Archiline

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ARCHITETTURA MOBILE

FEDERAZIONE ORDINI ARCHITETTI P.P.C. EMILIA ROMAGNA N. 1

Il Mobile Art Pavilion di Zaha Hadid A Miami Phu Hoang Office e Rachely Rotem Studio creano Exhale

ISSN 2038 5617 - "Poste Italiane Spa - spedizione in abbonamento postale D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n° 46) art.1 comma.1 - CN/BO”

ARCHI LI E






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ARCHILINE Iscritta con l’autorizzazione del Tribunale di Bologna al numero 8109 del 13 ottobre 2010 Anno 1 numero 1 marzo 2011

Direttore Editoriale Alessandro Marata Direttore Responsabile Maurizio Costanzo Caporedattore Iole Costanzo Coordinamento di Redazione Cristiana Zappoli Art Director Laura Lebro

Ogni scala è un pezzo unico

LA STRUTTURA ESSENZIALE “Il carattere è all’interno!” Oggi la scala è protagonista degli ambienti più in vista della casa. I materiali costituiscono il pregio e l’esclusività di un progetto. Battistini Scale garantisce la peculiarità di realizzare scale “su misura” e personalizzate, sia nel design che nell’utilizzo dei materiali.

Responsabile Marketing Zenon J. Wojciechowski Comitato Scientifico Walter Baricchi (Presidente Ordine Architetti P.P.C. della provincia di Reggio Emilia) Benito Dodi (Presidente Ordine Architetti P.P.C. della provincia di Piacenza) Vittorio Foschi (Presidente Ordine Architetti P.P.C. della provincia di Forlì-Cesena) Claudio Gibertoni (Presidente Ordine Architetti P.P.C. della provincia di Modena) Alessandro Marata (Presidente Ordine Architetti P.P.C. della provincia di Bologna) Gianni Pirani (Presidente Ordine Architetti P.P.C. della provincia di Ferrara) Roberto Ricci (Presidente Ordine Architetti P.P.C. della provincia di Rimini) Alessandro Tassi Carboni (Presidente Ordine Architetti P.P.C. della provincia di Parma) Redazione Lorenzo Berardi, Mercedes Caleffi Antonello De Marchi, Silvia Di Persio, Enrico Guerra, Angela Mascara, Marcello Rossi, Alessandro Rubi, Carlo Salvini, Federica Setti, Paolo Simonetto, Gianfranco Virardi Hanno collaborato Alfonso Apicella, Manuela Garbarino Stampa Cantelli Rotoweb - Castel Maggiore (Bo) www.cantelli.net

FEDERAZIONE ORDINI ARCHITETTI P.P.C EMILIA ROMAGNA Via Saragozza, 175 - 40135 Bologna Tel. 051.4399016 - www.emiliaromagna.archiworld.it

Battistini Pier Paolo s.n.c. 47042 Bagnarola di Cesenatico (FC) Via Balitrona, 14/D tel. 0547.329172 - fax. 0547.401768 e-mail: battistiniscale@libero.it

Argelati, 19 - 40138 Bologna KOrE ViaTel.Filippo 051.343060 - www.koreedizioni.it E D I Z I O N I


MARMOTECH Via Cella Raibano, 43 47843 Misano Adriatico (RN) Tel. 0541.600160 - Fax 0541.695238 www.marmotech.biz info@marmotech.biz

La nostra azienda è presente sul mercato da oltre quarant’anni e si occupa della lavorazione di marmi, graniti, quarzi e quarziti, pietre per l'edilizia e l'arredamento. Il nostro laboratorio è dotato di macchinari tradizionali e all’avanguardia e di impianti a controllo numerico ad alta precisione, i quali ci consentono di effettuare qualsiasi tipo di lavorazione, anche complessa, con costi e in tempi molto competitivi. Crediamo fortemente che la specializzazione nel settore del marmo con macchine tecnologicamente all’avanguardia e uomini capaci, costituisca la risposta migliore alla richiesta di un prodotto che si caratterizzi sempre più per gli alti contenuti di qualità e finitura.

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sommario EDITORIALE

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Architetture in movimento di Alessandro Marata

VISUAL SCREEN

16 Morbide levigate geometrie YOUTURN PAVILION, SAN PAOLO DEL BRASILE Progetto di UNStudio

18 Come ripararsi dal vento SKATING SHALTERS, WINNIPEG Progetto di Patkau Architects

20 Un avvolgente quadrifoglio NEW AMSTERDAM PLEIN & PAVILION, NEW YORK Progetto di UnStudio

22 Flessibilità e sostenibilità MOBILIZARTE, BRASILE Progetto di Studio Grimshaw

24 La ville diventa intelligente LA VILLE INTELLIGENTE, PARIGI Progetto di Jakob + MacFarlane

26 Ispirarsi al tessuto vegetale EUREKA, LONDRA Progetto di Nex

28 La cattedrale del seme

PADIGLIONE INGLESE EXPO 2010, SHANGHAI Progetto di Thomas Heatherwick

30 Ispirato a Hendrix e Mozart

PAVILION 21 MINI OPERA SPACE, MONACO Progetto di Coop Himmelb(l)au


ARCHITETTURA

42 Geometrie traslate THE POD, KUALA LUMPUR, MALESIA Progetto di Luca F. Nicoletti e Serina Hijjas

50 Dinamicità e tecnologia MOBILE ART PAVILION, PARIGI, FRANCIA Progetto di Zaha Hadid Architectes

58 Variazione sul tema MOBILE MUSIC PAVILION, SALISBURGO, AUSTRIA Progetto di Soma Architecture

66 Pratica architettonica all’Università di Padova intervista a Edoardo Narne

68 Cardboard Pavilion, la forza del cartone intervista a Luigi Alini

70 Algorithmic aided design di Arturo Tedeschi

72 Serpentine Gallery... da Zaha Hadid a Zumthor

78 Paesaggio fluorescente EXHALE, MIAMI BEACH, FLORIDA Progetto di Phu Hoang Office e Rachely Rotem Studio

84 Trasparenze d’acciaio PADIGLIONE CROATO PER LA BIENNALE DI VENEZIA, VENEZIA, ITALIA Progetto di Leo Modrcin

DA VEDERE

93 Conoscere architettura e design

MUTAZIONI

107 Prendere la domotica dal verso giusto: il concept Intervista a Massimo Labbrozzi


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editoriale

ARCHITETTURE IN MOVIMENTO Mario Botta ama ripetere, e non gli si può che dare ragione, che l’architettura lavora a gravità. Intende dire, con quelle parole, che non concorda con quella corrente dell’architettura contemporanea, modaiola e stupefacente, che ama stupire l’osservatore con soluzioni strutturali illogiche. Pier Luigi Nervi era un genio dell’architettura strutturale poiché riusciva a concepire forme belle e innovative che, una volta progettate, risultavano ovvie e naturali a chi le osserva. Oggi, sovente, si osservano invece scelte strutturali che non sono convincenti neppure dopo ore di benevolente comprensione e appaiono innaturali ad libitum. Il fatto che l’architettura lavori per gravità non la obbliga, però, ad una staticità immobile. Le nuove tecnologie e la moderna cultura rendono, tra l’altro, più facile di un tempo lo spostamento di un manufatto architettonico da un luogo all’altro. Il concetto di mobilità è, ovviamente, molto ampio e comprende casistiche notevolmente differenti tra loro. Il tempio di Abu Simbel, smontato e riassemblato, ha percorso una notevole distanza, per non essere sommerso dall’acqua di un nuovo lago. Alcune chiese sono state spostate per far posto a infrastrutture stradali. Come non rimanere affascinati ancora oggi dalle bathing machines dell’inizio del novecento, straordinarie casette su ruote necessarie per fare prendere i bagni in mare alle signore che mai avrebbero potuto - come sono cambiati i tempi!- farsi vedere con quel costume il cui tessuto, ai nostri giorni, sarebbe sufficiente per realizzarne cinquanta. Erano gli anni della Belle Epoque, dell’Orient Express, dei Grand Hotels, anni nei quali nasceva la moda delle vacanze marittime e delle colonie. E poi i transatlantici, che più che residenze temporanee itineranti, sono vere e proprie città, con una capacità, in termini di abitanti, molto superiore ai piccoli comuni italiani che hanno rischiato di sparire dalle carte geografiche a causa di una manovra finanziaria che definire mobile, quella sì, è un eufemismo. La nave di felliniana memoria è forse l’architettura mobile per eccellenza, con i suoi miniappartamenti, i teatri, le attrezzature sportive, le discoteche, i bar, i percorsi gerarchicamente differenziati, la divisioni in classi, anche sociali, memento Titanic. È il caso di sorvolare sul

nomadismo poiché, in questo caso, non è l’architettura che si sposta, ma è l’intera vita delle persone, che non si riconoscono appartenenti ad un luogo. Cosmopoliti? Non proprio. Sicuramente cittadini del mondo, curiosi per necessità e cultura. Un po’ come il circo, la cui peregrinazione in looping spaziale, non gli permette di appartenere ad alcun luogo. Il nomade si sposta all’interno del contesto sociale nel quale si trova. La sua tenda, la sua roulotte, è un tramite per cercare nuove realtà. Il circense si sposta, invece, in luoghi che non può percepire perché la sua vita è comunque legata all’interno del tendone del circo nel quale lavora. Il contesto è sempre uguale anche se il circo si sposta di mille chilometri. Ma la magia dell’ambiente circense rende quel luogo, quell’architettura, irresistibilmente affascinante, per grandi e piccini. Anche la cultura si sposta, a cavallo della sua architettura. Il Teatro del Mondo non smetterà mai di vagare nelle acque veneziane, con il suo carico umano, culturale e con la sua capacità, propria dell’architettura, di evocare sentimenti di commozione ed appartenenza. Come sembra si spostino, seppur immobili, il modello ligneo della chiesa di Borromini sul lago di Lugano o il Monolite di Jean Nouvel sul lago di Neuchatel. Si muoveva invece, realmente, come un cervo volante, il padiglione del Kuwait che Santiago Calatrava realizzò per l’expo del 1992 di Siviglia. In questo numero di Archiline non troverete tracce di queste meraviglie che tutti, seppure in misura diversa, conoscono: è sufficiente evocarle per poterne sentire il fascino e la magia. Non troverete traccia neanche del vate dell’architecture mobile, Yona Friedman e neppure del teorizzatore della complementare dromologie, quel Paul Virilio tanto amato dagli architetti. Potrete invece osservare alcune belle architetture prive di fondazioni, nel senso tradizionale e tecnologico del termine. Luoghi per la cultura, nel senso lato del termine. Architetture che si spostano, guidate dalla mano dell’uomo, che le ricolloca e contestualizza. Architettura liquida? No, assolutamente no. Architettura mobile. Forse. di Alessandro Marata

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MORBIDE LEVIGATE GEOMETRIE Circa un anno fa, alla 29esima Biennale d’Arte di San Paolo del Brasile, città in gran parte progettata da Niemeyer, furono presentate sei diverse proposte di padiglioni, i terrieros. Sei spazi nello spazio. Sei piccoli manufatti collocati all’interno del candido padiglione che si trova all’interno del Parque do Ibirapuera anch’esso progettato da Oscar Niemeyer e Helio Uchoa. Durante questa storica manifestazione legata all’arte e fondata nel 1951 dall’italiano Francisco (Ciccillo) Matarazzo Sobrino, il gruppo olandese UNStudio ha presentato Youturn Pavilion, uno dei sei terreiros, una piccola architettura, ovviamente temporanea, progettata per essere posizionata nella parte centrale dell’intero spazio dedicato alla manifestazione. La sua morfogenesi è strettamente legata, infatti, alle diverse direzioni presenti, ai possibili assi direzionali dei flussi di visitatori che, gestiti come vere e proprie forze modellanti, hanno generato un piccolo oggetto dalla levigata e smussata geometria. Uno spazio architettonico dalle caratteristiche scultoree con una forma triangolare e gli angoli arrotondati che, a voler trovare una forma già nota a cui fare riferimento, rende immediata l’associazione con il classico plettro da chitarra con tanto di cerchio nella parte centrale. Youturn Pavilion ha infatti il compito di far

Nelle foto: il padiglione visto all’interno e all’esterno mostra linee avvolgenti dalle alte qualità scultoree, geometricamente determinate da più fattori, rielaborati in modo da diventare forze modellanti, come mostra il grafico nella pagina a fianco

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Foto Ding Musa

BEN VAN BERKEL PROGETTA UN’ARCHITETTURA-SCULTURA ADATTA ALL’ESPOSIZIONE E AL DIBATTITO

vibrare diversamente l’interesse per la 29esima biennale. Il disegno del padiglione prende in considerazione più riferimenti spaziali, dagli incroci alle visuali, dai percorsi circolari a quelli contemplativi, situazioni che ovviamente sono state inserite come variabili progettuali, canoni matematici, che hanno reso questa piccola architettura un oggetto concluso. Un luogo dove poter approfondire passando, o dove meditare sostando. Un ambiente che ha in sé una vera forza centripeta in grado di attirare, accogliere e sorprendere. Ha all’interno un cuore tridimensionalmente definito, scavato, modulato come può essere un’autentica opera scultorea. Lo stesso Ben van Berkel ha affermato: «l'interpretazione metaforica degli spazi può essere simile alla lettura di un'opera d'arte…». E così è Youturn Pavilion: un’architettura/scultura adatta all’esposizione e al dibattito, un attivatore di eventi e uno spazio poetico dalle linee convergenti. Un oggetto che va aldilà del semplice mostrare se stesso. UNStudio lo ha pensato come uno spazio capace di attivare interessi, incentivare gli incontri, alimentare i dibattiti e difatti possiede nel suo cuore, cioè lo spazio circolare centrale, la forza di generare il nuovo. È lucido, liscio, levigato e avvolgente sia all’esterno che all’interno. Offre intimità e risente di tutto ciò che gli gravita intorno. Risponde pienamente all’idea di terreiros, agli storici spa-


IMPIANTI FOTOVOLTAICI Chiavi in Mano

zi presenti in città in cui si balla e si canta, solo che in questi tutta la forza è impiegata per creare isole di riflessione. I terreiros originariamente erano legati alla presenza degli schiavi africani e alle loro pratiche esoterico-religiose, oggi sono riconosciuti dal governo e per tanto sovvenzionati come luoghi di crescita della cultura popolare e delle sue commistioni socio antropologiche. Nonostante gli architetti che lo hanno progettato ritenessero Youturn Pavilion un’architettura dalle diverse valenze non si hanno ancora notizie sul riuso di questo piccolo immobile. Risulta però facile pensare che una città come San Paolo, così strettamente legata, sin dagli albori, al linguaggio architettonico contemporaneo non abbia difficoltà nell’accoglierlo anche aldilà di eventi dal richiamo mondiale quale l’autorevole Biennale d’Arte. Istituzione, questa, che fa meritare al Brasile, sin dal 1964, un prestigioso padiglione - all’interno della storica manifestazione veneziana dedicata all’arte - posto al centro dei Giardini dell’Arsenale. (di Mercedes Caleffi)

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COME RIPARARSI DAL VENTO

RIFUGI COSTRUITI GRAZIE A UN PROCESSO DI SOLLECITAZIONE E DEFORMAZIONE DEL COMPENSATO

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Nelle foto: gli Skating Shalters, rifugi temporanei, situati lungo le piste di pattinaggio nella città di Winnipeg, in Canada

è composta da 2 strati spessi 5 millimetri, tagliati in pattern e assemblati a un’armatura in legno, costituita da una base triangolare e un asse centrale a forma di cuneo. Test costruttivi hanno evidenziato i punti maggiormente “colpiti” dalle sollecitazioni di flessione, di conseguenza questi ultimi sono stati “sollevati” con una serie di tagli e aperture. La forma del rifugio è la risultante di questo processo di sollecitazione e deformazione del guscio. L’aggregazione dei rifugi in un gruppo inizia mettendone in relazione due, e la loro giustapposizione decide le dimensioni e l’accessibilità degli ingressi. Questo abbinamento, che può apparire casuale, in realtà è deciso dalla misurazione di 120° di rotazione. Tre coppie vengono poi poste in relazione tra loro attraverso una seconda rotazione di 90 gradi, formando il grup-

Foto James Dow

Winnipeg è una città di 600mila abitanti situata sul margine orientale della regione delle praterie canadesi, è la capitale e il centro più grande della provincia del Manitoba. Secondo Environment Canada, Winnipeg è anche la città più fredda del mondo fra tutte quelle considerate della sua stessa estensione territoriale (al di fuori della Siberia). I fiumi Red River e Assimboine si incontrano in pieno centro cittadino e nel periodo invernale danno vita a chilometriche piste di pattinaggio. Le temperature, che scendono per lunghi periodi sotto i 30 e anche sotto i 40 gradi con venti fortissimi, creano non poche difficoltà a chi vorrebbe usare le piste. Ma in un luogo dove l’inverno può durare anche sei mesi, è necessario imparare a trarre vantaggio dalle opportunità che la stagione invernale offre. E, così nella piena convizione che trovare un riparo dal vento avrebbe aumentato notevolmente la possibilità di usare le piste, è stato sviluppato un programma per sponsorizzare la progettazione e la costruzione di rifugi temporanei situati lungo le piste di pattinaggio. È stato lo studio canadese Patkau Architects a progettare gli Skating Shalters, rifugi temporanei creati per muoversi dolcemente al vento, ondeggiando o galleggiando su superfici ghiacciate. Lo studio è stato fondato nel 1978 da John e Patricia Patkau che ben conoscono il freddo di Winnipeg: entrambi, infatti, sono nati in questi luoghi. Il loro è un linguaggio progettuale che comporta l’assemblaggio di forme e materiali eterogenei. In oltre 30 anni di attività, sia in Canada che negli Stati Uniti, lo studio ha progettato una grande varietà di edifici, occupandosi, per esempio, di installazioni nelle gallerie, di abitazioni private, di grandi librerie urbane, come la Grande Bibliotheque du Quebec, per la quale hanno ottenuto la Governor General's Medal in Architecture. Gli Skating Shalters, realizzati nel 2011, «sono un gruppo di rifugi intimi - spiegano gli architetti - capaci di ospitare solo poche persone alla volta, raggruppati in una specie di piccolissimo “villaggio”». Sono strutture che trovano un senso quando sono insieme, non possono essere considerate singolarmente. «I rifugi si sollevano in piedi - continuano gli architetti con spalle al vento come un branco di bufali, stretti l’uno all’altro per proteggersi vicendevolmente dalle forze della natura». Sono stati costruiti con compensato sottile e flessibile, e la “pelle” di ciascuno

Messi tutti in relazione fra loro, i rifugi creano rapporti dinamici con sole e vento, spostandosi in base all'ora del giorno e alle circostanze ambientali


po e definendo uno spazio interno intermedio. Messi tutti in relazione fra loro, i rifugi creano rapporti dinamici con sole e vento, spostandosi in base all'orientamento specifico, l'ora del giorno e le circostanze ambientali. Sono strutture delicate e, in un certo senso, vive. Si muovono dolcemente nel vento, scricchiolando e ondeggiando a diversi ritmi, galleggiando precariamente sulla superficie del fiume ghiacciato, scrollandosi di dosso la neve che eventualmente si appoggia sulla loro superficie. La natura fragile ed esile dei rifugi fa sÏ che chi trova protezione sotto di loro sia consapevole dell’inevitabilità , della ferocia e della bellezza dell’inverno nelle praterie canadesi. (di Cristiana Zappoli)


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UN AVVOLGENTE QUADRIFOGLIO

Foto James D’Addio

UN PADIGLIONE PER COMMEMORARE I 400 ANNI DI STORIA TRA LA CITTÀ DI NEW YORK E L’OLANDA

Gli olandesi a New York. Un connubio storico. Un legame che la città di New York e l’Olanda non possono e non vogliono dimenticare e che anzi ci tengono a festeggiare. E per commemorare i 400 anni di storia insieme, lo studio di architettura olandese, UNStudio, ha progettato un padiglione dalle morbide geometrie scultoree, il New Amsterdam Plein & Pavilion. La struttura simboleggia l'incontro tra le due diverse culture. È un crocevia tridimensionalmente risolto come un fiore, un ranuncolo, un quadrifoglio dalle linee avvolgenti, sinuose e smussate. Un getaway urbano, frequentato da 150mila persone, posto nel cuore della Peter Minuit Plaza, tra il Battery Park, il parco pubblico più grande e dinamico di Manhattan, e il lungomare. La punta meridionale dell’isola di Manhat-

