27-1 Castelli e torri costiere della Calabria A4 Ita ebook

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Lingua e cultura greca e anima latina Dopo lo sfaldamento dell’impero romano d’Occidente, le acque del Mare Nostrum non sono più presidiate e la pirateria riprende vigore. I bizantini, più di altri, danno vita a scorrerie, assaltando in mare aperto le navi indifese, e lungo le coste i pescatori. Nel 534 gli scontri intestini tra i goti offrono il pretesto all’imperatore d’Oriente Giustiniano I d’intervenire in Italia per completare la riconquista della parte Occidentale dell’impero. I bizantini trovano nel Bruzio la comune radice culturale della Magna Grecia, dove l’anima latina e quella greca convivono anche dopo il disfacimento dell’impero romano. Nel 535 le truppe greche al comando di Belisario e Narsete si muovono in armi da Costantinopoli e sbarcano in Sicilia e quasi senza incontrare resistenza, dopo avere conquistato Siracusa e Palermo, da Messina attraversano lo Stretto e passano a Reggio. Nella Lunga terra ogni resistenza è stroncata con inaudita durezza e gli imperiali d’Oriente saccheggiano anche le chiese. L’imperatore Giustiniano nel 554 estende la legislazione bizantina all’Italia e l’estremo lembo della penisola diventa una colonia da sfruttare a tutto vantaggio dell’Oriente. Nel 603 il Bruzio è sotto il completo controllo degli imperiali che prendono schiavi uomini e donne per relegarli in catene nella Nuova Roma, Costantinopoli, e venderli agli arabi che li conducono nelle loro terre. Nel corso del VII secolo provenienti dai deserti del vicino Levante, i grandi nomadi arabi uniti sotto un unico vessillo ricercano fuori dal loro territorio i mezzi indispensabili di sussistenza. Fanno vacillare le difese bizantine, sono convinti di essere i rappresentanti della vera religione e di godere del sostegno divino nel perseguimento del loro disegno mediterraneo. I bizantini restano sulla difensiva anche perchè i musulmani cominciano a disporre di una flotta costruita nei cantieri navali del Medio Oriente e munita di equipaggi siriani, libanesi e palestinesi. La Lunga terra bruzia si appresta ad accogliere ondate d’eremiti in fuga da

PENTEDATTILO RC 5


Un succedersi di lotte destinate a frantumare dominazioni e a travolgere dinastie Nel corso di dieci secoli di ferro, come li ha definiti Emilio Barillaro, uno dei maggiori conoscitori dell’arte, dell’archeologia e della cultura della Calabria, sottili galee saracene e legni turchi e barbareschi che inalberano prima le verdi bandiere del Profeta e poi i rossi vessilli con la mezzaluna, portano dall’azzurro intenso del Mediterraneo lutti e rovine sulle coste degli infedeli cristiani. Dall’VIII al XIV secolo sulle meravigliose spiagge, baie e alte scogliere del Bruzio, dalle galee lunghe quasi quaranta metri e larghe più di sei, ad uno o due alberi a vele latine, con 25 o 30 banchi di remi da ciascun lato per la voga, sbarcano, stendardi al vento, cavalieri e truppe musulmane. Per Fernand Braduel, il grande studioso che ha svelato culture e relazioni dei paesi del Mediterraneo, «al primo colpo di sciabola degli arabi tutto crolla per sempre: lingua e pensiero greco, inquadramenti occidentali, tutto va in fumo. È come se mille anni di storia non ci fossero stati». Le incursioni saracene sono il «funesto malanno del dominio bizantino e dell’arte basiliana nel Bruzio, […] costringono le popolazioni dei centri rivieraschi, fiorenti specialmente nel periodo magnogreco, a disertare i litorali e a cercar rifugio sugli acrocori inaccessibili, nei più reconditi recessi montani, sulle impervie pendici, ed ivi munirsi di fortilizi, bastioni, torri e propugnacoli d’ogni genere, per scampare agli assalti delle feroci orde musulmane. […] I secoli d’oro della civiltà italiota, fiorita sul piano orizzontale delle incantate distese marine, troveranno così la loro completa metamorfosi nei secoli di ferro dell’età turchesca, eretta sulla linea verticale della civiltà delle rupi e dei castelli». Dal 754 per i bizantini e dal 774 per i longobardi le terre bruzie sono denominate Calabria, e diventano il teatro di tante battaglie e il baluardo di difesa cristiano, comincia il lungo conflitto mediterraneo musulmano-cristiano, è «notte multisecolare», e quanti «ebbero forze e mezzi, diedersi a costruire de’ nuovi paesi in fondo a que’ burroni, o su que’ monti, e tra que’ boschi che nelle luttuose emergenze erano serviti loro di rifugio».

