L'autonomia siciliana nella storia

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1. Significato del termine “Autonomìa”

Il significato giuridico - politico - istituzionale del termine “Autonomìa” è desumibile tanto dallʼetimologia (dal greco αυτός→stesso e νoμός→legge, e quindi “capacità di autolegiferare”), quanto dallo sviluppo storico dell'istituto. In senso generale, questo termine significa esercizio diretto del potere e si può far rientrare nella più vasta area concettuale relativa al fenomeno del decentramento, indicante il complesso delle caratteristiche strutturali di uno Stato democratico, volte a garantire e potenziare le autonomìe locali o, in determinati casi, a consentire ad enti territoriali intermedi, a base regionale, di amministrare e di legiferare su materie specifiche.

2. Formazione della coscienza autonomistica in Sicilia

La nostra isola, grazie al pluralismo istituzionale previsto dall'art. 5 della Costituzione (che riconosce il principio dell'autonomìa locale), rientra tra le cinque regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Valle d'Aosta). Gli statuti speciali sono approvati e riconosciuti dall'art. 116 della Costituzione. Questa distinzione comporta per la Sicilia e le altre quattro regioni a statuto speciale il godimento di un'autonomìa maggiore rispetto a quella attribuita alle regioni a statuto

Testo Coordinato dello Statuto Speciale per la Sicilia

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ordinario, direttamente disciplinate dalla Costituzione ( articoli dal 114 al 123). L'esperienza autonomista in Sicilia ebbe inizio il 15 maggio 1945, quando fu approvato lo Statuto della Regione Siciliana. Quella data rappresenta una pietra miliare nella storia istituzionale italiana. Prima dell'introduzione dello Statuto in Sicilia e del varo della Costituzione, lo Stato Italiano, nel corso della sua storia e attraverso i vari regimi che si erano succeduti, si profilava come struttura accentratrice, che concentrava i poteri legislativi nel Parlamento nazionale ed attribuiva i poteri amministrativi al Governo ed ai suoi Ministri. Per comprendere il significato che l'introduzione dell' Istituto dellʼAutonomìa riveste nel divenire storico della Sicilia, d'Italia e d'Europa, bisogna ripercorrere il cammino della formazione di una coscienza autonomistica nell'isola. In tale contesto, bisogna anche considerare ogni singolo elemento capace di fornire terreno propizio all'impianto del sentimento autonomista delle sue popolazioni. Tra questi la particolare posizione geografica, le molteplici risorse naturali, la permanenza dei grandi invasori e la loro conseguente naturalizzazione, lo stratificarsi di una civiltà culturale di altissimo livello e di grande apertura.

3. La “Nazione Sicilia”

La tenace rivendicazione della dignità di “Nazione” attraversa tutta la storia della Sicilia, sorretta dalla consapevolezza degli altissimi livelli di civiltà raggiunti nel corso della sua storia. Un valore importante per la formazione del concetto di “Nazione Sicilia” l'ha dato il regnum normanno, iniziato nel Natale del 1130

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con Ruggero II nel Duomo di Palermo. La grande esperienza del Regno Normanno in Sicilia segnerà la nascita dello Stato moderno. La città di Palermo, nel 1129, aprì i battenti al primo Parlamento in Europa. Esso esercitava un controllo sul monarca attraverso i “bracci” costituiti dalle rappresentanze del ceto nobiliare e degli ecclesiastici, e anche attraverso il “braccio demaniale”, di cui facevano parte le rappresentanze delle città libere. Questo istituto può vantare un primato temporale rispetto agli altri istituti parlamentari italiani ed europei. Esso anticipa la nascita dello stesso Parlamento inglese, avvenuta nel 1264. A dare alla monarchia normanna una connotazione di modernità, di efficienza e di apertura culturale senza confronti nell'area mediterranea ed europea del tempo, concorrono altri aspetti peculiari: la perfetta organizzazione burocratica, basata su funzionari statali e non più sull'organizzazione feudale dei vassalli, valvassori e valvassini; il suo carattere laico; il clima di civile coesistenza e sincretismo tra le varie etnie presenti; lo spirito di tolleranza religiosa. Scrive in proposito Umberto Rizzitano che allora «la Sicilia si rese garante […] di una pacifica convivenza fra vincitori e vinti. […] Il vero miracolo avvenne con Ruggero II, che attuò in Sicilia la più feconda simbiosi della nostra storia, prestandosi alla ingente accettazione ed al conseguente coordinamento di tutte le policrome forze operanti nel suo regno quelle arabe e bizantine soprattutto - amalgamate sul piano di una produttiva intesa» (U. Rizzitano, in F. Giunta e U. Rizzitano, Terra senza crociati, Palermo, Flaccovio, 1967, pp. 62-63).

