Senigallia la Città Futura N°2 ottobre 2011

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Ottobre 2011

Anno I Numero 2

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la Città Futura di Marcantoni Simone

Installazione Manutenzione Impianti Idrotermici Assistenza Caldaie Condizionamento Senigallia viale Leopardi 225 tel e fax 071 7923587 cell 335 5986869

IN QUESTO NUMERO bilancio comunale piano antenne notti bianche PEAR musica Cesano vignettisti lavoro giardini Catalani area vasta storia

INTERVISTE Paci El Hasani Andreolini

di Marcantoni Simone

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Le carote sono finite di Roberto Primavera Senigallia in questi anni è sicuramente migliorata in molti suoi aspetti. Grazie all’impegno dei suoi cittadini e di una amministrazione comunale dinamica, capace di ottenere risorse e fare progetti, sia a breve che a lunga scadenza, che hanno sin qui consentito all’economia locale di rimanere in movimento. Una gestione oculata delle risorse ha permesso alla città di portare avanti programmi di recupero e riqualificazione del porto, di edifici storici, di migliorare la sua mobilità, di avviare un piano energetico e un piano del verde pubblico, di mantenere, a fatica, i suoi servizi ad ottimi livelli di qualità ed inclusione. Inoltre una campagna di promozione metodica, pluriennale ha reso Senigallia una città appetibile, da visitare e che fa parlare di sé, grazie ad una programmazione culturale e di intrattenimento non banale. Ora tutto diventa più difficile. Andatevi a leggere, nelle pagine successive, la bella intervista di Beatrice Brignone a Francesca Paci, Assessore al Bilancio del nostro Comune e capirete perché: legge finanziaria e patto di stabilità (è tutto spiegato nell’intervista) sono le mannaie che caleranno sui bilanci comunali, quest’anno più che mai, condizionando non poco l’azione di governo di

sindaco e assessori e la vita, la qualità della vita, dei cittadini. Sorvolando sulle cause generali di questa situazione, i suoi responsabili, ci interessa cercare di delineare le linee di una strategia per affrontare, localmente, una crisi che ci appare durevole. Diciamo subito che occorrerà mantenere vivo un dibattito vero tra amministratori e cittadini, per confrontare necessità e possibilità, per costruire insieme una gerarchia dei bisogni della città. Gli amministratori informino, i cittadini capiranno. La mancanza di risorse non sia un alibi per l’immobilità: Senigallia è una città bella, turistica, la si mantenga tale dando priorità alla ordinaria manutenzione, ben fatta, di strade, verde pubblico, edifici pubblici di pregio e si cerchi il coinvolgimento di tutti per continuare a renderla piacevole, accogliente; è una città con un territorio agricolo vasto e una forte imprenditoria agricola, investa nella cura del territorio e nell’agricoltura a km 0. Ma è anche una città in cui l’evasione fiscale e contributiva hanno un loro peso. Si cerchino gli strumenti per individuarli. Sono solo alcuni esempi che rientrano già tra gli impegni di questa giunta e se ben perseguiti potrebbero trasformare la crisi economica in un’opportunità di crescita e coesione sociale.

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bilancio

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Intervista Francesa Paci assessore al bilancio

Debito pubblico: Gover no scriteriato

ai comuni i maggiori sacrifici

di Beatrice Brignone

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La prima cosa che mi colpisce è la casa. Da un assessore schivo e all’apparenza austero come Francesca Paci ti aspetteresti una casa rigorosa e essenziale, magari bianca e squadrata, invece vengo accolta da un’onda di colori, stili, epoche e etnie differenti, che nel complesso trasmettono una sensazione di armonica e gioiosa convivenza di tante anime diverse. Quindi sarei portata a chiedere se è vero che la casa è lo specchio dell’anima e, quindi, come fanno a convivere tante anime insieme nella stessa casa e, magari, nello stessa persona, ma stavolta è più urgente parlare di conti di bilancio e cosa ci dobbiamo aspettare dopo che Berlusconi ha ammesso di aver messo le mani in tasca agli italiani … e quindi anche ai senigalliesi. Due anni fa partiva la corsa alle primarie che ti vedevano avversaria a Maurizio Mangialardi. Oggi hai una delega chiave nella sua Giunta e collaborate con evidente affiatamento e reciproca stima. Come si fa, in un mondo come quello politico, a sopravvivere a una competizione e diventare, per di più, ottimi compagni di squadra? redo che questo sia uno dei grandi meriti delle Primarie che, se vissute con lealtà reciproca, ti portano a vivere una sana competizione in cui ciascuno esalta le proprie differenze e i punti di forza, ma non gioca a smontare l’avversario sui suoi punti di debolezza, concentrandosi su un obiettivo comune e nella sincera convinzione che chi vincerà sarà il candidato di tutti. Questo rende facile sentirsi già da subito parte di un’unica squadra e quindi naturale fare del proprio meglio per realizzare quel progetto che si è costruito insieme nel momento della definizione di un programma condiviso. La scorsa manovra finanziaria è stata molto pesante per i comuni, e siamo stati tra i pochi a chiudere il bilancio al 31/12. Quest’anno si prevede ancor più difficile Riusciremo a chiudere il bilancio per il 31/12? E perché è così importante? nnanzitutto è importante perché è un segnale di serietà e rigore del Comune; il bilancio di previsione è un documento che, appunto, deve mettere nero su bianco quali entrate e uscite si prevedono nell’anno successivo, approvarlo in corso d’anno, con termini che arrivano anche a fine agosto, lo priva dello stesso significato di “previsionale”; i cittadini devono sapere che dal 1

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Direttore Responsabile Giulia Angeletti Direttore Editoriale Roberto Primavera Hanno collaborato a questo numero: Americo Alessandrini Mauro Morandi Leonardo Badioli Francesca Paci Leonardo Barucca Maurizio Pasquini Beatrice Brignone Roberto Polverari Attilio Casagrande Simone Ceresoni Massimo Ronchini Daniel Fiacchini Sandro Sebastianelli Alessia Girolimetti Simone Tranquilli Lucia Mazzoli Virginio Villani Editore:“La Città Futura Associazione Culturale” VIA Mamiani 27 - 60019 Senigallia(AN) C.Fisc. P.IVA 02508000425

Iscrizione al Registro del Tribunale di Ancona n° 6 dell’anno 2011 Stampa: Rotopress International srl via Brecce 60025 Loreto (AN) Un ringraziamento particolare a Leonardo Cemak che ci ha permesso di usare le sue vignette. Grazie anche a Giorgio Lucarelli, le sue le abbiamo usate senza potergliele chiedere. Siamo quasi sicuri che avrebbe detto di si

alcune situazioni per non danneggiare l’offerta turistica? scludo nel modo più assoluto che ci sia un doppio registro, men che meno la cultura del chiudere un occhio. I controlli ci sono e sono ripetuti in ogni occasione, solo che probabilmente durante la fiera sono più visibili o fanno più notizia. Certamente c’è il problema che nei giorni in cui le presenze a Senigallia si moltiplicano è molto più difficile tenere tutto sotto controllo. Tutti lavorano al massimo delle loro possibilità, ma non riusciamo ad arrivare ovunque, soprattutto a causa del gravissimo problema degli organici sottodimensionati. Questo governo ha imposto un rigoroso blocco delle assunzioni, per cui si può procedere a una nuova assunzione ogni cinque cessazioni. Anche in questo caso viene più penalizzato un Comune come il nostro che nel tempo per rispetto dei conti ha mantenuto sempre basse le spese del personale, che sono ben lontane dal tetto del 40% della spesa corrente fissato dalla normativa statale, assestandosi a circa il 26%. Si è recentemente parlato di un’ Imposta di Soggiorno, di cosa si tratta? ’imposta di Soggiorno è stata introdotta ad aprile di questo anno nell’ambito dei provvedimenti attuativi del federalismo fiscale. Molti comuni compresi in località turistiche la hanno immediatamente introdotta. Consiste in un’imposta “finalizzata”, nel senso che l’intero gettito deve essere destinato esclusivamente per riqualificare l’offerta turistica. L’importo massimo previsto è di 5 euro a notte grava sul turista, va riscosso dall’operatore che offre l’ospitalità e poi versato al comune. La nostra città ha assunto negli ultimi anni livelli di offerta turistica molto elevati, quest’anno la stagione è stata strepitosa e questo va a vantaggio non solo dei cittadini senigalliesi, ma soprattutto dei turisti e quindi del tessuto economico del territorio. Credo che sia un’ipotesi tutt’altro che peregrina chiedere al turista di contribuire a mantenere tali livelli e, laddove è necessario, a migliorarli senza che sia tutto a carico dei cittadini senigalliesi. In ogni caso quella dell’Imposta di Soggiorno è un’ipotesi ancora al vaglio, ma che personalmente mi trova favorevole. Tra i metodi per fare cassa, c’è la possibilità di utilizzare i proventi derivanti dagli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente, per cui i comuni sono portati, purtroppo, a favorire lo sviluppo edilizio. Quanto incidono gli oneri di urbanizzazione sulle nostre casse comunali? a legge offre al momento la possibilità di finanziare le spese correnti con il 75% degli oneri di urbanizzazione. Questo nei fatti comporta un incentivo per i comuni a costruire, favorendo la cementificazione e il consumo di suolo. Noi ci siamo presi l’impegno di ridurre gradualmente l’incidenza delle entrate da oneri sugli equilibri di spesa, ma con l’enormità dei tagli che ci sono la situazione è purtroppo molto difficile da sostenere senza l’incidenza degli oneri. Nel 2010 gli oneri destinati alla spesa corrente erano, in previsione, il 74,99%, anche se poi a consuntivo sono risultati il 59,61%; per il 2011 abbiamo chiuso il bilancio di previsione senza far affidamento sugli oneri, ma con l’ultima variazione di bilancio abbiamo deciso di attingervi, in misura molto contenuta, per il 24,6%, e cioè per circa 600.000 euro su un totale previsto di entrate da oneri di 2,5 milioni di euro. Per il 2012 purtroppo sarà difficile prescindere dall’utilizzo delle entrate da oneri per coprire parte della spesa corrente. I tagli dovuti alla manovra finanziaria in cosa, concretamente, incideranno nel programma dell’amministrazione. Per fare un esempio. Si è parlato molto in campagna elettorale di un nuovo asilo nido. Si potrà ancora fare? l programma elettorale rimane valido, e cerchiamo in ogni modo di rimanere saldi al principio

gennaio la macchina comunale è pronta a ripartire e come si muoverà. Inoltre, dal lato pratico è importante perché, se non si approva entro la fine dell’anno, la spesa può essere impegnata solo per dodicesimi con riferimento all’anno precedente: questo comporta un appiattirsi sull’anno precedente, con l’alto rischio di sforare. Ci aspetta un anno estremamente difficile, ma il nostro obiettivo, condiviso con tutta la Giunta, è quello di chiudere entro il 31/12 e sto lavorando a pieno ritmo per rispettare tale termine, nonostante il rischio che entro la fine dell’anno ci possa essere un’altra manovra correttiva a complicare le cose. Si parla spesso di “Patto di Stabilità”. In cosa consiste e è perche è così importante rispettarlo? ono appena tornata da un incontro con gli Assessori al Bilancio dei Comuni marchigiani. Si è chiesto, come ANCI, di produrre materiale illustrativo per spiegare ai cittadini in modo semplice un concetto così complesso, ma altrettanto fondamentale, come il patto di stabilità. Per semplificare diciamo che è uno strumento che l’Europa si è data per raggiungere il traguardo del pareggio di bilancio e la riduzione del debito di tutti i Paesi Membri. Ogni Stato deve quindi presentare il proprio programma in termini di obiettivi da raggiungere, al cui risultato concorre lo Stato, insieme a tutti livelli amministrativi e quindi anche ai Comuni. Ogni manovra impone ai Comuni un “saldo obiettivo” quantificato a priori in euro (praticamente una somma da accantonare) che è diventato insostenibile per la scelta del Governo di scaricare sui Comuni gran parte del peso del debito pubblico. Senigallia negli anni ha visto crescere in questo modo il saldo obiettivo: per il 2010 era di 1,5 milioni, per il 2011 di 2,5 milioni, per il 2012 di circa 4,7 milioni, cui vanno aggiunti 1,8 milioni di tagli ai trasferimenti. Una cifra astronomica. Ho fatto un calcolo, basandomi sui volumi di entrata e di uscita del 2011, per quanto riguarda la parte corrente, e su pagamenti ed incassi relativi ai residui attivi e passivi, per quanto riguarda la parte investimenti. Da questa simulazione è risultato uno sfondamento del patto per quasi 6,5 milioni di euro. Quello che dobbiamo fare adesso è capire come recuperare questi 6,5 milioni di euro per rientrare nel patto. E se si sfora? i sono innanzi tutto sanzioni pesantissime: il prossimo anno vedremmo tagliati i trasferimenti provenienti dallo stato per un importo pari a quello dello sforamento, ci sarebbe il divieto assoluto di indebitarsi, sarebbero bloccati gli investimenti e la possibilità di procedere a nuove assunzioni, la spesa non potrebbe superare la

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spesa media effettuata nell’ultimo triennio, dovremmo generare risparmio che non può essere speso e con ogni probabilità sarebbe necessario intaccare la spesa corrente. E come troviamo 3 milioni in più rispetto all’anno scorso ?

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a manovra finanziaria lascia poche scelte: mette a disposizione l’aumento della pressione fiscale, sbloccando l’addizionale IRPEF che può essere aumentata fino all’8 per mille, quindi una strada è quella di far pagare più tasse ai cittadini; un’altra strada è quella di tagliare gli investimenti e quindi potremmo essere costretti a rinunciare a opere che possono andare dalle infrastrutture più importanti alle semplici buche sulla strada; un’altra possibilità è la vendita di beni di proprietà del Comune, ma in tal caso per rientrare nel saldo obiettivo non basta vendere, entro l’anno il ricavato della vendita deve essere incassato. Questo comporterebbe il rischio di svendere il proprio patrimonio per la fretta di far cassa. Insomma da ogni parte la si guardi il rischio è che a rimetterci fortemente siano i cittadini, nonostante Senigallia sia un comune con i conti a posto. Non si fanno differenze tra Comuni virtuosi come è Senigallia, e comuni che non lo sono stati altrettanto, quindi, paradossalmente, chi si è comportato bene paga il prezzo più alto, perché in questi anni ha già rinunciato a molto per tenere i conti a posto. Poi c’è lo strumento della lotta all’evasione fiscale. satto. Lo Stato, con l’attuale manovra, attribuisce ai Comuni che collaborano con l’Agenzie delle Entrate, il 100% del gettito recuperato, compresi interessi e sanzioni. Ma tali somme vengono attribuite ai comuni solo quando sono state materialmente riscosse dall’Agenzia delle Entrate; tempi molto lunghi, dunque, ed esiti quanto mai incerti. La lotta all’evasione fiscale è una battaglia che noi già stiamo combattendo con convinzione e che vogliamo sviluppare ulteriormente: è una battaglia di civiltà e a difesa della legalità, non finalizzata semplicemente a fare cassa. E’ fondamentale far capire che ogni euro rubato al fisco è un euro che viene tolto a tutta la collettività, dai servizi alla persona, alla manutenzione della città. Il che è particolarmente grave in una situazione come quella che stiamo vivendo. Durante la fiera abbiamo assistito a rigorosi e ripetuti controlli con le conseguenti sanzioni. Impossibile non confrontare l’ordine e il rispetto delle regole in vigore durante quei giorni, con una sorta di anarchia presente in alcuni giorni dell’estate. E’ la fiera a essere un evento più gestibile, o si chiude un occhio in

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Costretti a tassare vendere non spendere che i servizi ai cittadini siano la prima cosa da tutelare, ma al momento ogni nuovo progetto è in stand by, e quindi anche l’asilo nido. Se poi non riusciamo a rientrare nel patto di stabilità saremmo costretti a effettuare pagamenti solo per i residui passivi e non potremmo utilizzare neanche un euro per finanziare nuove opere. Due elementi di novità del programma elettorale erano due strumenti volti a incrementare la partecipazione e la trasparenza: il bilancio partecipativo e forme sperimentali di bilancio sociale. Di che si tratta e a che punto sono? l Bilancio Partecipativo riguarda la possibilità di impegnare una parte del bilancio a finanziare opere che gli abitanti delle singole zone della città hanno concordato, tramite un percorso, appunto partecipato. Il percorso per attuarlo è già partito e in questo è stato, ed è tutt’ora determinante, il contributo de La Città Futura, che vi ha dedicato uno specifico gruppo di lavoro, a cui ho partecipato in prima persona; il gruppo di lavoro ha analizzato le esperienze già attuate in Italia, molto diverse tra loro, per capire quella che meglio si può adattare a una città come la nostra, quindi ha prodotto dei documenti e formulato proposte. Siamo pronti con un progetto, ma siamo in attesa dell’approvazione del regolamento di istituzione delle nuove realtà territoriali che prenderanno il posto delle soppresse circoscrizioni, perché ci siamo resi conto che si tratta del punto di riferimento del territorio migliore per attuare il bilancio partecipativo. Se il bilancio partecipativo è più inerente alla fase della “previsione”, il Bilancio Sociale invece fa più riferimento al “consuntivo”. Si tratta di rendere comprensibili a tutti i dati del bilancio, traducendo in esempi concreti le entrate e le uscite effettuate. Ma ancora non siamo partiti a lavorare a tale progetto. Per concludere. Di fronte ai tanti problemi da risolvere che un amministratore deve fronteggiare, c’è ancora posto per la politica, o si riduce tutto a un limitare i danni? Credi che sia ancora possibile, come dice una felice espressione di un’assessore di Torino, “tenere insieme i marciapiedi e gli orizzonti lunghi”? ndubbiamente il ruolo dell’amministratore ti assorbe completamente; risolvere i problemi, nel mio caso far quadrare i conti, diventa quindi il pensiero fisso della giornata. Come amministratore ci devi essere e devi dare risposte, devi tenere sempre a mente le aspettative della città e il disbrigo delle incombenze. Amministri la città per tutti, anche per chi ha un’idea politica diversa dalla tua.