CORIGLIANO CS

Castello ducale (XIV secolo)

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Per la distanza e i pericoli dei viaggi dalla Calabria a Costantinopoli, si rende necessario organizzare nuove chiese in metropolia. Tra la fine del secolo VIII e l’inizio del IX, Reggio è sede metropolitana della Calabria. L’arcivescovo della città dello Stretto è il titolare dell’Eparchia tes Kalabrias costituita dalle sedi vescovili di Amantea, Bisignano, Cassano, Cosenza, Crotone, Locri, Nicastro, Nicotera, Rossano, Squillace, Tauriana, Témesa e Vibo Valentia. I longobardi da parte loro per l’atteggiamento inerte degli imperiali d’Oriente, impongono rapidamente il proprio dominio sulla Calabria nord-occidentale. Ormai convertiti al cristianesimo, nel corso del loro lungo periodo di presenza nel Bruzio gli uomini dalle lunghe barbe hanno in gran considerazione la struttura della Chiesa romana incentrata sui vescovi, che esercita anche nella regione bruzia un ruolo sociale fondamentale in un’epoca di crisi complessiva e si mostrano rispettosi nei confronti della gerarchia ecclesiastica e generosi in donazioni e fondazioni pie. Privi di una flotta, i longobardi s’interessano

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in misura minore della zona costiera, preferendo la parte interna del cosentino, caratterizzata dai rilievi ricchi di boschi tra il fiume Crati e il Tirreno, con, all’apice meridionale, Témesa, prima che la città svanisca fisicamente dalla storia e dalla geografia a causa di una delle prime devastanti incursioni saracene. La conquista delle terre soggette ai bizantini è discontinua, i longobardi non arrivano al completo controllo dell’intero territorio Bruzio in progressivo disfacimento civile ed economico. La regione è così divisa in due zone dalle diverse influenze politiche, una meridionale di lingua e cultura greca con capitale Reggio, avamposto di Costantinopoli sullo Stretto e porta d’accesso bizantina alla regione, l’altra settentrionale, di lingua e cultura latina per l’influsso esercitato da Roma, con capitale Consentia (Cosenza). Le guerre incessanti tra bizantini e longobardi e il persistere delle incursioni saracene non permettono ai contendenti di fissare con precisione un confine militare, culturale, linguistico, che spesso è artificioso e mutevole.

SQUILLACE CZ

Castello bizantino - normanno (IX-X-XI-XV-XVII secolo)

AMANTEA CS

Torre del castello (XIII secolo)


L’arroccamento delle popolazioni calabresi Nel IX secolo in tutta la Calabria per le invasioni da Sud degli arabi siciliani e da Nord dei longobardi del ducato di Salerno, cominciano a sorgere i castron e i castellion bizantini, luoghi di difesa più possenti delle piccole fortificazioni a guardia dei chora (terra, fondo agricolo) e delle casupole contadine. La presenza militare di Costantinopoli è precaria per la mancanza di soldati e di efficaci dispositivi di difesa mentre la marina imperiale soffre la supremazia navale musulmana. La Lunga terra è in posizione strategica nel Mediterraneo, ma nonostante la lontananza dalla capitale dell’impero solo i bizantini combattono i saraceni per riportare la Calabria sotto la loro completa autorità. La religione viene differenziandosi dallo stato e detta norme morali cui devono sottostare anche i regnanti; l’anima cristiana ingentilisce le leggi e smussa lo spirito conquistatore per fare dell’esercito bizantino lo strumento di difesa dei confini, per Giorgio Fedalto, studioso della Chiesa d’Oriente, «dai resti dell’impero romano si faceva l’impero cristiano o, come si dirà più tardi, l’impero bizantino». I saraceni, o mori o arabi o musulmani, si riversano sulle coste della Lunga terra tra l’827 e il 1091 dalla vicina Sicilia, l’isola è una munita roccaforte araba, e dall’Ifrîqıˉya, la Tunisia, le propaggini occidentali dell’Algeria e la Cirenaica orientale, per le innumerevoli incursioni e per stabilire dei loro capisaldi ad Amantea, Bruzzano Zeffìrio, Cosenza, Fiumara del Muro o Motta dei Mori, Fiumara Saraceno, Fiumefreddo Bruzio, Laguna di Placanica, Motticella, Rocca Imperiale, Sambatello, Santa Severina, Saracena, Scalea, Squillace, Stilo, Tropea e soprattutto a Reggio dove i musulmani nel 952 elevano verso il cielo il minareto della loro moschea. La guerra santa dei saraceni che al grido di Allâh akbar (Allah è grande) si rivolgono contro i borghi bruzi abitati da al-rum (bizantini), al-nas¸raˉ nıˉ (romani cristianizzati) e al-nukubard (longobardi), è un incubo che caratterizzerà vite e identità di una lunga sequela di generazioni di calabresi.