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Sopra e sotto: New Amsterdam Plein & Pavilion costruito a New York. In alto, a destra: plastico in resina. Di fianco: lo schizzo mette in luce la forza centripeta della struttura. Un volume che rielabora le quattro possibili direzioni facendole divenire forza progettuale

tan nel 1626 è stata al centro della storia dell’emigrazione fiamminga, ha ospitato numerosi olandesi e proprio lì venne costruita la nuova colonia che chiamarono New Amsterdam. Oggi il parco è completamente gestito dall’organizzazione no-profit, The Battery Conservancy che, fondata nel 1994, controlla, sovrintende e ha sovvenzionato la costruzione del Battery Park. La Peter Minuit Plaza è il vero fulcro intermodale della città di New York, dove biciclette, metropolitane, autobus e traghetti si incrociano e si interscambiano tra loro. Un luogo dove è possibile godere della natura e approfondire aspetti quale l’arte, il cibo, l'ambiente e la storia dai due popoli condivisa. Il nuovo padiglione, il New Amsterdam Plein & Pavilion, omaggio dei Paesi Bassi a Manhattan, è il centro di tutto questo. E simboleggia la dedizione che la città, lo Stato di New York, il governo federale e il lavoro della Conservancy hanno impiegato per creare il Battery Park. Il padiglione è il perno di tutto il polo intermodale e lo rende anche un ambiente moderno e sofisticato, ricco di lussureggiante vegetazione, un dinamico simbolo dell’interscambio culturale, proprio come il ritmo della vita contemporanea, in una città quale New York richiede. Per un parco di 8,5 ettari, luogo natale di New York City, fatto di verde e di acqua, che si affaccia sul porto della città, la struttura che gli UNStudio hanno progettato ha una sagoma curvilinea e compatta. Un'unica superficie variamente piegata e dalla forma morbidamente naturale. All’interno ospita spazi che si diversificano in più ambienti espositivi e punti di informazione e di comunicazione su


quel mondo olandese che oramai è un tutt’uno con quello newyorkese. Uno spazio strategicamente pensato come luogo di ritrovo e socializzazione, dove 5 milioni di persone all’anno, inclusi i 70mila pendolari e più di 2 milioni di turisti passano quotidianamente. Un vero salotto cittadino, icona di quattro secoli di storia fiamminga, luogo di passaggio ma anche di sosta che simbolicamente alberga alle porte del conosciutissimo quartiere finanziario. Un ambiente progettato secondo principi scultorei suadenti e che illuminato da un sistema a LED consentirà nelle ore notturne un dinamico cambiamento di colore alle quattro facciate. Una studiata impostazione illuminotecnica che, come dichiarò lo stesso Ben van Berkel, uno dei fondatori dell'UNStudio, "trasporterà di notte la vivacità del giorno”. (di Mercedes Caleffi)


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FLESSIBILITÀ E SOSTENIBILITÀ

IN BRASILE, DIECI DIVERSE CITTÀ OSPITERANNO A TURNO IL PADIGLIONE PROGETTATO DA GRIMSHAW È una struttura di 500 mq che verrà inaugurata nel 2012 e che per quattro anni si sposterà a rotazione tra le maggiori città brasiliane. Si chiama Mobilizarte, nasce dall’idea del consulente artistico francese Marc Pottier ed è un padiglione temporaneo itinerante progettato dallo studio di architettura di Nicholas Grimshaw che si è aggiudicato il concorso per realizzarlo bandito nel 2010 e aperto a 35 partecipanti. L’obiettivo del padiglione è quello di contribuire alla promozione del Brasile nell’arco di quattro anni particolarmente importanti per il paese sudamericano che nel 2014 ospiterà la Coppa del Mondo di calcio e nel 2016 addirittura le Olimpiadi. La struttura sarà un centro culturale e un luogo di aggregazione, che ospiterà rassegne cinematografiche, esposizioni di artisti emergenti del panorama locale, laboratori didattici, progetti satellite delle manifestazioni sportive come la Coppa del Mondo e appuntamenti strettamente legati agli eventi più significativi in Brasile, come Rock in Rio. Le dieci città che ospiteranno Mobilizarte sono Brasilia, Florianopolis, Fortaleza, Ouro Preto, Paraty, Porto Alegre, Recife, Rio de Janeiro, Salvador, San Paulo, dove ogni anno, per tutta la durata del progetto saranno presentati mostre ed eventi. Si è optato per

In questa pagina: alcuni rendering del progetto Mobilizarte, caratterizzato da un sistema di ventilazione naturale che utilizza i palloni come ammortizzatori ad aria per creare una comfort zone gradevole per i visitatori

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la scelta di un numero limitato di città dove il padiglione tornerà a rotazione, nel tentativo di creare un rapporto stretto e partecipativo con il pubblico. L’idea nasce anche per compensare la frustrazione di chi non potrà partecipare direttamente ai grandi eventi che il Brasile ospiterà: Mobilizarte coinvolgerà un gran numero di brasiliani che potranno sentirsi partecipi di queste manifestazioni attraverso mostre e proiezioni di film a loro legati. La struttura sarà quindi perfettamente integrata nella città e l’accesso sarà libero. Ispirato alla filosofia e ai principi del Movimento Moderno brasiliano, il disegno del padiglione temporaneo tiene ben presente le necessità logistiche di mobilità: materiali e sistemi costruttivi sono stati selezionati al fine di garantire agevoli operazioni di installazione e smontaggio. La costruzione si adatterà perfettamente ai differenti contesti urbani e, grazie a piccole modifiche, sarà un progetto ecologicamente, economicamente e socialmente sostenibile ovunque verrà montato. «Ogni


Fibra di vetro

Tessuto in PTFE

Trave reticolare in acciaio

luogo richiede un approccio diverso, ha un clima specifico e uno specifico contesto economico e sociale» spiegano dallo Studio Grimshaw. «La nostra proposta è quanto di più lontano dall’idea di una soluzione standard “appoggiata” nelle diverse località come se fosse un disco volante che atterra all’improvviso. Noi abbiamo basato il nostro progetto sull’idea di una costruzione flessibile che si può adattare ai differenti luoghi, climi e programmi». Il terreno su cui verrà costruito il padiglione in ogni città sarà preparato attraverso un programma di sensibilizzazione della comunità locale che si adopererà per creare un orto paesaggistico che sarà parte integrante dell’installazione e sarà l’elemento di unione fra la popolazione locale, il progetto e gli eventi. «Il giardino - proseguono gli architetti - sarà l’eredità che Mobilizarte lascerà quando se ne andrà». Il padiglione, a detta di Grimshaw stesso, trova ispirazione nello spirito di puro ottimismo diffuso in Brasile: l’ottimismo che si ritrova nel lavoro e nel lascito dell’architettura del Movimento Moderno Brasiliano, l’ottimismo che pervade la società come risultato di un’economia in espansione, l’ottimismo legato all’organizzazione di importanti eventi sportivi nei prossimi dieci anni. «Il nostro padiglione è sì Moderno, ma la sua modernità è legata al valore del movimento e non a modelli già costruiti in precedenza». Un originale sistema di copertura, una sorta di lamina forata con aperture circolari nelle quali si inseriscono palloni di materiale plastico pieni di elio, conferisce al padiglione un aspetto singolare assicurando allo stesso tempo l’opportunità di produrre inediti schemi di illuminazione e una ventilazione naturale regolabile. Il progetto non comprende un impianto di aria condizionata. L’itinerario attraverso le città è stato concepito basandosi non solo sulla logistica ma anche analizzando il profilo climatico e quindi le temperature minime e massime delle diverse zone. In questo modo è sufficiente il sistema di ventilazione naturale che utilizza i palloni come ammortizzatori ad aria per creare una comfort zone gradevole per i visitatori. Tutta la costruzione si basa su un sistema modulare adattabile a diverse configurazioni: un kit di pezzi assemblabili in diversi modi. La modalità di costruzione permette di dividere il lavoro fra più squadre che operano in modo da installare nello stesso momento le diverse parti del padiglione: i piani, i muri, il soffitto, il tetto, i palloni in materiale plastico. «Abbiamo concepito il progetto – conclude Grimshaw – pensando che Mobilizarte dovrebbe essere atteso con ansia, celebrato con entusiasmo e ricordato con affetto». (di Cristiana Zappoli)


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LA VILLE DIVENTA INTELLIGENTE

LA STRUTTURA RAPPRESENTA I COLLEGAMENTI CHE LA CITTÀ DEL FUTURO DEVE CREARE PER CRESCERE

Copyright© Jacob+MacFarlane-Nicolas Borel photographer

Ancora una volta gli architetti Jakob + MacFarlane si cimentano con un’architettura arancione. Non è voluto, il colore non fa parte del loro linguaggio, non vi è alcun legame con il Cube Orange di Lione, è solo un caso. La Ville Intelligente è una piccola struttura temporanea sempre di colore arancione perché sovvenzionata dall’Orange Group + Arteria, montata nel mese di giugno, per pure ragioni espositive, all’interno del Parc de la Villette di Parigi: il parco legato alla divulgazione della scienza e alle manifestazioni culturali e progettato negli anni ‘80 del secolo scorso dall’architetto svizzero Bernard Tschumi. La posizione de La Ville Intelligente all’interno del parco è tra la famosa struttura La Geode, che rispecchia e avvicina le nuvole ai passanti e il canale d’acqua de l'Ourcq. È una struttura in tubolari di acciaio che ha una forma organica e che vista dall’alto potrebbe ricordare un animale preistorico corazzato, se non fosse che sotto i tubolari montati a maglie molto larghe rivela la sua vera natura fragile e temporanea: un tes-

suto idrorepellente, preteso, di casa Ferrari, che si lega attraverso dei lacci alla struttura portante. È un’architettura espositiva pensata appositamente per ospitare alcune manifestazioni riguardanti il futuro della città e le sue possibili evoluzioni legate alla domotica e alle molteplici interazioni tra aspetti sociali, urbanistici e quelli connessi al mondo del web. L’inaugurazione della struttura è avvenuta, infatti, con una esposizione emblematicamente chiamata Hello Demain, dove realtà virtuali proiettavano il visitatore in visioni future della città di Parigi. La struttura arancione è realizzata con una maglia metallica che simbolicamente potrebbe rappresentare le varie interrelazioni e i possibili collegamenti che una città del futuro dovrà creare per crescere: per poter non solo adattare ma anche modulare la crescita urbanistica della città ai cambiamenti sociali. Le arcate spezzate e variamente saldate, secondo regole ben diverse da quelle che portano alla costruzione di un arco classico, scaricano direttamente a terra attra-


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1. Telecom History; 2. Teleconferenze; 3. Trasporti; 4. Informazioni città; 5. Attrezzature urbane; 6. Città sostenibile; 7. Direzione generale

verso gli ultimi due segmenti che, diventando piedritti, si incastrano in elementi circolari ampi più di quanto solitamente è richiesto per evitare l’effetto punzonatura del terreno sottostante. Le diverse arcate spezzate sono tra loro raccordate, rinforzate e controventate da altri elementi tubolari che vi si legano attraverso delle bullonature realizzate lungo le piattine di raccordo con la sezione circolare dei tubolari. Il particolare telo tagliato e cucito per poter mantenere in tensione le fibre si fissa alla struttura portante con un cordoncino, ovviamente arancione che, passando dalle asole metalliche presenti ai margini dei teloni, avvolge quei segmenti metallici appositamente saldati nella parte interna dei tubolari metallici formanti le arcate principali. Saldature, bullonature, legami, intrecci, nodi e poliedri irregolari creano una rete rigida che rappresenta i possibili intrecci necessari allo sviluppo di una città futura e futuribile. Una città fatta di relazioni e scambi, di cultura e di rete, di saperi interdisciplinari e interfacciati tra loro. Una città che diventerà agorà, dove i cittadini avranno sempre più voce e possibilità di relazionarsi con essa in modo diretto ed esplicito. Un luogo che potrà cambiare, sempre economia permettendo, adattandosi alle palesate esigenze dei cittadini. (di Gianfranco Virardi)


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ISPIRARSI AL TESSUTO VEGETALE UN’ARCHITETTURA ALL’INTERNO DELLA QUALE SI REALIZZA UNA STRETTA SIMBIOSI TRA UOMO E NATURA Legno, plastica riciclata e vetro. Sono questi i materiali con cui è stato realizzato Eureka, il piccolo padiglione progettato dal multidisciplinare studio londinese NEX in nome della nota rivista scientifica, The Times Eureka Garden, e presentato alla RHS Chelsea Flower Show 2011, la grande mostra di primavera della Royal Horticultural Society. Il quotidiano inglese, il Times, per partecipare all’evento con la propria rivista ha chiesto a Marcus Barnett di progettare e realizzare un giardino. Il noto paesaggista lo ha realizzato completamente con note piante dalle proprietà mediche, ma per il progetto del padiglione ha coinvolto lo studio NEX. Eureka è una piccola architettura temporanea progettata secondo la logica appartenente al processo di crescita cellulare del mondo vegetale del quale ripropone una rilettura e un adattamento dei rigidi e precisi principi geometrici. È un semplice cubo sorretto da una duplice maglia, primaria e secondaria, completamente realizzata in legno. La struttura primaria, in abete rosso, è portante e ripropone le pareti laminari che caratterizzano le poliedriche cellule parenchimatiche. Quella secondaria, sempre realizzata con lo stesso tipo di essenza vegetale, fa da supporto agli elementi in plastica riciclata che riproducono la geometria capillare interna. L’intera struttura è stata disegnata usando dei complessi algoritmi programmati per simulare la crescita naturale delle piante e supportare il progetto: arrivare ad un’architettura in grado di dare ai visitatori la suggestione di trovarsi all’interno di un modello di struttura biologica vegetale in scala. Subito dopo il completamento del modello in 3D, esigen-

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Nelle foto: le immagini e la vista in 3D mostrano come il piccolo padiglione ligneo sia stato pensato appositamente per essere inserito all’interno del giardino progettato da Barret. In basso a destra: assonometria dell’intera struttura

ze architettoniche e strutturali hanno richiesto studi più approfonditi, condotti dallo studio Buro Happold, sulle peculiarità del legno in relazione alla struttura stessa, perché geometricamente le diverse celle sono state sviluppate secondo un’estrusione concentrica avente come fuoco un centro algoritmico variabile per ognuna di loro. Il padiglione, una piccola sezione cubica di tessuto vegetale, è stata pensata in previsione del definitivo posizionamento nello storico paesaggio del


Art & ferro

parco di Kew, a sud-ovest di Londra, così da essere facilmente trasportabile. Impostato per essere autonomo, il padiglione non lascerà alcun segno della sua presenza alla RHS Chelsea Flower Show e il suo appoggio a zattera, senza alcun ancoraggio sul terreno, per resistere alle intemperie, è stato letteralmente zavorrato con della sabbia, escamotage adatto anche all’assorbimento dell’acqua piovana che dalla copertura in vetro, passando all’interno degli elementi strutturali, si raccoglie alla base. La suggestione che lo studio NEX e il paesaggista Barnett hanno voluto dare con i loro progetti integrati è quella della simbiosi tra uomo e natura. Un’autentica immersione all’interno della natura. Quella stessa natura che lo accoglierà anche alla fine dell’esposizione quando il padiglione sarà smontato e ricostruito nei mitici Kew Gardens, divenuti, da qualche anno, un valido centro di ricerca botanica, promotore anche del Millennium Seed Bank Project, la Banca dei semi per la tutela della biodiversità. (di Gianfranco Virardi)

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LA CATTEDRALE DEL SEME

IL PADIGLIONE INGLESE, PROGETTATO DA HEATHERWICK, HA VINTO IL PREMIO RIBA LUBETKIN PRIZE L’Expo 2010 a Shanghai è stata l’esposizione universale più grande di sempre, la più maestosa e scenografica. Hanno partecipato 189 paesi e sono state 57 le organizzazioni internazionali che hanno voluto portare il loro contributo per la riuscita dell'evento. Tra gli elementi di attrazione maggiore di tutta la fiera, con una media di 50mila visitatori al giorno, rientra l’innovativo padiglione inglese, disegnato dall'architetto Thomas Heaterwick che nel 2007 ha vinto il concorso per la sua realizzazione. Il progetto di Heatherwick, da subito ribattezzato Seed Cathedral (la Cattedrale del Seme), ha esplorato la relazione tra natura e città, tema pertinente a quello dell’Expo di Shanghai. La struttura, costata 13 milioni di euro, è nata guardando a tre obiettivi principali: l’architettura del padiglione doveva essere una manifestazione diretta dei contenuti che esibiva; doveva essere uno spazio pubblico significativo

Sotto: il padiglione inglese presentato a Shanghai. Si tratta di un singolare esempio di creatività e innovazione e si presenta come una struttura di sei piani interamente rivestita da 60mila fili acrilici trasparenti lunghi 7,5 metri che si muovono insieme al vento

in cui i visitatori potessero rilassarsi; doveva avere un'idea progettuale semplice ma al contempo sufficientemente forte da potersi distinguere tra le centinaia di padiglioni in competizione. Nella zona che circonda la Seed Cathedral, una serie di installazioni esplorano le particolarità della natura e delle città d'Inghilterra. Il padiglione si configurava come un edificio a sei piani di oltre 20 metri di altezza e formato da 60mila "coni retinici trasparenti", aste trasparenti di 7,5 metri di lunghezza che si lasciavano muovere dal vento. Durante il giorno ogni asta si comportava come una fibra ottica portando all'interno la luce e contribuendo così a creare uno spazio decisamente contemplativo. Di notte, invece, la luce che partiva dall'interno del padiglione si incanalava fino a raggiungere l'apice esterno di ogni asta, illuminandolo esternamente. Sono stati inseriti più di 10mila semi nei


punti terminali interni delle aste trasparenti, così da mostrare a tutti i visitatori i differenti semi che contribuiscono alla conservazione naturale ed ecosistemica globale del pianeta in tutte le sue necessità, da quelle mediche a quelle energetiche. Il paesaggio circostante alla Seed Cathedral era concepito come una continuazione dell’edificio. La struttura era poggiata su una piattaforma simile a carta stropicciata che ricordava una formazione rocciosa, sollevandosi in alcuni punti per creare percorsi coperti. Il team di designer ha utilizzato LED sincronizzati rivestiti con un sistema di lenti per rifrangere la luce, proiettandola a terra con un effetto alone. «Il nostro compito - spiegava Thomas Heatherwick prima dell’Expo - è di far spiccare il padiglione inglese. Abbiamo deciso di raggiungere tale obiettivo realizzando un oggetto straordinario, non riconoscibile nei termini convenzionali, collocato in uno spazio aperto». Il padiglione di Heatherwick ha vinto il prestigioso Riba Lubetkin Prize, un premio inglese consegnato dal Royal Institute of British Architects all’architettura internazionale più rappresentativa progettata da un membro del Riba. Il padiglione inglese di Shanghai ha battuto la concorrenza di altri due progetti: Timberyard Social Housing a Dublino di O’Donnell and Tuomey e l’Anchorage Museum al Rasmuson Centre in Alaska firmato da David Chipperfield.

Sopra: planimetria del padiglione inglese. Sotto: l’interno del padiglione


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ISPIRATO A HENDRIX E MOZART

Foto Duccio Malagamba

CAPACITÀ DI 500 POSTI. È RELATIVAMENTE PICCOLO E PUÒ VENIRE TRASPORTATO DI CITTÀ IN CITTÀ

Il Pavilion 21 MINI Opera Space è uno spazio temporaneo e ricollocabile, progettato come polo ausiliario della Bavarian State Opera di Monaco per il Festival dell’Opera di Monaco 2010, in occasione del quale il padiglione è stato montato sulla Marstallplatz. Progettato dagli architetti della Coop Himmelb(l)au, la struttura ha un’architettura sperimentale e inconsueta che ben si adatta a rappresentazioni musicali sperimentali di tipo itinerante. Du-

Nelle foto: interni ed esterni del Pavilion 21 MINI Opera Space. Le superfici in alluminio e la lana d'acciaio per l'assorbimento del suono garantiscono un'ottima acustica per tutti i tipi di evento

rante il Festival artisti internazionali dei settori performance, arti figurative, letteratura ma anche compositori, registi e musicisti sono stati invitati a superare i confini che li separano dalle altre forme d’arte e a utilizzare lo spazio con formati insoliti e inaspettati. Coop Himmelb(l)au è una cooperativa di architetti fondata da Wolf D. Prix, Helmut Swiczinsky e Michael Holzer con sede principale a Vienna. Il nome è un gioco di parole: "himmelblau" significa “cielo blu” e mettendo fra parentesi la "l" si aggiunge il significato di "himmelbau", ovvero “edificio che sta in cielo”. Sono senza dubbio fra i rappresentanti più significativi del panorama architettonico mondiale, tra i loro lavori spiccano il Musée de Confluences a Lione, l'House of Music ad Aarlborg, l'European Central Bank a Francoforte, l'Akron Art Museum in Ohio, e l'Academy of Fine Arts e la BMW Welt a Monaco. Nella progettazione del padiglione gli architetti si sono trovati davanti a problemi non indifferenti derivanti dai vincoli progettuali. Il loro compito era quello di creare uno spazio per rappresentazioni sperimentali che comprendesse 300 posti a sedere oppure 700 in piedi, il padiglione doveva essere smontabile, trasportabile e rimontabile e doveva fortemente caratterizzare, con la sua forma, lo spazio urbano che lo ospitava. Ma leggerezza e smontabilità sono caratteristiche che


si scontrano con requisiti di isolamento acustico, più facilmente ottenibile con masse importanti e permanenti. Il Pavilion 21 MINI Opera Space doveva quindi superare una contraddizione: essere una costruzione leggera che consentisse lo smontaggio e il montaggio veloce ma che, allo stesso tempo, soddisfacesse le necessità acustiche di una sala da concerto. La sfida progettuale è stata risolta attraverso un complesso studio formale e morfologico sviluppato in collaborazione con lo studio londinese Arup. Fin da subito gli architetti della Coop Himmelb(l)au hanno pensato di tradurre in spazio le sequenze sonore, ragionando quindi su un’operazione di soundscaping, per costruire uno spazio generato dalla e per la musica. L’idea di combinare l’architettura con la musica non è nuova, come non è nuovo il termine soundscaping che è stato coniato nel 1940 e descrive un metodo compositivo che si basa sulle teorie della "Gestalt", nella convinzione che quello che siamo e sentiamo è il risultato di una complessa organizzazione che guida anche i personali processi di pensiero. Il tema del rapporto tra musica e architettura fu affrontato anche da Le Corbusier insieme a Iannis Xenakis, i due studiarono a lungo la realizzazione tridimensionale delle composizioni musicali. Le Corbusier fu uno dei primi a sperimentare l'applicazione delle proporzioni armoniche nella progettazione mediante la messa a punto del Modulor. La Coop Himmelb(l)au aveva pianificato tre fasi per arrivare al risultato voluto: in primo luogo, realizzare un effetto schermatura tra la piazza e la strada, poi studiare la geometria del padiglione in modo che la superficie deviasse il rumore e, in ultimo, progettare la superficie in modo che riflettesse e assorbisse il suono. Lo spazio interno del padiglione e la sua morfologia esterna sono stati disegnati proprio dalla musica, mediante una complessa traduzione spaziale di sequenze sonore tratte da "Purple Haze", celebre brano di Jimi Hendrix, e dal “Don Giovanni” di Mozart e successivamente modellate tridimensionalmente mediante uno specifico software. All'interno del padiglione sia le pareti che i soffitti sono stati rivestiti da una combinazione di pannelli sandwich perforati, necessari per assorbire e dissipare le onde sonore anche provenienti dall'ambiente interno e riflesse dal pavimento. Nello stesso tempo le geometrie interne sono state studiate in modo da eliminare effetti di riverbero e riflessione grazie alla scelta di non utilizzare superfici piane o parallele, terreno favorevole per la propagazione di questi fenomeni. Il guscio è caratterizzato da elementi piramidali affilati e asimmetrici realizzati in pannelli metallici, pensati per rompere le onde sonore evitando fenomeni di riflessione e riverbero. L’architettura del padiglione è completata ed esaltata dall’illuminazione, curata dallo studio viennese CAT-X. Le complesse e multiple proiezioni di luce studiate per questa struttura non solo illuminano la sala, ma cambiano la percezione dello spazio, dando l’impressione che l’architettura si muova. Le differenti scale cromatiche della luce si alternano in successione e si modulano in funzione delle frequenze musicali prodotte durante gli spettacoli. La traduzione dei suoni prodotti nell'auditorium in luci e forme visibili sulle pareti del padiglione, avviene in tempo reale attraverso un complesso sistema di controllo computerizzato. (di Cristiana Zappoli)

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«archiitectus h c r a i ire il .d ari, der archit) Concep chit c e it h c r ( l lat. ar c.). - 1. o le leggi dell’a v.tr. [da architétto, ec d n e o r c a e de , es (io truzion e. 2. (fig.) a. I s tetto»] o c a n di u zion disegno urarne l’esecu esa qualsiasi. Italiana - Treccani) c pr e gua della Lin tettura pera o itim o ’ abolario n c o u V . e (c concepir

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L’équipe di pittori e decoratori della ditta Colore e Stile Pittori vanta un’esperienza pluriennale nel campo della tinteggiatura e decorazione murale, in grado di garantire la totale soddisfazione dei propri clienti, grazie anche all’esclusivo utilizzo di materiali di prima qualità e finiture di pregio. Fra i servizi dell’azienda rientrano: tinteggio di interni ed esterni, stucchi Mantovani, Veneziani e Marmorino, velature a calce, ai silicati e con Terre Fiorentine, trattamenti antimuffa, montaggio di cornici decorative, isolamenti termici a cappotto, opere in cartongesso, controsoffitti in fibra minerale, trattamento e verniciatura del legno.

