Foglio44

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Le pinze di Mariuccia Dovi

Cartolina pasquale di Benedikt Lergetporer

Archivio ff atelli Pfeifer

L’avvicinarsi della Pasqua portava in famiglia una ventata di rinnovamento primaverile, ma rinnovava anche la nostalgia per la casa di Bucòviza o per quella di Bozàz, a seconda di chi intavolava il discorso, la nonna o il nonno! Ma era comune il rimpianto per le cappellette della Via Crucis, per la processione del Venerdì Santo, per il profumo dei pini esaltato dai primi tepori, per il panorama che si godeva dall’alto del Calvario, per il sapore delle prime “sparoghe” che si raccoglievano vicino alle masiere, per le “cancele”, i ciclamini che fioriscono a primavera, per l’ “agnelo” che, saporito come a Lussino, altrove non esiste! Passata la frenesia delle pulizie pasquali, si arrivava alla Settimana Santa e ai suoi riti religiosi e culinari. Da quando il nonno Simon aveva trovato lavoro nel cantiere che i Cosulich avevano fondato a Monfalcone, la famiglia lo aveva seguito lasciando alle spalle l’isola, che però li teneva avvinti con i ricordi e le usanze da conservare. La nonna Maria aveva trovato nella chiesa della Marcelliana un luogo di preghiera e di conforto dove, chiuden-

do gli occhi, poteva trovare l’atmosfera e il raccoglimento che provava nella chiesetta dell’Addolorata di Bucoviza. La Settimana Santa segnava l’apoteosi del suo impegno e io bambina la seguivo. Mi piaceva al giovedì partecipare alla cerimonia della lavanda dei piedi, soprattutto perché potevo mettere in azione la “barcàviza” che mi aveva fatto il nonno e con gli altri bambini partecipare al frastuono. Al venerdì veniva allestito il Santo Sepolcro: la nonna portava in chiesa le piante più belle, che insieme a tante altre circondavano Gesù disteso sulla croce ai piedi dell’altare. Soffrivo molto nel vedere da vicino quel povero corpo massacrato, ma non mi andava di baciarlo, come vedevo fare alle pie donne. Mi commuovevo sentendo cantare lo Stabat Mater e mi commuovo ancora oggi! Al sabato mattina il suono festoso delle campane ci annunciava la Resurrezione, bisognava correre svelti a lavarsi gli occhi per preservarli da chissà quali malattie, e finalmente finiva il periodo del lutto e della tristezza… e si poteva riaccendere la radio e ascoltare musica! Ma la settimana Santa comportava anche la preparazione delle pinze, altra impresa culinaria che mi ostino a riproporre! Questa è la vecchia ricetta della nonna, che io ho semplificato, soprattutto nelle dosi! 3 kg di farina; 25 rossi dfiuovo; 7 chiare; ½ kg di burro; 700 g di zucchero; 80 g di lievito. Il giorno avanti si mette ¼ di litro di Cipro, 1 cucchiaio di anici, 1 cucchiaio di coriandolo, scorza di limone e di arancia, ½ bastoncino di vaniglia in un barattolo di vetro, turandolo bene. La sera avanti si spezzano le uova e si mette nelle stesse un pugnetto di sale. Si fanno 3 lieviti: il primo alle ore 11 del giorno avanti, con del lievito di birra sciolto in ¼ di acqua tiepida, 1 uovo, 1 cucchiaio di burro, 1 cucchiaio di zucchero e 28 di farina. Il secondo lievito, non appena è levato il primo, con 56 cucchiai di farina, 2 cucchiai di zucchero, 2 di burro e uova quante ne impasta. Il terzo lievito: il giorno seguente, di buonora, si prendono le uova e lo zucchero e, dopo aver mescolato bene, vi si aggiunge il burro liquefatto e tiepido e il Cipro passato oltre un velo. Si mescola insieme il tutto per mezza ora circa. Si unisce il resto della farina e inffine il secondo lievito preso a pezzi. Si lavora per circa unfiora. Si copre la pasta e si lascia riposare per circa unfiora. Si fanno le pinze senza “domarle”; quando sono ben levate lasciarle unfiora nellfiaria.


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