sia di investimento sia di esercizio. L’impianto comprende normalmente una opportuna sezione di finissaggio del condensato per la rimozione dell’ammoniaca (strippaggio-assorbimento con aria in circuito chiuAnnobiologica 5 - Numero 19 (processo S.B.R.). so) ed un eventuale trattamento di ossidazione a fanghi attivati

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In funzione di specifiche esigenze sono stati eseguiti impianti con sezioni di preconcentrazione e di finissaggio su membrane. I vantaggi sono rilevanti in quanto la tecnologia adottata coperta da brevetto Depuracque: - comporta il trattamento specifico del refluo con effettivo abbattimento degli inquinanti evitando qualsiasi diluizione; - evita i rischi connessi alla fase di trasporto; - consente l’ottimale recupero energetico del biogas; il fabbisogno termico può inoltre essere soddisfatto con il solo utilizzo di acqua calda da raffreddamento dei gruppi di cogenerazione e pertanto ad effettivo costo zero;

- costituisce applicazione della migliore tecnologia oggi praticabile per i reflui ad alto contenuto inquinante; - risolve in maniera definitiva i problemi dello smaltimento del percolato in assenza di emissioni significative in atmosfera. La gamma di normale produzione prevede modelli con capacità fino a 10 m 3/h. Ad oggi sono stati realizzati impianti presso le discariche di: Pescantina (VR), Centa Taglio (VE), Pantaeco (LO), San Miniato (PI), Chianni (PI), Fermo (AP), Rosignano Marittimo (LI), Serravalle Pistoiese (PT), Giugliano in Campania (NA), Monsummano Terme (PT), Jesolo (VE), Peccioli (PI), Malagrotta (RM), Bracciano (RM).


T-SHIRT BIODEGRADABILI, LA MODA DIVENTA ECO FRIENDLY ECOMODA SEMPRE PIÙ DIFFUSA: DA TREVISO LA START UP CHE PRODUCE ABBIGLIAMENTO CON TESSUTI RICAVATI DALLE BARBABIETOLE E DALL’AMIDO DI MAIS di Andrea Dotti

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ai campi di mais al campo da calcetto e, infine, nel contenitore dell’umido. Abiti ecologici, semplici e a prezzi stracciati. È la filosofia che sta alla base del lavoro di Wear&Toss, una start up trevigiana che produce abiti usa e getta. Si tratta di una nuova concezione di abbigliamento, che si rifà ai concetti del fast fashion: velocità e sostenibilità. L’azienda produce di tutto, dalle classiche t-shirt, agli accessori, fino agli indumenti sportivi. La caratteristica comune di questi capi è il materiale: 100% biodegradabile. Gli abiti vengono ricavati dalle materie prime e trattati con coloranti e colle naturali. Sono, per la maggior parte, indumenti monouso, che non necessitano di essere lavati. Niente più lavatrice, dunque, una volta svestito, l’indumento finisce direttamente nel cassonetto della differenziata. Il tessuto degli indumenti è composto dalla miscela di fibre ricavate da fonti rinnovabili, tra tutte cellulosa, barbabietola, amido di mais e canna da zucchero. L’obiettivo dichiarato è, quindi, la produzione e il consumo a impatto zero. Il prodotto smaltito, in questo senso, può diventare compost per terreni oppure sciogliersi nell’acqua ed

entrare nel ciclo della fotosintesi. La sostenibilità, infine, non è solo ambientale, ma anche economica: questo nuovo materiale sarebbe più economico del cotone.

LE CARATTERISTICHE DEL TESSUTO Ogni anno vengono prodotte 25 milioni di tonnellate di cotone, con un forte impatto ambientale, sia in termini di produzione che di smaltimento di rifiuti.

Stando ai dati forniti dall’azienda, infatti, per ogni tonnellata di fibra di cotone vengono sfruttati quasi due ettari di terreno e più di cinquemila metri cubi d’acqua. Per la produzione di una sola tonnellata di fibra, inoltre, verrebbero emesse nell’atmosfera 10 tonnellate di anidride carbonica. La stessa quantità di W&T, invece, impiegherebbe 0,2 ettari di terreno e solamente 263 tonnellate d’acqua. Si risparmierebbe, dunque, il 95% di acqua e il carico ambientale, dettato dall’emissione di CO2, sarebbe inferiore del 75%. In totale W&T ha stimato che, rispetto alla produzione di cotone comune, il nuovo tessuto fa risparmiare all’azienda il 70%. Gli organi di comunicazione dell’azienda affermano che la produzione avviene attraverso tecnologia ad alta meccanizzazione, in grado di produrre fino a 100 pezzi al minuto. Si tratterebbe, in questo senso, di un meccanismo che garantisce una produzione vantaggiosa in termini economici e responsabile dal punto di vista etico e ambientale. "L’alta meccanizzazione – si legge in un documento dell’azienda - rende vantaggiosa la produzione in loco e annichilisce lo sfruttamento della manodopera nei Paesi in via di sviluppo. Costi esorbitanti dei trasporti internazionali e l’inquinamento provocato non rappresentano più un problema, così come i consumi sono abbattuti grazie all’uso di macchinari, a elevato risparmio energetico, di nuova concezione". Il risparmio economico e la sostenibilità ambientale, tuttavia, non sono le uniche caratteristiche del prodotto.

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W&T ha dichiarato, infatti, che gli indumenti sono composti da materiale anallergico al 100%, traspirante e che non rilascerebbe fibre o pulviscolo. Il materiale di cui è costituito, infine sarebbe isotropo in grado cioè di mantenere le stesse proprietà e caratteristiche fisiche in tutte le direzioni.

UNA NUOVA CULTURA DELL’ABBIgLIAMENTO Il presidente della W&T, Filippo De Martin, ha affermato che una maglietta prodotta dall’azienda costa solamente due euro. Sebbene sia impensabile un prodotto monouso venduto a cifre superiori, il prezzo fissato rende l’idea della strategia culturale alla base della start up veneta: spendere meno, sprecare meno. Il modello promosso, in questo senso, è proprio il fast fashion: una concezione culturale della moda adattabile ai tempi e alla velocità della modernità. In altri termini, i tempi di vita di un indumento vengono accorciati e ridotti ai minimi termini, senza, però, provocare danno all’ambiente. Chi indossa il capo si sgancia dall’attaccamento emotivo, lo getta senza rimpianti e lo ricicla, facendolo rientrare nel ciclo produttivo della natura. L’applicazione di questo concetto è palpabile, in modo particolare, nei capi di abbigliamento più sofisticati promossi dalla stessa azienda. Si tratta di indumenti inseriti nel mercato della moda di fascia medio-alta. In questo contesto, gli indumenti vengono pro-

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dotti con materiali, la cui vita corrisponde il più possibile a quella della moda e delle tendenze. Quando la moda finisce, dunque, non si lascia l’abito dimenticato nell’armadio, ma lo si getta nella spazzatura. Senza rimorsi. "Il mercato della moda è governato da un’unica regola davvero incontrovertibile: ciò che oggi è considerato fashion, domani non lo sarà più – si legge -. In questo contesto, il tessuto ecologico monouso rappresenta il materiale di produzione ideale per capi d’abbigliamento che vogliono e devono esaurire il loro ciclo di vita nell’arco di una sola stagione". Dalla moda, all’intimo il filo conduttore è la semplicità: dimostrata dal packaging, anche quello ecosostenibile e biodegradabile, e dal design, semplice ed essenziale. W&T, però, non si vuole fermare al piccolo consumatore, dichiarando di voler allargare il proprio raggio di azione fino a raggiungere gli organi militari, il personale sanitario e il mercato dell’abbigliamento da lavoro. Fino all’ultima scommessa: il mondo dello sport.

SPORT ECOSOSTENIBILE ED ECO FASHION Abbigliamento eco-friendly, compostabile o biodegradabile, però non sono una novità assoluta del mercato. Circa un anno fa, la Puma ha annunciato il lancio sul mercato di abbigliamento sportivo amico dell’ambiente. "Siamo fiduciosi che avremo nel prossimo futuro, il primo paio di scarpe, le prime magliette e le prime

borse compostabili o riciclabili", disse l’amministratore delegato di Puma Franz Koch durante un’intervista rilasciata alla rivista economica tedesca Wirtschaftswoche. Dalle fabbriche della multinazionale tedesca potrebbero quindi uscire, in breve tempo, scarpe e magliette che una volta tolte possono essere, letteralmente, «seppellite in giardino». Durante l’intervista lo stesso Koch ha illustrato come con la combinazione tra giusta tecnologia e design innovativo, nell’ottica dell’ecosostenibilità, avrebbero potuto portare, non solo un miglioramento del rapporto uomo-ambiente, ma anche vantaggi economici rilevanti. L’esempio di Puma, infatti, non è l’unico nel suo genere. I dati relativi alle tendenze sulla moda mostrano come questo settore sia sempre più orientato verso strategie verdi. Anche Rapanui, ad esempio, ha voluto puntare sulla sostenibilità dell’abbigliamento sportivo: per produrre i suoi capi, l’azienda utilizzerebbe cotone organico. Oltre a Puma e Rapanui, sono molte le grandi marche che hanno deciso di orientarsi in questa direzione. H&M, ad esempio, ha deciso di utilizzare solamente cotone biologico per la sua collezione estiva, mentre Fendi ha deciso di puntare sui materiali di riciclo, con borse realizzate con zanzariere, interni d’auto o cannucce. Si può dire, dunque, che l’ecomoda fa tendenza. Scelta etica o astuta strategia di marketing?


FUORI DALLA DISCARICA I RIFIUTI DIVENTANO ENERGIA LE CONSIDERAZIONI DELL’AITEC SULL’UTILIZZO DEI COMBUSTIBILI SOLIDI SECONDARI NEI CEMENTIFICI PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA: «CONVIENE ED È PIÙ SOSTENIBILE» di Andrea Dotti

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idurre l’inquinamento industriale e l’impatto ambientale delle discariche, allineandosi ai Paesi europei considerati virtuosi. Portare, inoltre, un vantaggio economico in termini di risparmio e produzione energetica. Sono i benefici che si otterrebbero attraverso l’impiego dei Combustibili Solidi Secondari (CSS), ottenuti dai rifiuti urbani (RU), nel settore industriale, in particolare nei cementifici. Almeno questo è quello che sostiene l’Associazione Italiana Tecnico Economica Cemento (AITEC), che sull’argomento ha redatto, insieme a Nomisma Energia, il rapporto Potenzialità e benefici dell’impiego dei combustibili solidi secondari nell’industria, che riassume i dati emersi con una parola: sostenibilità. Secondo i dati forniti dall’associazione, l’Italia produce, allo stato attuale, 32 milioni di tonnellate di rifiuti urbani. Lo strumento di smaltimento privilegiato, resta ancora la discarica, dove finiscono circa 17 milioni di tonnellate di rifiuti. Sebbene la cultura nei confronti della raccolta differenziata stia cambiando, andando verso un’evoluzione virtuosa, la percentuale non supera il 34%, restando molto al di sotto della media delle nazioni europee più importanti. Che fare, dunque? La risposta che prova a dare Aitec è la combinazione di diverse tecniche di smaltimento dei rifiuti da affiancare alla raccolta differenziata. L’obiettivo principale è il dissolversi della concezione di discarica come

unica alternativa possibile, con uno sguardo privilegiato al recupero energetico derivato dallo smaltimento dei rifiuti. «I Paesi più virtuosi – si legge nel testo del rapporto -, combinano elevati livelli di raccolta differenziata, integrandola con alti tassi di recupero energetico. L’analisi di questi casi ha messo in luce che, per risolvere il problema della discarica, è necessario bilanciare il recupero di materia e il recupero energetico». Il lavoro è lungo e la strada sembra essere in salita. L’Italia, infatti, presenta un livello bassissimo di recupero energetico e il traguardo prefissato da Aitec è ambizioso: 200 kg di rifiuti per abitante avviati a recupero energetico a fronte di un valore attuale medio di circa 76 kg/abitante. È in questo contesto che entrano in gioco i CSS. I combustibili secondari verrebbero ricavati dai rifiuti urbani e, secondo Aitec, potrebbero venire utilizzati negli impianti industriali al posto di quelli fossili solitamente impiegati nei processi di produzione energetica. «In particolare – si legge -, la combustione di CSS nei processi di produzione del cemento rappresenta la soluzione più sostenibile sotto il profilo sociale, ambientale, energetico ed economico».

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SOSTENIBILITÀ SOCIALE E AMBIENTALE Raccolta differenziata e recupero energetico sarebbero, quindi, la ricetta per migliorare la qualità sociale della vita. Stando a quanto sostenuto dall’associazione, infatti, il sistema di combustione a scopo energetico non sarebbe un’alternativa alla raccolta differenziata. In questo senso, correrebbe in suo aiuto, provvedendo a smaltire i rifiuti indifferenziati o quelli che sono sfuggiti al controllo della raccolta. Secondo il rapporto, infatti, per ogni tonnellata di rifiuti avviata alla produzione di CSS, il 25% è costituito da metalli, vetro e altri materiali che vengono recuperati nelle fasi di separazione. Il sistema si integrerebbe anche all’attività dei termovalorizzatori, recuperando le frazioni di rifiuti che non vengono sfruttate.

L’attività energetica viene ottimizzata, inoltre, dalla combustione di rifiuti plastici non più riciclabili e «il CSS può raggiungere anche un elevato potere calorifico, che non lo rende adatto ad essere usato in termovalorizzatori, dove il contenuto calorico medio dei rifiuti bruciati è decisamente inferiore». I cementifici, infine, sarebbero già dotati di impianti e camini per combustione, rendendo inutile la costruzione di nuove strutture. Questo presupposto aiuterebbe maggiormente a superare le perplessità sociali che accompagnano i nuovi progetti energetici. E poi c’è la questione della sostenibilità ambientale. Se gli obiettivi prefissati dovessero andare in porto, infatti, si andrebbe verso una riduzione dei rifiuti in discarica. Ma secondo Aitec c’è dell’altro: i vantaggi per l’ambiente

La gestione dei rifiuti urbani in Europa nel 2009 (fonte: Elaborazioni NE Nomisma Energia su dati Eurostat ed Ispra)

I benefici ambientali dell’integrazione del processo di combustione dei rifiuti e di produzione di cemento (fonte: ricerca Nomisma Energia)

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si raggiungerebbero anche tramite la riduzione del consumo di risorse naturali e materie prime. Anche le emissioni prodotte sarebbero più sostenibili. In questo contesto i CSS sfrutterebbero «il principio per cui la combustione avviene direttamente a contatto con le materie prime, e molti composti, che in altri processi di combustione finirebbero nei fumi, sono in questo caso catturati dal prodotto finale senza alternarne la qualità».

SOSTENIBILITÀ ENERGETICA ED ECONOMICA Da un combustibile fossile a uno parzialmente rinnovabile. È la caratteristica principale che spinge Aitec a considerare la combustione di CSS uno strumento fondamentale per il risparmio energetico. L’utilizzo di fonti alternative nei processi di combustione industriale sarebbe, in questo senso, un notevole passo in termini di indipendenza energetica. In Germania, ad esempio, l’industria del cemento impiegherebbe combustibili non convenzionali simili ai CSS per un totale del 61%. In Italia siamo fermi all’8%. «In Germania, oltre il 90% del CSS è originato da rifiuti, ed esistono cementifici dove il 100% dei combustibili utilizzati è costituito da combustibili ricavati da rifiuti». Nel nostro Paese traguardi del genere sono ancora lontani, anche se non mancano esempi che vanno in questa direzione. Nel cementificio di Robilante, a Cuneo, vengono indirizzate 60 mila tonnellate di rifiuti urbani all’anno, i due terzi dei RU prodotti in tutta la provincia. Questo meccanismo ha permesso di chiudere le discariche cittadine, mentre la capacità potenziale di CSS è stata aumentata di 110 mila tonnellate. E il vantaggio economico? Secondo Aitec la filiera dei combustibili secondari sarebbe conveniente anche per le casse dello Stato. La sostenibilità economica si raggiungerebbe riducendo lo spreco derivato dall’abbandono di rifiuti in discarica: «è paradossale per un Paese come l’Italia, che ha da sempre un problema di forte dipendenza di energia, sprecare, ogni anno, rifiuti in discarica per un valore di circa un miliardo di euro». Negli ultimi dieci anni, ha stimato l’associazione, sono stati gettati in discarica oltre 11 miliardi di euro.


economici ricadrebbero sui cittadini, in quanto verrebbero abbattuti gli oneri sullo smaltimento a carico delle amministrazioni locali. Il resto della ricchezza, invece, remunererebbe l’attività industriale che utilizza i CSS per la produzione di energia. «La proPotenzialità di risparmio sui costi di gestione dei rifiuti grazie al CSS al 2020 duzione del CSS (fonte: Elaborazioni NE Nomisma Energia su dati Eurostat ed Ispra) offre risparmi potenziali sopratI potenziali risparmi legati alla filiera dei CSS tutto in Campania, dove l’adeguamento degli sarebbero, inoltre, di circa 210 euro per ogni impianti presenti e una corretta produzione di tonnellata. La maggior parte dei vantaggi CSS potrebbero portare a riduzioni di costo

per le Amministrazioni locali dell’ordine del 34-50%. Le altre regioni che trarrebbero forti benefici sui costi di gestione dei RU sono Calabria (27-40%), Lazio (24-35%) e Toscana (2030%). Mediamente, in Italia, i risparmi rispetto ai costi del 2009 sarebbero del 9-14%». Il risparmio medio per le famiglie sarebbe del 12% sulla tariffa media annuale per i rifiuti. Ipotizzando una produzione di quasi 7 miliardi di tonnellate di CSS dai rifiuti urbani, si potrebbe ottenere un risparmio totale di 260 milioni di euro l’anno sulla bolletta energetica del Paese. A livello macro, infine, il rapporto stima un investimento potenziale pari a 2 milioni di euro, in grado di aumentare l’occupazione, favorendo l’ingresso nel mercato del lavoro di quasi 11 mila addetti. «Per questo motivo – si legge nella conclusione - la filiera del CSS non solo è sostenibile sotto il profilo economico, ma è addirittura virtuosa».

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sI AvvIcINA L’AppUNTAMENTO CON IL SALONE DELLE BONIFICHE DI FERRARA QUALITÀ, INNOVAZIONE, INTERNAZIONALIZZAZIONE LE PAROLE CHIAVE DI REMTECH EXPO 2012, IL SALONE DELLE BONIFICHE DEI SITI CONTAMINATI E DELLA RIQUALIFICAZIONE TERRITORIALE di Daniela Modonesi*

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ualità, innovazione, internazionalizzazione. Sono queste le parole che caratterizzano l’edizione 2012 di RemTech Expo, l’evento più specializzato in Italia sulle bonifiche dei siti contaminati e la riqualificazione territoriale, che si terrà dal 19 al 21 settembre, presso il Quartiere fieristico di Ferrara. Giunto alla sesta edizione, e con un numero sempre crescente di espositori e di visitatori, il Salone organizzato da Ferrara Fiere Congressi, con il supporto di Eni Saipem, si rivolge a istituzioni, aziende, associazioni di categoria, università, industria e comparto petrolifero. A un'importante azione di promozione sul mercato internazionale e un Road Show su quello nazionale si affiancano un'area espositiva rinnovata e ampliata e oltre trenta sessioni congressuali specialistiche di elevato profilo tecnico-scientifico, con relatori di fama mondiale. È previsto, inoltre, il primo SUstainable Remediation Forum (SURF) italiano. E ancora, corsi di formazione per operatori, autorità e decision makers, prove pilota e dimostrazioni sul campo, delegazioni straniere in rappresentanza dei principali buyers, focus sull'innovazione

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tecnologica, premi speciali, di laurea e di dottorato. «Il successo riscosso da RemTech – ha sottolineato il presidente di Ferrara Fiere Nicola Zanardi – è legato al modo in cui esso tratta il tema delle bonifiche, ovvero verticalmente e a 360 gradi. Non solo ne vengono approfonditi tutti gli aspetti, dalla caratterizzazione alle tecnologie, dalle analisi di laboratorio alla progettazione e pianificazione, ma i diversi attori coinvolti qui possono comunicare, grazie a un tavolo di confronto permanente in cui avanzare proposte, discutere argomenti di interesse comune, far circolare conoscenze». Una delle principali novità dell’edizione 2012 riguarda le opportunità di incontro e di scambio con i principali buyers nazionali e internazionali, provenienti da Russia, Cina, Brasile, Algeria, Egitto, Libia, Marocco, Tunisia, Turchia, Israele, Giordania, Siria, Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna. «Con il passare delle edizioni – ha spiegato la geologa project manager dell’evento Silvia Paparella –, ci siamo resi conto che, per la sua complessità e multidisciplinarietà, il tema delle bonifiche richiedeva l’avvio di un confronto sul piano internazionale. Ecco perché quest’anno sarà presente un numero

ancora maggiore di buyers e di esperti internazionali, con i quali le imprese presenti potranno instaurare rapporti di lavoro e promuovere occasioni di business». Una particolare attenzione sarà riservata anche al tema della caratterizzazione: «è il primo step della bonifica, eppure è quello che viene più spesso trascurato in fase di programmazione e di scelta operativa, il che è profondamente sbagliato. Una buona caratterizzazione, realizzata con prelievo di campioni e analisi sulle matrici ambientali, consente infatti di inquadrare il problema in modo preciso e dettagliato, con conseguente riduzione dei costi di bonifica. Molte aziende, al contrario, preferiscono procedere a caratterizzazioni blande, superficiali, magari meno onerose nell’immediato, ma che quasi certamente comporteranno un’impennata dei costi in seguito». Strettamente connesso all’area della caratterizzazione è l’asse dell’innovazione. «Tecnologie innovative ne abbattono i costi e la rendono più accessibile. Già nella scorsa edizione di RemTech abbiamo ospitato il corso di formazione internazionale tenuto dal professor Petrangeli Papini su ModelProbe, per un ap-


Convegno di apertura

Daniele Cazzuffi e Nicola Zanardi

Assemblea Progetto HOMBRE-Commissione Europea

Renato Baciocchi e Laura D’Aprile

Dragaggi e Ripascimenti costieri

Pierluigi Aminti e Mario Mega

19 SETTEMBRE 2012

Corso di alta formazione sull’accertamento degli illeciti ambientali Gaetano Pecorella nel campo delle bonifiche I Sessione – Il quadro europeo

Giorgio Bressi

Il riciclaggio dei rifiuti da C&D in impianti fissi

Giorgio Bressi

Tecnologie di bonifica dei suoli

Maria Rosaria Boni, Carlo Collivignarelli e Federico Vagliasindi

Contaminazione, bonifica e riuso dei sedimenti

Luca Bonomo

Corso di alta formazione sull’accertamento degli illeciti ambientali Gaetano Pecorella nel campo delle bonifiche Assemblea Progetto HOMBRE – Commissione Europea

Renato Baciocchi e Laura D’Aprile

Monitoraggio degli inquinanti in fase vapore

Sabrina Saponaro, Alessandro Gargini e Eleonora Beccaloni

Il recupero di siti industriali tra approccio ambientale integrato e preDonatella Giacopetti e Laura D’Aprile venzione della contaminazione Assemblea Progetto HOMBRE – Commissione Europea

Renato Baciocchi e Laura D’Aprile

Giornata SURF: trend globali per la green remediation e il risanaGianni Andreottola e Lorenzo Sacchetti mento sostenibile Opere costiere e modellistica

Pierluigi Aminti, Francesco Lali e Diego Vicinanza

20 SETTEMBRE 2012

II Sessione – Problemi e prospettive del riciclaggio dei rifiuti C&D Giorgio Bressi in Italia Presetazione TerrAttesT Integral Soil Analysis

Eurofins Environmentale Testing Italy S.r.l. – analytico

La storia del prelievo e del ciclo di recupero dei Pneumatici Fuori Uso Ecopneus di Via Ca’ Rosa a Ferrara Il riciclaggio dei rifiuti da C&D in cantiere

Giorgio Bressi

Assemblea Progetto HOMBRE – Commissione Europea

Renato Baciocchie e Laura D’Aprile

Nuove prospettive per l’applicazione dell’analisi di rischio: evoluzioLaura D’Aprile e Mariachiara Zanetti ne del quadro normativo e tecnico Bonifica dei siti di distribuzione carburante (III edizione)

Donatella Giacopetti e Igor Villani

Giornata SURF: trend globali per la green remediation e il risanamenGianni Andreottola e Lorenzo Sacchetti to sostenibile. Esperienza USA eUK Lesson learned from success Case Studies of sediment management Andrea Barbanti in Europe Tecnologie di bonifica delle acque

Gianni Andreottola, Giovanni Pietro Beretta e Marco Petrangeli Papini

Il Contratto di Fiume: strumento per la gestione e la riqualificazione Endro Martini e Filippo Maria Soccodato dei paesaggi fluviali e delle aree a rischio idrogeologico

21 SETTEMBRE 2012

La rigenerazione dei brownfields: l’approccio del progetto europeo Hans Van Duijne, Marina Dragotto e Renato BaHOMBRE e l’esperienza italiana a confronto ciocchi Il recupero dei metalli critici

Sergio Treichler

Il sedimento come risorsa: cave marine, trappole sottocostiere e moPaolo Ciavola, Anna Correggiari, Giorgio Fontolan nitoraggio dei ripascimenti Le caratteristiche degli aggregati riciclati e i loro impieghi

Giorgio Bressi

Giornata del recupero dei metalli Caratterizzazione idro-meccanica dei rifiuti per la progettazione e Nicola Moraci e Roberto Raga l’ampliamento di discariche Competenze, funzioni e compiti della Figura Responsabile Amianto

Sergio Clarelli

Presentazione TerreAttesT Integral Soil Analysis

Eurofins Environmentale Testing Italy S.r.l. – analytico

La ricerca nel campo dell’ambiente costiero e Premio G3-2012 – III Pierluigi Aminti e Lorenzo Cappietti edizione Principi e applicazioni di analisi di rischio

Renato Baciocchi

proccio innovativo alla caratterizzazione dei siti inquinati. E quest’anno, dopo il grande successo riscosso nel 2011, tornerà il call for proposal "Saipem for Innovation”, promosso in collaborazione con Eni Saipem, che punta a individuare le proposte tecnologiche più interessanti per la bonifica di suoli, acque sotterranee e sedimenti», ha concluso Silvia Paparella. Se il "Focus Petrolifero" prevede un’intera giornata di convegni sul comparto oil, coordinati da Unione Petrolifera, e il rinnovato "Focus Ricerca e Università" vede il coinvolgimento di Syndial-Eni, il compito di coronare le tre giornate di RemTech è affidato alle sue due sezioni speciali: Coast Expo 2012 e la nuovissima Inertia 2012. Organizzato da ANPAR (Associazione Nazionale Produttori di Aggregati Riciclati), Inertia offre un’inedita ribalta ai settori della riqualificazione, delle demolizioni e del riutilizzo dei materiali. Questa ulteriore costola di RemTech si propone come l'evento più specializzato in Italia sul recupero dei rifiuti inerti, con il supporto di istituzioni, aziende, professionisti, associazioni nazionali di categoria e mondo universitario. In cima all’agenda dei lavori, la riflessione sul quadro normativo che, a livello europeo, disciplina la delicata questione della cessazione della qualifica di rifiuto ("End of waste"), sul passaggio da Direttiva a Regolamento sui prodotti da costruzione e sulla pericolosità dei rifiuti da C&D (Construction & Demolition). Festeggia invece il terzo compleanno Coast Expo, che rappresenta l’appuntamento più qualificato in Italia sulla protezione della costa e del mare. Con la collaborazione delle principali istituzioni, regioni costiere e autorità portuali, Coast accresce quest’anno la propria proposta fieristicocongressuale, puntando i riflettori sui temi dei dragaggi, dei sedimenti, delle opere di difesa e tutela del mare, dei bacini e dei corsi d’acqua. Ad aziende, professionisti, autorità e pubbliche amministrazioni Coast offre, inoltre, corsi di formazione sulla protezione del litorale e sul monitoraggio dell’ambiente costiero. *Ufficio Stampa Ferrara Fiere Congressi

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FA BB R I C A D E L L E I D E E

UN CELLULARE CHE VALE ORO L’IDEA ARRIVA DAL BELGIO: UN’AZIENDA RICICLA GLI SCARTI DEI PRODOTTI ELETTRONICI, NE ESTRAE I METALLI PREZIOSI E LI REINSERISCE NEL MERCATO di Andrea Dotti

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n semplice battito d’ali di una farfalla può essere in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo. È il cosiddetto butterfly effect, una massima filosofica che fa riferimento alla teoria del caos. In sostanza, un evento apparentemente insignificante per qualcuno, sarebbe in grado di avere conseguenze epocali per qualcun altro. In altri termini: un telefonino cellulare gettato in un cassonetto può diventare una fede nuziale. Umicore è una multinazionale con sede centrale in Belgio e ha poco a che fare con il butterfly effect e la teoria del caos, almeno nelle intenzioni. Il suo lavoro, però, unisce il Brasile, il Belgio e la Germania e consiste nel rastrellamento di scarti e nel raggruppamento di materiali provenienti da ogni angolo del mondo. Umicore, infatti, si occupa di raccogliere apparecchiature elettroniche alla fine della loro vita, con l’obiettivo di estrarne i metalli. Il fine ultimo è la raffinazione e il reinserimento nel mercato di consumo. Secondo i dati forniti dalla stessa azienda, in ogni apparecchio elettronico sono presenti 17 metalli completamente riutilizzabili. Tra questi, ce ne sono alcuni particolarmente preziosi: oro, argento, platino e palladio. E poi ci sono anche piombo, rodio e rame. Questi materiali possono essere riciclati e riutilizzati all’infinito, senza perdere le loro proprietà e senza diminuire di qualità. Non a caso da Umicore fanno sapere di essere in grado di riprodurre oro puro al 99,9%. Le carcasse dei telefonini, dunque, possono trovare nuova vita nelle gioiellerie e nei lingotti d’oro delle banche.