Senigallia la Città Futura

riflessioni

Un centenario politicamente scorretto

La guer r a in L ib ia e l’impor tanza di esser el’Italia

Non solo unità nazionale, ma anche guerre coloniali nei centenari di quest’anno. Un’occasione per considerare uno scacco politico e definire un ruolo internazionale dell’Italia a partire dalla nostra singolarità culturale.

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Ma per quanto mi riguarda, sono fortemente convinta che in un momento come questo, con una manovra che ti toglie letteralmente l’ossigeno e che tenderebbe a farti essere solo tecnico, il ruolo della politica sia ancora più urgente e determinante. Perché la politica ti aiuta a determinare le priorità, e proprio nella determinazione delle priorità emerge forte la differenza tra centro destra e centro sinistra. Per noi il primo compito che ci siamo posti anche quest’anno è quello di difendere i più deboli. Quindi questo per noi è un obiettivo con precedenza assoluta, non è il momento dei grandi progetti e delle grandi opere. Questo è un momento che richiede grande sobrietà, un’estrema attenzione agli sprechi e la necessaria collaborazione di tutti. Per fare un esempio. Buona parte dell’offerta culturale che abbiamo messo in campo negli ultimi mesi, è stata resa possibile soprattutto grazie al coinvolgimento delle associazioni che hanno messo a disposizione i loro progetti e dalla collaborazione economica di tanti operatori, attraverso le sponsorizzazioni. In questo momento così difficile, la chiave di volta potrebbe essere proprio una visione collettiva della città in cui viviamo più equa e solidale, dove ciascuno deve sentirsi chiamato a dare una mano.

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di Leonardo Badioli Ilpuntodisvolta.blogspot.com Cade quest’anno un altro anniversario oltre al 150° dell’unità italiana: il 28 settembre 1911 il nostro esercito partiva per la conquista della Libia. Non abbiamo fatto molto per ricordare questo centenario; del resto è politicamente poco corretto celebrare un’impresa coloniale. O meglio, sì, qualcosa abbiamo fatto: abbiamo fatto un’altra guerra in Libia, seppure alla coda di una coalizione chiamata NATO e capeggiata dai francesi. Ecco: questo dei francesi che ci passano avanti sembra essere un tratto comune alle due guerre, malgrado le separino cent’anni. L’avevano fatto nel 1881 insediandosi militarmente in Tunisia (“schiaffo di Tunisi”), che noi italiani consideravamo quasi un prolungamento del nostro paese: rispetto al controllo del Mediterraneo, la Tunisia era strategica; l’occupazione della Libia fu per noi un ripiego. Questo non impedì al socialista Giovanni Pascoli di inneggiare al risveglio della Grande Proletaria. Una canzone di allora con enfasi vitalistica intonava: Tripoli, bel suol d’amore / sarà italiana al rombo del cannon, che lo scettico senigalliese parafrasava in: Trippoli, la pastasciutta / la magna tutta la fiola d’ Magnon. La conquista fu resa possibile a patto di lasciare mano libera alla Francia per occupare il Marocco. Cent’anni dopo, alla tradizionale inconsistenza della nostra politica estera, il capo del governo italiano ha voluto aggiungere il contributo della sua personale furbissima stupidità: basti pensare che la politica di Berlusconi verso il nordafrica faceva perno su Gheddafi e Mubarak. Questa strabiliante lungimiranza ha offerto ai francesi la copertura della quale nessun paese belligerante oggi può fare a meno: quella della guerra umanitaria, democratica e politicamente corretta. Non importa se poi ha fatto più vittime di quelle che probabilmente avrebbe fatto Gheddafi. Il colonnello libico, per noi fornitore di petrolio a prezzo agevolato e socio in molti affari, all’improvviso diventava per i francesi un tiranno da abbattere a favore di una immaginaria primavera libica. Non che il marito di Carla Bruni si preoccupasse molto di esportare la democrazia nel golfo della Sirte quando, solo tre anni fa, tentava di accordarsi con Gheddafi sulla realizzazione in territorio libico di centrali nucleari francesi: quella volta tagliando la strada ai tedeschi che avevano già avviate trattative per centrali solari nel deserto, e facendoli non poco arrabbiare. Anche Wikileaks, del resto, informò che il piano francese di attacco alla Libia era già pronto nel 2008, quando ancora non si aveva alcun sentore di una possibile nascita della libertà araba. Gli interessi che i belligeranti trasportano sui loro bombardieri sono ben riassunti da Samir Amin, economista franco-egiziano di grande autorevolezza e competenza: gli USA hanno intenzione di trasferire in Libia l’AFRICOM, il comando militare per il controllo dell’Africa, che attualmente ha sede a Stoccarda; i francesi di mettere le mani sul petrolio e “più importanti ancora del petrolio, sulle enormi risorse d’acqua sotterranee della Libia”. Quelle acque in precedenza erano previste come fonte di approvvigionamento solidale di numerosi paesi del Sahel; “ora le ben note multinazionali francesi avranno con ogni probabilità l’accesso a quelle risorse e le useranno in

modo molto più redditizio, forse per produrre agro-combustibili” (Samir Amin, Le fonti della guerra, Il Manifesto, 31 agosto 2011). e le cose stanno in questo modo, abbiamo poco da fantasticare che la prossima guerra sarà combattuta per l’acqua, perché questa “prossima” guerra sta per concludersi. E cosa ne dovremmo pensare noi italiani? come gabbati innanzitutto, dal momento che molti osservatori hanno parlato di guerra francese all’Italia per interposta Libia; ma anche e soprattutto come popolo referendario: avevamo votato già vent’anni fa contro il nucleare e ci siamo ripetuti quest’anno aggiungendo l’acqua pubblica, gestita con criteri di interesse pubblico e non sottoposti al mercato. Come non era opportuno appoggiarsi troppo al colonnello libico, così non dovevamo seguire senza condizioni l’impresa neocoloniale franco-britannica. el dubbio, come sempre, siamo rimasti in mezzo al guado. La costante incertezza della nostra politica estera, che ci fa cambiare alleanza prima di un conflitto (’15-’18) o durante (’40-’45) non è figlia d’altro che dell’incapacità dei nostri governi di adottare una politica eticamente ed economicamente autonoma rispetto a quella di potenze più grandi. Eppure dal popolo italiano arrivano continuamente flussi di indicazioni, referendarie e non, che li porrebbero nella condizione di dispiegare una politica che ci rappresenti per quello che noi veramente siamo. e i nostri governi avessero creduto vent’anni fa al voto antinucleare, e se di quel voto avessero fatto la guida della nostra politica economica interna ed estera, a quest’ora non saremmo l’ultima delle nazioni che rovinano il mondo, ma la prima tra quelle che lo possono rigenerare. Saremmo noi i primi al posto dei tedeschi nelle rinnovabili, e ci porremmo mediatori credibili della non proliferazione nucleare sulla scena mondiale. Ora noi italiani abbiamo più che confermato la nostra originalità, la nostra biodiversità culturale, alla quale contribuisce anche l’altro impegno onorevole nel quale siamo il primo traino nel mondo: quello contro la pena di morte. Noi stessi ci dobbiamo rendere conto di quanto sia importante affermare una via italiana per una migliore convivenza dei popoli, come l’hanno indicata nel tempo Cesare Beccaria, Aurelio Peccei, Altiero Spinelli, Alexander Langer e tanti altri. e oggi i nostri governi riusciranno a comprendere quanto sia economicamente e politicamente strategica la vittoria del sì alla ripubblicizzazione dell’acqua e alla dichiarazione di un suo statuto come diritto dei popoli, avranno una guida formidabile al proprio calendario politico: su quel principio occorre fondare la nostra economia intera e la nostra iniziativa internazionale. Occorre internazionalizzare i contenuti che i referendum hanno consegnato all’Italia come linea guida della sua politica. uando sentiamo del successo degli ecologisti francesi, quasi totale in campo amministrativo locale, ci rallegriamo; ma nel contempo ci chiediamo quale sia il loro impegno attuale contro la monocultura nucleare che vige in Francia, e se faranno qualcosa di importante per rendere pubblica la loro acqua dopo quella di Parigi. Avendo chiaro questo obiettivo, troverebbero forse parole migliori di quelle dei loro alleati socialisti, che pure hanno appoggiato la guerra di Sarko: un loro forte no alla prima guerra imperialistica dell’acqua farebbe bene a tutti. Anche ai francesi.

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Saline piano antenne

Corte Costituzionale: il Piano tutela la salute

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Notti bianche

Al mercato delle trasgessioni

Foto Simone Quilly Tranquilli

di Americo Alessandrini

di Simone Ceresoni

Assessore Urbanistica Comune di Senigallia Possiamo dire che il decreto del TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) delle Marche del 12 Settembre scorso, collegato alla sentenza della Corte Costituzionale del Febbraio 2011, illumina oggi, in maniera definita, la vicenda del ricorso al Tar avanzato da 24 cittadini contro l’istallazione di un impianto per la telefonia mobile nella zona del quartiere delle Saline. Il decreto del TAR, e la sentenza della Corte Costituzionale, supportano le motivazioni dell’Amministrazione Comunale, respingendo ed estinguendo, in via definitiva, il ricorso dei ricorrenti, rappresentati in giudizio dall’avvocato Roberto Paradisi. Molto brevemente ricordiamo che l’Amministrazione Comunale sin dal 2004 si è dotata di un piano di tutela della popolazione e dell’ambiente dall’inquinamento elettromagnetico, applicando pienamente le previsioni delle normative in materia. Questo piano ha due finalità: da una parte consentire l’operatività della telefonia mobile, al servizio anche della città senza fili e delle “reti”, le quali determinano, tra l’altro, percorsi virtuosi nei processi di partecipazione democratica; dall’altra promuovere, e questo

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era il primo obbiettivo, la corretta installazione degli impianti, secondo il principio di precauzione e di tutela della salute pubblica, minimizzando l’esposizione della popolazione e dell’ambiente all’inquinamento elettromagnetico. Per questi motivi sono stati individuati, e consentiti, i migliori siti (meno impattanti sulla salute pubblica e capaci di dare copertura per il servizio) nel territorio comunale di Senigallia . La sentenza del febbraio scorso della Corte Costituzionale (organo preposto a dare le interpretazioni autentiche della normativa vigente) ha sancito in modo inequivocabile che il divieto di installazione di impianti per la telefonia mobile in aree parco e/o destinate ad attrezzature sportive, al quale si appellavano i cittadini ricorrenti (tesi sostenuta, durante le sedute del Consiglio Comunale, dal consigliere comunale Roberto Paradisi), non si applica al caso di Senigallia, perché l’amministrazione comunale di questa città ha predisposto un piano di estremo rigore, che tutela in pieno la salute dei cittadini (così come richiesto dalle normative vigenti). Ciò è dimostrato anche dai monitoraggi in continuo realizzati da parte dell’ARPAM, che registrano, a Senigallia, livelli di inquinamento dei nuovi impianti di telefonia mobile addirittura vicini allo zero. La sentenza della Corte Costituzionale ha quindi reso pieno riconoscimento alla natura del piano di tutela del Comune di Senigallia. Si conclude dunque questa vicenda con una conferma: quella di un piano valido, pienamente in vigore, rispettoso della legge e che ora, finalmente, potrà attuarsi completamente, permettendo lo smantellamento e la bonifica di antenne attualmente situate in luoghi della città non appropriati (in relazione alla massima tutela della salute dei cittadini) e la loro corretta ricollocazione sul territorio comunale. La vicenda, auspichiamo, possa lasciare traccia nella memoria della collettività: gli attacchi infondati, avvenuti nelle diverse sedi (non ultima quella del Consiglio comunale) hanno avuto, oggi, una risposta che rende giustizia ad una azione amministrativa portata avanti dall’Amministrazione comunale con il solo e unico interesse di tutelare la salute e gli interessi dell’intera collettività.

La trasgressione nella società borghese moderna ha spesso rappresentato una forma di ribellione e contestazione. Lo stordimento e lo “sballo” sono stati ciclicamente anche l’espressione di una cultura elitaria, oltre alla classica forma popolare di consolazione per classi e individui che vivono situazioni di disagio: poveri, emarginati, giovani. Ma è grazie al consumismo e alla società di massa che l’eccesso è diventato prima una moda e oggi una vera e propria branca commerciale. Premesso che le distinzioni da fare tra i vari tipi di eccesso sarebbero tante, è facile constatare come una parte sempre più consistente di cittadini e di consumatori siano inevitabilmente attratti (risucchiati) da forme di gioco, di festa, di turismo, di acquisto, legate a qualche forma di “sballo”, cioè a un’alterazione più o meno marcata e pericolosa delle normali funzioni e delle normali attività individuali. Mi ostino ancora a credere che essere di sinistra, per quel che può valere in Italia oggi questa definizione, implichi alcune differenze. Mi spiego con un esempio che ci riguarda: Che significato ha la cosiddetta Notte Bianca? Tollerata, ma quasi preparata, avallata, ma quasi sostenuta, dall’attività amministrativa del Comune? Che senso ha promuovere quel rito collettivo a cui partecipano centinaia di adolescenti, quella vera e propria fiera della sbornia libera, che è la notte dei cappellini e del vomito etilico? La buona pace dei nostri ristoratori e dei grossisti di bevande? Il liberismo sociale e culturale che tende a lasciar fare un po’ tutto? Ma l’attività amministrativa di un Comune deve essere per forza svincolata da queste riflessioni? Ovvero, nel prendere decisioni amministrative, deve prevalere solo il calcolo economico? Oppure, dato che tutto è permesso o, nel peggiore dei casi, è inevitabile, tanto vale guadagnarci e farci la propria figura? Insomma la “Festa della Rotonda”, che è solo l’esempio più eclatante e quasi istituzionalizzato di una tendenza sempre più marcata delle estati senigalliesi, per tutti alla fine è diventata la sagra autogestita della sbornia libera e ribattezzata a furor di popolo Notte Bianca, cioè notte “in bianco”. Già il nomignolo allude al fatto che si può far l’alba bevendo e ballando e questo è evidentemente frutto anche delle deroghe amministrative che allungano i termini dei divieti di somministrazione di bevande alcoliche e della diffusione di musica dei locali. Risultato: anche i bagnini trasformano le loro imprese in discoteche all’aperto dove regna il decibel e il mohito fino alle 3 di notte. Senigallia diventa meta di gruppi di giovani che, provenienti anche da centri dell’interno e da fuori regione e con scorte di beveraggi stipate nei bauli delle loro auto, sciamano dal secondo pomeriggio in una città che