SCALEA CS CASTELLO (VIII-XI-XII-XIV-XV secolo) 9


La conquista normanna Non manca il coraggio ai manipoli di normanni che discendono nei piccoli centri abitati della Calabria dove si parla greco, latino e arabo. Le terre bruzie conoscono presto il temperamento violento, le capacità diplomatiche, l’insaziabile avidità di terra e di ricchezze degli Altavilla, è la Calabria dei contadini in rivolta contro le angherie dei patriziati bizantini nell’attesa che le armi di Roberto il Guiscardo e del fratello Ruggero il Normanno dettino legge e facciano la storia. Le prime azioni degli uomini del Nord s’incastrano nelle dispute tra longobardi, bizantini e musulmani, nel cui gioco intanto s’inseriscono anche le ragioni del papato che vuole ridurre l’influenza dei due imperi orientale e germanico nel Sud dell’Italia. I signorotti locali, poveri economicamente e deboli sotto l’aspetto militare, sono sempre in lotta tra loro e con i principati longobardi di Benevento, Salerno e Capua o con l’impero bizantino. Nelle avanguardie dei cavalieri normanni che sopraggiungono in Calabria nella prima metà dell’XI secolo, vi è il desiderio innato di stabilirsi in contrade che non sono barbare, i primi cadetti di Normandia che cercano fortuna nel Bruzio incitano altri a partire, sono esaltati dai racconti che celebrano le terre della civiltà magnogreca e della spiritualità orientale, attratti anche dal clima mite e da grano, vite, ulivo. Le schiere di guerrieri sono seguite da uomini dall’intenso desiderio di nuove conoscenze che nel Bruzio trovano, per Georg Ostrogorski nella sua Storia dell’impero bizantino, un sistema amministrativo calabro-greco «senza precedenti, con un apparato burocratico articolato e composto di funzionari specializzati, da una superba tecnica militare, da un elaborato ordinamento giuridico, da un sistema economico e finanziario altamente sviluppato». Per il monaco Goffredo Malaterra la Lunga terra della conquista normanna è costituita da «civitates et fortissima castra». La sua cronaca descrive gli insediamenti bizantini, tra la riconquista del tardo secolo IX e la metà dell’XI, e ci parla di cinque urbes, ventuno castra, e dei castellia, le fortezze di fondazione o ristrutturazione degli uomini del Nord, che vanno a costituire

MORANO CALABRO CS

Castello normanno (XI-XIV-XV secolo)

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La tribù degli Altavilla IL GRANDE PROGETTO NORMANNO: UNO STATO CHE È QUASI UN IMPERO La politica normanna in Calabria aspira alla costituzione di uno stato multirazziale dove possono convivere pacificamente etnie, culture e tradizioni diverse, nasce «una civiltà composita, differente da ogni altra; araba nell’organizzazione, normanna per la compagine militare, bizantina per la cultura e per la lingua». Gli uomini del Nord, scrive don Nicola Ferrante, un sacerdote reggino che studia il mondo bizantino in Calabria, «sono profondamente religiosi; e dopo il primo scontro nella guerra di conquista con l’elemento greco, si accorgono che quella perfetta organizzazione burocratica e, ancor più quel culto, con l’impressionante rito e con quelle profonde e misteriose icone, tocca pure il loro cuore cristiano. Così sono generosissimi con i latini; ma non vogliono dimenticare i greci. Ricostruiscono alcuni monasteri di questi, già abbandonati a motivo degli arabi, e altri ne fondano completamente nuovi». Coesistono in Calabria la religione cattolica secondo i riti greco e latino e quella islamica: «Amicizia, anzi qualche volta stima, non sono infrequenti fra arabi e cristiani». Ruggero, coperto dalla dalmàtica araba, si circonda di franchi, latini, greci, longobardi e saraceni che «non dovevano sentirsi stranieri o percepire prevaricazioni dall’una o dall’altra etnia, bensì, secondo il progetto del gran conte degli uomini del Nord, dovevano sentirsi popoli di una stessa patria». Ai piedi di castelli feudali, città greche, villaggi musulmani, colonie longobarde, con le strade occupate da pisani, genovesi, amalfitani e al suono delle campane e delle cantilene dei muezzin su piccoli minareti, si incrociano persone vestite con il mantello e il turbante musulmano, la maglia di ferro normanna, la lunga tunica greca e il corto saio italiano. La presenza degli Altavilla determina un avvenimento significativo per la storia artistica del Meridione, per Giuseppe Occhiato, studioso degli uomini del Nord, si avvia, proprio in Calabria,

