Ticino7

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№ 17 del 26 aprile 2013 · con Teleradio dal 28 apr. al 4 mag.

LODANO

Un giovane fotografo ticinese alla ricerca delle sue radici C  T · RT · T Z ·  .–



Ticinosette n. 17 del 26 aprile 2013

4 Arti Mostre. Maledetto a chi? di aLessandro TabaCChi ............... 6 Mundus Anziani. Nuove senilità di duCCio CanesTrini .............. 7 Kronos Lo scandalo della finitezza di FranCesCa rigoTTi............ 8 Fiaba Il sogno di Luigi di Fabio MarTini .................................. 10 Vitae Tim Montorfani di roberTo roveda ............................... 12 Reportage Lodano di g. Fornasier; FoTo di a. ToMMasini ....... 37 Luoghi Vela. In viaggio con Mamé di g. Thoeni e L. roMiTi.... 42 Tendenze Arredamento. Home sweet home di M. gorza .... 44 Astri ...................................................................................... 46 Giochi ................................................................................... 47 Agorà Carcere. Il senso della pena

di

L. PedeviLLa e C. CriveLLi ..

80 HOURS ON YOUR SIDE

Che clima farà? Ho letto con grande interesse “Il futuro del clima” di Silvano De Pietro (Ticinosette n. 13/2013) nel quale però ho trovato solo quelle argomentazioni che avvallano la politica ambientale svizzera, ma che nascondono la vera situazione mondiale. Quello che facciamo in Europa è da virtuosi, ma è una goccia nel mare. (...) Non si parla mai del fallimento del protocollo di Kyoto, che non ha per nulla realizzato, nemmeno minimamente, il suo obiettivo che era quello di ridurre le emissioni di gas serra del 5% rispetto al 1990, mentre nella realtà è aumentato del 45%. Questo perché (...) solo 40 stati del pianeta (34 sono europei) si sono preoccupati di essere virtuosi e seguire le direttive ONU, e tra gli assenti troviamo i più grandi inquinatori. Il medesimo trattato denominato Kyoto 2 è poi stato fatto proseguire dopo la conferenza di Doha con risultati che saranno ancora più fallimentari, in quanto i paesi aderenti alle nuove direttive si sono ridotti a 33 (tutti europei) che dovranno sopportare rispetto al primo trattato, un carico doppio di incombenze che graveranno pesantemente sulla loro popolazione in termini finanziari, in quanto questi 33 paesi producono in totale solo il 14% (la Svizzera lo 0,13%) di tutte le emissioni del pianeta, mentre il resto del mondo continuerà a fare quel che gli pare. Il problema non è di facile soluzione ma andrebbe intrapreso da tutti i governi del pianeta, altrimenti non si risolverà nulla e questa mancanza decisionale farà solo il gioco di chi in queste situazioni ne trae beneficio finanziario: gli speculatori. Cordiali saluti, F. O. (Pazzallo) Impressum Chiusura redazionale venerdì 19 aprile Editore Teleradio 7 SA 6933 Muzzano Redattore responsabile Fabio Martini Coredattore Giancarlo Fornasier Photo editor Reza Khatir Tiratura controllata 68’049 copie Amministrazione via Industria

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Il senso della pena Giustizia. Spesso, quando una persona che ha commesso un grave crimine esce dal carcere dopo aver scontato la pena, l’opinione pubblica sembra percorsa da un’ondata di indignazione. Doveva davvero uscire dopo quello che ha fatto? Che pericolo può rappresentare ancora per la società? Forse dimentichiamo che i debiti con la legge hanno un termine oltre il quale si ha il diritto di rientrare a far parte del consesso sociale di Laura Pedevilla e Claudia Crivelli

L’