diventa una specie di Amsterdam alcolica. Affollano bar, locali, ristoranti e pub per tutta la notte, con le inevitabili conseguenze sanitarie, sociali e di sicurezza individuale e pubblica che a tutti sono ben visibili quella notte e la mattina successiva. Allora quello che mi chiedo è perché un Comune, il nostro, non solo non scoraggi, ma addirittura favorisca, con modifiche ai regolamenti, certi tipi di divertimento turistico sul suo territorio. D’altro canto prendiamo un altro vizio umano che specialmente a Senigallia ha sempre avuto una sua roccaforte storica: il gioco d’azzardo. Il Consiglio Comunale sta per discutere e, immagino, approvare una proposta di regolamento* che confinerebbe la sale da gioco con video poker e affini a 500 metri da scuole, chiese, ospedali, luoghi di interesse pubblico e civile. A parte l’esilarante situazione che vedrebbe infine confinare le possibilità a pochissimi spazi (la Rotonda pare resti immune dall’ordinanza: possono ancora sperare quelli che ci vorrebbero fare un Casinò), a parte la considerazione serissima che se una cosa è sbagliata non si capisce perché la si debba confinare in periferia e toglierla dal centro storico: dà una pessima impressione su cosa pensano gli amministratori della periferia. Resta da capire che genere di considerazioni etiche abbiano animato il legislatore comunale in questo caso: vuole ostacolare o dissuadere un’attività che può avere pesanti ripercussioni sociali? Il vizio del gioco d’azzardo storicamente a Senigallia vanta alcuni suicidi e la rovina di intere famiglie, ma già basterebbe il dissesto finanziario o l’alienazione di un singolo per far ricredere i fautori di questa libertà. Ma allora perché una misura così blanda che finisce solo con lo spostare, nascondere sotto il tappeto, un’attività lecita ma che spesso sconfina nell’illecito? E poi perché la sbornia sì e l’azzardo no tranne che in periferia? Ecco: vorrei sollevare il dibattito su questi temi per cercare di trovare proposte di governo cittadino più coerenti, con scopi chiari e definiti. Certo se devo suggerire dei modi per contrastare l’alcolismo giovanile o il gioco d’azzardo compulsivo, piaghe diffuse e sintomi di una società allo sballo, pardon… allo sbando, non posso che suggerire l’educazione, la diffusione di una cultura di dialogo e condivisione, la promozione di attività alternative, positive, orientate alla cura della persona, del prossimo, dell’ambiente cittadino, della cultura. Non voglio fare del facile moralismo anche perché, antiproibizionista da sempre, non credo nella battaglia contro il vizio e la malattia sociale a suon di leggi, regolamenti e controlli, piuttosto credo in progetti più complessi, meno efficaci nell’immediato forse, ma di certo più consoni alla promozione di una cultura orientata. * Il nuovo regolamento comunale sulle sale giochi è stato effettivamente approvato dal Consiglio Comunale il 28 settembre


ottobre 2011

Senigallia la Città Futura

politiche energetiche

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Lettera aperta al Presidente della Regione

Dodici obiezioni in tema di energia e di rigassificatori

di Leonardo Badioli Ilpuntodisvolta.blogspot.com

per altri 10 anni? E lo chiama un risultato positivo questo rispetto al disordine che movimenta? Si rende conto, Signor Presidente, che proprio in casa nostra ci sono sistemi più propulsivi di quello dell’API dal punto di vista occupazionale, e proprio nei settori che il Suo primo PPAR intendeva promuovere e sostenere, quello delle rinnovabili? Se volevate davvero salvare il lavoro di quelle trecento persone Lei, l’Impresa e i Sindacati non avreste dovuto abbandonare gli accordi del 2003; al contrario, avreste dovuto approfondirli in modo da prevedere il loro reimpiego in altre attività. L’avete fatto forse?

Signor Presidente,

1Perché tanta fretta?

Aveva paura di restare impigliato nel dibattito e di perdere un’occasione? L’API scappava? Il governo centrale Le faceva pressione? Tanta premura per concludere l’accordo sul rigassificatore Le guadagnerà uno speciale apprezzamento per il Suo decisionismo. Ce n’era un altro che vantava questa qualità. Usava dire: ”Noi tireremo diritto”. Lei ha tirato diritto sopra troppe cose; un dibattito appena decente avrebbe messo a nudo questioni ambientali e problemi sociali di cui Lei evidentemente non voleva sentir parlare. Eppure sono cose che toccano da vicino la vita delle popolazioni che governa, Presidente Spacca. Gliene sottoponiamo qualcuna in forma di obiezione: non a futura memoria, ma con la speranza che Lei voglia finalmente colmare questa lacuna di conoscenze, premessa indispensabile per un ravvedimento.

8E a Corinaldo che si fa?

Questo accordo per il rilancio dell’API non sovverte solo il Piano Energetico Ambientale Regionale: sovverte anche il carattere della regione marchigiana. Ché se andasse avanti anche il progetto di una centrale a turbogas a Corinaldo (al momento niente affatto scongiurata) la resa del nostro territorio ai signori dell’energia sarebbe pressoché totale. Questa regione, e questa provincia in particolare, perderebbero la loro natura misurata e operosa per trasformarsi in una centrale subcontinentale alienata e pericolosa come ce ne sono nei luoghi peggiori della terra. Vivremmo tutti dentro una grande AERCA. E’ questo che vuole?

le pare il Suo un bel regalo al governo dei 2Non piccioni?

Mancava un piano energetico nazionale, innanzitutto: un riferimento che consentisse a noi marchigiani di compiere scelte energetiche coerenti per gli aspetti strategici (internazionali e nazionali), economici (quale crescita - o decrescita più o meno felice), distributivi (come si fa, chi lo fa e dove), e non solo autoriferite o brutalmente liberistiche (l’energia che si può dovunque si può e anche dove non si può). L’assenza di un piano nazionale non ci permetteva di sapere, ad esempio, quanti rigassificatori si sarebbero fatti, 5, 7, di più; sapevamo però che due - singolare concentrazione - erano richiesti nella nostra provincia a pochi chilometri uno dall’altro. E sapevamo comunque che l’Italia è troppo gas-dipendente e che sarebbe meglio differenziare le fonti di energia. Detto fatto: questa scelta di concentrare la produzione energetica particolarmente nell’area dell’API (ossia in un’area che viene definita “a elevato rischio di crisi ambientale”) apre prospettive molto diverse da quelle che sono desiderabili da questa popolazione. Ce l’avesse imposta il governo centrale, ci saremmo battuti per fargliela cambiare. Ce le impone Lei. Bel servizio ai potenti che corrono il territorio per succhiare le sue energie lasciandogli soltanto gli escrementi. E bel servizio al governo nazionale che vuole cambiare l’art. 41 della Costituzione, quello dove è scritto che “l’iniziativa economica è libera purché non si svolga in contrasto con l’utilità sociale e non rechi danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Tolga pure la parte corsiva dalle sue decisioni. Poi magari La ritroveremo in prima fila a difendere la Costituzione del 1948 contro quelli che la vogliono affossare.

non ha confermato l’accordo del 2003 per la 3Perché riconversione dell’API?

Avevamo però una nostra politica territoriale. Avevamo un Piano Energetico Ambientale Regionale del quale Lei, nella scorsa amministrazione, ci aveva reso orgogliosi e convinti sostenitori; avevamo i programmi dell’AERCA; avevamo addirittura un accordo con l’API firmato nel 2003 nel quale si prevedeva una riconversione totale del sito e la trasformazione della mission industriale dell’API in quell’area. Allora si poteva parlare di riconversione. Dopo non più: la chiamavate ancora “riconversione” ma non era altro che un incremento di attività sopra le attuali, anzi, a loro sostegno e rilancio.

Quali risultati hanno dato i programmi messi in 4 campo contro il rischio di crisi ambientale nel territorio compreso tra Jesi, Falconara e Ancona? Non era da lì che si doveva ripartire?

Avevamo un programma per l’Area ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale (AERCA) che prevedeva un bel numero di impegni. In elenco: risanamento e tutela della qualità dell‘aria; risanamento e tutela della qualità delle acque; miglioramento del clima acustico; risanamento e tutela della qualità del suolo; riassetto idrogeologico dell’area e difesa costiera; valorizzazione e tutela delle emergenze ambientali; ottimizzazione della gestione dei rifiuti; mitigazione del rischio tecnologico; edifici strategici, infrastrutture strategiche, vie di fuga; riqualificazione territoriale ed urbana; ottimizzazione dei sistemi strategici; ottimizzazione della mobilità e delle infrastrutture; sostegno allo sviluppo socio-economico; promozione di studi e ricerche; strumenti per il supporto e il monitoraggio del Piano. Alla scadenza del programma quali sono i risultati che ne avete ottenuto? E non era da lì che si doveva partire? L’AERCA si chiamava così perché doveva rimanere tale?

E soprattutto avevamo il Piano Energetico 5 Ambientale Regionale (PEAR): possiamo ancora parlarne al presente?

Un piano energetico non dice solo quanta energia ci proponiamo

9Scenari di una possibile catastrofe

Checco Luzi di produrre, ma quale, in che modo lo vogliamo fare, e soprattutto in quale rapporto col territorio. Il PEAR si articolava su due assi principali: risparmio energetico e fonti rinnovabili, e affermava un criterio distributivo importante: produzione differenziata, diffusa e non concentrata, in ragione delle necessità e del controllo locale. E’ ancora così dopo l’accordo sottoscritto che prevede attorno all’API e forse anche oltre l’API una concentrazione produttiva assolutamente fuori misura rispetto a quelle previsioni? A noi sembra di no. In particolare, il PEAR consentiva la possibilità di trasformare il polo della raffinazione - l’API appunto - in un polo di produzione di energia all’interno del dimensionamento previsto per un decremento delle emissioni complessive: centrali di 100-120 megawatt, non certo per i 520 + 60 proposti dall’API, che vanno oltre le necessità regionali e che rispetto a quelle si configurerebbero come un’eccedenza. Se l’API fosse stata disponibile a riconvertirsi alla produzione di energia all’interno delle previsioni del PEAR e delle necessità regionali, non ci sarebbero state obiezioni. Invece l’API non si adegua ai piani predisposti dal governo regionale, e nemmeno li discute: li cambia. In questo senso, signor Presidente, Lei sembra essere più governato che governatore.

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Perché poi salvare l’API?

L’API denunciava negli ultimi anni perdite di 4 euro al barile nell’attività di raffinazione, che fanno 20 milioni di euro all’anno. Attribuiva questo calo alla concorrenza dei raffinatori dei paesi emergenti. Non stava sul mercato, dunque. Ed è vero che in Italia le raffinerie lavorano oggi con margini minori rispetto agli anni passati, tanto che l’intero settore andrebbe ripensato. Nel caso dell’API, però, probabilmente le perdite (ammesso che siano “perdite” e non minori utili) dalla raffinazione verrebbero compensate dagli utili provenienti dall’attività del rigassificatore. Perché dunque fornire il polmone artificiale del rigassificatore a un’azienda la cui crisi sembra essere non temporanea, ma crisi di futuro? Oltretutto un aiuto pubblico così consistente non troverebbe spazio nel quadro delle regole comunitarie sulla concorrenza che riguardano gli aiuti alle aziende in crisi. Nel caso specifico l’aiuto pubblico crea disparità: quante aziende in crisi, di dimensioni anche importanti, sono state di fatto abbandonate perché non sono l’API?

7L’occupazione non è una foglia di fico

Se volevate difendere il posto dei 300 occupati dell’API perché non avete predisposto un programma di riassorbimento di quella manodopera in altro genere di produzione? Ci dispiace, Presidente, ma la Sua particolare sensibilità per il problema occupazionale alle nostre orecchie suona cioccio. Magari potranno ringraziarLa i 300 occupati dell’API per avere preso così a cuore la loro situazione; ma cosa penseranno le migliaia di ex-occupati nei posti di lavoro che Lei non ha nemmeno provato a difendere? Le loro vite valgono di meno? RingraziarLa poi per cosa: per averne garantito il numero

E’ sicuro, signor Presidente, di avere valutato tutti i fattori di rischio ambientale? Di quelli si è parlato così poco - e solo da parte di oppositori individuali e comitati - da far pensare addirittura che Lei non li conoscesse. In realtà c’è poca letteratura perché i rigassificatori nel mondo sono pochi e di recente realizzazione. Succedesse che per qualche incidente il gas liquido contenuto nel rigassificatore si versasse in mare, tornerebbe allo stato gassoso molto rapidamente. Infatti l’acqua di mare ha una temperatura molto più elevata di quella del gas liquefatto (- 162° C) e, data la elevatissima capacità dell’acqua di scambiare calore, fornirebbe al gas liquefatto una quantità di calore enorme in un tempo molto breve. Il gas liquefatto aumenterebbe allora la sua temperatura e si espanderebbe in modo rapido e violento. Ne seguirebbe facilmente un’esplosione senza fiamma di proporzioni corrispondenti alla quantità di liquido sversato, che con molta facilità arriverebbe a terra. Non è mai successo. Ancora. La nave rigassificatrice sarà molto controllata. E se batte bandiera delle isole Cayman come la controlla? La fanno salire? Immagina Lei come può essere l’equipaggio di una simile nave? Ci troverebbe dentro anche Johnny Depp!

10Scene da inquinamento quotidiano

Se l’API farà le nuove centrali da complessivi 580 megawatt sverserà in mare ogni anno un miliardo di metricubi di acqua calda (oggi ne sversa 500 milioni) che non è semplice acqua calda, ma è acqua trattata con biocìdi. Se poi parliamo di rigassificatore, oltre all’accumulo di biocidi avremo uno shock termico, trovandosi l’API a sversare acqua calda accanto ad acqua raffreddata nel processo di rigassificazione. L’ISPRA per il rigassificatore di Trieste mette in guardia in maniera molto preoccupata sia sui biocidi che sugli shock termici. Credo che lo stesso sia assolutamente improponibile a Falconara: nessuno studio e nessuna valutazione sono venuti da parte del soggetto proponente né sui biocidi (non vengono dichiarate le quantità) né sugli shock termici.

11Non è questa la regione che vogliamo

Ora Lei vorrà ancora difendere a parole quel PPAR che nei fatti ha già smentito, signor Presidente. Non le sarà facile. Perché in fin dei conti sono cose semplici da dire e da capire. Se sceglie il turbo-gas significa che non sceglie le rinnovabili. Noi Le abbiamo indicato alcuni fattori umani e ambientali che dovrebbero guidare queste scelte. Lei ha considerato come prioritari quelli dell’occupazione. Benissimo. Ma l’occupazione, presente e futura, è nella green economy, non nel tutto-gas. Se invece di riconvertire l’API si riconverte Lei, vuol dire che è un uomo del Novecento, uno che guarda all’indietro. Vuol dire che non vuole bene ai giovani e non vuole bene alla terra e alle persone che governa.

l’impianto non è fatto, si può tornare sulla 12Finché retta via…

…e anche dopo, ma con maggiori spese. Ci pensi bene, Presidente: corregga intanto quell’idea abnorme che vorrebbe addirittura Regione Marche socia del rigassificatore per il 30%. “Per controllare dall’interno”, si disse dalla parte Sua. “Per coinvolgersi fino al midollo”, diciamo noi. Per fare bilancio. Lasci stare, Presidente Spacca: se le è più familiare un discorso di soldi, tenga conto che i prestiti che chiediamo alla natura sono solo all’apparenza agevolati dalla sua arrendevolezza. Quando poi arriva il momento la natura si ripaga da sola. Voglia dunque evitare di contrarre un così pesante debito verso il futuro. E’ già futuro e Lei non se ne è accorto. Il paese si regge meglio senza iperboli energetiche. E alla crisi diamo finalmente la risposta più giusta, e quella più umana: una volta la chiamavamo “autoregolazione”.