MILETO VV Abbazia della Trinità (XII secolo)

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In alto a sinistra:

ROBERTO D’ALTAVILLA IL GUISCARDO

(Hauteville 1015 – Cefalonia, 17 luglio 1085)

In basso a sinistra:

RUGGERO I D’ALTAVILLA IL NORMANNO

(Hauteville 1040 – Mileto, 22 giugno 1101) In alto a destra:

RUGGERO I REX SICILIAE, CALABRIAE, APULIAE

(Mileto 22 dicembre 1095 – Palermo, 26 febbraio 1154)

la nascita di una nuova architettura d’impronta normanna, il romanico calabrese è precursore di quello italiano e s’inserisce da protagonista nel fervore artistico che rinnova il volto dell’Europa nell’XI secolo. Francesco Abbate scrive nella sua Storia dell’arte nell’Italia meridionale che la «Calabria giunge a sperimentare soluzioni altrettanto complesse e a registrare cambiamenti in misura ben maggiore rispetto alle altre regioni di tutta

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l’area meridionale». Nelle abbazie benedettine di santa Maria di Sant’Eufemia (1062) e della Trinità di Mileto (1063) si riconosce l’operato programmatore dell’abate architetto Roberto di Grandmesnil, proveniente da Saint-Évroul-en-Ouche. «Organizzazione amministrativa, impegno economico, politica religiosa, produzione figurativa, ci parlano di vitalità e individualità della Calabria nel contesto dello stato normanno».

Tra i nuovi rampolli della tribù degli Altavilla, Ruggero è il più giovane, per Pierre Aubé, nei suoi studi sui normanni nel Mediterraneo, «è un cavaliere intrepido non ancora ventenne che riceve dal fratello maggiore Roberto la piazza di Mileto, punto d’avvio per una minuziosa erosione della supremazia greca». Il Guiscardo da parte sua è sempre più impegnato nei territori pugliesi, e Ruggero si trova spesso da solo in Calabria a


I castelli di Federico II CARATTERE AUSTERO E SEMPLICITÀ NUDA E FORTE Federico II di Svevia (1194-1250) conduce all’apogeo il grande progetto normanno che cambia la storia della regione «in termini di unità politico amministrativa, sociale, culturale, geografica». In anticipo di cento anni Federico opera in un appassionato intreccio di elementi della cultura occidentale e di quella orientale, protegge in ugual modo studiosi cattolici e musulmani, dotti ebrei e poeti provenzali, con una personalità che «domina i suoi contemporanei». La «creatività del suo spirito» gli consente di edificare in maniera tanto splendida potenti fortezze di pietra, e, come erede del mondo bizantino e normanno, getta «i fertili semi di una nuova era dell’arte». Per Georgina Masson nel suo Federico II di Svevia, l’imperatore porta «l’ordine ovunque egli passa, ispirando e imponendo ubbidienza», si preoccupa di migliorare e di ampliare il sistema di fortificazioni che gli è stato lasciato in eredità dai suoi avi normanni, non intende separare la corona imperiale dal regno dell’Italia meridionale, con grande rammarico del papa. Opera in modo da annullare le resistenze feudali, abbattendo ogni fortificazione signorile del regno e adottando un sistema di governo che completa e razionalizza quanto di più innovativo proviene dall’esperienza politica degli Altavilla. «Chiunque non fosse stato dotato della forza di carattere di Federico avrebbe desistito dal cercare di restaurare l’ordine in quel regno ribelle, e avrebbe rinunciato a crearsi roccheforti statali attraverso tutto il Paese per indebolire il potere dei baroni feudali». Con l’editto di Capua Federico impone la restituzione dei castelli costruiti arbitrariamente dai vassalli o edificati sul suolo demaniale dopo la morte di Guglielmo II (1189), per smantellare o rafforzarli in fortezze della corona che doveva mantenerli e fornirli d’uomini armati e di vettovaglie.