Agorà 4

essere umano del ventesimo secolo sembra aver superato la paura: viaggia nello spazio, si lancia da 40mila metri d’altezza a corpo libero, sfida e indaga i fenomeni della natura. Ma pur apparendo temerari e sicuri di noi stessi, restiamo tuttavia vittime di un’arcaica paura: quella dei criminali. Come nell’antichità, ci ostiniamo ancora a voler reprimere le persone che commettono reati sempre e comunque con il carcere, possibilmente “gettando la chiave” nei casi peggiori, senza ricordarci che, secondo l’attuale diritto, la persona, presto o tardi, dal carcere dovrà uscire. La nostra legislazione è incentrata oggi sulla risocializzazione e il reinserimento delle persone che hanno commesso un reato. Dopo la totale abolizione della pena di morte in Svizzera nel 20031 e confermata l’assenza dell’ergastolo (pur ammettendo l’internamento dettato dall’art. 64 del Codice penale)2, le ultime modifiche al Codice penale hanno introdotto nuove sanzioni in questa direzione, quali il lavoro d’utilità pubblica, il divieto d’esercitare una professione, la cauzione o la confisca. Eppure sembra che, nel profondo, l’opinione pubblica continui a vedere la prigione, la sofferenza e l’esclusione come giuste risposte all’attuazione di un crimine. Approfittiamone dunque per riflettere sulle ragioni d’essere delle sanzioni penali, qualunque esse siano: qual è lo scopo della sanzione? Perché “puniamo” chi ha commesso un reato? Che cosa si vuole ottenere rispondendo a un crimine con la prigione, la pena pecuniaria, il lavoro pubblico o quant’altro? Pena o palliativo? Nella storia dell’umanità, alle soluzioni messe in atto per remprimere i crimini sono stati attribuiti molti obiettivi, alcuni riferibili all’autore del reato e altri alla società, con una serie di opzioni che vanno dalla sofferenza dell’individuo alla sua riabilitazione. Fra queste, la vendetta è

forse il più antico, ben rappresentato dalla cosiddetta lex talionis: occhio per occhio, dente per dente, una pratica ancora adottata in alcuni paesi. Con l’affermarsi del potere statale e del concetto di stato come garante dell’individuo, queste forme punitive sono andate scemando. Altra idea, introdotta dai greci, è stata quella dell’espiazione e della sofferenza. Nel mondo ellenico infatti, solo l’esclusione infamante dell’individuo che aveva violato l’ordine delle cose, attuata attraverso l’allontanamento e l’esilio, poteva ristabilire l’equilibrio. A oggi, benché nessun testo di legge lo espliciti, questo concetto rimane visibile, per esempio, nella restrizione dell’autonomia e nella privazione di spazio e di libertà che la reclusione carceraria comporta. Queste risposte hanno anche un valore di deterrenza, perché uno degli obiettivi della sanzione rimane l’effetto dissuasivo, sia nei confronti della persona punita (prevenzione speciale) sia per quanto concerne i potenziali delinquenti (prevenzione generale). Nella società moderna, le sanzioni – prima fra tutte la prigione – sembrano però essere considerate un deterrente debole: nell’opinione pubblica vi è la diffusa convinzione che le nostre prigioni siano di fatto degli “hotel a cinque stelle”, una convinzione che lascia trasparire un senso di malcontento a riguardo. Ma se le nostre prigioni non hanno più le catene, non prevedono più torture o sottomissioni estreme, è proprio perché lo scopo della reclusione è cambiato negli anni. A partire dall’ottocento, l’interesse si è spostato dalla mera punizione dell’individuo alla sua rieducazione (ai tempi attuata in rigidi riformatori), cioè alla volontà di “rimettere in riga” le persone. Benché i metodi siano cambiati negli anni (grazie anche alla crescente sensibilità in tema di diritti dell’uomo), la reintegrazione della persona nella società resta ancor’oggi lo scopo che si prefigge il nostro Codice penale. Ed è proprio su questo punto che nasce la discrepanza


La famosa prigione di Sing Sing, stato di New York (1914). Immagine tratta da wikipedia.com