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sindacati

Senigallia la Città Futura

ottobre 2011

Intervista doppia Andreolini CISL - El Hasani CGIL

La disoccupazione giovanile Maurizio Andreolini di Alessia Girolimetti

precisi partiti politici? Andreolini- L’unità è il problema attuale del mondo sindacale. Nell’immaginario collettivo si è formato un duopolio sindacale in cui ci sono due sindacati che appoggiano due parti politiche. Non è così. Noi abbiamo sempre ribadito la nostra autonomia politica e la necessità che il ruolo sindacale sia svincolato da quello politico. Al momento la difficoltà è quella di trovare dei momenti di unità assieme alle altre confederazioni. Il 28 giugno, con un accordo nazionale firmato da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, sembrava che si prospettasse un punto di partenza per una nuova unità sindacale. Purtroppo questa manovra di agosto ha riportato la Cgil ad un arroccamento verso politiche conflittuali, senza coinvolgimento delle altre confederazioni. La Cisl aveva proposto, invece di uno sciopero generale il 6 settembre, una grande manifestazione nazionale il sabato mattina, che avrebbe avuto dal punto di vista dell’impatto sul governo sicuramente lo stesso effetto ma non avrebbe provocato una decurtazione delle retribuzioni del mese di settembre dei lavoratori che avessero partecipato allo sciopero. La Cgil non ha recepito questa proposta e ha voluto indire lo sciopero generale senza un nostro coinvolgimento. Speriamo che questo sia stato l’ultimo sciopero generale fatto in solitaria, speriamo in momenti di confederalità più alti. Se a livello nazionale ci sono delle divisioni, garantisco che a livello locale c’è un’unità di intenti completa e una totale condivisione degli obiettivi.

Considerata la preoccupante situazione economica e la crescente disoccupazione giovanile abbiamo ritenuto interessante intervistare Maurizio Andreolini, Segretario della Cisl di Senigallia e Mohamed El Hasani, Segretario della Cgil di Senigallia. Le interviste sono state fatte separatamente. I problemi del precariato e della disoccupazione riguardano in misura diversa tutti. Perché i giovani laureati fanno così tanta fatica in Italia a trovare un’occupazione, anche non stabile, che si adegui alle loro aspirazioni? Siamo davvero in troppi a laurearci? Maurizio Andreolini- Non c’è una sola causa responsabile di questo fenomeno. C’è da un lato un numero di studenti più alto e un’offerta maggiore di laureati e dall’altro le imprese stanno vivendo un periodo di crisi fortissima e quindi cercano di abbassare il costo del lavoro. Le imprese cercano di avere delle prestazioni lavorative ad un prezzo più basso possibile, quindi chi ha una formazione professionale di un certo livello fa più fatica ad entrare nel mondo del lavoro. Mohamed El Hasani- Dipende da due fattori principali. Il primo risale a quando l’Italia ha deciso di investire meno sulla ricerca, l’innovazione dei prodotti, l’università e tutto quello che è formazione. Questo ha creato meno occasioni di lavoro per chi possiede un alto titolo di studio. L’altra causa principale è stata l’intervento sulle regole del mercato del lavoro attraverso l’introduzione di un principio sacrosanto dal punto di vista sindacale che è la flessibilità; in Italia però la flessibilità è stata resa sinonimo di precarietà. È giusto che ci sia una certa flessibilità nel mondo del lavoro perché oggi siamo in un’epoca in cui non c’è più la catena di montaggio. il problema in Italia è l’abuso diffuso da parte dei datori di lavoro che ne hanno distorto il significato. Secondo me un’ora di lavoro flessibile dovrebbe costare almeno il 40% in più rispetto a un’ora di lavoro non flessibile. Questo aumento di prezzo non risolverebbe il problema ma ne limiterebbe l’abuso. In Italia i laureati sono molti meno che nel resto d’Europa e non superano il fabbisogno. Se i dati dicono che c’è carenza di medici, di ingegneri, di infermieri, ecc.. vuol dire che ci sono meno laureati rispetto a quelli che potenzialmente richiederebbe il mercato del lavoro, e che nemmeno quelli trovano lavoro perché sono stati tagliati i budget per le assunzioni. Secondo un’indagine Istat a dicembre 2010 il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è salito al 29%. Quali sono secondo lei le politiche che un buon governo dovrebbe mettere in atto per far fronte ad un tasso tanto alto di disoccupazione giovanile? Andreolini- Le nuove norme sull’apprendistato sono importanti e favoriscono l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Da un lato servono quindi politiche dello Stato che favoriscano l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro (una di queste è l’apprendistato professionalizzante, dove c’è un abbattimento dei costi del lavoro), dall’altro serve una politica delle imprese vera, che punti sui giovani e non continui a chiedere a chi va in pensione se può aspettare ancora qualche anno. Più tardi si esce dal mondo del lavoro e più tardi si da la possibilità ai giovani di entrarci; è un po’ un cane che si morde la coda. È chiaro che le politiche che puntano ad aumentare l’età lavorativa non favoriscono l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. El Hasani- Bisognerebbe lasciare agli enti locali la possibilità di innescare piccoli appalti che favoriscano una ripresa locale; questo consentirebbe di sbloccare tanti soldi che alcuni Comuni virtuosi come Senigallia non riescono a spendere perché così è stato deciso da Tremonti. Lo Stato poi deve fare un piano energetico nazionale che favorisca le fonti rinnovabili di energia, creando moltissime opportunità di lavoro. Il terzo filone è quello di cui parlavo prima: investimenti in università, ricerca, innovazione e qualità dei prodotti. Queste sono le tre cose che un buon governo dovrebbe fare per favorire l’occupazione in generale e quella dei giovani in particolare. Vorrei chiedere ora quali sono le misure che il vostro sindacato ha attuato e attuerà. Quali accordi avete raggiunto e quali sono in cantiere a livello locale? Andreolini- A livello locale si cerca di fare accordi applicativi delle leggi nazionali sull’apprendistato, che favoriscono l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e danno la possibilità alle imprese di abbassare il costo del lavoro. È per questo che cerchiamo di coinvolgere le associazioni datoriali tra cui Confindustria,

Confartigianato, Cna, affinché ci siano degli organi datoriali che recepiscano gli accordi nazionali. Uno degli accordi principali, che poi è stato recepito dalla normativa, è quello sull’apprendistato. Noi pensiamo che sia fondamentale il momento dell’inserimento nel mondo del lavoro, per cui tutte le politiche che possano agevolarne l’ingresso sono benvenute. Bisogna avere politiche che sostengono le imprese, senza penalizzare i giovani. La nuova normativa prevede che al termine dell’apprendistato ci sia la conferma dell’apprendista tramite un contratto determinato, e che una percentuale di apprendisti siano riconfermati come lavoratori subordinati. Noi abbiamo purtroppo preso atto che ci sono imprese in cui gli apprendisti sono una percentuale fissa e costantemente presente, per cui succede che l’apprendista fa tutto il corso dell’apprendistato, poi non viene confermato e subentra un nuovo apprendista. Le leggi comunque non potranno mai coprire tutto; deve scattare un senso di responsabilità, una mentalità, una nuova cultura che non preveda solo di sfruttare i giovani, ma di crescerli e premiarli con contratti a tempo determinato non appena finito l’apprendistato. La filosofia con la quale nascono certi contratti è positiva. Ecco perché chiediamo alle istituzioni attraverso gli ispettori del lavoro un controllo più stretto di questi strumenti, perché una mentalità la si cresce sia con il dialogo continuo che tramite un controllo severo, che sorvegli che ne venga fatto un uso conforme alla normativa. El Hasani- A livello nazionale abbiamo fatto cinque scioperi generali negli ultimi due anni, come è consentito ai sindacati in un paese democratico. A livello locale non ci sono tavoli aperti di confronto e il Comune non ha materia di contrattazione sul lavoro. Però posso dire che in occasione del fondo di solidarietà è nata una diatriba e la Cgil non ha sottoscritto quell’accordo che tutti gli altri (Cisl, Uil, Confartigianato, Cga, Cna) hanno sottoscritto per consentire l’utilizzo del voucher. Abbiamo così ottenuto dal Sindaco che l’utilizzo del voucher fosse limitato solo all’esaurimento di quel fondo; non è dunque più consentito al Comune di assumere con voucher, perché questo era il rischio. Siamo contenti che il Sindaco abbia recepito la nostra tesi. Il voucher per legge non legato a ore, ma a una prestazione giornaliera; gli altri hanno ottenuto che valesse un’ora e mezzo di lavoro. Il punto non è la tariffa, ma se si possa consentire o meno a un Comune o a un ente locale di assumere con i voucher. La normativa oggi lo consente. A questo proposito la posizione di Cisl e Uil di Senigallia è in contrasto con quella degli stessi sindacati a livello provinciale. C’è stato un accordo a livello provinciale tra Uil, Cisl e Cgil che stabilisce che il voucher non può essere utilizzato dagli enti locali. Perché in una situazione tanto lacerata i sindacati spesso non sono uniti e sembrano sempre più appoggiare le idee di

El Hasani- Io penso che l’unità sia un valore in sé, ma l’unità si misura sui contenuti. Sono consapevole che essendo tre entità diverse non ci può essere un’unità di veduta completa, altrimenti saremmo stati un sindacato unico. Secondo noi Cisl e Uil sono andati molto oltre i limiti che un lavoratore dipendente possa sopportare. Parlo delle novità del collegato al lavoro per esempio: al lavoratore che subisce un torto di fatto è stato tolto il diritto di rivolgersi alla magistratura o al pretore del lavoro. Come si fa a costruire un’unità sindacale anche su questi punti? Come si dovrebbe comportare un giovane alla ricerca di occupazione di fronte ad offerte di lavoro in nero, contratti a progetto ripetuti, contratti a chiamata, voucher ….? Andreolini- Non deve arrendersi e la fiducia non deve venire meno nonostante i momenti bassi. Deve cercare di evitare in maniera collettiva che ci sia l’accettazione di questi contratti. Si deve rivendicare il lavoro subordinato e non contratti diversi da questo. Poi magari in certe occasioni può essere utile un contratto a progetto perché veramente si fa un lavoro a progetto. Deve cercare di rimanere nella legalità e rifiutare i compromessi. È difficile perché deve essere un’azione collettiva e deve scattare anche da parte dei lavoratori una cultura della legalità. Ci si deve muovere, spostare in altre parti d’Italia o anche fuori se necessario, svincolandosi dalla vecchia mentalità. Qui a Senigallia poi non c’è un grande dinamismo del lavoro perché è una città turistica e il turismo è di per sé precario. El Hasani- I giovani devono prendersi cura dei loro interessi e bisogna che si informino, pressino la politica, il sindacato, prendano posizione, partecipino al dibattito che in Italia è aperto come in tanti altri paesi e non devono delegare agli altri ciò che loro dovrebbero fare di persona. Devono prendere coscienza, consapevolezza, e fare. Non è possibile ancora delegare a qualcuno e aspettare che il governo possa dare un lavoro stabile. Penso che l’Italia sia arrivata a questo punto anche perché le generazioni, forse a partire dalla mia, hanno delegato molto, protestando senza essere coinvolti nel processo di costruzione. Basta vedere quanti giovani ci sono in parlamento: questo è un indice di rinnovamento. Cosa pensa dei voucher in particolare? Andreolini- I voucher sono uno strumento nuovo che nell’ultimo periodo è stato usato in modo anche non conforme. Può essere un’opportunità in alcune realtà, per studenti lavoratori per esempio e in generale in alcune realtà dove si richiede una prestazione lavorativa molto limitata. Non può essere una forma di pagamento strutturale di una prestazione lavorativa ordinaria. Ha diversi difetti. Il voucher che costa 10 euro non è legato a una prestazione lavorativa temporale, dal punto di vista contributivo poi, viene erogato un contributo all’Inps onnicomprensivo troppo limitato, di 2,50 euro. Ecco perché deve essere funzionale solo a lavori sporadici e occasionali. Deprechiamo l’abuso. Sappiamo che ci sono aziende che hanno individuato nel voucher una soluzione ai loro problemi. Abbiamo poi voluto limitare l’utilizzo dei voucher all’interno di uno strumento come il fondo di solidarietà che serviva come boccata di ossigeno per chi aveva perso il lavoro e non aveva ammortizzatori sociali. Noi con un accordo abbiamo studiato uno


Mohamed El Hasani

Senigallia la Città Futura

lavoro

“ Il ruolo del sindacato è quello di dare

dignità al lavoro, non alla prestazione lavorativa. Dentro la parola lavoro è insita la dignità della persona umana

strumento che condividesse l’utilizzo dei voucher con dei paletti, in termini di valore orario (un’ora e mezzo) e di termine massimo temporale (6 mesi). El Hasani- Il voucher è la legalizzazione del lavoro in nero. La prima cosa che mi hanno insegnato nel mondo del lavoro venendo in Italia è la differenza tra lavoro in nero e lavoro in bianco. Il lavoro in bianco significa che si ha uno stipendio contrattuale, si hanno le ferie, quando si è in malattia l’Inps la paga, si hanno i contributi pagati per un’eventuale pensione di domani, se si subisce un infortunio c’è l’Inail, si hanno la maternità, gli assegni familiari, le detrazioni fiscali, c’è un orario di lavoro giornaliero, settimanale, mensile. Se tutto questo non c’è allora si parla di lavoro in nero. Con il voucher tutto ciò non c’è e io lo chiamo lavoro in nero, legalizzato perché lo Stato dice che si può utilizzare. La condizione di precario e ancora di più quella di disoccupato rende depressa la persona che la vive. Un’indagine Eures del 2009 attesta che quasi un disoccupato al giorno si suicida in Italia. La componente emotiva del problema è spesso sottovalutata. Il lavoro riveste quindi, inutile dirlo, un ruolo essenziale per sentirsi parte di una società. Possiamo ricordare quale dovrebbe essere il ruolo di un sindacato? Andreolini- Il ruolo del sindacato è ovviamente quello di difendere il lavoro. Se la nostra Repubblica è fondata sul lavoro il sindacato deve difenderlo, sia in termini di quantità, sia di dignità. Non deve essere una sorta di schiavismo, in cui ci sono equilibri sbilanciati a favore del lavoro, ma ci deve essere una quantità di lavoro effettivamente necessario per tutti i lavoratori. È questo il problema italiano. Senza crescita non c’è possibilità di dare lavoro a tutti e non c’è possibilità di dare una vita dignitosa, perché la realizzazione della persona passa attraverso il lavoro. Se non c’è lavoro si rischia di perdere dignità e senso di appartenenza alla comunità. La nostra missione è di dare via libera a tutte le politiche che possono accrescere la quantità di lavoro offrendo una copertura normativa che dia dignità al lavoro stesso. El Hasani- Il lavoro è dignità, non è solo un aspetto sociale e uno scambio tra lavoro fisico o intellettuale e un salario; è dare una