COSENZA Castello normanno-svevo

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VIBO VALENTIA Castello normanno-svevo

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Il perfezionamento delle macchine e dei sistemi d’assedio intorno al 1200, decreta il fallimento delle strutture normanne che sono rafforzate dall’imperatore svevo, dopo la Pasqua del 1221 Federico procede alla realizzazione di un sistema unitario di difesa che avrebbe sbarrato ogni strada di accesso al nemico. L’imperatore volge l’attenzione al rafforzamento delle strutture fortificate e nomina un Provisores Castrorum che, trimestralmente, ispeziona i castelli posti sotto la sua giurisdizione e compila un «verbale contenente i nomi del castellano o dei componenti la guarnigione, le

eventuali proposte di sostituzione, le pene da affliggere». La trasformazione dei castelli in fortezze è attuata dall’imperatore grazie ad una serie d’ordinanze che impongono agli uomini dei villaggi e delle città dei dintorni l’obbligo di eseguire materialmente i lavori necessari. Gli artisti e le maestranze di Federico realizzano anche diverse costruzioni civili ed ecclesiastiche, a Cosenza e a Vibo Valentia le autorità imperiali ordinano importanti lavori di riassetto urbanistico, secondo una struttura piramidale alla cui sommità si erge il castello. Tutte le opere hanno


La Calabria scenario preferito di scontri e saccheggi di angioini e aragonesi STRETTA TRA UN GOVERNO CENTRALE OPPRESSIVO, LO STRAPOTERE DEI BARONI E LE INCURSIONI DI PIRATI E CORSARI MUSULMANI Con l’avvento dei francesi, Carlo I d’Angiò, re di Napoli e di Sicilia dal 1266 al 1285, giunto al potere grazie alla protezione accordatagli dal pontefice Clemente IV che lo preferisce al principe Manfredi, figlio naturale dell’Hohenstaufen, cerca di perfezionare il sistema politico ereditato dagli svevi, pone la folta feudalità al servizio della monarchia, e, per Emile G. Léonard nel suo Les angevins de Naples, «inquadra saldamente nel demanio o nelle signorie feudali le libertà amministrative delle città, intensifica, non senza inconvenienti, l’intervento statale nella vita economica in una prospettiva mercantilistica, prosegue l’azione sveva nella cura di strade e porti, di fiere e mercati». Durante il periodo angioino la sopravvivenza in Calabria è faticosa e progressiva la decadenza, le popolazioni sono ridotte in condizioni servili e devono sottostare all’arbitrio feudale, nella regione non vi è più nessun grosso centro. Nel 1276 nel giustizierato di Val di Crati e Terra Giordana il centro più importante è Rossano, con un fertilissimo territorio, irrigato da ruscelli e torrenti, che produce olio e ogni specie di frutta. Cotrone è al centro di un territorio pianeggiante, fertile e ben irrigato, «buon porto, certo meno capace dell’antichissimo scalo ellenico ma ancora sufficiente per piccole navi». La terza città per popolazione è Geneocastro (Belcastro), che a 533 metri sul livello del mare domina il fiume Crocchio che bagna con altri torrenti un territorio ampio e ferace di granaglie e castagne, ricco di pascoli. Bisignano sovrasta un territorio ricchissimo di acque e di prodotti del suolo. Strongoli sorge sopra una rupe scoscesa su un territorio ricco di prodotti, di pascoli e boschi, irrigato dal torrente Vitravo.

PRAIA A MARE CS

Rocca angioina di Praja (XIV secolo)

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Feudatari e università potenziano torri e castelli e innalzano nuove fortificazioni Con gli aragonesi non cessano i pericoli e le violenze interne, alla miseria si aggiungono le ricorrenti carestie, la malaria si va sempre più diffondendo per le ampie zone di pianure lasciate al defluire dei torrenti in piena. Le popolazioni per sopravvivere sono ancora costrette alla frode nella numerazione dei fuochi mentre la corona estende i già consistenti privilegi concessi alla classe feudale e alla Chiesa e le entrate dello stato sono insufficienti per le esigenze economiche richieste da una politica estera di prestigio e per reprimere le frequenti ribellioni baronali. Continuano le minacce esterne con le frequenti incursioni musulmane, provenienti dai loro porti del Nord Africa e del Medio Oriente le galèe turche e barbaresche con una velocità di navigazione tra le sei e le nove miglia l’ora, con i captivi cristiani ai remi che vogano al ritmo dei colpi di tamburo degli aguzzini che percorrono incessantemente la corsia della galèa distribuendo frustate, raggiungono la Calabria per funestare soprattutto i centri che si affacciano sullo Jonio e sul Tirreno. Gli aragonesi cercano di evitare di ricostituire nuovi grandi feudi in grado di rivaleggiare con la corona e sempre pronti ad insorgere al presentarsi dell’occasione favorevole, aumentano i tributi che gravavano sulle merci circolanti e i dazi che pesano sui prodotti alimentari, compresi quelli di largo consumo, come l’olio ed il vino, e riprendono le famigerate collette. Naturalmente a pagare è soprattutto la povera gente. Sull’alto numero di privilegiati e sull’esosità dimostrata dagli agenti del fisco, leva la sua voce di condanna san Francesco di Paola che non esita a denunciare i soprusi commessi ai danni del popolo e ad accusare la corte aragonese di malgoverno: nella lettera scritta nel 1447 al suo influente amico Simeone dell’Alimena fa presente che «un gentil uomo napoletano, contatore dei fuochi della Provincia […] è persona fastidiosa, senza alcuna discrezione […] tal uomo senza ragione e carità saria l’ultima rovina […] di tutte le povere altre Terre del nostro paese». Il grande santo taumaturgo che raggiungerà in Francia Luigi XI per