tra quello che dispone la legge e le posizioni espresse dall’opinione pubblica che, spesso, ritiene la nostra giustizia troppo permissiva. Quello che è importante ricordare è però che il nuovo diritto non difende solo gli interessi degli autori dei reati: la giustizia rieducativa attuale si basa infatti sulla reintegrazione, ma anche sulla difesa sociale e la gestione del rischio. In altre parole l’inserimento dell’individuo tiene in considerazione il rischio che ciò implica per la società. Un processo progressivo Il concetto di gestione del rischio si propone infatti di valutare e ridurre il rischio di recidiva di ogni persona, consigliando, tramite valutazioni criminologiche specifiche, percorsi individualizzati al fine di intervenire sulle lacune personali. Al contempo, è anche possibile che il giudice imponga misure cautelari (di contenimento dell’eventuale recidiva) come per esempio il divieto di esercitare una professione o frequentare un luogo, o l’obbligo di seguire un trattamento. L’inserimento nella società si crea dunque in modo progressivo e in funzione degli aspetti salienti per l’individuo. Facciamo un esempio. Se un giovane di vent’anni, senza lavoro, commette dei furti per far fronte a una situazione economica precaria, le sanzioni applicate dovranno favorire il suo inserimento professionale o formativo. Si dovrà cercare di sostenerlo affinché trovi una stabilità e una regolarità finanziaria che, contemporaneamente, lo dissuaderanno dal commettere in futuro ulteriori reati. Se invece il reato è stato dettato da problemi psichiatrici, oppure da problemi legati a relazioni interpersonali, la presa a carico della persona dovrà essere gestita in modo assai diverso. Qualunque sia il progetto d’inserimento individualizzato, la giustizia moderna prevede dunque la presa in consi-

derazione non solo delle lacune e delle caratteristiche dell’autore, ma anche delle esigenze di sicurezza sociale e, soprattutto, della vittima. L’autore di un reato ha infatti delle responsabilità nei confronti della vittima (a cui risponde il diritto civile, pronunciandosi sul risarcimento dei danni) e nei confronti dello stato (alle quali risponde il diritto penale tramite la sanzione). Contrariamente al passato, oggi la vittima non è difesa solo dal diritto civile ma è parte integrante di tutto il procedimento penale: la Legge federale concernente l’aiuto alle vittime di reati (LAV) difende infatti alcuni diritti fondamentali della vittima in ambito penale3. Inoltre, il risarcimento dei danni causati alla vittima così come riconosciuto dalla LAV è uno degli obiettivi dell’esecuzione della sanzione, pianificata secondo l’art. 75 cpv. 3 del Codice penale. Così descritta, la giustizia moderna sembra offrire quindi un buon equilibrio tra le esigenze della società, della vittima e dell’autore. Ciò nonostante, il reinserimento degli autori di reati implica nel concreto la loro liberazione, e accettare tale obiettivo significa, a nostro parere, essere disposti a investire delle risorse nei confronti di questi individui. La legislazione, con tutte le modifiche apportate e sopra descritte, ha già predisposto i mezzi per farlo: i debiti con la giustizia hanno un termine e un detenuto, presto o tardi (salvo eccezioni: vedi internamento), uscirà dal carcere. La domanda che dobbiamo porci è dunque la seguente: “come vogliamo che ciò avvenga? Con quali mezzi vogliamo che la persona rientri a tutti gli effetti nella società? E soprattutto, siamo pronti ad accettare che delle energie siano investite per persone che hanno commesso qualcosa di sbagliato, che ci hanno forse fatto del male?”.

note 1 La Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) del 1950 garantisce il diritto di ogni uomo alla vita, ammettendo tuttavia come eccezione l’esecuzione di una sentenza di morte (se pronunciata dal tribunale di un Paese la cui legge la prevede). Da allora, il diritto nazionale ed internazionale si è orientato verso l’abolizione della pena di morte. Nel 1982, in Europa è stato accettato il Protocollo n. 6 della CEDU (entrato in vigore in Svizzera il 1° luglio 2003). Esso prevede l’abolizione della pena di morte in tempo di pace. Non esclude tuttavia la pena di morte per atti commessi in tempo di guerra o di pericolo imminente di guerra. 2 Secondo il nostro Codice penale (2007) la pena massima prevista in Svizzera è di venti anni di carcere. Un giudice può tuttavia ordinare l’internamento se l’autore ha commesso reati come l’assassinio, l’omicidio, il genocidio, lo stupro, la presa d’ostaggi, l’incendio, il brigantaggio o qualunque altra infrazione per la quale ha gravemente pregiudicato l’integrità di una vittima e se sussiste la seria possibilità che una volta liberato egli commetta gli stessi reati. L’esecuzione di una pena privativa di libertà precede l’internamento. Se si prevede che l’autore sia in grado di comportarsi correttamente in libertà, il giudice può fissare la liberazione condizionale, ma la sicurezza pubblica deve essere garantita. 3 Tale legge prevede, per esempio, il sostegno immediato e a lungo termine alla vittima, il contributo per le spese di aiuto o l’assenza di costi per le procedure, l’indennizzo e la riparazione morale. Questo servizio è gratuito e confidenziale. Per servirsene non è necessario aver sporto denuncia.