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L A FILIERA DEI METALLI Il sistema di riciclaggio portato avanti dall’azienda si articola in quattro fasi. Il punto di partenza è la raccolta. Umicore inizia il suo percorso produttivo accumulando le apparecchiature di scarto nei numerosi centri di raccolta sparsi per il mondo. I materiali che vengono trattati sono prevalentemente telefoni cellulari, circuiti elettrici e catalizzatori automotive. C’è poi la seconda fase: questi prodotti, ormai diventati rifiuti, raggiungono lo stabilimento di Guarulhos, in Brasile, dove vengono separati, ordinati e imballati. Una volta terminato il processo, vengono spediti in una delle sedi centrali della multinazionale: il Precious Material Refining di Haboken, dove vengono trattate 30 mila tonnellate di scarti elettronici all’anno. La terza fase è la raffinazione. Al Precious Material Refining, i metalli vengono separati chimicamente, secondo la filosofia che Umicore definisce sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Per questo motivo, l’azienda belga dichiara di volersi distanziare dalle consolidate tecniche di produzione dei metalli. Secondo quanto sostenuto dai dirigenti della multinazionale, infatti, i trattamenti tradizionali di lavorazione vengono solitamente effettuati all’aria aperta, attraverso,

tra l’altro, un’attività di combustione che coinvolgerebbe anche materiali plastici. Per Umicore, invece, i controlli sull’impatto ambientale sono fondamentali. L’azienda mirerebbe, in questo senso, al raggiungimento di un’armonia tra società, ambiente e attività industriale. L’obiettivo dichiarato è lo sviluppo di tecnologie di controllo ambientale, la riduzione delle emissioni di CO2 e un sistema produttivo a rifiuti zero. Il passaggio finale avviene a Pforzheim, in Germania.


Nel centro tedesco, i metalli trattati vengono trasformati in prodotti semi conclusi. Da qui ritornano da dove sono partiti: il Mondo. I materiali, infatti, raggiungono i numerosi partner mondiali per essere reinseriti nel mercato. Le destinazioni sono diverse. Possono raggiungere le gioiellerie o trasformarsi in orologi. Oppure possono ritornare all’interno di nuovi prodotti elettronici e tecnologici. Oro e argento sono da sempre stati tra i materiali più ricercati. Con la diffusione esponenziale della tecnologia a utilizzo quotidiano, inoltre, la domanda di queste risorse è aumentata. La loro produzione si fa, dunque, via via più complicata, complice anche il lento esaurimento delle materie prime. Per questo motivo, Umicore investe 250 milioni di dollari all’anno per il riciclo e il riutilizzo di metalli, considerata una soluzione alternativa al sistema produttivo classico e un azzeccato modello di business.

IL RICICLO DEI CELLUL ARI USATI In Europa vengono buttati nell’immondizia 160 milioni di telefonini ogni anno. Nello stesso arco temporale, nel mondo, si producono quasi due miliardi di nuovi cellullari. Solo l’1%, tuttavia, viene riciclato o riutilizzato. Queste sono le stime del Device Renewal Forum, un’associazione europea composta da industrie del settore, fondata nel 2012. Oltre al riciclo dei metalli, infatti, alcune componenti dei telefonini cellulari potrebbero venire riutilizzate per la produzione di nuovi esemplari. Secondo l’associazione il riuso di videocamere, display o batterie di vecchi dispositivi, potrebbe portare a vantaggi economici e ambientali. Oltre alla riduzione dell’inquinamento si stima che, se venisse applicato questo meccanismo, ogni nuovo telefonino potrebbe costare quasi la metà. Se in Europa, inoltre, venisse riutilizzato il 95% dei dispositivi, si potrebbe risparmiare complessivamente un miliardo e mezzo di euro sui materiali e 120 milioni sull’utilizzo di energia. In questo senso, il Forum propone di estendere il ciclo di vita dei telefonini e promuovere una commercializzazione di cellulari con materiali riciclati a prezzi più bassi. L’obiettivo è il risparmio economico e la riduzione di rifiuti e dello sfruttamento delle risorse. "Con il rinnovo e la ristrutturazione dei dispositivi – si legge in un comunicato -, la domanda di telefoni a prezzi accessibili nei mercati può essere soddisfatta, preservando ambiente, conservando i materiali e riducendo al minimo l'inquinamento".

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T HE B I G EY E

UN PROGETTO EUROPEO PER LA SPERIMENTAZIONE DI PROCESSI DI TRATTAMENTO DEI FANGHI TRE ANNI E SETTE PAESI EUROPEI PER RICERCARE SOLUZIONI INNOVATIVE ALLE PROBLEMATICHE DI GESTIONE DEI FANGHI DI DEPURAZIONE di Giuseppe Mininni*, Andrea Sbrilli* e Sara Berselli**

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a gestione dei fanghi di depurazione rappresenta un problema rilevante a livello mondiale, per effetto dell’incremento della produzione dei fanghi a seguito della progressiva attivazione di numerosi impianti di depurazione e della difficoltà che incontrano i gestori a utilizzare o smaltire i fanghi prodotti con continuità e a costi sostenibili. La quantità dei fanghi prodotta è una grandezza sensibile

Figura 1. Schema di una cella elettrolitica microbica

degli impianti di depurazione, rappresentando indirettamente il carico inquinante abbattu-

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to. Un impianto convenzionale a fanghi attivi funzionante ad alto carico, cioè senza abbattimento dell’azoto, dovrebbe produrre circa 85 g SS/(ab×d) di fanghi grezzi (a monte di ogni trattamento), che si riducono dopo stabilizzazione biologica a 50-55 g SS/(ab×d). Nel nostro Paese molti impianti presentano una produzione di fanghi inferiore a 40 g SS/ (ab×d) e in alcuni casi addirittura inferiore a 20 g SS/(ab×d), cosa che evidenzia la scarsa efficienza degli impianti con perdita di solidi con l’effluente. Nonostante il volume di fanghi estratti dai sedimentatori primari e secondari rappresenti appena il 2% dell’intero volume di acqua reflua trattata, i costi di gestione della linea fanghi hanno raggiunto il 50% dei costi totali dell’intero impianto di depurazione per effetto degli elevati costi di recupero (uso diretto in agricoltura, uso indiretto previo compostaggio con altre frazioni di rifiuti organici biodegradabili) e di smaltimento (scarico controllato, trattamenti termici distruttivi di diversa tipologia).

Alla luce della gerarchia della direttiva 2008/98 sui rifiuti, la gestione innovativa dei fanghi di depurazione deve comportare l’adozione progressiva d'iniziative e azioni: • controllo dell’immissione degli inquinanti nella rete fognaria e adozione di schemi innovativi per minimizzare il carico inquinante nei fanghi e la loro produzione (principio della prevenzione); • miglioramento della stabilizzazione dei fanghi, con adozione di processi di stabilizzazione innovativi e sensibile miglioramento della qualità del fango, prodotto in relazione alla riduzione di microinquinanti organici, flora patogena, ecotossicità e fitotossicità (principio della preparazione per il riutilizzo); • recupero di materiali come biogas, fertilizzanti pronti per l’uso e biopolimeri, tendenzialmente non più rifiuti (principio del riciclaggio); • recupero di energia dai fanghi non più recuperabili; • smaltimento in sicurezza evitando lo smaltimento in discarica di fanghi organici biodegradabili. L’obiettivo della Commissione europea sui fanghi è stato stimolare la presentazione di progetti di ricerca, che comprendessero la messa a punto di tecniche di trattamento, e pratiche di gestione innovative, che rispon-


dessero ai principi delineati, da applicare su acqua e fanghi. Tutte le soluzioni proposte dovevano essere accompagnate da un’adeguata analisi del ciclo di vita (LCA), compresa la valutazione dei benefici e dei rischi dello smaltimento. Il partenariato doveva prevedere la partecipazione rilevante di partner industriali e di PMI. Gli impatti attesi dal progetto riguardano il rafforzamento dell’eco-innovazione nell’industria europea dell’acqua, il supporto alle politiche di settore della UE e la riduzione dell’impatto complessivo dei sistemi di depurazione.

OBIETTIVI E STRATEGIE DEL PROGETTO Il progetto ROUTES ha per oggetto la sperimentazione di linee di processo innovative per il trattamento sia delle acque reflue sia dei fanghi, con quattro obiettivi fondamentali: 1. ottimizzare la qualità dei fanghi per il loro recupero in agricoltura con attenzione a un ampio spettro di parametri da correlare con il trattamento adottato. Tali parametri comprendono i microinquinanti organici, gli agenti patogeni e i loro indicatori, l’eco-tossicità (recentemente introdotta

Figura 2. Esempio di uno schema per un impianto piccolo

nella disciplina sui rifiuti ai fini della classificazione dei rifiuti pericolosi con codice specchio) e la fitotossicità; 2. minimizzare la produzione dei fanghi biologici mediante tecniche innovative basate su approcci integrati sulla linea acqua e su quella fanghi; 3. recuperare risorse pregiate dal trattamento dei fanghi prima del loro smaltimento, come bio-polimeri, solfato di ammonio e biogas; 4. investigare i meccanismi di cattura/rilascio di metalli pesanti e microinquinanti organici nel suolo a seguito della somministrazione di fanghi. Per ottimizzare la qualità dei fanghi è prevista l’adozione di processi alternativi di stabilizzazione biologica basati su: • digestione sequenziale anaerobica e aerobica di fanghi secondari o misti; • sonicazione seguita da digestione anaerobica in due fasi (mesofila+termofila) di fanghi secondari e separazione del trattamento fanghi primari/fanghi secondari; • idrolisi termica seguita da digestione termofila di fanghi secondari e separazione del trattamento fanghi primari/fanghi secondari;

IL PROGETTO Il progetto ROUTES Novel processing routes for effective sewage sludge management è stato cofinanziato dalla Commissione europea nell’ambito del Settimo programma quadro 2007-2013, nella Call Innovative system solutions for municipal sludge treatment and management. Il progetto ha una durata di 3 anni (maggio 2011–aprile 2014) e un costo totale di 4.890.043 €. Il contributo massimo concesso dalla Commissione europea è di 3.364.600 €. Il Consorzio del progetto è composto da diciotto partner provenienti da sette paesi europei e uno extraeuropeo (Canada) ed è coordinato dall'Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).

• disintegrazione dei fanghi per cavitazione idrodinamica seguita da digestione anaerobica a due stadi (mesofila+termofila) di fanghi misti senza trattamento primario. Per la minimizzazione della produzione dei fanghi è previsto lo sviluppo dei seguenti processi: • SBR con reattore sequenziale a biofilm detto SBBGR con produzione di biomassa granulare; • inserimento di un processo di sonicazione, ozonizzazione o idrolisi anaerobica sul riciclo dei fanghi in un processo con bio reattore a membrana che consenta di realizzare il classico disaccoppiamento tra crescita cellulare e consumo di substrato organico; • adozione di cicli biologici alternati (aerobici/anaerobici) sul flusso di riciclo, anche in questo caso per realizzare il disaccoppiamento della crescita cellulare; • messa a punto di una cella microbica elettrolitica dove l’ossidazione del substrato all’anodo, con cessione di elettroni, è sfruttata per ottenere un flusso di corrente che al catodo determina la riduzione degli ioni H+ a H2O. I due comparti, anodico e catodico, sono separati dalla presenza di una membrana permeabile agli ioni H+ (Figura 1). Alcuni di questi processi prevedono il trattamento separato dei fanghi primari e secondari, considerando che la qualità dei fanghi biologici è sensibilmente migliore per il recupero in agricoltura rispetto ai fanghi misti, per effetto del loro maggiore contenuto di azoto e fosforo e della minore presenza di contaminanti organici non polari.

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T HE B I G EY E

STRUTTURA DEL PROGETTO Il progetto è articolato in sette Workpackage (WP). Il primo riguarda la preparazione per l’utilizzo. L’attività di ricerca è finalizzata alla valutazione e all'ottimizzazione di processi innovativi di stabilizzazione dei fanghi, da applicare a impianti medio-grandi, per la produzione di fanghi con caratteristiche idonee per l'uso agricolo. Le attività di questo WP hanno l'obiettivo di: • mettere a punto processi per migliorare la stabilizzazione dei fanghi e l'abbattimento sia di agenti patogeni sia di microinquinanti organici; • comprendere i meccanismi dei processi biotecnologici con particolare riferimento all'identificazione delle specie batteriche attive il cui arricchimento può favorire il processo di stabilizzazione; • sviluppare e validare i saggi FISH e qPCR per la determinazione degli agenti patogeni. Il secondo prende in considerazione i processi per lo smaltimento dei fanghi. L’attività consiste nella valutazione e ottimizzazione delle tecniche innovative per la minimizzazione della produzione di fanghi, da adottare sulle linee acque o fanghi e in ogni tipologia dimensionale d'impianto. Il WP è anche rivolto alla messa a punto di nuovi processi per il recupero di materiali da valorizzare. I fanghi residui dopo i processi di recupero sono destinati allo smaltimento per ossidazione in fase umida. Il terzo WP è finalizzato agli aspetti pratici. Si tratta di sperimentazione del livello d'impianto dimostrativo o in piena scala delle tecniche o messe a punto nel WP2 o considerate già mature per il loro sfruttamento industriale. Si tratta in particolare di: • ossidazione in fase umida; • produzione di solfato d’ammonio per stripping dell’ammoniaca dalla corrente di riciclo della linea fanghi; • codigestione anaerobica dei fanghi con rifiuti organici biodegradabili; • processo a cicli alternati sul riciclo dei fanghi attivi per la riduzione della produzione dei fanghi; • pompaggio dei fanghi con ottimizzazione della concentrazione in solidi per fanghi primari, secondari e misti, anche in funzione di pre-trattamenti di disintegrazione meccanica con ultrasuoni. Il WP4 è rivolto alle interazioni fango-suolo. L’obiettivo è la valutazione degli effetti potenzialmente dannosi per l’ambiente, dovuti all’uso dei fanghi in agricoltura, e dei meccanismi di cattura/rilascio nei suoli ammendati. Una forte correlazione caratterizza il WP4 e il WP1, per la valutazione delle caratteristiche di ecotossicità e fitotossicità, nonché della presenza dei microinquinanti organici emergenti e convenzionali nei campioni di fanghi provenienti dalle attività di laboratorio svolte nel WP1. È anche oggetto di studio la determinazione della ricrescita di specifici indicatori patogeni nei fanghi trattati nel corso dello stoccaggio. Un'attività di verifica delle condizioni del terreno è prevista anche su un sito in Canada, dove sono stati usati fanghi per diversi anni. Nel quinto WP l'attività consiste nella valutazione integrata della sostenibilità ambientale. Una valutazione, dunque, degli schemi di processo sotto il profilo di benchmarking e di LCA. La sostenibilità ambientale delle soluzioni tecniche proposte nei WP1, 2 e 3 è valutata anche con rispetto all'impatto riscontrato nelle attività del WP4. Il WP6 è dedicato alla disseminazione. Viene effettuata la diffusione dei risultati utilizzando i canali classici della divulgazione verso riviste di settore, più propriamente scientifiche o anche tecniche. Molta attenzione è anche data alle presentazioni nei convegni specializzati, internazionali e nazionali, nonché al continuo aggiornamento del sito web (www.eu-routes.org) dove sono state create tre sezioni di consultazione pubblica, di consultazione ristretta per gli aderenti al comitato degli utilizzatori finali (Board of End Users), e di consultazione ristretta ai partner del progetto. Il Board of End Users, cui attualmente aderiscono 25 imprese e enti, è stato formato al fine di stabilire un rapporto vivace con i tipici portatori di interessi per garantire l'aderenza del progetto alle esigenze di mercato dei produttori, utilizzatori e smaltitori dei fanghi. A tal fine, nel corso del progetto, è prevista l'organizzazione di due seminari destinati agli utilizzatori finali (uno a medio termine e l'altro alla fine) per presentare i risultati più importanti con potenziale ricaduta pratica. La gestione del progetto (WP7), infine, deve garantire la conformità con il cronoprogramma e la vigilanza sulla produzione di rapporti (deliverable) previsti (in totale 46). Inoltre in questo WP sono curati i rapporti con l'Officer che rappresenta la Commissione Europea e con il quale deve essere discussa l'eventuale richiesta di emendamenti al contratto e definiti i criteri per gli incontri con gli esperti indipendenti di valutazione del progetto (attività di review). Il WP7 cura infine la presentazione alla Commissione Europea delle rendicontazioni scientifica e finanziaria del progetto, previste a medio termine e alla fine.

Il recupero di bio-polimeri è certamente un hot topic del progetto. Un task sviluppato da un’impresa svedese (Anox Kaldnes), con il supporto dell’Università di Roma La Sa-

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Anno 5 - Numero 19

pienza, con l'obiettivo di giungere alla commercializzazione e al brevetto del processo. I biopolimeri sono accumulati dalla biomassa, prodotta in condizioni di sovraccarico organi-

co nel processo biologico, utilizzando come substrato anche acidi organici da fermentazione acidogenica di fango primario. Un’altra possibilità è sfruttare gli acidi organici conte-


al processo biologico. Il recupero di solfato di ammonio è operato mediante stripping dell’ammoniaca, utilizzando idrossido di sodio. Per minimizzare il consumo di questo reattivo si utilizza una precolonna per lo stripping della CO2 presente nella corrente ricca di azoto, che, se non abbattuta, porterebbe a un consumo inefficace di soda. Si realizzano così due obiettivi: si riduce il carico di ammoniaca di riciclo alla linea acque dell’impianto, con conseguente riduzione dei consumi energetici per la sua ossidazione a nitrati, e si realizza il recupero di un tipico fertilizzante. Come processo di smaltimento innovativo dei fanghi primari, o di quelli misti, il progetto prevede lo sviluppo di un processo di ossidazione in fase umida in assenza di catalizzatore a temperatura di circa 250°C. L'ossidazione in fase umida rappresenta un'alternativa rispetto alle tecniche di ossidazione distruttive ad alta temperatura, quali incenerimento, gassificazione o pirolisi, rispetto alle quali ha il vantaggio di non produrre emissioni gassose mantenendo la prerogativa della produzione di un residuo inerte inorganico. Lo svantaggio è la produzione di una corrente liquida ricca di sostanza e acidi organici, di cui si prevede l'utilizzo per la produzione di biopolimeri o di biogas in processi dedicati. Tutti i processi sono stati inseriti in schemi di marcia innovativi, da confrontare con altrettanti schemi convenzionali di trattamento. Tali schemi sono stati suddivisi in tre grandi tipologie dimensionali d'impianti (piccoli ≤20.000 A.E. medi tra 20.000 e 100.000 A.E. e grandi >100.000 A.E.) in funzione della loro peculiarità e quindi applicabilità. Sono poi valutati con tecniche di benchmarking: confrontando lo schema innovativo con quello convenzionale sulla base di consumi energetici, affidabilità, complessità, flessibilità/modularità, residui e rifiuti prodotti, consumo di materie prime e reattivi, trasporto, aspetti sociali e autorizzativi e costi. In seguito, l'analisi viene estesa alla valutazione degli aspetti ambientali, introducendo le classiche tecniche di LCA.

Figura 3 Esempio di uno schema per un impianto medio

Figura 4. Esempio di uno schema per un impianto grande

nuti nel liquido originato a valle del processo di ossidazione in fase umida, che, se riciclato in testa all'impianto senza pre-trattamento, rappresenta un problema di sovraccarico organico sulla linea acque.

Le attività rivolte al riciclaggio prevedono anche il recupero di solfato di ammonio dalla corrente liquida di riciclo dalla digestione anaerobica, ricca di azoto ammoniacale, che altrimenti costituirebbe un sovraccarico

*CNR, Istituto di Ricerca Sulle Acque, Area Ricerca RM1 **CNR, Direzione Centrale Supporto alla Programmazione e alle Infrastrutture

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R E PORT

BONIFICHE NELLE AREE MARINE E DI TRANSIZIONE LO STATO DELL’ARTE DI CARATTERIZZAZIONI, PROGETTI E INTERVENTI NEI SITI DI INTERESSE NAZIONALE di E. Romano, A. Ausili e M. Gabellini*

L

ungo le coste italiane esistono numerose aree in cui l’impatto sull’ambiente, determinato da attività industriali molto inquinanti, estrattive, agricole e da insediamenti urbani, è elevatissimo. Alcune tra queste sono state riconosciute come Siti di Interesse Nazionale (SIN) e sono stati previsti interventi volti a un loro ripristino. I primi quindici SIN furono individuati nel 1998 con L. 426, cui se ne aggiunsero altri 37 negli anni seguenti (L. 388/00, D.M. 468/01, L. 179/02, L. 266/05 e OPCM 3716) per un totale di 52 siti, 26 dei quali comprendenti anche l’area marino-costiera e lagunare antistante (Tab. 1). L’estensione dell’area marina, pari a 3 km dalla costa, è stata individuata tenendo in considerazione la contaminazione a terra insieme alle diverse tipologie delle aree marinocostiere. Si tratta di tipologie generalmente costituite da lagune, porti, tratti costieri e foci di fiumi in cui spesso coesistono attività industriali, discariche incontrollate, arsenali militari o cantieri navali, aree a intensa attività agricola, a elevato pregio naturalistico o con risorse biologiche di elevato valore commerciale o destinate a specifici usi legittimi. Mentre per la caratterizzazione delle aree a terra, il D.M. 471/99, sostituito nel 2006 dal D.Lgs. 152, stabiliva criteri, procedure e modalità per la progettazione e realizzazione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale, per la caratterizzazione di ambienti marino-costieri e/o lagunari, finalizzata a analoghi obiettivi, non esisteva una normativa equivalente che fornisse linee guida e metodologie.

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Anno 5 - Numero 19

IL PROGRAMMA NAZIONALE

della contaminazione e individuare le Da questi presupposti è nato il Programma situazioni di potenziale rischio per nazionale di bonifica e ripristino ambientale l’ambiente acquatico e la salute dei siti inquinati (D.M. 468/01) per la realiz- umana, in relazione agli usi legitzazione di tali interventi e individuato ICRAM timi dell’ambiente marino. (ora ISPRA), quale Ente tecnico-scientifico Il criterio seguito, noto come triaper la definizione delle modalità di caratteriz- de, ha previsto un’analisi integrata di caratteristiche chimico-fisiche, ecozazione di aree marino-costiere e salmastre. La complessità e diversità di queste aree dal tossicologiche e biologiche, finalizzate a vapunto di vista di estensione, storia della con- lutare lo stato ambientale e la potenziale biotaminazione, caratteristiche morfologiche, ge- disponibilità della contaminazione dell’area, ologiche, idrodinamiche e degli usi, ha posto nonché le alterazioni in situ. Si tratta di uno per la prima volta nel panorama nazionale la strumento di elevata flessibilità e immediata problematica relativa a una caratterizzazione interpretazione, oltre che di grande utilità per ambientale su larga scala. L’obiettivo è l’indi- la caratterizzazione di realtà particolarmente viduazione di opportuni interventi di messa in complesse come nel caso dei SIN. sicurezza di emergenza, bonifica e ripristino ambientale delle aree marino-costiere. ISPRA ha predisposto una strategia di caratterizzazione che rispondesse a questi requisiti e fosse applicabile, in modo uniforme, all’intero territorio nazionale. Allo stesso tempo la strategia doveva prevedere flessibilità e adattarsi alle caratteristiche locali. In questo senso, è necessario determinare la distribuzione Figura 1. SIN con aree marine o di transizione; stato di avanzamento attività di orizzontale e verticale caratterizzazione


La caratterizzazione è mirata a definire la corretta geomorfologia dei fondali, la distribuzione spaziale dei contaminanti nei sedimenti, le possibili relazioni esistenti tra la distribuzione dei contaminanti e le caratteristiche granulometriche dei sedimenti, gli effetti della contaminazione sugli organismi marini, la biodisponibilità

SITO DI INTERESSE

degli inquinanti individuati e il potenziale trasferimento lungo le reti trofiche. Doveva inoltre consentire di discriminare, in aree geochimicamente anomale, il contributo naturale da quello antropico, funzionale alla successiva definizione degli eventuali interventi di bonifica. La strategia di caratterizzazione dei sedi-

PERIMETRAZIONE PERIMETRAZIONE CARATTERIZZAZIONE

NAZIONALE

A MARE (ha)

A TERRA (ha)

(% esecuzione)

Venezia (Porto Marghera)

2 566

3 221

64.9%

Trieste

1 196

502

2.6%

Laguna di Grado e Marano

6 831

4 198

10.6%

Pitelli (La Spezia)

1 553

338

100.0%

Cogoleto-Stoppani

167

46

100.0%

Piombino

2 091

829

5.4%

Massa e Carrara

1 884

1 648

100.0%

Livorno

1 374

656

100.0%

Orbetello Area ex-Sitoco

2 653

64

100.0%

1 191

2 641

0.0%

Falconara Marittima

1 167

108

20.0%

Fiume Saline e Alento

778

1 137

100.0%

Napoli Orientale

1 447

834

100.0%

22 505

140 755

1.3%

Napoli Bagnoli – Coroglio

1 473

945

100.0%

Aree del litorale vesuviano

6 698

9 615

100.0%

Manfredonia

853

304

100.0%

Brindisi

5 590

5 733

100.0%

Taranto

6 999

4 383

100.0%

Crotone-Cassano-Cerchiara

1 469

868

100.0%

Gela

4 563

795

100.0%

Priolo

10 085

3 366

100.0%

Milazzo

2 189

549

1.4%

Sulcis-Iglesiente-Guspinese

34 100

356 353

0.8%

2 741

1 844

4.2%

50

-

100.0%

Basso bacino del fiume Chienti

Litorale Domizio Flegreo A. Aversano

Aree industriali di Porto Torres La Maddalena

Tabella 1. Siti di Interesse Nazionale che includono aree marine-costiere e/o di transizione

menti ha previsto l’adozione di una maglia di campionamento regolare e sistematica nelle aree a più diretta influenza degli apporti antropici. Una strategia utilizzata soprattutto alla luce delle dimensioni dell’area di indagine e della scarsità di informazioni presente, con dimensione variabile in funzione di tipologia, estensione e critiPROGETTO DI BONIFICA cità dell’area. Nelle APPROVATO restanti aree sono (% esecuzione) stati invece previsti transetti equidistanti PRELIMINARE DEFINITIVO perpendicolari alla li37.6% 0.0% nea di costa, con un 0.0% 0.0% numero variabile di 0.0% 0.0% stazioni di campionamento, distribuite 88.6% 1.5% in funzione delle ca0.0% 0.0% ratteristiche idrodina4.3% 1.2% miche e batimetriche dell’area. Analogo 0.0% 0.7% criterio è stato adot100.0% 7.0% tato nelle aree di 71.8% 0.0% spiaggia. Nella definizione dei 0.0% 0.0% livelli da analizzare, si è cercato di conci0.0% 0.0% liare esigenze diverse 0.0% 0.0% come, ad esempio, la definizione accurata 100.0% 5.1% della distribuzione 0.2% 0.0% verticale della contaminazione e l’uso 100.0% 2.1% di piani regolari d’indagine. L’obiettivo è 0.0% 0.0% migliorare la gestio0.0% 0.0% ne e l’elaborazione 0.0% 2.0% del dato. I parametri 0.0% 0.4% analitici sono stati selezionati sulla 0.0% 0.6% base del modello 0.0% 0.0% concettuale e delle 22.5% 0.1% caratteristiche dell’area, nonché dell’esi0.0% 0.4% stente normativa di 0.3% 0.0% riferimento sui sedimenti (D.M. 24/1/96, 0.0% 0.0% D.Lgs. 152/99 così come modificato dal 0.0% 0.0% D.Lgs. 258/00, lista di sostanze prioritarie

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R E PORT

e pericolose prioritarie definite nella decisione 2455/01 della Commissione Europea). È stata quindi prevista una lista comune di parametri chimici tipici di aree fortemente antropizzate, da ricercare sulla totalità dei livelli, e parametri specifici del sito, da analizzare su un numero rappresentativo di campioni. Infine, sempre su un numero significativo di campioni sono stati previsti saggi biologici, da applicare su diverse matrici, per avere un quadro reale della biodisponibilità dei contaminanti. Contestualmente alle analisi sul sedimento sono state previste indagini su organismi marini e/o salmastri, per una stima della capacità di accumulo dei contaminanti in tessuti e organi, e quindi valutare l’esistenza effettiva di rischio per l’ambiente acquatico. I criteri di valutazione della qualità dei sedimenti sono stati definiti, in linea con le normative e le linee guida internazionali nonché con quanto riconosciuto e condiviso dalla comunità scientifica, utilizzando un approccio chimico-ecotossicologico, in particolare quello che considera i “livelli di effetto” (Long et al., 1995; MacDonald, 1994), associando in maniera statistica dati chimici e biologici per la definizione di concentrazioni sotto le quali gli effetti si osservano raramente (Threshold Effect Level) e sopra le quali gli effetti tossici sono

frequentemente attesi (Probable Effect Level). Quest’ultimo, in particolare, che presuppone “l’accettazione” di un certo livello di contaminazione per ambienti inevitabilmente compromessi, quale il caso dei SIN, è stato utilizzato per la definizione di “valori d’intervento”, opportunamente riformulato con dati chimici sito-specifici e specie-test presenti nel Mediterraneo, secondo procedure standardizzate da organismi nazionali e/o internazionali quali ISO, USEPA, ASTM, UNI, ecc., ovvero concentrazioni oltre le quali prevedere interventi volti al risanamento e al ripristino ambientale dell’area marina o di transizione investigata. In aggiunta, in considerazione dell’elevata eterogeneità geochimica della costa italiana, la caratterizzazione chimica è stata integrata con profili continui verticali di concentrazione che hanno consentito di discriminare i contenuti antropici da quelli naturali e evidenziare, ove presenti, eventuali anomalie geochimiche. La caratterizzazione ambientale delle aree marino-costiere e di transizione incluse nei SIN è ormai ultimata, ad eccezione di alcune aree come Trieste, Basso Bacino del Fiume Chienti, Venezia Porto Marghera, Milazzo, Falconara Marittima, Sulcis Iglesiente Guispinese, Porto Torres, Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano e Piombino, che sono invece caratterizzate solo parzialmente o la cui caratterizzazione è in via di completamento. Tali attività sono state condotte negli ultimi 10 anni prevalentemente da Enti pubblici, quali Commissari di Governo per l’emergenza ambientale (Friuli Venezia Giulia, Puglia, Sicilia, Campania, Toscana, Liguria, Veneto), Autorità Portuali (La Spezia, Piombino, Livorno, Taranto, Brindisi e Napoli) e Regioni (Abruzzo, Liguria, Toscana) con il supporto delle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente (ARPA). Per molti dei siti indagati è stata condotta da ISPRA anche una valutazione complessiva dei risultati emersi, con l’individuazione delle principali criticità ambientali e della natura ed entità della contaminazione.