STILO RC

La porta Stefanina della cinta urbana (XI secolo)

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BAGNARA RC Torre di Capo Rocchi (XIV secolo)

cercare di salvare l’Europa cattolica dal possente attacco musulmano, conclude il suo scritto affermando che i «[…] ministeri dello stato regio, non l’empietà, quale continuamente usano contro povere persone, vedove, pupilli, stroppiati e simili persone miserabili, quali di ragione devono essere esenti di ogni gravezza. Guai a chi regge e mal regge, alli ministri delli Tiranni e alle Tirannie, guai alli Ministri della Giustizia, che li è ordinato far giustizia e loro fanno tutto altro!». Le aperture del re di Napoli Ferrante d’Aragona, che sogna una struttura moderna del suo regno con l’accentramento del potere, trovavano un forte ostacolo nell’opposizione violenta dei baroni che il re seda nel sangue. Una lotta che ha terribili ri-

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percussioni sulla gente, costretta a subire angherie e sopraffazioni d’ogni genere. Intanto i turchi riescono ad insediarsi saldamente nei Balcani, s’impadroniscono di Costantinopoli e sottomettono fino ad Algeri tutto l’Islam mediterraneo, per la caduta dell’impero d’Oriente la minaccia giunge anche da Levante e le incursioni ottomane in Calabria s’intensificano. Nel Mare Nostrum, come i romani chiamavano il Mediterraneo, non si contano più gli scontri spietati tra cristiani e musulmani. Enea Silvio Piccolomini (1405-1464), futuro papa Pio II (14581464), il 25 settembre 1453 afferma che «padroni dell’universo furono già gli itali, ora ha inizio l’impero dei turchi». Per molti anni il terrore corre lungo le coste cristiane della Calabria e si propaga anche nelle città più lontane dal mare, con i vari feudatari e le università che riprendono a potenziare torri e castelli e ad aggiungere nuove fortificazioni. Nessuna regola

costruttiva comune riesce ad imporsi per i fortilizi, costruiti secondo il criterio ritenuto il più idoneo alla difesa delle coste. Le torri di questo periodo sono di varie forme, con prevalenza di quella cilindrica, e di notevole ampiezza quando sono destinate alla difesa e al rifugio in caso d’incursione. La fama di crudeltà che accompagna i pirati terrorizza la gente, e l’avvistamento di una galea dalle vele nere è motivo d’angoscia per la propria sorte, per sottrarsi alla triste condizione di schiavi, insieme alle opere di difesa, molte famiglie scavano cunicoli ben mimetizzati sotto le loro case; sono il nascondiglio soprattutto delle donne, prede pregiate dei turchi. L’intero sistema di opere difensive, torri costiere e castelli, è in qualche modo funzionale a limitare i danni delle incursioni dei pirati, ma è inadatto a frenare la temuta invasione che i musulmani finiranno prima o poi per tentare. Gli aragonesi dilaniati da estenuanti lotte intestine e dinastiche, da spietati antagonismi e