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Voucher

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dignità e un senso alla vita della persona che lo presta. Se non si lavora si è umiliati perché non si riescono ad affrontare le problematiche della vita e dall’altra parte si è soggetti deboli perché si deve chiedere aiuto ad altre persone per far fronte ad esigenze primarie. Il ruolo del sindacato è quello di dare dignità al lavoro, non alla prestazione lavorativa. Dentro la parola lavoro è insita la dignità della persona umana. Lavoro significa prestazione lavorativa adeguata, salario adeguato, diritti e doveri. Il sindacato ha il compito di valorizzare tutto ciò rendendo i contratti nazionali aderenti ad una determinata categoria e settore produttivo, garantendo uguaglianza a parità di lavoro, parità di salario in tutta la penisola, assicurando che a parità di crescita di formazione consegue una crescita professionale. Le pari opportunità dovrebbero essere di tutti, non di pochi; questo è il ruolo del contratto nazionale. A livello decentrato ci vuole una redistribuzione della produttività che si genera all’interno di un’azienda per tutti quelli che hanno partecipato ad avere questo aumento di produttività. La differenza tra noi e la Cisl è che noi rivendichiamo la centralità del contratto nazionale del lavoro, loro dicono che il contratto aziendale (questo sta nell’ultima finanziaria, nell’art. 8) può andare in deroga alle leggi e ai contratti nazionali. L’abbiamo visto e vissuto in Italia col contratto agricolo. Nel ‘95 si è sperimentata una forma che desse ai contratti decentrati agricoli una forza molto maggiore dei contratti nazionali, che diventavano così solo una cornice. Io questo contratto l’ho gestito per 9 anni, perché prima di venire qui ero Segretario regionale dell’agroalimentare. La contrattazione ha visto dal ‘95 in avanti un divario salariale tra i lavoratori agricoli di ogni Provincia, a parità di mansione e a parità di contenuto professionale, che è arrivato a toccare anche il 12%. Si sono allora introdotte le gabbie salariali e quelle che io chiamo “gabbie dei diritti”. Se si è un lavoratore agricolo nella Provincia di Ancona si hanno diritti diversi rispetto al lavoratore agricolo che sta magari nella Provincia di Ascoli Piceno (se si è giovani là si possono avere più diritti, se si è precari là si potrebbe non esserlo qua). I diritti sono diversi a seconda del luogo di residenza dell’azienda. È questo il modello che adesso nell’art. 8 della finanziaria si vorrebbe addirittura accentuare, perché mentre il contratto agricolo dice che la contrattazione di secondo livello è provinciale (quindi almeno all’interno della stessa provincia ci sono gli stessi diritti), lì diventa aziendale. Io sono convinto che se viene introdotto questo elemento il lavoratore si perde, perché possono nascere sindacati di comodo che firmano qualsiasi cosa. A suo giudizio la manovra economica in corso di approvazione contiene misure orientate a promuovere lo sviluppo e con esso la crescita dei livelli occupazionali? Se così non è, quali misure avrebbero potuto essere adottate per promuovere l’occupazione? Andreolini- Purtroppo no, tant’è che sia dal fronte sindacale che da quello imprenditoriale sono pervenute richieste di ulteriori interventi. Napolitano ha invitato il governo ad affrontare le tematiche dello sviluppo e proprio ieri Tremonti ha annunciato un “tagliando” alla manovra stessa. A nostro parere servirebbe una vera nuova politica industriale, con incentivi alle imprese sostenibili e green che investono e creano occupazione. Bisognerebbe investire inoltre sulla ricerca e sulla cultura, vero e proprio nostro oro nero. Serve una riforma del diritto societario e una riforma della giustizia che dia la certezza del diritto. Servono certamente risorse che possono essere recuperate da una seria lotta all’evasione e dall’istituzione di una patrimoniale da applicare ai medi e grandi capitali. Bisogna ritornare ad un equilibrio tra Finanza, Capitale e Lavoro, possibile solo con una fiscalità equilibrata. El Hasani- In questa fase così complicata e difficile della vita del paese il volàno della crescita, che questa finanziaria non contiene minimamente, consiste anzitutto nello sblocco del patto di stabilità per i Comuni virtuosi. Il secondo elemento che darebbe il via ad una crescita occupazionale è l’avvio di opere pubbliche compatibili con l’ambiente e quindi l’investimento sulle fonti di energia rinnovabili; il terzo è destinare delle risorse alla formazione, alla ricerca, all’innovazione e creare opportunità di lavoro all’interno del mondo della ricerca scientifica. Tutto questo sarebbe necessario nell’immediato per avere una boccata d’ossigeno. Poi a lungo termine - e anche questo nella finanziaria non c’è è indispensabile iniziare ad attuare politiche attive industriali. In questi ultimi anni il governo è stato del tutto assente nell’introduzione di elementi di politica industriale; basti pensare che siamo stati 5 o 6 mesi senza Ministro delle Politiche Industriali quando non c’era Scajola. Bisogna avere la capacità di ridisegnare le strategie delle politiche industriali a lungo termine.

Campare alla giornata

Il lavoro accessorio è meglio noto come lavoro retribuito tramite voucher e cioè tramite buoni acquistati dai datori di lavoro presso le rivendite autorizzate. E’ stato introdotto nel nostro ordinamento, insieme a numerose altre forme di lavoro atipico, con la c.d. Legge Biagi (D.Lgs. 10 settembre 2003 n.276 artt. 70- 71- 72). La norma recita testualmente: “per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura occasionale”. Pertanto l’occasionalità si presenta da subito come requisito essenziale di questa particolare tipologia di lavoro. Essa non è mai stata messo in discussione dai successivi provvedimenti legislativi che sono intervenuti a modificare la disciplina iniziale ampliandone a dismisura il campo di applicazione. Nella sua formulazione iniziale, infatti, il lavoro accessorio era destinato a regolare una serie di attività marginali, quali ad esempio i lavori domestici, di giardinaggio, di pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti, l’insegnamento privato supplementare, le attività agricole stagionali svolte da pensionati e casalinghe, ecc., attività che, per la loro modesta entità, erano certamente destinate ad incrementare l’area del lavoro nero e che si voleva invece portare ad emersione. A questo limite di tipo oggettivo, se ne aggiungevano altri di tipo soggettivo: il lavoro accessorio era riservato esclusivamente a soggetti a rischio di esclusione sociale e con difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro (disoccupati da oltre un anno, casalinghe, studenti, pensionati, disabili, extracomunitari e soggetti in comunità di recupero). Vi erano infine 2 ulteriori limiti: massimo 30 giorni e non più di 3000 euro nel corso dell’anno solare e nei confronti dello stesso committente. Una serie di interventi legislativi successivi (D.L.35/2005 convertito in L.80/2005, art. 22 del D.L. 112/2008 convertito in L.6 agosto 2008 n.133, art.7 Ter del D. L. 5/2009 convertito in L. 9 aprile 2009 n.33, commi 148 e 149 della L. 191 del 23 dicembre 2009 (Finanziaria 2010)), ha via via rimosso molte delle limitazioni inizialmente previste, che avrebbero dovuto contenere le ipotesi di utilizzo di questo strumento, e, a causa di ciò, il lavoro retribuito tramite voucher si è diffuso con straordinaria rapidità incontrando il favore dei committenti sia privati che pubblici. Oggi è possibile ricorrere al lavoro accessorio in moltissimi settori produttivi e sono stati quasi integralmente rimossi i limiti di carattere soggettivo. Il lavoro accessorio può essere utilizzato anche dalle pubbliche amministrazioni. E’ stato soppresso anche il limite delle 30 giornate annue; resta il limite retributivo annuo, da parte dello stesso committente, per altro elevato da 3.000 a 5.000 euro. Il rischio naturalmente è quello di un utilizzo improprio e cioè che vengano inquadrati come lavoratori accessori, prestatori che svolgono in realtà una attività che avrebbe tutte le caratteristiche del lavoro subordinato e cioè di un lavoro più tutelato e meglio retribuito.


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sena ridens

Senigallia la CittĂ Futura

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6-7-8-9 ottobre pescheria del foro annonario

SENA RIDENS disegnatori della satira politica a Senigallia

lo straniamento


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Senigallia la CittĂ Futura

nuove leve

vignettisti senigalliesi

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Massimo Nesti

l’angelo guappo

Dodo Pasquini

roba nostra


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giardini Catalani

Recuperi urbani ambiente

Storia e monumetalità

Mura: scoprir ne il valore

Il verde e la città storica

di Virginio Villani Una valutazione obiettiva del progetto di riqualificazione degli ex-Giardini Catalani non può prescindere dal più ampio progetto di riqualificazione delle mura urbiche, proposto fin dal 2008 da Italia Nostra e ripreso successivamente dai Verdi con la proposta di un Piano delle Mura. La proposta partiva dalla considerazione che Senigallia, città di pianura, non ha avuto la stessa fortuna delle città collinari, la cui immagine con la linea degli edifici monumentali, delle torri e dei campanili è ancora visibile a distanza. La vista della Senigallia storica è ormai inaccessibile, nascosta dalla barriera delle periferie e dalle nuove edificazioni, e l’unica possibilità di restituire visibilità alla sua immagine storica è quella di liberare e recuperare il fronte delle mura, che da sempre rappresentano la forma urbis, cioè l’elemento più identificativo della città storica. Foto Simone Quilly Tranquilli

di Roberto Primavera Pubblichiamo volentieri due contributi critici, significativi, sulla riqualificazione dei giardini Catalani. Uno inviatoci da Americo Alessadrini, che propone il punto di vista di un cittadino attento ai cambiamenti della sua città e dispiaciuto per la perdita di un luogo della memoria personale e generazionale. L’altro, da noi stimolato, di Virginio Villani, stimato studioso di storia locale che, ricostruendo la genesi dell’intervento sull’area e pur condividendone l’impostazione, lamenta lo scarso rigore esecutivo finale. La restituzione dei giardini Catalani, riqualificati così come li vediamo oggi, è il risultato di alcuni mesi di acceso dibattito in seno alla maggioranza che governa la città, in cui si sono confrontate due volontà: da una parte quella di ristrutturare un giardino pubblico a servizio del centro storico, dall’altra quella di riqualificare un’area verde a ridosso delle mura storiche, con l’obbiettivo di restituirgli visibilità, data la loro importanza monumentale. Questa seconda ipotesi, per cui poi si è scelto di lavorare, senza negare l’importanza e la fruibilità dell’area come giardino pubblico, auspicava un intervento sobrio e leggero, tale da consentire la visibilità delle mura. Ma non solo: tale da far immaginare, intravedere ai cittadini quale stupendo biglietto da visita della città potrebbero essere le sue antiche mura, una volta restaurate e restituite allo sguardo. Un aspetto questo, oggi, effettivamente difficile da negare, visti i risultati, dopo il restauro del bastione Portone e dopo, appunto, la pulizia delle mura dei giardini Catalani (che rimangono comunque, a loro volta, in attesa di un vero restauro). Stanno proprio qui, secondo, noi l’importanza e la forza dell’intervento in questione. Nel pre-

figurare l’austera bellezza, e quindi la necessità di perseverare in quella direzione, della cinta murata libera da ingombri. Proviamo solo ad immaginare l’impatto estetico, dell’eventuale riqualificazione del tratto che va dalla curva della Penna allo stradone Misa, una volta resa possibile la delocalizzazione dei parcheggi e la loro sostituzione con altre aree verdi. Progetti estremamente ambiziosi, sopratutto considerando l’attuale fase di crisi economica in cui è sempre più difficile, per gli Enti Locali, reperire fondi per opere importanti. E in questo caso tra le opere importanti rientrano, necessariamente, i parcheggi in struttura che dovranno rendere possibile la liberazione delle aree interessate. Ci sembra di poter dire quindi che l’operazione di recupero dei giardini Catalani si inserisce coerentemente in un progetto di riqualificazione generale che, se rispettato, sarà molto importante per Senigallia. Ciò non toglie che si possano apportare delle modifiche migliorative, come richiesto da molti cittadini e alcune associazioni, per rendere più fruibili i giardini Catalani, più panchine, purché non si stravolga l’impostazione di partenza che ci sembra condivisibile e lungimirante. Anche qualche sobrio camminamento forse, non dimenticando però che l’area dei giardini Catalani destinata a prato è ora completamente permeabile e quindi coerente con la logica del risparmio nell’uso dei suoli molto cara a noi ambientalisti Infine notiamo come i giardini in queste giornate di fine estate e inizio autunno siano frequentati da gruppi di giovani, meno giovani e bambini per sdraiarsi in libertà, giocare, usare il computer con l’impianto WIFI. E’ un uso libero, sociale, che per 3 stagioni su 4 potrà essere messo a punto in questo luogo restituito alla città.

Il Piano delle mura, previsto dal programma amministrativo ma piuttosto lento ad avviarsi, dovrebbe costituire un vero e proprio strumento urbanistico in grado di guidare la riprogettazione unitaria degli spazi, spesso degradati, sia esterni che interni alle mura, predisponendo anche nel lungo periodo la delocalizzazione di molti manufatti addossati (artigianali e commerciali soprattutto), in modo da restituire piena visibilità alla cinta murata e costituire anche un elemento di riqualificazione estetica della città. Senza entrare nello specifico, basterà dire che la cinta delle mura si è conservata quasi integralmente e che il tratto che va dalla Rocca alle Caserme passando per via Leopardi (cioè i 2/3) è tutto recuperabile alla vista. Ma è necessario evitare di procedere per singoli progetti, come ad esempio per il bastione del Porto (via Rodi), dove si è lasciato costruire un condominio. Una visione unitaria quindi di tutto il perimetro delle mura, considerato appunto un unico monumento e non una somma di segmenti separati e frammentati in singoli interventi difformi l’uno dall’altro. Il progetto deve essere quello di isolare il nucleo storico dalle strade, dai quartieri e dai singoli edifici sorti al suo esterno, immergendolo in un fascia di prato verde, la cui quota dovrebbe essere tenuta più bassa possibile, magari anche attraverso la realizzazione di una scarpata digradante verso la base delle mura in modo da restituire al manufatto parte della monumentalità originaria: ricordiamoci che fino agli inizi del ‘900 le mura erano circondate da un ampio fossato profondo quattro metri. Questo criterio dovrebbe ispirare anche il prossimo intervento nell’area dell’Opera Pia, che occupa il bastione del Portone, dando sempre priorità all’effetto scenografico, soprattutto per il puntone scarpato che si protende verso il fiume. A questo criterio doveva ispirarsi anche il rifacimento degli ex Giardini Catalani, conservandone inalterata la fruibilità pubblica. Invece il progetto preliminare era ispirato a tutt’altra filosofia, proponendo un’operazione di restyling abbastanza

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convenzionale, secondo un discutibile gusto del decoro adottato anche per altri comparti urbani e sulla cui scarsa originalità (e costosità) sarebbe da aprire un capitolo a parte. Il pezzo forte di questo progetto era costituito da una vasca con mosaico e zampilli al centro di uno spazio verde contornato da marciapiedi in pietra, tutti elementi che finivano per mettere in secondo piano proprio quello che avrebbe dovuto essere al centro del campo visivo e cioè la monumentalità delle mura. Si chiese allora di modificare il progetto e inquadrarlo nelle linee guida già elaborate del Piano delle Mura, lasciando uno spazio più ampio possibile a prato, senza pregiudicare la fruibilità pubblica, dal momento che un prato più ampio avrebbe potuto contenere anche qualche percorso con piazzola e panchina. Si chiedeva poi di eliminare ogni ingombro di opere e vegetazione, ad eccezione delle conifere, che andavano comunque selezionate e diradate moderatamente, soprattutto a ridosso delle mura, mantenendo bassa la quota del terreno, installando una illuminazione leggera e moderna al posto dei lampioni in stile, con fonti di luce orientate sulle mura e quant’altro insomma andasse nella direzione delle linee del Piano, in modo che questo spazio potesse risultare omogeneo agli altri che sarebbero stati oggetto di analoghi interventi in futuro. L’impostazione generale è stata accolta, ma l’esecuzione si è persa per strada l’obiettivo principale. La preoccupazione principale della direzione dei lavori sembra essere stata infatti quella di ostentare all’inaugurazione un prato perfettamente verde e ben illuminato e una bella pavimentazione in pietra. Così lo spazio verde è stato ridotto e stretto nella morsa di un marciapiede eccessivamente ampio. Sono stati abbattuti circa la metà dei pini, creando un vuoto al centro e verso piazza Saffi, mentre sono stati conservati tutti quelli verso le mura che si era chiesto di diradare; i sopravvissuti poi sono stati sottoposti a una potatura radicale (della chioma di qualcuno è rimasto solo un ciuffo) solo per la paura ingiustificata di impedire la crescita del prato. L’abbassamento della quota del terreno per dare maggiore visibilità alla cortina muraria non è avvenuto, anzi il livello è stata elevato con l’apporto di camionate di terra; la possibilità di realizzare una scarpata verso la base delle mura per scoprire almeno una parte dell’interramento è stata preclusa per il futuro dal momento che vi sono stati collocati i sottoservizi. L’illuminazione è stata posizionata con un eccesso di pali (oltre 30), lasciando in ombra proprio le mura. Certo tutto si può migliorare, ma resta un interrogativo: questa amministrazione è veramente convinta dell’importanza di recuperare la scenografia delle mura e in generale la monumentalità e la storia urbanistica della città ? Se la risposta è affermativa, allora deve procedere con rigore e coraggio e rifuggire ogni rischio di improvvisazione. Altrimenti i risultati saranno sempre molto modesti e contraddittori.