ratteristiche morfo-batimetriche e sedimentologiche dell’area, che hanno favorito o meno l’accumulo dei contaminanti. Da un’analisi dei risultati emersi si riscontrano situazioni diverse di qualità ambientale sul territorio. Nei siti liguri la forte compromissione ambientale risulta dovuta, nel primo caso, ai passati scarichi in mare di terre residue di lavorazione dello stabilimento che trasformavano cromo trivalente insolubile in cromo esavalente, estremamente solubile e, nel secondo, ad attività di tipo cantieristicoportuale che determinano concentrazioni elevate di metalli, composti organostannici e, in misura minore, IPA, Idrocarburi pesanti e PCB. In Toscana si passa da siti senza particolari criticità ambientali, come nel caso di Massa Carrara e Livorno, a situazioni molto più compromesse, come nel caso di Piombino. Nel secondo caso si risente fortemente della presenza dell’acciaieria, con una conseguente e importante contaminazione, anche profonda, da metalli e Idrocarburi pesanti, IPA e PCB. La laguna di Orbetello, invece, ha risentito molto sia delle passate attività estrattive della zona mineraria nella laguna di Levante, con concentrazioni residue di Hg estremamente elevate in quasi tutto il bacino e in profondità, che delle attività industriali

I RISULTATI OTTENUTI Figura 2. SIN Napoli Bagnoli-Coroglio: esiti della caratterizzazione ambientale

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Anno 5 - Numero 19

I risultati hanno evidenziato in ciascun sito una diretta correlazione della contaminazione nell’area marina con le attività antropiche e un’entità direttamente correlabile con le ca-

Figura 3. SIN Priolo: esiti della caratterizzazione ambientale


della ex Sitoco, che ha contaminato i sedimenti del bacino di ponente con metalli pesanti fino a circa un metro di profondità. In Campania, dove quasi tutta la fascia costiera è stata inclusa all’interno di siti d’interesse nazionale, si passa da aree molto contaminate ad aree molto meno compromesse. L’area marina antistante l’impianto industriale dismesso di Bagnoli, ad esempio, registra concentrazioni elevate di IPA e metalli pesanti, anche a livelli profondi. Il porto di Napoli, i cui fondali, risultati particolarmente contaminati da Idrocarburi pesanti, metalli, composti organostannici, IPA e PCB, confermano un inquinamento di tipo portuale sia pregresso sia attuale. Il Litorale vesuviano è risultato, invece, lievemente contaminato nello spessore più superficiale, anche se in maniera diffusa, da metalli e pesticidi organoclorurati, e un’area più critica nella zona antistante la foce del fiume Sarno, anche in profondità. In Sardegna, l’unico sito attualmente caratterizzato completamente è quello di La Maddalena, dove la caratterizzazione ha evidenziato una contaminazione legata principalmente a Hg e Idrocarburi pesanti, distribuiti in maniera uniforme su tutta l’area portuale ed estesi allo spessore più superficiale. In Sicilia, le caratterizzazioni ambientali condotte nel SIN di Priolo hanno identificato la Rada di Augusta come il sito a maggiore criticità per la presenza, principalmente davanti al polo petrolchimico, di sedimenti fortemente contaminati anche in profondità da Hg, Idrocarburi pesanti, HCB, PCB, diossine e furani. Analoga compromissione si è riscontrata negli organismi marini, che, in alcune specie, hanno evidenziato un accumulo di Hg nei propri tessuti, con concentrazioni superiori al limite previsto dalla normativa. Le aree adiacenti risentono in parte della contaminazione della Rada, con un gradiente che tende a diminuire allontanandosi da essa. L’area di Siracusa, in particolare, presenta invece condizioni ambientali decisamente migliori, a eccezione del porto piccolo di Siracusa, dove si riscontra un discreto inquinamento di tipo portuale. La caratterizzazione dell’area marina antistante l’impianto industriale a Gela, ha evidenziato una contaminazione relativamente modesta, priva di particolari criticità.

PROGETTI E SOLUZIONI Per molti siti sono stati predisposti da ISPRA, su richiesta del Ministero dell’Ambiente, specifici progetti preliminari, finalizzati a individuare le principali criticità ambientali. A questi progetti è necessario affiancare un ventaglio di soluzioni progettuali idonee ed efficaci al risanamento ambientale, tenendo in considerazione molteplici aspetti. Si tratta di prendere in considerazione, l’entità e la tipologia della contaminazione, il suo potenziale rischio di diffusione in aree adiacenti e non inquinate, la sostenibilità economica degli interventi, l’analisi costi-benefici, i tempi necessari all’esecuzione della bonifica. Tali soluzioni possono prevedere monitoraggi finalizzati all’attenuazione naturale, limitazioni d’uso delle aree (ad esempio, limitazioni al traffico navale in termini di traiettorie, velocità, pescaggi consentiti), interventi di trattamento in situ, rimozione di sedimenti e ricollocamento degli stessi in strutture di confinamento o inviati a idoneo impianto di trattamento o a discarica, nel caso di una loro elevata contaminazione. Il tutto cercando di privilegiare la sinergia di soluzioni diverse. Nonostante quanto fatto finora, gli interventi di bonifica attuati sulle aree marine sono estremamente esigui, anche a causa probabilmente delle elevate volumetrie e superfici in giocow, come ad esempio il caso della Rada di Augusta o Bagnoli, e dell’assenza di soluzioni sostenibili su larga scala. Bisogna prendere in considerazione, inoltre, una progettazione definitiva che richiede ulteriori approfondimenti, volti all’identificazione delle tecnologie di bonifica più efficaci per il sito e alla relativa verifica di sostenibilità economica. Tra quelli che hanno già avviato la fase di progettazione definitiva, anche se parziale, ci sono il sito di Priolo, con la progettazione della bonifica dei fondali più contaminati della rada di Augusta, e il sito di Bagnoli, con la bonifica dei fondali prospicienti l’impianto industriale. Le attività svolte finora nelle aree marino-costiere e lagunari hanno definito in maniera dettagliata entità ed estensione della contaminazione, individuato le principali fonti di inquinamento e hanno indirizzato verso una gestione più attenta delle criticità ambientali riscontrate, in un percorso di riduzione delle sorgenti di contaminazione ancora in atto. Tali interventi richiedono condizioni e attenzioni molto particolari, più complesse rispetto agli interventi a terra oltre a specifici controlli in corso d’opera per monitorare in modo regolare gli eventuali effetti sull’ambiente acquatico. In considerazione di ciò, un ruolo importante è rivestito dalla ricerca di tecniche di bonifica sempre più specifiche, selettive e meno invasive. È necessario, inoltre, sviluppare tecnologie di trattamento che permettano il riutilizzo di sedimenti decontaminati e strumenti di monitoraggio delle attività di bonifica. L’obiettivo è segnalare in tempo utile le variazioni che potrebbero provocare effetti avversi sugli organismi acquatici, con pesanti conseguenze sull’intero ecosistema.

In Calabria la caratterizzazione dell’area marinocostiera e portuale di Crotone ha evidenziato una contaminazione dei fondali dovuta a metalli ed elementi in tracce (prevalentemente Cd e Zn), con concentrazioni più elevate nell’area portuale. Tra i siti pugliesi, le maggiori evidenze di impatto antropico, con presenza significativa di metalli, Idrocarburi pesanti e, in misura minore, di composti organici, pesticidi organoclorurati e IPA, si riscontrano a Brindisi, nell’area portuale, in particolare nei settori più interni. A Taranto la situazione ambientale è più articolata e complessa, a causa della contestuale presenza di importanti insediamenti industriali e militari e impianti di mitilicoltura nelle zone più interne del porto (Mar Piccolo). In questo sito la contaminazione da IPA e idrocarburi pesanti, ma anche di metalli e elementi in tracce, riflette le attività presenti e risulta abbastanza diffusa nelle zone a ridosso degli impianti industriali. Nel Mar Piccolo, si riscontrano concentrazioni significa-

tive e diffuse principalmente di metalli. A Manfredonia i fondali dell’area marino-costiera sono risultati lievemente contaminati da composti di sintesi (caprolattame e PCB), riconducibili alle attività industriali presenti a terra; con alcuni hot spot di Hg in concentrazioni elevate. Tra le caratterizzazioni ancora parziali nel SIN Porto Marghera si è riscontrata una contaminazione nello strato più superficiale da metalli e la presenza con concentrazioni significative di diossine e furani, HCB e tributilstagno. Per quanto riguarda invece i canali industriali, inclusi anch’essi nel SIN, è noto da tempo l’elevato stato di compromissione da metalli e composti organici. Le aste fluviali incluse nel SIN Marano lagunare e Grado evidenziano invece una prevalente e elevata contaminazione da Hg, quale diretta conseguenza dell’impianto cloro soda a Nord dell’area perimetrata. *ISPRA

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SPE C I A L E

LA BONIFICA DA AMIANTO DEI SITI INDUSTRIALI DISMESSI IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO, LE METODOLOGIE PER LA BONIFICA DEI SITI CONTAMINATI E IL TRATTAMENTO DI RIFIUTI CONTENENTI AMIANTO di Sergio Clarelli*

A

i fini della bonifica da amianto, la legislazione vigente distingue nettamente i luoghi dove sono presenti manufatti che lo contengono, da quelli dove veniva lavorato per la produzione di manufatti. Per le strutture edilizie a uso civile di utilizzazione collettiva, in cui sono in opera materiali contenenti amianto, dai quali può derivare un’esposizione a fibre aerodisperse,

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Anno 5 - Numero 19

gli interventi di bonifica sono definiti e regolamentati dal D.M. del 6 settembre 1994, il quale detta normative e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3 e dell'art. 12, comma 2, della Legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto. Per i siti industriali dismessi, invece, occorre fare riferimento al D.M. del 14 maggio 1996, Normative e metodologie tecniche per gli interventi di bonifica, ivi compresi quelli per rendere innocuo l’amianto, previsti dall’art. 5, comma 1, lett. f, della Legge 257/92, recante: "Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto". Per quanto riguarda le modalità da seguire per la bonifica di questi siti industriali, altamente contaminati per la specificità delle lavorazioni, è bene precisare che le norme e le metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo e la bonifica si applicano: • alle aree industriali nelle quali la contaminazione proviene dalla lavorazione dell’amianto o di prodotti che lo contengono (quindi siti industriali dismessi); • alle situazioni in cui l’eventuale inquinamento da amianto è determinato dalla presenza di locali adibiti a stoccaggio di materie prime, manufatti o dalla presenza di depositi di rifiuti. In merito all’aspetto operativo, invece, è necessario organizzare un programma di operazioni con finalità cognitive, articolato in tre fasi.

PRIMA FASE CONOSCITIVA: SOPRALLUOGO RICOGNITIVO

Occorre, innanzitutto, effettuare un sopralluogo ricognitivo, con lo scopo di evidenziare situazioni di presenza residuale di amianto e di manufatti che lo contengono. In particolare, la ricognizione dovrà dare indicazioni circa: • i quantitativi (in metri cubi e in tonnellate) di eventuali residui di manufatti, i quali non essendo più commerciabili dovranno essere considerati come rifiuti da smaltire; • i quantitativi (in metri cubi e in tonnellate) di eventuali sfridi delle lavorazioni, valutando la tipologia (rottami, polveri) dello sfrido; • i quantitativi (in chilogrammi) di eventuali residui di polveri contenenti amianto presenti in eventuali impianti di abbattimento.

SECONDA FASE CONOSCITIVA: CAROTAGGIO TERRENI

Dovranno poi essere effettuati sondaggi dei terreni circostanti con carotaggi, alla ricerca di eventuali materiali interrati. In particolare, i sondaggi dovranno essere condotti secondo le seguenti modalità: • evitando, il più possibile, il sollevamento di polveri nel corso della perforazione; • considerando la profondità necessaria in relazione alla particolare situazione del sito da investigare e stabilendo la lunghezza caso per caso;


• concludendo con il prelievo di carote, ad esempio di 10 cm di diametro, sigillandole opportunamente e conservandole per il prelievo di campioni da analizzare. L’ultima fase conoscitiva riguarda l’analisi dei materiali prelevati durante il sopralluogo ricognitivo e il carotaggio dei terreni. I metodi di analisi, in questo senso, sono indicati negli allegati tecnici al D.M. 06/09/94.

GLI INTERVENTI DI BONIFICA Le operazioni di bonifica dovranno tener conto di quanto emerso durante le fasi conoscitive. Gli interventi, a loro volta, dovranno essere articolati attraverso quattro fasi, in funzione della specifica situazione. Durante la prima fase è prevista la rimozione delle coperture in cemento-amianto, eventualmente presenti, secondo quanto previsto dal D.M. 06/09/94. Nella seconda fase si procede con interventi di bonifica degli edifici. Occorrerà, in questo senso, rimuovere eventuali polveri depositate e materiali contenenti amianto, rinvenuti durante il sopralluogo. I materiali inventariati in fase di controllo (residui di manufatti, sfridi delle lavorazioni, residui di polveri) dovranno essere raccolti e classificati per il corretto smaltimento in discarica. Fatta eccezione per le eventuali coperture in cemento-amianto, la bonifica consiste, in sostanza, nella preventiva aspirazione delle polveri depositate con appositi

aspiratori muniti di filtri assoluti e nel lavaggio con idropulitrice o altra idonea strumentazione. Il lavaggio sarà effettuato in modo accurato, con lo scopo di rimuovere completamente le polveri depositate. Conclusa l’operazione di lavaggio, si sospenderanno i lavori per sette giorni. Successivamente si riprenderà con un accurato lavaggio dei pavimenti con acqua. Le acque di lavaggio, poiché contengono fibre d’amianto, dopo essere state filtrate in appositi pozzetti, saranno convogliate in una vasca di raccolta e decantazione, prima dell’invio alla rete fognaria. Al termine dei lavori di bonifica del sito, si procederà alla bonifica della vasca, di tutti i pozzetti e delle canalizzazioni, con conseguente conferimento in discarica del materiale di risulta. L’Organo di vigilanza (ASL), competente per territorio, effettuerà, quindi, un controllo, prima di procedere a un ulteriore trattamento di tutte le superfici, con idonei materiali incapsulanti. L’equipaggiamento degli operatori preposti alle operazioni di bonifica consisterà in tute complete di cappuccio, guanti e calzari a perper dere e respiratori con filtro P3 a ventilazione assistita. Gli operatori dovranno, inoltre, uscire dalla zona di lavoro attraverso un’apposita area di decontaminazione, costituita da quattro locali: locale di equipaggiamento, locale doccia, chiusa d'aria e locale incontaminato (spogliatoio).

Nel caso in cui siano presenti materiali contenenti amianto, utilizzati per la costruzione degli edifici, o materiali coibentati a spruzzo, si dovranno attivare procedure più rigorose, da valutare caso per caso nell’ambito del piano di lavoro. Per ciò che concerne le modalità di lavoro, gli operatori dovranno: • delimitare l’area di cantiere con nastro bicolore e apporre la prescritta cartellonistica di legge; • pulire pavimenti e pareti con idonei strumenti atti a rimuovere l'amianto, minimizzandone la dispersione ambientale; • raccogliere eventuali melme dai pozzetti per lo smaltimento finale e provvedere al successivo insaccamento (da effettuare dopo la terza fase di bonifica). La terza fase si occuperà della bonifica di reti fognarie e fosse di decantazione. La bonifica di questi manufatti dovrà essere effettuata secondo le seguenti modalità: • nel caso in cui i materiali siano sotto forma di melme (ad esempio dopo la bonifica degli edifici con idropulitura) si procederà ad una rimozione senza la realizzazione di coperture e sistemi in depressione; • nel caso in cui i materiali siano sotto forma pulverulenta dovrà essere realizzato il sistema di copertura in depressione, così come previsto per la quarta fase. La fase conclusiva riguarderà la bonifica dei terreni. Nel caso di un riutilizzo del sito industriale, che renda necessaria un’escavazione del suolo stesso, per fondazioni o altro, e, alla luce dei sondaggi eseguiti, si dovrà procedere alla bonifica del suolo. Nel caso di riutilizzo del sito senza la previsione di escavazione futura, e in assenza di particolari situazioni di rischio derivanti dall’assetto idrogeologico del territorio, si potrà fare a meno di procedere alla rimozione di eventuali rifiuti interrati d’amianto risultanti dal carotaggio.

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SPE C I A L E

CONTROLLI E MONITORAGGI Nel corso di ogni fase di bonifica, occorre eseguire: • il controllo periodico dell'esposizione alla polvere di amianto degli operatori, così come previsto nel Testo Unico Sicurezza; • il monitoraggio ambientale delle fibre aerodisperse nelle aree circostanti il cantiere di bonifica, secondo quanto prescritto dal D.M.06/09/94; • la certificazione della restituibilità del sito industriale bonificato, come previsto dal D.M. 6/09/94, tenendo eventualmente conto della particolarità della situazione. In particolare, la certificazione di restituibilità degli ambienti bonificati dall'amianto va eseguita da funzionari della ASL competente a spese del committente. Le procedure da seguire per la certificazione sono: • ispezione visiva al fine di accertare l'assenza di residui di M.C.A. nell'area bonificata; • campionamento aggressivo dell'aria al fine di accertare l'assenza di fibre di amianto. In linea generale, visti i bassi livelli di concentrazione di fibre riscontrati durante tali attività di certificazione, le protezioni richieste per il personale addetto possono essere ragionevolmente ridotte. L'ispezione va eseguita appena le superfici, all'interno dell'area bonificata, sono asciutte, una volta ultimata la rimozione dei teli, ma non delle barriere, dell'unità di decontaminazione e in seguito alla sigillatura di porte, finestre e impianto di ventilazione. I sigillanti devono essere usati solo dopo l'ispezione visiva e prima del campionamento aggressivo finale. Tale campionamento viene eseguito impiegando mezzi meccanici, come i ventilatori, al fine di diffondere le eventuali fibre di amianto presenti. Generalmente, il numero di campionamenti dipende dall’estensione della superficie e dalla dislocazione dei locali. I locali saranno riconsegnati se la concentrazione di fibre di amianto aerodisperse accertata mediante l'uso della microscopia elettronica in scansione (SEM) non supera le 2 ff/l.

In quest’ultimo caso, dovrà comunque essere data comunicazione all’Azienda Sanitaria Locale, la quale vincolerà il riutilizzo del sito, per utilizzazioni diverse da quella che prevede il rilascio in caso di rifiuti d’amianto interrati. Per la bonifica del suolo occorre installare due sale tecniche spostabili, realizzate con strutture in carpenteria metallica e rivestite con fogli di polietilene di adeguato spessore. Le sale dovranno essere mantenute in depressione, attraverso gruppi di aspirazione a filtrazione assoluta. La dimensione della prima sala dovrà essere 20 m per 10 e sarà adibita alla decontaminazione e al condizionamento dei cassoni di trasporto. Le dimensioni della seconda sala, invece, saranno stabilite in funzione dei cassoni di trasporto, al fine di consentirne una corretta gestione. Gli operatori preposti alla bonifica dei terreni dovranno indossare indumenti a perdere (tute col cappuccio, guanti e calzari) e dovranno essere dotati di maschere a filtro assoluto P3, per la protezione delle vie respiratorie. Anche in questo caso, infine, gli operatori dovranno uscire dalla zona di lavoro attraverso un’area di decontaminazione.

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LO SMALTIMENTO DELL’AMIANTO E IL CONFERIMENTO IN DISCARICA AUTORIZZATA

I rifiuti di amianto, o contenenti amianto, sono definiti dal 1° comma, lettera c, dell’art. 2, Legge 27 marzo 1992, n. 257, Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto: "materiali di scarto delle attività estrattive di amianto, i detriti e le scorie delle lavorazioni che utilizzano amianto, anche provenienti dalle operazioni di decoibentazione, nonché qualsiasi oggetto contenente amianto che abbia perso la sua destinazione d'uso e che possa disperdere fibre di amianto nell'ambiente in concentrazioni superiori a quelle ammesse dall'articolo 3". Tali rifiuti, fino al 31/12/2001, erano distinti in pericolosi e non pericolosi, in funzione dello stato fisico e della minore o maggiore capacità di disperdere fibre di amianto nell’ambiente. I relativi codici C.E.R. (Catalogo Europeo dei Rifiuti) erano riportati negli elenchi di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, il cosiddetto Decreto Ronchi, Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e rifiuti

di imballaggio. imballaggio In particolare, i rifiuti con codice C.E.R. 170105, Materiali da costruzione a base di amianto, amianto erano considerati rifiuti speciali non pericolosi ed erano rappresentati dai materiali matricontenenti amianto legati in matri ce stabile o resa tale, avente densidensi tà maggiore di un 1 kg/dmc, derivanti da manufatti diversi di spessore superiore a 3 mm. Successivamente, la Decisione 2001/118/ CE della Commissione Europea ha modificato l’elenco dei rifiuti istituito dalla precedente Decisione 2000/532/CE, relativa al Catalogo Europeo dei Rifiuti. Tale catalogo è stato ulteriormente modificato con la Decisione 2001/119/CE della Commissione e con la Decisione 2001/573/CE del Consiglio. Quest‘ultima in particolare ha cambiato la classificazione dei rifiuti derivanti da materiali da costruzione contenenti amianto, identificandoli pericolosi, al pari dei rifiuti derivanti da materiali isolanti contenenti amianto. Gli Stati Membri, destinatari della decisione, erano quindi obbligati ad adeguare la normativa vigente e a disporre l’applicazione del nuovo elenco dei rifiuti a partire dal 1° gennaio 2002. In Italia, questo nuovo elenco è stato riportato nella Direttiva interministeriale 09/04/2002, Indicazioni per la corretta e piena applicazione del regolamento comunitario n. 2557/2001 sulle spedizioni di rifiuti ed in relazione al nuovo elenco dei rifiuti, pubblicata sul Supplemento Ordinario alla G.U. del 10/05/2002. Con il D.Lgs. n. 36 del 13 gennaio 2003, Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti (pubblicato nel Supplemento Ordinario alla G.U. n. 59 del 12 marzo 2003) e con il D.M. del 13 marzo 2003, Criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica (pubblicato nella G.U. n. 67 del 21 marzo 2003) sono state introdotte nuove norme relative al conferimento in discarica di rifiuti d’amianto o contenenti amianto. Tuttavia, quest’ultimo D.L. è stato sostituito con il D.M. del 3 agosto 2005, recante la Definizione dei criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica (pubblicato nella G.U. n. 201 del 30 agosto 2005).


Successivamente, con l’entrata in vigore, in data 16 dicembre 2010, del D.M. del 27 settembre 2010, recante la Definizione dei criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, in sostituzione di quelli contenuti nel D.M. del 3 agosto 2005, pubblicato sulla G.U. n. 281 del 1° dicembre 2010, i suddetti criteri sono stati aggiornati. Allo stato attuale, con la pubblicazione delle Legge del 23 febbraio 2006, n. 51, in vigore dal 1° marzo 2006, Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. del 30 dicembre 2005, n. 273, recante definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti. Proroga di termini relativi all'esercizio di deleghe legislative, sulla G.U. n. 49 del 28 febbraio 2006, Supplemento Ordinario n. 47 è praticamente terminato il regime transitorio previsto dal D.Lgs. 36/2003. Pertanto, attualmente, ai sensi del D.M. del 27 settembre 2010, i rifiuti di amianto o contenenti amianto possono essere conferiti esclusivamente nelle seguenti tipologie di discarica: • discarica per rifiuti pericolosi, dedicata o dotata di cella dedicata; • discarica per rifiuti non pericolosi, dedicata o dotata di cella monodedicata, nella quale possono essere conferiti sia i rifiuti individuati dal codice CER 170605 (materiali da costruzione contenenti amianto),

che le altre tipologie di rifiuti contenenti amianto, purché sottoposti a processi di trattamento ai sensi di quanto previsto dal D.M. n. 248/2004 e con valori conformi indicati nel D.L. del 3 agosto, verificati con periodicità stabilita dall'autorità competente presso l'impianto di trattamento. Con la pubblicazione sulla G.U. n. 234 del 5 ottobre 2004 del D.M del 29 luglio 2004, n. 248, è stato emanato il Regolamento relativo alla determinazione e disciplina delle attività di recupero dei prodotti e beni di amianto e contenenti amianto. Attraverso questo decreto sono stati adottati, ai sensi dell’art. 6, comma 4, della legge 27 marzo 1992, n. 257, i disciplinari tecnici indicati all'art. 5, comma 1, lettera c, della stessa legge, come definiti e approvati dalla Commissione per la valutazione dei problemi ambientali e dei rischi sanitari connessi all’impiego dell’amianto di cui all’art. 4, comma 1, della citata legge n. 257 del 1992, nella seduta plenaria del 15 gennaio 2004. Questo nuovo dispositivo legislativo, in vigore dal 20 ottobre 2004, disciplina le modalità di trasporto e deposito dei rifiuti di amianto, nonché il trattamento, l’imballaggio e la ricopertura nelle discariche. Inoltre, esso prende in considerazione i processi di trattamento fi-

nalizzati alla totale trasformazione cristallochimica dell’amianto, rendendo possibile il suo riutilizzo e fissando i criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica. In sostanza, tratta la gestione dei rifiuti contenenti amianto, la loro destinazione ultima, la loro ricopertura e i trattamenti ai quali possono essere sottoposti. Il D.L. 248/2004 stabilisce che i rifiuti contenenti amianto che, dopo il trattamento, presentano un indice di rilascio (I.R.) maggiore o uguale a 0.6, sono da ritenersi parzialmente stabilizzati, pertanto, qualora non siano sottoposti a ulteriore trattamento, devono essere conferiti nelle discariche per rifiuti pericolosi. I rifiuti contenenti amianto, che dopo il trattamento presentano un indice di rilascio inferiore a 0.6, sono, invece, da ritenersi stabilizzati e potranno essere conferiti in discarica secondo quanto previsto dal D.Lgs. del 13 gennaio 2003, n. 36 e dal D.M. del 3 agosto 2005. Infine, il D.L. 248/2004 precisa che i materiali ottenuti da trattamenti di rifiuti contenenti amianto, che modificano completamente la struttura cristallochimica dell’amianto e nei quali sia provata l’assenza di amianto, sono di norma utilizzati come materia prima. *Presidente di Assoamianto

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PA N OR A MA A ZI E N D E

GREEN REMEDIATION: BONIFIchE AMIchE DELL’AMBIENTE ABBATTERE LA CULTURA DEGLI SCAVI E DELLO SMALTIMENTO, IL BIORISANAMENTO E’ ECOSOSTENIBILE… E CONVIENE: LA MISSIONE DI PASA, «L’ARABA FENICE» DELLE BONIFICHE di Maria Beatrice Celino

A

nalisi, progettazione, consulenza, coordinamento e direzione lavori: tutto ruota intorno al mondo delle bonifiche. Queste sono le attività che Pasa svolge da vent’anni nel milanese, dove ha sede, e in tutta Italia. Ma la sfida è la Green Remediation: bonificare con tecniche amiche dell’ambiente, più economiche e meno invasive. L’ostacolo più grande? La “cultura dello scavo e smaltimento” che influenza sia i committenti che, purtroppo, molti enti di controllo. Abbiamo chiesto al Dott. Gian Franco Gaggino di approfondire nel dettaglio in cosa consiste il lavoro di Pasa e quali sono le maggiori difficoltà che si incontrano ad operare in questo settore. Di cosa si occupa la vostra azienda? E in che modo è costruita la vostra realtà? Pasa nasce dall’evoluzione di altre società che agiscono nel settore delle bonifiche dal 1992 e siamo quindi una sorta di Araba Fenice, presenti sul mercato delle bonifiche da oltre vent’anni, seppur con nomi diversi. La nostra attività si sviluppa su due settori. Il primo è l’analisi: abbiamo un laboratorio che si occupa di matrici ambientali, ambiente di lavoro, HCCP, ma anche un’elevata competenza in campo microbiologico. L’altro settore riguarda la consulenza e la progettazione: progettiamo interventi di bonifica, eseguiamo mappature dell’amianto e consulenze nel comparto idrogeologico. Tutto ciò che riguarda, in sostanza, il contesto ambientale. Siamo un gruppo di dodici persone con formazione e specializzazioni diverse, principal-

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mente biologi e geologi, ma anche tecnici per la gestione del laboratorio e impiegati per la parte amministrativa. Il laboratorio e la struttura sono certificati ISO 9001:2008 ed ora ci stiamo impegnando per ACCREDIA. Per entrambi i rami di attività siamo completamente autosufficienti, nel senso che dal campionamento al commento dei risultati operiamo in autonomia, così come per la parte di progettazione. Operate molto nel campo delle bonifiche. Potrebbe citarci qualche lavoro svolto dalla vostra azienda? Abbiamo iniziato con l’area della Gulf di Bertonico (Lodi). Si è trattato di un lavoro su una raffineria dismessa che abbiamo progettato e diretto. Fu una bonifica fatta con la tecnica del biorisanamento in situ, mediante biopile. È stato uno dei primi grossi lavori di bonifica di biorisanamento fatto in Italia. Ormai sono passati più di dieci anni. Un altro lavoro importante è stata la bonifica e la messa in sicurezza della Cava di Via Chiasserini di Milano. In questo caso ci siamo occupati di direzione lavori e analisi: un intervento del 2003 da 7 milioni di euro, per un’area bonificata di 90 mila metri quadrati. Abbiamo fatto un intervento di bonifica con tecniche di biorisanamento anche per l’area della ex Roma di Tortona. Si tratta di un ex deposito di benzina e gasolio. Anche in questo caso ci siamo occupati di progettazione, direzione lavori e coordinamento, in collaborazione con altre ditte.