Agorà 5


Maledetto a chi?

Dopo la trionfale mostra dedicata a Picasso, a Palazzo Reale di Milano si espongono fino a settembre le opere di Modigliani, Soutine, Utrillo e altri, riuniti sotto la discutibile definizione di “artisti maledetti” di Alessandro Tabacchi

Jonas Netter è stato un avveduto collezionista e mecenate ebreo che negli anni dieci del novecento scoprì Modigliani e Soutine, collezionando un gran numero di loro opere assieme a quelle di Utrillo, Derain e tanti altri. La mostra di Palazzo Reale a Milano – aperta sino all’8 settembre; artpalazzoreale.it – rappresenta dunque un boccone assai ghiotto per gli amanti della pittura moderna. Curiosamente, il titolo dell’esposizione pone con molta enfasi l’accento sul “maledettismo” di questi artisti (e ben nota è la difficile condizione esistenziale in cui vissero molti di loro). Ma perché sentiamo la necessità di attirare pubblico dicendo che un artista è “maledetto”?

Arti 6

nel mondo, per confinarla nella prigione (a volte dorata, molto spesso invece squallida e costrittiva) della singolarità, del capriccio brillante, o al massimo, dell’intrattenimento curioso. Benché molte volte siano stati gli artisti stessi a ritrarsi volontariamente nell’esilio del “maledettismo”, per debolezze personali o idealismo sfociato nell’autonegazione, tuttavia non si può ignorare vi sia qualcosa di profondamente disequilibrato nella nostra comune visione dell’arte.

Condannati a essere sé stessi La verità è che a partire dall’ottocento abbiamo in larga misura dimenticato l’eredità rinascimentale, che aveva consegnato al mondo la figura dell’arFigli di un tempo confuso tista come supremo artigiano, per riCome ben sappiamo, Amedeo Mocreare una figura di creatore ambigua, digliani, Chaim Soutine e Maurice per metà eroe e per metà fallito, allo Utrillo, gli artisti “maledetti” di questesso tempo intellettuale e fenomesta mostra, sono in buona compano da baraccone, una collocazione gnia: da Vincent Van Gogh e Henri utile a renderlo innocuo. de Toulouse-Lautrec, passando per Ricordare una figura come quella di Jackson Pollock fino ad arrivare a Francesco I che si prodigò per avere J.-M. Basquiat e Keith Haring – e ciai suoi servizi Leonardo da Vinci, tiamo qui solo i pittori, altrimenti la un personaggio che l’attuale sistema lista si allungherebbe di molto – l’arte metterebbe ai margini come un diletImmagine tratta da caffettieragiornaliera.it moderna è stata prodiga nel divorare i tante dai troppi interessi, può aiutarci suoi figli, spesso i suoi figli “migliori”, i più dotati e visionari. a visualizzare concretamente e storicamente quanto appena Quella degli artisti “maledetti” è divenuta una vera e propria detto. Nel Rinascimento l’artista maledetto non esisteva, esso categoria, onnicomprensiva e assai utile per quei critici e è una creatura del mondo moderno. Il pittore rinascimentale spettatori sempre in cerca di qualche titolo da affibbiare dipingeva esattamente come un uccello canta, e così è stato all’imponderabile. L’immagine pubblica dell’artista reietto fino al settecento; dal romanticismo in poi l’artista ha invece (nella foto al centro, un ritratto di Modigliani) vittima e carne- dovuto giustificare la propria esistenza attraverso la sua opefice di se stesso, dell’eterno incompreso prematuramente ra. Un onere spaventoso e così l’equilibrio si è spezzato scomparso – che sembra farsi carico del disagio esisten- Curiosamente, pur avendo propagandato e diffuso sacroziale del mondo intero spremendo la sua arte dal fango sante istanze di libertà che non esistevano nel mondo dell’esistenza – è fondamentalmente un parto malato nato precedente, la società liberale post rivoluzionaria ha, nella dall’unione incestuosa di una diffusa concezione romantica realtà dei fatti, condannato molto spesso gli artisti a essere del ruolo degli artisti (visti come raminghi dotati del fuoco relegati nel limbo della singolarità, della eccezione alla della creazione, deificati dal loro essere incompresi) con regola di una società massificata e livellatrice. E così, più la loro reale difficoltà di posizionarsi con un qualsivoglia che “maledetti”, i sempre più diffusi artisti outsider sono equilibrio nei meccanismi della società di massa. Utilizzare divenuti negli ultimi due secoli “maledettamente utili” per impunemente il termine “artista maledetto” rivela questa perpetrare l’illusione che l’arte appartenga solo al regno terribile realtà di fondo: relegare l’arte al ruolo di epifania di dell’insolito e che, in fondo in fondo, siano trascurabili genialità dettata dal caso, elevare l’artista al ruolo di reietto nel vasto scorrere della storia. E questa, al di là del valore di professione, esaltare il suo ruolo di eterno outsider, signi- intrinseco delle opere create, sovente immenso, non è stata fica non riconoscere all’arte stessa alcun ruolo propulsivo una grande conquista.


