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Quadrimestre 44 - pagina 15

Lussignani nella Grande Guerra Giani e Carlo Stuparich, di famiglia lussignana, medaglie d’oro al valor militare I due fratelli sono nati a Trieste da Marco Stuparich nato a Lussinpiccolo nel 1867 e da Gisella Gentilli. Allo scoppio della prima guerra si sono arruolati in Italia con il cognome di Sartori, disertando la chiamata alle armi dell’Impero austro-ungarico. Il più giovane, Carlo, nato il 3 agosto 1894, morì il 30 maggio 1916 nei pressi del Forte Corbin, nella zona del Monte Cengio sull’Altipiano di Asiago. Era sottotenente e comandava un drappello di granatieri di Sardegna che vennero uccisi dagli austriaci perché non era arrivato l’ordine di ritirarsi. Rimasto solo, Carlo Stuparich si uccise per non cadere in mano austriaca ed essere impiccato come disertore. Amava suonare il suo violino in trincea durante le pause dei combattimenti.

Il fratello Giani nato il 4 aprile 1891, negli stessi giorni del 1916 venne fatto prigioniero a Belmonte sull’Altopiano di Asiago, dopo essersi impossessato di una mitragliatrice austriaca che falciava i suoi soldati. Ritornò a Trieste, dopo tre anni di prigionia in Ungheria. Scrittore di chiara fama, morì a Trieste il 7 aprile 1961.

La difesa di Monte Cengio di Giani Stuparich Maggio 1916. Avevamo combattuto a Monfalcone, al Sabotino, a Oslavia. Dal riposo di Sammardenchia ci trasportarono col treno a Bassano; da Bassano marciammo a Marostica: fu il nostro ultimo accantonamento. Da Marostica con gli autocarri fummo portati sull’altopiano di Asiago. Non ci parevano veri quei prati, quei boschi, quell’aria fine, quelle nuvole bianche ovattate pendenti dal cielo, dopo il deserto carsico e il fango del Lenzuolo Bianco, su cui un cielo livido tutto intessuto di sibili gravava continuo e minaccioso. “Sarà una villeggiatura”, pensammo quando dalla Val Canaglia ci si affacciò sul vasto altipiano, popolato di bian-

chi paesi, gioiosi nel sole. Poco dopo, vedemmo la prima granata incendiaria scoppiare con un’alta colonna di fumo nero, in mezzo alla ridente cittadina di Asiago, ancora estatica tra il verde chiaro delle praterie e il verde scuro dei boschi. Eravamo diretti a Rozzo, ma dovemmo voltare e ritornare, oltre il ponte sull’Assa. Fummo gli ultimi a passare; il ponte minato fu fatto saltare alle nostre spalle. Avemmo la prima impressione di una ritirata. Eravamo tristi, quando smontammo dai camion. Ci si guardava come se in poche ore fossimo diventati diversi; e forse nessuno ricordava più i fiori delle ragazze di Marostica, il profumo amarognolo dei garofani.


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