Un altro importante intervento è stato quello dell'ex Avir di Sesto Calende: una bonifica da 8 milioni di euro, per la quale abbiamo usato tecniche più tradizionali, come lo scavo e la vagliatura, utilizzando un impianto di lavaggio a umido dei terreni. L’ultimo importante lavoro di bonifica è stato quello dell’area dell’ex distilleria di catrame, per la quale ci siamo occupati della messa in sicurezza permanente con scavo: 150 mila tonnellate di terreno. Con la tecnica dei pali trivellati siamo arrivati fino 25 metri di profondità. Ci siamo occupati inoltre, dello studio per la valutazione della qualità delle acque in provincia di Lodi, della valutazione degli effetti dei depuratori nel Golfo di Olbia, in collaborazione con Politecnico di Milano e Università di Sassari, della caratterizzazione eco tossicologica del Fiume Bormida a valle dello scarico dell’ACNA di Cengio e… di molto altro. Abbiamo fatto studi per la valutazione della corrosione di tubature che attraversano il Mediterraneo, per conto di Enel. Abbiamo svolto un'imponente attività di analisi nell’ambito del piano caratterizzazione della Falck di Sesto San Giovanni. E, infine, numerose attività di studio sull’amianto negli stabili civili: interventi puntuali ma di grande responsabilità. Siete maggiormente legati a tecniche di biorisanamento rispetto a metodologie di bonifica più tradizionali? Il biorisanamento è una tecnica utile soprattutto per interventi in aree contaminate da idrocarburi o composti organici. Il reale problema è la grossa diffidenza che incontriamo da parte di committenti ed enti pubblici. Per chi commissiona il lavoro non è facile accettare una tecnica di questo tipo, in quanto le bonifiche con trattamento biologico sono spesso più lente delle altre. L’operatore, che investe i suoi soldi, invece, ha fretta. Ci troviamo, quindi, nella condizione di dover spesso optare per tecniche diverse. Ci sono casi in cui però non si può fare a meno del biorisanamento. E' capitato, ad esempio, di dover intervenire a 9 metri di profondità al di sotto di palazzi. E in questi casi non si può fare altrimenti: le tecniche biologiche, inoltre, sono meno costose e più rispettose dell’ambiente, mentre le classiche tecniche di scavo e smaltimento del terreno, si traducono, di fatto, nel mero spostamento della contaminazione.

Come biologi ci sentiamo più portati a fare qualcosa che sia più conservativo. Avere la possibilità di usare batteri, trattamenti in falda o trattamenti chimico fisici anche in profondità, senza portar via terra è meglio. Questa è la nostra aspirazione. Per formare e in-formare gli operatori su tecnologie innovative di bonifica state organizzando un convegno che si terrà nel mese di giugno. Come è nata questa iniziativa? Avendo iniziato a usare tecniche diverse dalle solite, ci siamo resi conto che spesso c’è uno scontro con l’ente che deve approvare i progetti e con la mentalità dell’imprenditore. Per questo motivo è nato il desiderio di presentare le tecniche di Green Remediation che vanno in controtendenza con i tradizionali lavori svolti in questo ambito. In Italia, si fa un gran parlare di interventi o economia verde, ma sono concetti che rimangono sempre sulla carta. Il convegno vuole essere un’occasione per presentare i vantaggi di queste tecniche a operatori del settore ed autorità di controllo. Vogliamo trasmettere idee che hanno dato ottimi risultati sia in termini tecnologici sia in termini economici.

È necessario veicolare questo tipo di informazioni ed il miglior modo per farlo è un convegno gratuito ed aperto a tutti gli operatori del settore. Vogliamo far capire che rinunciare ad escavatori e camion può essere l’occasione per aprirsi nuove possibilità. Ci sono gli spazi per potersi attrezzare e lavorare tutti nella stessa direzione. Il problema è uscire dal guscio e convincere committente, enti e progettisti. A volte, infatti, è troppo semplice scegliere tecniche di scavo e trasporto in discarica: non sempre c’è la voglia di usare l’ingegno per trovare soluzioni alternative e corrette, anche per la salvaguardia dell’ambiente. Vogliamo far capire che la Green Remediation è una possibilità che non riguarda soltanto gli USA, ma che possiamo occuparcene anche noi. Il convegno è rivolto prevalentemente a sensibilizzare l’operatore economico per cercare di fargli apprezzare le novità. In questo senso, i nostri partner per il convegno sono SEMP, che si occupa di interventi di bonifica e Gioeco, che si occupa di progettazione, tra le prime ad applicare i batteri in interventi di risanamento.

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WORK I N P ROGR E S S

ATTENUAZIONE NATURALE CONTROLLATA PER LA BONIFICA DI PICCOLE AREE CONTAMINATE MESSA IN SICUREZZA DI UN SITO CONTAMINATO DA IDROCARBURI, TRA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE E COSTI ECONOMICI di Andrea Tagliabue*

M

olto frequentemente la necessità di operare la bonifica di suoli contaminati si scontra con gli ingenti costi connessi agli interventi e sono numerosi i casi in cui non si è proceduto con il disinquinamento per mancanza di fondi. Soprattutto nell’attuale congiuntura economica è necessario individuare delle tecniche tali da ottenere buoni risultati di rimozione a costi contenuti o comunque accettabili. Ciò è ancor più vero per i siti di piccole o piccolissime dimensioni che, molto diffusi, rischiano di rimanere a lungo, se non per sempre, nell’oblio del non fare causa risorse scarse. Il caso di studio che verrà esposto delinea un possibile scenario di trattamento per piccoli siti contaminati da idrocarburi pesanti C>12 (inquinante ormai pressoché ubiquitario), che ha dalla sua i pregi della semplicità e dell’economicità. La metodica utilizzata può venire replicata con successo, diventando magari una delle migliori tecniche disponibili a costi non eccessivi.

teorico intenso, tale da attivare uno scarico di troppo pieno della fognatura stessa, recapitante su di un campo destinato alla coltivazione del foraggio per alimentazione animale. Questo scarico di troppo pieno ha fatto in modo che la nafta si sia sparsa sul campo, abbia raggiunto un valletto localizzato nelle vicinanze e, attraverso una griglia posta al termine di quest’ultimo, sia giunta a un pozzo perdente utilizzato per smaltire le acque meteoriche. Alla fine dell’evento sono risultati contaminati, con notevoli evidenze organolettiche – soprat-

tutto odori – il campo di foraggio, il valletto e il terreno sito nei pressi del pozzo perdente, i primi due per percolazione superficiale e l’ultimo per immissione diretta nel sottosuolo. L’estensione totale dell’area contaminata è stata pari a circa 600 m2. Poiché non è stato possibile risalire al responsabile dello sversamento, il soggetto obbligato della contaminazione è risultato essere, ai sensi dell’art. 242 D.Lgs. 152/06, il Comune proprietario della rete fognaria, e ciò ha condizionato tutto il procedimento.

DESCRIZIONE DEGLI EVENTI In un Comune della Provincia di Como si è verificato, a fine giugno 2009, lo sversamento non autorizzato in pubblica fognatura, mista, di un importante quantitativo di nafta da riscaldamento, probabilmente proveniente da un serbatoio dismesso. In concomitanza con lo sversamento si è assistito a un evento me-

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Figura 1. Messa in sicurezza d’emergenza con impermeabilizzazione


MESSA IN SICUREZZA D’EMErgENZA Essendo il Comune il soggetto obbligato della procedura, la messa in sicurezza d’emergenza non ha potuto essere realizzata in tempi brevi, ma solo un mese dopo l'evento. Tale messa in sicurezza è consistita nella delimitazione del sito mediante recinzione di cantiere e nella sua impermeabilizzazione mediante teli plastici pesanti. Durante le operazioni di messa in sicurezza d’emergenza è stata effettuata una caratterizzazione preliminare dell’area, indagando la presenza di idrocarburi pesanti in due punti del sito: a -0,30 m da p.c. e a –1 m da p.c. Da tali risultati si è iniziato a notare qualcosa di strano: pur trattandosi di un inquinamento da percolazione (con il contaminante che veniva dall’alto), i valori di contaminazione più elevata si trovavano alle profondità maggiori. Poiché è termodinamicamente impossibile che l’inquinamento si muova nel terreno in modalità plug flow (flusso a pistone), anche a seguito di eventi meteorici abbastanza intensi, si è iniziato a sospettare che nei pressi della superficie si fossero instaurati dei processi auto depurativi (presumibilmente aerobici) in grado di ridurre la contaminazione fino al di sotto dei limiti di rilevabilità analitica. Con quest’idea si è allora realizzato il piano di caratterizzazione vero e proprio che, sia a causa della necessità di reperire i fondi che per la complessità dell’iter, è stato esperito solo a settembre 2010. La caratterizzazione del sito è stata effettuata in contraddittorio con ARPA Lombardia mediante la realizzazione di sei carotaggi e uno scavo in trincea. Più precisamente, nell’area indicata come Zona A (Figura 2) sono stati effettuati quattro carotaggi e la trincea, mentre in quella indicata come Zona B sono stati effettuati due carotaggi. La trincea è stata realizzata esattamente in corPUNTO A

PUNTO B

-0,30 m da p.c.

<5

<5

-1 m da p.c.

138

115

Tabella 1. Risultati analitici della caratterizzazione preliminare, Idrocarburi pesanti (C>12) [mg/kg espressi come s.s.]

rispondenza di uno dei punti dove, nel luglio INTERPRETAZIONE 2009, è stata riscontrata la contaminazione. DEI RISULTATI Da tali risultati si nota che solo un punto (C.5 I risultati della caratterizzazione preliminare, nella Zona B, dove probabilmente massima quelli della caratterizzazione vera e propria e è stata la contaminazione per ruscellamen- quelli successivi, evidenziano che nel terreno to durante l’evento) è risultato contaminato si sono instaurati dei processi autodepurativi, a quota abbastanza superficiale, che in tutti ragionevolmente aerobici, che hanno consengli altri i valori sono rientrati al di sotto delle tito la rimozione dei contaminanti. CSC (si noti il passaggio da 138 a <20 mg/ Si ritiene che tali processi siano classificabili kg) e che, ancora una volta, le concentrazio- come aerobici perché l’efficienza di rimozioni maggiori sono rilevate quasi sempre alle ne è stata più elevata verso la superficie ovmaggiori profondità indagate, e ciò fa pen- vero dove è possibile una maggiore aeraziosare che probabilmente lì sono arrivati con ne del terreno. maggiore difficoltà ossigeno e calore. Probabilmente la copertura con teli impermeSulla base di tali risultati gli Enti competenti abili ha facilitato il processo, andando ad auhanno dichiarato non contaminata la Zona mentare, grazie all’insolazione, la temperatura A, chiedendo di procedere alla bonifica della del suolo e favorendo condizioni di umidità Zona B. Sempre a causa delle difficoltà eco- elevate. nomiche e finanziarie degli Enti pubblici la zona B è stata lasciata come da messa in sicurezza d’emergenza e senza altri interventi. A gennaio 2012 è stata effettuata un’analisi di controllo sul punto C.5 da p.c. a –1 m di profondità – che risultava contaminato a 114 mg/kg – e i risultati hanno indicato un livello di contaminazione al di sotto di 20 mg/kg. Anche qui, pur più lentamente, il sito Figura 2. Immagine aerea del sito si è auto bonificato. PUNTO C. 1

da p.c. a -0,5

da -0,5 a -1

da -1 a -1,5

da -1.5 a -2

m da p.c.

m da p.c.

m da p.c.

m da p.c.

<20

C. 2 C. 3

< 20

< 20

< 20

19

C. 4 C. 5

<20

29

35

< 20 114

< 20 /

C. 6

< 20

T. 1

< 20

< 20 < 20 /

/

Tabella 2. Risultati analitici della caratterizzazione preliminare, Idrocarburi pesanti (C>12) [mg/kg espressi come s.s.]

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WORK I N P ROGR E S S

Tutto il sito, in pratica, si è comportato come un sistema di landfarming o biopile sui generis, dimostrando efficacia e notevole economicità. Tale risultato è ad ogni modo fortemente condizionato dalle buone caratteristiche di biodegradabilità degli idrocarburi pesanti.

CONSIDERAZIONI ECONOMICHE Il verificarsi dell’evento contaminante ha generato molta preoccupazione nel Comune in cui il sito è localizzato. È noto che gli interventi di bonifica sono estremamente costosi. Un consulente/smaltitore appositamente in-

terpellato ha proposto di effettuare le opere di rimozione e smaltimento delle terre contaminate già in fase di messa in sicurezza d’emergenza, così da risolvere rapidamente il problema. Prendendo in considerazione i prezzi unitari reperibili in letteratura, per le sole operazioni di smaltimento in discarica – quelle che sono state proposte –, si vede che essi variano tra i 35 e i 150 €/ton. Supponendo il peso specifico del terreno pari a 1.700 kg/m3, e immaginando di smaltire fino alla profondità di 2 m, su di una superficie pari a 500 m2, si vede chiaramente che il costo sarebbe risultato variabile tra 60mila e i 255mila euro.

Cifre minori, ma non di molto, si sarebbero potute ottenere inviando le terre a trattamento biologico, ma difficilmente si sarebbe potuto scendere al di sotto di 80mila euro. Il costo delle opere realizzate, viceversa, è stato di circa 1,5 €/m2 per la fornitura e posa dei teli impermeabili, per un importo totale di circa € 750,00. Il grafico in Figura 5 rappresenta i costi che si sarebbero potuti sopportare e quelli effettivamente sopportati, ed è abbastanza eloquente. E’ inutile dire che il Committente si è ritrovato molto soddisfatto della scelta di non effettuare subito la rimozione, che pure era stata caldeggiata da diversi soggetti, anche all’interno degli Enti di controllo. Ciò significa che, in estrema sintesi, quando non vi è la necessità di recuperare un sito in tempi molto brevi – e questa è una condizione sine qua non – è possibile ottenere, rispetto ai tradizionali sistemi di rimozione e smaltimento, risparmi notevolissimi a parità di benefici ambientali o forse, come si vedrà nel prossimo paragrafo, con qualche beneficio in più.

SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE DELL’INTErvENTO

Figura 3. Localizzazione carotaggi e trincea, Zona A

La sempre maggiore sensibilità ambientale generale relativa agli interventi di bonifica e l’accumularsi di esperienze importanti hanno portato molti a interrogarsi sulla sostenibilità ambientale delle varie tecniche utilizzabili, al fine di evitare effetti collaterali negativi. È possibile affermare che l’attenuazione naturale controllata rappresenta un sistema di bonifica altamente sostenibile, perché non richiede consumo di energia, non genera traffico, non produce scorie e non va a spostare e concentrare l’inquinamento, ma lo metabolizza. L’attenuazione naturale controllata, pertanto, è classificabile come una tecnica di Bonifica Verde o Green Remediation.

CONCLUSIONI

Figura 4. Localizzazione carotaggi, Zona B

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Pur in un tempo non breve (due anni e mezzo per il punto peggiore), il sito in oggetto è passato da uno stato fortemente contaminato a uno di ampio rispetto delle CSC con costi di intervento assolutamente ridotti. La tecnica descritta merita di essere contemplata tra le migliori disponibili per i piccoli siti contaminati da Idrocarburi pesanti C>12 per la


Figura 5. Costi delle diverse opzioni di trattamento

sua elevata efficienza, per la sua grande economicità, per l’ubiquitarietà del contaminante e per l’elevatissimo numero di siti in cui esso è presente. Se per aree molto estese, infatti, tecnologie più avanzate possono rivelarsi più efficaci, per superfici ridotte essa consente di ottenere un’ottima tutela ambientale con un basso impiego di risorse, caratteristica molto importante in tempi economicamente e finanziariamente difficili, e può essere efficacemente utilizzata, a patto di disporre di tempo – anche molto, nei casi peggiori –, da Enti pubblici, da imprese (i punti vendita carburante, per esempio) o da privati che non possono o non vogliono disporre di ingenti capitali. Fare attenuazione naturale controllata, a ogni modo, non è fare nulla, ed essa non è l’ultima delle opzioni percorribili. Un’analisi spinta dei siti è sempre necessaria (anche più che per i soliti rimozione e smaltimento), così come è necessario un monitoraggio durante l’intervento più impegnativo di quello standard. Necessario è poi probabilmente un cambio di mentalità da parte degli Enti di controllo, spesso attaccati agli interventi più invasivi. La possibilità di ottimizzare gli interventi, e i loro costi, a fronte di un’ottima salvaguardia ambientale non è ad ogni modo da sottovalutare.

BIBLIOGRAFIA [1] Riganti V. (2011). Sulla sostenibilità ambientale delle bonifiche. In: SITI CONTAMINATI Esperienze negli interventi di risanamento, Atti di Sicon 2011, Edizioni CSISA – Centro Studi di Ingegneria Sanitaria Ambientale Onlus, Catania. [2] Beretta G.P., Bertelle A. a cura di (2009). Prezziario delle bonifiche. Il Sole 24 Ore, Milano. [3] Bonomo L. a cura di (2005). Bonifica di siti contaminati. The McGrawHill Companies, S.r.l. Publishing Group Italia, Milano.

*Studio Tagliabue

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DALLA RACCOLTA AL TRATTAMENTO: IL RICICLAGGIO DEI RIFIUTI PLASTICI IN TOSCANA VALUTATO POSITIVAMENTE IL PROGETTO PER COMPLETARE LA FILIERA DEL RECUPERO DELLA PLASTICA PRESSO L’IMPIANTO DI PONTEDERA di Andrea Villani*

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a sede a Pontedera, in Toscana, la Revet S.p.A., azienda specializzata nella raccolta, selezione e trattamento di materiali destinati al riciclaggio che ad oggi serve 219 delle 287 amministrazioni comunali della Regione venendo ad assumere, con questa attività, una notevole importanza strategica. L'azienda, certificata UNI EN ISO 9001:2008 e UNI EN ISO 14001:2004, seleziona nell’impianto vetro (60% in peso), plastica (30%), barattoli di ferro (3-4%), lattine in alluminio (1%) e imballaggi in poliaccoppiato per la riproduzione di profilati destinati a costruttori e commercianti di arredi per esterni. Recen-

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temente Revet ha firmato protocolli d'intesa con Regione Toscana, Anci, Conai, Coreve e Corepla, in modo da sostenere le amministrazioni comunali della Regione con i suoi Ri-prodotti, rispondendo alle specifiche delle leggi nazionali e regionali sugli acquisti verdi. Nel corso del 2010, su un totale di circa 105.000 tonnellate di rifiuti in ingresso alla piattaforma di Pontedera, il 14% provenivano dalla Provincia di Pisa e l'86% dalle altre Province toscane. E' stato possibile recuperare quasi 85.000 tonnellate, mentre si è reso necessario inviarne a smaltimento oltre 15.000.

L'articolo 205 del D.Lgs. 152/06, riprendendo l’indirizzo dell’Unione Europea, fissa come obiettivo minimo puntuale il raggiungimento, entro il 31 dicembre 2012, di almeno il 65% di raccolta differenziata dei rifiuti urbani all’interno dei vari ambiti territoriali ottimali. In particolare, il recupero della plastica è molto importante, oltre che per il raggiungimento del target fissato dall’Unione Europea, anche per motivi economici. Si tratta di una conseguenza dell'elevato costo del petrolio da cui essa deriva. In altri termini, costa molto meno acquistare granuli provenienti dall’attività di recupero da raccolta differenziata, che non da ditte che producono il prodotto a partire dal petrolio.


L A PIATTAFORMA I camion effettuano la raccolta del materiale dai circa 13.000 contenitori posizionati sul territorio dei comuni toscani. La piattaforma riceve anche materiale preselezionato (CIT) da impianti situati a Empoli e nelle province di Grosseto, Livorno e Siena. Al suo arrivo il mezzo scarica il multimateriale all'interno di un capannone, all'interno del quale viene alimentato a due linee di selezione, dopo essere passato da una pressa rompi sacco. Il materiale viene, in questo modo, portato all'interno di un vaglio a tamburo rotante dotato di due ordini di selezione. La prima avviene attraverso fori di piccolo diametro, il cui obiettivo è l'eliminazione di vetro fine e rifiuti organici. Durante la seconda selezione, invece, il materiale passa attraverso finestre rettangolari per procedere poi sulla linea. Gli operatori effettuano la preselezione in cabina per allontanare rifiuti di grosse dimensioni o contaminanti e per aprire eventuali sacchi provenienti dalla raccolta porta a porta. Il materiale che esce dal vaglio finale (un film di grosse dimensioni) viene accumulato in un’apposita vasca di raccolta. Il materiale metallico viene separato tramite un nastro traverso a magnete permanente, accumulato in un’altra vasca di raccolta e successivamente avviato al riciclaggio. La frazione composta da plastica, tetrapak e alluminio viene invece separata mediante un doppio sistema di aspirazione e inviata ad un ciclone, depositata su un nastro e, in seguito, sottoposta a un’ulteriore selezione tramite nastro a correnti induttive. La finalità, in questo senso, è la separazione dell'alluminio utile per il riciclaggio. Le due frazioni restanti, la plastica e il tetrapak, vengono, infine, inviate a un ulteriore impianto di selezione, situato nel capannone attiguo, mediante un sistema di trasporto pneumatico. Il vetro, invece, viene indirizzato verso una cabina di selezione manuale e raccolto in una vasca apposita per poi essere inviato a successivo trattamento di preparazione al riciclaggio. La plastica e il tetrapak, trasportati da un condotto, giungono all'impianto dedicato e, insieme al materiale proveniente dalla raccolta del multimateriale leggero, vengono caricati e avviati tramite nastro trasportatore a un vaglio dimensionale a tamburo rotante.

Il nastro è dotato di tre ordini di selezione e il materiale leggero proveniente dai sacchi della raccolta differenziata viene raccolto tramite il riempimento di una macchina lacera sacchetti. La prima selezione viene effettuata attraverso fori di piccolo diametro per la frazione fine. Una seconda selezione utilizza fori con diametro maggiore per raccogliere il materiale tipo flaconi e bottiglie, che procede sulla linea. Attraverso la terza uscita, infine, si effettua la selezione del film di grosse dimensioni e materiale ingombrante, il quale procede lungo la linea di selezione manuale. Qui gli operatori separano per tipologia il materiale, successivamente raccolto in cassoni. Il materiale proveniente dalla seconda vagliatura continua la sua strada fino ad arrivare a una stazione di riconoscimento del tetrapak in funzione con visore ottico. Anche questo materiale viene avviato a una linea di selezione manuale. La separazione del materiale metallico, sia esso ferro o alluminio, avviene, rispettivamente, tramite nastri magnetici e correnti induttive e viene accumulato in una vasca di raccolta e successivamente avviato al riciclaggio. La frazione di plastica restante passa attraverso ulteriori vagli che tolgono i materiali filosi, come, ad esempio, i sacchetti che sono rimasti. Imballaggi come flaconi dei detersivi e bottiglie delle bibite vengono suddivisi per tipologia tramite visori ottici. Le bottiglie vengono selezionate per colore e suddivise in trasparenti, colorate e azzurrate. Dopo la selezione ottica, che consente la separazione di varie frazioni sulla base del colore e della chimica, vengono avviate a linee di ulteriore selezione manuale, dove gli operatori eliminano il materiale estraneo residuo. Questa operazione si rende necessaria perché l’efficienza del nuovo impianto di selezione ottica si aggira intorno al 90%. Ciò comporta, per esempio, che sulla linea delle bottigliette

blu di PET se ne possono trovare nove blu e una verde. Quest’ultima viene quindi scartata manualmente dall’operatore e messa su un nastro che la riporta all’alimentazione. I portelloni dei cassoni riempiti con le varie tipologie di imballaggi vengono aperti da un operatore e il contenuto confluisce su un nastro trasportatore e avviato a una pressa. La natura giuridica di questo materiale, tuttavia, rimane sempre quella di rifiuto (CER 191204 plastica e gomma prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti […] non specificati altrimenti) e non di materia prima seconda, a causa di standard qualitativi non elevati. In conseguenza di ciò, l’azienda mette tali materiali selezionati a disposizione del consorzio Corepla che, tramite aste, li indirizza ai vari riciclatori per completare il relativo recupero. Nei suoi impianti di riciclaggio, l‘azienda può comunque produrre profili, pallets, attrezzature per parchi e giardini, a partire da materie plastiche da riciclo provenienti dagli impianti finali. Il materiale può essere anche avviato ad altre destinazioni come i pannelli fonoassorbenti, materiali destinati all'automotive, profilati cavi per pavimentazioni per prefabbricati o prodotti per la casa.

DALL A RACCOLTA DIFFERENZIATA ALL A PRODUZIONE

Revet Spa ha presentato, nell’ambito del procedimento di verifica di Valutazione di Impatto Ambientale, un progetto relativo a un nuovo impianto che completerà la filiera del recupero della plastica presso la propria sede di Pontedera.

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In particolare, il progetto riguarda un impianto che consentirà di produrre, da una frazione importante di materiale plastico eterogeneo "povero” (Plasmix ovvero film plastici, sacchetti e shoppers vari, vaschette, piccoli contenitori per alimenti), pari a circa la metà del quantitativo delle plastiche raccolte sul territorio toscano, una materia prima seconda (addensato o granulato) per la realizzazione di stampi o estrusi prodotti in parte presso l’azienda stessa e in parte presso aziende partner. Attualmente il cosiddetto Plasmix è conferito a impianti esterni per poi rientrare nella piattaforma di Pontedera dopo il trattamento. Ciò consentirà di effettuare il completo recupero del materiale plastico proveniente da raccolta differenziata urbana, ovvero di realizzare tutte le fasi del ciclo descritte fino a ora. A corredo di tale impianto, infine, è previsto un sistema di depurazione per il riciclo delle acque di lavaggio. E' auspicabile, inoltre, che le operazioni di trasporto verso gli altri impianti finali diminuiranno sensibilmente. Le fasi di lavorazione possono essere così semplificate:

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1. triturazione; 2. lavaggio e separazione dei materiali non idonei tramite flottazione; 3. densificazione e stoccaggio in silos; 4. ulteriore estrusione e granulazione; 5. stoccaggio e miscelazione finale. In occasione della Conferenza dei Servizi convocata per il 18 agosto 2011 presso la Provincia di Pisa, Arpat si è espressa con un parere «favorevole con prescrizioni», riguardo a tutte le matrici ambientali (aria, acqua, rifiuti, acustica, idrogeologia, energia). In particolare, ha fatto presente che la materia prima seconda che sarà ottenuta da tale impianto dovrà essere soggetta a quanto previsto dalla norma UNI 10667-1, che consente a qualsiasi operatore che produce, trasporta, riceve e utilizza materie plastiche prime-secondarie conformi, di non sottostare alla disciplina che regola la gestione dei rifiuti. Questo progetto è stato valutato positivamente e dunque escluso dal procedimento di verifica di VIA con Determinazione Dirigenziale nr. 3742 del 2.09.2011 della Provincia di Pisa.

IL CONTROLLO DELL'ARPAT In occasione di due sopralluoghi effettuati tra

agosto e settembre presso la piattaforma di Pontedera, il personale Arpat ha verificato che le modalità di stoccaggio e di gestione dei rifiuti pericolosi e non ivi presenti fossero conformi a quanto previsto dalla normativa nazionale di riferimento e ai vari atti autorizzativi della Provincia di Pisa, in qualità di titolare del procedimento amministrativo. Il personale Arpat ha riscontrato, infine, il rispetto delle norme relative alla corretta gestione dei rifiuti.In particolare sono state controllate le modalità di: • stoccaggio, imballaggio ed etichettatura dei rifiuti pericolosi ivi presenti (olii, rifiuti ospedalieri, batterie al piombo, bombole da campeggio contenenti sostanze pericolose); in particolare gli olii esausti sono stoccati all’interno di cisternette in plastica all’interno di un bacino di contenimento; • stoccaggio dei materiali imballati sotto la tettoia principale da inviare agli impianti esterni per completare la filiera del recupero; • stoccaggio degli scarti del processo di selezione all’interno di cassoni. *ARPAT


DAL DECOMMISSIONING ALLA BONIFICA: UN IMPIANTO A 360° RI-PULIRE E RI-UTILIZZARE SONO GLI OBIETTIVI DELL’IMPIANTO LIGURE CHE DA OLTRE TRENT’ANNI OPERA NEL CAMPO DELLE BONIFICHE di Andrea Negro

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ecommissioning di aree industriali, gestione e smaltimento rifiuti, demolizioni e recupero dei materiali metallici. Sono le principali attività svolte da Vico, la società ligure che nel suo impianto denominato Area51 effettua la rimozione e lo smaltimento di rifiuti pericolosi e in particolare la bonifica e l’alienazione di beni e materiali con presenza di fibre di amianto compatte e friabili. L’attività è accompagnata da un costante lavoro di ricerca, che si traduce in progettazione e produzione di tecnologie innovative per il territorio regionale. L’impianto di Cairo Montenotte è dotato di apparecchiature destinate a trattamenti e bonifiche di varia natura. Oltre all’amianto, infatti, vengono eseguite bonifiche da idrocarburi e sostanze acide e basiche. L’obiettivo, tuttavia, è il recupero e il riutilizzo dei materiali contaminati. «Scopo primario di questa azione - spiegano - è quello di cercare il recupero, laddove possibile, di tutti i materiali contaminati che, a bonifica avvenuta, possono tornare ad essere valorizzati». L’attività aziendale non si limita al mero lavoro di bonifica e trattamento. L’Area51 sembra avere, inoltre, la funzione di svolgere un’attività di coordinamento tra i vari impianti sparsi nel territorio ligure. In che modo? Offrendo soluzioni alle difficoltà che sorgono nella gestione di diversi cantieri dislocati nell’area regionale i quali presentano criticità dal punto di vista operativo e organizzativo a causa della loro localizzazione.

