Il Polietico 7

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Giugno 2006, Anno 3 - N.7 Periodico di informazione

Riservato ai medici e agli operatori sanitari

L’importanza di basi solide

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uando si rende necessario formulare una diagnosi, programmare un intervento chirurgico, verificare l’efficacia di una terapia, a sostenere il medico e la sua esperienza c’è, dietro le quinte, l’importante attività dei Laboratori analisi. Luoghi in cui uomini e macchine lavorano intorno a quell’“infinitamente piccolo”, così determinante per la nostra salute, e il cui studio costituisce la base per ogni progresso scientifico. In questo numero troverete una panoramica sui Laboratori analisi delle varie strutture che fanno capo al Gruppo Policlinico di Monza. Un Gruppo, che a fianco dell’attività sanitaria, sta potenziando la ricerca scientifica in tutti i suoi aspetti - i rapporti con l’Università, il Centro ricerche di Neuro-bio-oncologia di Vercelli, Centro di ricerche in Genetica Cardiovascolare realizzato in collaborazione con l’Universita degli Studi di Pavia, l’IRCCS Policlinico San Matteo, e l’IRCCS Auxologico, l’organizzazione di corsi ECM e la presentazione di lavori a congressi nazionali e internazionali - ma soprattutto nell’attività di ogni giorno, “sul campo”: nelle prossime pagine sono descritti due tipologie di interventi effettuati da cardiochirurghi del Gruppo su forme particolarmente gravi di embolia polmonare e di aneurisma dell’aorta toracica. Infine, vi presentiamo l’ultima arrivata fra le cliniche del Gruppo, la San Giuseppe di Asti. Buona lettura a tutti! Il Presidente Gian Paolo Vergani

In questo numero:

Laboratorio analisi, al servizio di diagnosi e cura pag. 2 Embolectomia polmonare pag. 10 Il caso: Sostituzione dell’aorta toracica pag. 13 Chirurgia Maxillo-facciale pag.17


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Il laboratorio analisi al servizio di diagnosi e cura

Prof Filippo Mortillaro Coordinatore dei Servizi di Patologia del Gruppo Policlinico di Monza.

Dott. Antonio Conti, Laboratorio Analisi del Policlinico di Monza; a destra la strumentazione di Chimica Clinica Ilab 600 prodotta dalla ditta Instrumentation Laboratory

l professor Filippo Mortillaro, direttore responsabile del Servizio di Patologia clinica del Policlinico di Monza e coordinatore dei servizi di Patologia del Gruppo, proviene da una lunga carriera ospedaliera e accademica, quest’ultima presso la Scuola di specializzazione in Anatomia e Istologia patologica e presso la Scuola diretta a fini speciali per Tecnici di laboratorio dell’Università di Milano. Gli chiediamo di illustrarci l’attività dei laboratori analisi, inquadrandola nel contesto globale della medicina. “La ringrazio per la sua domanda perché mi consente, anzitutto, di collocare il Laboratorio d’analisi chimico-cliniche nel contesto di quell’eterogeneo complesso che viene indicato come “Diagnostica di laboratorio”. Si tratta di una diagnostica che si sviluppa in ambienti distinti e specificamente attrezzati, che utilizza processi analitici, tecniche strumentali ed esecutive diverse, che si avvale di operatori e specialisti di settore in grado di elaborare dati sostanzialmente e formalmente eterogenei, e che può essere suddivisa in tre tipi fondamentali di laboratori: Citoistopatologico, Microbiologico e Analisi chimico-cliniche (che comprende anche la Biologia molecolare). Tre indirizzi differenti, ma finalizzati non solo a rendere possibile, a modificare ed a monitorare qualsiasi terapia medica o chirurgica, ma anche a permettere l’accesso ad altre diagnostiche (diagnostica per immagini) e terapie strumentali (Radioterapia). In una estrema sintesi, tornando alla domanda iniziale, possiamo considerare il laboratorio di Analisi chimicocliniche come l’ultimo (in ordine cronologico) dei tre cardini, dopo l’Anatomia Patologica e la Microbiologia, su cui ruota e si articola la suddetta diagnostica di laboratorio. Questo ordine cronologico mi offre l’opportunità di sottolineare il ruolo fondamentale che l’Anatomia Patologica e la Microbiologia – sia nel passato che nel presente – ha avuto per la nascita, e continua ad avere per lo sviluppo, della Medicina moderna. Si, perché è doveroso ricordare che a partire dalla seconda metà del XIX° secolo l’Anatomia Patologica e la Microbiologia (saldamente ancorati alla rivoluzionaria opera di G.B. Morgagni, “De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis”) sono stati gli unici due pilastri sui quali è stato poi possibile costruire, su basi razionali e scientifiche, la Medicina odierna. Vorrei solamente ribadire che ancor oggi su questi due pilastri grava la gran parte delle strategie delle attuali e delle future tecniche diagnostiche e terapeutiche: senza un adeguato supporto anatomopatologico e/o microbiologico ed ematochimico, così come non è possibile attuare alcuna terapia veramente efficace, nessun tipo di sperimentazione o di ricerca clinica può essere considerata valida. Di questa triade diagnostica, paradossalmente, sono proprio l’Anatomia Patologica e la Microbiologia a costituire, nella pratica quotidiana, i pilastri più delicati: infatti, mentre il laboratorio di Analisi chimico-cliniche si avvale di metodiche standardizzate applicate a una vasta gamma di strumenti robotizzati (in grado di eseguire serie sempre più numerose di esami, limitando sempre più l’intervento umano a un attento controllo dell’intero processo analitico), i laboratori di Citoistopatologia e di Microbiologia sono dotati di una ben più ridotta strumentazione automatizzata, ma si basano esclusivamente sull’interpretazione umana del dato elaborato. In rapporto all’enorme variante morfologica della citoistopatologia e a quella biologica dei microrganismi (diversi sempre da malattia a malattia, da caso a caso e da infezione ad infezione), si può ragionevolmente affermare che l’impegno umano, poiché si esplica sia nella fase preanalitica, che in quella analitica e postanalitica, incida per l’80%, rispetto al 20% della strumentazione. Esattamente al contrario di quanto si riscontra nei moderni laboratori d’Analisi chimico-cliniche, dove, la macchina svolge un lavoro attorno all’80%, mentre quello del personale è del 20% circa”.


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Quali sono le attività che si svolgono in un Laboratorio di Analisi chimico-cliniche? “Come si può desumere dalla stessa denominazione, questo tipo di laboratorio fonda gran parte della sua attività sui principi della Chimica Analitica. Su questa base, ma anche attraverso una serie di metodiche, tecnologie e strumentazioni diverse, è possibile testare e misurare nel sangue e nei vari liquidi biologici un numero sempre crescente di analisi non solo di natura chimica, ma anche enzimatica, ormonale, gassosa, ematologica, etc., utili per la diagnosi, la prevenzione ed il monitoraggio dei più diversi stati morbosi. Ecco perché la denominazione di “Laboratorio di Analisi chimico-cliniche” (che comprende, fra le altre cose, anche la biologia molecolare) deve essere considerato un sottotitolo a quello più corretto di “Servizio di Patologia Clinica” o “Servizio di Medicina di Laboratorio”, come è ormai in uso nelle diverse Regioni. Un moderno laboratorio, come ad esempio quello del Policlinico di Monza, è diviso in 7 sezioni affidate ad esperti operatori di settore, che operano sotto la guida del dott. Antonio Conti in grado di gestire interamente il processo analitico in una o più sezioni: Chimica-clinica, Immunoenzimatica, Ematologia, Coagulazione, Immunoematologia, Sieroimmunologia, Chimica e microscopia clinica”. Come sono strutturati i laboratori del Policlinico di Monza e delle altre strutture del Gruppo? “Tutti i laboratori del Gruppo vengono progettati o ristrutturati seguendo, in generale e per quanto costruttivamente possibile, un disegno e un'architettura che hanno un comune denominatore nel concetto di open space e in una logica disposizione operativa dei locali. I laboratori del Gruppo, pur mantenendo sempre la loro autonomia gestionale, sono dotati di strumenti e prodotti delle stesse case produttrici, in modo da costituire diversi moduli funzionali interattivi. Ciò non solo per le ovvie economie di scala nell'approvvigionamento di materiali e reagenti, ma anche, e soprattutto, per una maggiore facilità e accuratezza dei controlli di qualità e per un migliore impiego delle risorse umane. In base alla classificazione funzionale del decreto PCDM 10 febbraio 1986 i Laboratori del Gruppo si distinguono in: laboratori di base dove si eseguono indagini diagnostiche di biochimica clinica, ematologia, coagulazione e sieroimmunologia; laboratori generali di base con settori specializzati che, oltre ad erogare le prestazioni proprie dei laboratori generali di base, esplicano indagini diagnostiche ad alto livello tecnologico e professionale: Immunoematologia, Tossicologia, Anatomia Patologica e Microbiologia”.