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Memoria e amarcord

Elaborazioni urbane e restituzioni mancate di Americo Alessandrini Parto da un’osservazione banale: la città è lo spazio dei cittadini quindi della politica. Il sistema dei luoghi della socialità, dell’economia e del lavoro, il tutto irrimediabilmente mescolato in un difficile compromesso tra diverse opportunità e necessità. Questi aspetti complessi mettono alla prova la capacità progettuale e politica degli amministratori: conoscere l’esistente, tutelarlo, valorizzarlo, connetterlo al nuovo, limitare i disagi, appianare gli ostacoli, per favorire attività e sviluppo. In questo senso l’azione di governo non può far altro che trattare la città come un sistema di spazi. Le conseguenze di queste decisioni e degli atti amministrativi conseguenti finiscono sotto gli occhi, e i piedi, di tutti. Un insieme di provvedimenti tecnici che occupano quasi interamente l’attività amministrativa e che rischiano di far perdere il senso vero delle cose: lo spazio fisico della città è segnato dalla storia di tutti quelli che ci hanno preceduto, e dalle speranze e le aspirazioni nostre e di quelli che ci seguiranno. In questo senso la città è anche storia, cultura e soprattutto vita quotidiana. Banale diranno i miei dieci o nove lettori: la città non è fatta solo di asfalto e mattoni ma anche di vite vissute. Nelle delibere delle autorità dovrebbero comparire livelli più alti di progettualità, dove la politica possa compiere lo sforzo di conoscere il presente e immaginare, progettare, realizzare il futuro; dove la politica provi a entrare nel sogno di inventare la vita associata con tutte le difficoltà e le differenze che questo può comportare, almeno secondo un modello di azione politica democratica e non solo dirigistica. Ecco allora le delibere consiliari o i piani “Cervellati” che in questo caso può sembrare un appropriato aggettivo, sinonimo di qualcosa di molto meditato, ma anche qualcosa di astratto, fino al punto da rischiare di non avere contatto con le realtà dei cittadini e dei fatti. Per evitare questo chi amministra, oggi molto più di ieri, dovrebbe prendersi la briga di collegare la città di asfalto e appalto con la città della vita quotidiana, fatta di sogni e di ricordi, promuovendo a monte progetti politici ed etici che servano da base per la costruzione dei progetti tecnici. Un lavoro complesso che, come direbbe un politico disposto a sognare, metta insieme l’opportunità di condizionare le scelte con la disponibilità a farsi condizionare dalle esigenze della pluralità dei cittadini. Queste considerazioni mi sono venute in mente dopo aver visitato quest’estate, alla Rocca Intruders – Urban Explorers, un’interessante mostra fotografica, e ben si adattano ad uno spazio urbano di Senigallia che la stampa non ha esitato a definire come uno “spazio riconsegnato alla città”: i giardini Catalani. Dato per acquisito l’intento di riqualificare l’area e “restituirla” ai cittadini il risultato mi lascia a dir poco perplesso: “restituire” significa dare di nuovo qualcosa che in qualche modo era stato sottratto e francamente non mi ero accorto che i giardini fossero stati portati via, checché ne dicessero i maestri di pensiero della destra cittadina, sempre pronti a polemizzare su certe categorie di cittadini piuttosto che su altre. Secondo alcuni di loro, infatti, i giardini, un tempo frequentati da gruppi di giovani senigalliesi, che loro sbrigativamente qualificano come “drogati”, oggi erano per lo più utilizzati (occupati avranno detto) da badanti e immigrati, e da una giostra, perciò sembrava loro come se i giardini fossero stati scippati ai cittadini, quelli “veri”, che aspettiamo ora di vedere passeggiare nella spianata

d’erba che i giardini sono diventati. Già, perché di questo si tratta: la riqualificazione di quei 4300 metri quadri, volta a evidenziare le mura storiche, costituita da una pista ciclo-pedonale fatta di basoli di arenaria che circonda l’area, corredata da due fontane di ghisa, è consistita nella riqualificazione, peraltro necessaria, del verde e in particolare dei vetusti pini marittimi. Questo intervento ha comportato sostanzialmente l’eliminazione completa delle strutture all’interno dei giardini, e quindi l’impossibilità che le persone possano avere un motivo o una qualche utilità ad andarvi. Sono stati eliminati la vecchia e, in verità, brutta fontana al centro del giardino, i cordoli di cemento delle aiuole ma soprattutto anche le numerose panchine, i pali dell’illuminazione e la fontanella. Un luogo come un giardino urbano è un luogo verde dove le persone si possono riunire e conversare trovando una sorta di rifugio, all’ombra degli alberi, col conforto dell’acqua potabile, allo scopo di ottenere un lieve isolamento rispetto al traffico urbano, isolamento che consentirebbe di chiacchierare, riposarsi, leggere, svagarsi. Ora i nuovi giardini Catalani sono una spianata di prato sotto agli alberi, totalmente inutilizzabile, se non per attraversarla passeggiando o per stendersi a terra per battezzare i pantaloni puliti. Panchine in verità ve ne sono alcune, ma tutte ai margini dell’area verde e rivolte verso la trafficatissima via Leopardi, e stimo che in confronto al numero di persone che in precedenza si riunivano quotidianamente sulle panchine dei giardini, siano ampiamente sottostimate e di certo posizionate male così in faccia alla strada sul bordo interno del marciapiede. La mia impressione è quindi che invece di essere stato “restituito” alla città lo spazio dei giardini, una volta spianato e privato della possibilità della presenza umana, sia stato definitivamente consegnato ai soli lavori di manutenzione, che non tarderanno a diventare necessari, almeno per quel che riguarda il tanto curato prato verde che, sotto la pioggia di aghi e resina di pino, non tarderà a diradarsi qua e là spelacchiandosi inesorabilmente. Non sono giardiniere ma mi pare che il prato non cresca bene sotto ai pini ma forse per riuscirci avranno selezionato una varietà adatta di erba? Non è una cosa grave ma credo che stavolta i giardinieri esperti del Comune abbiano dovuto accontentare qualche capriccio estetico di troppo. Con buona pace dei gruppi di cittadini stranieri che avevano eletto le panchine all’ombra come luogo di socializzazione e di contatto umano e che ora si sono trasferiti sparpagliandosi altrove. Saranno soddisfatti i “democratici” alla Gentilini (ex amministratore leghista di Treviso) che piuttosto che lasciare una panchina sotto il sedere di una persona diversa e povera se la toglierebbero di casa propria. Per non parlare nemmeno del fatto che tutti, e stavolta non mi sbaglio, ma proprio tutti i cittadini senigalliesi che conoscevano i precedenti giardini per avervi passato giornate intere, sicuramente non potranno più nemmeno pensare di recuperare alcuna traccia della loro e altrui presenza, in un luogo che è stato praticamente cancellato per quel che riguarda la memoria della vita vissuta. Che questo per alcuni sia un bene è pure possibile, ma anche i ricordi spiacevoli hanno un senso nella memoria collettiva o individuale e quindi, a mio modesto parere, abbiamo guadagnato una distesa di basoli di arenaria nuovi ma abbiamo perduto per sempre un luogo a tutti noto nel pieno centro della città e con esso qualsiasi ricordo umano vi fosse rimasto impigliato.

La proposta che viene dalla mostra Intruders è quindi quella che un luogo abbandonato o semidistrutto, oppure un luogo vecchio o meglio un luogo vecchio e rinnovato, “riqualificato” sia in realtà un potente patrimonio di esistenza e di esperienza storica e soprattutto umana. Piuttosto che la sua definitiva cancellazione diventa interessante un recupero conservativo di questi veri e propri luoghi della memoria, veri e propri “cadaveri eccellenti”. La mostra allude quindi a una modulazione di recupero urbanistico volta a non cancellare, ma anzi riproporre il contenuto storico, sociale, umano, civile e soprattutto esistenziale e emotivo dei luoghi. Un’affascinante idea di recupero culturale e civile di luoghi decadenti che unisce la conservazione di un tessuto di memorie cittadine con la riacquisizione di spazi di tipo differente. Senza parlare dell’opportunità di utilizzare materiali e soluzioni tecniche che, mettendosi in relazione con ciò che già esiste, da possibilità di operare scelte, trovare soluzioni rispettose del contesto naturale o urbano

in cui i vecchi edifici si trovano. Non sentiamo il bisogno di sventrare le nostre antiche città per sostituire il vecchio con ciò che invece è fuori dal tempo, perché è un non luogo dedicato solo alle logiche del mercati, che divorano la componente umana e la defecano immediatamente come scarto e rifiuto, in quanto scelte legate solo a obbiettivi economici e non a dati culturali o umani. Preferiremmo conservare assieme alle tracce dei vecchi edifici le storie umane e civili che tra quelle vecchie mura hanno solcato il tempo di segni indelebili che ora possono essere messi in risalto dinanzi al nuovo che avanza. Per far questo non serve distruggere, spianare e ricostruire diversamente, basterebbe recuperare la sostanza e la forma del vecchio restituendo la dignità del recupero del ricordo piuttosto che il business della cancellazione sotto l’impero del nuovo.

Dal 17 giugno al 4 settembre si è svolta alla Rocca Roveresca la mostra fotografica di Luca Forlani a cura di Monica Caputo e Allegra Corbo, che hanno organizzato la mostra per MAC, Manifestazioni Artistiche Contemporanee. Intruders aveva lo scopo dichiarato di sensibilizzare e indurre lo spettatore a guardare con “occhi nuovi” i “vecchi relitti”: ospedali e sanatori, siti industriali, cementifici, parchi acquatici, cartiere, orfanotrofi, ville, cinema, colonie, campi di concentramento. Circa duecento sono i siti abbandonati nella regione Marche esplorati e fotografati da Luca Forlani in questi ultimi dieci anni. Questi edifici, accomunati dall’abbandono, sono già stati depredati, danneggiati e talvolta abbattuti. In essi la natura riconquista spazio sotto forma di erbacce e arbusti mentre i ricordi, stimolati dai segni del tempo e dal disfarsi della materia, acquistano emozioni per cui l’edificio cadente acquista un suo significato personale o sociale. Spiegano Matteo Giacchella e Gastone Clementi, registi del video visibile all’interno della mostra stessa “Il piacere di visitare luoghi abbandonati e fatiscenti nei quali a volte il tempo sembra fermarsi e gli oggetti e le mura che li compongono sembrano acquisire una propria anima e memoria. Il lavoro si sviluppa con il desiderio di condividere questi beni collettivi, spesso sconosciuti al grande pubblico, nel tentativo di riportare le sensazioni e le suggestioni che si provano nel violare degli spazi senza tempo, dai quali emergono echi del passato e bellezze dimenticate sotto una coltre di polvere”...” e c’è una valenza etica per l’importanza del discorso della riqualificazione degli spazi urbani abbandonati.” Pippo Ciorra, architetto, consulente del MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, ritiene che il lavoro di Luca Forlani possa rappresentare una denuncia urbanistico-architettonica e uno spunto per iniziare una riflessione più ampia sul territorio di tutta l’Italia. “Se consideriamo il patrimonio di strutture edilizie dismesse, inutilizzate, abbandonate e incompiute, la lista è interminabile, per cui se ciò rappresenta un problema enorme è anche vero che può essere un’opportunità straordinaria per rivalutare il territorio”.


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sanità

Aree vaste stanno arrivando

Senigallia la Città Futura

Oggi qui domani là io cerco la sanità di Daniel Fiacchini salutesenigallia.blogspot.com Il tempo delle Zone Territoriali dell’ASUR è scaduto e le Aree Vaste non sono più una chimera ma una realtà. È questo l’elemento principale che scaturisce dal nuovo riordino della Sanità marchigiana (Legge Regionale n. 17 del 1 agosto 2011) che in breve tempo vedrà la sua attuazione su tutto il territorio regionale. In passato in riferimento alle Aree Vaste non sono mai riuscito a capire di cosa si stesse parlando. Per anni ho pensato che fossero castelli di sabbia. Interpretavo l’insistenza sulle Aree Vaste in chiave doppiamente negativa: da un lato l’ancoraggio ad una riorganizzazione pensata su carta ma non tangibile da un punto di vista tecnico e dall’altro l’ennesimo passo verso il disconoscimento del modello dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale (ASUR) e quindi l’ammissione, indiretta e tardiva, di un errore politico: l’ASUR contro l’organizzazione in ASL provinciali che l’opposizione al governo regionale caldeggiava con insistenza. La recente revisione della Legge 13 regionale sembra oggettivamente porre le basi per un percorso orientato verso il superamento dell’ASUR a beneficio di future Aziende Sanitarie provinciali. Ma andiamo con ordine e proviamo a lasciare da parte le interpretazioni per concentrarci sugli eventi. Di seguito riporterò i fatti salienti delle ultime settimane, avendo piena consapevolezza del fatto che si tratterà di un racconto sommario e destinato a mutare da un giorno all’altro. Il primo fatto certo è definito dalla revisione della Legge 13 del 2003 compiuta con l’emanazione della Legge Regionale 17 del 1 agosto 2011. Non ci sono dubbi interpretativi: l’ASUR sarà suddivisa in 5 Aree Vaste. Non sussisterà più, dunque, la suddivisione del territorio nelle 13 Zone Territoriali. Per molto tempo ci si è interrogati su quale sarebbe stata la “geometria” delle Aree Vaste, cioè come il territorio sarebbe stato suddiviso e quali Zone Territoriali sarebbero state aggregate in Area Vasta. Alcuni insistevano perché fosse applicato il criterio dell’omogeneità del territorio e si vociferava della possibile identificazione di un’area vasta trasversale montana, comprendente i territori di Camerino, Fabriano e Urbino. Altri ipotizzavano aggregazioni più funzionali al tipo di servizi offerti. Altri ancora ritenevano opportuno tenere conto del bacino d’utenza. Alla fine è prevalso il criterio geografico-politico e con la modifica alla Legge Regionale 13/2003 si è stabilito che le Aree Vaste dovessero corrispondere, molto più semplicemente, ai territori provinciali. E così, per quanto ci riguarda, la Zona Territoriale 4 di Senigallia si unirà alle Zone Territoriali di Jesi, Fabriano ed Ancona per dare vita all’Area Vasta numero 2. Nei primi giorni del mese di settembre la Giunta regionale ha inoltre definito le sedi amministrative delle Aree Vaste. Fabriano è stata scelta come

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sarà la transumanza dei pazienti? settorializzazione territoriale e dunque potrebbe succedere che a Senigallia ci si specializzi su certe tipologie di intervento chirurgico e a Jesi o Fabriano su altre, oppure che le malattie ematologiche siano curate in una sede e l’ipertensione arteriosa in un’altra. Cosa accadrà al Pronto Soccorso? Cosa accadrà alla Radiologia? Cosa accadrà al Laboratorio analisi? È presto per dirlo con certezza. La Legge non lo chiarisce e il sistema sanitario regionale è nel mezzo di una riorganizzazione tale per cui passerà del tempo prima che gran parte di questi dubbi siano chiariti.