Vico, dotata di certificazione aziendale Rina/Sincert, svolge, infine, attività di ricezione dei beni contaminati da avviare a bonifica e recupero. Il tutto in autonomia. Il gradino successivo è lo smaltimento dei rifiuti prodotti da queste attività. L’esperienza di Vico si è sedimentata negli ultimi trent’anni, partendo dai grandi lavori di bonifica e recupero che hanno caratterizzato la Liguria in questo periodo. In particolare, l’azienda ha partecipato alle attività di dismissione degli impianti chimici dello stabilimento ACNA del gruppo Eni. In questo caso ha provveduto alla bonifica e allo smaltimento dei 22 impianti del complesso industriale. La sua presenza si è fatta sentire anche nell’ambito della dismissione della cokeria dello stabilimento ILVA di Genova.

STRUTTURA In cosa consiste l’attività di recupero dei materiali bonificati? La frazione disinquinata, realizzata soprattutto su componentistica, impianti e attrezzature già interessati ai processi di rimozione, viene rivalorizzata soprattutto in impianti di seconda fusione. L’Area51 consente, inoltre, di svolgere direttamente al suo interno qualsiasi attività di bonifica di beni contaminati da amianto.

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La possibilità di svolgere tutte le procedure all’interno dell’impianto è garantita dalle dimensioni stesse di Area51. La grandezza della struttura permette di accogliere qualsiasi tipo di manufatto trasportabile, anche in situazioni eccezionali. Il tutto avviene nel rispetto assoluto della normativa vigente in materia di sicurezza e in un contesto di formazione costante per il personale specializzato nelle attività di bonifica. Gli aggiornamenti specifici, ai quali devono sottoporsi periodicamente gli operatori dell’impianto, riguardano situazioni tecnico-operative e condizioni emergenziali, nel contesto dell’attività di bonifica. L’ultimo step della filiera è la gestione dei rifiuti derivanti dalle operazioni di bonifica. In questo senso, in accordo con le normative che ne regolano la gestione, si procede con la riduzione dei rifiuti da avviare allo smaltimento.

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L’obiettivo è il recupero di alcune tipologie di materiali da destinare a nuovo utilizzo. «La flessibilità della struttura aziendale e la possibilità di usufruire di un circuito ormai collaudato per ciò che riguarda la gestione dei materiali generati a monte e a valle dell'impianto - spiegano dall’azienda -, sono elementi che determinano ulteriore vantaggio ecologico, operativo ed economico e che consentono un significativo recupero di valore aggiunto all'intero sistema operativo». Anche nel contesto della gestione dei rifiuti, Area51 si propone di eliminare le tracce di pericolosità contenute al loro interno. In questo senso, l’impianto ha sviluppato tecniche e tecnologie operative per la rimozione delle sostanze pericolose, siano essi destinati allo smaltimento o al recupero. Per far questo l’azienda lavora di concerto con le amministrazioni locali e gli organi di controllo territoriali, fornendo elementi di valutazione in merito a tipologie e quantità di rifiuti pericolosi destinati allo smaltimento. Si tratta di un lavoro informativo che permette di integrare le mansioni operative, in modo da fornire strumenti per la valutazione e la garanzia di un risparmio di risorse naturali. Il parco mezzi, inoltre, è costituito da escavatori cingolati, cesoie idrauliche, impianti mobili di frantumazione, piattaforme aree e mezzi in grado di caricare e scaricare i rifiuti. La sede, infine, è dotata di raccordo ferroviario, al fine di gestire facilmente l’attività di dismissione di carrozze e carri ferroviari obsoleti.

OPERAZIONI DI BONIFICA Entrando nel merito delle procedure di bonifica, si possono raggruppare le attività dell’impianto in 3 fasi distinte. La prima fa riferimento a preparazione e confezionamento conforme del materiale o del manufatto, cioè all’oggetto dell’intervento di bonifica. La seconda si realizza all'interno di Area51 e consiste nella separazione dell’inquinante dalla frazione valorizzabile. La terza, infine, è propria dello smaltimento. L’operazione di bonifica per la rimozione del bene contenente amianto, inoltre, si codifica all'interno di un piano di intervento metodologico e procedurale standard, che deve passare al vaglio del soggetto che ha funzione di vigilanza del territorio. Le tre fasi di bonifica si articolano, nel dettaglio: • prima fase - i manufatti vengono predisposti e preparati al trasporto nel luogo dell’installazione. Gli interventi di bonifica seguono una metodologia operativa, la cui priorità è la presentazione agli organi di vigilanza e tutela sanitaria locale. Attività che si inserisce all’interno del Piano di Lavoro, articolo 256 D.Lgs. 81/08, modificato e integrato dal D.Lgs. 106/09; • seconda fase - questo passaggio riguarda, tra l’altro, il trasporto dei materiali confezionati all’impianto di trattamento. Attività che deve svolgersi con mezzo adeguato, idoneo e indicato all’interno del Piano di Lavoro, al fine di assicurare la tracciabilità del percorso; • terza fase - si svolge direttamente all’interno dell’impianto di separazione. Qui avviene la separazione della frazione contaminata da quella decontaminata, in questo contesto, si dovranno eseguire le operazioni connesse al trattamento di bonifica del materiale rimosso. Anche in questo caso, il quadro di riferimento deve essere il Piano di Lavoro, anche se cambia il soggetto vigilante locale di riferimento, che diventa l’Azienda Sanitaria Locale competente sul territorio. *Vico s.r.l.


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TRATTAMENTO DI BIOGAS DA RIFIUTI URBANI LA PRODUZIONE DI ENERGIA ATTRAVERSO I RIFIUTI: RISULTATI DI UNA NUOVA TECNOLOGIA DI PURIFICAZIONE di Guido Italiano e Enrico Calcaterra*

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egli ultimi decenni si è sempre più consolidata, in ambito italiano ed europeo, la produzione di energia attraverso l’utilizzo di biogas da discarica di rifiuti urbani. Per capire l’importanza del tema, basti pensare che nel 2008 erano presenti sul territorio nazionale circa 100 impianti (per un totale di 130 MW*h elettrici), mentre nel 2011 gli impianti erano oltre 500 (per un totale di 550 MW*h elettrici). In generale il trattamento del biogas ottenuto per digestione anaerobica si rende indispensabile al fine di avere un prodotto di qualità, tale da poter essere utilizzato nei motori di cogenerazione. La purificazione del biogas permette infatti l’eliminazione delle componenti dannose per i motori che ne causerebbero rapidamente fenomeni di corrosione, usura e malfunzionamento. I protocolli di qualità dei gas, previsti dai costruttori di motori, sono generalmente ottenibili con schemi impiantistici che spesso si sono dimostrati non rispondenti alle aspettative di durata e performance gestionali. La composizione chimica del biogas dipende in modo determinante dalla matrice di partenza utilizzata per la sua produzione (biomasse, fanghi, rifiuti urbani), che influenza sia la ricchezza in metano che il grado di contaminazione da frazioni indesiderate. Le componenti chimiche che comunemente caratterizzano i biogas prodotti da discariche di rifiuti urbani generalmente rappresentano la totalità di quelle presenti in misura variabile anche nei biogas prodotti da altre matrici, conseguentemente, in questo settore, si vedono applicate le migliori tecnologie di purificazio-

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ne oggi disponibili. La scelta di adottare una combinazione di tecnologie di trattamento del biogas, che a volte può portare un aggravio di costi di investimento, o la gestione di tale fase, non può prescindere da una valutazione complessiva che tenga conto dei vantaggi economici nelle fasi successive di utilizzo nei motori e trattamento dei fumi da questi originati.

LE TECNOLOGIE INNOVATIVE DI PURIFICAZIONE

Tutte le tecnologie oggi a disposizione per la rimozione degli inquinanti da biogas si basano sui più generali principi chimico-fisici di ossidazione, assorbimento, adsorbimento e, in alcuni casi, depurazione biologica. Tra le tecnologie sopra elencate, un particolare interesse ha acquisito l’adsorbimento su supporti rigenerabili in situ, grazie alle ridotte manutenzioni necessarie e alla ridotta produzione di materiali da smaltire, che si riflettono complessivamente sul contenimento dei costi di gestione. Le nuove tecnologie si basano su l'uso di supporti carboalluminati, rigenerabili in loco attraverso semplice aria scaldata a temperature programmate, diversamente da quanto avviene per i sistemi a carboni attivi, i quali richiedono lo stripping dell’adsorbato con azoto o vapore acqueo (con conseguenti costi elevati e complessità impiantistiche). Il processo di abbattimento delle sostanze organiche volatili attraverso l’utilizzo di un adsorbitore/desorbitore con supporti carboalluminati si divide, sostanzialmente, in tre fasi:

• adsorbimento; • desorbimento e pulizia dei corpi adsorbenti; • saturazione e switch dei corpi adsorbenti. La fase di adsorbimento prevede il passaggio di biogas freddo attraverso il materiale adsorbente. Tale passaggio permette una depurazione del biogas in arrivo al motore, andando, in questo modo, ad allungarne vita e produttività energetica. La fase di desorbimento in loco prevede il passaggio di aria calda pulita, attraverso il materiale adsorbente, che va a strippare tutte le sostanze precedentemente adsorbite. Il flusso di strippato viene inviato ad un sistema di combustione per la degradazione degli inquinanti. Il processo di desorbimento inizia con il prelievo di una predefinita portata di aria ambiente. La definizione della portata viene realizzata in modo da garantire un totale autosostentamento energetico, grazie all'esotermicità della degradazione dei SOV. L’aria ambiente pulita viene preriscaldata, per mezzo di uno scambiatore, a temperatura programmata fino a 130°C. Questo flusso di aria calda passa attraverso il materiale adsor-

Figura 1. Evoluzione qualitativa della produzione di biogas da discarica di rifiuti urbani


IL BIOGAS DA DISCARICA: PRODUZIONE E CARATTERISTICHE Il biogas da RSU deposti in discarica è intercettato da Metano 45-65 % più pozzi di estrazione, omogeneamente distribuiti su tutta l'area della discarica. In questi impianti, la pro65- 45 % CO2 duzione del biogas inizia dopo un periodo di latenza, 10-0 % N2 che può variare, indicativamente, dai due mesi ai due Idrocarburi > C5 0-1 anni. Con l’istaurarsi dei processi di metanogenesi, la produzione di biogas subisce un rapido aumento, 0- 0,05 % NH3 fino al raggiungimento del valore massimo e alla pro0- 1,5 % H2S gressiva diminuzione entro un periodo di tempo di Composti organoalogenati tracce 20-30 anni, con andamento asintotico, fino alla completa degradazione della sostanza organica o fino a Silossani tracce quando vengono mantenute le complesse condizioni saturazione H 2O ambientali idonee al processo. La produzione di gas da rifiuti si sviluppa in diverse fasi, durante le quali Tabella 1. Componenti principali del biogas da la composizione del gas è molto variabile. Durante la discarica di RU in fase metanigena stabile, per i quali prima fase, generalmente coincidente con la posa dei sono disponibili valori di riferimento in letteratura. rifiuti, predominano processi di degradazione di tipo aerobico. Questi continuano fino quando c’è disponibilità di O2, condizione che può perdurare per lunghi periodi se la discarica è poco profonda o a bassa intensità di coltivazione. L’aumento della temperatura, a seguito dei processi di ossidazione aerobica, favorisce, quindi, l’istaurarsi di condizioni di anaerobiosi, che danno l’avvio a processi di digestione anaerobica. La durata delle varie fasi e dell’intera sequenza dipende dalla natura dei rifiuti (origine, eventuali pretrattamenti), dalle condizioni presenti in discarica e dalle condizioni climatiche (precipitazioni, temperatura ambientale, pH). La composizione dei biogas ottenuti da rifiuti urbani è molto variabile, non solo in termini di rapporto CH4/CO2, ma anche nel contenuto di potenziali composti inquinanti, la cui concentrazione dipende molto dall’età della discarica, dalla tipologia specifica dei rifiuti conferiti e dal fatto che questi abbiano o meno subito un trattamento preliminare, reso obbligatorio dalle normative tecniche sull’accettabilità dei rifiuti in discarica. Particolarmente lesive ai fini della funzionalità dei motori, e quindi della produttività energetica, risultano essere alcuni composti presenti nelle impurezze del biogas, sia per la loro natura chimica che per la loro azione combinata con l’acqua. I principali composti che possono generare un’azione corrosiva o abrasiva sui motori sono le sostanze acide, le sostanze organo-alogenate, le sostanze organo-metalliche, le polveri e le sostanze organiche del silicio (silossani).

bente, strippando tutto quello che è stato precedentemente adsorbito. L’aria di stripping passa attraverso uno scambiatore (che scalda l’aria fino a 300°C), un bruciatore (che porta la temperatura fino a 350°C) e va a un reattore

catalitico dove le sostanze organiche vengono ossidate a CO2 ed H2O. Tutta l’energia termica viene reintrodotta nel ciclo di desorbimento per mezzo dei due scambiatori. La fase di desorbimento viene realizzata in automatico grazie all’utilizzo di un PLC che regola le attività del bruciatore e delle valvole elettropneumatiche, attraverso sensori di temperatura. Il PLC ha anche la funzione di gestire correttamente tutte le procedure di sicurezza del processo. La fase di saturazione prevede il flussaggio, a portata ridotta, di biogas attraverso Figura 2. Schema del processo di adsorbimento seguito da rigenerazione in loco

i letti adsorbenti così da permettere il lavaggio dell’aria presente dopo il desorbimento e riequilibrare i parametri volumetrici del biogas prima della fase di adsorbimento. L’impianto è costituito da torri di adsorbimento che effettuano in maniera alternata i processi di adsorbimento e desorbimento (il ciclo di ciascun letto può variare dalle 48 alle 8 h a seconda dell’efficienza di abbattimento desiderata). Tale impostazione impiantistica determina un’elevata flessibilità, poiché eventuali variazioni nei carichi di adsorbato possono essere gestite aumentando o diminuendo il carico di materiale adsorbente (mantenendo costante l’intervallo di desorbimento) oppure diminuendo o aumentando l’intervallo di tempo tra un desorbimento e l’altro (mantenendo costante il materiale adsorbente). Particolarmente efficace, ai fini depurativi, risulta essere il sistema combinato che prevede l’applicazione di questi supporti carboalluminati inseriti in uno schema impiantistico tipo, che è di seguito riassumibile: • scrubber - il lavaggio del biogas con scrubber permette di eliminare con elevata efficienza le sostanze inorganiche acide, le sostanze organiche idrosolubili e le polveri; • scambiatore e chiller - i condensatori hanno lo scopo di abbassare la temperatura del biogas e far precipitare l’eccesso di acqua, dovuto allo step di lavaggio, e le sostanze bassobollenti; • adsorbitore/desorbitore - ha lo scopo di eliminare tutte le sostanze organiche insolubili come i silossani, i composti organoalogenati, i composti organo-metallici, ecc. PRIMO CASO DI APPLICAZIONE DELLA TECNOLOGIA

Un primo caso di applicazione della tecnologia è avvenuto in un impianto per il trattamento di un biogas proveniente da una discarica di rifiuti industriali (scarti di demolizione auto), caratterizzato da un biogas particolarmente ricco di silossani. Secondo lo schema proposto, il biogas proveniente dalla discarica è sempre mandato a una torre di lavaggio con soda. Successivamente al lavaggio e al passaggio in un sistema di raffreddamento, che porta il flusso a 20-25°C, viene fatto passare in un filtro costituito da materiale adsorbente. Si è esaminato quanto ottenuto in questa fase attraverso campagne ripetute di

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analisi chimico fisiche che in estrema sintesi hanno dimostrato valori di trattenimento mediamente dell’85-90% delle sostanze alogenate e dei silossani. Il flusso del biogas purificato alimenta i motori i cui fumi vengono depurati cataliticamente. La limitata durata nel tempo dell'applicazione del sistema per via dell'esaurimento del biogas, non ha consentito un’analisi economica sufficientemente attendibile. SECONDO CASO DI APPLICAZIONE DELLA TECNOLOGIA

Un sistema combinato di adsorbimento su supporti carboalluminati, seguito da rigenerazione in loco, è stato installato in una centrale in cui il biogas da discarica di RU va ad alimentare quattro generatori da 1 MW elettrico ciascuno. L'avviamento del sistema è stato realizzato a fine 2009 e ha svolto la sua attività depurativa sul biogas per circa 18.000 ore. I risultati del monitoraggio, circa tre anni di attività, hanno permesso di sviluppare un’accurata analisi tecnica del sistema relativamente alla riduzione delle impurezze. I risultati della riduzione delle impurezze sulla gestione dei motori, valutata in circa tre anni di attività monitorata, hanno consentito, inoltre, un’analisi economica del sistema adottato. Nel caso specifico non era prevista la presenza di una torre di lavaggio a umido, non essendo di stringente necessità per gli iniziali obiettivi di funzionalità del sistema. Sulla base dei dati raccolti è stato possibile elaborare un bilancio economico esteso

secondo lo schema tecnico ottimale comprensivo della torre di lavaggio.

CONCLUSIONI

petuti monitoraggi analitici. La limitata durata nel tempo dell'applicazione del sistema per via dell'esaurimento del biogas, tuttavia, non ha consentito un’analisi tecnico economica sufficientemente attendibile. A distanza di alcuni anni, si sono verificate le condizioni per avviare un secondo caso di applicazione. Ciò ha consentito di disporre di un’esperienza di tre anni di funzionamento presso una centrale di produzione di energia elettrica da biogas da rifiuti urbani, che ha consentito di elaborare una più approfondita analisi tecnico-economica e di concludere che la tecnologia innovativa in esame può consentire di raggiungere dei risultati tecnici di estremo interesse a fronte di riduzione dei costi di gestione e un sensibile aumento della produttività della centrale energetica.

Come è noto, la corretta depurazione del biogas da alcune sostanze contaminanti può portare notevoli benefici alla produttività dei gruppi di cogenerazione attraverso l’aumento della produttività energetica e la riduzione dei costi di manutenzione. Tra le tecnologie di purificazione, particolare risalto stanno acquisendo quelle basate sull’adsorbimento su supporti rigenerabili in loco, grazie alle ridotte manutenzioni necessarie, ai bassi costi di gestione e alla bassissima produzione di materiali da smaltire. Recenti sviluppi hanno portato alla realizzazione di impianti che, avvalendosi di prodotti adsorbenti di nuova concezione ad alta stabilità, sia chimica che meccanica, permettono di adsorbire a freddo e di deadsorbire a temperatura programmaVOCE DI COSTO ta in loco. Una prima applicazione di una tecnologia innovativa SCRUBBER basata sull’adsorbimento, su supporti a base di carboalluminati rigenerabili in situ, ha dato dei risultati interessanti, come emerge da ri-

*Costech International S.p.A.

COSTO INVESTIMENTO

ANNUO

25.000,00 € 5.475,00 €

Manutenzione componenti*

2.160,00 €

Personale*

4.000,00 €

Consumo acqua*

30,00 €

Consumo elettricità*

5.000,00 €

Smaltimento soluzione*

€ 900,00 18.000,00 €

Costo manutenzione componenti

1.000,00 €

Costo raffreddamento

3.324.25 €

Consumo pompa ricircolo

1.000,00 €

Personale ADSORBIMENTO/RIGENERAZIONE

608,00 € 160.000,00 €

Manutenzione materiali

25.000,00 €

TIPO DI SOSTANZA

EFFICIENZA DI ABBATTIMENTO

Manutenzione componenti

500,00 €

ACIDI

95%

Consumo elettrico

500,00 €

COMPOSTI IDROSOLUBILI

85%

Personale

POLVERI

80%

TOTALE

203.000,00 €

SILOSSANI

80%

BENEFIT ANNUO

217.500,00 €

COMPOSTI INSOLUBILI IN H2O

60%

Tabella 2. Principali risultati tecnici ottenuti dal sistema su biogas da RU

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GESTIONE

Consumo soluzione basica*

SCAMBIATORE/CHILLER

Figura 3. Vista dell'impianto di purificazione

COSTO

Anno 5 - Numero 19

9.000,00 € 63.273,00 €

Tabella 3. Sintesi del bilancio economico esteso secondo lo schema tecnico ottimale comprensivo della torre di lavaggio (riferito ad un’unità di generazione da 1MW)


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Il Gruppo


P ROGE T T I E T E C N O LO G IE

TRATTAMENTO DI TERRENI CONTAMINATI DA IDROCARBURI MEDIANTE BIOPILE MONITORAGGIO DI UN IMPIANTO ALLA SCALA REALE: UNA RICERCA SULLA PIATTAFORMA CHE TRATTA TERRENI CONTAMINATI DA IDROCARBURI PETROLIFERI di M.C. Collivignarelli*, M. Canato* e M. Vaccari**

L

e tecniche di bonifica di tipo biologico sono processi nei quali la rimozione del contaminante avviene a carico delle popolazioni autoctone o opportunamente inoculate (in questo caso si è soliti parlare di bioaugmentation). Affinché la degradazione del contaminante sia possibile è indispensabile ricreare le condizioni ottimali per lo sviluppo e la crescita dei microrganismi. Ciò viene effettuato mediante il controllo di parametri quali temperatura, pH, umidità del terreno, concentrazione di nutrienti e fornitura di ossigeno. Tra le differenti tecniche di trattamento biologico per la bonifica dei terreni contaminati da idrocarburi, particolare interesse rivestono le biopile. La maggior parte degli organismi presenti nel suolo sono di tipo mesofilo, pertanto, vivono e si riproducono a temperature comprese tra i 25 e i 45°C. Al di sotto l’attività degradativa prosegue, ma con minore intensità per poi rallentare ulteriormente o arrestarsi in prossimità dei 10°C. L’ottimizzazione delle condizioni di processo è avvenuta mediante il monitoraggio dell’impianto alla scala reale e attraverso la conduzione di specifiche prove, a differenti scale. Ad oggi, in impianto, non solo vengono trattati, mediante biopila, terreni contaminati da idrocarburi, ma, anche, terre da spazzamento stradale (codice CER 20 03 03), rifiuto che l’azienda è stata autorizzata a trattare recentemente grazie all’entrata in vigore della nuova AIA.

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Anno 5 - Numero 19

DESCRIZIONE DELL A PIATTAFORMA DI TRATTAMENTO

mentre l’aggregato minerale ha la funzione di fornire al terreno la giusta porosità, quindi, permettere la diffusione dell’ossigeno all’interno della matrice. I rifiuti pretrattati vengono posti in cumulo mediante pala gommata. La sezione di trattamento biologico è costituita da 8 biopile di cui 5 dedicate alla decontaminazione di terreni contaminati e 3 alle terre da spazzamento. Le aree dell’impianto in cui vengono movimentati, pretrattati e posti in cumulo i rifiuti sono impermeabilizzate e dotate di un sistema di raccolta delle acque meteoriche e dell’eventuale percolato che potrebbe prodursi durante il trattamento.

L’impianto (ubicato nel nord Italia), può essere suddiviso in 4 aree funzionali: area di ingresso/ uscita, area di stoccaggio, sezione di pretrattamento e sezione di trattamento biologico. I rifiuti (terreni contaminati e terre da spazzamento stradale), prima di essere pretrattati, vengono depositati all’interno dell’area di stoccaggio (costituita da due vasche in calcestruzzo e collocata nel medesimo capannone in cui si svolgono i pretrattamenti). I pretrattamenti, sono funzione della tipologia di rifiuto e delle sue caratteristiche; generalmente, consistono in una vagliatura (effettuata con vaglio stellare, spazio tra le stelle pari a 30 mm) e contemporanea aggiunta di nutrienti ed aggregato minerale. L’aggiunta di nutrienti si rende necessaria dove non è garantito il giusto rapporto tra carbonio, azoto e fosforo (elementi necessari ai microrganismi degradatori), Figura 1. Esempio di inversione termica in biopila


Le biopile sono ricoperte da una tettoia metallica chiusa parzialmente ai lati da una tamponatura in PVC, con lo scopo di mantenere il giusto tenore di umidità all’interno del cumulo e minimizzare la produzione di percolato. Nel caso in cui sia necessario umidificare il terreno, le biopile sono fornite di un sistema di irrigazione a goccia che può essere alimentato sia con acqua di rete sia con l’eventuale percolato prodotto durante il trattamento. La fornitura dell’ossigeno al terreno avviene creando una leggera depressione all’interno del cumulo, attraverso delle grate poste sul fondo delle vasche. Tale sistema di fornitura dell’aria presenta il grande vantaggio di limitare l’emissione in atmosfera degli inquinanti volatili. Le arie aspirate dai cumuli, prima di essere rimesse in atmosfera, vengono trattate in biofiltro. Raggiunto l’obiettivo di bonifica, le biopile vengono smantellate e le matrici bonificate possono essere riutilizzate conformemente a quanto previsto dalla normativa.