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Attenta alle esigenze della propria clientela, l’azienda Visual 2 Trade ha i suoi punti di forza nella professionalità del suo gruppo, nell’efficacia delle idee e nell’attenzione ai particolari. Leader nel settore dei manichini, stender, appendini e arredamenti per negozi, è in grado di soddisfare le richieste più disparate e i clienti più attenti all’immagine del loro negozio. Inoltre, la semplicità con cui è possibile acquistare attraverso l’articolato e completo sito internet, fa di Visual 2 Trade una delle più importanti aziende nel settore della vendita online. Via Coriano, 58 - Gros Blocco 45A - 47924 Rimini Tel. 0541.309167 - Fax 0541.304166 www.visual2trade.com - info@visual2trade.com

TEKNOSOUND

La ditta opera dal 1984 a Torino e dal 1998 anche in Emilia e precisamente a Cento. È specializzata nel settore delle rifiniture d'interni ed esterni. Eseguiamo controsoffittature in cartongesso e metalliche, soffitti tesi, pareti in cartongesso, mobili ed attrezzate. Siamo specializzati in isolamenti termici a cappotto, decorazioni interne ed esterne e recuperi di pregio, stucchi veneziani e velature. Eseguiamo strutture antincendio e protezioni acustiche secondo le nuove norme vigenti. Alcune nostre referenze: Galleria d’arte moderna Torino, palazzo dei congressi Stresa (VB), Casinò de la Vallée Saint Vincent (AO).

progetto: arch. Guido Lenzi e arch. Fausto Savoretti - sala riunioni CNA di Bologna

AIELLO SILVANO - FALEGNAME

La ditta di Falegnameria di Silvano Aiello si occupa da molti anni della produzione di arredo per la casa creando mobili su misura, in grado di trasformare gli interni in ambienti assolutamente personali. Realizza, mettendo al servizio del cliente la propria e esperienza e professionalità, armadi, cabine armadio, librerie, mensole, cucine, arredo bagno, il tutto con infinite possibilità di personalizzazioni a seconda dei gusti e per ottimizzare al meglio gli spazi. Tutti i materiali usati sono biologici, nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente che ci circonda. Via G. Turri, 31 - 42100 Reggio Emilia Cell. 345.9243995

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Via Ungheria, 20 - 44045 Cento Loc. Renazzo (FE) Tel. 051.902384 - Cell. 335.6351990 www.teknosound.it - davide_vicino@yahoo.it



news DIMENSIONE MOSAICO snc

È un laboratorio artigianale nato nel 2001 a Ravenna, capitale mondiale del mosaico, diretto dalle mosaiciste Elisa Brighi ed Evelina Garoni. Si occupa di progettazione e realizzazione di mosaici per interni, esterni e soluzioni d’arredo. Dimensione Mosaico rappresenta la fusione con la tradizione antica utilizzando pietre e materiali naturali miscelati in una gamma cromatica e compositiva inedita che ben si adatta a molteplici superfici in tutti gli ambienti. Il nostro punto di forza è la flessibilità nel saper interpretare il gusto del cliente attraverso la cura del particolare. Via Maccalone, 52 - 48124 Piangipane (RA) Cell. 0544.417979 - Fax 0544.211983 www.dimensionemosaico.it info@dimensionemosaico.it

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RIER Impianti opera da oltre 25 anni nel settore della sicurezza, come azienda installatrice di impianti anti intrusione, rilevazione incendi, controllo accessi, video sorveglianza e diffusione sonora nei vari settori applicativi: civile, industriale, commerciale, bancario e militare. Dal 2004 ad essa, si è aggiunta la società Pianeta Sicurezza con lo scopo specifico di fornire impianti ad elevato contenuto tecnologico, come nel settore biometrico e domotico, applicato sia nell’ambito civile che industriale. La Rier Impianti ha le certificazioni ISO9001 e IMQ su tutti i TRE livelli di sicurezza-antintrusione. Via Filippo Re, 27 - 48124 Fornace Zarattini (RA) Tel. 0544.460370 - Fax 0544.460253 www.rierimpianti.it - rier@rierimpianti.it

ANGOLO

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Angolo B nasce dopo un'esperienza di oltre 10 anni di attività nelle scenografie e nella realizzazione di strutture in metallo. L’azienda si occupa di arredamento per abitazioni private, uffici e spazi fieristici, creando strutture ad hoc per ogni ambientazione e ottenendo quindi il risultato migliore con l’aiuto di professionisti di fiducia con cui collabora da anni. L’obiettivo principale di Angolo B è fornire un prodotto di alta qualità e un servizio affidabile, anche sulla lunga distanza. Lo staff è disponibile a valutare tutti i progetti richiesti dal cliente, per consegnare, alla fine, un prodotto “chiavi in mano” caratterizzato dalla massima qualità, nonché rigorosamente fatto a mano e made in Italy. www.angolob.com - info@angolob.com

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ARCHITETTURA

a cura di Iole Costanzo

Zaha Hadid

Studio Nicoletti e Hijjas Kasturi

Soma Architecture

Phu Hoang Office e Rachely Rotem Studio

Leo Modrcin


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GEOMETRIE TRASLATE THE POD / Luca F. Nicoletti e Serina Hijjas

KUALA LUMPUR (MALESIA). Lo Studio Nicoletti Associati Italy insieme all’Hijjas Kasturi Associates Sdn in Malesia nella zona di Petaling Jaya, a ovest di Kuala Lumpur, ha progettato un padiglione dalle forme sinuosamente traslate. “The Pod” è un’architettura blobforme, rigonfia, che vagamente avrebbe ricordato un’ameba se non fosse totalmente sezionata secondo un ritmo variabile. Le diverse sezioni ellittiche e ambiguamente concentriche traslano tra loro lungo il taglio rompendo la continuità del ricurvo perimetro. La massività scultorea che la struttura avrebbe potuto avere è stata destrutturata, affettata, dinamizzata. Il volume, rigonfio in altezza, offre lungo i piani verticali dei tagli e delle traslazioni la posizione per gli specchi di luce, asole che illuminano i due grandi ambienti interni e danno anche la possibilità dall’esterno di scoprirne vagamente il contenuto. Dentro si può ammirare un unico spazio candido pensato prevalentemente per due precipue funzioni: amministrative (con uffici e sale dedicate alle riunioni) ed espositive. Il padiglione è stato progettato come struttura di cantiere, per ospitare gli uffici vendite e lo spazio mostra. Lo showroom è completamente dedicato al plastico del quartiere e ai rendering organizzati e strutturati così da dare la giusta informazione sulla nuova area a espansione urbana in via di realizzazione nella par-

A sinistra: vista laterale dello spazio espositivo “The Pod”, progettato per ospitare uffici vendite e showroom per la costruzione di un nuovo quartiere residenziale a Kuala Lumpur. Lo specchio d’acqua è stato progettato per ottenere in modo naturale la mitigazione climatica interna

te est della città. Un nuovo quartiere residenziale e terziario dall’architettura contemporanea. Una nuova zona dove l’impianto della città subirà radicali cambiamenti tenendosi al passo con le innovazioni architettoniche che negli ultimi anni hanno letteralmente investito Kuala Lumpur, la capitale del paese che oscilla tra passato e futuro e che oggi risulta essere una sapiente miscela tra l’architettura coloniale e quella contemporanea. Edifici prestigiosi e immensi grattacieli sono stati pensati da grandi firme del jet-set dell’architettura internazionale per la città costruita nel cuore della foresta vergine. Strutture dalle tecnologie più attuali che smentiscono sempre più l’origine etimologica del nome Kuala Lumpur: “confluenza fangosa”. “The Pod” è stato quindi pensato per attrarre e invogliare i cittadini a partecipare a questo nuovo sviluppo e per tanto è stato chiesto allo studio Nicoletti e Kasturi di progettare questo nuovo spazio da collocare all’interno dell’area di cantiere e che rispondesse ai canoni estetici dei futuri edifici. Il padiglione ha uno sviluppo di circa 800 metri quadrati e un’altezza che varia dai 4 agli 8 metri. La pianta ricorda la forma o di un baccello, e così si spiega lo stesso nome, o di una goccia d’acqua. Una forma morbida che dopo varie sezioni e traslazioni si è consolida trasformando le fragilità in punti di for-

Sotto: vista ravvicinata del rivestimento adoperato per l’esterno della struttura: pannelli flessibili e plastici alucobond realizzati in alluminio leggero



“The Pod” ha la forma di un baccello, dal perimetro rigidamente geometrizzato. Le diverse sezioni ellittiche, che donano a tutta la struttura l’impressione di essere stata affettata, traslano tra loro creando lo spazio per l’inserimento delle superfici vetrate


Sopra: la planimetria del padiglione. L’intera struttura si divide in due zone di ampiezze diverse. A fare da legante tra le due la strozzatura centrale. La parte più piccola è suddivisa in più ambienti ospitanti la parte amministrativa. L’ampio salone posto nella parte iniziale della struttura ha funzione di spazio espositivo. Sotto: la sezione longitudinale. Gli elementi ellittici che assemblati formano il corpo della struttura sono percepibili anche all’interno e lo caratterizzano con diverse altezze rigidamente raccordate

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za. Al suo interno solo l’area espositiva occupa più della metà di tutta la superficie totale, e pur essendo un unico ambiente si presenta vario e dinamico. L’altezza cambia per ogni sezione traslata e il candore dell’intonaco bianco si adatta alle varie fonti di luce, mentre le diverse altezze si raccordano in più punti con i tagli di vetro che arricchiscono l’interno non solo di luce diurna ma anche del paesaggio urbano che vi sta intorno. La struttura portante, completamente realizzata con componenti in tubolare d’acciaio, è rivestita sia all’interno che all’esterno. Entrambi i rivestimenti sono bianchi, quello interno è opaco mentre quello all’esterno è lucido e riflettente. Quest’ultimo è realizzato con pannelli alucobond ibrido, flessibili e plastici realizzati in alluminio molto leggero e dalle geometrie regolari, in grado di offrire una buona stabilità e anche un’ottima resistenza alle intemperie. Il guscio protettivo di tutto l’edificio potrebbe essere assimilato ad una serie di nastri variamente adagiati sulla struttura e che visti a una certa distanza sembrano continui. I pannelli nella realtà presentano diversi tagli che si raccordano tra loro mantenendo una piccola distanza, un sottile ricorso nero che geometrizza la superficie di copertura senza frammentare ulteriormente

Sotto: i quattro prospetti. Quelli longitudinali fanno leggere le altezze dei diversi elementi. Quelli frontali rivelano la sinuosità dell’opera

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CREDITI Architetti Studio Nicoletti Associati Italy and Hijjas Kasturi Associates Sdn, Malaysia Sviluppo MKH Group, Malaysia Construzione Bina Jurati Sdn Bhd Dimensione 800 sqm Fine lavori 2010


A sinistra: la sala espositiva ospita sul fondo l’isola su cui è appoggiato il plastico (nell’immagine sopra) del nuovo quartiere che sarà costruito sull’area occupata dal padiglione. Ai margini del salone sono poste le tavole con i rendering, visibili anche nell’immagine posta in basso

l’immagine già discretizzata dell’intero edificio. “The Pod” se pur progettato e costruito come struttura temporanea, perché al completamento del piano sarà totalmente rimossa, risponde pienamente ad alcuni principi base della bioclimatica. Semplici e minimi accorgimenti, infatti, migliorano e assicurano un elevato benessere all’interno degli ambienti sia nelle calde ore diurne sia nelle fresche e umide ore serali. Il verde oltre a rinfrescare penetra attraverso i tagli di vetro all’interno dei candidi ambienti e ne modifica la percezione e lo specchio d’acqua lungo i bordi esterni che aiuta la climatizzazione mitigandone gli sbalzi di temperatura. E se “The Pod” è solo uno showroom ben curato e di ottima qualità architettonica, perché non pensare che in qualche modo può essere garante della qualità che i prossimi acquirenti potrebbero riscontrare nelle future costruzioni? Vale a dire che uno showroom, oltre ad essere uno spazio espositivo, può essere anche percepito come spazio dimostrativo, a garanzia della qualità del progetto che ospita. ARCHILINE 49


DINAMICITÀ E TECNOLOGIA

MOBILE ART PAVILION / Zaha Hadid Architectes PARIGI (FRANCIA). È la sintesi e il connubio di due filoni di ricerca. Quella sartoriale di Chanel e la trasgressione architettonica di Zaha Hadid. È il Mobile Art Pavilion. Due mondi cronologicamente distanti che si incontrano, si inviluppano e si avvolgono in una architettura effimera dei nostri tempi fatta di geometrie fluide e organiche. Linee che, interpretando l’idea di sensuale ed elegante femminilità della casa di moda parigina fondata da Coco agli inizi del secolo scorso, creano il Mobile Art Pavilion. L’architetto anglo-iracheno lo ha progettato nel 2008 quando Karl Lagerfeld, stilista della casa parigina, commissionò uno spazio temporaneo per l’esposizione curata da Fabrice Bousteau, il direttore della rivista Beaux Arts Magazine, per far conoscere le diverse opere che alcuni artisti internazionali avevano realizzato con l’intento di interpretare la filosofia del marchio Chanel e la linea della mitica borsa in matelassé. Di tutto il tour mondiale che era stato previsto solo Hong-Kong, Tokyo e New York sono le tappe attuate. Il momento economico mondiale ha portato la famosa casa di moda a concludere il programma e riporre il padiglione in un container a Le Havre, fino a quando non si è creata la circostanza di poterlo rimontare nella piazza antistante l’IMA, l’Institut du Monde Arabe un’importante architettura contemporanea per la città di Parigi, progettata da Jean Nouvel e inaugurata nel 1987. Dal 28 aprile 2011 l’avvolgente e candido Mobile Art Pavilion ha trovato questa nuova collocazione. Sembra essere stato progettato appositamente per questo spazio anche se per accogliere i suoi 770 mq e la sua struttura realizzata con 1752 collegamenti di acciaio, che pesano in totale 80 tonnellate, hanno dovuto rinforzare il solaio del piazzale. È una struttura suadente, organica, morbida ed elegante sostenuta da uno scheletro in acciaio e un telaio secondario realizzato con estrusi in alluminio. È completamente rifinita con una fibra rinforzata in plastica, ha un tetto in PVC e i lucernari realizzati con il nuovo e trasparente polimero clorurato, più leggero e più isolante del vetro, l’ETFE. Nasce da una rielaborazione parametrica di una modanatura classica convessa, il toro: una superficie geometrica generata dalla rotazione di una circonferenza lungo una retta ad essa esterna ma complanare. Una figura geometrica greco/latina che, debitamente rielaborata, ha creato un’architettura, come la stessa vin-

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Un volume fluido e organico. Uno spazio espositivo pensato per entusiasmare. È stato montato dall’aprile di quest’anno nel piazzale antistante l’IMA, l’Institut du Monde Arabe di Parigi


Foto Francois Lacour, courtesy of Institut du Monde Arabe


CREDITI Progettazione Zaha Hadid Architectes Cliente Chanel Attuale cliente Institut du Monde Arabe Luogo Parigi Costruzioni Fayat Group Dimensioni 29m x 45m totale 700 mq Spazio espositivo 500 mq

Sinistra e destra: le foto mostrano lo spazio interno. I pannelli espositivi realizzati anch’essi in ETFE sono sostenuti da una struttura che ripropone gli incroci di una ragnatela dai filamenti neri. Il tema attuale dell’esposizione è l’architettura di Zaha Hadid, le prossime saranno sull’architettura del mondo arabo

citrice dell'ultimo Stirling Prize 2010 e del Premio Pritzker nel 2004 ha dichiarato “capace di offrire alle persone la prospettiva di un mondo alternativo, da cui lasciarsi entusiasmare…”. È un oggetto scultoreo dalle fattezze intuitive e dinamiche, al cui interno lo spazio si presenta avvolgente e insolito, tautologicamente adatto in questo momento ad ospitare, fino al 30 ottobre, una mostra su Zaha Hadid e quindi anche su se stesso. Mobile Art Pavilion è uno spazio pensato per contenere una mostra itinerante. La sua architettura è nomade ed effimera, un container smontabile, trasportabile e ricostruibile in meno di una settimana. Non è però modulare. Ha una struttura in acciaio ideata secondo il concetto della ripetizione e della variazione dell’arco. E gli archi sono stati deformati per dare modo alla luce naturale di entrare all’interno dall’alto. Il corpo omogeneo e compatto è rivestito con scocca bianca e lucida, interrotto e slabbrato dalla cosiddetta terrazza che inserendosi nel volume ne stacca un’ala, una piccola scheggia entro cui si trova la biglietteria. Gli altri elementi che costituiscono il padiglione sono il piccolo volume per il guardaroba, l’ampio spazio espositivo e la corte interna, il cuore luminoso dell’intera struttura. La corte messa in collegamento con la terrazza crea uno spazio adatto agli eventi particolari e alle situazioni diverse dall’esposizione. È l’essenza di tutto il padiglione. 65 mq con il tetto trasparente pensati per una giusta pausa dopo la mostra. 52 ARCHILINE


Il Mobile Art Pavillion accoglie grandi eventi legati al mondo dell’arte e, a partire dalla mostra sull’architettura di Zaha Hadid, diventerà lo spazio espositivo dell’arte araba. Completerà quel mondo fatto di cultura, rapporti interdisciplinari e relazioni diplomatiche tra la Francia e i paesi Arabi come già l’Institut du Monde Arabe, appositamente costruito sotto il presidente Francois Mitterand, rappresenta. Entrambi gli edifici insistono su una particolare area della Ville Lumière, una zona che si trova a cavallo tra due tessuti della città, quello storico caratterizzato da costruzioni di tipo tradizionale e l’altro con l’impianto urbano discontinuo, posti nel cuore della metropoli proprio sul lungosenna di fronte al Pont de Sully. L’immacolato Mobile Art Pavilion grazie al suo involucro iridescente e lucido gioca con la luce naturale, con le sfumature cangianti dei bagliori del giorno e morbidamente vi si adatta. Al suo interno la luce, relazionandosi con le superfici arcuate dei pannelli di fibra plastificata, crea un ambiente fluido, avvolgente e accogliente, quasi archetipicamente femminile. È una luce naturale e morbida, riflessa e mai diretta, che si alterna con quella artificiale appositamente progettata per non entrare in conflitto con le opere esposte. Accortezza che si coniuga con la particolare attenzione che il pensiero arabo pone all’illuminotecnica e di cui è testimone anche l’IMA progettato da Jean Nouvel, noto nel mondo per la sua particolare facciata pensata come un curtain-wall foto sensibile, un moucharabieh altamente tecnologico.