Storie di pirati e corsari LE TORRI COSTIERE: UNA CATENA DIFENSIVA FORMIDABILE

Dal 1535 l’appellativo di saraceni segnerà anche turchi e barbareschi che continuano le imprese dei loro predecessori. Le continue incursioni turchesche non incontrano quasi mai ostacoli sia sul mare sia sulla terraferma, la presenza navale difensiva sul Tirreno e sullo Jonio è sconosciuta, le guarnigioni delle fortificazioni costiere sono scarse di uomini e male armate, hanno la disponibilità il più delle volte di un solo cannone ma di polvere e palle neanche a parlarne. Avvistato il nemico, militi, torrieri e cavallari, limitano la loro azione a quella d’avviso del pericolo imminente agli abitanti, affinché dai loro villaggi si affrettino a raggiungere rifugi più sicuri sulle montagne, abbandonando alle ciurme corsare turche e barbaresche tutto quello che non possono portare appresso. La difesa dei rûmi è frammentaria e contraddittoria e la cronaca delle incursioni s’infittisce di battaglie cruente, di personaggi leggendari avvolti dal mito. Storie di pirati e corsari, d’uomini così lontani e diversi, di avventure come quelle di Kamal Raìs, detto il Camalicchio, l’incubo delle popolazioni siciliane, calabresi e pugliesi nei primissimi anni del Cinquecento, di Khair ad-Din, il più celebrato corsaro dell’impero turco. Altri se ne aggiungono, con personalità dai contorni più incerti come Torghoud raìs Dragut, il terrore del Tirreno, un pirata tanto feroce che la sola pronuncia del suo nome faceva gelare il sangue ai marinai non solo cristiani. L’11 marzo 1536 sono ispezionate da Juan Sarmiento le torri costiere, i castelli e le altre opere di difesa della regione, la relazione al sovrano Carlo V fa pr esente il pessimo stato di molte fortificazioni, giudicandone alcune, come quelle di Amantea, Cotrone, Oriolo e Tropea, di nessuna importanza militare e insufficienti alla difesa, per Giuseppe Coniglio la relazione regia si conclude con l’auspicio della realizzazione di ulteriori strutture fortificate, idonee a difendere le popolazioni costiere.

SAN NICOLA ARCELLA CS Torre vice regnale di Porto San Nicola (XVI secolo)

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con le marine. Le torri edificate più all’interno sulle alture della costa in località difficilmente raggiungibili ma in ottima posizione per sorvegliare grandi tratti di mare sono dette guardiali e servono per segnalare il pericolo ai paesi all’interno della costa. Una volta realizzato il programma di costruzione delle torri, per migliorarne la funzionalità gli spagnoli istituiscono posti di guardia lungo il Tirreno da Napoli fino a Reggio al solo fine di poter dare l’allarme in caso di comparsa di flotta turchesca o di legni barbareschi. Nel 1658 gran parte degli edifici sono ancora decadenti e un anonimo viaggiatore straniero scrive: «In tutta la provincia non vi sono fortezze di conto, toltone fuori Regio, Cotrone e Santa Severina […] veggonsi […] molte rocche, le quali doveano essere ne tempi antichi di qualche riguardo, ma di presente sono o rovinate affatto, o male in essere per far difesa, e tutte in universale prive di armi e di munizione».

LAMEZIA TERME CZ

Bastione aragonese dei Cavalieri di Malta (1550)

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CAPO COLONNA KR

Torre vice regnale Nao (1550)


Residenze castellate pomposi portali e stemmi di famiglia L’ABBANDONO DEL VETUSTO SISTEMA DEI CASTELLI E DELLE TORRI MARITTIME Diverse fortezze perdono la loro originaria funzione militare e sono trasformate in residenze nobiliari, per i feudatari calabresi la loro ricchezza è sinonimo di potere e, come esige la cultura barocca, nelle fabbriche sono impiegate le più illustri maestranze che realizzano ricche facciate dove spiccano pomposi portali come quello del castello di Fiumefreddo. È consuetudine dei proprietari entrare in possesso della dimora solamente a portale debitamente finito e a stemma di famiglia, vero biglietto di rappresentanza della casata, opportunamente messo in opera. Gli appartamenti delle nuove dimore sono forniti di ogni confort e la cellula abitativa in cui si svolge la vita dei signori feudali sono i quarti che occupano un intero piano della struttura e sono incentrati intorno alla sala, «un ambiente accogliente e sfarzoso fatto apposta per meravigliare», come quello del castello ducale di Corigliano. In quasi tutte le residenze castellate «si trova una cappella per le pratiche religiose, la galleria e nello studio del signore compaiono i libri collocati in appositi scaffali o dentro cassoni; insieme ad altro materiale, tessuti veneziani, tappeti orientali, ceramica di Faenza, scatole cinesi, che testimonia il grande cosmopolitismo presente in Calabria durante l’età moderna. Un luogo di relativa intimità per la famiglia castellana è la camera da letto mentre esistono diverse anticamere dove fare attendere i cortigiani ed i vassalli. La cucina si trova nei piani superiori al fine di prevenire l’espandersi degli incendi. Nei livelli inferiori stanno i magazzini per le vettovaglie e il carcere con tutti gli strumenti di tortura; oltre all’immancabile fossa». La vita castellana è regolata dagli umori del barone e nelle fortezze regie dal castellano che, circondato da commensali, cavalieri, poeti, saltimbanchi e menestrelli, non perde occasione per compiacersi della sua condizione di capo

SANTA SEVERINA KR Castello normanno (1076-XIII-1496-XVII-XVIII secolo)