MONITORAGGIO DELLE BIOPILE I parametri monitorati, per ciascuna biopila, possono essere suddivisi in due categorie: parametri di tipo operativo-gestionale (tem-

peratura, contenuto di ossigeno nel cumulo e umidità atmosferica) e parametri di tipo caratteristico (concentrazione di idrocarburi, PCB, composizione granulometrica). Il monitoraggio dei parametri operativo-gestionali in impianto è eseguito automaticamente tramite sonde che inviano i dati ad un PLC collegato ad un computer che li elabora graficamente in tempo reale. I dati registrati (con cadenza oraria) sono: percentuale di ossigeno, contenuto di umidità e temperatura atmosferica e interna al cumulo. Quest’ultima viene misurata a una profondità di circa un metro in due punti diametralmente opposti nella biopila. I parametri caratteristici, invece, vengono determinati in tempi differenti e tramite campionamenti periodici (conformemente a quanto previsto dalla norma UNI 10802:2004). La loro frequenza è funzione della velocità con la quale la popolazione microbica degrada il contaminante. Questo viene valutato attraverso l’andamento dell’ossigeno all’interno del cumulo. Al fine di comprendere meglio il tipo di processo che governa la decontaminazione del terreno, si sono analizzati anche i tracciati cromatografici, relativamente alla componente pesante degli idrocarburi (C>12). Questa analisi, tuttora in corso, è stata condotta sui cromatogrammi delle biopile ritenute più si-

Figura 2. Rimozione biologica: esempio di cromatogramma

gnificative; una volta perfezionata e validata tale metodica potrà essere un utile strumento per la gestione del processo. Per ciascun dato di temperatura, ossigeno ed umidità atmosferica sono stati determinati: il valore medio diurno, il valore medio notturno e, infine, il valore medio giornaliero. Tale monitoraggio, iniziato nel 2008, è stato condotto su più di 70 biopile. Dall’analisi dei dati gestionali è emerso che il parametro che risulta influenzare maggiormente il processo a biopile è la temperatura esterna. Infatti, passando dalla stagione invernale a quella estiva, il tempo di permanenza medio in biopila, necessario per raggiungere una concentrazione di idrocarburi pesanti (C>12) inferiore a 750 mg/kgSS (come previsto dal D.Lgs. 152/06 e s.m.i.), si riduce notevolmente, fino anche al 50%. Analizzando, invece, la relazione tra temperatura esterna e temperatura interna al cumulo si è osservato che il periodo di attività di ciascuna biopila può essere suddiviso in due fasi differenti. Nella prima la temperatura interna al cumulo è superiore alla temperatura atmosferica (l’incremento di temperatura è naturalmente attribuibile alle reazioni esotermiche di rimozione dei contaminanti). Nella seconda, invece, si assiste ad una diminuzione o addirittura un’inversione tra la temperatura interna al cumulo e quella dell’ambiente esterno,

Figura 3. Rimozione chimico-fisica (strippaggio): esempio di cromatogramma

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P ROGE T T I E T E C N O LO G IE

sinonimo della diminuzione dell’attività biologica. Esaminata l’influenza della temperatura atmosferica sul trattamento a biopile, si è passati a valutare la possibile influenza della composizione granulometrica sul processo di rimozione del contaminante. In questo caso, si è osservato che, un contenuto maggiore di ghiaia favorisce la rimozione degli idrocarburi. A parità di concentrazione iniziale di idrocarburi, di durata del trattamento e di percentuale di limo. Viceversa, la presenza concomitante di basse percentuali di ghiaia associate ad alte percentuali di limo permette di ottenere buoni rendimenti di rimozione degli idrocarburi solo prolungando notevolmente la durata del trattamento. Per quanto concerne il contenuto di ossigeno, esso resta sostanzialmente costante durante tutto il trattamento (pari circa al 20%). Al fine di approfondire i meccanismi di rimozione dei contaminanti, sono stati acquisiti i tracciati cromatografici derivanti dall’analisi gas-cromatografica dei terreni. Sono state selezionate le biopile ritenute più rappresentative, ovvero quelle con una concentrazione di idrocarburi pesanti maggiore di 1000 mg/ kgSS e un massimo di tre differenti tipologie di terreno al loro interno. La rimozione dei contaminanti all’interno del cumulo sembrerebbe attribuibile a processi di tipo chimico-fisico e di tipo biologico. Nel caso in cui il processo prevalente di rimozione del contaminate fosse di tipo chimico-fisico (strippaggio), la forma del cromatogramPARAMETRO Umidità del cumulo Azoto

VALORE 10 - 30% in peso < 300 mg/kg

ma dovrebbe cambiare solo parzialmente. In particolare, si dovrebbe assistere ad una diminuzione della concentrazione degli idrocarburi nella parte dei C12÷C25 (più volatili) e a una diminuzione dell’intensità dei picchi. Viceversa, se il processo prevalente fosse la degradazione biologica degli idrocarburi, si dovrebbe assistere, in aggiunta, a una diminuzione dell’intensità dei picchi e a un cambiamento di forma del tracciato cromatografico. Esso dovrebbe assumere una forma più appiattita e allargata, causata dalla rottura delle molecole pesanti in molecole più leggere. Nelle Figure 2 e 3 sono riportati due esempi: in Figura 2 un tipico caso di degradazione biologica e in Figura 3 di strippaggio. Nel caso in cui si verificasse la sola semplificazione molecolare (cioè la rottura da parte di un ossidante delle macro-molecole in composti a minore peso molecolare), si dovrebbe assistere a un cambiamento di forma del cromatogramma associato a una non significativa riduzione del contenuto di idrocarburi (caso intermedio rispetto allo strippaggio e alla degradazione biologica). Oltre all’analisi qualitativa del cromatogramma è stata implementata (ed è in corso di perfezionamento) anche una procedura analitica. Ciascun cromatogramma è stato suddiviso in due aree: la prima compresa tra i C12 e i C25 e la seconda compresa tra i C26 e i C40 (frazione più pesante). Conoscendo la concentrazione totale di inquinante (data dall’integrale del tracciato cromatografico) è stato possibile associare a ciascuna delle due aree il rispettivo valore di contaminante (iniziale e finale) e calcolare i rendimenti di rimozione sulla componente “leggera” (C12÷25) e “pesante” (C26÷40). Tale approccio, anche se ad oggi applicato a poche biopile, sembrerebbe dare interessanti risultati.

rIsULTATI DELL’ATTIvITà SPERIMENTALE Nel corso della sperimentazione sono state utilizzate biopile a scala di laboratorio, di volumetria pari a 50 l cadauna (c.d. “biopile in cilindro”). Le biopile in cilindro sono costituite da cilindri in plexiglass e sono rivestite in materiale isolante. Il sistema di fornitura dell’ossigeno è stato concepito in modo da riprodurre quanto più possibile quello reale ma, nel contempo, è dotato di un sistema di valvole di regolazione ed esclusione in modo da garantire la giusta flessibilità necessaria ai test di laboratorio. I parametri monitorati durante le prove sono stati: la temperatura ambiente, la temperatura interna al cilindro (misurabile a differenti altezze) e la concentrazione di contaminanti. Le matrici da testare, prima di essere inserite in biopila, sono sottoposte ad una vagliatura fine (3 mm), in modo da garantire una buona uniformità granulometrica. Al fine di fornire un utile strumento per la valutazione della trattabilità biologica dei terreni contaminati, è in fase di realizzazione un respirometro (Figura 4). Esso è costituito da un cilindro in vetro ed è rivestito con del materiale isolante. Il sistema è isolato e l’aria viene continuamente ricircolata mediante una pompa. I parametri che verranno monitorati sono: la temperatura interna (misurata mediante una termocoppia) e quella ambiente, la concentrazione di anidride carbonica nel respirometro e degli idrocarburi nel terreno. Le prove fin’ora effettuate erano volte a testare il buon funzionamento della strumentazione, pertanto, non vengono riportati i risultati. Le prove, effettuate con le biopile in cilindro, hanno riguardato l’aggiunta di differenti sostanze e substrati (ammendanti, batteri e

100/10/1 100/10/0,5 C/N/P

100/7,5/0,66 150/5/0,5

pH Contenuto di metalli pesanti

5-9 < 2500 mg/kg

Tabella 1. Valori di letteratura dei principali parametri del trattamento in biopila di terreni contaminati da idrocarburi petroliferi

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CONDIZIONI TESTATE

RAPPORTO SUOLO/TERRE DA SPAZZAMENTO

Biopila 1*

1/0

Biopila 2

1/0

Biopila 3

1/1

Biopila 4

2/1

Biopila 5

0/1

Tabella 2. Condizioni testate nelle biopile da laboratorio

DURATA [d]

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Figura 4. Respirometro realizzato in laboratorio

compost) ai terreni contaminati, al fine di aumentare i rendimenti di rimozione e ridurre i tempi di permanenza in cumulo. I recenti test eseguiti avevano l’obiettivo di studiare il comportamento delle terre da spazzamento in biopila. A tale scopo è stata realizzata una prova in cui si è voluto verificare l’effetto dell’aggiunta di terre da spazzamento ai terreni contaminati da idrocarburi. In tale prova si è inoltre voluto riscontrare l’eventuale miglioramento (in termini di rendimento di rimozione del contaminante) indotto dall’elevata temperatura, ottenuta inserendo una biopila in incubatrice a 55°C. Nella Tabella 2 sono riportate le condizioni operative delle prove effettuate. Come si può osservare in Figura 5, il rendimento di abbattimento maggiore (89%) si è avuto nella biopila 1, quella inserita nell’incubatrice. Sembrerebbe che l’effetto della temperatura non sia stato determinante nella degradazione del contaminante in quanto la biopila 2, coltivata nello stesso modo ma mantenuta a temperatura ambiente (circa 20°C), presenti sostanzialmente, lo stesso rendimento di abbattimento (84%). Il maggior rendimento riscontrato (+5%) nel caso della biopila inserita in incubatrice potrebbe essere attribuito ad un leggero effetto di desorbimento causato dalla temperatura

Figura 5. Risultati delle prove eseguite con le terre da spazzamento stradale (TS= terre da spazzamento; T= terreno contaminato da idrocarburi)

e dal sistema di aspirazione. Per quanto riguarda i terreni in cui sono state aggiunte le terre da spazzamento, si può notare, anche in questo caso, un eguale rendimento di abbattimento degli idrocarburi (75% per la biopila coltivata con un rapporto suolo/terra da spazzamento uguale a uno e 79% per il caso in cui tale rapporto valeva due). Per le terre da spazzamento, si è osservata una bassa resa di rimozione di idrocarburi, pari a poco più del 20%.

CONCLUSIONI L’attività di ricerca presso la piattaforma, in corso ormai da alcuni anni, ha permesso di individuare i parametri che maggiormente influenzano il trattamento in biopila. Come emerso anche in precedenti lavori (Collivignarelli et al., 2010) la temperatura esterna ed il contenuto di limo giocano un ruolo fondamentale in quanto, non solo influenzano il processo in termini di tempo di permanenza in cumulo (il principale responsabile è la temperatura) ma anche in termini di rese di abbattimento finali ottenibili (in questo caso è il limo ad essere il parametro determinante). Dall’analisi dei dati è inoltre emerso che i terreni sciolti (ossia con maggior contenuto

di sabbia e ghiaia) sembrerebbero favorire la rimozione degli idrocarburi; ciò è spiegabile dal fatto che tali tipologie di terreno presentano una maggiore permeabilità all’aria. L’acquisizione e l’analisi dei tracciati cromatografici, associata all’analisi dei parametri caratteristici, costituisce un utile strumento per lo studio dei meccanismi di rimozione dei contaminanti presenti nel terreno, quindi, per l’ottimizzazione del processo. In merito all’attività sperimentale, si trasferiranno le esperienze fatte con le biopile in cilindro ad una scala maggiore rispetto a quella di laboratorio al fine di valutare il possibile utilizzo delle terre da spazzamento nel trattamento di terreni contaminati da idrocarburi. Contemporaneamente, si proseguirà nel perfezionamento del respirometro che, una volta messo a punto, permetterà di dare utili informazioni in merito alla trattabilità biologica dei differenti terreni conferiti in impianto (sia terreni contaminati da idrocarburi sia terre da spazzamento stradale). *Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Ingegneria civile e architettura **Università degli studi di Brescia, Dipartimento di Ingegneria civile, architettura, territorio e ambiente

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ANALISI DEI RISCHI NELLA DEMOLIZIONE DI STRUTTURE MEDIANTE L’UsO DI ESPLOSIVI DEMOLIZIONI COMPLESSE E SEMPRE PIÙ SICURE GRAZIE A UNA CORRETTA VALUTAZIONE DEI RISCHI E A PIANI DI SICUREZZA CHE GARANTISCONO L’INCOLUMITÀ DI PERSONE E STRUTTURE di Stefano Scaini*

N

ell’ambito dell’ingegneria civile e industriale, gli interventi di demolizione e di decostruzione sono spesso considerati, non solamente in virtù della loro invasività e irreversibilità, quanto mai in accezione negativa. L’estrema specializzazione richiesta, le numerose problematiche presenti, sia in fase progettuale che operativa, e l’attuazione di particolari misure di sicurezza, che ne impediscono la visibilità all’esterno dei cantieri, hanno da sempre creato attorno a questa tipologia d’interventi un forte alone di curiosità e incertezza, amplificato da una, purtroppo esistente e profonda, ignoranza tecnica in merito, la quale trasversalmente accomuna Pubbliche Amministrazioni, Professionisti e Imprese di costruzione nell’approcciare la voce, appunto, “demolizioni complesse”. La pressoché totale assenza nel nostro contesto sociale e politico di una cosiddetta cultura della demolizione ha sempre relegato tale attività ed il suo “modus operandi” a un livello inferiore d’importanza, catalizzando quindi l’attenzione, e conseguentemente i percorsi di formazione e specializzazione tecnica, verso altre applicazioni nell’ambito dell’ingegneria. Considerando poi il particolare caso delle tecniche d’intervento con materiali esploden-

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ti, rimanere sconcertati e allibiti di fronte agli ostacoli con i quali esse devono quotidianamente misurarsi è davvero riduttivo. In un panorama povero di attori veramente competenti in materia, lo sconforto di chi è specializzato in tale tipologia d’interventi deriva, infatti, dal trovarsi costantemente esaminato, giudicato e supervisionato da figure incapaci ed investite di incarichi a dir poco fuori luogo.

DEMOLIZIONI COMPLESSE L’utilizzo di materiali esplodenti nel campo dell’ingegneria delle demolizioni, in applicazioni, ad esempio, all’interno di siti industriali attivi o in contesti urbani densamente popolati, implica l’analisi approfondita di scenari caratterizzati da problematiche di particolare rilievo dal punto di vista della Sicurezza. L’analizzare correttamente i rischi derivanti dal loro utilizzo in ambiente fortemente antropizzato ha come obiettivo dichiarato quello di fornire, a figure come i Coordinatori della sicurezza, RSPP e Professionisti privi di una formazione specifica in materia, alcuni concetti essenziali e funzionali al poter approcciare correttamente uno scenario il quale, spesso e paradossalmente, viene considerato più problematico e critico di quanto sia nella realtà.


Partecipando a conferenze dei servizi o riunioni di coordinamento dedicate alla pianificazione di interventi di demolizione controllata mediante l’utilizzo di materiali esplodenti, è consueto confrontarsi con la forte, fortissima preoccupazione delle figure coinvolte nelle problematiche di “Safety” le quali, nella maggior parte dei casi ed indiscutibilmente a causa di un’evidente impreparazione tecnica in materia, inquadrano nel materiale esplodente la principale fonte di preoccupazione, nonché l’oggetto di attenzione primaria, senza analizzare quali siano realmente i pericoli ed i rischi connessi a tali interventi. E’ spesso sufficiente porre in evidenza i motivi per i quali, in campo civile, si utilizzino spesso esplosivi considerati “di sicurezza”, per comprendere immediatamente quanto i rischi diretti siano assolutamente minimi e di semplicissima mitigazione. Tali esplosivi, nella fattispecie, non possono essere innescati se non deliberatamente, o a causa di procedure d’utilizzo condotte con estrema negligenza, imprudenza ed imperizia, circostanze assai remote grazie all’elevata specializzazione dei tecnici impegnati in simili attività.

ANALISI DEI RISCHI I reali rischi sono da ricercare altrove, come si è detto, e non nella pressoché intrinseca sicurezza dei materiali esplodenti utilizzati. Tali rischi possono essere suddivisi in diretti, indiretti, correlati ed indotti. RISCHI DIRETTI

I rischi diretti sono i rischi derivanti dall’interazione diretta tra operatore ed esplosivi, assimilabili quindi alle fasi di allestimento e caricamento dell’attività di fochinaggio. L’interazione per inalazione o contatto da parte dell’operatore (fochino o suo assistente) con le componenti più volatili degli esplosivi detonanti, ovvero le sostanze azotate, può causare sintomi assolutamente reversibili (e quindi non permanenti) simili a quelli della sindrome cervicale; cefalee e nausee possono infatti manifestarsi, soprattutto in caso di attività di allestimento e caricamento in ambienti scarsamente aerati quali, ad esempio, i locali interrati. L’esposizione dei lavoratori alle caratteristiche intrinseche dei prodotti durante l’attività di fochinaggio avviene, comprensibilmente, per brevi periodi di tempo, con frequenza non elevata e in bassissime concentrazioni. Per questo motivo, non è prevista per Legge alcuna sorveglianza medico-sanitaria obbligatoria per monitorare, ad esempio, le funzionalità epatiche e renali degli addetti. I rischi diretti possono essere efficacemente mitigati adottando una corretta turnazione degli operatori impiegati in ambienti chiusi o poco areati, nonché accompagnando le attività di fochinaggio con l’uso di mascherine antipolvere e guanti monouso in nitrile. La mascherina antipolvere, trattandosi nella fattispecie di vapori e quindi non rappresentando di certo il presidio corretto, è una soluzione più che efficace a creare davanti a naso e bocca uno spazio convenientemente confinato, oltre a poter essere utilizzata correttamente anche nelle fasi di brillamento e post-brillamento per interagire con lo scenario di cantiere. RISCHI INDIRETTI

Tale categoria di rischi deriva dall’interazione degli operatori con gli scenari d’intervento specialistico ed è indipendente dalla presenza o meno “in situ” di materiali esplodenti.

Due esempi semplici ma estremamente significativi sono legati all’utilizzo di esplosivi in ambiente subacqueo (in vasche, serbatoi, condotte forzate e bacini in genere) oppure “in corda” (lavori verticali presso ciminiere, caldaie, altoforni e strutture elevate in genere), ove appare chiaro come i rischi presenti siano quelli caratteristici di attività che nulla hanno a che fare di certo con la presenza di materiali esplodenti. L’impiego corretto di attrezzature specifiche e la scelta di personale appositamente formato per eseguire le lavorazioni necessarie, sono le principali azioni mitigatrici di questa particolare categoria di rischi. Le normative di riferimento sono necessariamente quelle specifiche delle attività svolte, e più precisamente: • impiego di Operatori Tecnici Subacquei (O.T.S.) per le attività subacquee; • impiego di Addetti in possesso di abilitazione a lavori con sistemi di accesso e posizionamento mediante funi in siti naturali ed artificiali (come previsto dall'allegato XXI del D.Lgs. 81/08 e s.m.) per quanto riguarda le attività “in corda”. RISCHI CORRELATI

La categoria dei rischi correlati è relativa all’interazione tra le maestranze presenti e lo scenario post-esplosione. Tali rischi sono propri della fase di verifica e controllo, a esplosione avvenuta, dell’area oggetto della demolizione. L’eventuale presenza di residui d’esplosivo non detonati, di porzioni di struttura non compiutamente demolite e la verifica del non coinvolgimento nell’evento di strutture e infrastrutture adiacenti all’area di cantiere, necessitano di un’attenta analisi visiva e ravvicinata da parte del Fochino responsabile e del suo staff. Per eseguire ciò, minimizzando i rischi correlati, gli addetti necessitano di idonei D.P.I. quali, ad esempio, scarpe antinfortunistiche, caschetti protettivi, mascherine antipolvere, abbigliamento ad alta visibilità e, eventualmente, occhiali protettivi. RISCHI INDOTTI

Tale categoria rappresenta e ingloba la totalità dei rischi derivanti dall’avvenuto innesco e quindi dall’avvenuta detonazione degli esplosivi utilizzati. La fase propria, all’interno delle attività di fochinaggio, è chiaramente rappresentata dal cosiddetto brillamento o sparo.

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Escludendo eventi inquadrabili nella negligenza, imprudenza e imperizia da parte delle maestranze, nonché nelle attività di sabotaggio legate ad attività criminali e di terrorismo, i rischi indotti sono principalmente quelli derivanti da: a. produzione di polveri, il cui eccesso potrebbe intasare griglie e filtri di areazione e ventilazione (mitigazione dell’effetto indesiderato tramite aspersione d’acqua o sua nebulizzazione attraverso il corretto utilizzo di idonei cannoni nebulizzatori); b. lancio di proietti, cosiddette proiezioni, la cui balistica potrebbe arrecare danneggiamenti alle cose e lesioni di gravità variabile alle persone (mitigazione degli effetti indesiderati mediante l’utilizzo di opere di difesa passiva quali reti metalliche e teli di protezione in corrispondenza degli elementi strutturali minati); c. trasmissione di sollecitazioni meccaniche indotte dalla dinamica di crollo delle strutture e dal loro successivo collasso a terra,

ove esiste una proporzionalità inversa (non lineare) tra l’indice di deformazione di una struttura (al quale concorrono valori qualitativi e quantitativi dei materiali impiegati per la costruzione, forme e geometrie) e la produzione di vibrazioni (fortemente influenzate dalle caratteristiche geologiche del suolo e dal contesto dello scenario di cantiere). Oltre ad eseguire un corretto monitoraggio vibrometrico durante le fasi del brillamento e del successivo abbattimento a terra delle strutture, l’eventuale eccessiva trasmissione di sollecitazioni meccaniche indotte si mitiga con efficacia attraverso la creazione di argini e cumuli di materiale sciolto mediante attività corollarie di scavo e movimento terra. d. trasmissione della meccanica dell’onda di sovra-pressione aerea prodotta (air-blast) la quale, in presenza di superfici vetrate e strutture in muratura fortemente degradate in estrema adiacenza, potrebbe avere effetti lesivi.

Questo effetto indesiderato viene mitigato con estrema efficacia attraverso la corretta scelta qualitativa e quantitativa, dei materiali esplodenti da impiegare, nonché adottando accorgimenti “banali” come, ad esempio, invitare i vicini più prossimi a tenere leggermente aperte le finestre, chiudendo per contro i relativi infissi oscuranti (assecondando in tal modo l’onda di sovra-pressione ed inibendo contestualmente il passaggio di una dose eccessiva di polveri da frizione). Appare ora maggiormente evidente quanto sia di primaria importanza, ai fini della pianificazione della “Safety”, l’esecuzione di una corretta valutazione dei rischi indotti nell’utilizzo di materiali esplodenti, al fine di poter predisporre adeguati Piani di sicurezza i quali possano garantire la totale incolumità di persone e strutture a seguito delle attività, cosiddette, di brillamento o sparo mine. Gli “outputs” più significativi di tali Piani sono senza dubbio il calcolo delle corrette distanze di sicurezza e il relativo dimensionamento delle varie aree di rispetto. Tali “outputs” devono necessariamente risultare dall’approfondita conoscenza di due differenti metodologie di approccio alla mitigazione delle problematiche elencate in precedenza, caratterizzate ciascuna da tecnologie e strumenti specifici: • una mitigazione passiva dei rischi indotti attraverso il dimensionamento e l’allestimento di opere di difesa quali protezioni in rete metallica e geo-tessuto, nonché l’eventuale creazione di cumuli di materiale sciolto, come già espresso in precedenza; • una mitigazione attiva dei medesimi, mediante l’adozione di corrette geometrie di sparo e la conoscenza delle caratteristiche proprie dell’esplosivo utilizzato e del mezzo oggetto dell’applicazione; sono infatti le caratteristiche proprie di un esplosivo che determinano, unitamente al suo quantitativo, posizionamento e costipamento, ed in funzione delle caratteristiche fisiche del materiale oggetto della frammentazione, l’entità più o meno marcata degli effetti direttamente correlati ai rischi indotti dal suo impiego. *Dexplo s.r.l.

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BIOGAS DA DISCARICA, NASI ELETTRONICI E VALIDAZIONE DEI MODELLI DI DISPERSIONE ATTENDIBILITÀ ED AFFIDABILITÀ DEI METODI E DELLE STRUMENTAZIONI PER LA MISURAZIONE DELLE EMISSIONI DI BIOGAS DALLE DISCARICHE di Guido Robasto*

L

a società Comai di Torino opera nel settore dei controlli ambientali di impianti ad alto impatto ambientale e in particolare nel settore delle discariche e negli impianti di trattamento rifiuti, con sistemi per il controllo delle acque sotterranee, delle acque superficiali e delle emissioni, specificatamente per le emissioni odorigene. Ha collaborato per il progetto CGT Biogas come partner e ha sviluppato, nella prima fase di sperimentazione, le misure del biogas con il naso elettronico della Airsense (DE). È stata utilizzata la metodologia a griglia per la valutazione dell’emissività di discariche. Ha seguito, inoltre, la fase di analisi termografica con IR per l’individuazione del posizionamento delle zone di alta emissività. Parallelamente, ha collaborato per la valutazione della riduzione dell'impatto del biogas in atmosfera mediante biocelle sperimentali per la riduzione del metano e trasformazione in CO2. L’obiettivo della ricerca è l’individuazione di un metodo affidabile e utilizzabile nelle varie tipologie di discariche e per il calcolo quantitativo del valore di emissività in termini di biogas (miscela di CH4, CO2, O2, CO e composti odorigeni variabili in dipendenza dalla tipologia dei rifiuti contenuti). Sarebbe inutile ricordare che il biogas, e specificatamente il metano in esso contenuto, è un climalterante di notevole peso e la sua

riduzione sarebbe certamente auspicabile. La riduzione della quantità di biogas liberato in atmosfera, e il conseguente utilizzo per la produzione di energia, avrebbero un bilancio ambientale ed economico positivo, in coerenza con un’ottica di salvaguardia ambientale. L'aspetto qualitativo del biogas emesso da una discarica è noto, le misure sono semplici, molto accurate e possono essere effettuate in continuo, almeno per quanto riguarda i componenti principali (CH4 e CO2). La misura quantitativa (la valutazione dell’emissione) è invece problematica, in quanto il sistema di calcolo tradizionale, fatto con modello previsionale, costituito generalmente da un sotto modello stechiometrico, basato sul volume di rifiuti contenuti e dalla loro qualità presunta, fornisce dei risultati piuttosto approssimativi e con errori anche significativi, in quanto la classificazione dei rifiuti immessi nel tempo nella discarica non è sufficiente a definire l'effettiva capacità della produzione del biogas nel periodo: in pratica il risultato definisce un ordine di grandezza per un periodo di tempo che ha comunque necessità di una validazione e che non è sufficiente per valutare eventuali operazioni di contenimento. Non esiste, inoltre, un solo metodo di calcolo, ma più metodi che privilegiano diversi elementi per il calcolo e che differiscono nei risultati in modo sostanziale.

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Partendo dal presupposto che i rifiuti sono di difficile classificazione ai fini della composizione e della loro capacità di trasformarsi in biogas, è necessario considerare che la produzione è soggetta a variazioni nel tempo, secondo una curva di produzione che prevede un picco e un progressivo rallentamento. Si tratta di una curva discendente che può variare in base a condizioni diverse, cicliche e non, connesse a temperatura, umidità (piovosità), profondità dell'invaso e dal capping e da altre cause non facilmente individuabili. Quindi il calcolo basato solo sulla massa dei rifiuti contenuti in una cella della discarica, oltre a essere di per sé piuttosto impreciso, non risolve l’identificazione della quantità di biogas che si libera in atmosfera, anche nelle discariche dove esiste un efficiente sistema di captazione in essere che non è in grado di intercettare tutto il biogas prodotto. Altri metodi, come quelli che prevedono l'utilizzo delle camere di flusso, hanno, invece, limiti oggettivi e approssimazioni molto elevate, e sono, inoltre, di difficile comparazione nel tempo, non potendo, evidentemente, riprodurre le medesime condizioni di misura. Un’ulteriore considerazione riguarda il sistema di copertura che, anche se realizzato a regola d’arte e con un sistema di captazione efficiente

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e ben distribuito, libererà comunque in atmosfera una quantità non indifferente di biogas poiché nel tempo si creano inevitabilmente vie di fuga o vie preferenziali difficili da individuare.

L A MISURAZIONE MEDIANTE NASO ELETTRONICO La prima fase della ricerca, indirizzata a definire un metodo per la misura delle emissioni di biogas in atmosfera, è stata sviluppata con il naso elettronico. Il naso elettronico, o Intelligent Sensor Array, è uno strumento che comprende una serie di sensori chimici e un sistema di pattern recognition, in grado di riconoscere odori semplici e complessi. Viene normalmente utilizzato per numerosi impieghi, che vanno dalla sicurezza per il riconoscimento di esplosivi e gas nervini, ai controlli di processo nella fabbricazione degli alimenti. L'idea di base, quindi, è utilizzare il naso e creare una griglia virtuale, ai cui nodi effettuare misure per stabilire la presenza di biogas e il livello di diluizione. Questa modalità presuppone, tuttavia, particolari condizioni meteo per poter agire in situazioni omogenee di rilevamento e minimizzare in tal modo gli errori. Il limite di questo metodo è, sostanzialmente, quello di avere, per tutto il tempo necessario per le misurazioni, ai nodi della griglia

una condizione di vento – direzione e intensità – quasi costante. Ciò risulta molto improbabile poiché le condizioni di stabilità si verificano per un tempo massimo di 20 - 30 minuti e quindi per un intervallo non sufficiente ad eseguire tutte le misure per le quali sono necessarie circa 2/3 ore di tempo. La procedura prevede, in sintesi: • l'acquisizione di un'impronta del biogas tal quale e l'impronta delle varie diluizioni dello stesso biogas ottenibili con procedure abbastanza semplici; • l’identificazione del pennacchio risultante dalle condizioni meteo (velocità e direzione del vento) a valle della discarica; • l’identificazione di una griglia ideale che comprendesse tutto il pennacchio; • la misura di biogas ai nodi della griglia, nella forma tal quale o diluito. Lo strumento consente questa procedura con risultati attendibili che inoltre possono essere confermati e validati dalle misure su campioni mediante l'acquisizione in sacchetti di Nalophen e successive (rapide) misure in laboratorio. Il naso ovviamente non individua il metano in quanto tale, ma identifica la miscela di gas che costituisce il biogas e la sua diluizione correlandole con le impronte acquisite (tal quale e diluite). Come detto il problema si pone quando le condizioni di intensità e di direzione del vento variano in misura significativa durante le misurazioni. Possono essere apportati dei correttivi al calcolo ma evidentemente questi correttivi diminuiscono il livello di attendibilità delle misure stesse. Si è passati a una fase di operazioni che prevedeva in sostanza un sistema di campionamento multiplo utilizzando sacchetti in modo che la fase di prelievo, e quindi di misura, non comportasse tempi lunghi di acquisizione dei dati e quindi omogeneità di acquisizione e la successiva analisi dei campioni con il naso. Inoltre la tipologia della discarica e quindi l'orografia del territorio, la presenza o meno di strade di percorrenza perimetrali e altri fattori hanno un’importanza significativa rappresentando di conseguenza delle limitazioni importanti per il metodo. Sono stati successivamente testati e valutati altri metodi di misura con apparecchiature la-


Regione Toscana

mostra-convegno internazionale

ser che hanno il pregio di fornire misure istantanee, in quanto anche il sistema di campionamento multiplo presenta limiti non facilmente superabili. Il principio utilizzato è sempre l’identificazione di un pennacchio, risultante dalle emissioni in una particolare condizione meteo, al quale viene corredata una fonte. Le caratteristiche di questo pennacchio permettono di calcolare una misura quantitativa della fonte sufficientemente attendibile e verificabile. Con la misura, o le misure qui indicate, si arriva a definire l'emissività della discarica. Con le osservazioni e la termografia della discarica si individua con buona approssimazione l'origine o le origini delle emissioni (e se queste sono lineari, puntuali o di area - più probabili le prime o le seconde). Il risultato quindi deve essere validato per avere un riscontro oggettivo sulle misure effettuate. La validazione delle misure di emissività (quantità) può essere utilmente effettuata mediante naso elettronico accoppiato ad un sistema di rilevamento meteo (direzione ed intensità del vento) il quale misura la quantità di biogas presente nell'aria, evidentemente trasportato dall'aria, a un istante con condizioni meteo identificate, e rilevate dalla stazione. Cade pertanto il limite dell’omogeneità delle condizioni meteo in un breve periodo in quanto lo strumento può essere lasciato in posizione stazionaria per parecchi giorni per l’effettuazione delle misure. Un software a bordo del naso riconosce la fonte e indica la diluizione ed un altro software sulla stazione accoppia ai valori di rilevamento la situazione meteo nello stesso istante. Operando con tecniche modellistiche (simulazione del pennacchio in determinate condizioni) ed elaborando i dati rilevati si può, in modo relativamente facile, rispondere alla domanda qual è la fonte che genera un pennacchio di quelle caratteristiche in quelle condizioni di vento? e quindi arrivare alla validazione dei dati di emissività in termini quantitativi con valori accettabilmente attendibili e che possono essere confrontati con quelli rilevati con le misure precedentemente effettuate, validandone o meno i risultati. In questo caso si opera con una granularità temporale molto bassa (5 - 15 min) e quindi si può facilmente superare il problema della variabilità delle condizioni atmosferiche che ha costituito il più serio limite al metodo descritto all'inizio. Inoltre lasciando la stazione per alcuni giorni, ovviamente in posizione sottovento dei venti dominanti, si possono avere delle serie di dati sufficienti a creare un database utile per effettuare i calcoli in modo corretto, minimizzando gli errori. La stessa operazione, non particolarmente costosa e relativamente semplice da effettuare, permette inoltre una valutazione abbastanza corretta delle operazioni di mitigazione delle emissioni in atmosfera quali quelle di attivazione di pozzi di captazione di biogas e di chiusura delle vie di fuga del biogas stesso. *Comai Torino

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IL SISTRI E LA GESTIONE DEI RIFIUTI SANITARI TRACCIABILITÀ DEI RIFIUTI: ECCO COSA CAMBIERÀ CON LE NUOVE NORME NEL COMPLESSO SETTORE DEI RIFIUTI SANITARI di Francesca Prestinaci*

I

l Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), istituito dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare con D.M. del 17 dicembre 2009, rispondendo a esigenze di adeguamento alla normativa europea, nasce con lo scopo di: • semplificare le procedure attuali di gestione, sostituendo l’attuale sistema cartaceo basato su formulari di trasporto, registri di carico e scarico e Modello Unico Ambientale (MUD), con un sistema di informatizzazione dei processi, che consenta di conoscere in tempo reale i dati relativi all’intera filiera dei rifiuti; • rendere aggiornato il controllo sui flussi dei rifiuti, garantendo una maggior efficacia all’azione di contrasto di eventuali smaltimenti illeciti.