PIANO COPERTURA

1

2

3 4

PIANTA PIANO TERRA

11

12

5

6 7

9 8 10

1. Copertura trasparente della corte interna; 2-3. Copertura trasparente della sala espositiva; 4. Pannelli luminosi; 5. Rampa d’accesso; 6. Scale; 7. Biglietteria; 8. Terrazza; 9. Guardaroba; 10. Entrata; 11. Sala espositiva; 12. Corte interna

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B’ B

1. Corte interna; 2. Sala espositiva;

B’ B

SEZIONE B-B

1 2 2

SEZIONE B’-B’

2

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1

2


A’ A

A’ A

1. Corte interna; 2. Sala espositiva;

SEZIONE A-A

2 2

1

SEZIONE A’-A’

1 2

2


Mobile Art Pavilion presenta un volume che nasce da una rielaborazione parametrica di una modanatura classica che è stata modificata, deformata, rielaborata fino a diventare una forma assolutamente nuova. Uno spazio pensato per ospitare l’arte. Creato per stupire. Un luogo che nei prossimi anni ospiterà e farà conoscere il ricco mondo dell’arte araba



VARIAZIONE SUL TEMA

MOBILE MUSIC PAVILION / Soma Architecture


Foto F. Hafele



SALISBURGO (AUSTRIA). Quando una costante genera oscillazioni e una regola applicata porta alla sua stessa variazione allora la progettazione inequivocabilmente è legata alla realtà parametrica. Una realtà geometrica “adattiva” del mondo tridimensionale che sotto la guida dello studio Soma ha portato alla realizzazione del Mobile Music Pavilion di Salisburgo. Un luogo pensato per rafforzare il legame tra la città austriaca e la Seconda Biennale della Musica Contemporanea che ha avuto inizio lo scorso marzo 2011. Un nuovo spazio temporaneo costruito per accogliere un mondo fatto di sonorità ben diverse da quelle legate al linguaggio classico più che noto alla città che ha dato i natali a Wolfgang Amadeus Mozart, ma strettamente connesse invece alla ricerca atonale, minimale, ritmica, sperimentale e d’avanguardia. Ma non è lo studio dell’acustica a guidare la morfogenesi di questa ambivalente costruzione dalla forma vagamente morbida e soffice, che a sua volta è protetta da un esoscheletro inquietante e rievocante il guscio di un riccio. Citando il titolo di un libro di Muriel Barbery, è possibile affermare che questo piccolo padiglione è la prova dell’“eleganza del riccio” e di quanto una sovrastruttura inquietante e “pungente” sia comunque in grado di sollecitare l’immaginario collettivo con ciò che può essere considerato universalmente pericoloso e contemporaneamente sovvertirlo. L’abbinamento eleganza e variabilità è alquanto inusuale, ma in questo caso è proprio la variabilità il gioco che struttura il Mobile Music Pavilion e che lo rende armonioso ed elegante, in barba a chi afferma che l’eleganza appartiene all’architettura tradizionale in quanto risultante del-

A sinistra: l’interno è rivestito di tessuto bianco e ha una scansione regolare determinata dalle diverse sezioni variamente arcuate che assemblate danno vita al padiglione variandone anche la dimensione

l’applicazione del concetto della simmetria e di altri canoni classici. Ogni singolo elemento dell’esoscheletro è montato in modo diverso e in modo diverso modula la luce che vi si riflette facendo variare la percezione di sé. Questa piccola e temporanea architettura sovverte alcuni concetti chiave. La struttura portante è esterna ed è costruita secondo la logica del buttomup cioè dal basso verso l’alto, dal piccolo al grande. È quel sistema in cui singole parti vengono connesse tra loro in modo da formare componenti più grandi e che a loro volta interconnesse tra loro realizzano un sistema completo e anche più complesso. In questo caso la singola unità è una stecca di alluminio lunga un paio di metri, e tutte insieme sono legate tra loro secondo regole che, pur variando per ognuna di loro, si attengono ad una logica additiva parametrica. Il Mobile Music è un padiglione trasportabile ed è stato progettato per poter essere assemblato più volte e sempre in luoghi diversi, nei dieci anni a venire. Proprio per questa progettualità futura una delle sue peculiarità non poteva non essere la flessibilità; caratteristica ulteriormente garantita dalla suddivisione della struttura in singole sezioni ad arco che variamente connesse modulano la possibilità di poter far cambiare la dimensione dello spazio, riducendo o aumentando il numero di sezioni montate e assicurando così anche una maggiore adattabilità alle diverse condizioni del sito. La versatilità del Mobile Music Pavilion di Salisburgo è una specificità necessaria che fa sì che questo spazio possa ospitare anche conferenze o piccoli spettacoli di danza o ancora per essere vissuto diversamente dai cittadini. Condizione necessaria che


Sopra: la planimetria della struttura portante dell’intero padiglione. L’esoscheletro progettato secondo la variazione della posizione dell’unico elemento costitutivo: una stecca d’alluminio lunga un paio di metri. Sotto: la pianta. La disposizione interna è strettamente legata ai moduli delle arcate e alla dislocazione dei moduli parallelepipedi che fa variare la fruizione interna

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ANALISI DELLE TENSIONI

PROSPETT0

PROSPETTIVA

PLANIMETRIA GENERALE

Basse sollecitazioni

Alte sollecitazioni

Supporto

Sopra: due viste, prospettica e frontale, di un singolo modulo della struttura portante. A destra: schema riassuntivo ed esplicativo delle possibili diverse disposizioni interne. Possibili altri usi differenti dello spazio interno oltre all’ascolto della musica contemporanea per cui è stato progettato

SEZIONE LONGITUDINALE


è stata risolta dal gruppo Soma con l’uso di elementi tridimensionali, parallelepipedi tutti uguali che, variamente spostati e sistemati, diversificano l’interno creando aree dalle diverse altezze e pertanto dalle diverse funzioni. Sono elementi che in piano creano un pavimento modulare geometricamente giustificato dalla discretizzazione del perimetro del padiglione e che all’occorrenza diventano elementi di arredo. È la variazione il tema principale della progettazione e dell’arredo e vale anche per ciò che concerne la luce. All’interno essa varia perché ad illuminarlo è la stessa luce del giorno che penetrando tra le maglie delle stecche variamente connesse incontra solo un sottile tessuto dal colore chiaro. Ma anche all’esterno la luce diurna, specchiandosi e riflettendosi, cambia assecondando i diversi angoli di connessione dei vari elementi. È uno spazio nato dal concetto della variazione, ma soprattutto è un luogo dedicato alla musica. Un’architettura, insomma, che risponde pienamente al concetto espresso dal compositore veneziano Luigi Nono, all’interno dei suoi “Scritti e colloqui”, in cui definisce lo spazio sonoro “... una tale meravigliosa occasione sia per la sua progettazione che per la sua possibile rispondenza a nuovi criteri architettonici-culturali e sociali…”. Ma nonostante negli anni Novanta non fosse molto in uso progettare e realizzare uno spazio temporaneo per l’ascolto è stato sempre Nono nella stessa opera a scrivere: “oggi è necessario uno spazio architettonico continuamente trasformabile e definibile nella sua finalità molteplice”.

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CREDITI Progettisti Soma Architecture Luogo Salisburgo, Austria Strutture Bollinger Grohmann Schneider ZT GmbH, Vienna Progetto luci Podpod, Vienna Costruzione Unterfurtner GmbH, Austria



PRATICA ARCHITETTONICA ALL’UNIVERSITÀ DI PADOVA Interazione su un progetto in scala reale

Edoardo Narne Professore invitato alla UAX di Madrid nel 2002. Dal 2003 collabora alla didattica al DAUR dell’Università di Padova dove, nel 2006, vince il concorso di ricercatore. Membro fondatore dello Studio Mas e dello studio azimut05. Il suo lavoro è documentato in tre monografie: Cornoldi/ MAS ARCHITETTURE; AZIMUT05 progetti recenti; Edoardo Narne Architetture 1999 - 2009, 2010.

Sotto: Alcune fasi della costruzione del padiglione all’interno di un giardino dell’Università di Padova. Il materiale adoperato è quello normalmente in uso nei cantieri edili. Come elementi divisori sono state usate alcune librerie

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Nasce da una rielaborazione di un progetto di Charles Correa la struttura espositiva temporanea completamente realizzata con materiali poveri o comunque di recupero dall’Università di Padova. È la conferma di come sia possibile costruire a basso costo. L’idea è cresciuta nel tempo in seguito ad una visita che quattro anni fa un gruppo di studenti fece a Chicago per visitare il Campus universitario dell'IIT. In quell’occasione alcuni laureandi stavano presentando i loro lavori e molti erano vere e proprie piccole strutture-installazione realizzate in scala 1:1. È stato dopo questa esperienza che il DAUR, il dipartimento di Architettura, Urbanistica e Rilevamento dell’Università di Padova decise dunque di cogliere la forza di quell'idea potentissima e cercò di individuare le strade che bisognava percorrere per poter far ripetere agli studenti dell’ateneo quell’esercizio di costruzione, in scala reale, dei propri progetti. L’intera operazione è stata portata a termine sotto la guida del professore Edoardo Narne, ed è a lui che saranno poste alcune domande per conoscere meglio il progetto. Che tipo di ricerca tecnologica e/o compositiva sottende la progettazione di questo padiglione? «Tecnologia low- tech e ricerca sui fondamenti della disciplina: lo studio dei materiali sottoposti alla legge della gravità, l'influenza della luce nella determinazione e calibratura di atmosfere accoglienti e seducenti». Dal progetto alla realizzazione quali difficoltà sono state affrontate? «Innumerevoli. La realtà dell'accademia italiana non ha certo le possibilità, ne le potenzialità, delle corrispondenti facoltà americane. Per anni si è cercato di trovare una soluzione alla sostenibilità economica di tale iniziativa: un piccolo padiglione realizzato con l'aiuto degli studenti. Un’operazione considerata un vero se-

gnale di rinnovamento nella trasmissione della pratica architettonica. Venne preso in considerazione anche l'utilizzo di containers, ma i costi risultarono troppo elevati. Inoltre, per l'ottenimento di tutti i permessi, è stato anche necessario presentare il progetto sperimentale ad almeno sei commissioni diverse tra organi universitari e settori dell'amministrazione comunale. Ma ciò che nel tempo si è comunque confermato come certezza è stato il coinvolgimento degli studenti, considerato essenziale, proprio per il loro stesso entusiasmo, sia per la costruzione del manufatto, sia perché ha rappresentato per loro la possibilità di toccare con mano la complessità, la ricchezza e le potenzialità di un progetto in scala reale». Quali materiali sono stati usati per la realizzazione di questa struttura? «Lo scoglio dei costi dell'iniziativa sembrava difficile da superare. Un anno fa però è arrivata la soluzione. Durante la preparazione del corso è stato analizzato un vecchio progetto di Charles Correa pensato per una casa sperimentale, non ancora realizzata in India e quasi contemporaneamente un laureando ci avvisa di una grande svendita di alcuni modelli di librerie da parte di una nota ditta svedese di arredamento. Utilizzando le librerie come materiale da costruzione e rielaborando lo schema progettuale di Correa si avvia il progetto esecutivo che, per il resto delle strutture, prevede l'uso di materiali a basso costo, normalmente impiegati nei cantieri: i pannelli Osb, solitamente utilizzati per le recinzioni di cantiere in questo caso sono stati adoperati per le coperture; i tubi in pvc, impiegati per le fognature, in questa situazione creano il frangisole dello spazio centrale; i pozzetti prefabbricati sono stati invece impiegati per la realizzazione dei plinti di fondazione. La discussione con


alcuni docenti di storia dell'architettura, di disegno e di urbanistica, interessati anche loro all'iniziativa, ha portato all’attuazione dell’idea e ottenuti i permessi si è dato subito il via alla costruzione». Quali sponsorizzazioni hanno sostenuto questo manufatto? «Il nostro dipartimento ha partecipato con una piccola quota. Non ci sono state sponsorizzazioni esterne eccezione fatta per il contributo generoso di un costruttore edile che ha dato modo di impostare le fondazioni, utilizzando alcuni pozzetti prefabbricati. Importante è stato sicuramente l’apporto dei colleghi docenti che si sono autotassati pur di vedere realizzata questa "follia ". In realtà l'intero padiglione è costato poco rispetto gli standard usuali degli allestimenti espositivi: 8000 euro, che parametricamente equivalgono a circa cinquanta euro a metro quadro, per 150 mq complessivi. È un dato di cui andare fieri e che permette di poter ragionare sulla prossima iniziativa con più entusiasmo e meno scetticismo. È stato un esperimento riuscitissimo, soprattutto per le implicazione didattiche connesse. I 100 studenti del secondo anno del corso di laurea in ingegneria edile e architettura hanno avuto la possibilità di realizzare, in una sola settimana di lavoro, con le proprie mani, la loro prima creatura». La programmazione di tutta l’esperienza ha previsto l’uso del padiglione all’esterno della realtà universitaria o l’impiego in altre situazioni urbane? «Il padiglione è diventato spazio di accoglienza per esposizioni a rotazione dei materiali realizzati dagli studenti in ambito didattico: ricerche in corso, tesi di laurea o semplicemente progetti sviluppati in aula. Il fine è stato quello di presentare al mondo universitario e alla città i differenti approcci metodologici adottati all’interno dei diversi insegnamenti, le potenzialità e i pro-

dotti dei percorsi formativi del Corso di laurea in Ingegneria Edile-Architettura. Un susseguirsi d’iniziative, ne siamo sicuri, troveranno ospitalità in questi ambienti, che sono ritenuti spazi permeabili a nuove idee e, contestualmente, in grado di stimolare la creatività degli studenti verso future prolifiche manifestazioni. L'intervento può essere trasferito in altre situazioni ambientali. E si spera un giorno di poterlo ricostruire in India, dove è stato concepito da Charles Correa». Come hanno reagito gli studenti quando gli è stato proposto la realizzazione in scala 1:1 del progetto, esperienza inusuale nelle università italiane? «Molti non capivano la portata dell'operazione. Poi, a risultato acquisito, si sono proposti in molti per l'evento successivo». L’architettura effimera, i temporary space, sono eticamente giustificabili in un momento economico come l’attuale? «La domanda è giusta, ma un’esperienza didattica è meglio non caricarla di così tanta responsabilità. La cosa migliore da fare è lasciare lo spazio necessario alle critiche senza prenderle troppo sul serio». Quali principi della sostenibilità sono stati adottati? «È difficile parlare di sostenibilità. Espressione troppo abusata. Oggi sembra che ognuno debba avere una personale e originale risposta rispetto a questa questione. La buona architettura parla da sola, senza bisogno di giustificarsi nei confronti delle questioni-tendenze più attuali». La ricerca sulle architetture temporanee proseguirà con altri esperimenti? «Certamente. È uno strumento didattico straordinario. Di recente il dipartimento ha realizzato, all'interno di un workshop a Venezia, alcune pensiline in scala 1:1 e anche in quest’occasione i risultati sono stati esaltanti».

Sopra: Il padiglione copre un’area di circa 150 mq e consta di tre moduli raccordati tra loro da un patio centrale. Il progetto parte dall’analisi di un vecchio progetto di Charles Correa: una casa da realizzare in India, ovviamente rielaborata per creare uno spazio che l’Università ha poi usato per esporre alcuni lavori scritto-grafici degli studenti

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CARDBOARD PAVILION LA FORZA DEL CARTONE Autocostruibile e totalmente riciclabile

Luigi Alini Architetto e professore associato in Tecnologia dell’Architettura presso la Facoltà di Architettura di Catania, sede di Siracusa. Ha svolto attività di ricerca in Giappone e ha curato la prima mostra monografica in Italia sull’opera di Kengo Kuma, col quale ha in corso ricerche sull’uso innovativo in architettura di materiali della tradizione.

Sotto: Cardboard Pavilion ripropone una rilettura della filosofia dell’origami. È il risultato di uno studio morfogenetico sul concetto di “piega” applicato ad un materiale alquanto povero quale il cartone ad onde reso impermeabile da una copertina di carta Kraft

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«Ha una forma espressa come esito dell’organizzazione e della soluzione di problemi e non come esercizio stilistico arbitrario, fine a se stesso. Ha una vita programmata. È totalmente riciclabile. Ha un costo irrilevante. E la quantità di materiale utilizzata in rapporto allo spazio definito è molto bassa. Può essere utilizzato per eventi, manifestazioni anche in contesti consolidati come centri storici, piazze ecc... È personalizzabile, non richiede alcuna opera preventiva per la sua installazione, è ignifugo e resiste bene all’acqua», spiega il professore Luigi Alini per definire in modo conciso Cardboard Pavilion, un esempio di architettura temporanea nato da una ricerca realizzata durante il corso di Tecnologia dell’Architettura della Facoltà di Siracusa, in partnership con l’International Paper di Catania (azienda specializzata nella produzione di imballaggi di cartone) e lo studio AION di Siracusa. Le risorse impiegate per la prototipazione del sistema prima e per la sua ottimizzazione come prodotto industriale dopo sono state totalmente ricavate da finanziamenti esterni all’Università. È l’architettura che al salone dello studente di Catania, lo scorso anno, ha riscosso un grande successo di pubblico, ed è stato anche utilizzato per seminari itineranti e mostre fotografiche. A guidare l’intera operazione, che ha richiesto due anni di lavoro, è stato lo stesso Alini che su questa esperienza, prima di rispondere ad alcune domande, aggiunge: «Gli studenti che hanno partecipato in una prima fase presentavano un atteggiamento di curiosità che sottendeva una certa perplessità, ma vederli passare da una fase di adesione fondata sulla fiducia ad una in cui la partecipazione era dovuta ad un entusiasmo

consapevole, è stato veramente gratificante». Quali erano gli obiettivi prefissati durante questi due anni di ricerca? «L’uso innovativo di materiali non convenzionali e l’intenzione di trasferire in aula un modo alternativo di fare didattica, che ha condotto gli studenti all’interno di un’esperienza concreta e a realizzare quella ineludibile continuità tra progetto e costruzione». Quali sono le caratteristiche di Cardboard Pavilion? «È un sistema abitativo monomaterico a basso costo, prodotto industrialmente, autocostruibile e totalmente riciclabile. È un origami di carta che estremizza le possibilità intrinseche di un materiale apparentemente ‘debole’ come il cartone, di cui restituisce possibilità inespresse. Cardboard Pavilion è figlio da un lato delle possibilità che l’architettura di Shigeru Ban ci ha rivelato e dall’altro dell’arte dell’origami. Lo definirei un prodotto di alto artigianato industriale, si situa a cavallo tra vocazione artigianale e logica industriale. E parafrasando Argan potremmo dire che in quest’opera la ‘struttura dell’oggetto coincide con l’immagine’». Durante la realizzazione quali difficoltà sono state affrontate? «La sfida è stata quella di produrre un sistema abitativo utilizzando le stesse macchine e tecniche di produzione che l’azienda International Paper adotta per produrre scatole da imballaggio. Cardboard Pavilion è stato concepito come un prodotto industriale, con tutte le difficoltà che questa scelta comporta: ottimizzazione del processo di produzione e dei costi di produzione, la commercializzazione, il packaging ecc...». Il materiale adoperato è stato solo il cartone? «La scelta di utilizzare un solo materiale ha richiesto un lavoro molto complesso nella individuazione della tipologia, che poteva essere a singola, a doppia o tripla onda. Le parti che compongono il sistema sono state prodotte utilizzando solo due ‘fustelle’, gli stampi, e con soli due elementi è stata definita l’intera configurazione pensata per essere montata da un personale non specializzato e senza l’ausilio di strumenti o attrezzature. Gli spessori del cartone hanno ovviamente una conseguente ricaduta sulle possibilità di ‘piega’. Testate e verificate diverse tipologie di materiale alla fine la scelta è andata su un cartone a singola onda, perchè più flessibile. Può essere piegato entro certi limiti, perché quando si piega oltre un certo angolo la copertina si lacera, e va fatto tenendo conto della cosìddetta orditura di canna, cioè della dire-


A sinistra: Le immagini propongono alcune delle fasi di montaggio del Cardboard Pavilion. La realizzazione può essere eseguita anche da personale non qualificato. Le dimensioni dei singoli elementi sono dettate dalle possibilità dimensionali dei macchinari per gli imballaggi e la connessione dei diversi moduli avviene con dei bottoni meccanici (vedi immagine in basso) reinseriti

zione in cui sono disposte le ‘onde’ del cartone interno. Le copertine esterne sono di carta Kraft 100% naturale, che ha un’ottima tenuta all’acqua, l’onda interna invece è realizzata con una carta riciclata». C’è un criterio generatore del padiglione? «È la ‘piega’, nella sua accezione fisica e concettuale, l’elemento generatore del progetto in base al quale la materia carta è tras-formata in materiale da costruzione. L’ordine geometrico delle pieghe sottende una rigorosa codifica parametrica del progetto e mettendo a sistema tutti questi dati è stata definita la piega che ha reso possibile un sistema, che risulta essere rigido per forma e generato dall’aggregazione di due moduli di base, pattern, desunti dall’arte degli origami: modulo A, a “spina di pesce”; modulo B, a “punta di diamante”. La performance strutturale del padiglione, in risposta a fattori ambientali come la pressione del vento e lo scorrimento dell’acqua piovana, è garantita da una rigorosa geometria generativa che ‘orienta’ gli sforzi lungo ‘direzioni principali di tensione’. Ricorrere a strumenti di elaborazione progettuale di tipo parametrico ha agevolato il controllo delle geometrie dei singoli elementi del sistema in ragione alle condizioni ‘limite’ imposte dal materiale - angolo massimo di piega, direzione della piega, ecc...- determinando una ‘catena di deformazioni controllate’». Una struttura realizzata in cartone a quali caratteristiche tecniche deve rispondere? «La capacità di carico e la resistenza allo strappo sono i parametri che hanno determinano le caratteristiche del cartone impiegato e la tipologia a sandwich. Il tipo di impianto di produzione messo a disposizione dalla International Paper di Catania ha invece inciso sulle dimensioni dei singoli elementi componenti il sistema: elementi discreti che realizzano una superficie con-

tinua mediante la connessione di più moduli. La sovrapposizione degli elementi ha garantito l’ottimizzazione del deflusso delle acque meteoriche». Ultima domanda: cosa rende solidali queste diverse parti? «Dei connettori meccanici di plastica di 6mm di diametro. ‘Bottoni’ meccanici composti da due elementi accoppiati tra loro per pressione. Questa soluzione è stata individuata a valle di un confronto tra diverse ipotesi vagliate: velcro, colla ecc…, e quella dei rivetti a pressione nasce dalla sintesi di diverse necessità. In primis quella connessa al riciclo del sistema. I rivetti facilmente separabili dal cartone vengono innestati senza l’ausilio di alcun attrezzo. Basta la pressione delle mani. I fori e la posizione dei connettori sono stati predeterminati sui singoli componenti di cartone mediante fustellatura escludendo così qualsiasi possibilità di errore in fase di montaggio da parte dell’utente, al quale viene fornito anche uno schema di montaggio con tutte le istruzioni necessarie. Infine, il sistema di connessione meccanico assorbendo gli sforzi di scorrimento che si generano tra le parti garantiva anche un buon grado di flessibilità e di mobilità tra le singole parti del sistema, che per sua stessa natura non poteva essere troppo rigido».