Per quanto riguarda i distretti sanitari: il loro numero dovrà coincidere con quello delle vecchie Zone Territoriali. A questo proposito la situazione senigalliese non cambierà, perché il numero dei Distretti è già stato ridimensionato ad un’unica unità. La novità potrebbe derivare dalla nomina del Direttore di Distretto che dovrebbe essere uno dei primi atti formali espletati dal direttore di Area Vasta. Ma anche in questo caso non dovrebbero esserci sorprese: l’attuale Direttore di Distretto, il Dott. Gilberto Gentili è già stato confermato in questo ruolo dallo stesso Bevilacqua durante gli anni della direzione della Zona Terrisede dell’Area Vasta 2 e questa decisione ha scon- no: “Che tipo di cambiamenti c’è da attendersi? toriale di Senigallia e non ci sono motivi per cui tentato molti: mancata condivisione delle scelte, Il cittadino risentirà di questa riorganizzazione?” questa scelta debba essere modificata. C’è di più! mancato confronto, mancata trasparenza nella Ebbene i principali cambiamenti possono esse- I Direttori di Distretto svolgono questa funzione definizione dei criteri di scelta sono le principali re compresi da una semplice lettura della nuova avendo vinto un concorso pubblico e non credo sia corretto parlare di “nomine”! Stesso discorso accuse mosse alla Giunta. Secondo alcuni aver Legge Regionale. vale per i Direttori di Struttura Complessa (meglio identificato Fabriano come sede di area vasta Per quanto riguarda gli ospedali: l’assistenza conosciuti come “Primari”), vincitori di concorso determinerà per la città di Senigallia una sempre ospedaliera nell’Area vasta sarà garantita dalla pubblico e incaricati per un periodo determinato maggiore dipendenza da Fabriano e un affievolipresenza di un unico “presidio ospedaliero” che di tempo. Al termine di questo periodo potrebmento del ruolo giocato dalle strutture sanitarie aggregherà funzionalmente tutti gli “stabilimen- bero non essere riconfermati nel loro incarico, senigalliesi. ti ospedalieri” (come li definisce la nuova Legge) non prima. C’è chi, equivocando, ha pensato che l’identifica- aventi sede nella medesima Area Vasta. A que- Parliamo infine della prevenzione: degli attuali zione delle sedi amministrative delle aree vaste sto punto è legittimo chiedersi come possano quattro Dipartimenti di Prevenzione ne rimarrà corrispondesse ad una qualche azione di coordi- coesistere nella stessa Area Vasta ben cinque uno solo. Non è ancora chiaro come saranno rinamento tecnico da parte delle Zone Territoriali stabilimenti ospedalieri (è il nostro caso, per la organizzati i Servizi dei Dipartimenti di Prevenidentificate: ragionamento sbagliato perché con presenza degli ospedali di Senigallia, Osimo, Jesi, zione, molto probabilmente alcune funzioni sal’identificazione delle sedi non si è fatto altro che Cingoli e Fabriano) e come le funzioni dei cinque ranno garantite in Area Vasta mentre le principali decretare il luogo dove avranno sede gli uffici di- ospedali possano essere integrate. Vi sono due funzioni operative (penso alle attività vaccinali) scenari possibili: il primo è che la Giunta regio- dovranno essere garantite a livello di ogni singorezionali e amministrativi delle Aree Vaste. nale e la Direzione generale dell’ASUR decidano lo distretto. Ma anche in questo caso non ha molBen più importante era comprendere chi quelle di prevedere più presidi ospedalieri nella mede- to senso che sussistano nella stessa Area Vasta sedi le avrebbe occupate da direttore di Area Va- sima Area Vasta (è un meccanismo che la Leg- quattro Servizi Igiene e Sanità Pubblica o quattro sta. La decisione non si è fatta attendere e il 19 ge consente) e che quindi nulla cambi rispetto Servizi di Igiene degli Alimenti e Nutrizione, di settembre la Giunta regionale ha comunicato all’organizzazione attuale; il secondo scenario conseguenza una riorganizzazione in Area Vasta le nomine: per l’Area Vasta 2 la scelta è ricaduta possibile è che, effettivamente, si costituisca un è attesa. sull’Ingegnere Maurizio Bevilacqua. Una scelta unico presidio ospedaliero nel quale, per mezzo Dunque il passaggio da Zone Territoriali ad Aree che non sorprende. Bevilacqua è uno dei pochi di una profonda riorganizzazione dipartimentale, Vaste non sarà immediato e per alcuni versi non Direttori di Zona ad essere stato recentemente le unità operative dei vari stabilimenti ospedalieri sarà indolore. Sulla carta sembra che molte cose riconfermato nel suo ruolo, benché in una sede possano trovare la migliore collocazione possibi- siano destinate a cambiare. territoriale differente (Jesi, provenendo da Seni- le, assicurando l’integrazione delle funzioni opegallia); nel passato è stato dirigente presso INRCA rative. Quest’ultimo scenario è, ovviamente, il più Ma in tutto questo trambusto decido di azzardare e Zona Territoriale 7 di Ancona, conosce perfetta- temuto da parte degli operatori: richiederebbe la previsione, peraltro auspicabile, che per il cittamente la situazione di Senigallia, dove è stato di- con molta probabilità il sacrificio di alcune unità dino senigalliese non cambierà proprio nulla. La rettore per 4 anni, e quella di Jesi dove ha svolto operative e la riconversione di altre. Come pen- stessa assistenza da parte di tutte le articolazioni negli ultimi due anni lo stesso incarico prima del- sare, infatti, che nella stessa Area Vasta possano del servizio sanitario, ospedaliera, territoriale e la nuovissima nomina a direttore di Area Vasta. coesistere, per fare solo un esempio, cinque Uni- preventiva, gli stessi pregi e difetti, reali o percetà Operative di Medicina? In Italia siamo abituati piti, soprattutto gli stessi operatori sanitari che si Ma veniamo al sodo! Perché immagino che le a realtà ben peggiori ma in tempi di ristrettezze sforzeranno, nonostante tutto, di dare il massimo, domande ricorrenti nella mente dei lettori sia- economiche credo sia naturale attendersi una giorno dopo giorno.


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frazioni

Un punto di vista originale

Cesano

apologia del cattocomunismo

di Lucia Mazzoli Lo ammetto: quando parlo della mia città divento particolarmente partigiana. Di lei mi piace tutto, un po’ perché Senigallia è oggettivamente bella e un po’ perché provo simpatia verso gli sforzi che fa – come piccola città di provincia – per relazionarsi con il resto del mondo. Senigallia è un esempio di cattocomunismo assolutamente riuscito. E per chi ha frequentato chiesa e sezione, questo non può che rappresentare una piacevole contraddizione. Una contraddizione che ha costituito nel tempo una particolare potenzialità per il quartiere Cesano, sia dal punto di vista sociale, sia per ciò che riguarda il recente sviluppo urbanistico. Cesano era, fino a pochissimi anni fa, completamente diviso in due dalla ferrovia. Una divisione non solo fisica ma anche “umana”: da una parte il mare, luogo dell’estate ma anche luogo della più grande realtà aggregativa non religiosa, “La Marina”, e “la cellula” dell’ex Partito Comunista; dall’altra, la Statale e la chiesa, un contesto alternativo sia sul piano temporale - attivo in inverno e “dormitorio” in estate – sia per ciò che riguarda l’aspetto demografico: alle riunioni del “circolo” e a quelle della “cellula” si è sempre registrata una netta prevalenza di adulti maschi mentre a quelle della parrocchia è sempre emersa – al contrario - una forte presenza di donne e di adolescenti. Una separazione che i comunisti “doc”, i cattolici “doc” e i cattocomunisti cresciuti ad ostia e partito hanno sempre e responsabilmente combattuto. Da tutti loro è stata ricercata – nel corso degli ultimi vent’anni – la possibilità di creare un contesto territoriale compatto. Ricordo numerosissime riunioni e interessanti ipotesi progettuali avanzate da cittadini e associazioni che tentavano, insieme, di individuare un centro storico di fatto mai esistito che desse dignità all’intera frazione. Ricordo che proprio i vecchi comunisti – unica realtà politica del territorio davvero radicata e organizzata, che si faceva carico dei problemi della frazione – parlavano della chiesa e del campo sportivo come del naturale nuovo centro identificativo del quartiere. Tutto quello che vediamo oggi – le nuove abitazioni a monte della frazione – è, politicamente, il risultato di quelle sollecitazioni nate localmente. Cesano ha oggi, nel territorio comunale, un peso decisamente maggiore sia dal punto di vista quantitativo - per l’incremento della popolazione - sia dal punto di vista sociale per le nuove opportunità di incontro e di scambio di cui questi nuovi abitanti sono e saranno portatori. Nuove occasioni e nuovi bisogni che si sommano, si mescolano e potrebbero nel contempo ridefinire o rendere ancora più evidenti le occasioni mancate e i bisogni non soddisfatti dei vecchi residenti. Il benessere reale di una comunità si misura dal grado di civiltà della propria struttura sociale. E il grado di civiltà è sostanzialmente il livello raggiunto

nell’organizzazione dei servizi per le categorie più deboli, che sono i ragazzi (preadolescenti e adolescenti), i bambini (scuola dell’infanzia e primaria) e gli anziani. Questo è il criterio oggettivo che dovremmo, a mio avviso, utilizzare in tutte le scelte di una comunità, dalla viabilità alla predisposizione dei luoghi di aggregazione.

Elio Marinelli Berton, un uomo e il mare

trodurre i sensi unici dove necessario, percorsi ciclabili di collegamento fra le varie parti della frazione e con la città (Nuova zona–Statale; Statale-Mare; Lungomare) e accesso sicuro a luoghi importanti come la scuola. A questo proposito, registro la soddisfazione di molti genitori per il progetto di un nuovo accesso a Sud della scuola elementare, che sarà raggiungibile a piedi o in bicicletta attraverso la Quinta Strada, una via che dovrà essere ad uso esclusivo dei residenti e un percorso protetto per alunni e pedoni alternativo alla carrabile e decisamente più pericolosa Sesta Strada. Sorprende, a tal proposito, la non volontà degli

Amministratori degli ultimi 10-15 anni di fare - tramite semplici lastroni rimovibili da appoggiare sulla sabbia e quindi di nessun impatto ambientale e spesa irrisoria – un percorso pedonale di collegamento fra il marciapiede della Sesta e quello della Prima Strada che consentirebbe a bambini ed anziani di bypassare quel tratto pericoloso. Misteri della politica!

menti: la comunità gli deve almeno questo, come risarcimento di mancanze ataviche che gridano vendetta! Se questo non avverrà in tempi veloci e modalità chiare, il centro sociale diventerà ciò che purtroppo già appare esteriormente: il fantasma di se stesso, senza alcun progetto per le generazioni future. Fare presto e fare bene sarà responsabilità di ognuno di noi. ll cattocomunismo di Cesano – ne sono convinta - è stato un grande strumento di coesione sociale, con il sacro e il profano che hanno unito associazioni e singole persone in una comunità dalla forte identità. Anche nella gestione del territorio. E questo merita rispetto: penso alla polemica sul nudismo sì, nudismo no che ha investito la foce del fiume Cesano. C’è stata - a tal proposito - l’ostentazione di un liberalismo delle idee che trovo francamente stucchevole: chi ha liquidato quella questione come una querelle fra “gli zotici” locali e “i cosmopoliti” venuti da lontano, ha dimostrato di non conoscere affatto la storia di quel luogo. Un luogo che, nel corso degli ultimi vent’anni, è stato oggetto di studi da parte delle Università e luogo di visite ricorrenti da parte di intere scolaresche, evidentemente incompatibile con forme di naturismo totalmente fuori luogo.

Esprimere voto da 1 a 10

ANDREA ROSSI pensionato

FIORELLA MIRASOLE pensionata

DAVIDE DONATI 23 anni

MARIKA PAOLOZZA 32 anni

Qualità delle infrastrutture “amiche” di bimbi ed anziani (percorsi protetti, facilità, tranquillità e sicurezza negli spostamenti )

7

5

3

6

Disponibilità luoghi di aggregazione

3

4

2

6

Opportunità di incontro e di scambio fra generazioni diverse

5

5

Tra il 4 e il 5

7

Opportunità di incontro e di scambio fra residenti storici e nuovi residenti

3

5

Non ha elementi per rispondere

9

Alla coesione sociale di Cesano contribuiscono e hanno contribuito fortemente anche le attività commerciali e artigianali della frazione, in cui hanno avuto un ruolo fondamentale le donne: il negozio di alimentari di Rina Manna e poi della famiglia Sabbatini, quello di Roberta Pelliccia e quello di Amalia e Marisa Cancellieri; la Pasta all’uovo di Graziella Mazzoli; la lavanderia di Federica Bizzarri cui collabora la sorella Gabriella; il negozio di Delia Montesi e quello “sempreverde” di Paola Giramondi; le parrucchiere Zandri Antonietta, le “gemelle” Dina ed Elisabetta Freddi, e Diana Tombari; il bar Pongetti – Mantoni – oggi Lolì; quello di Bianca Bartolacci, che ha passato il testimone a suo figlio Walter Uliassi; la fornaia “Pina” in Sbriscia; il ristorante di Fermina e poi Aldina Guidarelli in Pongetti insieme con Luigi, Renato ed ora Aroldo; l’azienda di confezioni di Maria Grazia Girolimetti, che occupa tante donne della frazione; la “Dede”, che insieme a suo marito Leonardo Formica prima e a sua nuora poi, ha gestito l’unica edicola della frazione, purtroppo attualmente chiusa. Queste donne hanno profondamente segnato il tessuto economico e sociale del quartiere e sono oggi di stimolo a chi ha saputo raccogliere la loro eredità proseguendo la loro attività o avviandone di nuove. E alle nuove giovani imprenditrici dobbiamo dire grazie perché, con il loro duro lavoro, contribuiscono in modo sostanziale a rendere Cesano vivo e accogliente e sono - insieme alle loro famiglie e ai loro dipendenti – un vero punto di riferimento per gli abitanti del quartiere.

Più attività per i giovani, in generale fare più cose per loro

Più spazi ai giovani, gli adolescenti; spazi non solo fisici ma come insieme di attività dedicate a loro

Un quartiere che pulsa prepotentemente e instancabilmente nella vita delle persone che lo amano e lo criticano. Con la testa e il cuore di chi si fa custode dei luoghi e di chi li vive.

Viabilità: ogni strada deve prevedere uno spazio protetto per bambini ed anziani, consentendo il transito tranquillo di passeggini, biciclette e persone con problemi di deambulazione. Questa è una questione prioritaria, che va perseguita a 360°: mantenere o in-

Abbiamo chiesto a 4 persone di diversa età, sesso e provenienza di dare un voto da 1 a 10 su quattro argomenti che, insieme, aiutano ad identificare – secondo chi scrive – il livello di benessere di una comunità solidale. Prima persona intervistata: è un pensionato di circa 70 anni, che chiameremo Andrea Rossi; molto stimato, fortemente radicato e impegnato nella comunità. Seconda persona intervistata: si chiama Fiorella

Cosa vorresti fosse realizzato nell’immediato

Il nuovo Centro Sociale

I Ragazzi: rappresentano sicuramente – da sempre - la categoria meno sostenuta dalle istituzioni. Il nuovo centro sociale sarà lo spazio di tutti ma dovrà essere innanzitutto il loro spazio. Non dovranno esserci dubbi o tentenna-

Mirasole; pensionata; è fortemente impegnata nella comunità come responsabile della Caritas locale. Terza persona intervistata: si chiama Davide Donati; ha 23 anni; è musicista e gira l’Italia con il suo gruppo Home by Three. E’ nato e cresciuto a Cesano. Quarta persona intervistata: Marika Paolozza; anni 32; è sposata e ha un figlio di 7 anni; vive a Cesano da 7 anni; lavora in un vicino supermercato; è nata e cresciuta in provincia di Benevento. E’ fra i partecipanti al progetto dell’autocostruzione di Cesano.