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CORIGLIANO CS

Castello ducale Sala degli specchi

CORIGLIANO CS

Castello ducale Stemma dei Ruffo (1490)

SCILLA RC

Castello feudale Stemma dei Ruffo (1543)

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la cui autorità all’inizio del Seicento è limitata ad un quadro disciplinare che gli assegna insieme alle finalità militari anche quelle civiche, facendolo diventare uno strumento diretto a mantenere l’ordine. Tra il 1707 e il 1734, nel corso del dominio austriaco, i sistemi difensivi delle coste subiscono un’evoluzione voluta da Carlo VI d’Austria che realizza una radicale trasformazione con l’applicazione di nuovi criteri bellici, ispirati ai sistemi difensivi francese ed olandese. Gli austriaci abbandonano l’ormai vetusto sistema dei castelli e delle torri marittime e si orientano verso la concentrazione della difesa in punti strategici. Attuano una protezione delle vie terrestri e parallelamente la difesa marittima cercando di prevenire sia gli attacchi barbareschi da terra che quelli dal mare. Nascono le piazzeforti marittime, sono fortificazioni permanenti, caratterizzate dall’evoluzione dell’ordinamento bastionato, dove gli austriaci concentrano truppe terrestri e forze navali. Con i Borbone è compilato un elenco delle torri da riparare e si dà impulso all’Armata di mare affinché le coste siano adeguatamente protette così come i traffici commerciali, e si dispongono nuove azioni sui mari contro i barbareschi. Dalla metà del Settecento i Borbone cominciano a disporre i perfezionamenti delle strutture fortificate provvedendo «alla costruzione di trincee parallele davanti i bastioni e alla realizzazione sul terreno di figure geometriche poligonali il cui lato è dettato dalle gittate delle artiglierie di fiancheggiamento ed i cui vertici sono i baluardi. Il ruolo strategico viene proiettato all’esterno della città verso il territorio circostante, i casali, le case coloniche, le ville, le nuove strade, i ponti, costituiscono punti fermi di una nuova rinnovata dinamica e infrastrutturazione del meridione ai fini della difesa». Le somme finanziate dalla Real Casa di Borbone e i paralleli investimenti delle famiglie baronali restituiscono ai maggiori castelli della regione un aspetto maestoso.


Giardini di pietre Negli ultimi decenni del XVIII secolo, osserva Mirella Mafrici, storica dell’arte castellata, la decrescente minaccia di invasioni indebolisce la volontà politica dei Borbone di provvedere alla difesa della Calabria e del regno. Ad accentuare il degrado, nel biennio 1806-1807, è l’artiglieria napoleonica e inglese che sulla costa tirrenica smantella molte piazzeforti come quelle di Amantea, Fiumefreddo, Cirella e il fortilizio di San Michele a Santa Maria del Cedro. Durante il periodo giacobino, il castello normanno-svevo di Cosenza ritorna ad assumere la sua funzione originaria quando Giuseppe Napoleone Bonaparte entra in città accolto trionfalmente. Il nuovo re di Napoli assegna all’imponente maniero Bruzio una numerosa guarnigione con a capo il generale Massena. Il regno è diviso dai giacobini francesi in province, distretti e comunità rette da sindaci. Nel 1810 il successivo re di Napoli Gioacchino Murat in occasione dell’insediamento nel castello di Cosenza della guarnigione formata da diverse centinaia di soldati, sale con tutta la sua corte militare lo splendido scalone settecentesco. Con il ritorno dei Borbone le torri calabresi sono quasi tutte cadenti e con rescritto del 21 febbraio 1827 il loro uso è ulteriormente disciplinato ed alcune sono cedute con il terreno asservito alle amministrazioni della guerra, dei telegrafi e ad altre aziende dello stato. La conquista francese dell’Algeria e l’inizio del predominio europeo sul Mediterraneo pone fine al lungo periodo di terrore, saccheggi e rapimenti, causati dalle incursioni barbaresche. Decaduta la funzione difensiva delle torri e una volta disarmate con l’abolizione dei presidi militari, tutto il sistema di salvaguardia costiera si arrende alla desuetudine. Molte torri sono abbandonate, altre sono cedute ai privati con le conseguenti trasformazioni e gli adattamenti per uso civile, altre ancora sono utilizzate dallo stato per la repressione del contrabbando. Il degrado e l’abbandono delle torri e dei castelli della Calabria è completato dai terremoti avvenuti tra il 1836 e il 1870 e dall’incuria delle famiglie feudali e borghesi che ne detengono la proprietà dall’eversione feudale (ago-

SANTA MARIA DEL CEDRO CS Castello feudale di Abatemarco (XIV-XVII secolo)

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