L’Istocitopatologia al Policlinico di Monza e alla Clinica Santa Rita

Dott.ssa Laura Fibbi, Servizio di Anatomia Patologica del Policlinico di Monza

Nel Gruppo Policlinico di Monza si trovano due laboratori di Citoistopatologia; uno si trova presso la Clinica Santa Rita di Vercelli ed è diretto dal Dott. Giorgio Lazzari con il supporto del Dott Andrea Marsico. L’altro si trova presso il Policlinico di Monza ed è diretto dal Prof. Franco Rilke con la collaborazione della dottoressa Laura Fibbi la quale illustra il ruolo dell’anatomo patologo (patologo, per brevità): un medico che i pazienti generalmente non conoscono, ma che conosce molto bene i pazienti, anche per averli esaminati al microscopio! Il suo compito consiste nello svolgere l’attività di diagnosi morfologica dei processi patologici contribuendo, insieme ai medici clinici, all’identificazione delle malattie e alla corretta impostazione del trattamento terapeutico per ogni singolo paziente. Nel processo diagnostico delle diverse malattie, dopo gli accertamenti clinici, di medicina di laboratorio e radiologici, il paziente molto frequentemente viene sottoposto ad esami citologici o bioptici che consistono nel prelievo di cellule da organi superficiali e profondi o nel prelievo di piccoli frammenti di tessuto che saranno osservati al microscopio. Ecco qualche esempio: è ben noto come nella patologia del tratto gastroenterico il malato sia sottoposto a esame endoscopico e il medico endoscopista osservi i diversi organi, prelevando alcuni frammenti di tessuto dell’esofago o dello stomaco o del colon, che saranno esaminati istologicamente. La situazione è analoga nel caso delle lesioni cutanee che il chirurgo plastico asporta, o nel caso della patologia vescicale o prostatica che l’urologo sottopone a biopsia o a trattamento chirurgico. Ebbene, in tutti questi casi e molti altri ancora, la diagnosi definitiva viene effettuata dal patologo. Il patologo è talvolta chiamato, ad esempio, dal chirurgo generale, toracico od ortopedico a eseguire esami estemporanei al criostato durante l’esecuzione di un intervento chirurgico al


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Dott. Giorgio Lazzari (al centro) con i tecnici Giuseppe Gaeta ed Elisa Prudente, Servizio di Citoistopatologia, Clinica Santa Rita di Vercelli

Dott. Andrea Marsico, servizio di Citoistopatologia, Clinica Santa Rita di Vercelli

Gli esami citologici e istologici, fondamentali per la diagnosi e la cura dei pazienti

fine di formulare una diagnosi istologica, entro un tempo massimo di 15 minuti: contribuisce così a indirizzare il chirurgo verso il tipo di intervento chirurgico idoneo per la patologia di cui il paziente è affetto. Oltre all’attività di diagnosi, il patologo ha un ruolo importante nell’ambito della medicina preventiva, come ad esempio nella diagnosi precoce del carcinoma della cervice uterina attraverso l’esame citologico del Pap test prelevato dal ginecologo. Si era detto prima che i pazienti non conoscono di persona l’anatomo-patologo, ma questo non è del tutto vero perché l’anatomo-patologo ha anche una sua attività al letto del paziente o in ambulatorio che è quella della esecuzione dei prelievi citologici (agoaspirato) da lesioni di organi superficiali e profondi: ad esempio, nel caso di lesioni nodulari superficiali palpabili, come quelle della mammella, della regione del collo, etc., il patologo, con un’attrezzatura molto semplice costituita da un ago e una siringa, preleva alcune cellule che poi striscia su un vetrino e che, opportunamente trattate, potranno essere esaminate al microscopio. Nel caso invece di lesioni di organi profondi, come ad esempio quelle di polmoni, fegato, pancreas, etc., il patologo esegue il prelievo citologico avvalendosi della collaborazione del medico ecografista o radiologo che, con le loro strumentazioni (ecografo, TAC), permettono di individuare e centrare la lesione da esaminare mediante l’esame citologico. Non ultimo il patologo interviene con indicazioni, a valenza prognostico-terapeutica, indispensabili al medico oncologo per indirizzare la terapia verso una o l’altra strada, come per esempio nella terapia post-chirurgica del carcinoma mammario, dove le sue indicazioni sono diventate fondamentali e dirimenti tra le varie possibilità terapeutiche mediche. Inoltre il patologo è gia da tempo proiettato nel futuro utilizzando routinariamente anticorpi monoclonali per effettuare diagnosi sempre più precise, anch’esse in alcuni casi indispensabili per la terapia (Target Therapy); più recentemente, anche la biologia molecolare inizia a fare ingresso nel suo bagaglio quotidiano. Dalla descrizione delle “cose che il patologo fa” si evidenzia in modo particolare l’esistenza di uno stretto rapporto di collaborazione con i medici clinici, sia chirurghi sia internisti o oncologi, per l’ottimizzazione della cura del paziente. Per poter svolgere la sua attività diagnostica, il patologo ha bisogno di tutta una serie di strumentazioni per il trattamento del materiale bioptico (inclusore automatico, microtomo congelatore, microtomo rotativo), per la colorazione delle sezioni o dei prelievi citologici (coloratore automatico, immunocoloratore) e per la lettura dei preparati (microscopio a luce trasmessa e a fluorescenza), ma anche di personale tecnico competente, dedicato e scrupoloso: una realtà quotidianamente operante al Policlinico di Monza.

Grazie a un accordo fra l’Università di Torino e il Policlinico di Monza, il controllo della qualità degli esami citologici e istologici effettuati presso la Clinica San Gaudenzio di Novara (che è referente per la Citologia per tutte le cliniche del Gruppo: Policlinico di Monza, casa di Cura Eporediese, Città di Alessandria, Santa Rita di Vercelli) è affidato alla supervisione del professor Roberto Navone, Ordinario di Anatomia Patologica presso il Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana dell’Università di Torino, e responsabile del I° Servizio di Anatomia Patologica dell’A.O. San Giovanni Battista di Torino. Professor Navone, in cosa consiste la collaborazione con la Clinica San Gaudenzio? “Oltre al controllo di qualità degli esami citologici e istologici, abbiamo già da alcuni anni in corso una proficua collaborazione scientifica che si articola sia nell’organizzazione di giornate di aggiornamento, sia nella conduzione di studi e ricerche scientifiche. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, sottolineo come la casistica proveniente dalla San Gaudenzio sia ampia e varia, e permetta quindi un impiego per ricerche interessanti e studi retrospettivi e prospettici. Ricordo in particolare lo studio presentato lo scorso novembre al I° Convegno nazionale di Citologia, a Firenze, sul tema ‘Follow-up e correlazioni cito-istologiche delle lesioni “borderline” in citologia cervicale’, realizzato in


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Prof Roberto Navone Ordinario di Anatomia Patologica Università di Torino

