Lussino47

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Quadrimestre 47- pagina 35

La casa lussignana di Marì Rode Ciriotto

Casa antica alla base del Calvario

La casa lussignana era unifamigliare, piena di luce, di aria, di comodità e dava sicurezza. Si ergeva con la sua semplicità vicino all’orto, chiamato lo “sfogo” della casa. Nell’orto crescevano le verdure e tanti fiori: le rose fiorivano in autunno e in inverno; i giacinti, le fresie e le viole rallegravano la primavera; gli astri, le zinnie e le dalie coloravano l’estate. “Lussignano….. li ricordi? Ma forse non ci facevi caso, tutto era dovuto.” Se non c’era l’orto, dalla porta della cucina si ampliava il cortile; era il cortile uno spiazzo vasto, lastricato di solide pietre con appresso magari una grande “giarola” (aiuola) coltivata in tutte le stagioni. Il cortile serviva per stendere il bucato, per un momento di riposo, per saltare con la corda, per sedere intorno al tavolo, d’estate, a cenare al fresco della sera. Al pian terreno che poteva essere un po’ rialzato si svolgeva la quotidianità della famiglia. C’era il tinello, stanza di rispetto per ricevere e per mangiare nelle grandi occasioni, perché abitualmente si mangiava attorno alla grande tavola della cucina. La cucina era il punto più animato della casa: “quante ciacole”! Perfino il cardellino dalla gabbietta alzava il tono del suo canto per accompagnare la vivacità delle conversazioni. D’inverno tutti in cucina al caldo dello “spaker”. Accanto alla cucina poteva aprirsi lo spazzacucina e poco discosto allinearsi la cantina. Questi ambienti dotati di credenze, vetrine, scaffali, moscaiole, cassetti servivano per scaricare dagli ingombri la cucina e mantenerla sempre ordinata. Ma cosa non si teneva in quei ripiani, in quei cassetti…..dagli occhiali della nonna alla scatoletta con i soldi per la spesa del giorno. Abbondavano tanti “strafanicci” in più e tutto si conservava, perché?

“Poderia servir” Uno stanzino poteva completare le necessità famigliari con la macchina da cucire e un comodo tavolo dove i ragazzi facevano le lezioni e la sarta, a giornata, lavorava. Sotto le cucine o le cantine sprofondavano le cisterne per l’acqua piovana che veniva tirata su con la pompa o col secchio. “Lussignano, ricordi quella corda che ogni tanto perdeva il secchio?” Nel cortile qualche volta si affacciava la porta della baracca. La baracca era una casetta con il focolare e un camino da dove pendeva la “comuostra” catena che reggeva il pignatone dell’acqua calda per il bucato. La baracca raccoglieva attrezzi d’ogni genere ed era adatta per arrostire il pesce. Tra tante comodità mancava il bagno, ma ogni casa aveva il gabinetto, termine che sembrava rozzo e che si preferiva chiamare con finezza “il camerino”. I “lavaman” (lavabi) completavano le necessità igieniche e si moltiplicavano dalla cucina alle camere. In qualche orto poi, nascosta magari dai rami di un “figher” (fico) si alzava, come una garritta, il camerino per l’estate, quindi non mancava neanche il secondo servizio…… Dal corridoio del pianterreno saliva una doppia scala alle stanze da letto, per vestirsi in lusso, per andare a dormire, per guarire qualche influenza invernale. Poi c’era un’altra scala che conduceva in soffitta. La soffitta era deposito di libri, quaderni, bauli, valige, mobili mancanti di qualche pezzo, vestiario in disuso, cappelli per andare in maschera, tutta roba che non si usava, ma che si continuava a tenere perché ovviamente:: “poderia servir….!.” Foto Maria Teresa Todeschini Premuda

A sinistra Leila Premuda Todeschini


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