Luoghi di incontro aperti, non chiusi in se stessi, da “allargare” insieme


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musica

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The velvet beach underground

Senigallia glocal sound Dj Lato di Massimo Ronchini “Io ascoltavo la pop music perché ero un infelice. O ero infelice perché ascoltavo la pop music?” (Rob Gordon, High Fidelity) Rob se lo domandava dentro casa sua seduto in poltrona, sullo sfondo una marea di vinili e dischi e al suo fianco un mangianastri impolverato: erano decisamente altri tempi. Oggi invece, che la “depression music” gioca un ruolo marginale, ci ritroviamo in un lento peregrinare verso la strada del cambiamento, musicale s’intende . Basta fermarsi un momento e guardarsi attentamente intorno per scrutare un ambiente in rivolta. Un tumulto. Accenniamo al precedente: mp3, supporti tecnici, bande larghe e wifi vari hanno messo a disposizione di tutti qualsivoglia argomento musicale, ognuno di noi diviene fruitore attivo in meno di un minuto, in qualunque momento ed in qualunque posto si trovi. Prima logica ripercussione: il completo sfaldamento del meccanismo promozionale/distributivo. Da una parte la popolarità e il consenso dei social network, delle webzine e dei blog spinge alla ribalta artisti che non sarebbero mai riusciti a farsi conoscere. Dall’altra parte il consumatore: in tempi precedenti con trenta mila lire sarebbe corso al Championship Vinyl per comperare un disco caldo d’uscita. Oggi lo stesso consumatore predilige altro: con trenta euro sottoscrive un abbonamento internet grazie al quale si potrà scaricare illegalmente lo stesso disco o in alternativa acquistarlo su iTunes. E qui arriva uno dei punti focali della questione: attualmente, per molti, non esiste cosa più difficile che elargire somme ad un soggetto etereo come iTunes per acquistare un prodotto “non fisico” come un mp3, soprattutto se lo stesso prodotto, con lo stesso strumento, è reperibile gratuitamente. Allo stesso modo le cose stanno cambiando anche dal punto di vista artistico. Riconoscere un valido artista oggi, a volte, è difficile come cercare il famoso ago nel pagliaio. Ad esempio parliamo della scena indipendente e lasciamo un attimo da parte tutto ciò che è definibile come mainstream. Il panorama che si presenta ai nostri occhi è un vero e proprio formicaio. Pensiamo a Myspace, Facebook, SoundCloud e gli altri mille contenitori di condivisione. Dentro c’è un villaggio artistico il più delle volte discutibile, variegato e variopinto, crogiolo di idee, bislacche e geniali; alcuni raccontano gioie, altri tediosi malumori sentimentali che a loro volta alimentano miliardi di spiriti alla ricerca di loro stessi o di un briciolo di cachet. Ognuno di questi soggetti, insieme a noi assidui appassionati, alloggia nella stessa pentola a vapore dove, tra cliccatori di video di Truce Baldazzi e rokkettari appassionati al Teatro degli Orrori, sarebbe meglio tirarsi fuori, anzi, squagliarsela prima che faccia troppo caldo e ci si fonda l’intelletto. E allora ecco, proprio nei primi giorni di settembre, tre strade per venirne fuori e una città, Senigallia, che disegna lo sfondo, nemmeno fosse Manchester negli anni ottanta (qualcuno si ricorda gli Happy Mondays?), per non fare le solite smorfie alle solite proposte, per cancellare dal nostro vocabolario quella parola “sottobosco” che tanto ci ha stancato. Primo escamotage: Chewingum, ovvero cingomma, simbolo di tanti discorsi al bar e dal tabaccaio,

o tabaccaro come dice un mio amico. Loro vincono perché pieni di genio, sconvolgono per primi le loro radici e si nutrono di influenze positive, amano muovere i sederi di chi gli sta davanti al concerto. A casa studiano nuove storie e le amalgamano a nuovi concetti di intendere la musica e la sua espressione. Non fanno un disco ma molto di più, costruiscono una città sul loro sito internet e ci invitano a comprarci casa, a viverla, a seguire le storie della loro hometown, a scaricare gratuitamente le colonne sonore di quella quotidianità che rappresenta il popolo della loro città, che per un po’ diventa anche la città di tutti noi. Sembra passato un secolo dalle loro primissime produzioni. Ora scrivono canzoni che ridefiniscono il concetto di pop. “Il disco si posò” è un ep che non stanca, dentro ci sono canzoni italiane mature, arrangiamenti ricchi di contaminazioni addirittura oltreoceaniche, ci sono storie di sogni e racconti di vizi, abitudini e mode, caleidoscopiche riflessioni sul paesaggio che ogni giorno ci siamo abituati a vivere con sinceri sentimenti ed autentiche bugie. Una cover che la dice lunga completa il puzzle: “Senza un perché” di Nada, l’ultima grande artista di un tempo ormai andato. Il sito in questione è lacittadichewingum.it mentre nel loro spazio di SoundCloud trovate nuovissime tracce! Secondo rimedio: Dadamatto. La power trio band più genuina del mondo. Loro sono una impepata di cozze cucinata da Moreno Cedroni. Sarebbero da mangiare pure a colazione, se avete stomaco. Escono a breve con la loro terza fatica di sempre, dopo un esordio punk dal titolo “Ti tolgo la vita” e un disco più recente, “Il derubato che sorride” che ha lasciato tutti quanti a bocca aperta. Cinque tracce sono già tutte godibili sopra l’indirizzo che sto per scrivere: http://www.rockit.it/album/16080/dadamatto-ep Dunque, i Dadamatto, la miglior faccia del rock indipendente italiano, le cinque nuove tracce in questione, con testi e suoni, stimolano ragionamenti, scatenano movimenti stupidi, risvegliano sensi, invogliano, solleticano ed eccitano. Tirano la corda al suono novanta che tanto ci piaceva a noi giovani dell’ottanta, lo trascinano in avanti e ne maturano le parti fondamentali. “Semaforo rosso” è un brano che letteralmente spacca !!! Terzo atto, terza scappatoia alla noia, terzo simbolo di una Senigallia in continua e costante fermentazione, LatoOtal, ovvero dj Lato, al secolo Nicola Latini, legittimo padre e padrone di una scena hip hop che, insieme all’ormai noto Fibra, ha fatto storia in tutta la penisola. Lato rientra in scena in grandissimo stile, quello di chi è rimasto ad osservare le mille evoluzioni intorno a lui, di chi, chiuso in uno studio, è stato capace di intraprendere un affascinante percorso musicale e comunicativo che sfocia nella nascita di Loopmannaro Breaks. Si prega di seguire tutti gli aggiornamenti connettendosi al sito latootal. com ! Il disco in questione esce nel giorno del mio compleanno, il 30 settembre. Quest’anno mi regalo un classico della pop music, rigorosamente originale, intendiamoci!

Chewingum Dadamatto

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Fax. 071.7910125 www.assigestservizi.it

TEL. 071.7929143 – 071.7929141 info@assigestservizi.it


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radici

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Storia senigalliese terza puntata: secoli XIII e XIV

Dal conte Gottiboldo ai Malatesti di Maurizio Pasquini

ti parrà nuova cosa né forte – poscia che le città termine hanno-” Addirittura il Vescovo Giovanni d’Ancona nel 1330 chiede di poter spostare la sua residenza a Corinaldo a causa dell’insicurezza e dell’aria malsana della città.

C

i eravamo lasciati alla fine del XII secolo, quando i Comuni marchigiani stavano profittando del vuoto di potere creatosi con la morte dell’imperatore Enrico VI per scrollarsi di dosso il potere imperiale. A Senigallia il rappresentante dell’imperatore è il potente conte Gottiboldo; il Comune entra a far parte della Lega contro l’imperatore promossa da Papa Innocenzo III e costituita da Ancona, Osimo, Fermo, Fano, Rimini, Ravenna e Numana. Nel 1200 grazie all’aiuto degli anconetani e degli osimani riesce a cacciare il funzionario imperiale.

P

roviamo per un attimo ad immaginarci la Senigallia della prima metà del ‘300. Le mura parzialmente diroccate e riconquistate dalle erbacce, diversi palazzi al suo interno semidistrutti e disabitati; fuori delle mura, verso monte, la città era circondata da una fitta boscaglia in cui era facile fare anche incontri di briganti, rischiando la vita. Le vie di comunicazione litoranee erano disastrate e spesso invase dal mare, a sud una palude maleodorante incombeva sulla città. Il solo andare ad Ancona o a Montalboddo poteva essere un’avventura: la vita era regolata dalla luce del sole, non esisteva illuminazione pubblica ed il buio spesso poteva riservare spiacevoli sorprese. Senza parlare poi delle mai sopite lotte tra Signori e Comuni della provincia che continuano a seminare distruzioni con continue scorribande di piccoli eserciti o gruppi di soldati al seguito dei vari Signori di turno.

L

a cacciata di Gottiboldo, sancita nella pace di Polverigi, il 18 gennaio 1202, porta la nostra città di nuovo sotto il dominio del Papa che da questo momento in poi governa la regione con i suoi Legati. Una tradizione pone proprio all’inizio del 1200 la nascita della fiera della Maddalena. Una fiera nata come conseguenza dell’afflusso di pellegrini che venivano a venerare le reliquie della santa, portate in città dalla Francia dalla moglie di un nobile senigalliese e racchiuse nella chiesa di San Gregorio. Questo afflusso era particolarmente intenso il 22 di luglio, festa appunto della Maddalena. In realtà si tratta di una tradizione non avvalorata dai documenti, perché le prime notizie storicamente accertate della fiera risalgono solo agli inizi del ‘400.

A

I

ntanto l’Imperatore Filippo di Svevia viene assassinato e gli succede Ottone IV, che in contrasto con Papa Innocenzo III concede in feudo ad Azzo VI d’Este la Marca d’Ancona. Ma il Papa riesce a portare dalla sua parte il feudatario e due anni dopo gli riconcede la stessa potestà sulla regione. Ottone ricuce l’alleanza con le casate filo-imperiali marchigiane, fra cui quella di Gottiboldo, al cui figlio Corrado riconosce, almeno formalmente, il titolo di conte di Cagli e Senigallia. Corrado pone le basi del suo potere nell’entroterra fra Misa e Cesano, ma non rinuncia mai a rivendicare il potere imperiale e forse anche la signoria senigalliese, capeggiando la fazione ghibellina e partecipando costantemente fino al 1230 alle varie iniziative dei rappresentanti dell’Impero. Nel 1225 è anche protagonista di uno scontro campale presso Palazzo di Arcevia, contro un’alleanza di Comuni capeggiata da Jesi, il cui esito non è certo.

L

a città in questa prima metà del ‘200 ha un’estensione di circa 18 ettari, annovera al suo interno 12 chiese e un ospedale voluto dal vescovo Benno: l’ospedale di Santo Spirito e San Vito. Consolida le istituzioni comunali e cerca di barcamenarsi fra le città vicine, partecipando alle varie alleanze a tutela dei propri interessi commerciali e territoriali. I rapporti più tormentati sono con Jesi, continuamente oscillanti fra alleanze e contrapposizioni con episodi di annessioni o sottrazioni di territori; ma alla lunga sarà Senigallia a dover cedere. E’ un periodo in cui i comuni si contendono il dominio del territorio in piena autonomia senza chiedere permesso né al Papa né all’Imperatore e i patti e gli accordi vengono stretti e disattesi con la stessa frequenza. Questi conflitti condizionano anche la politica senigalliese di alleanze con le altre città costiere: vedi l’alleanza con Venezia contro Ancona. Altre minacce vengono dall’entroterra, non tanto dai Gottiboldi (Corrado di Gottiboldo poi il figlio Corraduccio da Sterleto), quanto dai Comuni dell’entroterra e da Jesi. In sostanza Senigallia sembra una città assediata e a partire da questi anni comincia a richiudersi su se stessa. Sul mare perde spazi commerciali stretta fra le più forti Fano e Ancona. Nell’interno vede sorgere autonomie comunali (Montalboddo/Ostra, Rocca Contrada/Arcevia, Corinaldo, Serra de’ Conti, Montenovo/Ostra Vetere, Barbara) che le sottraggono il controllo di gran parte del suo antico territorio (comitatus). Ma soprattutto è costretta via via a cedere castelli e territori al sempre più potente comune jesino, che nel 1213 si annette Monte S. Vito, Morro d’Alba, Belvedere.

Pianta di Senigallia nel 1200 da un testo del 1700

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a decadenza della città ha la sua prima e inequivocabile testimonianza nei patti che stringe nel 1256 e nel 1258 con Jesi, grazie ai quali gli Jesini ormai in piena fase espansiva e ben spalleggiati dalla coalizione filo-sveva stabiliscono un protettorato di fatto sulla nostra città, ottenendo anche il controllo del porto e dei suoi traffici. Il patto di alleanza, che tale poi non è, prevede addirittura una specie di fusione con l’elezione di un unico Podestà residente alternativamente nelle due città. Questo non basta però a salvare Senigallia, nel 1262, dal saccheggio delle truppe di Manfredi, Re di Sicilia e figlio naturale di Federico II, e dal successivo saccheggio di Guido di Montefeltro, nel 1280. La nostra città paga così duramente la sua costante fedeltà alla Chiesa, cui è costretta ad appoggiarsi per non cadere preda dei due partiti che si contendono ormai il dominio nei Comuni marchigiani: imperiali e ghibellini da una parte, capeggiati dal Conte Guido da Montefeltro, Signore di Urbino e guelfi dall’altra, guidati da Malatesta da Verrucchio, Signore di Rimini. La stessa Senigallia è dilaniata dalle fazioni interne, capeggiata l’una (la guelfa) dalla famiglia dei Raimondini (decimata però nell’eccidio del 1280) e l’altra dai Paganelli di Montalboddo. Tali sono la debolezza politica e lo spopolamento che la città non è ormai in grado di difendere la sua ampia cinta di mura romano-medievali, così nel 1299 il Rettore dalla Marca d’Ancona ordina di abbatterne una parte perché potevano servire da riparo e difesa ai ribelli della Chiesa.

P

er effetto di tutte queste vicende il porto perde importanza, alcune parti della città sono disabitate e coperte dai rovi, le saline vengono abbandonate diventando una palude maleodorante e malsana. Come se non bastasse Senigallia nel 1303 subisce insieme a Fano un disastroso terremoto. Il Boccaccio scrive nel suo Decamerone che un tale dall’aspetto malaticcio appariva “… con un color verde e giallo che pareva non Fiesole ma Sinigaglia avesse fatta la state…” ed anche Dante nel Paradiso scriveva a proposito della decadenza delle famiglie “Se tu guardi Luni e Urbisaglia - come son ite, e come se ne vanno – di retro ad esse Chiusi e Senogallia – udir come le schiatte si disfanno – non

gli inizi del ‘300 la città è occupata dai guelfi Pandolfo Malatesti e suo cugino Ferrantino, che agiscono più per propri interessi che per conto del Papa di cui si dicono sostenitori, profittando anche del fatto che la sede del Papato era stata spostata ad Avignone. Allora Clemente V nomina suo legato il Cardinale Napoleone Orsini con l’intento di riportare tutte le città marchigiane sotto l’influenza della Chiesa. Viene inviato come vicario papale Giraldo de Tastis, che con l’aiuto degli Jesini riesce a cacciare da Senigallia i Malatesta. Gli Jesini riceveranno come ricompensa per l’aiuto i castelli di Montemarciano, Cassiano, Alberici, Vaccarile e Casalta, mentre Senigallia viene affidata alla custodia di Ancona.

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egue quasi un trentennio di lotte fra i Comuni e i Signori fautori dell’imperatore e altri fedeli al Papa, in cui Senigallia svolge solo il ruolo di oggetto passivo degli eventi, per lo più sotto la dominazione di Malatesta e Galeotto Malatesti, seguita nel 1347 da quella di Malatesta Ungaro, che occupa anche Jesi, sottomette per un breve periodo anche Ancona ed estende il suo dominio fino ad Ascoli Piceno, creando una signoria inferiore per espansione territoriale solo a quella dei Visconti. Il nuovo papa Innocenzo VI, manifesta l’intenzione di riportare la sede papale a Roma e nel 1353 nomina il Cardinale Alvarez Carrillo de Albornoz suo legato generale per l’Italia. Il Cardinale viene in Italia a capo di un forte esercito, riesce a convincere molti Signori a giurare fedeltà al Papa e nel 1355 sconfigge sul campo Galeotto Malatesti, che abbandona tutti i propri domini a sud di Rimini. Qualche mese dopo però i Signori riminesi vengono perdonati ed anzi vengono nominati vicari della Chiesa per Rimini, Fano, Pesaro e Fossombrone. Senigallia invece rimane sotto il dominio della Chiesa, che vi invia come vicario papale Bartarello Bartolucci di Arcevia, il quale nomina sindaco e procuratore Nicola di Tolomeo di Ferrara per recarsi a Gubbio a giurare fedeltà alla Chiesa ed ottenere l’assoluzione dalla scomunica che l’aveva colpita nel 1355 in quanto aveva accettato e favorito i Malatesti.

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ello stesso anno l’Albornoz riorganizza la Marca Anconetana e convoca un Parlamento generale a Fano, dove emana i nuovi statuti della regione. Negli stessi anni fa compilare la “Descriptio Marchiae” in cui vengono fissate anche le competenze territoriali delle varie città. Nel comprensorio senigalliese vengono inscritti i castelli di Tomba (Castelcolonna), Ripe, Scapezzano, Monterado, Percozzone e Roncitelli e le ville di San Pietro in trivio, Castel Michele, Monte Moro, Agliano e Magliano. Il documento conferma anche lo stato di decadenza della città, che è classificata tra le parvae (piccole) con solo 250 fuochi fiscali, cioè appena duecentocinquanta famiglie soggette al pagamento delle tasse, mentre a Roccacontrada/Arcevia ne sono attribuite 1200, a Pesaro 2.500 e a Fano 4.500.

(continua)

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Senigallia la CittĂ Futura

ottobre 2011


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