L A NORMATIVA: UN ITER TRAVAGLIATO Il SISTRI, sin dalla sua istituzione, ha avuto un percorso difficile nell’avvio della sua operatività. La sua entrata in vigore, prevista originariamente per luglio 2010, ha subito una serie di proroghe fino ad essere addirittura abrogato, lo scorso agosto, con il D.L. 138 recante «ulteriori disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo», per essere poi ripristinato il mese successivo con la conversione in legge del medesimo decreto (Legge 14 settembre 2011, n. 148), nella quale si prevedeva l’avvio a decorrere dal 9 febbraio 2012.

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Attualmente, a più di due anni dalla sua istituzione, il sistema non è ancora operativo e l’entrata in operatività del SISTRI, così come prevista dal D.L. 216/2011 (cosiddetto Milleproroghe), convertito nella Legge 14/2012, è slittata al 30 giugno 2012. Questo clima di attesa interessa un ampio numero di soggetti: sono più di 300.000 gli attori pubblici e privati coinvolti nella filiera dei rifiuti. Si tratta di soggetti appartenenti a settori produttivi di dimensioni e generi diversi, con una molteplicità di situazioni specifiche da disciplinare e con differente grado di propensione all'innovazione tecnologica. Tale molteplicità, in particolare, emerge se si focalizza l’attenzione sulla figura del produttore di rifiuti: a tale figura, infatti, fanno capo una molteplicità e una varietà di soggetti, sia per le differenti realtà organizzative entro cui operano, sia per le diverse tipologie di rifiuti prodotti e, se l'entrata in vigore del nuovo Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti ha registrato diverse proroghe, ciò è probabilmente dipeso anche da questo fattore. Ancora, tale complessità si riscontra restringendo il campo di interesse al settore dei Rifiuti Sanitari e alle diverse e complesse realtà in cui tali rifiuti vengono prodotti. Il settore dei rifiuti sanitari, infatti, è già di per sé complesso, sia per ciò che concerne la normativa, sia per le diverse tipologie di rifiuti che rientrano nella definizione di rifiuto sanitario, sia per la varietà di soggetti che producono i rifiuti sanitari.

In materia di gestione dei rifiuti la norma di riferimento nazionale è rappresentata dalla Parte IV del D.Lgs. del 3 aprile 2006, n. 152 (cosiddetto Codice ambientale), successivamente modificata dal D.Lgs. 205/2010. Tale disciplina può essere considerata una disciplina-quadro, in quanto la gestione dei rifiuti è oggetto di numerose altre disposizioni che, in tema di condotta generale, rinviano sempre al Codice ambientale. A fianco della normativa ambientale, altro punto fondamentale per la gestione dei rifiuti è ciò che disciplina il loro trasporto. Il trasporto di rifiuti pericolosi, oltre alle previsioni di leggi nazionali, è rimandato alle norme e ai regolamenti internazionali delle merci pericolose. Fatte salve le disposizioni in materia di rifiuti previste dal D.Lgs. 152/2006, nonché dai DD.MM. 145/1998 e 148/1998, in merito ai formulari di identificazione del rifiuto e ai registri di carico e scarico, sono applicate anche al trasporto dei rifiuti pericolosi le norme relative all’Accordo europeo relativo al trasporto internazionale di merci pericolose su strada (ADR) che vengono modificate e integrate dagli appositi comitati tecnici con frequenza biennale. In materia di rifiuti sanitari la normativa di riferimento, che va a integrarsi al D.Lgs. 152/2006, è il D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254 che, allo scopo di garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e della salute pubblica, prevede un sistema basato su criteri di sicurezza ed economicità.


Secondo quanto previsto dal D.P.R., «le autorità competenti e le strutture sanitarie adottano iniziative dirette a favorire in via prioritaria la prevenzione e la riduzione della produzione dei rifiuti. I rifiuti sanitari devono essere gestiti in modo da diminuirne la pericolosità, da favorirne il reimpiego, il riciclaggio e il recupero e da ottimizzarne la raccolta, il trasporto e lo smaltimento». Le tipologie di rifiuti disciplinati dal D.P.R. 254/2003, che rientrano nella definizione di Rifiuto Sanitario, sono varie e molteplici sia per le caratteristiche dei rifiuti in sé, sia per le diverse attività da cui originano. Nello specifico sono ricompresi: rifiuti sanitari non pericolosi, rifiuti sanitari assimilati ai rifiuti urbani, rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo, rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo e rifiuti sanitari che richiedono particolari sistemi di gestione. Rientrano nell’ultima categoria: farmaci scaduti o inutilizzabili; medicinali citotossici e citostatici per uso umano o veterinario e i materiali visibilmente contaminati che si generano dalla manipolazione e uso degli stessi; sostanze stupefacenti e altre sostanze psicotrope; organi e parti anatomiche non riconoscibili e piccoli animali da esperimento. Considerando i rifiuti in base alla loro origine, sono ricompresi: rifiuti sanitari prodotti in strutture pubbliche e private che svolgono attività medica e veterinaria di prevenzione, di diagnosi, di cura, di riabilitazione e di ricerca; rifiuti da esumazione ed estumulazione; rifiuti speciali, prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, che come rischio risultano analoghi ai rifiuti pericolosi a rischio infettivo.

Da ciò deriva che, a fianco della varietà delle tipologie di rifiuti sanitari, si colloca la molteplicità delle strutture che rientrano a buon titolo tra i produttori di rifiuti sanitari.

APPLICAZIONE DELL A NORMATIVA: POSSIBILI SCENARI

Cosa accadrà dopo l’entrata in operatività del SISTRI? Come influirà sulla complessa gestione dei rifiuti sanitari? Il D.M. 18 febbraio 2011, n. 52, successivamente modificato dal D.M. del 10 novembre 2011, n. 219 e il Manuale Operativo SISTRI, prevedono disposizioni specifiche e procedure particolari per la gestione dei rifiuti prodotti da attività sanitaria. È importante, tuttavia, capire come possano essere applicate alle diverse realtà delle strutture sanitarie che, nella maggior parte dei casi, si presentano abbastanza complesse. In particolare, si fa riferimento alle strutture che hanno distretti decentrati, come, ad esempio, ambulatori e laboratori distaccati, nelle quali la zona di effettiva produzione dei rifiuti non coincide con la struttura sanitaria di riferimento. L’art. 15 del T.U. SISTRI assimila la modalità di gestione dei rifiuti sanitari, prodotti nei distretti decentrati, a quella dei rifiuti prodotti da attività di manutenzione. Secondo quanto stabilito, la movimentazione dei rifiuti sarà effettuata dal personale dell’azienda sanitaria stessa. Tuttavia, essendo state riscontrate da parte della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome alcune criticità per la gestione dei rifiuti sanitari nell’ambito del Sistema SISTRI, il 7

luglio 2011 è stato approvato, dalla Conferenza stessa, un documento per definire un’applicazione omogenea e condivisa in seguito a un approfondito confronto tra le Regioni. Sono state perciò proposte alcune strade alternative che, garantendo la correttezza dell’applicabilità del Sistema SISTRI, tutelano al tempo stesso la funzionalità delle Strutture Sanitarie. In particolare, uno dei temi affrontati è proprio quello relativo al conferimento dei rifiuti da ambulatori decentrati e strutture assimilabili alla sede di riferimento. In questo senso, oltre alla soluzione di conferire i rifiuti «attraverso personale dell’Azienda sanitaria», così come previsto dall’art. 15, sono state proposte altre due opzioni, individuate dalla normativa nazionale che prevede la raccolta di detti rifiuti presso ciascun ambulatorio a cura di un trasportatore esterno iscritto al SISTRI, effettuata tramite microraccolta o tramite singoli conferimenti. Ciascuna struttura sanitaria avrà «la responsabilità di scegliere le opzioni applicabili alla propria organizzazione». Tali soluzioni, proposte dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, potrebbero essere estese, con gli opportuni adeguamenti, a tutte le strutture produttrici di rifiuti sanitari. L’auspicio è che il confronto sia costruttivo: considerata la molteplicità dei rifiuti sanitari e la regolamentazione del SISTRI, ci si augura che si contribuisca a rendere il sistema realmente attuabile e facilmente applicabile alle diverse realtà. *Istituto Superiore di Sanità

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LA STRUTTURA DEL CENTRO DI ROTTAMAZIONE DEGLI AUTOVEICOLI LA CORRETTA ORGANIZZAZIONE, LA SICUREZZA DELL’IMPIANTO, LE ACQUE DI DILAVAMENTO DEI PIAZZALI: LINEE GUIDA PER DEFINIRE L'ATTIVITÀ DA SVOLGERE di Rosa Bertuzzi*

U

n centro di rottamazione, in conformità a quanto indicato nel D.Lgs. 24 giugno 2003 n. 209, con recepimento della direttiva 200/53/Ce, può possedere particolari caratteristiche: ci può essere, ad esempio, un’area delimitata internamente al capannone esistente dove si effettuano le lavorazioni di messa in sicurezza e demolizione degli autoveicoli. Nello stesso capannone trovano posto gli stoccaggi di tutte le tipologie di rifiuto, decadenti dalle operazioni di messa in sicurezza e demolizione dei veicoli. Tra questi si possono trovare accumulatori, olio motore, olio di trasmissione, olio del cambio, liquido antigelo, liquido refrigerante, liquido dei freni e serbatoi GPL. Il centro di rottamazione sarà dotato di adeguata viabilità interna e spazi di manovra necessari per le varie operazioni. In questo senso la sequenza lavorativa deve seguire i seguenti criteri: • deposito autoveicoli da rottamare; • eliminazione dei componenti pericolosi degli autoveicoli, tra tutti, batteria, olio esausto, liquido antigelo, fluido di condizionamento e componenti contenenti prodotti pericolosi; • recupero pneumatici riutilizzabili; • recupero parti carrozzeria, con l'obiettivo del riutilizzo; • stoccaggio carcasse per il successivo conferimento a Centri autorizzati al trattamento.

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Il centro deve, inoltre, disporre di tutte le sicurezze previste. In particolare, l'area deve essere dotata di superficie impermeabile e gli stoccaggi dei rifiuti devono essere attrezzati con idonei bacini di contenimento, conformi a quanto indicato nella Delibera del Comitato Interministeriale 27 luglio 1984 e s.m. Infine, è necessaria la realizzazione di sistemi di convogliamento delle acque meteoriche.

Queste vasche dovranno prevedere l'installazione di pozzetti per il drenaggio di vasche di raccolta e decantazione. La normativa prevede la realizzazione di caditoie, al fine di contenere eventuali sversamenti di prodotti.


Qualora tali sversamenti si verifichino è necessario realizzare un deposito per le sostanze da utilizzare per l'assorbimento dei liquidi. L'area, infine, dovrà essere recintata lungo tutto il suo perimetro. Il centro di raccolta e l'impianto di trattamento devono essere dotati di: 1. un’area adeguata, dotata di superficie impermeabile e di sistemi di raccolta dello spillaggio, di decantazione e di sgrassaggio; 2. un’adeguata viabilità interna per un'agevole movimentazione, anche in caso di incidenti; 3. sistemi di convogliamento delle acque meteoriche dotati di pozzetti per il drenaggio, vasche di raccolta e di decantazione, adeguatamente dimensionate; 4. un adeguato sistema di raccolta e di trattamento dei reflui, conformemente a quanto previsto dalla normativa vigente in materia ambientale e sanitaria; 5. un deposito per le sostanze da utilizzare per l'assorbimento dei liquidi in caso di sversamenti accidentali e per la neutralizzazione di soluzioni acide fuoriuscite dagli accumulatori; 6. un’idonea recinzione lungo tutto il perimetro. Il centro di raccolta sarà strutturato in modo da garantire: • l'adeguato stoccaggio dei pezzi smontati e lo stoccaggio su superficie impermeabile dei pezzi contaminati da oli;

• lo stoccaggio separato, in appositi serbatoi, dei liquidi e dei fluidi derivanti dal veicolo fuori uso, quali carburante, olio motore, olio del cambio, olio della trasmissione, olio idraulico, liquido di raffreddamento, antigelo, liquido dei freni, acidi degli accumulatori, fluidi dei sistemi di condizionamento e altri fluidi o liquidi contenuti nel veicolo fuori uso; • l'adeguato stoccaggio di pneumatici fuori uso. Il centro di raccolta è realizzato con i seguenti settori: 1. settore di conferimento e di stoccaggio del veicolo fuori uso prima del trattamento; 2. settore di trattamento del veicolo fuori uso; 3. settore di deposito delle parti di ricambio; 4. settore di stoccaggio del veicolo bonificato; 5. stoccaggio dei rifiuti pericolosi; 6. settore di stoccaggio dei rifiuti recuperabili. I settori di raccolta dei veicoli trattati e di stoccaggio dei veicoli fuori uso prima del trattamento, presentando idonee caratteristiche di impermeabilità e di resistenza, ed essendo composti da pavimentazione in cemento armato isolato e lisciato al quarzo in superficie, possono essere utilizzati indifferentemente per entrambe le categorie di veicoli. Per opportunità logistica si cercherà, tuttavia, di mantenere separate le due zone.

GLI SCARICHI DEI PIAZZALI I centri di raccolta devono gestire le acque di dilavamento dei piazzali adibiti a deposito di veicoli, rispettando le prescrizioni imposte dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Le acque di dilavamento delle superfici scoperte si classificano in relazione alle attività che si svolgono. Le acque meteoriche di dilavamento sono considerate scarichi industriali e devono essere sottoposte a depurazione e autorizzazione, qualora sul piazzale industriale avvengano lavaggi di materiali o semilavorati, lavorazioni, depositi di materiali. Se questo non dovesse accadere, le acque meteoriche non sono da considerarsi scarichi e non sono richieste le relative autorizzazioni. Le acque di dilavamento, infine, non sono necessariamente considerate scarichi industriali a tutti gli effetti. Se non vengono caratterizzate dai parametri normativi, infatti, non potranno essere definite come tali. L’art. 74, lett. h) del D.Lgs. 152/06 sancisce che le acque reflue sono quelle caricate da edifici o impianti, in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni. Si tratta di acque diverse da quelle reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento. Le attività di deposito di veicoli incidentati o fuori uso è definita un’attività il cui scarico è considerato industriale. Le acque, infatti, vengono a contatto con materiale caratterizzato da agenti inquinanti e, insinuandosi nella falda, generano un danno ambientale.

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Il D.Lgs. 152/06 all’art.113 assegna le competenze sulle acque meteoriche e di dilavamento a livello regionale attendendo, in specifici casi, l’obbligo di autorizzazione per gli scarichi di acque meteoriche, la separazione e lo specifico trattamento delle acque di prima pioggia derivanti da superfici potenzialmente contaminate. Qualora la normativa regionale dovesse essere in vigore, si dovrà applicare il regime sanzionatorio specificato da quest’ultima. In genere la legislazione regionale definisce che le aziende devono procedere a sottoporre a depurazione le acque di dilavamento: dovranno, cioè, collettare le acque di dilavamento. Il piazzale deve essere dotato di pavimentazione in materiale impermeabile dotato di cordoli di contenimento lungo il perimetro e opportune pendenze per far defluire le acque meteoriche in un sistema di depurazione. In tal caso lo scarico deve essere in possesso dell’autorizzazione specifica allo scarico. In materia di legislazione nazionale, invece,

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l’art. 124 del D.Lgs. 152/06 stabilisce che gli scarichi devono essere autorizzati. L’art. 133 dello stesso decretone definisce le sanzioni amministrative. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, nell´effettuazione di uno scarico superi i valori limite di emissione o i diversi valori limite stabiliti dalle regioni, è punito con la sanzione amministrativa da tremila a trentamila euro. Chiunque apra o effettui scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie, servite o meno da impianti pubblici di depurazione, senza l´autorizzazione di cui all´articolo 124, oppure chiunque continui a effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l´autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con la sanzione amministrativa da seimila a sessantamila euro. Chi effettua o mantiene uno scarico senza osservare le prescrizioni indicate nel provvedimento di autorizzazione o fissate sarà punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da millecinquecento euro a quindicimila euro.

L’art. 137 D.Lgs. 152/06, infine, sancisce le sanzioni penali. Chiunque apra o effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con l’arresto da due mesi a due anni o con un'ammenda che varia da millecinquecento a diecimila euro. Quando le condotte riguardano gli scarichi di acque reflue industriali, contenenti sostanze pericolose, la pena è l’arresto, con detenzione da tre mesi a tre anni. Chiunque effettui uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose senza osservare le prescrizioni dell’autorizzazione, o le altre prescrizioni dell’autorità competente, è punito con l'arresto fino a due anni. *Ambienterosa, Consulenze legali ambientali


MUD E DICHIARAZIONE SISTRI: CHI, COSA , QUANDO E COME CHI DEVE PRESENTARE LE DICHIARAZIONI? IN CHE MODO? SECONDO QUALI TEMPISTICHE? IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO E LE VARIAZIONI LEGISLATIVE RECENTI di Daniele Carissimi*

C

on l’abrogazione del comma 3 dell’art. 189 del Testo Unico Ambientale (D.Lgs. 152/06) apportata dal D.Lgs. 205/10, e con l'entrata in vigore del Sistri, è stato eliminato l’obbligo per i soggetti ivi previsti alla presentazione del MUD, sostituito dalla cosiddetta dichiarazione Sistri. Questa dichiarazione, introdotta dal D.M. 17 dicembre 2009 e successivamente riconfermata dall’art. 28 del D.M. 52 del 2011, consiste – anch’essa – in una sorta di resoconto annuale circa: • il quantitativo totale di rifiuti annotati in carico sul registro, suddiviso per codice CER; • il quantitativo totale annotato in scarico sul registro, con le relative destinazioni, per ciascun codice CER; • le operazioni di gestione dei rifiuti effettuate, per le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento; • il quantitativo totale che risulta in giacenza, per ciascun codice CER. I problemi legati alla norma transitoria e alle continue proroghe del Sistri hanno ingenerato molta confusione negli operatori circa: • i soggetti obbligati; • le scadenze; • il supporto da adottare (MUD o dichiarazione Sistri); • le modalità di presentazione.

I SOGGETTI TENUTI A PRESENTARE L A DICHIARAZIONE SISTRI

Ai sensi dell’art. 28 del D.M. 52 del 2011, sono tenuti a presentare la dichiarazione Sistri i seguenti soggetti: • imprese ed enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti; • imprese ed enti produttori iniziali di rifiuti pericolosi; • imprese ed enti produttori iniziali di rifiuti pericolosi tranne imprenditori agricoli con volume di affari annuo non superiore a 8000 euro; • imprese ed enti produttori iniziali di rifiuti non pericolosi di cui all’art. 184, comma 3, lettere c), d) e g) del D.Lgs. 152/06 con più di dieci dipendenti. Restano pertanto esonerati da tale adempimento, in virtù dell’abrogazione del terzo comma dell’art. 189 nonché da quanto previsto dall’art. 28 del D.M. 52 del 2011 che fa riferimento ai soli soggetti appena citati, alcuni operatori che, prima dell’avvento del Sistri, erano invece tenuti a compilare il MUD e vale a dire: • i soggetti che svolgono a titolo professionale attività di raccolta e trasporto di rifiuti; • i commercianti e gli intermediari di rifiuti senza detenzione; • i consorzi istituiti per il recupero o il riciclaggio di particolari tipologie di rifiuti.

Rimane il dubbio, tuttavia, che tali soggetti siano stati reintegrati a partire dalle dichiarazioni riferite all’anno 2012 dal D.M. del 12 novembre 2011. Il decreto prevede, infatti, che le parole dell’art. 12 comma 1 del D.M. 17 dicembre 2009 e successive modificazioni (quindi art. 28 del D.M. 52 del 2011) “Entro il 30 aprile 2011, con riferimento alle informazioni relative all’anno 2010, ed entro il 31 dicembre 2011, con riferimento alle informazioni relative all’anno 2011” vengono sostituite con “Entro il 30 aprile 2012, con riferimento alle informazioni relative all’anno 2011, ed entro sei mesi dalla data di entrata in operatività del Sistri per ciascuna categoria di soggetti di cui all’articolo 1 del decreto ministeriale del 26 maggio 2011, con riferimento alle informazioni relative all’anno 2012”. Il D.M. 26 maggio 2011 è uno dei tanti di proroga del Sistri e, nello specifico, quello che ha previsto l’ipotesi della proroga a scaglioni. L’articolo citato, il numero 1, elenca tutte le categorie dei soggetti tenuti all’iscrizione al Sistri, cioè quelle di cui all’art. 3 del D.M. 52 del 2011. Sembrerebbe, dunque, che a partire dalla dichiarazione Sistri relativa all’anno 2012 le imprese obbligate a tale adempimento, oltre quelle precedentemente citate, siano: • i commercianti e gli intermediari di rifiuti; • i consorzi istituiti per il recupero o il riciclaggio di particolari tipologie di rifiuti;

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N O R M AT IVA

• le imprese e gli enti che raccolgono o trasportano rifiuti speciali a titolo professionale; • il terminalista concessionario dell’area portuale nel caso di trasporto intermodale marittimo; • i responsabili degli uffici di gestione merci e gli operatori logistici nel caso di trasporto intermodale ferroviario di rifiuti; • i comuni, gli enti e le imprese che gestiscono i rifiuti urbani del territorio della regione Campania.

I SOGGETTI TENUTI A PRESENTARE IL MUD Considerato quanto esposto pertanto ne risulta che il MUD rimane un adempimento per delle categorie residuali e vale a dire: • i Comuni, i consorzi di comuni e comunità montane; • i Comuni della regione Campania e comuni che aderiscono volontariamente al Sistri (l’art. 189, ai commi 4 e 5, stabilisce tuttavia che, a partire dall’entrata in piena operatività del Sistri, i comuni della regione Campania tenuti a iscriversi al Sistri e i comuni che aderiscono su base volontaria non saranno più tenuti a presentare il MUD, salvo quando previsto per le informazioni relative ai costi di gestione e di ammortamento, di cui all’art. 189, comma 3 lettera d); • consorzio nazionale degli imballaggi di cui all’art. 224 del Testo Unico Ambientale e soggetti di cui all’art. 221, comma 3, lettere a) e c) del medesimo decreto; • soggetti che effettuano le attività di trattamento dei veicoli fuori uso e dei relativi componenti e materiali; • i soggetti di cui all'articolo 13, commi 6 e 7, del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, iscritti al Registro nazionale dei produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche di cui all'articolo 14 del medesimo decreto legislativo. Tali soggetti dovranno presentare il MUD nelle modalità approvate con DPCM del 23 dicembre 2011 che introduce un nuovo modello di MUD sostituendo il modello di dichiarazione allegato al DPCM del 27 aprile 2010.

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SCADENZE Il DPCM appena citato, nonché il D.M. del 12 novembre 2011 (pubblicato in GU il 23 dicembre 2011), contiene, inoltre, delle proroghe per presentare tali informazioni. Ai sensi dell’art. 1, secondo comma del DPCM del 23 dicembre 2011, relativo al MUD, viene previsto che i soggetti tenuti alla presentazione del MUD, dovranno presentare lo stesso, in riferimento all’anno 2011, entro il 30 aprile 2012. In merito alla dichiarazione Sistri, invece, sono previste due tipi di proroghe: in relazione alla dichiarazione relativa all’anno 2011 la scadenza è prevista per il 30 aprile 2012; in relazione alla dichiarazione relativa all’anno 2012, entro sei mesi dall’entrata in operatività del Sistri, per ciascuna categoria di cui all’art. 1 del D.M. 26 maggio 2011.

MODALITÀ DI PRESENTAZIONE DELL A DICHIARAZIONE SISTRI

Ritenendo pacifiche le modalità di presentazione del MUD, che non cambiano, merita un chiarimento la presentazione della dichiarazione Sistri. Si ritiene, infatti, che sia tutt’ora valida e applicabile la Circolare del 2 marzo 2011. Tale circolare prevede che la dichiarazione Sistri possa essere presentata con le seguenti modalità alternative a scelta dell’interessato: • compilando in via telematica gli appositi modelli, che saranno pubblicati sul portale www.sistri.it; • compilando e trasmettendo alla Camera di commercio territorialmente competente, previo pagamento del diritto di segreteria e con le modalità utilizzate per la presentazione del MUD di cui alla legge n.70/94. Le Camere di commercio provvederanno a inoltrare le informazioni raccolte al Sistri e all'Ispra, deputato all'elaborazione dei dati nell'ambito del Catasto dei rifiuti. Si specifica, infine, per completezza, che tale modalità è prevista dalla Circolare solo per le dichiarazioni 2010 e per parte del 2011 (1 gennaio 2011 – 31 maggio 2011). Attese le diverse proroghe, si ritiene, tuttavia, ancora valida la possibilità di avvalersi dei due metodi alternativi per la dichiarazione Sistri relativa a tutto l’anno 2011. *Ambiente Legale s.r.l.


LIONE

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A SS O CI A Z I ON E S T UD I AMBIEN TALI

RIUTILIZZO DEI RIFIUTI DA C&D: OBBLIGHI E VANTAGGI Il riutilizzo dei rifiuti prodotti nell’attività di costruzione e demolizione costituisce un’opportunità economica per il settore, contribuisce a una riduzione notevole di risorse naturali e alla tutela ambientale ed evita sprechi e degrado. Gli inerti dell’attività di costruzione e demolizione rappresentano una componente rilevante dei materiali classificati come rifiuti speciali e la loro cattiva gestione rappresenta uno spreco di risorse e di opportunità, sia per le imprese edili che per la Pubblica Amministrazione. E’ necessaria la collaborazione tra il mondo delle costruzioni e la PA per indirizzare l’attenzione verso nuovi processi e obblighi in materia, al fine di raggiungere gli obiettivi qualitativi

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e quantitativi di riutilizzo imposti dalle norme nazionali e comunitarie. Il settore italiano delle costruzioni e la Pubblica Amministrazione si trovano a fronteggiare una nuova sfida imposta dall’Unione Europea: entro il 2020, come stabilisce la Direttiva Europea 2008/98/CE, recepita in Italia con il D.Lgs. n. 205/2010, il riutilizzo di rifiuti inerti dovrà raggiungere quota 70%. Un cammino lungo, che deve subire un’accelerazione rapida, se si considera che ogni anno vengono prodotte più di 40 milioni di tonnellate di rifiuti inerti e che la capacità di recupero sfiora a mala pena il 10%, con differenze significative tra regione e regione. Questo argomento è stato il tema di un convegno tenutosi alla Fiera di Roma il 23 marzo scorso, inserito nel calendario del focus dedicato, promosso dall’Associazione Studi Ambientali

a Expoedilizia 2012 (5° Fiera Professionale per l'Edilizia e l'Architettura) con il patrocinio e la collaborazione di Regione Campania, Regione Puglia, il CNG (Consiglio Nazionale Geologi) e CNI (Consiglio Nazionale Ingegneri). Il programma ha affrontato tematiche per contribuire ed evidenziare procedure produttive, caratteristiche di materiali e prodotti, adempimenti e obblighi di professionisti e PA, al fine di incrementare il riutilizzo degli aggregati riciclati nella realizzazione di opere dell’ingegneria civile nel settore pubblico e privato indicati recentemente dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. E’ stata inoltre occasione per illustrare i contenuti della Lettera Aperta inviata al Presidente della Conferenza delle Regioni di cui si riporta a lato il testo integrale.