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ALGORITHMIC AIDED DESIGN

Arturo Tedeschi Architetto, si occupa di ricerca nel campo della modellazione parametrica. Nel 2010 pubblica Architettura Parametrica introduzione a Grasshopper, il primo manuale italiano sulla modellazione generativa in Rhinoceros. Nello stesso anno collabora con lo studio Zaha Hadid Architects di Londra.

1. Zaha Hadid, Vitra Fire Station, Weil am Rein, 1991. La tecnica rappresentativa della Hadid suggerisce il flusso di composizione dell’oggetto architettonico e il processo associativo delle sue parti. La forma finale è il congelamento della dinamica generativa 2. Danecia Sibingo, AA Summer Pavilion, Londra, 2009

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Questo articolo non vuole essere l’ennesima celebrazione del ruolo del computer nel processo progettuale. Al contrario, si vuole qui affermare come i recenti sviluppi nell’architettura e nel design siano in realtà esito di un percorso di ricerca maturo che, supportato da un profondo controllo degli strumenti digitali, sta paradossalmente liberando il progettista dai vincoli e dai condizionamenti del software, facendo assurgere quest’ultimo a strumento “neutrale” di indagine ed approfondimento. Progettazione parametrica, modellazione algoritmica, design generativo, design associativo sono le parole chiave di un nuovo paradigma in grado di rispondere alla crescente complessità dei problemi progettuali attraverso un approccio alternativo, che colloca in una prospettiva diversa i ruoli consolidati di processo e risultato e vede nel computer il naturale alleato, ma non la ragion d’essere. Avanguardia L’approccio non è recente, perlomeno non contemporaneo. Luigi Moretti (1906-1973) è il primo architetto a parlare di Architettura Parametrica elaborando (insieme al matematico Bruno De Finetti) progetti per stadi di calcio, tennis e nuoto che rifiutavano riferimenti tipologici, perseguendo l’idea di generare la forma attraverso rigorose relazioni geometriche tra parametri quantizzabili, relativi alla visione ottimale. Scriveva Moretti: «I “parametri” e le loro interrelazioni divengono così l’espressione, il codice, del nuovo linguaggio architettonico, la “struttura”, nel senso originario e rigoroso del vocabolo, deficiente le forme che quelle funzioni esaudiscono. Alla determinazione dei “parametri” e loro interapporti, debbono chiamarsi a coadiuvare le tecniche e le strumentazioni del pensiero scientifico più attuali; particolarmente la logica-matematica, la ricerca operativa e i computers, specie questi per la possibilità che danno di esprimere in serie cicliche au-

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tocorrettive le soluzioni probabili dei valori dei parametri e delle loro relazioni». Negli stessi anni l’ingegnere Sergio Musmeci ribalta l’approccio tradizionale al calcolo strutturale, perseguendo con tenacia l’idea della “forma come incognita” realizzando l’inedita struttura del ponte sul Basento a Potenza. L’importanza di Musmeci risiede nel tentativo di reinterpretazione del problema strutturale la cui soluzione era basata sostanzialmente su metodi codificati di dimensionamento e verifica di elementi predefiniti (piloni, travi, archi) individuando per la Scienza delle Costruzioni la necessità di «sviluppare una vera e propria teoria delle forme, interamente basata sulle enormi potenzialità di trattamento delle informazioni offerte dai calcolatori elettronici». Le intuizioni di Moretti e Musmeci mostrano evidenti segni di affinità con un nuovo indirizzo di ricerca che, a partire dagli anni ’60, caratterizza l’intera avanguardia architettonica (con “epicentro” presso la Architectural Association School di Londra) che può essere sintetizzato nella nuova centralità del concetto di diagramma (processo): il tipo non definisce più l’idea di partenza di un’opera, ma è sostituito dal diagramma che rifiuta la descrizione della forma finale dell’oggetto architettonico per indagare il sistema complesso di relazioni delle sue parti. Il ricorso al diagramma ha acquistato importanza sempre più rilevante negli ultimi decenni: si pensi ai diagrammi di trasformazione di Eisenmann, ai dipinti di Zaha Hadid, a Rem Koolhaas. L’affermazione del concetto di diagramma non è, pertanto, sincronica alla diffusione del computer in ambito progettuale, ma la precede. Il digitale è diventato soltanto negli ultimi anni strumento di amplificazione e momento di verifica per l’avanguardia ormai divenuta mainstream. La reciproca fecondazione tra teoria architettonica e possibilità offerte dal digitale ha consentito di estendere rapidamente l’utilizzo del computer che da semplice strumento produttivo (finalizzato alla velocizzazione

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di operazioni) si è evoluto in un sistema di controllo maturo che ha consentito di dare forma e materia a nuove sperimentazioni formali. La recente introduzione in ambito progettuale di complesse tecniche di programmazione (scripting) e dei software parametrici ha offerto ai designer possibilità inattese, al punto da rendere del tutto imprevedibile, o quantomeno sfumato, il portato e l’influenza di tali strumenti. Software I software parametrici - protagonisti di un’ampia e trasversale diffusione in virtù di un utilizzo intuitivo che non richiede conoscenze di programmazione - consentono di organizzare i progetti in sistemi associativi basati su logiche di relazione tra parti, offrendo la possibilità di alterare la configurazione complessiva di un sistema, agendo sui parametri posti alla base del processo progettuale, secondo una logica di propagazione delle modifiche. L’innovazione assoluta introdotta recentemente da tools come Paracloud, Generative Components (Bentley Systems) e, in particolare, Grasshopper, - plug-in di Rhinoceros (McNeel) - consiste nell’aver tradotto la sintassi della programmazione in un’interfaccia visuale, introducendo un’esperienza inedita di interazione con il software. Con Grasshopper, per la prima volta, il sistema dei legami parametrici che organizza le differenziazioni di un modello tridimensionale può essere configurato e manipolato esclusivamente attraverso un diagramma. La forma non è più ottenuta secondo la logica additiva tipica dei CAD o la manipolazione - seppur virtuale - dei modellatori 3D, ma è generata attraverso una sequenza ordinata di istruzioni: l’algoritmo. Grasshopper, pertanto, non propone l’ennesimo ambiente di modellazione interattivo, ma offre uno spazio speculativo/operativo non dissimile dal foglio di carta, dove eventuali limiti non appartengono più al software, ma alla capacità di indagine formale dell’utente. Inoltre, come diretta conseguenza della logica associativa è possibile creare legami concettuali ed effettivi tra i diversi livelli di approfondimento progettuale. In altri termini, la modifica di un parametro a scala più ampia è in grado di genera-

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re una propagazione di modifiche tale da giungere alla congruente ridefinizione di dettagli a piccola scala: è possibile ipotizzare un link diretto tra i parametri relativi alla forma generale di una superficie complessa e le caratteristiche geometriche di un nodo strutturale, il tutto guidato da logiche di relazione definite dal designer all’interno della sequenza algoritmica. Razionalizzazione della forma, scomposizioni, sviluppo di superfici complesse in elementi piani, cessano di essere operazioni “a posteriori” ma vengono integrate nel medesimo processo di definizione formale. Sperimentazione parametrica: architetture temporanee Negli ultimi decenni, la realizzazione di strutture temporanee ha rappresentato uno dei più importanti ambiti di sperimentazione teorica e costruttiva soprattutto per quanto riguarda l’implementazione delle tecniche parametriche. Le occasioni progettuali di eccezione, la complicità della committenza, la relativa flessibilità dei requisiti funzionali e (in alcuni casi) dei tempi di realizzazione hanno reso le architetture temporanee una rara occasione di incontro tra ricerca teorica e costruzione. Incontro che ha coinvolto designer, programmatori, docenti, studenti, strutturisti e imprese. È interessante sottolineare come alcune delle più interessanti realizzazioni provengano dagli stessi ambienti accademici che hanno avuto un ruolo centrale nella ricerca sul rapporto tra tecniche parametriche e modalità produttive: è il caso della AA School di Londra. Osservando la produzione dell’ultimo decennio, dal padiglione per la Serpentine Gallery di Toyo Ito (2002), passando per gli AA DRL Pavilions fino alle recenti macrostrutture è possibile coglierne il trait d’union: ovvero la volontà di creare oggetti unici superando la logica della standardizzazione a favore di una ottimizzazione e differenziazione dei componenti costruttivi senza precedenti. Il tutto supportato dalla logica parametrica e dal digital manufacturing e, dunque, dal passaggio diretto dal modello digitale alla macchina a controllo numerico, (in)seguendo un modello ideale di fabbricazione senza passaggi intermedi: dall’idea all’oggetto reale.

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3. J. Mayer H., Metropol Parasol, Siviglia, 2011. Il sistema di copertura di Plaza de la Encarnacíon, estende su scala urbana le metodologie di progetto e fabbricazione dei padiglioni realizzati nell’ultimo decennio 4. Alan Dempsey, Alvin Huang, [c]space Pavilion, Londra, 2008 Il padiglione ha rappresentato lo stato dell’arte della sperimentazione sugli strumenti digitali, sui sistemi di calcolo strutturale e su modalità di fabbricazione avanzata, basati su macchine a controllo numerico (CNC)

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SERPENTINE GALLERY... DA ZAHA HADID A ZUMTHOR Undici padiglioni che hanno fatto storia LA PIÙ FAMOSA GALLERIA DI LONDRA Serpentine Gallery è una delle gallerie più importanti di Londra sia per l'arte moderna sia per quella contemporanea. Si trova all’interno dei Kensington Gardens, nel centro di Londra, e ogni anno attira fino a 800mila visitatori. Annualmente la Serpentine commissiona ad architetti internazionali di fama mondiale la progettazione di un padiglione sul prato, all’interno del quale vengono ospitati proiezioni, film e conferenze.

Sono conosciuti in tutto il mondo i padiglioni della Serpentine Gallery di Londra: piccole realtà espositive progettate dai più famosi architetti internazionali. Tutto è nato circa undici anni fa per celebrare il 30° anniversario della galleria. Ha avuto inizio con un padiglione progettato da Zaha Hadid, una struttura molto criticata perché eccessivamente costosa, che fece però scattare la scintilla e avviò un processo che fino a oggi ha portato a 10 soluzioni architettoniche tutte diverse e tutte progettate da grandi nomi del mondo dell’architettura e dell’arte. L’architetto è scelto dalla Serpentine Gallery, non si bandisce alcun concorso. E a guidare l’intera impresa annuale sono Julia Peyton-Jones e il co-direttore Hans Ulrich Obrist. Ciò che conta nella scelta è che l’architetto non abbia, prima dell’invito, realizzato alcuna sua opera sul territorio d’Inghilterra. La tempistica è semplice: presentato, solitamente in febbraio, il cosìddetto “Planning”, la documentazione necessaria, agli architetti restano 6 mesi per avviare i cantieri e completare l’opera. Fino a quest’anno le diverse architetture hanno regalato sempre diverse suggestioni, e dal punto di vista strutturale hanno potuto godere del valido supporto di Cecil Balmond, il famoso ingegnere che da pochi mesi ha lasciato il gruppo Arup e non si sa se proseguirà a lavorare per i temporary space della Serpentine. Ma quale destino attende queste architetture dopo la manifestazione che inizia in luglio e termina a ottobre? Il primo, progettato da Zaha Hadid, è ora della Royal Shekespere Company. Posizionato accanto al teatro Stratford Upon Avon ha modificato il suo ruolo primario e funge da caffè estivo. Ovviamente essendo

KENSINGTON GARDENS 1. Serpentine Gallery 2. Il tempio della regina Carolina 3. Statua di Peter Pan 4. Fontane 5. Ponte Serpentine 6. Fiume Serpentine 7. Bowling e campi da tennis 8. Stagno 9. Hyde Park

tutte strutture architettonicamente molto ricercate hanno svegliato gli interessi di molti, e quasi tutti i padiglioni sono stati acquistati da collezionisti privati di tutto il mondo. Hanno cambiato funzione, si sono inseriti in climi diversi e paesaggi forse avulsi, ma la loro forza espressiva rimane comunque intatta. Sono comunque piccole architetture concluse che hanno una loro forza intrinseca e in qualsiasi parte del mondo può essere espressa. Suscitano interesse sia negli architetti, che durante la progettazione sperimentano nuove soluzioni, sia nei visitatori che provano molto spesso sensazioni diverse e spaesate. Il padiglione realizzato nel 2001 da Libeskind è stato invece rimontato nella città di Cork e più volte riusato in altre manifestazioni. Insomma, i Serpentine Pavilion testimoniano quanto possano essere diverse le interpretazioni di spazio temporaneo da parte degli architetti e anche come possa essere variamente espresso il rapporto tra architettura e la natura. Inseriti nel pieno del parco a pochi passi dal Serpentine Lake, i padiglioni ospitano programmi di eventi e incontri che coinvolgono i cittadini per tutta l’estate, ma ciò che sembra una costante di tutte queste opere è il rapporto diverso con il verde, ricerca maggiormente espressa nell’ultimo padiglione progettato da Peter Zumthor, che gioca tra luci e ombre, esaltando il silenzio e l’effetto sorpresa che una geometria severa può creare quando al suo centro ospita un luminoso giardino dalla vegetazione spontanea. Natura e architettura: è questa la forza espressiva che i londinesi hanno modo di vivere quando scelgono di andare, una volta all’anno, al Serpentine Pavilion.

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2011 PETER ZUMTHOR Quest’anno l’ideazione del padiglione è stata affidata all’architetto svizzero Peter Zumthor. Il tema scelto è quello dell’“hortus conclusus”. Un giardino nel giardino, creato per la meditazione e realizzato in collaborazione con il designer olandese Piet Oudolf e Arup per la parte strutturale. Nelle intenzioni dell’architetto il giardino può aiutare i visitatori «a fermarsi, rilassarsi, osservare e, forse, ricominciare a parlare», lasciandosi alle spalle i rumori

e gli odori di Londra. Con una raffinata selezione di materiali Zumthor crea spazi contemplativi che evocano la dimensione spirituale del nostro ambiente fisico. Come sempre nelle sue opere, lavora con una composizione precisa e semplice, la luce incide sulle strutture attraverso tagli misurati e controllati e, anche in questo caso, quello che gli interessa maggiormente è sottolineare gli aspetti sensoriali e spirituali dell'esperienza architettonica.

2010 JEAN NOUVEL L’anno scorso, in occasione del 40° anniversario della Serpentine Gallery, la costruzione del padiglione è stata affidata a Jean Nouvel. Il suo progetto viveva di contrasti tra i materiali leggeri e le strutture metalliche a sbalzo, come tra il colore rosso della struttura e il verde del parco. Il rosso richiamava il colore di tre icone della vita inglese: le cabine telefoniche, le cassette postali e gli autobus. L'edificio si componeva di audaci forme geometriche, grandi

tende retrattili e un muro autoportante inclinato, che si innalzava 12 metri al di sopra del prato. Strutture in vetro, policarbonato e tessuto creavano un sistema versatile di spazi interni ed esterni. Nouvel ha voluto costruire un “padiglione dei giochi”, un luogo dove ristorarsi ma anche giocare, come nella tradizione delle piazze e dei parchi pubblici francesi e proprio per sottolineare questa idea ha incorporato nella struttura un tavolo da ping pong. ARCHILINE 73


2009 SANAA Sejima e Nishizawa, gli architetti dello studio SANAA, hanno creato nel 2009 un padiglione che assomigliava a una nuvola riflettente adagiata in cima ad una serie di delicate colonne. La struttura in metallo riflettente del tetto variava in altezza, esplorando la disposizione degli alberi nel parco e arrivando, in qualche passaggio, vicina al terreno. Descrivendo la loro struttura gli architetti spiegavano: «È alluminio galleggiante, alla deriva tra gli

alberi. La tettoia riflettente s’increspa attraverso il sito, espandendo il parco e il cielo. Il suo aspetto cambia a seconda del tempo atmosferico, permettendole di fondersi con l’ambiente circostante. Funziona come un campo di attività senza pareti, permettendo vista ininterrotta attraverso il parco e incoraggiando l'accesso da tutti i lati. È un’estensione riparata del parco, dove la gente può leggere e godersi le piacevoli giornate estive».

2008 FRANK GEHRY Il Serpentine Gallery Pavilion del 2008 è stato il primo progetto realizzato da Frank Gehry in Inghilterra. La spettacolare struttura, progettata e realizzata in collaborazione con Arup, era fissata a terra grazie a quattro colonne in acciaio massiccio ed era composta da tavole di legno di grandi dimensioni e da una complessa rete di piani di vetro sovrapposti, creando uno spazio multi - dimensionale. Per l’ideazione di quest’opera Gehry si è ispirato ad un’affascinante varietà di fonti, dalle

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elaborate catapulte il legno di Leonardo da Vinci fino alle pareti a strisce delle cabine sulla spiaggia. Il risultato è un padiglione in parte anfiteatro e in parte passeggiata: tutti i diversi elementi insieme hanno creato un luogo che si trasformava, adatto alla riflessione e al relax di giorno, perfetto per i dibattiti e gli spettacoli di sera. All'interno del padiglione, tettoie in vetro appese alla struttura in legno proteggevano i visitatori da vento e pioggia, fornendo ombra durante le giornate di sole.


2007 OLAFUR ELIASSON E KJETIL THORSEN Nel 2007 il padiglione temporaneo è stato realizzato dall’architetto norvegese Kjetil Thorsen, dello studio Snøhetta e dall’artista danese Olafur Eliasson. Il radicato interesse di Eliasson per le questioni spaziali lo ha portato a impegnarsi sempre di più nei progetti di architettura e a collaborare in diverse occasioni con Thorsen. Il loro padiglione era una dinamica struttura rivestita in legno somigliante a una trottola: un’opera che si sviluppava in verticale distan-

ziandosi dai precedenti padiglioni costruiti su un solo livello. Una larga rampa a spirale, costruita sul principio della scala a chiocciola, faceva due giri completi, permettendo ai visitatori di raggiungere il tetto per godere di una spettacolare vista sul verde di Kensington Gardens. «La nostra collaborazione per il padiglione - hanno dichiarato i due autori - è definita da un reciproco focus sull’esperienza dello spazio e della temporalità ».