La Sicilia centro del Mondo Mediterraneo

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4. La fine del Regnum

Re Ferdinando II di Borbone

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Dopo aver visto i fasti delle corti normanna e sveva, e dopo aver goduto per secoli del prestigio di essere una monarchìa autonoma, il 15 maggio 1815, per la Sicilia arrivò una grande delusione: la decisione di Ferdinando di Borbone, IV re di Napoli e III di Sicilia, di procedere allo scioglimento del nuovo Parlamento che era stato inaugurato a Palermo il 19 luglio 1812. Si trattava di un istituto a struttura bicamerale e a carattere liberal-conservatore, sul modello inglese, composto da una Camera dei Comuni, elettiva, con sistema elettorale a base censitaria, e dalla Camera dei Pari, che inglobò anche la Camera Ecclesiastica. Subito dopo quel gesto autoritario, che ledeva profondamente la dignità del popolo siciliano, Ferdinando si allontanava alla volta di Napoli, lasciando a Palermo, con il ruolo di luogotenente generale, suo figlio Francesco. Invano i siciliani riposero fiducia in Francesco, invogliandolo a mettersi a capo di una monarchia costituzionale siciliana. A dissolvere ogni illusione giunse da Napoli nel 1816 la notizia che Ferdinando aveva abolito la Costituzione del 1812, vera conquista di civiltà del popolo siciliano. Scrive Rosario Romeo che questa Costituzione aveva rappresentato «il trionfo di una concezione ispirata alla moderna libertà sul mondo delle libertà antiche», ponendo «le fondamenta di una redistribuzione della proprietà terriera più conforme ai nuovi rapporti economici stabilitisi nellʼisola. Essa può anche dirsi, dunque, la soluzione che il settore più avanzato della vecchia classe dirigente diede, o propose, del problema posto dall'apparizione della nuova borghesìa agraria nella vita politica ed economica del Paese: ed, in questo senso, e per i principi ai quali si ispirò, essa ebbe certamente un valore di progresso nella storia


siciliana» (R. Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, Bari, Laterza, 1950, p. 139). In data 8 dicembre 1816 Ferdinando aveva emanato l'Atto di Unione, con il quale avveniva lʼunificazione del Regno di Napoli e di Sicilia sotto la denominazione di “Regno delle due Sicilie”. Così la gloriosa monarchìa siciliana veniva letteralmente cancellata dalla nuova carta geografica d'Europa. Ferdinando, cercava di difendere il suo gesto sostenendo che non avrebbe potuto essere, contemporaneamente, sovrano costituzionale a Palermo e monarca assoluto a Napoli. Palermo perse moltissimo in prestigio cessando di essere il centro della vita di corte.

5. Tre rivoluzioni siciliane

Questi episodi spiegano la volontà rabbiosa dei Siciliani di riconquistare le prerogative perse. I moti che divamparono nell'arco dell'Ottocento (1820-21, 1848-49, 1860) avevano questo comune denominatore, anche se ognuno di essi manifestò una matrice ideologica specifica. La rivolta del 1820-21, destinata a spegnersi con la dura repressione del Generale Colletta, aveva carattere separatista. L'insurrezione del 1848-49, durata ben sedici mesi, era orientata a una prospettiva federalista. Sotto la guida di Rosolino Pilo e di Giuseppe La Masa, gli insorti cacciarono i Borboni, instaurando un Governo provvisorio che adottò la Costituzione del 1812. A Napoli Ferdinando II concedeva la Costituzione lʼ 11 febbraio 1848. I contadini procedettero all'occupazione delle terre, assaltarono il macinato, bruciarono i diritti di proprietà. I comitati