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LETTErA ApErTA ALL’ILL.MO PRESIDENTE DELL A CONFERENZA DELLE REGIONI E PROVINCE AUTONOME D’ITALIA ON.LE vAscO ErrANI Roma, 15 marzo 2012 La scrivente Associazione, punto di riferimento di professionisti, tecnici e imprese che operano nel settore del recupero di macerie edilizie e rifiuti inerti da C.& D. per la produzione di aggregati riciclati, aderenti alla rete produttiva eco-sostenibile della Filiera RI-inerte, a seguito: • dell'entrata in vigore della nuova normativa in materia ambientale, che attribuisce agli Enti competenti i compiti e gli obblighi di promuovere iniziative dirette a favorire il riutilizzo dei prodotti e la preparazione per il riutilizzo dei rifiuti ( cfr. artt. 179,180,180bis e 181 del Testo Unico Ambientale); • dell'entrata in vigore della nuova normativa di settore sugli obblighi in materia e sugli obiettivi quali-quantitativi imposti dalla Direttiva 2008/98/CE, recepita in Italia con il D. Lgs. 205/2010, che impone il raggiungimento dell'obiettivo di riutilizzo, entro il 2020, pari al 70% delle quantità prodotte; • dell’avvenuta pubblicazione della Decisione CE del 18/11/2011 che istituisce regole e modalità di calcolo per verificare il rispetto degli obiettivi di cui all’art. 11, paragrafo 2, della Direttiva 2008/98/CE; • dell’obbligo, ormai consolidato, che gli Enti Pubblici, ai sensi del D.M. 203/2003, devono coprire il proprio fabbisogno, con almeno il 30% di materiali provenienti da recupero di rifiuti. Segnala l’improrogabile necessità di promuovere, redigere e applicare strumenti normativi (accordi, protocolli di intesa, regolamenti, ecc.) al fine di: a. predisporre linee guida regionali sulle modalità di gestione di macerie edilizie e rifiuti inerti prodotti nell’attività di costruzione e demolizione, con particolare riferimento ai processi di valorizzazione e recupero degli stessi, finalizzati alla produzione di aggregati riciclati; b. sviluppare azioni di supporto a Comuni ed Enti appaltanti per la redazione di capitolati di gara, finalizzati all’incremento del riutilizzo di aggregati nelle opere di ingegneria civile e contribuire così al raggiungimento degli obiettivi previsti dall’art. 181 del D.Lgs. 3/4/2006 n° 152. La presente segnalazione è coerente con le indicazioni fornite recentemente dalla seconda sezione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, che ha evidenziato tale necessità, e dalla constatazione della modesta percentuale di recupero dei predetti materiali raggiunta in Italia (circa il 10%) sulle produzioni e distante dagli obiettivi di raggiungimento previsti nei prossimi anni. Dobbiamo moltiplicare per sette tutto ciò che abbiamo fatto finora. Questa consapevolezza potrà: • produrre importanti ricadute economiche e occupazionali nel settore, che da tempo risulta costretto ad affrontare situazioni di difficoltà e crisi; • innestare un processo di contenimento e tutela ambientale con un uso sostenibile delle risorse naturali per avviare finalmente un percorso verso “la società del riciclaggio” cui mira la normativa europea in materia di rifiuti e che porterebbe ad una notevole riduzione dei costi con creazione di posti di lavoro; • facilitare il raggiungimento degli obiettivi imposti, evitando così pesanti sanzioni. Si tratta di accettare una cultura nuova, invertire il punto di vista, e per farlo, bisogna vincere le resistenze, le abitudini e dare una accelerata ai processi. La scadenza del 2020 è vicina e c’è ancora tanto da fare.

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V E TR I N A

DULEVO INTERNATIONAL & BRIGADE ELECTRONICS: TRADIZIONE, TECNOLOGIA E, SOPRATTUTTO, SICUREZZA

Dulevo è, da oltre 35 anni, il leader nel mondo delle spazzatrici industriali, coniugando tradizione, passione e tecnologia. Il marchio, al quale si deve anche l’invenzione del sistema meccanico aspirante, è oggi universalmente riconosciuto e vanta un parco macchine notevolmente differenziato: spazzatrici di tutte le dimensioni e impieghi, compattatori, veicoli multifunzione e note lavapavimenti della linea Hydro Power. Il quartier generale del Gruppo si trova a Fontanellato, nei pressi di Parma, e occupa una superficie di 200mila mq, dei quali 20mila di produzione, con impianti avanzati a livello mondiale, che costruiscono la quasi totalità dei mezzi Dulevo, esportati ovunque; nello stesso stabilimento si colloca anche la modernissima area di Ricerca & Sviluppo che studia e mette a punto i modelli del futuro. Evoluzione e innovazione continue che non hanno spostato dal focus principale: le persone. Persone che credono nel proprio lavoro, nell’azienda e nei suoi prodotti. Persone che si considerano, e sono, parte della grande famiglia, la quale, di riflesso, ricambia con grande attenzione. Persone che vengono tutelate dal punto di vista della sicurezza. Per tale ragione Dulevo equipaggia i propri mezzi (500 ogni anno) con i dispositivi più all’avanguardia. Ha stabilito, tramite una normativa interna, che tutti i veicoli stradali devono essere provvisti di kit monitor e telecamera, per garantire la massima visibilità in fase di manovra, a protezione delle persone circostanti e dei conducenti. A oggi, i mezzi stradali Dulevo sono equipaggiati con la telecamera VBV-700C e il monitor VBV-770DM. La VBV-700C può vantare un’alta affidabilità anche in condizioni di scarsa visibilità, per esempio durante le ore notturne oppure nei casi di sovraesposizione alla luce diretta del sole; l’alto grado di impermeabilità e le omologazioni EMC completano i plus del dispositivo Brigade Electronics. Il monitor digitale abbinato VBV-770DM da 7.0” presenta un’ottima visualizzazione da più angolazioni e si differenzia anche per la funzione antimanomissione, che evita violazioni, e per l’eccellente nitidezza delle immagini ad alta risoluzione e contrasto; non da ultimo, il monitor ha superato i test EMC secondo le severe ed ultime normative automotive, che ne confermano la qualità assoluta. Dulevo ha scelto come partner Brigade Electronics, azienda leader nella progettazione e produzione di sistemi di sicurezza per veicoli commerciali e industriali, dalla storia analoga. La collaborazione tra le due aziende ha portato a personalizzare alcuni dei prodotti Brigade Electronics con il marchio Dulevo, che associa ulteriormente il proprio nome alla sicurezza ed alla tutela della persone. Oltre a quelli di serie, l’azienda di Fontanellato può, su richiesta del cliente, dotare i mezzi, anche di altri dispositivi opzionali: la gamma di articoli dell’azienda inglese, vasta ed assortita, comprende allarmi con messaggi vocali, allarmi BBS-TEK per la retromarcia con suono a banda larga direzionale e a regolazione automatica del volume, sistemi di retrovisione e telecamere per l’eliminazione degli angoli ciechi e sensori ultrasonici.

JCB LANCIA CINQUE NUOVE MINIPALE

JCB completa la sua gamma di 17 minipale gommate e cingolate New Generation con il lancio di cinque modelli a sollevamento verticale. Le macchine consumano mediamente il 16% in meno di carburante rispetto ai modelli della concorrenza e consentono ai clienti un risparmio annuale nell'ordine dei 2.000 Euro. I nuovi modelli (le minipale 175, 190 e 205 e le minipale cingolate 190T e 205T) utilizzano una versione a sollevamento verticale del monobracccio JCB Powerboom, assicurando uno sbraccio ottimale alla massima altezza. La loro presentazione segue il lancio, avvenuto all'inizio di quest’anno, delle minipale 135, 155 e 150T e si vanno ad aggiungere ai nove modelli JCB New Generation già introdotti nel 2010. Le macchine sono più manovrabili negli spazi angusti e stretti e sono facilmente trasportabili da un sito all’altro, senza però sacrificare potenza, sicurezza, comfort o produttività. Esse offrono: una cabina del 46% più larga, con porta laterale per la massima comodità e sicurezza dell’operatore; accessibilità meccanica senza uguali nel settore grazie alla cabina ribaltabile; visibilità del 60% migliore della concorrenza. Le nuove minipale forniscono inoltre: comfort ai vertici della categoria; migliore accessibilità per la manutenzione; produttività massima e sicurezza senza eguali. John Patterson, CEO di JCB Nord America e Vicepresidente del Gruppo JCB, ha dichiarato che questi modelli sono stati progettati per soddisfare le esigenze di un mercato in crescita. «Con il lancio di queste nuove macchine compatte – ha detto -, offriamo ora una gamma di minipale di 17 modelli, sia gommati che cingolati con configurazioni a sollevamento radiale e verticale, che garantiscono una copertura del mercato del 97 percento. Sebbene la maggior parte di queste macchine vengano vendute nel Nord America, la domanda internazionale di minipale gommate e cingolate più piccole sta rapidamente aumentando, soprattutto in Europa e nel Medio Oriente. Con l'introduzione dei modelli compatti, JCB è nella posizione ottimale per rispondere alle particolari esigenze dei clienti di minipale di tutto il mondo». Le macchine 135, 155 e 150T sono del tipo a sollevamento radiale, che offre una migliore geometria di scavo per applicazioni di carico gravose. Grazie al minor numero di perni e boccole, le macchine a sollevamento radiale offrono ottime prestazioni in applicazioni caratterizzate da cicli intensi quali, raccolta e riciclaggio rifiuti e demolizione. I modelli 175, 190, 205, 190T e 205T offrono invece il sollevamento verticale, che assicura uno sbraccio ottimale alla massima altezza, un aspetto questo importante per il caricamento di autocarri con cassone ribaltabile e per il sollevamento di pallet.

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ITALMEK: LE NUOVE CESOIE IC 1.7 E 1.8

Progettata per essere applicata a miniescavatori e robot con peso e ingombri ridotti, la nuova cesoia Italmek IC 1.8 è stata studiata a lungo nelle forme e nei punti di leva. La cesoia ha un peso di 227 kg: la più piccola con rotazione idraulica presente sul mercato. La nuova cesoia è realizzata con acciai Ssab e con perneria e lame di materiali speciali. Può operare a livelli di pressione idraulica, tagliando materiali metallici solitamente troncati con cesoie dal peso doppio. Italmek è un’azienda attiva da cinquanta anni nel settore macchine movimento terra e da quindici anni nella produzione di attrezzature per la demolizione. Grazie a una decennale esperienza nel settore, l’azienda diretta dalla famiglia Bodei, può vantare una gamma completa di pinze, cesoie e frantumatori idraulici di qualità elevata, ottime prestazioni e costi di manutenzione minimi. Tali performance sono favorite dall’utilizzo di acciai Hardox, per ottenere la miglior capacità antiusura, e Weldox, per raggiungere il miglior limite elastico. L’impiego esclusivo degli acciai speciali Ssab e la comprovata competenza nelle procedure di lavorazione degli stessi ha permesso ad Italmek di ricevere l’attestazione Hardox In My Body. La voglia di migliorarsi sempre si traduce in costanti innovazioni, di cui la cesoia IC 1.8 è un esempio. Presentata al pubblico al Metalriciclo 2012, la IC 1.7, invece, ha un peso in ordine di lavoro di 750 kg e struttura molto robusta. Grazie alla ralla a doppio giro di sfere può essere montata al posto benna su escavatori da 7 ton fino a 13 ton. Dotata di ottime dimensioni di bocca, ma soprattutto di grande capacità di taglio che viene conferita dalle nuove linee e dalla disposizione delle lame, frutto di lunghi test sul campo. Le speciali lame consentono il perfetto taglio dell’acciaio inox contenendo l’usura a livelli normali. Tale caratteristica, senza eguali sul mercato, è stata evidenziata dalle prime unità al lavoro nei cantieri del decommissioning industriale che ha contraddistinto la cesoia Italmek da ogni altro prodotto della concorrenza, in termini di mantenimento di elevata capacità di taglio nel lungo tempo riducendo di gran lunga i costi e i fermi per manutenzione.

TRITURATORE USATO? NO, USATO CAMOTER COMMERCIALE

Nell’offerta del Service, la rigenerazione di macchine usate è un tema di grande interesse per gli operatori della movimentazione e del riciclaggio industriale. Camoter Commerciale propone un servizio, e quindi un’offerta qualificata, a cominciare dalla rigenerazione dei trituratori industriali. La permuta coincidente con l’acquisto di un macchinario nuovo è una richiesta frequente, Camoter Commerciale è da sempre aperta a questa opzione, così pure a fornire a clienti con buone prospettive, ma che temporaneamente non hanno la possibilità di un investimento per un bene nuovo, una soluzione efficiente e performante. Camoter Commerciale soddisfa tali bisogni rigenerando le apparecchiature usate del cliente e del proprio parco macchine, al fine del noleggio e della rivendita. Naturalmente questo tipo di servizio è praticato da molti commercianti di macchine attivi nello stesso settore. I servizi offerti sono, però, sostanzialmente anche molto diversi. La particolare attenzione alla rigenerazione degli usati riguarda sia la funzionalità tecnica che la sicurezza dell’attrezzatura di lavoro. La competenza aziendale riferita alle macchine, in termini di specifica conoscenza meccanica, oleoidraulica, elettrotecnica e in tema di sicurezza, consente ai clienti di acquistare beni dalle insospettabili condizioni operative, indipendentemente dall’età di servizio e dallo stato di sicurezza, superiore a quello originario. Non tutti sanno che la remise en forme delle macchine, ai fini della sicurezza, non rappresenta solo un indicatore della qualità del servizio, ma anche dovere del commerciante, per assolvere il quale sono necessari studi e competenze specifiche. Per la migliore soddisfazione del cliente, Camoter Commerciale certifica le macchine usate al fine della sicurezza sul lavoro, manlevandolo da qualsiasi eventuale inconveniente possa mai verificarsi nel proprio cantiere e garantendolo di fronte alle autorità. Sarà poi cura del cliente stesso assicurare la conformità della macchina nel tempo, secondo il proprio uso e intervenendo con controlli periodici, revisioni e aggiornamenti di certificazioni, nel momento in cui si desideri anche apportare modifiche strutturali. Camoter Commerciale è al fianco del cliente, capace anche di sostenerlo nell’espletamento degli obblighi riferiti alla formazione e informazione del personale adibito all’uso delle macchine. Un ulteriore passo in avanti riguarda la propria capacità di apportare le migliorie tecnologiche proprie dei modelli più recenti e superare le carenze dei prodotti che non rappresentano le migliori marche nel settore. In questo modo, un usato comprato da Camoter Commerciale garantisce le migliori prestazioni possibili di mercato. Affidare il proprio usato a Camoter Commerciale, o acquistare un usato, è ricevere la garanzia di un servizio che porta la macchina, verificata e collaudata, al migliore stato della tecnologia e della sicurezza. Un usato Camoter Commerciale è il frutto della passione per le cose fatte bene, della ricerca costante della sempre maggiore soddisfazione del cliente, del non accontentarsi mai, oltre che del lavoro ingegneristico progettuale e dell’efficacia di uno staff, quello della Sede di Turate, interamente dedicato all’erogazione di servizi e forniture tecniche ai settori della movimentazione e del riciclaggio. Una macchina usata rigenerata da Camoter Commerciale non ha più semplicemente il marchio del produttore: diventa una macchina di marchio Camoter, a tutti gli effetti.

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V E TR I N A

NUOVO SPETTROMETRO EDXRF PORTATILE OXFORD X-MET7500 PER L’ANALISI DEI TERRENI

Nello scorso Marzo 2012 l’azienda Inglese Oxford Instruments ha iniziato la produzione di un innovativo spettrometro EDXRF portatile ad altissime performance. Il nuovo X-MET7500 è l’ultimo nato della serie X-MET in produzione dal 2002. Fa parte di quegli strumenti portatili che negli ultimi anni hanno permesso a tecnici, anche non esperti in chimica analitica, di effettuare analisi e riconoscimento dei materiali in campo e in maniera non distruttiva. Rispetto ai precedenti modelli quest’ultimo è ancora più veloce ed accurato nell’analisi di un ampio range di materiali e di elementi. Da poche ppm ad alte percentuali. Analizza elementi pesanti (Cd, Hg, Pb, ecc.) ed elementi leggeri (Mg, Al, Si, S, ecc.) senza fare uso di accessori quali purga di elio o pompa a vuoto. Grazie alla loro massiva introduzione in alcuni settori merceologici, il costo di questi apparati è diminuito nel tempo e, se inizialmente il loro uso era limitato all’analisi di leghe metalliche, ora sono disponibili versioni pronte all’uso per analisi di interesse per la tutela dell’ambiente. Sono, ormai, un valido e collaudato strumento di screening degli elementi tossico nocivi nelle seguenti matrici: terreni, plastiche, vernici, legno, apparati elettrici ed elettronici, minerali, rifiuti ecc. X-MET7500 viene fornito completo di metodi analitici di interesse ambientale pronti all’uso: • Aluminium FPmetalli di interesse RAEE (RoHS) nelle leghe di alluminio; • Soil LE FP elementi pesanti e leggeri nei terreni: metodo adatto per lo screening di elementi pesanti fino ad un totale della loro somma pari al 10%; • Wood FP Cu, Cr, As in legno e di altri elementi; • Drywall LE FP elementi nocivi in materiali da costruzione a base gesso; • Plastic FP elementi nocivi in materiali organici; • Soil LE empirical contaminanti in terreni; • Empirical Plastic LE Pb, Hg, Cd, Br, Cr, Cl.in PE e PVC; • Pb in Paint contenuto di Piombo nelle vernici.

KOMATSU: NUOVO DUMPER ARTICOLATO HM400-3 Komatsu ha di recente presentato al mercato europeo il nuovo dumper articolato HM400-3. Caratterizzato da un sistema di controllo della trazione esclusivo e completamente nuovo, dal limitatore di velocità (retarder) automatico, dai nuovi motori Komatsu e da una cabina ulteriormente ottimizzata, HM400-3 è un dumper affidabile, confortevole, ad elevata produttività e basso costo di gestione. Con un peso totale a terra massimo di 73.740 kg, una portata utile di 40 tonnellate e una velocità massima di 55,9 km/h, questa nuova macchina ha una potenza di 473 hp (353 kW) e monta un motore SAA6D140E-6 Komatsu, certificato secondo le normative sulle emissioni EU Stage IIIB e EPA Tier 4 Interim. Costruito sulla base di una comprovata piattaforma motore, il nuovo propulsore è in grado di offrire maggiore potenza con un ridotto consumo di carburante e minori emissioni. Costruito sulla base della tecnologia “EU Stage” di Komatsu – accolta con successo dal mercato – il motore SAA6D140E-6 è in grado di garantire maggiore potenza e ridotti consumi ed emissioni. Leader nella tecnologia idraulica, Komatsu ha sviluppato sia il turbocompressore a geometria variabile (Komatsu Variable Geometry Turbocharger - KVGT) che la valvola di ricircolo dei gas di scarico (Exhaust Gas Recirculation - EGR) ad azionamento idraulico, per ottenere una precisione ancor più elevata, una migliore gestione dell'aria e una maggiore durata dei componenti. Il filtro diesel antiparticolato di Komatsu (Komatsu Diesel Particulate Filter - KDPF), grazie alla sua progettazione integrata, non interferisce con il normale utilizzo della macchina e aggiorna costantemente l'operatore sullo stato del filtro. HM400-3 presenta il nuovo sistema di controllo della trazione Komatsu K-TCS che fornisce automaticamente la trazione ottimale su qualsiasi tipo di terreno: quando le condizioni sono difficili e viene rilevato lo slittamento degli pneumatici tramite i sensori di velocità situati sulle ruote del primo e/o secondo asse, interviene il bloccaggio del differenziale interassiale. Se persiste lo slittamento degli pneumatici, i quattro freni in bagno d’olio indipendenti agiscono direttamente sulle ruote che stanno slittando per recuperare la trazione. Questo permette di ottenere automaticamente la massima trazione in qualsiasi condizione (associata alla facilità di sterzatura) e quindi di ridurre l'usura degli pneumatici stessi; il tutto nella massima facilità e sicurezza di guida per l’operatore. HM400-3 è potenziato con K-ATOMiCS — la trasmissione all'avanguardia con il sistema di controllo ottimale Komatsu. K-ATOMiCS offre una trasmissione completamente automatica - sei rapporti di marcia in avanti e 2 rapporti di retromarcia - che si avvale di un sistema elettronico avanzato in grado di eliminare i contraccolpi dovuti alla cambiata e l'interruzione della coppia motrice, ottimizzando il funzionamento e l'efficienza della catena cinematica. K-ATOMiCS seleziona inoltre automaticamente il rapporto di marcia ideale in base alla velocità del veicolo, ai giri motore e alla posizione del selettore di marcia, generando così una potente accelerazione, scalate fluide e ottime performance in salita. Grazie alla progettazione ottimizzata del cassone, HM400-3 ha maggiore capacità e carico utile. La ridotta altezza di carico di 3164 mm si abbina agli escavatori idraulici da 30 fino a 60 tonnellate, oppure alle pale gommate da 3,8 m3 a 5,7 m3. I due cilindri di sollevamento del cassone a singolo stadio forniscono inoltre un angolo di inclinazione di 70 gradi per facilitare le operazioni di scarico.

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E COA PP U N TAM E NT I

EIRE

MILANO, DAL 5 AL 7 GIUGNO

Expo Italia Real Estate, tra le più importanti fiere internazionali dedicate al settore immobiliare, si concentra sulla gestione, la valorizzazione, lo sviluppo e la riqualificazione dei patrimoni immobiliari pubblici e privati. Attraverso una manifestazione estremamente qualificata Expo Italia Real Estate è l’evento privilegiato per pubbliche amministrazioni o privati che desiderano inserirsi e farsi conoscere sul mercato immobiliare. Quest’anno EIRE introdurrà il tema dell’attrazione degli investimenti internazionali in Italia. Prosegue, infatti, l’organizzazione degli Investors’ Days, tre giorni di incontri one-to-one che coinvolgeranno oltre cento investitori favorendo il matchmaking tra le opportunità private e pubbliche, le professionalità e gli investitori italiani ed esteri. www.italiarealestate.it

SIDISA

MILANO, DAL 26 AL 29 GIUGNO

Convegno nazionale dell’ANDIS, organizzato in collaborazione con la Sezione Ambientale del Dipartimento di Ingegneria Idraulica, Ambientale, Infrastrutture Viarie e Rilevamento del Politecnico di Milano. Quattro giorni dedicati al tema delle Tecnologie Sostenibili per la Tutela dell’Ambiente. All’interno delle giornate si svolgeranno, inoltre, la nona edizione del Simposio Internazionale di Ingegneria Sanitaria Ambientale e l’undicesima edizione del Simposio Italo-Brasiliano di Ingegneria Sanitaria Ambientale. www.sidisa2012.it

BOSICON

ROMA, DALL'11 AL 14 SETTEMBRE

Terza Conferenza internazionale sulla bonifica dei siti contaminati, Bosicon è organizzato dal Centro Interuniversitario di Tecnologia e Chimica per l'Ambiente (CITCA), l'Associazione Italiana di Ingegneria Chimica (AIDIC) e il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale (DICEA) della Sapienza Università di Roma. L’obiettivo è presentare i recenti contributi scientifici e tecnici in merito alla caratterizzazione e alla valutazione del rischio, oltre alla progettazione di processi innovativi e nuove tecnologie nel campo dei siti contaminati. Parteciperanno esponenti del mondo dell'industria, ricercatori e ingegneri, provenienti da università e istituzioni. Ognuno presenterà i progressi e le idee nel campo della bonifica, del design, delle tecnologie e della gestione. www.aidic.it/bosicon

ISWA

FIRENZE, DAL 17 AL 19 SETTEMBRE

Congresso Mondiale sui Rifiuti Solidi, edizione 2012. Il Congresso ha l’obiettivo di definire l'efficacia del settore della gestione dei rifiuti per gli anni a venire. Durante i tre giorni di congresso si incontreranno professionisti, funzionari di governo, scienziati, accademici e imprese di primo piano del settore. Il Congresso è la tappa conclusiva di una serie di eventi in Italia di lavoro e preparazione sul tema, promossi da ATIA-ISWA ITALIA. Gli incontri avranno come cornice la Città di Firenze e si svolgeranno all’interno di edifici e palazzi storici. www.iswa2012.org

REMTECH

FERRARA, DALL'19 AL 21 SETTEMBRE

Si tratta di uno degli eventi nazionali più specializzati nel settore delle bonifiche dei siti contaminati e della riqualificazione del territorio. Durante i tre giorni si incontreranno realtà industriali, comparto petrolifero, settori della riconversione, imprese, pubbliche amministrazioni, ricerca e università. Vi sarà, inoltre, un’azione di promozione sul mercato internazionale, un Road Show di sensibilizzazione su quello nazionale e sessioni congressuali di elevato livello tecnico-scientifico. A un'area espositiva rinnovata e ampliata, si affiancano corsi di formazione per operatori, autorità e decision makers, prove pilota e dimostrazioni sul campo, delegazioni straniere in rappresentanza dei principali buyers, focus sull'innovazione tecnologica, premi di laurea e di dottorato, e premi speciali. www.remtechexpo.com

GEOFLUID

PIACENZA, DAL 30 AL 6 OTTOBRE

Una delle più importanti manifestazioni dell’ambito della perforazione e della geotecnica si terrà a Piacenza il prossimo ottobre. In particolare, inclusi in questi settori, sono la ricerca e lo sfruttamento dei fluidi sotterranei, le fondazioni speciali e i consolidamenti, le indagini geognostiche e le applicazioni geologiche, idrogeologiche, geofisiche, geotecniche. In questo contesto l’evento si pone l’obiettivo di essere la vetrina dell’evoluzione tecnologica e l’appuntamento biennale più qualificato per presentare con la massima visibilità la propria offerta. www.geofluid.it

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L I BR I

SERBATOI INTERRATI. INSTALLAZIONE – GESTIONE – DISMISSIONE – RIMOZIONE A CURA DI NICOLA GRILLO E PAOLO BOITANI

Geva Edizioni (pagine 110 - € 18,00) Otto capitoli per muoversi e raccapezzarsi nella giungla della gestione dei serbatoi interrati non più in funzione. In mancanza di un quadro normativo organico di riferimento, gli autori ci aiutano a capire come comportarci per la loro gestione. Il lettore viene accompagnato in tutte le fasi: dall’istallazione, fino alla loro rimozione. I serbatoi interrati, infatti, spesso possono contenere liquidi residui e fondami che in caso di perdite possono diventare una sorgente di inquinamento ambientale. Una volta cessato l’utilizzo, il proprietario deve procedere in prima persona alla dismissione, affidandosi a imprese specializzate. Come orientarsi, dunque, nel mondo della dismissione e della rimozione dei serbatoi interrati? In aiuto arrivano Grillo e Boitano, con un manuale, al tempo stesso, tecnico e normativo, ricco di allegati esplicativi e con una sezione apposita riservata alle domande più frequenti. L’obiettivo è fornire al lettore gli strumenti per farsi luce e orientarsi nella giungla tecnico-normativa che avvolge l’argomento.

g gUIDA prATIcA ALL’ADr 2011 E ALL’AUTOT ALL’AUTOTrAspOrTO MErcI

A CURA DI GABRIELE SCIBILIA E MAURIZIO MARCHI

Irnerio edizioni e servizi editoriali (pagine 384 - € 38,00) T Trasporto di merci pericolose su strada: istruzioni. Scibilia e Marchi ci fanno entrare all’interno dell’ADR 2011, l’ultima normativa che disciplina il trasporto di merci. Il manuale è diviso in due parti e grazie ad immagini, allegati e tabelle riassuntive, viene fornito al lettore un supporto nella comprensione del testo. La prima sezione dell’opera è rivolta agli addetti ai lavori e agli organi controllo. L’ L’ADR viene sviscerata in un linguaggio semplice e comprensibile. L’obiettivo degli autori è favorire una lettura divulgativa, ma senza lasciare nulla di incompiuto: all’interno di ciascun capitolo sono riportate infatti tutte le informazioni utili per approfondire la tematica trattata. Con questo meccanismo il lettore diventa parte attiva, una volta individuato l’argoil testo di interesse, dunque, viene offerta la possibilità di esaminare in modo organico e continuativo l’argo mento di lettura. La seconda parte è più operativa. La teoria è ridotta ai minimi termini, per lasciare spazio alle informazioni pratiche relative alle problematiche del trasporto. L’operatore che controlla l’l’ADR, avrà a disposizione uno strumento che gli permette di non omettere gli adempimenti collegati all’idoneità alla guida del conducente, ai titoli di guida e al rispetto della normativa.

MINI E MICRO COGENERAZ COGENERAZIONE A BIOMASSA. TECNOLOGIE E CRITERI PROGETTUALI A CURA DI ALESSANDRO GUERCIO

Dario Flaccovio Editore (pagine 133 - € 32,00) Le biomasse sono, per loro natura, energia solare concentrata e immagazzinata per un uso futuro. A differenza dei pannelli fotovoltaici e dei collettori termici, dunque, gli impianti a biomassa permettono di sfruttare l'energia del sole anche in un momento diverso da quello della raccolta. Quali sono però i criteri di progettazione di un impianto del genere? Qual è la tecnologia più indicata? E ancora, per quale motivo è auspicabile lo sviluppo di queste tecnologie? A queste domande ha cercato di rispondere Alessandro Guercio all'interno del suo manuale. Oltre agli approfondimenti tecnici e scientifici, il lavoro di Guercio approfondisce la tematica anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale. La dimostrazione è l'excursus che caratterizza il secondo capitolo, all'interno del quale l'autore centra l'argomento attraverso il grande spartiacque storico rappresentato dal protocollo di Kyoto. Alla fine del suo lavoro, l'autore abbandona la descrizione tecnica e storica, per addentrarsi nel racconto dei casi applicativi, descrivendo, cioè, le realtà italiane, nelle quali queste tecnologie sono già in funzione.

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Anno 5 - Numero 19


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GIUGNO 2012 ANNO V NUMERO 19

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GIUGNO 2012


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