Nuove senilità

La condizione dell’anziano nel corso degli ultimi decenni è mutata e non solo in virtù dell’innalzamento, almeno nei paesi occidentali, dell’età media di sopravvivenza. Uno sguardo, fra il serio e il divertito, al mondo dei, per così dire, “vecchi” di Duccio Canestrini

Anziani che si godono la lunga stagione del tramonto. degli anziani dietro, davanti e dentro il grande schermo. Ma il sole, come in Scandinavia, scende piano, cala al Molti grandi registi sono entrati ormai nella terza età. rallentatore. Con qualche sorpresa. Innamorati pazzi nella Gli spettatori sono più avanti con gli anni. E i vecchi/ terza età. Vecchie rocce a cui, sempre più spesso, si aggrap- nuovi protagonisti tornano alla ribalta: Schwarzenegger e pano giovani insicuri. Eroi attempati. Nonni protagonisti, Stallone ancora mercenari, ovviamente con le rughe sui essenziali punti di riferimento. La vecchiaia è cambiata, muscoli anabolizzati; Settimo cielo di Andreas Dresen che si è alleggerita, si è integrata. Siamo di fronte a una nuova narra di una passione erotica senile; Amour di Michael costruzione della senilità: non Haneke, storia d’amore fra ultrapiù marginalizzata, ma attiottantenni, Palma d’oro l’anno va, necessaria e creativa. Forse scorso a Cannes. E la spassosa anche per cause di forza magcommedia Marigold Hotel che giore. Da una parte troviamo i nel 2012 ha polverizzato lo stedati oggettivi: la popolazione reotipo del pensionato a riposo. invecchia, la natalità, perloMacché riposo: viaggi, avvenmeno in occidente, cala. E se ture, nuove imprese, d’amore e l’aspettativa di vita è cresciuta, commerciali. non è certo la giovinezza che Sembrano dunque svaniti i temsi è protratta ma è la vecchiaia pi del giovanilismo edonista che si è allungata. e produttivista, che metteva Rispetto agli inizi del secolo automaticamente fuori gioco gli scorso, in Europa gli anziani anziani. Del resto, che l’età sia con età superiore a 85 anni un fenomeno relativo lo sanno sono aumentati di venti volte. tutti. Perché a ben vedere le età Dall’altra, viviamo una continsono come minimo tre: anagragenza economica che costrinfica, biologica e psicologica. La ge gli anziani a rimettersi in prima non si discute. La seconpista, a fare da baluardo conda, quella del corpo, è soggetta tro la recessione e da rifugio, a variabili molto individuali: mettendo a disposizione dei per intenderci, chi dimostra o nipoti i risparmi, o la casa. Se non dimostra i suoi anni; quinImmagini tratte da lacasadiriposo.it non addirittura tornando in di fortunati gli avvantaggiati qualche modo a lavor(icchi)are, per necessità. E non c’è da tessuti e da vissuti sani. La terza, l’età psicologica, è la nulla come il bisogno di rimettersi in gioco a restituire percezione che la persona ha di se stessa, indipendenteenergia e vitalità.Era questo bisogno il leitmotiv di Gran mente dal numero di anni vissuti, cioè l’età che ci si sente Torino, il film diretto e interpretato da Clint Eastwood nei addosso. Ed è probabilmente quella vera. panni di un veterano della guerra di Corea. Un ex operaio, E se vivessimo tutti insieme? È questo il titolo di un film fondamentalmente razzista e incattivito, esasperato dalla franco-tedesco lanciato un paio d’anni fa come spiritoso “invasione” degli immigrati asiatici a Detroit. Senonché, ritratto di una “nuova condizione antropologica”. Con all’occorrenza, quel duro è capace di grande generosità, un cast di cinque anziani tragicomicamente in cerca al limite dell’autosacrificio. Con una performance decisa- della migliore soluzione finale, ma non in solitudine, mente spettacolare per un ottantenne. anzi, collegiale. Ciascuno con i propri gusti e le proprie fissazioni. Tutti con i propri desideri, e sì, anche i propri Ma quale saggezza! problemi da risolvere. Perché la proverbiale serenità (e forse Il cinema è specchio della realtà. Se n’è accorta qualche anche la saggezza) della vecchiaia è anch’essa una dubbia tempo fa la Radiotelevisione svizzera di lingua italiana, costruzione culturale. Tribolazione, invece. Finché c’è vita, che ha svolto un’inchiesta radiofonica sul fenomeno non è mai finita.