2006 REM KOOLHAAS Il padiglione del 2006 è stato disegnato dal Premio Pritzker Rem Koolhaas e da Cecil Balmond, progettista strutturale dello studio Arup. Il fulcro del progetto era uno spettacolare baldacchino gonfiabile di forma ovoidale che galleggiava sopra il prato della galleria. Realizzata in materiale traslucido, la tettoia era tenuta sollevata in aria o abbassata a coprire l’anfiteatro al di sotto a seconda delle condizioni meteorologiche. Un fregio realizzato da Thomas Demand ha segnato la prima

collaborazione tra un artista e un architetto del padiglione. L’anfiteatro ha ospitato un caffé e spazi per conferenze, programmi televisivi e incontri pubblici. Il programma delle manifestazioni estive è stato messo a punto dallo stesso Koolhaas che ha dichiarato: «Il Serpentine Pavilion è stato messo a punto partendo dalle attività che avrebbe ospitato. Abbiamo proposto una struttura che faciliti l’inserimento di individui singoli in uno spazio comune per vivere esperienze condivise». ARCHILINE 75


2005 ALVARO SIZA + EDUARDO SOUTO DE MOURA Nella progettazione del Padiglione, Siza e de Moura hanno cercato di garantire che il nuovo edificio, pur presentando un’architettura completamente diversa, stabilisse un "dialogo" con l’edificio neo-classico che ospita la galleria. Il Financial Times, in un articolo dedicato a questo padiglione temporaneo, ha definito Alvaro Siza come “uno degli architetti più raffinati del panorama internazionale”. Il padiglione era costruito su una semplice griglia rettangolare, che è stata distorta per

2003 OSCAR NIEMEYER Il Serpentine Gallery Pavilion di Oscar Niemeyer, la prima opera dell’architetto brasiliano in Gran Bretagna, era semplice e ingegnosa nello stesso tempo, fatta di linee decise che esaltavano alcuni aspetti espressionisti della volumetria. Costruito in acciaio, alluminio, cemento e vetro, la sua rampa d’accesso color rosso rubino era in contrasto con il bianco della costruzione e il verde del parco. «Ciò che è stato veramente difficile per questo Padiglione - affermava Niemeyer - è stato il fatto che l'edificio fosse così pic-

colo. Ho voluto caratterizzarlo attraverso la leggerezza, attraverso una forma diversa. Ho cercato di sospenderlo, per far sì che apparisse più leggero, quindi mi sono allontanato dalle forme regolari per creare una figura multiforme che enfatizzasse l'oggetto architettonico». Le superfici sottili che appaiono in prospetto come una traccia continua fanno apparire l'edificio talmente leggero da renderlo quasi evanescente, effetto intensificato dall'uso dei pilotis lecorbusiani che lo fanno alzare al di sopra del terreno.

creare un modulo dinamico e curvilineo. Era composto da travi di legno a incastro, un materiale scelto perché accentuava la relazione tra il padiglione e il parco circostante. Eduardo Souto de Moura, dopo gli studi alla School of Fine Arts di Porto, ha iniziato la sua carriera collaborando con lo studio di Álvaro Siza Vieira, con cui ha realizzato, come co-autore, numerosi progetti oltre al padiglione della Serpentine, per esempio il padiglione portoghese per l’Expo 2000 ad Hannover.


2002 TOYO ITO La Serpentine Gallery Pavilion di Toyo Ito sembrava essere una struttura estremamente complessa e costruita su traiettorie apparentemente casuali. In pratica il padiglione era il risultato di un esperimento matematico-artistico: Toyo Ito ha materialmente realizzato il disegno di un cubo che gira intorno al proprio baricentro. I numerosi triangoli e trapezi formati dalle linee che si intersecano erano rivestiti per risultare trasparenti e traslucidi, dando così il senso di movimento infinita-

mente ripetuto. Toyo Ito è fra i più innovativi architetti contemporanei. Egli cerca di dare vita a un’architettura integrata con il paesaggio nascondendo il volume degli edifici in rivestimenti luminosi o di vetro e trasforma lo spazio urbano in uno spazio “sonoro” tramite l’uso della nuova tecnologia. In questo modo l’architetto giapponese tende a creare un trait d’union tra lo spazio primitivo, che si rifà alla natura, e lo spazio virtuale, connesso al mondo reale tramite la rete elettronica.

2001 DANIEL LIBESKIND Daniel Libeskind, insieme ad Arup, studio di progettazione ingegneristica, crea Eighteen Turns, un insieme di lastre di metallo rivestite di pannelli in alluminio e assemblate in una sequenza dinamica simile a un origami giapponese, in grado di riflettere la luce, i prati e gli alberi circostanti, rivelando una prospettiva completamente nuova del verde del parco e dell’edificio in mattoni che ospita la Serpentine Gallery. L’architetto statunitense ha descritto

la sua opera come «una figura giocosa che si intreccia e si estende obliquamente attraverso lo spazio». Eighteen Turns era, in definitiva, un luogo speciale di scoperta, intimità e incontro. Il Guardian ha scritto che “Strutture temporanee come Eighteen Turns sono un valore aggiunto per i nostri parchi e per i paesaggi urbani. Ci possono offrire impressioni avventurose, alternative e anche radicali di quello che potrebbe essere una nuova architettura”.

2000 ZAHA HADID Il primo padiglione della Serpentine Gallery è stato affidato a Zaha Hadid. La sua opera ha radicalmente reinventato la comune idea di un tendone. Fin dall’inizio lo scopo era quello di giocare con l’idea tradizionale di una struttura in tessuto. Il padiglione si configurava come una tenda, realizzata da porzioni triangolari di tetto inclinato con la struttura portante in acciaio e coperti da semplice tessuto che donava una sensazione di plasticità a tutta la struttura, aveva un’estensione inter-

na di 600 mq e ospitava 400 posti a sedere. Il Guardian l’ha definita “semplicemente brillante”. L’architettura della Hadid è un’architettura costantemente in divinire come lo è la vita di ognuno. «L’architettura deve infondere piacere e aggiungere qualcosa alle nostre vite», spiega. «Il suo compito è di trasformare le città in centri di nuova vita, ricchi di culture diverse. Un posto dove noi riceviamo delle suggestioni, che ci portano a pensare e immaginare delle possibilità diverse». ARCHILINE 77


PAESAGGIO FLUORESCENTE

EXHALE / Phu Hoang Office, Rachely Rotem Studio


Foto Robin Hill



MIAMI BEACH (FLORIDA). Suggestioni marine luminose e filiformi per l’Art Basel Miami Beach and Creative Time Oceanfront del 2010. Progettato da Phu Hoang Office e da Rachely Rotem Studio, Exhale, è questo il nome dell’ibrido padiglione, è concettualmente molto più vicino ad una istallazione d’arte, ad una land-art, che ad un temporary space. Montato sulle coste di Miami Beach evoca le inconsistenti e fluttuanti geometrie pseudo zoomorfe, simili a fantastiche creature marine delle acque più profonde, a quelle cangianti creature presenti negli abissi marini. Exhale Pavilion è luminoso, immateriale, quasi incorporeo. La sua leggerezza nasce dalla ricerca tecnologica e compositiva che i due studi hanno avviato per poter creare una struttura sensibile e suscettibile ai cambiamenti e alle variazioni di direzione della brezza marina. È fatto di corde luminose e fluorescenti che morbidamente attraversano l’ampia area destinata all’esposizione e si raccordano tra loro con nastri dalle movenze suadenti. Filiformi suggestioni che a Miami, per l’evento che si inaugurò il 2 dicembre, mollemente ondeggiavano nel cielo scuro della notte. Phu Hoang e Rachely Rotem si sono fatti suggestionare dagli affascinanti effetti di bioluminescenza che si verificano naturalmente sulle coste di Miami Beach e che sono dovuti alle fioriture delle alghe presenti nell’Oceano Atlantico, fenomeno in aumento e spesso causato dall’eccesso di nutrienti quali il fosforo presente nelle acque marine. I fiori cambiano forma con il flusso e il riflusso delle maree e di notte la loro bioluminescenza accompagna l’infrangersi delle onde sulla battigia. Per ricreare queste impressioni i progettisti si sono serviti di due diversi tipi di funi, riflettenti e fluorescenti, che strutturate in fasci si intrecciano e si sovrappongono tra loro. Disegnano un perimetro impercettibile segnato a terra solo dalle basi degli 11 tra-

A sinistra: uno dei due grandi baldacchini che hanno particolarmente caratterizzato l’intero impianto. Le strutture portanti sono metalliche e sorrette da possenti basi di cemento armato. I fasci di luci sono di due tipi: luminosi e fluorescenti. In alto: veduta d’insieme. In basso: particolare di uno dei due baldacchini

licci che sorreggono i punti di appoggio dei fasci di luci. A completare l’impianto due elementi dalla struttura circolare: la “Rope Tower for Video Screening”, pensata per ospitare diverse tipologie di video rappresentazioni, e la “Rope Tower for Dj Performances”, il cui nome fa già palesemente comprendere che tipo di manifestazione vi si terrà nei pressi. Due elementi geometricamente diversi, due baldacchini sorretti da un trittico di tralicci dimensionalmente più piccoli. I tralicci presenti su tutta l’area hanno funzione non solo portante, all’apice vi è posto, infatti, un sensore che legge e decodifica le variazioni di direzione del vento e trasmette attraverso una centralina computerizzata gli impulsi alle corde di fibra ottica che rispondono adeguandosi con variazioni luminose all’avvenuto cambiamento del vento. I sensori installati, invece, ad altezza d’uomo sono sollecitati unicamente dall’aria appositamente soffiata dai visitatori e fruitori dello spazio: ogni soffio modifica, infatti, l’intensità della luce. Nel cuore di tutta l’area, lì dove i fasci di corde luminose si sovrappongono e scambiano tra loro la posizione, proprio nel pieno del loro intreccio, gli architetti hanno pensato di posizionare la Floating Rope Installation, un insieme di funi pendenti sensibili anche alle più piccole variazioni dei venti. Luci che variano con il variare del vento e con il soffio dei passanti. Il tema fondante l’intera struttura dell’Exhale Pavilion dunque è l’interazione. Uno scambio dinamico con ciò che vi gravita intorno sia esso paesaggio, condizioni climatiche o visitatori. È con essi che l’Exhale si relaziona. E ad essi lascia la possibilità di modificarne l’aspetto. È una non architettura effimera, sottile, luminosa,

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1. Sensore velocità del vento

2. Impianto luce ultravioletta

3. Sensore per soffi d’aria

4. Fune fluorescente

1. Il sensore della velocità del vento individua la direzione dei venti. I dati sui venti vengono comunicati al sistema digitale del controllo dell’illuminazione per creare dinamiche sequenze di luce. 3. Il sensore legge la variazione della velocità dell’aria direttamente soffiata all’interno. Rielaborato il dato l’impianto di luce ultravioletta “carica” le funi sospese fosforescenti facendone variare la luminosità


1. Informazioni 2. Amaca luminosa 3. Baldacchino per performance musicali/Dj 4. Istallazione di funi fluttuanti 5. Bar 6. Baldacchino per proiezioni video 7. Schermo per proiezioni video art 5

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CREDITI Progettisti Phu Hoang Office and Rachely Rotem Studio; Luogo Miami; Cliente Art Basel Miami Beach; Inaugurazione 22 dicembre 2010; Superficie 25000 mq; Quantità funi fosforescenti 11 km; Materiale basamento cemento armato prefabbricato; Materiale traliccio acciaio; Strutture Arup

variabile e cangiante. Un padiglione non padiglione, immateriale e suggestivo, progettato per ospitare l’Art Basel Miami Beach, evento gemellato con quello che si svolge in Svizzera, una delle mostre d'arte più prestigiose del mondo e che si avvale di un’accurata selezione internazionale di gallerie e di un interessante programma di esposizioni, feste ed eventi con musica, cinema, architettura e design. L’Exhale Pavilion per Art Basel Miami Beach del 2010 è stato un salotto per l’arte, un luogo non luogo, un padiglione che non contiene. Un luogo aulico dove l’arte ha potuto esprimersi ed essere piacevolmente goduta. Dove era possibile stendersi sulle amache montate tra i tralicci e permettere che il pensiero andasse altrove. Di questa struttura temporanea, dalla caduca durata di una settimana, è stato programmato, secondo gli attuali principi di sostenibilità, anche il riutilizzo, il suo “after life”: i sette chilometri di corda, infatti, sono stati donati ad una organizzazione no-profit, mentre delle 11 basi in calcestruzzo e acciaio dei possenti tralicci se ne servirà il Dipartimento della Environmental Resources Management della Florida e saranno utilizzati per formare una scogliera artificiale nelle acque dell'oceano al largo di Miami Beach. Non poteva non essere così: l’Exhale Pavilion, dopo aver simulato ed evocato creature dalla concezione marina, sarà in buona parte riusato per creare un ambiente subacqueo per le immersioni.

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TRASPARENZE D’ACCIAIO PADIGLIONE CROATO PER LA BIENNALE DI VENEZIA / Leo Modrcin


Foto Zelimir Grzancic


Foto Marko Dabrovic

Foto Zelimir Grzancic


PROIEZIONE PARALLELA SUD OVEST

VENEZIA. Per la 12.esima edizione della Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, la Biennale del 2010, la nuova Repubblica della Croazia non ha presentato una serie di progetti curati, stampati ed esposti appositamente per far conoscere la sua idea di architettura. Ha presentato una struttura galleggiante ideata da un gruppo di 14 architetti croati tutti affermati nel campo e internazionalmente conosciuti e capitanati da Leo Modrcin. Quella da tutti loro proposta è un’architettura atipica. È un volume anomalo: una struttura realizzata con 32 tonnellate di acciaio. Quarantadue strati di rete metallica Q385 saldati tra loro, in entrambe le direzioni, con aste verticali poste a una distanza di 50 cm l’una dall’altra. È un manufatto che nonostante tutto ha un aspetto inconsistente, quasi etereo o impalpabile, come dire: a fil di ferro. Ricorda un wireframe o wire frame model, la rappresentazione tridimensionale vettoriale tipica del web design; una realtà grafica geometricamente “primitiva” in cui l’oggetto

è definito attraverso punti, linee, curve e poligoni che lasciano trasparire il suo interno. Pensato come un grosso volume di metallo, dalle dimensioni di 19 x 9 x 5,5 m, galleggiante e dall’aspetto immateriale è stato costruito da una dozzina di saldatori nello storico cantiere navale di Kraljevica su una chiatta metallica di 20 x 10 x 3m. Risponde pienamente, con le sue atipiche caratteristiche, al tema scelto dal direttore della Biennale della scorsa edizione, l’architetto nipponico Kazuyo Sejima, che ha proposto come motto della mostra la frase: «People Meet Architecture», proprio per esprimere pienamente il desiderio di un’architettura fatta sopratutto di relazioni. E infatti il padiglione croato è pieno ma è anche vuoto. È materico ma anche incorporeo. È chiuso ma contemporaneamente aperto. È fatto di un interno che incontra l’esterno in un continuo e reciproco interscambio. È una scenografia più che un’architettura. È fatto di relazioni e di trasparenze e della sua stessa massa offre una duplice lettura:

A sinistra: sequenza di immagini della costruzione e del trasporto lungo le coste della Croazia con attracco in alcuni importanti porti prima di giungere a Venezia. In alto e in basso: due schemi assonometrici del vuoto all’interno delle maglie metalliche di cui è formato il padiglione

PROIEZIONE PARALLELA SUD EST

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SEZIONI LONGITUDINALI

da vicino ha un aspetto materico, metallico e ossidato, da lontano è invece inconsistente e sembra quasi un nugolo di punti che diradandosi nella parte centrale lascia intravedere il mondo che gli sta intorno. È un volume di reti d’acciaio, un padiglione galleggiante che per partecipare alla Biennale ha attraversato l’Adriatico e ha ormeggiato al molo principale della Biennale ed è lì che il 21 agosto 2010 è stato presentato, anche se per poco tempo, al pubblico di Venezia. L’interno, se di interno si può parlare, è stato progettato per sottrazione. I 42 strati di rete, saldati ad una distanza di 12.5 cm l’uno dall’altro, sono stati variamente combinati tra loro secondo una logica ben precisa ma irregolare. Tutta la struttura reticolare è stata fissata alla chiatta attraverso la saldatura di alcuni tondini aventi funzione di elevazione primaria ai quali in un secondo momento sono stati saldati gli altri strati metallici. I 42 piani metallici, variamente tagliati, hanno dato corpo al vuoto interno man mano che la loro stratificazione si avviava alla conclusione. Le prime sovrapposizioni ovviamente hanno dato corpo al piano di calpestio, mentre le altre, nelle loro diverse forme, per sovrapposizione hanno creato il vuoto all’interno del regolare parallelepipedo metallico. Il manufatto così completato, ma comunque traballante, instabile e “pericoloso” come lo stesso commissario del gruppo ha affermato, ha solcato l’Adriatico trainato da un rimor-

chiatore e partendo da Kraljevica prima di giungere a Venezia è passato per Rijeka, Opatija, Pula e Rovinj. È giunto alla Biennale, per la sua stessa innata natura fragile, un po’ malconcio. Ma ha comunque sostenuto il suo viaggio e ha testimoniato la presenza della Croazia alla Mostra Internazionale, e con la sua stessa fragilità si è relazionato con il mondo dell’architettura presente ai Giardini veneziani. Mondo che la Croazia ha scelto di affrontare in modo compatto e unito, con un unico gruppo che ha unanimemente lavorato su un solo progetto curato dall’ideazione fino alla realizzazione. Una risposta compatta ed esaustiva, nel senso che la soluzione su chiatta ha dimostrato anche alla Biennale che lo spazio per nuovi padiglioni e quindi anche per nuove repubbliche è sempre possibile crearlo. Una risposta artistica e pratica, una land-art pensata anche per sopperire all’esiguo spazio che la manifestazione internazionale ha saputo offrire a nuove realtà come la Croazia a cui, dopo la separazione dalla Jugoslavia, non è stato riconosciuto un padiglione a sé stante e indipendente. Uno spazio che ha ospitato al suo interno un’esposizione sulla progettazione e realizzazione di se stesso, creata con immagini e disegni stampati su scatole di cartone vuote. Immagini che testimoniano la costruzione di un un luogo nomade, uno spazio d’arte e architettura dall’indole vagabonda che ha solcato le acque dell’adriatico.

A sinistra: schema sinottico dei 40 strati di maglia metallica che sono stati saldati tra loro ad una distanza di circa 15 cm, calcolando anche lo spessore della rete. In questo schema il vuoto progettato è rappresentato con il colore bianco. In alto: le sezioni longitudinali sviluppate secondo l’asse centrale del padiglione

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Foto Marko Dabrovic

CREDITI Architetti Saša Begovic, Marko Dabrovic, Igor Franic, Tanja Grozdanic, Petar Miškovic, Silvije Novak, Veljko Oluic, Helena Paver Njiric, Lea Pelivan, Toma Plejic, Goran Rako, Saša Randic, Idis Turato, Pero Vukovic, Tonci Zarnic Capo gruppo Leo Modrcin Sponsor Cantiere Kraljevica, Croazia Costruzione Cantiere Rijeka Costruzione chiatta Jadranski Pomorski Luogo esposizione Biennale Architettura Venezia 2010


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da vedere

Conoscere architettura e design

MEET DESIGN Il gruppo RCS lancia MEET DESIGN, una innovativa piattaforma multicanale che ha come obiettivo primario la divulgazione del design italiano attraverso iniziative di ampio respiro rivolte al consumatore finale. Nasce così un contenitore di idee e di attività in grado di veicolare tutti i valori concettuali, progettuali, creativi e produttivi del settore per mostrare, ad un pubblico allargato, i protagonisti della cultura italiana dell’abitare. MEET DESIGN si propone quindi di dialogare con le persone sul tema del design attraverso molte attività che riescano ad intercettarne l’interesse avvalendosi di tutte le leve di comunicazione del Gruppo. L’obiettivo è diventare un punto di riferimento e di collegamento tra aziende, creativi e consumatori, per promuovere e valorizzare la cultura delle idee, del progetto, della creatività e della contemporaneità. MEET DESIGN è organizzato in collaborazione con gli Assessorati alle Politiche Culturali del Comune di Roma Capitale e della Città di Torino, in partnership con Franke e Mercedes-Benz. MEET DESIGN è un progetto che si articola in tre aree: MEET SHOW, MEET TALENTS e MEET PEOPLE. MEET SHOW è una mostra itinerante dal titolo “Design, una storia italiana”, curata da Marco Romanelli. Grandi maestri e giovani designer, analisi critica e ricerca. Una inedita selezione di pezzi

propone uno spaccato trasversale sulle tipologie del design dal 1948 ad oggi e racconta lo straordinario lavoro dei progettisti e degli imprenditori italiani. Nell’anno in cui il nostro paese festeggia i 150 anni di Unità d’Italia, il filo conduttore dell’esposizione sarà proprio l’italianità, di cui il design rappresenta una case history di successo. L’evento ha cadenza annuale. Per la prima edizione, RCS ha scelto Roma e Torino, due città di grande rilievo nel panorama culturale italiano nonché le due storiche capitali. MEET DESIGN approderà a Torino, nella splendida cornice di Palazzo Bertalazone di San Fermo, a novembre. Nella città piemontese l’evento promosso da RCS inaugurerà insieme ad Artissima, la grande manifestazione internazionale dedicata all’arte contemporanea. Promossa dalla Fondazione Torino Musei, Artissima accoglie le più importanti gallerie e gli artisti più quotati della scena mondiale e rappresenta un punto di incontro per collezionisti, artisti e gallerie d’arte.

Torino, 5/11/2011 - 30/01/2012

RESTRUCTURA: LA FIERA DI EDILIZIA E ARCHITETTURA Tra novità e conferme, è in via di definizione la nuova edizione di Restructura, in calendario al Lingotto Fiere di Torino a novembre. In programma un convegno su alcuni dei più importanti progetti architettonici che interesseranno la città di Torino nei prossimi anni: ne parleranno, tra gli altri, Benedetto Camerana e Mario Cucinella. Tornano i RestrucTour, che portano i visitatori sul luogo di cantieri avanzati di particolare rilievo in termini di sostenibilità. Per il pubblico del Salone, gli speed date con gli architetti: appuntamenti della durata di 30 minuti in cui vengono fornite le prime indicazioni progettuali sugli

impianti, i materiali, le soluzioni tecniche più adatte alle esigenze di chi, non essendo un operatore del settore, ha la necessità di metter mano alla propria casa e capire quali siano gli interventi necessari. L’edizione 2010 ha richiamato oltre 28.000 visitatori e sono state circa 500 le aziende presenti provenienti da 16 regioni e 5 Paesi europei (Svizzera, Germania, Francia, Inghilterra, Slovenia).