collaborazione con Cesarina Magnani, che gestisce la prima lettura della citologia della Clinica San Gaudenzio e delle altre Cliniche del gruppo, e basato su oltre 90.000 esami citoistologici, molti dei quali appunto provenienti dalla struttura novarese. Gli incontri a tema, che rappresentano ormai un appuntamento annuale, vedono una partecipazione crescente: dal primo, tenuto nel novembre 2003 (“La citologia in strato sottile”), ai successivi (“La nuova classificazione Bethesda dei preparati citologici nello screening del cervicocarcinoma”; “Linee-guida per l’utilizzazione del DNA dell’HPV nello screening del cervicocarcinoma”) all’ultimo, tenuto nel dicembre 2005 presso il Policlinico di Monza (“Utilità diagnostica della citologia esfoliativa orale”). Il 18 marzo di quest’anno inoltre si è organizzato il primo corso di aggiornamento, con crediti ECM, dedicato al carcinoma della mammella, in cui importanti relatori italiani e stranieri hanno confrontato le rispettive opinioni, ed a cui hanno preso parte oltre 150 fra ginecologi, chirurghi, patologi, oncologi, radioterapisti, provenienti da varie regioni. Il successo di questo primo corso (a cui, credo, seguiranno altri), in parte inaspettato, è probabilmente dovuto non solo all’elevato livello scientifico e alle importanti ricadute pratiche per i pazienti, ma anche al fatto che, in Italia, è del tutto inusuale che congressi e corsi accreditati con ECM e patrocinati da società scientifiche di importanza nazionale (nel nostro caso la SIAPEC, Società Italiana di Anatomia Patologica e Citopatologia) siano gestiti da strutture private. Probabilmente abbiamo dato inizio ad una fase di collaborazione tra pubblico e privato, nell’ottica di una pari dignità, che nei prossimi anni potrebbe avere un importante sviluppo. Qual è il ruolo dell’istopatologia e della citopatologia nella diagnostica? “Nei campi della diagnostica di laboratorio, radiologica e strumentale sono stati compiuti grandi progressi: malgrado ciò, nessun esame raggiunge la precisione dell’esame istopatologico, in grado di dare risultati esatti in oltre il 97% dei casi. Va poi considerato come parecchie malattie possano essere diagnosticate con certezza solo attraverso l’istologia: pensiamo anzitutto alle neoplasie, per la cui diagnosi i metodi chimico-clinici o di diagnostica per immagini sono attualmente solo in grado di indicare un sospetto di patologia. Ne sono esempi la ricerca del PSA per la prostata, del CA125 per l’ovaia, e così via. L’istopatologia e la citopatologia si basano invece sull’osservazione di cellule e tessuti - che richiedono di essere interpretati attraverso un ‘intervento umano’ – dalle quali è possibile stabilire una diagnosi sicura. C’è però ancora un altro aspetto che vorrei citare: se è vero che la medicina ha oggi raggiunto un’efficienza mai vista prima, al tempo stesso presso i cittadini si riscontra un’aspettativa di qualità e di efficacia talvolta eccessiva, e spesso accresciuta da un certo sensazionalismo di Tv e giornali. Questo ha portato a un aumento del contenzioso, a torto o a ragione, nei confronti del personale sanitario: ebbene, in questi casi l’anatomia patologica può dare una risposta chiara, sia per confermare, sia per escludere l’errore medico, per la maggior serenità di tutti”. Come viene raccolto il materiale da esaminare? “Può provenire da una biopsia, ossia da un campione relativamente piccolo di un organo o di un tessuto (ad esempio biopsie gastriche, intestinali, epatiche, renali, cutanee, osteo-midollari, muscolari, etc.). Può essere un pezzo operatorio risultante da un intervento chirurgico: in questo caso, anche se già si conosceva la diagnosi grazie a una precedente biopsia, l’esame del pezzo operatorio è indispensabile per una migliore tipizzazione del tumore, per valutarne il grado di differenziazione istologica e lo stadio, oltre alla dimensione, alla profondità dell’invasione ed alle eventuali metastasi. Ci sono infine i prelievi per esame citologico, che possono essere ricavati per via esfoliativa (da cervice uterina, bronchi, vescica, cavo orale, tubo gastrointestinale, ecc.) o agoaspirativa (da mammella, linfonodi, polmoni, tiroide, fegato, pancreas, ecc.). Alla categoria degli esami citologici - che offrono il vantaggio di prelievi ambulatoriali senza anestesia, maggiore rapidità di esecuzione e di refertazione appartengono esami molto noti anche al grande pubblico, come il Pap test e l’esame citologico urinario. E’ da sottolineare il fatto che, per questi motivi, gli esami citologici sono aumentati notevolmente negli anni, ancor più rapidamente degli esami istologici. Vorrei infine aggiungere che gli anatomopatologi, che sono stati finora ‘al servizio’ dei medici chirurghi, ora lo sono anche dei medici clinici, in oncologia ma non solo: pensiamo ad


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esempio alle diagnosi di epatite, gastrite (helicobacter), malattie renali, e tante altre patologie. Anche nel caso dei pazienti che hanno subito un trapianto di organo, come cuore, fegato o rene, il nostro intervento (su biopsie effettuate dopo il trapianto) è di fondamentale importanza per comprendere se sta per verificarsi un fenomeno di rigetto: diventa così possibile intervenire in tempo reale per evitare una crisi dalle conseguenze imprevedibili”.

Clinica San Gaudenzio, Novara

Dott.ssa Cesarina Magnani, Servizio di Citologia Clinica San Gaudenzio, Novara

Il servizio di Patologia Clinica opera all'interno di una struttura con settori ad alta specializzazione, primo fra tutti la Cardiochirurgia. Ne è responsabile la dottoressa Annunziata Bergamo. L’attività del servizio è stata articolata nel modo più completo possibile, e organizzata in modo da soddisfare le molteplici richieste in campo diagnostico che giungono sia dai medici operanti nella Clinica, sia dai medici di base e di altre strutture. In risposta alle loro richieste, sono state incrementate le tipologie degli esami eseguiti direttamente o attraverso convenzioni con altri laboratori. Tutto questo è stato fatto dedicando una particolare attenzione al mantenimento di una qualità costante del servizio erogato, come testimoniato dalla certificazione da ente preposto (VISION 2000), mediante l'aggiornamento del personale, la partecipazione a Verifica di Qualità Esterna (VEQ), l'utilizzo di nuova strumentazione e l'introduzione di un nuovo sistema informatico di gestione del laboratorio. Tutta l’attività del laboratorio si svolge tenendo presente alcuni punti cardine: tempestività e puntualità del servizio; regolarità del servizio; riservatezza; cortesia e professionalità del personale; chiarezza del referto; ampia fascia oraria per il ritiro dei referti. Vi poi è una stretta collaborazione con i medici clinici al fine di garantire risultati soddisfacenti non solo da un punto di Il personale del Laboratorio Analisi vista tecnico (accuratezza e precisione) della Clinica S Gaudenzio di Novara ma soprattutto dal punto di vista con la Responsabile diagnostico (sensibilità, specificità e Dott.ssa Annunziata Bergamo (la seconda da destra) valore predittivo del test).

La Fase Liquida: quando la qualità conta più di ogni altra cosa È noto che l'introduzione del Pap test (1943) come metodo di screening si è dimostrata efficace ed efficiente per la riduzione dell'nsorgenza e della mortalità del carcinoma uterino, che in pochi anni è scesa del 70-80%. Tuttavia, a partire dagli anni '90, non si è osservata un'ulteriore diminuzione. Attualmente, circa la metà dei carcinomi cervicali insorgono in donne che non effettuano il Pap test, ma l'altra metà insorge in donne che hanno effettuato il Pap test, sia pure in modo non sempre regolare. In questi ultimi casi la maggior parte dei falsi negativi 65-75%) è legata al prelievo, nel senso che sul vetrino non sono presenti cellule anormali, pur in presenza di una lesione cervicale. Una piccola parte (<5%) è legata ad errori di lettura, ed il resto ad una cattiva gestione clinica dei rsultati del Pap test. Per tali motivi negli Stati Uniti, e successivamente in Europa, è stata introdotta una nuova metodica (approvata dalla Food and Drug Administration), denominata citologia "in strato sottile" o "in fase liquida", che presenta i seguenti vantaggi: 1) un migliore campionamento della lesione, perchè tutto il materiale prelevato è rappresentato sul vetrino, e quindi una riduzione dei casi inadeguati dovuti al prelievo 2) una riduzione dei casi dubbi (ASCUS-AGUS), sia per la migliore qualità dei preparati che per la possibilità di allestire più preparati dallo stesso prelievo 3) una riduzione dei "falsi negativi" e dei "falsi positivi" per l'assenza di artefatti e la migliore qualità dei preparati 4) la possibilità di utilizzare il materiale residuo del prelievo per effettuare ulteriori indagini, come la ricerca del DNA dell'HPV e di altri microrganismi, nonchè della proteina p16, della p53, e per indagini immunocitochimiche. Per tali motivi il Servizio di Citologia della Clinica San Gaudenzio di Novara ha scelto di utilizzare la metodica in "strato sottile" per gli esami citologici, in quanto ritiene che il miglioramento della qualità delle diagnosi passi anche attraverso l'innovazione tecnologica.


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Clinica Città di Alessandria

Il personale del Laboratorio Analisi della Clinica Città di Alessandria con la Responsabile Dott.ssa Chiara Calosso (la seconda da sinistra)

Clinica La Vialarda Biella

Il personale del Laboratorio Analisi della Clinica La Vialarda di Biella con i Responsabili Dott.ssa Frida Pongiluppi (al centro) e Dott. Gianni Vecchi (secondo da sinistra)

Il Laboratorio Analisi della Clinica Città di Alessandria, di cui è responsabile la dottoressa Chiara Calosso, è accreditato con il SSN e offre una vasta gamma di prestazioni rivolte sia ai pazienti esterni sia all’attività interna routinaria e d’urgenza. Il Laboratorio si avvale di una strumentazione moderna, tecnologicamente d’avanguardia, costantemente assistita da personale qualificato. Programmi giornalieri di controllo di qualità analitica interna su più livelli di concentrazione per ogni parametro misurato, associati alla valutazione esterna (V.E.Q) della Regione Piemonte garantiscono una costante ed elevata affidabilità dei dati prodotti. Il pannello delle prestazioni offerte comprende analisi di Chimica Clinica, Ematologia, Coagulazione, Microbiologia e Sieroimmunologia con emogasanalizzatori situati nei reparti di degenza e nelle sale operatorie. Vengono inoltre effettuati test allergologici per le intolleranze alimentari con la consulenza di una psicologa clinica. Il Laboratorio è attivo 24 ore su 24 con un servizio di pronta disponibilità notturna, per urgenze provenienti dai reparti di degenza. Da anni all’interno della Clinica è operante un reparto di Cardiochirurgia e Chirurgia Cardiovascolare a cui il Laboratorio fornisce una serie di prestazioni immediate e mirate per la cura dei pazienti spesso critici che sono ricoverati in tale reparto.

Quello della clinica La Vialarda è un laboratorio di Analisi non convenzionato, ma in possesso di tutti i requisiti autorizzativi della Regione Piemonte. La sua attività è ispirata agli stessi principi che caratterizzano la Clinica e, quindi, al conseguimento degli obiettivi di soddisfazione e sicurezza di utenti e operatori; qualità tecnica delle prestazioni, intesa come qualità intrinseca delle analisi effettuate, i cui risultati vengono valutati per mezzo di procedure specifiche; qualità dell'organizzazione. Allo scopo di migliorare costantemente la qualità dei dati che emergono dalle analisi, il Laboratorio partecipa ai programmi di “Valutazione Esterna di Qualità” promossi dalla Regione Piemonte. Ciò consente di assicurare standard qualitativi costantemente monitorati e aggiornati a coloro che vi si rivolgono. Oltre alle attività laboratoriali generali di base, il Laboratorio della Clinica La Vialarda comprende vari settori specializzati: Ematologia, Chimica Clinica, Tossicologia, Microbiologia, Sieroimmunologia, Citoistopatologia. Per quanto riguarda l’esame Emocromocitometrico, la formula leucocitaria delle varie popolazioni viene visualizzata con colori diversi (es.: neutrofili in arancio, linfociti in azzurro) per una più rapida e facile interpretazione del medico curante. Su richiesta viene effettuata anche la tipizzazione linfocitaria: CD3, CD4 e CD8. La velocità è una delle caratteristiche salienti di Chimica Clinica: apparecchiature automatizzate permettono di ottenere in tempi decisamente brevi risposte standardizzate, come la VES ottenuta in 20 minuti anzichè in un'ora. Da evidenziare anche l'esame delle urine, eseguito in citofluorimetria a flusso. Sieroimmulogia: vengono refertati e consegnati in giornata esami come il complesso T.O.R.C.H. (sia IgG che IgM); Epstein Barr Virus, gli ormoni tiroidei e riproduttivi, i markers tumorali e delle epatiti. Sempre nelle 24 ore viene eseguita la ricerca degli Anticorpi (IgG e IgA) dell'Helicobacter Pylorii e del suo antigene su campione fecale, evitando così il prelievo venoso, operazione che può risultare traumatizzante per le madri, qualora coinvolga i loro bambini. Batteriologia: viene effettuata la coltura di qualsivoglia campione biologico ritenuto importante a fini diagnostici.


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Nell’ambito della Citoistopatologia vengono eseguiti esami vaginali: pap-test ed extra vaginali, ago aspirati, versamenti pleurici, ascitici, etc. Il personale sanitario, costantemente aggiornato attraverso programmi formativi che consentono di operare con le attrezzature tecnologicamente avanzate di cui il Laboratorio è dotato, garantisce elevati livelli di qualità, affidabilità ed efficienza. Da segnalare il grande numero di bambini che i genitori affidano alla struttura sanitaria, testimoniando fiducia e soddisfazione per il trattamento riservato ai loro figli.

Clinica Santa Rita Vercelli

Il personale del Laboratorio Analisi della Clinica Santa Rita di Vercelli con la Responsabile Dott.ssa Franca Bertola (prima da sinista)

Clinica Salus Alessandria

Il personale del Laboratorio Analisi della Clinica Salus, Alessandria

Il Laboratorio analisi della Clinica Santa Rita, di cui è responsabile la dottoressa Franca Bertola, è sempre stato un punto di riferimento per la popolazione di Vercelli, fin dal momento in cui la clinica ha aperto i battenti nel 1970. Da allora, il laboratorio ha continuato a offrire prestazioni di qualità ai pazienti che vi si rivolgono, cercando di rispondere al meglio alle loro esigenze di rapidità di consegna dei referti, cortesia e riservatezza. Da alcuni anni il reparto ha conosciuto inoltre un incremento dell’attività conseguente all’inserimento delle unità di ortopedia, riabilitazione, colonproctologia, medicina, urologia, oculistica e chirurgia generale. I principi-guida cui il laboratorio fa riferimento consistono nell’eseguire con tempestività le varie routine differenziate per patologia, affrontando dapprima i pre-ricoveri e quindi dedicandosi ai campioni dei pazienti ambulatoriali. Il centro analisi della Santa Rita garantisce risultati in mattinata per i pazienti in terapia con anticoagulanti e in follow-up, anche inviando direttamente i referti, via fax, ai centri di cura. Gli strumenti di cui dispone consentono di eseguire test di primo livello, mentre gli esami altamente specialistici sono condotti in service, avvalendosi della collaborazione del Policlinico di Monza, del Laboratorio Fleming di Brescia e del Laboratorio Pasteur di Parigi.

Il Laboratorio dell’Istituto Clinico Salus esegue “in routine”, con apparecchiature d’avanguardia e in totale automazione, la determinazione di tutti i comuni parametri chimici su sangue e su vari liquidi biologici, l’esame emocromo citometrico, con inclusi tutti i parametri derivati, e la formula leucocitaria. Presso il laboratorio vengono inoltre effettuate le varie prove di coagulazione del sangue, lo studio degli abituali parametri dell’emogasanalisi con le strumentazioni più moderne, l’elettroforesi e il dosaggio delle plasmaproteine, etc. Nella sezione di Microbiologia e parassitologia il centro è in grado di effettuare la ricerca e di riconoscere tutti i microrganismi implicati nei vari processi patologici dell’uomo, da sangue, materiali biologici vari, essudati, trasudati, feci, urine, etc., con la possibilità di eseguire anche la ricerca diretta e l’identificazione di: antigeni virali implicati nelle affezioni dell’albero respiratorio dai vari materiali biologici (espettorato, broncoaspirati, broncolavaggi, essudati, trasudati, etc.); antigeni batterici di germi particolari da materiale biologico (ad esempio, Ag. di Helicobacter Pylori); flora batterica difficile (ad esempio, emofili, brucelle, neisserie, legionella sp. MRSA, etc.) e quella della tossina A di C difficile. Inoltre, esegue lo studio della sensibilità/resistenza ai chemioterapici e antibiotici di tutta la flora batterica comune (in special modo di Enterococcus sp., Pseudomonadacee, etc.); il riconoscimento degli enterobatteri produttori di ESBL; la determinazione della carica batterica/microbica ambientale e quella quantitativa di indici di contaminazione dell’aria, delle superfici, di materiali vari, alimenti, etc.; le prove e il controllo di efficacia dei vari procedimenti di sterilizzazione; il controllo dell’attività microbiostatica e microbicida dei vari preparati antisettici e disinfettanti; la ricerca e l’identificazione della comune flora microbica


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Clinica Eporediese Ivrea

Clinica San Giuseppe Asti

anaerobia; la ricerca di chlamydie; la ricerca e l’identificazione di micoplasmi. Il Laboratorio analisi della Clinica Eporediese di Ivrea, di cui è responsabile la dottoressa Palma Pagliero, è convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale, ed esegue esami nei settori Chimica Clinica, Coagulazione, Ematologia, Sieroimmunologia. Questo sia per i pazienti ambulatoriali, sia per i degenti. Le attività di Neurochirurgia e Chirurgia vascolare, praticate presso la Clinica, fanno sì che venga riservata una particolare attenzione ai settori: dosaggio farmaci Il personale del Laboratorio Analisi della Clinica (Carbamazepina, Acido Valproico); Eporediese con la Responsabile Dott.ssa Palma marcatori cardiaci (CK, CKMB, Pagliero (la seconda da destra) Troponina); emostasi (PT, PTT, Antotrombina, Fibrinogeno, DDimero).

Il laboratorio analisi della Clinica San Giuseppe è aperto al pubblico dal 1975. È accreditato e classificato come Laboratorio generale di base con tre settori specializzati: Chimica clinica e tossicologia, Ematologia, Batteriologia e Sieroimmunologia. Esso si inserisce al centro dello schema operativo della casa di cura e un efficace andamento dei processi interni garantisce un servizio generale perfettamente corrispondente a tutti i requisiti organizzativi e funzionali. La tipologia dei dosaggi eseguiti permette di soddisfare tutte le esigenze dell’utenza, che è costituita dai pazienti ricoverati ed ambulatoriali, dai medici di reparto e dai medici di famiglia o specialisti esterni. Per i volumi di attività il Laboratorio è il secondo in importanza dopo quello dell’ospedale pubblico Cardinal Massaia di Asti. E’ dotato di strumenti di qualità che garantiscono la sicurezza dei risultati in tempi celeri. Il Laboratorio esegue controlli giornalieri di qualità intralaboratorio e partecipa ai programmi di qualità di VEQ della Regione Piemonte. L’obiettivo fondamentale del Laboratorio è sempre stato quello di offrire al paziente il miglior servizio nel minor tempo possibile, ponendo attenzione ai tempi di attesa per il Le prestazioni dei laboratori analisi del Gruppo Policlinico di Monza dal 1 giugno 2005 al 31 maggio 2006

PATOLOGIA CLINICA

ANATOMIA PATOLOGICA MICROBIOLOGIA TOTALE

Biochimica clinica Ematologia Coagulazione Elettroforesi Sierologia e immunometria Marcatori tumorali Funzionalità tiroidea Dosaggio farmaci Endocrinologia Autoimmunità Specialistica Prelievi venosi Istologia Citologia oncologica Batteriologia

1.196.997 152.932 199.858 27.124 85.387 25.097 26.313 1.778 7.647 5.140 4.217 156.253 7.465 17.648 17.568 1.931.424


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L’

esperienza condotta dai dottori S. Spagnolo, M. A. Grasso, L. Barbato, P. Kalandadze, V. Arone, E. Benzi, G. Fiore, V. Casati, P. Khlat, del Policlinico di Monza, e Prof. Ugo Filippo Tesler, della Clinica San Gaudenzio di Novara.

Embolectomia polmonare: trattamento d’elezione dell’embolia acuta massiva

Prof Salvatore Spagnolo, Responsabile del Dipartimento di Cardiochirurgia del Policlinico di Monza

L’embolia polmonare è una patologia complessa, dovuta all’ostruzione del circolo arterioso polmonare da parte di trombi di dimensioni variabili provenienti generalmente dagli arti inferiori. Quando più del 50% delle arterie polmonari sono ostruite, si determina un quadro clinico ad alta mortalità definito Embolia Polmonare Acuta Massiva (EPAM). È un’emergenza cardiovascolare grave, con una mortalità del 30% nei casi con riconoscimento e trattamento precoce, che arriva quasi al 100% quando la diagnosi viene effettuata tardivamente In Italia ha un’incidenza annuale di almeno 65.000 nuovi casi. Può manifestarsi dopo interventi chirurgici, traumi, parto e in varie malattie di tipo medico. La terapia trombolitica è quella d’elezione nel trattamento dell’EPAM in fase di shock e si basa sulla proprietà di questi farmaci di sciogliere il trombo. La trombolisi ha dei limiti: è inattiva sui trombi formatisi da più di sette giorni, espone a complicanze emorragiche e non può essere somministrata proprio in quei pazienti che hanno un più alto rischio embolico (interventi di chirurgia maggiore, gravidanza, politraumi, accidenti cerebrovascolari, etc.). La mortalità, nei pazienti con embolia polmonare acuta massiva in shock, sottoposti a trattamento trombolitico, è comunque elevata e si aggira intorno al 30% (chest 2002). L’intervento chirurgico di embolectomia fu il primo presidio terapeutico, utilizzato circa 100 anni fa da Trendelemburg, ma la mortalità risultò elevata. Il perfezionamento delle tecniche cardiochirurgiche e l’introduzione della circolazione extracorporea non hanno apportato un miglioramento significativo dei risultati e attualmente la mortalità rimane compresa tra il 25% e il 90%. Le cause di morte più frequenti post operatorie sono: lo scompenso del ventricolo destro da ipertensione polmonare persistente, l’edema alveolare ed interstiziale e l’infarto polmonare emorragico. Questi risultati hanno riservato l’indicazione al trattamento chirurgico solo nei pazienti in grave pericolo di vita o che non hanno tratto beneficio dalla terapia medica. È da sottolineare che l’intervento è tecnicamente uno dei più semplici in cardiochirurgia e consiste nell’aprire l’arteria polmonare e nel rimuovere i trombi presenti al suo interno. Ma, a fine intervento, invece di avere un miglioramento del quadro clinico, si possono verificare delle complicanze spesso gravi e non facilmente spiegabili, che mettono in pericolo la vita del paziente. Per la discrepanza tra la semplicità dell’intervento chirurgico e l’alta mortalità ottenuta, abbiamo ipotizzato,come possibile causa di morte, l’embolia gassosa massiva. Con la rimozione dei trombi, le arterie polmonari si riempiono d’aria che,con il ripristino della circolazione polmonare, viene spinta dal flusso ematico verso i rami polmonari periferici, dove rallenta o blocca la circolazione, trasformando l’embolia organica in un’embolia gassosa diffusa. Purtroppo, questa tesi contrasta con la convinzione, comune nel mondo medico, che la presenza d’aria nel circolo polmonare non causi nessuna complicanza e venga velocemente eliminata. Ad avvalorare la mia ipotesi, negli ultimi anni è apparsa una vasta letteratura sperimentale e clinica che dimostra come l’aria nel circolo polmonare determini: 1) Ipertensione polmonare d’entità proporzionale alla quantità iniettata ed aggravata da una vasocostrizione arteriolare reattiva. 2) Edema polmonare interstiziale e alveolare da aumentata permeabilità della membrana alveolo-capillare, secondaria ad un processo flogistico acuto. Quadri d’edema polmonare acuto emorragico sono stati descritti frequentemente,in pazienti operati d’embolectomia. Couves et al. riportano che, su cinque loro pazienti operati d’embolectomia, quattro


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muoiono nell’immediato postoperatorio, con il quadro di un’emorragia endobronchiale incontrollabile. In questi pazienti, fluido ematico appare in trachea immediatamente dopo l’intervento e i polmoni sono molto difficoltosi da ventilare per le resistenze aumentate. All’autopsia, liquido emorragico è presente in ambedue i polmoni, che appaiono epatizzati. La causa di questo comportamento non è conosciuta. Negli ultimi anni, sono sempre più numerosi casi d’embolia gassosa massiva, riportati in letteratura e la mortalità è superiore al 60% con frequenti quadri d’edema polmonare non cardiogeno. È ben dimostrato, quindi, che l’aria nel circolo polmonare causa non solo ostruzione ma anche reazioni flogistiche spesso mortali. A nostro modo di vedere, la presenza dell’aria e la persistenza di trombi periferici sono le cause principali di morte negli operati d’embolectomia. Purtroppo sia l’aria sia i trombi non possono essere eliminati; anzi più accurata è il tentativo di rimozione dei trombi periferici e maggiore è la quantità d’aria che penetra nelle arterie. Non esiste, quindi, una possibilità tecnica per eliminare l’aria e i trombi per via anterograda. Noi abbiamo superato questa difficoltà, invertendo la circolazione polmonare, mediante una perfusione ematica retrograda. Con il malato ancora in circolazione extracorporea, abbiamo applicato un condotto che collega la linea arteriosa all’atrio sin. Il sangue, immesso nell’atrio sin, procede in senso retrogrado, attraversando le vene polmonari, il circolo capillare, fino a riempire completamente il circolo arterioso e raggiungere l’arteria polmonare principale ancora aperta e fuoriuscire nel cavo mediastinico. Questa manovra permette di riempire progressivamente di sangue il circolo polmonare, spurgandolo dall’aria e dai trombi residui. Dopo due minuti di perfusione retrograda, con ripetute manovre d’insufflazione manuale dei polmoni ad alta pressione, vengono mobilizzate le bolle d’aria residue, adese alle pareti, che sono convogliate all’esterno. L’inversione della circolazione polmonare ha permesso di eliminare la causa principale dell’alta mortalità dell’embolectomia polmonare.

Table 1 - Mortality of Angiographically Documented PE with Shock Source 14

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UPET, 1973, UPET Alpert et al,40 1976 Meyer et al,36 1991 Diehl et al,44 1992 Greenfield et al,39 1993 Gulba et al,45 1994 Totals www.chestjournal.org

No.

Treatment

Mortality %

11 19 78 15 46 24 198

Heparin, with or whitout urokinase Anticoagulation and/or IVC interruption Embolectomy rt-PA Catheterer embolectomy rt-PA

18 32 42 20 30 33 35

CHEST / 122 / 5 / NOVEMBER, 2002 1803


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A fine intervento, si ha un pronto ricupero della funzionalità del ventricolo destro, una normalizzazione dei valori pressori polmonari e uno scambio gassoso conforme alle condizioni cardiache e respiratorie preoperatorie. Non vi è stato nessun caso di edema polmonare emorragico. Questi risultati, nettamente superiori rispetto a quelli riferiti in letteratura, fanno dell’embolectomia un intervento tecnicamente semplice e a basso rischio e pongono questo intervento come il presidio terapeutico più efficace nel trattamento dell’embolia polmonare acuta massiva. Nel trattamento dell’EPAM le possibilità terapeutiche, fino ad oggi, erano di tipo medico e l’embolectomia era riservata solo a quei pazienti, in grave pericolo di vita e che non rispondevano alla terapia medica. Il trattamento d’elezione è la trombolisi, ma è gravata da una mortalità elevata (maggiore del 30%) e non può essere applicata proprio in quei pazienti a maggior rischio d’embolia per il pericolo d’emorragie. Attualmente, come si osserva nella tabella n. 1, la mortalità per embolia polmonare acuta massiva in fase di shock trattata con eparina e trombolitici varia dal 20% al 30%, mentre la mortalità per gli operati supera il 40%. Con la tecnica da noi adottata, non si è avuto nessun decesso e il decorso postoperatorio è stato privo dalle complicanze riferite in letteratura. Abbiamo operato 21 pazienti affetti da EPAM. L’età varia tra i 35 e i 76 anni. Tutti presentano segni di scompenso cardiocircolatorio con necessità di supporto inotropo; 19 sono, al momento dell’intervento, in shock cardiogeno; in tre casi vi è un arresto cardiocircolatorio durante l’induzione anestesiologica. Due pazienti hanno un arresto cardiaco in reparto e sono trasportati, sotto massaggio cardiaco e a ventilazione assistita, direttamente in sala operatoria, dove sono operati senza l’ausilio di una conferma diagnostica. Non si è verificato nessun decesso né alcuna delle complicanze riportate in letteratura e i pazienti sono stati dimessi tra l’ottava e la decima giornata. È paradigmatica la storia di una signora di 75 anni, operata nel nostro Policlinico di protesi al ginocchio dx. In terza giornata dall’intervento, la paziente accusa improvvisamente mancamento di fiato con senso di soffocamento. Il cardiologo di turno sospetta un’embolia polmonare e programma un ecocardiogramma. Durante l’esecuzione dell’esame, la paziente peggiora clinicamente, diventa cianotica, sudata e ipotesa. Si somministrano farmaci inotropi e ossigenoterapia, ma la situazione peggiora repentinamente e la paziente va in arresto cardiaco. Immediatamente si provvede all’assistenza cardiorespiratoria mediante intubazione e massaggio cardiaco che viene praticato per circa 15 minuti, ma senza ottenere una ripresa dell’attività cardiaca. L’unica possibilità, in extremis, rimane quella di un intervento d’embolectomia d’emergenza. La paziente, sotto massaggio cardiaco, viene trasportata dal secondo piano del reparto di ortopedia direttamente in sala operatoria cardiochirurgica. Posizionata sul letto operatorio, si procede all’apertura del torace e si pratica un massaggio cardiaco interno, ma il cuore rimane disteso e fermo. Proseguendo il massaggio cardiaco, si pone la paziente in circolazione extracorporea. Normalizzati i parametri vitali, si procede all’intervento d’embolectomia secondo la procedura da noi descritta. A fine intervento si assiste a un buon ricupero della funzione cardiaca e a una normalizzazione degli scambi gassosi polmonari. La paziente viene trasferita in terapia intensiva dove rimane per sole 36 ore. In decima giornata la paziente viene dimessa in buon compenso sia cardiaco che respiratorio. In conclusione, i nostri dati avvalorano l’ipotesi che l’embolia gassosa massiva sia una delle complicanze mortali che si instaurano durante l’intervento d’embolectomia e che l’inversione della circolazione polmonare sia una tecnica efficace per lo spurgo delle arterie dall’aria e dai trombi. I buoni risultati da noi ottenuti aprono nuove prospettive terapeutiche nel trattamento dei pazienti con embolia polmonare acuta massiva, finora considerata ad alta mortalità.


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Una nuova tecnica per la sostituzione di tutta l’aorta toracica

Il caso

Dal Dipartimento Cardiovascolare della Clinica Città di Alessandria arriva la descrizione di un intervento di sostituzione dell’intera aorta toracica in una paziente con malattia di Takayasu eseguito con una tecnica innovativa dal Direttore dottor Mario Fabbrocini e dai cardiochirurghi Emanuele Malta, Luca Sandrelli e Silvio Olivito, insieme al dottor Paolo Cioffi, emodinamista cardiologo. La patologia aneurismatica (dilatazione) che colpisce l’aorta in tutte le sue parti, rappresenta da sempre una disciplina di interesse chirurgico. Le cause che determinano la dilatazione aneurismatica sono diverse: aterosclerotica (ipertensione, fumo), genetica (Marfan), infiammatoria (Takayasu), infettiva (sifilide). Il trattamento non è medico, ma soltanto chirurgico, e consiste nella sostituzione della porzione dell’aorta dilatata con una protesi tubulare in materiale compatibile (Dacron e/o PTFe). Con il progresso tecnologico è stato possibile trattare alcuni aneurismi aortici con endoprotesi. Si tratta di protesi che vengono introdotte attraverso l’arteria femorale e che, posizionate nella porzione di aorta aneurismatica, ne escludono la cavità dilatata ripristinando un lume interno regolare. La tecnica classica

Dott. Mario Fabbrocini Responsabile del Dipartimento Cardiovascolare della Clinica Città di Alessandria

Sia la tecnica chirurgica classica che quella endoprotesica sono gravate da limiti e complicanze, legate soprattutto alla presenza delle arterie che nascono dall’aorta per irrorare i diversi organi. L’arco aortico fornisce i tronchi per l’irrorazione cerebrale, l’aorta toracica superiore quelli per l’irrorazione midollare, l’aorta toraco-addominale quelli di irrorazione degli organi splancnici e addominali e degli arti inferiori. Le complicanze che più frequentemente intervengono nella sostituzione dell’arco aortico sono danni ischemici con deficit di una funzione centrale (ictus). Nella sostituzione dell’aorta toracica la complicanza più temibile è l’ischemia midollare con perdita di funzioni nervose periferiche (paralisi). Nel trattamento dell’aorta toraco-addominale, vi può essere un deficit di reni, fegato, intestino (multi organ failure). La tecnica chirurgica per la sostituzione dell’arco aortico finora utilizzata si è avvalsa della circolazione extracorporea (CEC) con ipotermia profonda e arresto di circolo. Si tratta di una procedura complessa e delicata che consiste nel trasferire la funzione cuore-polmone a una macchina. Questa permette la circolazione extracorporea e, attraverso la medesima, il raffreddamento a 18°C del corpo. L’ipotermia spinta garantisce la conservazione delle funzioni cerebrali per circa un’ora nonostante l’assenza di irrorazione ematica (arresto di circolo). L’assenza di sangue permette al chirurgo di staccare i rami cerebro-afferenti (arterie che portano sangue al cervello) dall’arco aortico aneurismatico e di riattaccarli sulla protesi che va a ripristinare l’integrità aortica. L’altra complicanza temibile è il sanguinamento condizionato dalla serie di suture chirurgiche, dalla qualità dei tessuti del paziente, dalla degenerazione dei fattori della coagulazione, che interviene quando la temperatura scende al di sotto dei 24°C. La mortalità talvolta supera il 30% relativamente alle condizioni e all’età del paziente. Significative sono anche le complicanze neurologiche, polmonari e renali che allungano la degenza in terapia intensiva. Qualora la dilatazione aneurismatica interessi più porzioni di aorta, si procede con tempi chirurgici diversi per non aumentare i rischi. La tecnica innovativa utilizzata

L’intervento condotto ha permesso di sostituire l’intero tratto di aorta ascendente, arco aortico e aorta discendente in un unico tempo e senza arresto di circolo. Si è trattato di una paziente affetta da malattia di Takayasu che presentava aneurisma di tutta l’aorta toracica con insufficienza severa della valvola aortica. Si è proceduto ad instaurare la circolazione extracorporea e successivamente a staccare i tronchi epiaortici uno ad uno collegandoli con suture chirurgiche a rispettive protesi tubulari, a loro volta confluenti in un unico collettore protesico. Attraverso questo collettore ci si è collegati alla circolazione extracorporea assicurando


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così il circolo cerebrale. Ci si è così ritrovati con la circolazione della testa separata dalla circolazione del resto del corpo. Con tecnica classica (cardioplegia) è stato arrestato il cuore. È stata sostituita la valvola aortica con una protesi meccanica (v. illustrazione, 1), quindi è stata impiantata una protesi tubulare di 20 cm per sostituire l’aorta ascendente (2), successivamente è stata introdotta attraverso l’arteria femorale un’endoprotesi di 20 cm la quale è stata fatta risalire fino all’arco aortico (3). Riducendo il flusso ematico per circa 1 minuto si è proceduto all’apertura dell’arco aortico mediante incisione e all’introduzione dell’endoprotesi nella protesi chirurgica (4) per poi ripristinare il flusso ematico regolarmente. Le due protesi sono state assicurate tra loro con punti di sutura chirurgici supplementari. Il collettore protesico triforcato che irrora i tronchi sovra aortici, viene suturato alla protesi in aorta ascendente. L’intervento è così concluso, con tempi chirurgici ridotti, senza ipotermia profonda né arresto della circolazione sanguigna completo. La paziente non ha avuto complicanze né vi è stato un sanguinamento significativo. Dopo 8 ore dall’intervento è stato iniziato lo svezzamento dal respiratore automatico. La paziente non avrà la necessità di ulteriori interventi essendo stata corretta la patologia aneurismatica per tutta la parte interessata.

(1) protesi valvolare aortica (2) protesi chirurgica (3) endoprotesi (4) collettore TSA


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Alla Clinica Salus il viso del paziente neurologico può tornare a comunicare

Luisa Calizzano ed Elisa Barberis, Servizio di Logopedia, Clinica Salus

L’espressione del volto associata ai movimenti del capo è una delle fonti principali di comunicazione extra-verbale e permette il rapporto con il mondo esterno ed interpersonale. Noi la utilizziamo sempre a sostegno di quanto diciamo, oppure in determinate occasioni in completa sostituzione della parola ad esempio un viso sorridente invita a prendere contatto con la persona, un viso apatico segnala un disinteresse e il volto sofferente riesce ad esprimere uno stato emotivo con maggiore forza delle semplici frasi. Per i pazienti neurologici sarà molto penoso avere un disturbo in tali distretti poiché è di grande ostacolo nell’interazione con il mondo circostante e ciò in particolare a causa del tono anormale, della sensibilità inadeguata, della perdita di movimento selettivo. Il loro volto sarà asimmetrico a volte inespressivo, immobile, privo di emozioni perché gli occhi saranno spalancati come per esprimere stupore o chiusi come rinuncia; la bocca sarà deviata, aperta o nell’impossibilità di aprirsi faticando così a controllare la saliva. Inoltre il capo potrà presentarsi in posizione fissa e l’occhio sano sarà aperto mentre quello leso potrà essere socchiuso. Quindi semplici attività come sorridere, mandare un bacio o arricciare il naso possono accentuare l’asimmetria facciale. Deficit al tratto orale hanno conseguenze negative anche sul linguaggio verbale infatti il paziente neurologico parla lentamente, non è in grado di articolare chiaramente i suoni, tende a parlare a bassa voce, talvolta sembra rauco. Conseguentemente gli risulta difficoltoso esprimere anche i soli bisogni primari e talvolta il suo strano modo di parlare lo porta ad essere facilmente mal giudicato dagli altri venendo considerato, spesso a torto, cognitivamente limitato. Inoltre può essere compromessa un’altra fondamentale attività della vita quotidiana: la deglutizione. Il paziente non è in grado di prelevare il cibo dal cucchiaio o non riesce più a bere dal bicchiere, la masticazione è lenta e talvolta inefficace, tende a morsicarsi le guance a causa della ridotta sensibilità o non riesce ad aprire la bocca e a muovere adeguatamente la lingua. Il cibo spesso tende a ristagnare dal lato plegico tra l’arcata dentaria e la guancia e a fuoriuscire dalla bocca. Tali difficoltà con il passare del tempo possono portare ad una perdita sia del desiderio che della gioia di mangiare non potendo più partecipare serenamente all’atto sociale del riunirsi a tavola. Spesso nel programma di riabilitazione del paziente neurologico il tratto orale viene trascurato! Noi, invece, proprio perché è un aspetto di fondamentale importanza nella vita di tutti i giorni riteniamo debba essere inserito nel programma riabilitativo. Le logopediste, in collaborazione con le fisioterapiste, inizialmente osservano e valutano il volto del paziente poi successivamente impostano un trattamento specifico a seconda delle difficoltà emerse, della gravità del disturbo e del grado di collaborazione del paziente. In tutti i casi gli obiettivi del trattamento sono volti a ridurre l’asimmetria del viso rendendolo più espressivo, a favorire la comunicazione almeno dei bisogni primari e a rendere possibile una adeguata alimentazione ed idratazione. Una volta la moglie di un mio paziente dopo mesi di trattamento mi ha detto: “ che bello poter rivedere mio marito sorridere!”. Sembra un’attività cosi semplice e banale eppure molti dei nostri pazienti non riescono più ad eseguirla. In conclusione è importante riconoscere l’esistenza dei problemi del viso e del tratto orale e quindi poi includerne il trattamento nel programma di riabilitazione.


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Una nuova clinica entra a far parte del Gruppo Policlinico di Monza: è la Casa di Cura San Giuseppe di Asti, una struttura storica per la città piemontese. Fondata nel 1928, è

Benvenuta San Giuseppe

oggi situata sul limitare del centro cittadino, in via De Gasperi 9. Convenzionata fin dagli inizi con il SSN, la San Giuseppe è a tutti gli effetti una vera e propria istituzione per gli astigiani: nell’austera palazzina bianca sono nati (fino a qualche anno fa vigeva una convenzione per l’ostetricia) numerosissimi concittadini di Alfieri, i loro padri e anche i padri dei loro padri. Se i fiori all’occhiello della Casa di cura sono oggi l’Oculistica e la Neuropsichiatria (una convenzione con l’Università consente ai neolaureati di effettuare il tirocinio presso la struttura sanitaria), non mancano altre specialità di elevato profilo: Chirurgia generale, Otorinolaringoiatria, Urologia, Day Surgery, a cui si aggiungono Medicina generale, Lungodegenza e il Laboratorio Analisi. In totale, i posti letto sono 124, di cui 90 accreditati, mentre sono circa cento i dipendenti, distribuiti tra personale sanitario e amministrativo, e una cinquantina i consulenti. Una tipologia dimensionale che, per consentire alla struttura un’operatività professionale e tecnologica di alto livello, impone una scelta di sinergie in grado di realizzare, fra l’altro, economie di scala e integrazioni logistiche, oltre che scientifiche e sanitarie. Con l’ingresso nel Gruppo Policlinico di Monza, la Clinica San Giuseppe vedrà numerose innovazioni: fra gli obiettivi prioritari della nuova gestione sono infatti inclusi la realizzazione del nuovo blocco operatorio, il rinnovamento delle tecnologie – con l’adozione, ad esempio, di una diagnostica per immagini avanzata - e la razionalizzazione degli ambienti e delle attrezzature, così da elevare la qualità dei servizi offerti al pubblico. Entro la fine dell’anno, secondo le previsioni, si dovrebbero già apprezzare i primi, sostanziali cambiamenti; per il completamento dei lavori si dovrà invece attendere la seconda metà del 2007. Due immagini della casa di cura appena unitasi al Gruppo: la facciata della palazzina, con l’ingresso in stile “Ventennio” e la luminosa scala interna che conduce dall’atrio al primo piano


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T

L’Unità Operativa di Chirurgia maxillo-facciale del Policlinico di Monza

ra le varie attività specialistiche medico-chirurgiche che si svolgono nell’ambito della struttura sanitaria del Policlinico di Monza, ci occupiamo oggi del Servizio di Odontostomatologia e Chirurgia Maxillo-Facciale. Il Servizio è coordinato dal Prof. Massimo Pricca e si avvale della collaborazione dei dottori Paolo Loreti, Massimo Ennas, Attilio Bellati e Silvana Khlat; tutta l’attività diagnostica e terapeutica odontostomatologica e chirurgica di carattere ambulatoriale si esplica presso la struttura ad essa adibita nell’ambito del Padiglione Villa su due (e a breve tre) unità operative. I medici strutturati, che sono coadiuvati da personale infermieristico altamente qualificato, svolgono altresì, sulla base di accordi con l’Università degli Studi di Milano e Milano Biccocca e con le Scuole di Specializzazione, attività di formazione teorico-pratica sia per gli specializzandi che per giovani medici e odontoiatri.

Le prestazioni ambulatoriali erogate comprendono: - visite specialistiche odontoiatriche e di chirurgia maxillo-facciale - prestazioni di igiene orale professionale e di terapia parodontale chirurgica e non chirurgica - trattamenti odontoiatrici conservativi di tipo ricostruttivo ed endodontico - trattamenti odontoiatrici protesici, che comprendono da un lato le varie forme di protesi tradizionale fissa e rimovibile, dall’altro tutte le tipologie di moderne protesi ancorate a pilastri implantari - tutti i piccoli interventi di chirurgia orale ambulatoriale Si è inoltre consolidata nel tempo una stretta collaborazione con le altre Unità Operative del Policlinico, in specie con la Rianimazione, con la Cardiochirurgia e con la Cardiologia Riabilitativa, al fine di risolvere, nell’ambito del periodo di degenza, le patologie più significative del cavo orale; lo scopo è quello di semplificare la gestione clinica del paziente, nonché di contribuire a preparare adeguatamente i pazienti candidati a interventi di cardiochirurgia maggiore, con conseguente miglioramento del decorso postoperatorio e riduzione dei tempi di degenza e riabilitazione.

I Dottori Paolo Loreti, Attilio Bellati e Massimo Ennas, Unità Operativa di Chirurgia Maxillo-facciale, Policlinico di Monza

La patologia odontostomatologica e maxillo-facciale di maggiore impegno viene trattata in sala operatoria in anestesia generale.

Le tipologie di interventi più frequenti comprendono: - estrazioni multiple di denti in inclusione ossea totale - asportazione di cisti, corpi estranei e neoformazioni delle ossa mascellari - trattamento chirurgico di sinusiti mascellari - chirurgia ricostruttiva preprotesica dei mascellari atrofici mediante innesti di osso autologo (questo tipo di chirurgia permette,in pratica, di riabilitare con protesi fisse pazienti altrimenti destinati all’utilizzo delle classiche “dentiere”). Responsabile della chirurgia ricostruttiva preprotesica è il Dr. Massimo Ennas. Questa tipologia di interventi si propone di riabilitare mascellari atrofici (ovvero di dimensioni ridotte) e in quanto tali inadeguati al posizionamento di impianti endossei osteointegrabili, destinati a supportare riabilitazioni protesiche fisse o rimovibili. Le suddette atrofie possono conseguire all’utilizzo di protesi mobili incongrue, parodontopatie (malattie delle strutture di sostegno dei denti) non riconosciute e quindi non trattate, traumi, esiti di avulsioni dentarie multiple, malformazioni congenite, interventi chirurgici più o meno demolitivi per neoformazioni di carattere benigno (cisti, ameloblastomi) o maligno (tumori delle ossa mascellari). L’atrofia ossea coinvolge nelle fasi iniziali il processo alveolare (l’osso che sostiene i denti), ma può successivamente interessare anche l’osso basale, con conseguente contrazione dimensionale in altezza e in spessore di grado tale da rendere impossibile il posizionamento di impianti endossei (radici artificiali). Questa chirurgia, altamente specializzata, può essere attuata ambulatorialmente in anestesia locale quando i siti da ricostruire sono di dimensioni contenute; in questo caso la sede elettiva di prelievo osseo è intraorale (mento,settori posteriori della mandibola e del mascellare superiore). Quando invece l’atrofia è estesa, occorre procedere ad ampie ricostruzioni, che in alcuni casi possono riguardare il mascellare superiore e la mandibola nella loro totalità; le sedi elettive di


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1 - Atrofia mascellare superiore 2 - Tac pre-operatoria 3 - Tac post-operatoria 4 - Immagine mascellare superiore con innesti prelevati dalla cresta iliaca anteriore fissati con mezzi di osteosintesi 5 - Panoramica OPT con impianti endossei in situ 6 - Fissazione in oro ceramica: immagine occlusale 7 - Fissazione in oro ceramica: immagine vestibolare

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prelievo in grado di fornire quantità di osso adeguate allo scopo sono l’ala iliaca anteriore e la teca cranica. Questa chirurgia preprotesica maggiore, peraltro riconosciuta dal SSN nell’ambito degli interventi di chirurgia ricostruttiva, viene ovviamente eseguita in anestesia generale in sala operatoria. L’osso innestato e saldamente fissato al sito ricevente deve rimanere “a riposo” per tre-quattro mesi (fase di rigenerazione), prima di poter procedere, previa accurata documentazione radiologica, alla rimozione dei mezzi di osteosintesi e al contestuale posizionamento degli impianti. Dopo un ulteriore periodo di osteointegrazione tali “radici artificiali” potranno essere utilizzate per supportare riabilitazioni protesiche di tipo fisso. -chirurgia ortognatica (correzione chirurgica dei mascellari dismorfici); questa tipologia di interventi si basa su un concetto fondamentale e di facile intuizione: nell’ambito del III inferiore del massiccio facciale estetica e funzione vanno di pari passo. Uno sviluppo armonico dei mascellari è premessa fondamentale per una corretta funzione masticatoria, di fonazione e di respirazione. Dunque, in presenza di asimmetrie ossee e/o di malocclusioni, i provvedimenti terapeutici di tipo ortodontico ed eventualmente ortochirurgico, mentre da un lato contribuiscono a migliorare l’estetica del III inferiore del viso, dall’altro permettono il ripristino di una normale funzionalità masticatoria, respiratoria e fonetica. Responsabile della chirurgia ortognatica è il Dr. Paolo Loreti. I principali dismorfismi facciali quali progenismo (morso inverso), retrognazia (mandibole piccole), microgenie (mento piccolo), asimmetrie dei mascellari, incompetenza occlusale (morso aperto), qualora non suscettibili di correzione mediante trattamento ortodontico conservativo tradizionale, richiedono un approccio combinato ortodontico e chirurgico. La pianificazione del trattamento deve obbligatoriamente essere concertata dal chirurgo e dall’ortodontista di fiducia del paziente. Le varie fasi di preparazione all’intervento vengono monitorate dall’equipe dell’U.O. di chirurgia maxillo-facciale. A preparazione ultimata il paziente viene operato e quindi seguito nel postoperatorio chirurgico per circa quattro settimane; successivamente viene nuovamente inviato all’ortodontista per le rifiniture del caso. Una ulteriore possibilità terapeutica specialistica è rappresentata dalla chirurgia osteodistrattiva, che permette di risolvere problematiche difficilmente correggibili con la terapia chirurgica tradizionale. Queste tecniche, che si basano sul principio proposto e introdotto sul finire degli anni settanta da Ilizarov per l’allungamento degli arti, permettono di ottenere contestualmente lo spostamento tridimensionale dei segmenti ossei dentoalveolari e l’apposizione di osso neoformato che riproduce la morfologia ideale delle basi ossee. - Chirurgia implantare e implantoprotesi: come ampiamente descritto in precedenza, questa tipologia di interventi permette di riabilitare mediante protesi fisse pazienti altrimenti destinati all’utilizzo di protesi rimovibili complete o parziali. Responsabile del Servizio di Chirurgia Orale e Implantare è il Dr. Attilio Bellati. La 4 richiesta da parte dei pazienti di soluzioni protesiche fisse è in continuo aumento e una ulteriore espansione è prevedibile a breve – medio termine, in relazione alla ormai assodata affidabilità e predicibilità delle metodiche di chirurgia orale riabilitativa integrata, nonché all’altissima percentuale di successi delle 6 metodiche implantari in mani esperte.

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19 L’attività dell’ambulatorio di Odontostomatologia e dell’unità operativa di Chirurgia Maxillo-facciale dal periodo 1 giugno 2005 al 31 maggio 2006

ODONTOSTOMATOLOGIA

CH. MAXILLO-FACCIALE

ablazione tartaro completa altra estrazione chirurgica di dente applicazione corona in porcellana o resina estrazione dente otturazione in composito visita specialistica odontoiatrica visita specialistica odontoiatrica di controllo altro interventi di chirurgia maxillo facciale

TOTALE

94 54 61 247 140 848 135 355 121 2055

“Cos’è cambiato negli ultimi 10 anni nella diagnosi e cura del paziente cardiovascolare” 14-16 settembre 2006, Audito rium del Castello di O viglio (Alessandria) Clinica Città di Alessandria Presidente Prof. Elvio Covino Program director Dr. Mario Fabbrocini

Il programma di questo Corso on line cardiovascolare si propone di focalizzare le nuove tecniche diagnosticointerventistiche per il trattamento delle patologie cardiovascolari. Solo 10 anni orsono non erano nell’uso quotidiano alcuni tipi di procedure che oggi invece rappresentano la soluzione preferita. Cos’è cambiato nell’approccio al paziente cardiovascolare? Proveremo ad affrontare alcuni degli aspetti di questa evoluzione particolarmente legata al progresso tecnologico che ci ha visto recettori attenti e attivi. In questi ultimi anni abbiamo aperto le nostre sale operatorie a strumenti diversi come il Tavolo radiotrasparente con l’arco Röntgen, l’attrezzatura per videoscopia, device per ablazione. Abbiamo creduto nella possibilità di rendere le discipline, una volta divise per competenze, interattive assorbendo l’esperienza proveniente dall’emodinamista, dal radiologo esperto in TAC e RMM, dall’elettrofisiologo. Si è investito nell’angio TAC coronarica, nell’uso dello stent carotideo, nel trattamento chirurgico della FA, nell’endoprotesi aortica, nella chirurgia port-access. Questo atteggiamento ci ha arricchito di novità

promuovendoci artefici di un nuovo approccio, per la prima volta al mondo, nel trattamento della patologia aneurismatica dell’aorta ascendente, arco e discendente in un unico tempo senza arresto di circolo nel dicembre 2005. Con una rivisitazione degli ultimi 10 anni e con il confronto di tutti i partecipanti e relatori sarà possibile provare a capire cosa è cambiato nell’approccio alla patologia cardiovascolare con un occhio rivolto anche al nostro territorio. Questo 3° corso della serie COL-CV si svolge in due giornate con interventi in diretta. Vi saranno esperti che tratteranno gli argomenti che abbiamo individuato tra i più sensibili alle nuove tecnologie: • TAC coronaria - Angio TAC – RMM vascolare • Chirurgia e interventistica nel trattamento della stenosi carotidea e dell’aneurisma aortico • Approccio innovativo al trattamento dell’aneurisma dell’aorta toracica in toto • Fibrillazione Atriale : isolamento delle vene polmonare con i nuovi cateteri e con tecnica mini–invasiva • Valvuloplastica mitralica mini – invasiva con PortAccess


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Direttore Scientifico: Prof. Elio Guido Rondanelli Monza Via Amati 111 - Monza Tel. 039 28101 www.policlinicodimonza.it Dir. Sanitario: Dott. Giulio Cesare Papandrea

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