Mundus 7


Lo scandalo della finitezza La finitezza umana provoca scandalo? Certamente, se si configura come rottura del dogma, condizione che pone in luce la contraddizione tra fede e ragione. Una riflessione suggerita dal recente romanzo di Marco Alloni

di Francesca Rigotti

Kronos 8

Più che scrivere una recensione classica dell’ultimo libro di norma introducono il sillogismo per spiegarci come di Marco Alloni (Shaitan, Imprimatur 2013, pp. 249), funziona l’argomentazione ma dimenticano, i grulli, di esponendo riassunto, disamina critica e commento, mi notare che le asserzioni impiegate non dicono una cosa concentrerò su alcuni spunti che nel leggere questo ro- qualunque, bensì formulano una piccola silloge filosomanzo suggestivo quanfica (che cos’è l’uomo, chi to accessibile, “notevole è Socrate, che cosa sono e accattivante” (Claudio la filosofia e la morte) che Magris), mi hanno sollecontiene in nuce l’essenza citata, soprattutto in chiadel pensiero greco. L’uomo ve filosofica. Per quanto è mortale, è brotòs, è finito riguarda la trama diremo e limitato, è chiuso e condunque solamente che la chiuso negli estremi della storia si svolge in Egitto, nascita e della morte. Solal Cairo (che l’autore, ticitanto gli dèi sono immornese, ben conosce abitantali, àmbrotoi, mangiano dovi da un quindicennio), ambrosia e non invecchiatra gli anni settanta e no e non muoiono. novanta del novecento, e che coinvolge prevalenteLa preziosità della fine mente due famiglie, una Il cristianesimo riprenderà egiziana e una francese, la e supererà l’idea, assegnanprima musulmana, la sedo la mortalità al corpo conda cristiana. In realtà ma insistendo sull’immorprotagonista principale è talità dell’anima, presunto il clima storico che vede principio immateriale seinstaurarsi in quel perioparato dal corpo e destido forme di fanatismo nato alla “vita eterna”. Un religioso, di violenza e di sistema analogo è alla base sopraffazione, di firma della religione islamica, Lo scrittore e pensatore francese Albert Camus. opposta ma di identico per la quale pure le anime, Immagine tratta da rferl.org fine: quello di conseguire, dopo il giudizio, andranno in entrambi i casi, l’ima godere nel paradiso o mortalità. Sarà dunque proprio l’immortalità uno dei due a soffrire eternamente all’inferno, condividendo con spunti sul quale ci soffermeremo, mentre il secondo sarà angeli e ginn l’immortalità. Ma nel romanzo di Marco lo scandalo. “Il romanzo scandalo dell’Islam”, definisce il Alloni (e questo è uno dei punti dello scandalo, del quale libro la quarta di copertina. Che cosa significa ciò? parleremo tra poco) gli angeli si ribellano gridando (p. 195) che “l’immortalità è noia, l’immortalità è inganno, Tutti gli uomini sono mortali l’immortalità è assurdità, miraggio, illusione… Si torni fi“Tutti gli uomini sono mortali / Socrate è un uomo / Socrate è nalmente ad assaporare la preziosità della fine…”. mortale”. Così recita il più famoso sillogismo della filoso- La preziosità della fine! È quella cui aspira Ulisse, fia occidentale, dove per sillogismo si intende quel tipo quando nell’isola di Ogigia, irretito dalle lusinghe di di ragionamento logico formato da due premesse, una immortalità presentategli dalla ninfa Calipso che voleva maggiore (tutti gli uomini sono mortali) e una minore trattenerlo presso di sé, risponde no, preferisco la vita, la (Socrate è un uomo), da cui consegue necessariamente lotta, il conflitto, la coscienza della morte. La preziosità una affermazione: “Socrate è mortale”. I commentatori della fine è quella esaltata da Albert Camus, novello