Torino, 24 – 27 novembre 2011

LE FABBRICHE DEI SOGNI In occasione del cinquantesimo anniversario del Salone del Mobile, Triennale Design Museum dedica la sua quarta edizione agli uomini, alle aziende e ai progetti che hanno contribuito a creare il sistema del design italiano dal dopoguerra a oggi e a decretare il successo del Salone del Mobile nel mondo. Attraverso una carrellata di oggetti iconici, la mostra “Le fabbriche dei sogni. Uomini, idee, imprese e paradossi delle

fabbriche del design italiano”, sviluppa un racconto che vuole, da una parte, illustrare la peculiare attività e la natura profonda di quelle che Alberto Alessi definisce “Fabbriche del Design Italiano”, che si muovono lungo una linea che oscilla tra valore funzionale, valore segnico e valore poetico delle cose prodotte, dall’altra raccontare la grande capacità e abilità di questi “laboratori di ricerca” tali da attrarre anche i designer stranieri, che scelgono di lavorare in Italia riconoscendone l’eccellenza nella produzione. Il percorso della mostra oscilla fra due poli: da un lato un pensiero teorico preciso e approfondito che deriva dalle riflessioni portate avanti dal curatore su questi temi negli ultimi anni, dall’altro una modalità di trattazione poetica, artistica e favolistica che attinge all’immaginario di Lewis Carroll e Antoine de Saint-Exupéry. Il progetto di allestimento di Martí Guixé è concepito come una delle avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie: gli oggetti entrano in dialogo con i progettisti e le storie dei grandi uomini di impresa si intrecciano con le loro biografie personali in un’atmosfera giocosa e ricca di emozioni e suggestioni. Un’occasione straordinaria per scoprire attraverso nuovi punti di vista alcuni fra i più celebri oggetti del design italiano.

Milano, fino al 26/02/2012

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da vedere LA BIENNALE D’ARTE CONTEMPORANEA DI FIRENZE L’VIII edizione della Biennale Internazionale d’Arte Contemporanea di Firenze, che si terrà alla Fortezza da Basso, vedrà la presenza dell’artista Jeff Koons, al quale sarà consegnato l’ 8 dicembre il prestigioso riconoscimento della Biennale, il premio Lorenzo il Magnifico alla Carriera. Koons presenterà nello spazio teatro un excursus della

sua carriera artistica, dialogando con il pubblico presente e con gli oltre 600 artisti provenienti da 80 paesi del mondo che espongono alla Biennale. Il 6 dicembre sarà il momento della famosa stilista e designer Agatha Ruiz de la Prada, anche lei presente a Firenze per ricevere lo stesso prestigioso riconoscimento alla Carriera. La stilista, che avrà un suo spazio all’interno della mostra, entrerà in contatto con il pubblico presente e visiterà la Biennale. Questa edizione di Florence Biennale si apre alle sperimentazioni e alla rielaborazione di oggetti di design, con progetti svolti sul territorio, in collaborazione con Enti ed Istituzioni che operano nel campo dell’arte contemporanea. Infatti la scelta di

celebrare un’artista come Jeff Koons, che durante la sua vita artistica ha rinnovato l’eredità del readymade di Duchamp e delle appropriazioni della pop art trasformando oggetti comuni e icone della nostra società in opere d’arte contemporanea celebrate nel mondo, va in questa direzione. In una città come Firenze, cuore artistico pulsante, l’arte contemporanea invade e si confronta con la storia, ma vuole anche riscoprire il senso di fermarsi ad osservare, pensare e creare. Così durante i giorni della mostra prenderà pienamente vita il progetto SIT-IN Florence (www.sitinflorence.it), ideato in collaborazione con l’Assessore alla moda e al Turismo Elisabetta Cianfanelli, che prevede la rielaborazione di 500 sedie, gentilmente donate da IKEA, per la realizzazione di altrettante opere di redesign contemporaneo realizzate dagli studenti della Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze, dei licei

artistici e delle Accademie d’Arte di Firenze e Carrara. I 500 ragazzi partecipanti invaderanno gli spazi urbani, coinvolgendo i cittadini con performance artistiche per le vie della città. Questo rientra nella volontà della Biennale di rendere Firenze centro culturale contemporaneo di livello internazionale, promuovendo l’arte e la cultura contemporanea e sviluppando sul territorio laboratori permanenti di creatività. Queste sono solo alcune delle iniziative e degli eventi collaterali che animeranno Firenze e gli spazi espositivi nei giorni della Biennale.

Firenze, 3 – 11 dicembre 2011

ACQUEDOTTI ROMANI Cinecittàdue Arte Contemporanea presenta la mostra "Acquedotti romani" dedicata a questo particolare manufatto architettonico che segna l’orizzonte con il suo inconfondibile profilo e costi-


tuisce una presenza che, più di ogni altro elemento urbano e architettonico, identifica non solo la Campagna Romana, ma anche gli insediamenti moderni e contemporanei della periferia a sud est della Capitale, come Cinecittà e il quartiere Tuscolano. Questi spettacolari ruderi, che si perdono nella lontananza come un'eco, alternando il pieno al vuoto, costituiscono tracce territoriali continue che pervengono alla scala geografica conferendo

ad essa una dimensione eroica. "Pensare una mostra sugli acquedotti romani - scrive l’ideatore e curatore della mostra Franco Purini - significa leggere, attraverso la loro capacità di costruire il paesaggio oltre la loro essenza tettonica e architettonica, la città di oggi nelle sue contraddizioni, nei suoi aspetti stabili e mutevoli, nella sua singolarità. Assieme a una pluralità di ambiti relativi alla città gli acquedotti romani suggeriscono una ulteriore sfera di

contenuti che comprende i temi del frammento, della vastità, del tempo, dell’acqua, una risorsa che sta divenendo sempre più rara e preziosa, oggetto in questi ultimi anni di complesse strategie globali". Le opere degli artisti coinvolti dovrebbero consentire di vedere nel passato, nel presente ma soprattutto nel futuro di questi straordinari manufatti, nelle diverse ottiche dell’architettura, della pittura e della scultura, della video arte, della musica, della letteratura e della fotografia. In mostra sarà proiettato un video in cui i cinque poeti leggeranno i loro versi. La mostra è allestita nello spazio espositivo Cinecittàdue Arte Contemporanea situato nell’omonimo shopping mall, unico centro commerciale in Europa a contenere uno Spazio Espositivo permanente, e che sorge vicino ad alcuni tra i più celebri acquedotti.

Roma, fino al 6/11/2011

LA VI EDIZIONE DEL FESTIVAL DELL’ARCHITETTURA Il Festival dell’Architettura arriva alla sua sesta edizione confermando una visibilità nazionale ed internazionale che sancisce la validità di una formula in grado di promuovere contenuti divulgativi riguardanti i temi dell’architettura e della città attraverso l’esperienza della rete universitaria e la produzione di ricerca che vi si svolge. Il titolo di questa edizione è “L’architettura della città europea: progetto, struttura, immagine”, un tema attraverso cui sviluppare ulteriormente le problematiche del rapporto tra architettura e città, coinvolgente al tempo stesso aspetti di qualità delle strutture spaziali, funzionali, paesaggistiche e ovviamente sociali dei fenomeni insediativi. La questione che si vorrebbe porre all’interno di questo indirizzo tematico riguarda però anche il problema della caratterizzazione europea dell’architettura e della cit-

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da vedere

tà nella più generale e per certi aspetti assai dinamica scena internazionale. L’internazionalizzazione di strumenti e metodologie del progetto architettonico comporta da una parte la circolazione di modelli quale stimolo all’evoluzione della qualità insediativa, dall’altra il rischio di produrre omologazione soprattutto là dove non vi siano condizioni culturali in grado di elaborare un’interpretazione critica originale de-

gli stessi modelli circolanti. In questo quadro di evidente complessità non è difficile riscontrare l’emergere di certo provincialismo oppure di pratiche di straordinaria validità, derivate da una capacità di rielaborazione consapevole da parte del progetto nel coniugare identità, caratteri ed esigenze contestuali in rapporto ad altre esperienze da cui trarre incentivo al’innovazione. Il Festival organizza quindi una settimana di presentazioni, conferenze, seminari ed incontri rapportabili a tre temi: il progetto di architettura nelle scuole europee (Parma, Palazzo del Governatore, 19 ottobre); 7 città europee per l’architettura (Reggio Emilia, Ex Sinagoga, 20 ottobre); progettare il costruito: strategie architettoniche per la città compatta (Modena, Teatro Fondazione San Carlo, 21 – 22 ottobre).

Parma, Modena, Reggio Emilia, 19 – 22 ottobre 2011

UNA MOSTRA DEDICATA A JOSEF ALBERS La retrospettiva dedicata a Josef Albers (1888-1976), curata dal Direttore della Galleria Civica di Modena Marco Pierini si terrà nei due spazi espositivi della Galleria Civica: Palazzo Santa Margherita e Palazzina dei Giardini. La mostra, la più ampia mai organizzata in Italia, intende ricostruire il percorso dell’artista in tutte le sue fasi salienti, dagli anni del Bauhaus di Weimar, di Dessau e di Berlino a quelli del Black Mountain College, della Yale University, a quelli, infine, nei quali – lasciato l'insegnamento – si dedicò esclusivamente alla pittura. Del periodo del Bauhaus, la straordinaria scuola fondata da Walter Gropius di cui Albers è stato prima allievo e poi ininterrottamente docente fino alla chiusura, sono esposte 12 opere in vetro realizzate dal 1921 al 1932, 29 fotografie e photocollage, una piccola selezione di xilogra-

fie e di gouache e alcuni mobili. Se i vetri denunciano già con pienezza il rigore della composizione e lo straordinario sentimento del colore che caratterizza la successiva e più celebrata pittura a olio di Albers, le fotografie – assai spesso assemblate dall’artista in forma di photocollage – rappresentano la testimonianza di un occhio attento e appassionato, capace di sottrarre i volti degli amici e dei colleghi (Klee, Kandinsky, Gropius) alla dimensione quotidiana e allo stesso tempo di rivelare straordinarie geometrie, forme e cadenze nascoste nella natura e nelle

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cose. Di particolare interesse i mobili disegnati in questo periodo, che uniscono una spiccata funzionalità alla purezza di linee e a una forte inclinazione per i diversi materiali e la loro combinazione (vetro, legni, stoffe).

Modena, dal 9 ottobre 2011 all’8 gennaio 2012

BIENNALE INTERNAZIONALE “BARBARA CAPPOCHIN” Torna a Padova la Biennale internazionale di Architettura “Barbara Cappochin”, giunta quest’anno alla quinta edizione. Un appuntamento importante per richiamare l’attenzione sulla qualità dell’architettura contemporanea, intesa come fenomeno sociale e culturale che oggi più che mai, per rispondere davvero alle esigenze dei cittadini, deve saper coniugare la qualità estetica con la funzionalità tecnica e la sostenibilità, in un rapporto rispettoso dell’am-

biente e del territorio e attento alla qualità della vita dei suoi abitanti. Promossa dalla Fondazione “Barbara Cappochin” e dall’Ordine degli Architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della provincia di Padova insieme al Comune di Padova, la Biennale vede anche la collaborazione della Regione del Veneto, dell’Unione internazionale degli Architetti e del Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori. Cuore dell’iniziativa, come sempre, il Premio internazionale “Barbara Cappochin”, nato per valorizzare le opere di architetti e costruttori che privilegiano la qualità nelle scelte progettuali e costruttive, e la tradizionale mostra a Palazzo della Ragione, che quest’anno sarà incentrata sul tema della rigenerazione urbana sostenibile. Sarà il racconto delle esperienze più innovative di riqualificazione e rinnovo urbano in chiave sostenibile di diverse città del mondo. Tre i

nodi tematici attorno ai quali si svilupperà la mostra, coerentemente con il documento del Comitato economico e sociale europeo (maggio 2010) “Necessità di applicare un approccio integrato alla riabilitazione urbana”: le sfide della contemporaneità e dei nuovi stili dell’abitare, del lavorare, del vivere e della multietnicità; la sostenibilità mediante l’uso di tecnologie compatibili con l’am-

biente; infine, l’integrazione e la continuità con il tessuto urbano esistente, la storia dei luoghi e l’identità locale. L’esposizione sarà accompagnata da conferenze e tavole rotonde, che approfondiranno in un’ottica interdisciplinare i criteri di applicabilità di un approccio integrato alla riabilitazione urbana.

Padova, 26/10/’11 –12/02/2012

FRATELLI VELLANI CONTROTELAI La pubblicazione di questi schemi completa le spiegazioni e i relativi disegni dei lavori eseguiti dalla Ditta F.lli Vellani, già apparsi nei numeri precedenti di Archiline.

Muratura 1

Muratura 2

Muratura 3

Tra le diverse realizzazioni dell’Azienda, il miglior risultato è stato ottenuto dalla “Muratura 3” (vedi figura), costruita con 2 muri divisi da un isolante termico ed acustico e da un falsotelaio tutto in legno. Muratura

Trasmittanza termica lineare Controtelaio “LLSZ 70” W/(m k)

1. isolata con cappotto esterno (spalla non isolata) 2. isolata con cappotto esterno (spalla isolata) 3. isolata internamente (superficie esterna intonacata) 4. isolata internamente (superficie esterna a faccia a vista) 5. isolata con cappotto interno Muratura 4

Muratura 5

Legenda

Controtelaio “LLCZ 120” W/(m k)

0,20

0,24

0,080

0,18

0,085

0,14

0,16

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Fondata nel 1989 da Mirko De Lucia, Euroform è un’azienda che nasce da una lunga tradizione di famiglia: l’esperienza artigiana nel settore dell’arredo. Specializzata nella produzione di divani e sedute per l’arredamento residenziale e il contract, è attualmente una delle realtà più rilevanti nel panorama del made in Italy, una delle poche eccellenze a produrre secondo le tradizionali e rigorose regole dell’artigianalità italiana. Dalla sinergia tra la creatività del centro stile e il rigore del reparto produzione, prendono vita prodotti dal design raffinato ed elegante, che rispondono a standard qualitativi elevatissimi e che hanno decretato il successo di Euroform anche sui più importanti mercati esteri. È questo il risultato ottenuto dall’impiego delle più avanzate tecniche industriali sapientemente unite alla meticolosa cura artigiana e alla passione di 30 qualificati esperti. Solo un’azienda italiana al 100% poteva scegliere di percorrere la sua storia nel solco della tradizione e di produrre nel rispetto della più rigorosa etica del lavoro.

Da anni la nostra azienda produce, con passione e mestiere, arredamenti su misura di ogni tipo: classico, moderno, in stile. Realizziamo pavimenti in legno, porte per interni ed esterni, controsoffitti a cassettoni e boiserie sia in tonalità legno che decorate, mobili bagno, cucine e tanto altro. La nostra produzione è piuttosto diversificata ma sempre caratterizzata dalla qualità dei materiali. Prevalentemente utilizziamo legno massello: rovere, castagno, abete etc.; siamo specializzati anche nella costruzione di coperture di tetti in abete o castagno e di case in legno di qualsiasi metratura, finemente rifinite, coibentate con materiali ecologici. La qualità dei materiali utilizzati e la lunga esperienza maturata nel settore insieme a efficienza e puntualità, garantiscono la piena soddisfazione del cliente. Lo staff di ERREMME arreda qualsiasi tipologia di casa e/o negozio, fornendo un servizio di progettazione qualificato e seguendo in prima persona lo svolgimento dei lavori.

Azienda artigiana con officina per lavorazione dell’alluminio, Anticorodal è nata nel 1973 e ha sempre investito sulla qualità e nella professionalità del team operativo. I prodotti Anticorodal offrono una flessibilità di soluzioni in perfetta sintonia con le esigenze del mercato italiano, legati ad un moderno concetto di qualità dell’abitare che vuole la casa sicura, perfettamente isolata, senza rumori e sprechi di energia. L’azienda produce in officina, su commissione, finestre, porte, portoni, persiane, scuroni, persiane blindate, vetrate estensibili, vetrate scorrevoli, vetrine. Inoltre commercializza e posa manufatti in legno e PVC, portoni blindati, basculanti, sezionali, cancelletti di sicurezza, sempre privilegiando prodotti di qualità e design, garantendo serietà e professionalità: è in grado di soddisfare qualsiasi esigenza legata alla vendita, installazione e manutenzione, con una copertura nel settore a 360°. Negli anni si è guadagnata un ruolo di primo piano nel settore diventando un punto di riferimento nel territorio.



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Fondata dai fratelli Bondi nel 1961, la Vetreria Bondi è una delle più antiche vetrerie della Romagna. Al servizio delle aziende e del privato, la qualità dei prodotti, l’esperienza, la serietà e la disponibilità verso il cliente sono i suoi punti di forza. Realizza porte scorrevoli e a battente in vetro laminato, anche con stampa digitale, carta, stoffa, cercando di andare incontro a qualsiasi richiesta ed esigenza del cliente. Si occupa anche di parapetti in vetro per interni ed esterni, pareti divisorie in vetro, integrate con porte a battente o scorrevoli, blindati calpestabili, scale e pavimenti, box doccia in cristallo temperato su misura. Produce, inoltre, vetri per arredo: tavoli, tavolini, librerie, mensole e specchi di qualsiasi tipo, molati, decorati, verniciati ed incisi. Foto in basso: progetto dello Studio Raoul Benghi; realizzazioni in vetro: Vetreria Bondi - Forlì; realizzazioni in acciaio: A.Z. Inox - Forlì; Studio di Architettura Raoul Benghi, via Missirini, n.6, 47121 Forlì. (Progetto protetto ai sensi della legge 22 aprile 1941 N 633).

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Zambelli s.r.l. opera da oltre 40 anni nel settore della lavorazione della pietra, realizzando opere di recupero e restauro di strade, piazze, mura e palazzi medioevali nei centri storici delle città più belle del nostro Paese: Siena, Firenze, Pisa, Arezzo, Assisi, Milano, Bologna, Padova, Treviso, Alessandria, Genova, Rimini e tantissime altre. Lastricati, selciati, cubetti e acciottolati sono lavorazioni che realizziamo con le nostre maestranze, con la preoccupazione di recuperare lo stile e la cura di un tempo, i metodi e la tradizione di ieri per un servizio alla città di oggi. L’azienda è disponibile a soddisfare qualsiasi esigenza nel campo delle pavimentazioni e dei restauri, dispone di maestranze specializzate capaci di far fronte ad ogni specifica situazione, mettendo in opera pietre, marmi, gneis, porfidi, graniti, secondo i più svariati schemi compositivi ed eseguendo tutte quelle rifiniture artigianali che il lavoro richiede. L’esperienza della Zambelli è a disposizione per la progettazione e la realizzazione di case private.

Un progetto di arredo è come un bel vestito cucito su misura il cui compito è quello di esaltare le forme, unire stile e design a comfort e praticità, attrarre chi lo osserva e riflettere l'animo di chi lo abita. Con questo spirito l'azienda Midà definisce gli spazi di hotel, ristoranti, bar, showroom e residenze private, offrendo soluzioni innovative e uniche, modellate per ciascun ambiente grazie a una produzione che mescola moderne tecniche industriali con la flessibilità e l'accuratezza di una lavorazione artigianale totalmente made in Italy. Le creazioni Midà sono di alto valore estetico e funzionale, ricercate nello stile e nella cura dei particolari, con un occhio attento ai costi e all'impiego di materiali ecologici. L'azienda opera in sinergia con architetti e interior designer per i quali segue la realizzazione dei progetti in tutte le fasi di produzione e allestimento ma firma anche propri lay out, ideati dal team di qualificati progettisti del Centro Stile Midà e poi accompagnati dal bozzetto all'ambiente (ri)finito, pronto per essere indossato.

L’azienda è in grado di fornire ai propri clienti un servizio integrato di qualità in materia di prevenzione antincendio e sicurezza nei luoghi di lavoro. La sicurezza è un bene a cui non si può rinunciare e Mercury è una sintesi di esperienze molteplici e consolidate necessarie per rendere un ambiente sicuro e garantire al cliente un interlocutore unico. Sono numerosi i dispositivi di protezione che possono risultare utili nello svolgimento dell’attività lavorativa e Mercury dispone di tutto il necessario. Oltre alla consolidata attività commerciale e di manutenzione dei presidi antincendio, dispositivi di protezione individuale e segnaletica, Mercury può affiancare le aziende anche nella gestione della sicurezza per l’ottenimento del Certificato di Prevenzione Incendi (CPI), la realizzazione delle necessarie protezioni antincendio e la gestione degli adempimenti sulla sicurezza e l'igiene del lavoro. Il qualificato personale tecnico agisce con grande professionalità rispettando tutti i parametri dettati dalle normative vigenti.



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Sempre di più, negli ultimi anni, si è affermato l’interesse per la cottura a vista. Il cliente, affascinato dal rituale della preparazione con la quale vengono elaborati e guarniti i piatti proposti, partecipa alla scelta degli ingredienti stessi, sino ad arrivare ad assaporarne il gusto e a godere del risultato finale. La vista, ancora una volta, stimola la scelta, veicola la preferenza ed anticipa il piacere. Del resto, come è noto, anche l’occhio vuole la sua parte. Rinnovarsi culturalmente senza rinunciare alla tradizione: il progetto Pasta Show nasce con l’obiettivo di esaltare la cultura della pasta, prodotto simbolo della dieta mediterranea, esibendone ogni fase di preparazione. Non si tratta di una semplice apparecchiatura da “nascondere” in cucina, ma di un sistema comprensivo di tutti gli elementi necessari alla conservazione (a temperatura positiva e negativa), preparazione, cottura sino ad arrivare alla spettacolare “spadellata finale “dove vista, olfatto e udito preparano il cliente a gustare la ricetta prescelta. È una linea di cucine progettata da Emmepi srl, che dal 1947 produce soluzioni a supporto della moderna ristorazione e del vivere “fuori casa”. Pasta Show è una perfetta sintesi tecnologica definita “Work Station”, dove lo chef ha a disposizione tutto l’occorrente per la preparazione di un ottimo piatto, rispettando tutte le fasi di lavoro, ma accelerandone i tempi di realizzo: moduli di varie dimensioni per sod-

disfare i molti amanti della pasta arrivando a produrre dai 50 ai 200 piatti ogni ora. Ottenendo così rapidità di servizio per cibi salubri, appetitosi, attraenti, dai giusti valori nutrizionali, all’altezza delle aspettative. Pasta Show dispone di zone di cottura che rispondono completamente all’esigenza di funzionalità, igiene, sicurezza, affidabilità. La gamma, rigorosamente in acciaio Inox AISI 304, prevede piastre a induzione o vetroceramica e vasche cuocipasta, queste ultime con controllo automatico del livello dell’acqua e sollevamento temporizzato dei cestelli, nonché soluzioni idonee al mantenimento dei condimenti in vaschette (a caldo o a freddo). La parte sottostante al piano di cottura è costituita da cassettoni refrigerati (positivi e/o negativi) atti alla conservazione degli ingredienti base per la preparazione dei piatti. È il sistema di cottura ideale alle esigenze di un piacevole pasto in sale ristorante di alberghi, centri commerciali, fast food, supermercati, mense e ovunque si voglia proporre una soluzione versatile per gustare un buon piatto di pasta, nel rispetto della tradizione italiana.



products

INNOVAZIONE ARTISTICA DEL CEMENTO E RESINA Dar vita alla propria casa è una ricerca di armonia, bellezza, innovazione ed equilibrio delle parti. Oggi il mercato immobiliare è caratterizzato in larga parte da una clientela esigente e consapevole, che vuole un’abitazione confortevole, personalizzata e senza dubbio i pavimenti e le pareti sono tra gli elementi maggiormente caratterizzanti. Lyon’s Technologies è una società dinamica che opera nel settore edile con lavorazioni speciali. Si occupa della realizzazione di

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pavimenti e rivestimenti in cemento e resina con aspetto decorativo per interni e per esterni. L’esperienza maturata, la capacità innovativa e l’attenzione alle esigenze di mercato consentono all’azienda di fornire realizzazioni con soluzioni e prodotti di alta qualità e di soddisfare al meglio i desideri della clientela. «Ci occupiamo di tutto, affianchiamo il cliente passo dopo passo», spiega Franco Marvelli, fondatore della Lyon’s Technologies. «Dall’assistenza nella


sta scelta del tipo di finitura e dei colori, crea effetti cromatici che riscontrano un ampio gradimento in ambientazioni particolari, anche con architetture a arredamenti molto originali. Con lo stesso sistema si realizzano rivestimenti spatolati di cementi decorativi di spessore variabile, applicati su qualunque tipo di supporto». Il prodotto di Lyon’s Technologies maggiormente rivolto al settore industriale è il pavimento in resina, i cui requisiti fondamentali sono la robustezza e la facilità di pulizia. Il scelta fino alla consegna del lavoro “chiavi in mano”». Il prodotto offerto è realizzato con materiali fabbricati in regime di Qualità Totale ISO 9000, coperti da garanzia del produttore rispondenti alle norme di sicurezza e ambiente vigenti. «Ciò vuol dire - continua Marvelli - che non rilasciano nessun tipo di sostanza nociva o meno, neppure in fase di applicazione». Anche se qualità e funzionalità restano caratteristiche primarie, l’attenzione al lato estetico del lavoro non deve mai venire meno in un ambiente privato ma anche in un ambiente lavorativo come, per esempio, l’ufficio. Lo conferma Marvelli: «Architetti e designer sono oggi le fonti principali di richieste fantasiose e originali che ci stimolano a realizzare pavimenti e rivestimenti unici, quasi artistici. Siamo in grado di realizzare qualunque tipo di finitura e colore e le possibilità di esecuzione sono molteplici. Sappiamo operare su qualunque tipo di supporto, nuovo o vecchio, con mattonelle preesistenti o meno». Una delle ultime tendenze del mercato sono le superfici spatolate in cemento. Questo sistema richiede di lavorare con grande abilità e maestria il cemento che assume un aspetto estetico di straordinaria bellezza. Prerogativa importante è la praticità di mantenimento dovuta al tipo di finitura, che offre un effetto naturale e facilità di pulizia. Si presta alle abitazioni private come agli uffici o alle spa. Continua Franco Marvelli: «L’utilizzo di malte cementizie a spessore, con la giu-

Nelle foto: alcuni esempi di realizzazione di pavimenti e rivestimenti in cemento e resina con aspetto decorativo. I materiali utilizzati sono fabbricati in regime di Qualità Totale ISO 9002, coperti da garanzia del produttore rispondenti alle norme di sicurezza e ambiente vigenti

materiale utilizzato, resine bicomponenti modificate, danno la possibilità di ottenere finiture monocromatiche o difformi nel tono, con lavorazione effetto nuvolato o spatolato. «La nostra attività di pavimenti in resina - spiega Marvelli - è rivolta principalmente al settore industriale con rivestimenti a basso o alto spessore, di altissima resistenza meccanica». Lyon’s Technologies è leader anche per i rivestimenti da esterno, come dimostra il brevetto ottenuto per rivestimenti ad alto spessore utilizzati per finiture di piscine, bordi e vialetti. L’innovazione nella finitura delle piscine è l’utilizzo di materiali naturali. «Usiamo sempre materiali a base cementizia - ci tiene a precisare Franco Marvelli - utilizzando cementi modificati di altissima valenza estetica, garantendo nel contempo l’impermeabilizzazione della piscina con la stessa malta, eventualmente colorata». Molto interessante è l’utilizzo delle malte impermeabili per piscine, che possono essere modificate con l’aggiunta di inerti naturali, ciottoli di fiume colorati o altri materiali per ottenere finiture che maggiormente si integrano con l’ambiente circostante. « La composizione di malte e graniglie naturali o ciottoli di fiume nasce dall’abbinamento di colori e materiali diversi. Questo tipo di finitura che abbiamo brevettato è una variante estetica ai tradizionali rivestimenti interni e bordi piscine. Le pietre conferiscono un aspetto naturale all’ambientazione armonizzandosi perfettamente con l’ambiente circostante».

LYON’S TECHNOLOGIES Srl via Achille Grandi, 10 - 44028 Poggio Renatico (FE) Tel. 0532.829117 - Fax 0532.824343 Franco Marvelli 335.6329837 www.lyonstechnologies.it lyonstechnol@libero.it

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mutazioni

PRENDERE LA DOMOTICA DAL VERSO GIUSTO: IL CONCEPT LA DOMOTICA, INTESA COME L’INSIEME DI TECNOLOGIE AVANZATE PER CASE ED EDIFICI, È UN MONDO ANCORA PIUTTOSTO SCONOSCIUTO. È DIFFICILE ORIENTARSI. SCOPRIAMO COME ESSA È PRIMA DI TUTTO UN CONCETTO, UN METODO. E POI FORSE ANCHE UN PRODOTTO mi alzo per chiudere il cancello o regolare il termostato, perché dovrei desiderare di poterlo fare dal cellulare o dal televisore? Per lo stesso motivo per cui se da bambini era normale pensare di alzarsi dalla sedia per passare dal “primo” al “secondo” canale della RAI, oggi non lo accetteremmo mai, anche perché di canali ne abbiamo migliaia fra cui scegliere…

Tecnologia ubiqua Al di fuori del mondo dell’edilizia cosa è successo con la tecnologia? Di tutto e di più. Oggi molti di noi leggono riviste e notizie sul tablet o smart phone in tempo reale, guidano assistiti da software di navigazione avanzatissimi e affidabilissimi, utilizzano auto con climatizzazione automatica. Quando acquistiamo un cellulare o un’auto dedichiamo molta attenzione alle dotazioni più o meno opzionali che la tecnologia ci offre. Se riservassimo alle dotazioni tecnologiche delle nostre case e uffici la stessa attenzione, allora avremmo capito immediatamente cos’è la domotica. Trovare un ristorante, le migliori offerte su un prodotto, o il film da vedere in compagnia di amici, sono cose che si facevano anche quando le case avevano solo una presa del telefono all’ingresso di casa. Oggi però apprezziamo la flessibilità, rapidità, ampiezza di scelta che la tecnologia ci offre, non ne faremmo a meno. E naturalmente vogliamo che la nostra “prossima casa” ci fornisca questi comfort nel modo più pratico, perché è sempre più la casa il luogo in cui si svolgono le nostre attività, ludiche e non solo. E poi, se posso prenotare la vacanza dal mio Smart Phone comodamente seduto sul divano, o vedere le foto digitali sul TV in compagnia di amici al ritorno, perché non posso con lo stesso sistema regolare le luci in giardino, alzare la temperatura in casa, chiudere il cancello o vedere le telecamere esterne? Eccoci qua, è arrivata la domotica, che fa in modo che la casa, o l’ufficio, siano pensati per darci questi servizi. Qualcuno potrebbe obiettare: ma dai, sono anni che

Progettare prima di comprare La cosa a questo punto cambia di importanza, soprattutto per chi si occupa di progettazione. Non credo si possa essere soddisfatti di una casa con un design curato, ma che fornisce funzionalità pari a quelle della casa del nonno. Ma neppure di una casa dove il nonno non è in grado di accendere la luce. Non mi basta più chiedere al mio bravo installatore di realizzare un impianto di antenna o un sistema di riscaldamento, devo innanzitutto sapere cosa chiedere. La soluzione non può stare semplicemente nell’utilizzare i prodotti più tecnologici che il mercato offre, perché il televisore piatto che mi fa vedere le foto in compagnia, potrebbe non essere compatibile con la visione delle telecamere intorno a casa. La caldaia che si comanda col cellulare potrebbe non essere ideale dal punto di vista energetico. Ossia occorre individuare le esigenze, “metterle d’accordo” integrandole tra loro e individuare una soluzione giusta per il caso specifico. Insomma è materia da progettista, non da fornitore o da installatore. Non c’è tecnologia avanzata che possa da sola, con una logica consumer, ossia riprodotta meccanicamente sempre uguale, rispondere a queste esigenze. D’altro canto è davvero raro che un progettista di impianti elettrici e/o termici possa essere anche esperto di sicurezza, intrattenimento, telecomunicazioni e non ultima, dell’ “usabilità” di tutto questo. E non si può neppure pensare di progettare queste funzioni avanzate in maniera sconnessa dalla fornitura e dalla garanzia del risultato, come si fa spesso sugli impianti di base.

L’ingegnere Massimo Labbrozzi è Amministratore Delegato di Innovatech, Gruppo Riello Elettronica, si occupa da oltre 20 anni di domotica e di building automation a livello professionale. È un formatore nell’ambito domotico, ha insegnato a livello universitario e ha curato un master sulla domotica. È un progettista di impianti tecnologici. È contattabile su: m.labbrozzi@innovatec.it

Con queste righe vorrei darvi una chiave di lettura della domotica, un po’ pragmatica e derivata dalla quotidiana esperienza di Innovatech maturata negli anni (www. innovatec.it). Vorrei supportare progettisti, designer d’interni, e perché no, utilizzatori finali che debbano approcciare il mondo degli impianti digitali. Ma vediamo innanzitutto perché dobbiamo occuparcene.

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mutazioni 1. Tastiera Aurus Touch in vetro, gestione integrata di 32 comandi, temperatura, allarmi (www.innovatec.it) 2. Appartamento con progettazione integrata arredi e tecnologia

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La soluzione comune, che non risolve Ma allora siamo davvero convinti che il problema è così complesso da risolvere che è meglio non affrontarlo? Già perché è questo ciò che sta avvenendo. Nella migliore delle ipotesi il progettista, il costruttore, e perfino alcuni utenti finali, pensano di affrontare la questione chiedendo la soluzione al proprio installatore, che certamente farà l’impossibile per fornirla, ma finirà con ogni probabilità per fornire una soluzione parziale e ben lontana dalle reali esigenze dell’utente. In realtà si sposta il problema sull’installatore, a cui viene chiesto l’impossibile, e di fatto l’utente alla fine non riuscirà ad ottenere quanto pensava, e si convincerà che non si poteva fare meglio. Inconsciamente si sentirà tradito e incapace, per aver speso molto ed aver ottenuto poco. Che ci crediate o no, nella nostra esperienza di tutti i giorni, questo è quello che succede. Vediamo un esempio reale, senza riferimenti: sono un utente finale, ho 45 anni e sto realizzando la seconda casa della mia vita, quella vera, bella, che lascerò ai miei figli e in cui voglio vivere per molti anni. Incarico un bravo architetto di fare delle proposte, e gli do qualche specifica. Ad esempio mi aspetto che la luce sia ben curata sia dentro che fuori, perché penso di ricevere spesso amici e parenti a cena; voglio che le aperture e chiusure degli infissi siano il più possibile automatizzate, la casa è grande; voglio una casa sicura, perché temo per la serenità della mia famiglia; voglio risparmiare energia più possibile, perché prevedo un forte rialzo del costo energetico mondiale. Spesso con una corretta analisi e con le domande giuste (che pochi fanno) di specifiche di questo tipo ne vengono fuori alcune decine. Ma questa è solo una semplificazione. Il nostro architetto si trova di fronte ad una serie di problemi mai affrontati prima, e lui non è un tuttologo, ma certamente il suo collaudato team di lavoro, progettisti di impianti e installatori, sapranno fornire una soluzione. La cosa viene sottoposta al progettista degli impianti elettrici, che pensa subito ad una

soluzione perfetta: inserire nel proprio progetto dell’impianto elettrico i punti di comando e i punti di alimentazione aggiuntivi per i motori, così che questi finiscano nel preventivo dell’elettricista, e proporrà lui stesso al cliente di chiamare un professionista della sicurezza che provveda a chiarirsi in cantiere con l’elettricista sulle predisposizioni impiantistiche necessarie. In quanto al risparmio energetico, la cosa riguarda senz’altro molto più il progettista degli impianti termici. Quest’ultimo, stimolato sul problema, propone un avanzatissimo sistema di riscaldamento e condizionamento, con pompa di calore geotermica, che ha il massimo dell’efficienza. Inserisce un sistema di pannelli solari per l’acqua sanitaria, e un bel cronotermostato in sala; ci penserà l’idraulico a tarare e far funzionare tutte le stanze allo stesso modo. Poi si preoccupa di solleticare l’architetto sul grado di isolamento della struttura, che dovrà essere almeno in Classe B, così da ottimizzare l’uso della pompa di calore. Tutto questo avviene praticamente senza consultare me utente, prendendo come indiscutibili le mie specifiche, e proponendo di realizzare il tutto come da progetto. L’architetto è piuttosto bravo a giustificare le scelte e i costi, un po’ salati, ma che discendono direttamente dalle mie specifiche iniziali, che nessuno pensa di discutere. Iniziano i lavori, arrivo in cantiere e noto che mancano dei punti di comando, ad esempio le luci esterne si accendono solo da due punti, ne vorrei di più. Però vedo che l’architetto ha coinvolto, a progetto elettrico finito, un progettista della luce, e che il numero di pulsanti in molte pareti della zona giorno si sono magicamente moltiplicati, così come i punti luce e i costi. Mi astengo dal proporre qualche pulsante in più per l’esterno, temo di complicare ancora le cose. Faccio presente la cosa all’architetto, ne segue una riunione in cui non vengo coinvolto, e la risposta che ne esce è: per fare un buon lavoro qui serve la domotica ed è una cosa che l’installatore elettrico ha già fatto altrove, siamo a posto. L’elettricista fa la sua proposta e il budget raddoppia, ma mi assicurano che questa è l’unica soluzione. Della sicurezza nessuno ne parla, lo faccio presente io e dopo qualche settimana, ad intonaci quasi completati, mi viene presentato l’esperto della sicurezza. Due chiacchiere, preventivo (salato) dell’esperto, vengo lasciato solo a decidere, d’altronde non si tratta né di impianto elettrico, né termico, né di strutture… Però mi viene un dubbio: per me la sicurezza riguarda le persone che sono in casa, mi aspetterei di essere avvisato prima che qualcuno entri. A che servono i sensori che scattano quando qualcuno è già in casa? Insomma non capisco un granché, ma i lavori devono proseguire e siamo in ritardo, perdere tempo a consultare qualcun altro significherebbe essere responsabile dei ritardi del cantiere. Decido di sbloc-


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REALIZZIAMO L AVORAZIONI SPESSORE DI CEMENTI MODIFICATI

È con la genialità e la manualità dell’uomo che si ottengono finiture di altissimo contenuto estetico, in un contesto naturale e con ambientazioni personalizzate. Lavorazioni che, per la loro specificità, rendono la piscina, i pavimenti e i rivestimenti, opere uniche.

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3. QTouch: Touch screen per la gestione modulare locale e remota completa di tutte le funzioni (www.innovatec.it)

care la cosa e firmo. Il lavoro è finito, entro in casa con mia moglie, che non essendo stata consultata adeguatamente, sposta mobili ed arredi e quindi tutta la nutrita e un po’ ansiogena schiera di pulsanti domotici finisce nel posto sbagliato. Che si fa? Nulla. Non possiamo mica rompere tutto. Però c’è la domotica, sicuramente c’è una soluzione. Beh sì, possiamo spostare qualche accensione delle luci e delle tapparelle, basta riconfigurare i pulsanti, ma il citofono, l’antifurto e i comandi delle tende rimarranno dove sono, nel posto sbagliato. Il cantiere è finito, a trasloco avvenuto cerco di capire come si accendono le luci, come si risponde al citofono, come si attiva l’antifurto, come comando le tende esterne, come gestisco la temperatura… e alla fine mi consegnano uno scatolone pieno di manuali, raccolti con una certa diligenza, e mi dicono che li c’è tutto, basta leggere! Mi siedo, stanco, con il conto in banca molto sottile, con una casa che, pur avendo cercato di fare le cose bene, assomiglia ad uno shuttle e mi fa sentire inadeguato ogni volta che provo a fare qualcosa, senza riuscirci. Suona familiare? O almeno plausibile ? Cosa c’è che non va ? Il primo problema è la mancanza di integrazione. Ognuno pensa al suo ambito, ma manca una figura tecnica di coordinamento. Manca la progettazione e consulenza delle funzioni della casa nel suo complesso. La domotica proposta dall’elettricista affronta l’impianto elettrico, ma la sicurezza, la termoregolazione e tutto il resto qui non considerato per brevità, restano non gestiti, o gestiti da chi si occupa normalmente d’altro e che non riesce ad essere efficace nello specifico. Ad esempio il risparmio energetico certamente deve

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prevedere un grado di isolamento termico adeguato, ma ci sono innumerevoli funzioni che l’impiantistica può e deve fare per ridurre gli sprechi. Il progettista della luce, per esempio, ha pensato ad usare lampade a Led ovunque possibile? Il progettista elettrico ha inserito un piccolo impianto fotovoltaico per alimentare la pompa di calore? L’energia viene contabilizzata per garantire il controllo dei consumi nel tempo? Infine il cliente non viene assolutamente coinvolto nel processo decisionale, non gli vengono prospettate soluzioni diverse per funzionalità e costo, non viene consigliato, non gli viene detto come si userà la casa nel suo insieme una volta finita, che sarà complicata ma molto funzionale, o semplice ma con funzioni essenziali. Insomma, se fosse un’automobile, è come se ci dicessero: “la sua auto potrebbe essere di tanti colori, purché sia nera!”. Se l’architetto, nella fase preliminare del progetto, si fosse fatto affiancare da un progettista domotico in grado di consigliare l’utente, di proporre funzionalità e costi budgettari, di discutere con lui le specifiche portandolo ad allocare le risorse sulle cose importanti, di coordinare l’impianto elettrico con gli altri impianti ed il resto della tecnologia… alla fine l’utente si sarebbe trovato meno pulsanti, qualche display in più in grado di reagire meglio alle modifiche dell’arredo, qualche scenario software per semplificare l’uso nelle varie situazioni tipo, la sicurezza sarebbe stata integrata con telecamere, citofonia, termostati, in un tutt’uno semplice da usare ma totalmente funzionale rispetto alle reali esigenze della famiglia. E probabilmente il costo sarebbe stato il medesimo. Affrontare il problema dal verso giusto La domotica, alla fine, non è un prodotto o un insieme di prodotti. È un altro modo di pensare che non è compatibile con l’operosità di un installatore o con la profondità di conoscenze normative e tecniche di un progettista di impianti, per quanto bravo. Serve una visione, come serve all’architetto, ma è indispensabile una preparazione allargata alle caratteristiche fondamentali dei vari impianti, con una conoscenza profonda delle possibilità offerte dai sistemi digitali e dal software. Trovare la persona giusta è fondamentale e purtroppo non è un’impresa facile. Non può essere un singolo professionista, perché deve fornire e garantire una soluzione. Serve continuità nel tempo, quindi servono aziende con una storia, una dimensione e una struttura ben radicate; serve aver fatto realmente impianti che integrano tecnologie avanzate nei settori più diversi, dalla climatizzazione all’energia, dalla sicurezza all’intrattenimento audio/video, al software, possibilmente senza essere particolarmente desiderosi di fornire uno particolare di questi ambiti se non quello di controllo generale. E poi referenze, referenze, referenze. La prossima volta, prima di iniziare l’avventura, affidatevi ad un vero esperto di integrazione domotica.






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