Regno delle Due Sicilie

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Francesco Crispi

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rivoluzionari locali esercitavano il potere, occupandosi di armare le squadre popolari. Intanto Ruggero Settimo, chiamato alla guida del Governo provvisorio, rifiutò la soluzione del compromesso costituzionale con Ferdinando II, proclamò l'indipendenza e assegnò la reggenza ad Alberto Amedeo, figlio di Carlo Alberto. L'orientamento del Governo Siciliano era favorevole alla formazione di una federazione di Stati italiani. Il 28 marzo 1848, adottando come stemma il segno della Trinacria, la Sicilia aderiva come Stato indipendente all'Unione e Federazione Italiana. Nell'intento di riportare l'ordine nell'isola, sconvolta dagli eccessi dei rivoltosi, Ruggero Settimo costituì una Guardia Nazionale. Nello stesso tempo un corpo di spedizione inviato da Ferdinando II marciò alla volta della Sicilia per stroncare il moto. Dopo aver opposto un'eroica resistenza Palermo cadde il 15 maggio 1849. Infine, nel segno dellʼadesione alla causa unitaria, ebbe luogo sotto la regìa di Francesco Crispi, l'insurrezione scoppiata a Palermo il 4 aprile 1860. Una prolungata guerriglia tenne in scacco l'esercito borbonico per preparare il terreno a Garibaldi, che poteva sbarcare a Marsala (11 maggio 1860). La presenza in Sicilia dell'eroe dei due mondi, salutata come portatrice di giustizia sociale e libertà, resta purtroppo legata ad una delle pagine più dolorose della storia siciliana: la repressione di Bronte, che soffocò in un bagno di sangue la rivolta antipadronale dei contadini. Spaventati dal pericolo di sommovimenti sociali, gli agrari siciliani si fecero sostenitori dell'annessione al Piemonte, destinata ad essere ratificata con il plebiscito del 5 novembre 1860. Si potè procedere allo scioglimento delle istituzioni garibaldine e delle istituzioni autonome.Tuttavia, non taceva la voce dei “sicilianisti”, la cui posizione veniva esplicitata con vigore argomentativo da Michele Amari, in un opuscolo apparso nell'estate del 1860: «Se l'annessione alle province emancipate d'Italia è necessaria, il conservare l'autonomìa sicula è indispensabile».


6. Verso lo Stato accentrato

Alimentava molte speranze la propensione di Cavour per la linea di decentramento amministrativo. Nell'ottobre 1860 scriveva: «Il Parlamento che accoglierà nel suo seno i deputati di tutte popolazioni italiane non disconoscerà certo i bisogni di ciascuna di esse. Il Parlamento sarà organo di concordia, di unione, non di tirannìa centralizzatrice. Né la Sicilia, la sola delle province italiane che abbia antiche tradizioni parlamentari dovrebbe dimenticarlo. […] Abbiamo introdotto il sistema delle regioni, sta al Parlamento fecondarlo». Purtroppo, malgrado gli auspici di Cavour e l'elaborazione di vari progetti a favore di una struttura parzialmente decentrata del nuovo Stato unitario, fu la soluzione accentratrice a imporsi nella Camera dei Deputati di Torino. Come scrive Rosario Romeo, l'accentramento si realizzò «sulla base di un compromesso fra Stato accentratore e ceti dominanti che, se da un canto consolidò lo Stato e rese possibile l'unità, dall'altro rese assai spesso meramente illusorio il regime liberale nell'isola: e falliva quasi completamente in quella funzione di freno alla strapotenza dei maggiorenti locali che d'altronde gli sarà attribuita solo più tardi» (R. Romeo, Il Risorgimento, cit., pp. 341-342). A far sventolare idealmente in Sicilia la bandiera dell'autonomismo era rimasto ormai solo il Partito Regionalista. Di seguito, il commento di Carmelo Fucarino sulla soluzione accentratrice adottata dallo Stato Italiano: «L'operazione fu nefasta e risultò la palla al piede dello sviluppo dell'isola, l'ennesima sopraffazione e l'errore politico, che la lasciò con problemi irrisolti e ne sovrappose nuovi. Ma le lezioni della storia non servono agli interessi della politica e anche la nuova Germania unificata piange - e forse noi

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pure - le conseguenze di una scriteriata annessione territoriale, ma non politica e sociale» (C. Fucarino, Stratigrafia del Comune di Prizzi come metafora della storia dellʼisola, edito dal Comune di Prizzi, 2005, vol. II, LʼOttocento, p. 462). I problemi economico-sociali dell'isola confluivano nell'alveo della più generica «questione meridionale», espressione che abbraccia il complesso delle difficoltà connesse con il sottosviluppo dell'Italia meridionale ed insulare, emerse all'indomani della proclamazione del Regno d'Italia (1861). Si tratta di problemi che hanno continuato a rappresentare drammaticamente il nodo dello sviluppo economico e del processo di democratizzazione del nostro Paese, la cui mancata soluzione, nel caso specifico della Sicilia, ha contribuito ad accrescere le spinte autonomiste e separatiste che, solo nel 1946, hanno portato al conseguimento dello Statuto Siciliano.

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