Odisseo, quando antepone il valore della vita basata sul rischio, la minaccia e il limite della condizione umana, al soccorso divino che dovrebbe aiutare l’uomo, preda del male e incapace di superarlo con le sue sole forze, a trovare la via che lo salvi dalla sua inettitudine. Non mi interessa l’immortalità, o qualsiasi altra ricompensa offerta, afferma Abert Camus, “non ho scelto di credere che la morte apre ad un’altra vita”, asserisce l’adoratore del vento a Djemila, in Noces, “per me è una porta chiusa”. È scandalo affermare questo? Lo è, certo, se scandalo è rottura del dogma; non lo è se è espediente, giocato in chiave religiosa, che mette in luce, esaltandola, la contraddizione tra fede e ragione per giustificare oltre l’immaginazione e l’intelligenza la credibilità dell’incredibile.

cella e la caduta della pietra, e via il topo. Insomma lo scandalon è collocato lì per scattare, come suggeriscono le voci affini scandaglio e scandagliare, scandere, scandire ecc. che hanno tutte il senso di vagliare, provare, misurare, saggiare passo passo il terreno su cui ci si muove. Da questo significato di scandalo deriva la nostra accezione negativa, soprattutto in ambito politico: scandalo è ciò che suscita indignazione e provoca perdita di fiducia a causa di comportamenti scandalosi che sono di inciampo e fanno cadere e intrappolano. Scandalo è questo, in negativo, ma è anche in positivo, ciò che fa saltare e inciampare norme e convenzioni, che dà uno scossone alla coscienza e alla conoscenza, come nel romanzo di Alloni.

La trappola dello scandalo Che cos’è infatti lo scandalo, qual è il meccanismo che lo sottende? Lo scandalo è una trappola. Il greco scandalon significa: trabocchetto, trappola che si richiude sull’animale, e poi pietra d’intoppo, ostacolo che può fare inciampare e cadere (da una radice indoeuropea skand, da cui il latino scandere, salire, saltare, e l’italiano scendere, col senso anche di cadere). In particolare è una trappola per topi. Lo scandalon era un meccanismo composto da una lastra di pietra sorretta da uno stecco al quale era fissata l’esca, pane, formaggio. Addentando il formaggio il topo provocava lo spostamento dell’asti-

Shaitan di Marco Alloni Imprimatur, 2013 Scrittore e giornalista, da alcuni anni al Cairo, Alloni è un profondo conoscitore dell’islam e delle sue relazioni con l’occidente. Muovendo da un punto di vista saggiamente “eretico”, ed evitando ogni sensazionalismo, egli sonda il senso della fede, islamica e non, in un racconto che legando le vicende di due famiglie svela due differenti ma speculari visioni culturali.

Il mercoledì è giorno d’insalata. Tanta bontà come piace a te!

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Ora : insalate i primaveril


Il sogno di Luigi di Fabio Martini; illustrazione di Giovanni Occhiuzzi

Fiabe 10

’era una volta un re molto famoso di nome Luigi. Aveva modi cortesi e affabili e la fama della sua saggezza aveva superato i confini del regno. Un bel dì decise di andare a caccia col suo seguito di fedeli cavalieri e di alcuni conti e baroni che erano suoi ospiti. La giornata era molto calda e la battuta di caccia risultò particolarmente difficile e faticosa. A un certo punto, vinto dalla stanchezza, re Luigi si addormentò appoggiato a un vecchio tronco. I suoi fidi cavalieri, utilizzando le lance e i loro scudi, crearono una sorta di capanna per ripararlo dal sole che si era fatto cocente. Luigi fece un sogno: era a cavallo lungo un fiume e procedeva scendendo dalla sorgente verso valle. Attraversava foreste e grandi praterie, villaggi e città, finché giunse in prossimità della foce su cui si trovava un grande porto difeso da un castello. Fra le navi ormeggiate ne scorse

una di grande bellezza: i suoi fasciami erano di legni preziosi, le sue passerelle di avorio e le vele di seta finissima. Una volta salito a bordo la nave partì e poche ore dopo attraccò in una piccola isola. Sceso a terra, Luigi trovò dei servitori che dopo un profondo inchino gli chiesero di seguirli. I giovani paggi lo condussero in un grande giardino all’interno del quale, su una panchina circondata da fiori, stava la fanciulla più bella che egli avesse mai visto. Le si sedette accanto ed ella gli parlò con voce dolcissima. Un attimo dopo egli ne era perdutamente innamorato ma fu proprio in quell’istante che l’abbaiare dei cani che avevano scorto un cinghiale agitarsi dalla boscaglia lo risvegliò. Terminata la caccia e ritornato nel suo palazzo, si chiuse nella sua stanza desideroso soltanto di riaddormentarsi per incontrare di nuovo la misteriosa fanciulla. E in effetti, tutte le volte che il sonno giungeva egli si trovava seduto accanto alla ragazza nel giardifiorito no fi orito e il piacere che provava a guardarla negli occhi era tale che al risveglio non desiderava altro che riaddormentarsi. Per questa ragione iniziò a trascurare gli affari di stato: gli esattori delle imposte iniziarono a non versare più il denaro ottenuto dalla riscossione delle tasse nelle casse del regno; i nobili a esigere dai contadini lavori straordinari che non venivano pagati; i banditi a compiere azioni sempre più temerarie che mettevano a repentaglio la


vita dei sudditi. Insomma, in poche settimane il regno finì nel caos più totale. Preoccupato per quanto stava accadendo, l’amico più caro di re Luigi gli chiese il motivo della sua trascuratezza, ed egli allora si confidò: “Ho incontrato una fanciulla in sogno e se non riuscirò a trovarla, per la pena, finirò per morire”. L’amico allora gli suggerì: “Invia tre messaggeri alla ricerca della fanciulla nelle tre parti del mondo. Dagli tre anni di tempo e vedrai che almeno in questo periodo starai meglio perché sarai sostenuto dalla speranza”. Re Luigi trovò il consiglio dell’amico molto saggio e diede subito ordine ai messaggeri di partire. Passò un anno, ne passò un altro e la sera dell’ultimo giorno del terzo anno re Luigi fu preso da un grande sconforto: era evidente che i tre messaggeri non avevano trovato la fanciulla e che timorosi di una punizione per il loro insuccesso si erano dati alla macchia. L’amico, vista la tristezza di Luigi, lo prese in disparte e gli disse: “Non disperare, probabilmente ciò che hai visto in sogno non è reale o forse è al di là dell’oceano ma nel tuo regno esistono donne belle e virtuose a cui non hai mai fatto caso. Prendi il tuo cavallo e mettiti in cammino e vedrai che incontrerai la tua regina”. Luigi, anche se poco convinto, si mise

immediatamente in viaggio. Qualche giorno dopo, attraversando un bosco, sentì il rumore di un ruscello. Spronò il cavallo in quella direzione e quando giunse in corrispondenza della riva riconobbe subito il fiume che aveva sognato quel giorno. Seguì il corso d’acqua e man mano che procedeva attraversava luoghi e città che gli erano familiari finché, con sua sorpresa, giunto alla foce, si trovò nel porto fortificato visto in sogno. La nave era in porto ed egli vi salì pieno di speranza. Giunto all’isola scese a terra col cuore che batteva all’impazzata. I paggi erano lì ad attenderlo e subito lo condussero al giardino. Lei era seduta di spalle, lo sguardo rivolto al mare con la brezza che le muoveva dolcemente i capelli. Senza voltarsi verso di lui, come se da sempre lo stesse attendendo, parlò: “Il mio nome è Eudev e da tanto tempo ti stavo aspettando. