http://www.isiao.it/asmara/testi/Asmara_tekle

Page 1

2178 ISIAO ASMARA 24x22:2178 ISIAO ASMARA

60

2-12-2008

10:50

Pagina 60

La casa in colonia: il modello Asmara

ASMARA

LULGHENNET TEKLÈ

Nella prima fase della colonizzazione, che va dal 1889 all’inizio del Novecento, Asmara non si configura ancora come una città, in quanto è essenzialmente un insieme di edifici sparsi e vari nuclei abitativi. La capitale dell’Eritrea è solo la sede burocratica della colonia, anche se dal 1890 sorgono i primi edifici di tipo occidentale che hanno l’aspetto di villini e sono adibiti ad uffici del comando militare. Questi villini si trovano ad ovest del villaggio eritreo, nel luogo dove, all’inizio del secolo, verranno creati i giardini del Palazzo del governatore. Dall’inizio del Novecento, però, prende l’avvio un vero sviluppo edilizio1 e prende corpo il tentativo di far abbandonare ad Asmara l’aspetto di villaggio, per darle un’immagine di capitale. Questa crescita della città, secondo modelli architettonici occidentali2, non segue una ricerca stilistica definita e il risultato è sempre piuttosto discontinuo, ma se si deve individuare una matrice comune si può affermare che è per lo più quella eclettica, con spunti neorinascimentali; infatti: … oltre all’architettura classica troviamo qui diverse ispirazioni, come l’architettura cinese, quella indiana (…) mentre il moresco mediato da elementi goticizzanti resta, iconograficamente, lo stile preferito per quell’edilizia che non deve necessariamente rappresentare lo Stato3.

In Italia, dalla fine degli anni Venti, si avvia un ripensamento sul carattere architettonico da attribuire alle città delle colonie, creando anche dei modelli d’abitazione4. Allo stesso tempo, a partire dagli anni Venti, Asmara avvia il suo processo di mutamento in città «italiana»5. La ricerca di un modello residenziale adatto alle colonie è legata alle informazioni che arrivano dall’Italia, attraverso i nuovi residenti o i cronisti che giungono a visitare la città. Così, quasi improvvisamente, la questione dello «stile» della casa in colonia viene affrontata anche ad Asmara6. Molti degli esempi caratterizzanti le architetture di questa fase edilizia si trovano fra le tipiche ville e villette asmarine dall’aspetto pittoresco, talvolta dall’impianto rinascimentale, ma adornate da torrette, aperture a bifore o trifore e colonne corinzie (si vedano, ad esempio, le foto 4, 7, 9-10). Una delle più cono-

sciute è villa Hamasien, progettata dall’ingegnere Paolo Reviglio nel 1920, poi trasformata in albergo nel 1935 (foto 24). Il suo aspetto, alquanto insolito per l’Africa, ha elementi tipici dell’architettura del nord Europa, come la copertura della torre, rivestita da lastre di ardesia ed estremamente inclinata7. Il 5 maggio 1936 gli italiani entrano ad Addis Ababa. Il 9 maggio Mussolini proclama la nascita dell’impero. Dopo anni di isolamento l’Eritrea, e in particolare Asmara, ricevono un interessamento economico ed edilizio da parte delle istituzioni italiane, che favorisce un repentino sviluppo della colonia, anche se è la capitale etiopica il fulcro della loro attenzione. Comunque è bene ricordare che a usufruire di questo sviluppo sono soprattutto gli italiani. Infatti, vige uno stato di segregazione8 che si ripercuote anche sull’urbanistica e sull’architettura. La città continua ad essere divisa in tre zone: europea, mista e per indigeni. La «colonia primogenita» cessa di essere una lontana provincia italiana: sulla stampa e nei cinegiornali le colonie dell’AOI raggiungono una presenza assidua e sulle pagine della stampa italiana si pubblicano le foto dei nuovi edifici asmarini9; tuttavia queste non sono quasi mai correlate da spiegazioni o citazione dei progettisti, rivelando un atteggiamento che è continuato per tutto il periodo della colonizzazione e che condiziona la conoscenza e la comprensione dell’architettura della città. L’imperativo che coinvolge tutta la città, a partire dalle istituzioni pubbliche ai privati, è quello di costruire una «nuova» Asmara (un esempio di questa tendenza è la demolizione e ricostruzione di palazzo Minneci, foto 22-23). Nel giro di tre anni la zona europea raddoppia la sua estensione allargandosi verso sud10. Ciò che più meraviglia è sia la velocità di queste operazioni, sia il modo e lo stile scelto per la «nuova Asmara», poiché, abbandonate quasi totalmente le facciate rosso mattone, si ridisegna una città dalle linee semplici e razionali in totale affinità con lo spirito del tempo. Se nella prima fase coloniale gli architetti non si erano inseriti realmente nel processo costruttivo delle colonie, dal 1936 la costituzione dell’impero offre loro l’occasione di proporre fuori dall’Italia la questione della definizione di un’ar-


2-12-2008

10:50

Pagina 61

chitettura moderna e fascista11. Il razionalismo, che non riesce ad imporsi in Italia come architettura di Stato, trova nelle colonie la possibilità di esprimersi più liberamente. Esso viene esportato insieme ad un’idea di latinità che trova origine nelle colonie del Mediterraneo. La definizione di uno stile coloniale è così dominata dalla ricerca di quello che viene definito «spirito mediterraneo»12. Questa è la proposta italiana per un’architettura moderna che ha anche come scopo la conquista di una nuova supremazia dell’Italia nel panorama internazionale13. Ma se l’ispirazione principale proviene dal Mediterraneo, il riflesso giunge fino alle sponde del Mar Rosso, con lo scopo di «...riaffermare in colonia l’impronta stilistica del dominio imperiale di Roma...»14. La nascita dell’impero porta con sé, però, le problematiche legate al costruire sull’altopiano, diverse da quelle connesse al costruire nelle colonie del Mediterraneo, accendendo anche la questione della casa in Asmara15, che sorge ad oltre 2.300 mt. sul livello del mare. Si possono, perciò, intravedere due opposte correnti. Ci sono da una parte coloro che propongono di assumere anche ad Asmara quei modelli moderni ormai stabiliti, dalle linee pure e dalle forme semplificate; dall’altra parte si schierano, invece, coloro che sono ancora a favore di modelli che rispondono alle necessità funzionali, legate ai forti sbalzi di temperatura, alle abbondanti piogge, alle difficoltà provenienti dall’alta quota. In sintesi le posizioni che si scontrano e sottolineano l’ambivalenza stilistica che caratterizza la città sono, da un lato quelle che prediligono il modello alpino e, dall’altro, con quelle che sostengono le qualità formali del modello di razionalismo mediterraneo. Intanto il dibattito, che si svolge anche sulle pagine delle riviste d’architettura, innesca un processo che porta alla definizione di quello che deve essere lo stile coloniale italiano. Ma le posizioni dei diversi architetti che affrontano questo argomento, come Carlo Enrico Rava, Luigi Piccinato, Giovanni Pellegrini, non sono il frutto di un reale confronto. Quello che risulta è l’espressione di opinioni individuali, che tendono a confluire in un’idea astratta di mediterraneità16. I riflessi del dibattito avviato in patria sul «costruire in colonia» arriva anche in Eritrea. Nella critica di Piccinato alle opere edili del primo periodo di espansione coloniale italiana, vista come «...l’epoca del più malaugurato eclettismo architettonico...»17, sembra ravvisarsi l’immagine di Asmara durante la prima colonizzazione, quando appunto, anche nella capitale eritrea,

… era l’epoca degli «stili»: il committente era incerto se ordinare all’architetto la sua villa in stile gotico, in stile pompeiano o in stile «svizzero»; per i grandi palazzi all’architetto (o meglio all’ingegnere) era concesso valersi degli elementi del «romano» classicamente vitruviano o di quelli del primo rinascimento o di quelli del timido barocchetto; per le stazioni, per le officine, per le scuole e per le tombe di famiglia, il gotico in mattoni a strisce chiare e scure era in lizza col bizantino veneziano18.

Già nel 1933 Luigi Piccinato, durante la V Triennale di architettura, propone un progetto per una casa in colonia, descritto anche su «Domus»19, dove è evidente l’ispirazione alla grande concezione romana e il passaggio dall’impluvium al patio, attorno al quale si distribuiscono le stanze. La tipologia che propone è quindi quella mediterranea. Ma, nel 1940, soffermandosi sui diversi ambienti e climi delle colonie italiane, Piccinato, in un articolo su «Africa italiana»20, sembra contraddire il suo stesso modello di casa coloniale, assoggettando alle necessità funzionali quelle formali e negando un qualsiasi carattere architettonico specifico per le case da costruirsi in Eritrea ed Etiopia. Egli, infatti, propone per le abitazioni di Asmara un modello vicino a quello delle ville costruite fino al 1936, sullo stile di villa Hamasien. È un modello funzionale con tetti a forte pendenza, per il periodo delle abbondanti piogge e caminetto per contrastare l’escursione termica notturna. Ma è una tipologia che trova forti critiche fra chi vuole far prevalere, sull’aspetto funzionale, la creazione di un’architettura coloniale italiana intonata ad un modello mediterraneo. Proprio quegli elementi così sollecitati dal punto di vista funzionale dall’Italia, sono ora rinnegati in Asmara dal punto di vista stilistico. A dimostrazione di questo si nota come le indicazioni di chi ha visitato la città, e propone uno stile di casa razionale e mediterranea, sono immediatamente assorbite ad Asmara. Un esempio è quello dell’articolo redatto da Rocco Morabito su «Il Messaggero», durante una visita in città, nel quale si critica aspramente il quartiere dei villini con al centro villa Hamasien: Pensate sono tutte case costruite ad imitazione delle villette svizzere. Hanno tutte – come se ciò fosse stato loro imposto da un’ordinanza governativa – il tetto fortemente inclinato. Naturalmente tutti questi tetti, imitanti alla perfezione quelli di Cortina d’Ampezzo e di St. Moritz sono da anni in malinconica attesa delle nevicate alpine, per accogliere le quali forse furono costruiti. Lo stesso albergo

61

L ULGHENNET T EKLÈ | LA CASA IN COLONIA

2178 ISIAO ASMARA 24x22:2178 ISIAO ASMARA


2178 ISIAO ASMARA 24x22:2178 ISIAO ASMARA

ASMARA

62

2-12-2008

10:50

Pagina 62

Hamasien non è altro che un albergo d’alta montagna trapiantato in Africa21.

Solo due settimane dopo la pubblicazione dell’articolo di Morabito, su «Il Corriere dell’Impero»22 di Asmara viene ripreso il medesimo concetto, ricalcando anche lo stesso linguaggio: «Le villette svizzere, dal tetto fortemente inclinato che attendono invano le copiose nevicate sono un pietoso anacronismo sotto il sole dei tropici»23. Morabito, però, non si limita alle sole critiche, ma suggerisce anche un suo modello, ovvero di utilizzare l’architettura mediterranea i cui modelli vengono già utilizzati e ripresi dai razionalisti italiani, e scrive: Sia dato bando allo stile elvetico, per dare alle future costruzioni – come stile e come struttura pratica – l’impronta del nostro temperamento mediterraneo reso ancora più ardente al sole dei tropici. L’architettura mediterranea – tipici esempi: quella siciliana, quella caprese, quella araba – offre preziosissimi elementi ai nostri giovani architetti, che non hanno che da vederli con occhio moderno, da perfezionarli attraverso il vaglio delle nuovissime esperienze e da modellarli secondo la loro preparazione e cultura24.

Si fa pressante, quindi, in Asmara il tentativo di contrastare la tendenza a costruire abitazioni e ville secondo il modello della prima colonizzazione e cogliere immediatamente i suggerimenti provenienti dalla madre patria. Le abitazioni costruite dopo il 1936, di conseguenza, rispondono ai nuovi modelli architettonici. Infatti, la città deve ora rispondere alle esigenze di una moderna capitale. Questo perché il nuovo processo architettonico, che coinvolge la città, deriva direttamente dal dibattito maturato in Italia e ripreso successivamente anche in Eritrea. Nelle nuove abitazioni, rispetto alle ville costruite prima del 1936, il tetto a falde è sostituito da un tetto piano spesso a terrazza, mentre i mattoni a facciavista dei prospetti sono sostituiti da pareti intonacate (si vedano ad esempio le foto 77-78, 80-82, 95). È introdotto l’uso di pilotis, porticati e superfici curve, talvolta c’è anche un tentativo di introdurre finestre a nastro. Mentre in Italia ci si interroga su come dovesse essere rappresentata un’architettura fascista e moderna e il dibattito rimbalza dalle pagine delle riviste alle mostre d’arte e d’architettura, ad Asmara si costruisce. La lontananza della colonia sembra essere in questo caso un fattore positivo, almeno per quanto riguarda la velocità e la quantità delle opere realizzate, poiché non esiste un reale controllo da parte dell’Italia.

Il periodo intercorso fra il 1935-36 e la fine della colonizzazione italiana, avvenuta con l’occupazione inglese nel 194041, segna il massimo sviluppo dell’edilizia residenziale pubblica e privata. Il primo e più urgente problema che l’amministrazione comunale di Asmara deve risolvere è proprio quello delle abitazioni, poiché la città non è pronta a sostenere l’arrivo dei nuovi emigranti, essendo del tutto insufficienti le strutture esistenti. Si procede, quindi, a costruire rapidamente e in totale autonomia rispetto all’Italia, attuando un processo che si riflette indirettamente in tutto ciò che concerne la scelta dello stile da adottare. Il rapporto fra la colonia e l’Italia è solo di tipo economico. Infatti, dall’analisi di una serie di telegrammi intercorsi nel 1937 fra il governatore dell’Eritrea, Vincenzo De Feo, e il Ministero dell’Africa italiana e nel 1938-39 fra il sottosegretario per l’Africa italiana Attilio Teruzzi e il nuovo governatore Giuseppe Daodiace, si può ottenere un quadro chiarificatore di come si mantengano i contatti fra le parti25 ed è interessante notare che non si riscontra alcun riferimento a progetti precisi, né si trova un confronto fra le due parti per ciò che concerne l’approvazione dei progetti. Quando esiste un rendiconto da parte di Asmara, questo tende a voler sottolineare più le spese di costruzione, mentre si tralascia di specificare il modo con cui si sta procedendo. Inoltre non esistono accenni in materia di stile o su quali tipologie edilizie si vogliano adoperare e il più delle volte neppure vengono indicati i luoghi dove si prevede di edificare. Un’altra delle cause che portano ad una certa indipendenza nella progettazione e nella scelta dello stile è dovuta al fatto che in Eritrea non opera in modo diretto l’INCIS26, Istituto nazionale case impiegati dello Stato, già attivo nelle colonie dal 1930. Le sue mansioni invece le esplica l’Ufficio delle opere pubbliche del Governo dell’Eritrea, che si arroga la libertà di fare le sue scelte in modo indipendente rispetto alla madre patria. La realizzazione, su progetto dell’ing. Bonicelli, sovrintendente per l’architettura e l’urbanistica dell’impero, delle abitazioni dell’IFACP (Istituto fascista autonomo case popolari di Addis Ababa), di cui Guido Ferrazza diviene direttore tecnico sul finire degli anni Trenta, viene stigmatizzata da un corsivista del giornale eritreo che si firma L.B. Questi da un lato rileva che «...l’aspetto architettonico dei fabbricati decorosi e piacenti così come lo saranno gli interni, vuole sanamente affermare il carattere italiano della casa per gli italiani anche dell’impero27…» ; da un altro lato, però, rivolge forti critiche alle architetture che stanno sorgendo «…in tanta sbrigliatura di fantasie pseudomodernistiche e in tanta spregiudicatezza di rapporti di toni e di volumi di cui Asmara dà così largo esempio…»28.


2-12-2008

10:50

Pagina 63

Interi nuovi quartieri di abitazioni sorgono in periferia, come anche nelle vie rappresentative. L’asse portante della città è determinato da viale Mussolini (oggi Harnet Avenue), che la separa sviluppandosi secondo una direttrice est-ovest e confluisce in piazza De Cristoforis, dalla quale si dipana viale De Bono (attualmente Sematat Avenue) in direzione sud-ovest. Intorno a questa area, che è anche il nucleo del primo insediamento italiano, si continua a costruire edifici, realizzati per lo più da istituzioni pubbliche, integrando palazzi per uffici e case d’abitazione senza soluzione di continuità (si vedano ad esempio le foto 54, 56, 94, 96). Sono stati pure eseguiti due fabbricati per alloggi di impiegati, uno in Viale De Bono e l’altro in Viale Garibaldi, entrambi di notevole importanza, sia dal lato della mole che da quello architettonico decorativo (foto 74). Comprendono ciascuno dodici appartamenti dei quali ognuno composto di quattro camere, più i servizi, conformi alle esigenze più moderne29. Nel centro cittadino solitamente sono preferiti, alle ville, i palazzi per abitazioni, sia per accentuare l’aspetto monumentale della zona, che ha un carattere rappresentativo, sia perché spesso al piano terra vengono installati uffici e negozi. Comunque il tipo di casa preferito è sempre quello uni- o bifamiliare e un esempio delle abitazioni, ispirato a questo modo di progettare, si vede nei sei villini ad un piano rialzato per impiegati costruiti nel 1939, dall’Ufficio opere pubbliche, tre in un’area nelle vicinanze di viale Garibaldi (Bdho Street), in prossimità dell’incrocio con viale De Bono (Sematat Avenue), e tre sul viale di circonvallazione30. Questi villini, ognuno differente dall’altro, sono comunque tutti della medesima dimensione e hanno quattro vani, pareti intonacate, tetto piano o terrazza di copertura e una veranda. La veranda è un elemento fondamentale, poiché permette di creare una zona di passaggio dall’interno all’esterno, dove è presente il giardino. La copertura delle sei abitazioni è piana, anche se diversificata e le forme «conferiscono agli stabili un aspetto modernissimo e signorile»31. Quindi, in generale, per la casa si ritiene che: … non occorrono i fasti di una costruzione mastodontica. Qui occorrono piccole costruzioni leggere, civettuole, moderne. In tutti i modi bisogna quanto più possibile evitare gli alveari all’americana. Lasciamo ai nostri amici yankees il gusto di grattare il cielo coi polpastrelli. Noi siamo per una linda casetta, profumata di latinità tutta mediterranea …32.

Di nuovo perciò si rivendica la necessità dell’utilizzo di uno stile «latino», riprendendo così le indicazioni provenienti dal

dibattito sull’architettura in colonia che si sta svolgendo in Italia. Quello spirito mediterraneo che si rivolge essenzialmente alle architetture del nord Africa è ora arrivato ad Asmara. Elena Fondra Asti, i cui arredamenti per le case degli alti funzionari italiani ad Addis Ababa vengono pubblicati su «Domus», si costruisce invece una villetta ad Asmara ispirandosi al modello proposto da Piccinato nella V Triennale. Pubblicata anch’essa su «Domus», viene descritta così: Il pregio della casetta consiste tutto nella sua semplicità: e può essere di esempio alle infinite nuove costruzioni che purtroppo, anche nella nostra colonia, vogliono ancora gareggiare con gli stili eclettici dei policromi padiglioni da fiera. La casetta che sentiamo ha tutto il suo valore nella chiarezza della linea che ne risolve il carattere e nei franchi accordi di vive tonalità …33.

In un confronto con la casa coloniale della V Triennale, si nota che i dettagli non sono completamente risolti. Infatti, le finestre non sono a nastro e la copertura piana è segnata da un cornicione che rompe la purezza dei volumi, mentre negli interni si nota ancor di più la scarsa aderenza al modello mediterraneo. Anche l’interno è logico e caratteristico: ambienti, sino al possibile, senza porte: pareti bianche a calce, pavimenti di linoleum bianco e, a volta, un arco o una porticina che invece di aver la funzione di ostilmente separare ha la funzione ben più viva di incorniciare dei nuovi punti di vista34.

Il risultato complessivo è tale da indurre Rava a scagliarsi contro la … anonima e correntissima sciatteria pseudo-moderna di tante casette, tutte somiglianti, e tutte, da Tripoli all’Asmara, ad Addis Abeba, ugualmente impersonali ed amorfe (delle quali ne abbiamo viste gli scorsi anni, e non senza sorpresa, pubblicate parecchie su «Domus»: Briani, Dazzi Di Fausto, Fondra)…35.

e in modo più specifico contro gli allestimenti interni creati da Elena Fondra nella sua casa di Asmara dove «...ha collocato un caminetto in mattoni rossi che, come stile, starebbe bene a Cortina: forse perché l’Asmara è in montagna ...»36. Un altro modo di pensare alla costruzione dell’edilizia residenziale è rappresentato dalla costruzione di case unio bifamiliari, concentrate in quartieri residenziali per i colo-

63

L ULGHENNET T EKLÈ | LA CASA IN COLONIA

2178 ISIAO ASMARA 24x22:2178 ISIAO ASMARA


2178 ISIAO ASMARA 24x22:2178 ISIAO ASMARA

2-12-2008

10:50

Pagina 64

ASMARA

64

Arch. Elena Fondra Asti, villa, 1940

ni, «villaggi», comprensivi di tutte le necessità. Il villaggio37 è del tutto autosufficiente e risponde in modo completo a tutte le esigenze dei suoi abitanti, tranne per ciò che riguarda la produzione e l’economia. Il fatto che, inoltre, sia immerso nel verde corrisponde alla volontà di realizzare l’ideale della città giardino. Il tema della città giardino è ampiamente utilizzato e studiato per tutte le colonie e anzi proprio Asmara è vista dall’Italia come un esempio da seguire «…la città coloniale italiana dovrebbe avere il carattere di città giardino (idea non nuova perché l’abbiamo già ottimamente attuata in Asmara)…»38. Ma non viene seguito il modello di Howard39, bensì quello delle greenbelts40, città satelliti statunitensi, dato che i «villaggi» dipendono comunque dalla città. Anche per le ville giardino costruite in via Capparelli (oggi 171-9 street), dell’architetto Aldo Burzagli, si rispetta il medesimo indirizzo espresso dai villaggi e cioè realizzare una città giardino41. Burzagli progetta un tipo di casa giardino italiana e coloniale che si può ritenere un modello per Asmara. Per rispondere all’incessante richiesta di alloggi, derivante dall’aumento della popolazione italiana, sono costruite case con fondi pubblici per diverse fasce sociali; sono, infatti, costruiti «villini signorili» e «villette a schiera economiche»

(foto 124). Vengono, quindi, realizzati interi nuovi quartieri residenziali alla periferia sud e nord-ovest della città quali Ghezza Banda, Gaggiret e il villaggio De Cristoforis. Il villaggio De Cristoforis nella zona Paradiso42 alla periferia nordovest di Asmara, lungo la strada per Keren (noto fra gli asmarini come «villaggio paradiso»), progettato dall’architetto Petrone è composto da una serie di villette e appartamenti economici. Ogni villetta ha anche un piccolo giardino e «Il progetto comprende oltre a queste case di abitazioni tutto quanto possa concorrere ad un quartiere di vita cittadina con tutte le sue esigenze di vita politica, spirituale, ricreativa (...) sul piazzale d’ingresso sarà collocato un artistico gruppo in bronzo rappresentante “Il lavoro”»43. Nel villaggio sono inoltre realizzati una serie di giardini pubblici e parchi, mentre per le attività di svago e di incontro sono realizzate la sede del dopolavoro, la casa del gruppo rionale, la palestra, campi di calcio e da tennis ed è presente anche una chiesa. In definitiva si può concludere che, nel breve periodo che va dalla proclamazione dell’impero italiano nel 1936 alla sua fine nel 1941, Asmara modifica completamente il suo aspetto, come scrive da Asmara Curzio Malaparte sul «Corriere della Sera», nel 1939:


2-12-2008

10:50

Pagina 65

Le strade ampie, diritte, la disposizione e lo stile degli edifici, l’intensità del traffico, l’incredibile quantità di lussuose macchine che percorrono veloci e silenziose i suoi grandi viali fiancheggiati di case candide, dalle linee pure, moderne, di palazzi di vetro e di cemento, dignitosi e intelligenti (…) tutto rileva chiaramente l’intimo spirito di questa città sorta in soli quattro anni – dico quattro anni – le linee del suo avvenire, le idee e la volontà che presiedono al suo sviluppo alla sua funzione al suo destino. Chi ha visto l’Asmara prima del 1935, chi l’abbia vista anche soltanto nel 1937, oggi non la riconoscerebbe più. Dov’è la piccola città di provincia, l’Asmara «coloniale» di quattro di cinque anni or sono? (…) Era uno specchio l’Asmara di quel tempo: lo specchio coloniale dell’Italia borghese. Quell’età è ormai morta, altre età sono nate44.

Malaparte non attesta solo il rinnovamento edilizio attuato ad Asmara dopo il 1935, ma sostiene soprattutto il programma politico che sta alla base di questa spinta edificatoria, ovvero affermare il progetto imperiale mussoliniano che si esplica attraverso una generica affermazione di italianità. L’architettura è un mezzo di propaganda politica, funzionale all’edificazione dell’impero, che il regime utilizza per autocelebrarsi, è la rappresentazione del potere come viene affermato nell’Appello agli architetti italiani: «La conquista dell’Impero fascista pone ora innanzi alla nostra esuberante vitalità un altro compito poderoso: la Sua realizzazione costruttiva»45. L’architettura in colonia assurge, quindi, al ruolo di simbolo della grandezza dell’Italia. Ma ad Asmara la volontà mussoliniana di edificare una capitale imperiale è espressa più da uno slancio edificatorio che da un vero e proprio indirizzo stilistico. Infatti, lontano dalla madrepatria, si crea per i progettisti italiani, spesso ignoti46, la condizione per sperimentare e progettare in totale autonomia e in una maniera che altrimenti sarebbe probabilmente limitata alle sole mostre d’architettura o a dibattiti sulle pagine delle riviste, con una libertà di pensiero e di azione che spesso in Italia è inimmaginabile: … la relativa marginalità rispetto ai luoghi centrali della scuola e della professione consente loro, in più di un’occasione, di aderire senza infingimenti e mediazioni ai significati di una variegata modernità ove all’idea di progetto fa seguito con naturale immediatezza il concreto esito edilizio47.

Gli architetti e i progettisti, che operano in città negli anni Trenta, liberi dalle imposizioni del regime, riescono a costruire nel rispetto dei canoni espressi sulle riviste: «Le nuove costruzioni dell’Italia imperiale saranno di spirito italiano ma di forma sanamente moderna: qui si misurerà la fecondità e l’originalità dei nostri architetti, che hanno davanti a sé un campo libero da dogmi stilistici e legamenti ambientali»48. Essi, ispirati e influenzati dai grandi maestri, hanno la possibilità e la capacità di realizzare edifici, su un altopiano dell’Africa subsahariana, che seguono i modelli di quel periodo, passando dall’art decò al futurismo al razionalismo, in una composizione mediterranea e moderna49. In questo modo, sia che si tratti di edilizia residenziale, pubblica o privata, di residenze unifamiliari o di edifici ad appartamenti, Asmara si pone come modello e luogo di sperimentazione di quello stile latino e moderno che proviene dal dibattito sull’architettura che si sta svolgendo in Italia.

65

L ULGHENNET T EKLÈ | LA CASA IN COLONIA

2178 ISIAO ASMARA 24x22:2178 ISIAO ASMARA


2178 ISIAO ASMARA 24x22:2178 ISIAO ASMARA

ASMARA

66

2-12-2008

Note 1 Nel primo decennio del Novecento, ha inizio la costruzione di quegli edifici che, seppur senza una continuità urbana e stilistica, caratterizzano la città dandole anche un'identità. Si veda Governo della Colonia Eritrea. Gabinetto dell’Alto Commissario per l’Africa Orientale, Opere pubbliche in Eritrea, (s.d. ma successivo al 1935), p. 19, in ARCHIVIO STORICO DIPLOMATICO DEL MINISTERO AFFARI ESTERI, Roma (d’ora innanzi ASDMAE), Archivio storico del Ministero Africa italiana (d’ora innanzi ASMAI), b. 13, fasc. “Opere pubbliche”. Riferimenti interessanti per comprendere lo sviluppo edilizio di Asmara e avere una descrizione e una cronologia degli edifici di rilevanza civile e militare si trovano in G. STEFANINI, I possedimenti italiani in Africa, Firenze, Bemporad, 1929, p. 147; TOURING CLUB ITALIANO, Possedimenti e colonie: isole egee, Tripolitania, Cirenaica, Eritrea, Somalia, a cura di L.V. BERTARELLI, Milano 1929; CONSOCIAZIONE TURISTICA ITALIANA, Africa Orientale italiana, Milano 1938. 2 Sono emanate, nel 1914, delle norme edilizie che regolano la disposizione topografica, i caratteri funzionali e l'aspetto esteriore delle nuove costruzioni (d.g. 21 gen. 1914, n. 1909 e d.g. 28 aprile 1914, n. 1973). 3 G. GRESLERI, L’Architettura dell’Italia d’Oltremare: realtà, finzione, immaginario, in Architettura italiana d’oltremare 1870-1940, a cura di G. GRESLERI – P. G. MASSARETTI – S. ZAGNONI, Venezia, Marsilio, 1993, p. 33. 4 Sulla storia del dibattito fra gli architetti italiani sull’edilizia nelle colonie, si veda: M. FULLER, Moderns Abroad: Architecture, Cities and Italian Imperialism, London, Routledge, 2006. 5 Nel 1935, alla vigilia della creazione dell'impero italiano d'Africa orientale, Asmara ha modificato molto il suo aspetto e nuove costruzioni vengono edificate; infatti, «Il tucul di Ras Alula

10:50

Pagina 66

sembra appartenere a un tempo remoto, e ora lo circondano villette fiorite e giardini (…) In trentasei anni di vita la Capitale eritrea ha fatto molto cammino. Soprattutto ha assunto l'aria delle capitali, con le sue strade asfaltate, gli edifici lindi, il palazzo del Governatore di un'eleganza sobria e confortevole, il teatro, i caffè» in G. MARESCALCHI, Eritrea, Milano, Bietti, 1935, pp. 46-47. 6 Dal 28 marzo 1938, sul «Il Corriere eritreo», viene pubblicato «l'angolo delle case brutte»: foto di case fatiscenti, proprio a sottolineare l'importanza di un adeguamento dell'edilizia alle nuove richieste estetiche. 7 Per un censimento degli edifici di maggior interesse architettonico costruiti nel periodo della colonizzazione italiana si faccia riferimento ai volumi: Asmara Style, a cura di L. ORIOLO, Scuola italiana, Asmara, 1998; E. DENISON – G.Y. REN – NAIGZY GEBREMEDHIN, Asmara: Africa's Secret Modernist City, London, Merrell, 2003; Asmara: A Guide to the Built Environment. Asmara, Cultural Assets Rehabilitation Project, 2003. 8 Sulle politiche segregazioniste si veda in questo volume G. BARRERA, Asmara: la città degli italiani e la città degli eritrei, pp. 12-27. 9 Foto di edifici asmarini vengono ad esempio pubblicate con regolarità su «Gli Annali dell’Africa italiana». 10 Per una trattazione più esauriente delle vicende relative alla pianificazione urbana di Asmara si faccia riferimento a: Architettura italiana d’oltremare… cit.; S. ZAGNONI, Architettura nelle colonie italiane in Africa, in «Rassegna», 1992, 51, pp. 16-27; S. ZAGNONI, Eritrea: i primi insediamenti, «Rassegna», 1992, 51, pp. 28-35; Divina Geometria, a cura di E. LO SARDO, Maschietto & Musolino, Roma, 1995; E. LO SARDO, Asmara 1935-1939: La crescita razionale, in Asmara Style… cit., pp. 48-53, E. DENISON – G.Y. REN – NAIGZY GEBREMEDHIN, Asmara: Africa's…

citata.

Su «Architettura» viene pubblicato un Appello agli architetti italiani per incoraggiare la spinta costruttiva nel campo urbanistico ed edilizio: «La conquista dell'Impero fascista pone ora innanzi alla nostra esuberante vitalità un altro compito poderoso: la Sua realizzazione costruttiva»; Realizzazione costruttiva dell’impero. Appello agli architetti italiani, in «Architettura: rivista del Sindacato nazionale fascista architetti», XV (1936), 6, pp. 241-244. Per una trattazione specifica sul rapporto fra architettura e fascismo si vedano i volumi: S. DANESI – L. PATETTA, Il Razionalismo e l'architettura in Italia durante il fascismo, Milano, Electa, 1976; G. CIUCCI, Il dibattito sull'architettura e le città fasciste, in Storia dell'arte italiana, a cura di F. ZERI, Torino, Einaudi, 1983, vol. VII; C. CRESTI, Architettura e fascismo, Vallecchi, Firenze, 1986; G. CIUCCI, Gli Architetti e il fascismo, Torino, Einaudi, 1989; C. DE SETA, L'architettura del Novecento, in Storia dell'arte in Italia, Milano, Garzanti, 1992; F. BRUNETTI, Architetti e fascismo, Firenze, Alinea, 1993; C. DE SETA, La cultura architettonica in Italia tra le due guerre, Bari, Laterza, 1983. 12 «...vale a dire architettura nostra, viva, moderna e razionale, in grado di dare tutto quello che è richiesto dalle particolari condizioni di ambiente e clima. Il razionalismo nudo e freddo ci è venuto dal nord, si è ammorbidito, intonato acquistando luce e colore in Italia, si affermerà e si potenzierà nelle terre nuove…», G. BARBERO, L’architettura coloniale, in «L'Azione coloniale», 28-29 lug. 1936, p. 3. 13 «Dopo i Romani, oltre lo smembramento e il sovvertimento del formidabile impero, al di sopra di ogni invasione edilizia orientale, persiana, od araba, (secoli di alta marea!) l’Occidente ritenta la sua rivincita (…) Ora ecco che, dopo tanti illustri direttissimi antenati, torna ancora una volta a noi l’eccezionale compito. Esportatori di civiltà e di cultura, di lavoro e di 11

arti, facciamo buona scelta del nostro bagaglio», F. REGGIORI, Architettura coloniale e architettura coloniale, in «Rassegna di Architettura», VIII (1936), ottobrenovembre, p. 342. 14 C. E. RAVA, Di un’architettura coloniale moderna, in «Domus», 1931, 40, p. 40. 15 Per una trattazione sul tema della casa in colonia si veda S. ZAGNONI, Abitare nei territori d’Oltremare, in «Rassegna», 1992, 51, pp. 16-27; S. ZAGNONI, Abitare l’Altopiano. La casa coloniale per l’Africa Orientale, in Architettura italiana d’oltremare… citata. 16 Giovanni Pellegrini scrive il Manifesto dell'architettura coloniale in cui sintetizza in nove punti la sua idea di progettazione nelle colonie. L'architettura coloniale è per lui un'architettura con un forte valore sociale e con riferimenti alle tradizioni locali, dove però per le abitazioni «…l’estetica dovrà esaltare il valore plastico dei muri intonati al colorito cielo mediterraneo, ravvivati da note di colore e di vegetazione sulle masse bianche...»; G. PELLEGRINI, Manifesto dell’Architettura Coloniale, in «Rassegna di architettura», VIII (1936), ottobre-novembre, p. 349. Carlo Enrico Rava comincia a scrivere su «Domus» a proposito dell'architettura coloniale già all'inizio degli anni Trenta, ma anch’egli rivolge la sua attenzione in modo quasi esclusivo alle questioni e alla situazione del nord Africa. Il suo obiettivo è quello di trarre ispirazione dalle atmosfere libiche per giungere alla definizione di un’architettura razionale, ma dall'indole latina. Negli anni successivi continua a pubblicare articoli sulle questioni legate alle colonie, ma appunto fino al 1936 si occupa delle sole coste del Mediterraneo. Successivamente, quando l’interesse generale si allarga al panorama delle colonie dell’Africa orientale, nei suoi scritti aggiunge ai temi legati alla codificazione dei modelli architettonici per le colonie un interesse per l'aspetto tecnico e per i problemi che comporta la vita in situazioni disagiate o di precarietà. Nel 1941 gli viene affidato l’incarico


di organizzare la Mostra dell’attrezzatura coloniale alla VII Triennale, con la collaborazione degli architetti Pellegrini, Piccinato, Malchiodi e D’Angelo. Dall'analisi di questo diverso tema deriva una rubrica dal titolo Per la casa e la vita in colonia, pubblicata durante tutto il 1941 in «Domus», sulle attrezzature e sugli arredi smontabili per la vita di lavoro lontano dai centri urbani. 17 L. PICCINATO, La casa in colonia. Il problema che si prospetta ai nostri architetti, in «Domus», 1936, 101, p. 22. 18 Ibidem. 19 Id., La casa in colonia, in «Domus», 1936, 102, p. 17. 20 Id., La donna e la casa in colonia, in «Africa italiana», luglioagosto 1940, 7-8, pp. 49-50. 21 R. MORABITO, È arrivato un architetto, in «Il Messaggero», 7 lug. 1936, 161, p. 3. 22 Il quotidiano di Asmara è dal 1928 «Il Quotidiano eritreo». Nel 1936 è rinominato «La Nuova Eritrea». Si trasforma in «Il Corriere dell’Impero» subito dopo la conquista dell'Etiopia, ma, quando viene deciso di titolare così anche il quotidiano pubblicato ad Addis Ababa, il 4 novembre 1936 muta nuovamente in «Il Corriere eritreo». Si deve considerare che l'analisi degli articoli pubblicati non è completa poiché non è reperibile l'annata che va dal 1937 a tutto il 1938. 23 ALCOR, La città coloniale di domani, in «Il Corriere dell'Impero», 21 lug. 1936, 174, p. 3. 24 R. MORABITO, È arrivato… citata. 25 Telegrammi di De Feo al Ministero dell'Africa italiana, 19 mar., 28 mar., 8 ago. e 18 sett. 1937; e di Daodiace al Ministero dell’Africa italiana, 20 gen. 1938 e 16 mag. 1939 in ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Ministero dell’Africa italiana, busta 110, f. «Costruzioni». 26 Per una trattazione più generale dell’opera dell’INCIS si veda S. ZAGNONI, L’attività dell’INCIS degli «uomini bianchi», in Architettura italiana d’oltremare… citata.

2-12-2008

10:50

Pagina 67

27 L.B., Cento appartamenti economici e popolari, in «Il Corriere eritreo», 11 gen. 1940, 9, p. 2 (l’articolo è corredato da foto). 28 Ibidem. 29 Opere dell'anno XVI, dattiloscritto inviato dal governatore Daodiace al giornalista F. Pattarino, in ASDMAE, ASMAI, b. 13, fasc. «Opere pubbliche». 30 Villini per impiegati, in «Il Corriere eritreo», 14 apr. 1939, 89, p. 4 (l’articolo è corredato da foto). 31 Ibidem. 32 BEPI, Casette non alveari, in «Il Corriere eritreo», 19 dic. 1936, 305, p. 3. 33 Una casetta all’Asmara, in «Domus», 1940, 146, p. 42 (l’articolo è corredato da foto). 34 Ibidem. 35 C.E. RAVA, Per la casa e la vita in colonia, in «Domus», 1941, 158, p. 62 36 Ibidem. 37 La dicitura villaggio, in questo caso, indica i quartieri destinati ai coloni, anche se, più comunemente, con il termine villaggio si indicava un agglomerato edilizio destinato agli ascari, come il villaggio Azzurro e il villaggio Scalera (foto 87-90), che sono costruiti con l’interesse specifico di organizzare la periferia e per il decoro complessivo della città. Si veda Il nuovo pittoresco villaggio di Acria, in «Il Corriere eritreo», 28 mag., 1939, n. 126, p. 4; Nuova architettura anche per gli eritrei, in «Il Corriere eritreo», 27 ott. 1939, 255, p. 7; C. E. RAVA, Per la casa e… cit., p. 62. 38 A. BARBERO, L’edilizia al servizio dell'Impero, in «Il Corriere eritreo», 15 apr. 1937, 89, p. 2. 39 Ebenezer Howard formulò nel 1898 l’idea di città giardino, ovvero di una città in aperta campagna «dotata di abitazioni di tipo rustico, nonché di impianti industriali e di tutti i servizi e luoghi di intrattenimento culturali» in N. PEVSNER – J. FLEMING – H. HONOUR, Dizionario di architettura, Torino, Einaudi, 1981, p. 313. 40 Le greenbelts sono agglomerati residenziali dotati di centri ricreativi, ma che dipendono per le possibilità di lavoro dalla città; ibid., p. 153.

41 Le ville sono intonacate, ad un piano e con cortile interno. All’esterno hanno un porticato sorretto da pilotis. Hanno coperture piane e prospetti intonacati, in L.B., Edilizia asmarina. Case e ville d’abitazione, in «Il Corriere eritreo», 7 feb. 1940, 32, p. 2 (l’articolo è corredato da foto). 42 Il nome di questa zona deriva da Guglielmo Paradiso, un contadino che, arrivato ad Asmara nel 1896, ebbe dal governo una concessione agricola in tale area. 43 Il villaggio De Cristoforis, in «Il Corriere eritreo», 5 apr. 1939, 81, p. 4 (l’articolo è corredato da foto). 44 C. MALAPARTE, L’Africa non è nera. Città dell'Impero bianco, in «Il Corriere della Sera», 13 mag. 1939, 113, p. 3. 45 Realizzazione costruttiva dell’impero… cit., p. 241. 46 I progettisti che operano ad Asmara sono spesso sconosciuti e anche Carlo Enrico Rava, in un articolo su «Domus», si pone, nel 1937, una domanda fondamentale su una questione in parte ancor oggi irrisolta, interrogandosi sulle nuove costruzioni di Asmara e su chi le stia progettando: «Ebbene, di nuovo chiediamo, e non ci stancheremo di chiederlo: chi sono gli architetti di queste opere, e sono per lo meno architetti?»; C. E. RAVA, Costruire in Colonia, in «Domus», 1937, 109, p. 27. 47 G. MURATORE – D. PIZZI, Oltremare, Sabaudia, Sirai, 2001. 48 Ibidem. 49 Oltre alle foto già citate, esemplificative di quello che è stato qui definito «il modello Asmara» si possono vedere le foto 33, 49, 52, 53, nonché le foto di villa Matteoda (architetto A. Bianchi, 1938) in S. RAFFONE, Eritrea incognita. Appunti sul razionalismo italiano, in «D’Architettura», 1993, 11, p. 60; e le foto di ville in E. DENISON – G.Y. REN – NAIGZY GEBREMEDHIN, Asmara: Africa’s… cit., pp. 192-99.

67

L ULGHENNET T EKLÈ | LA CASA IN COLONIA

2178 ISIAO ASMARA 24x22:2178 ISIAO ASMARA


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.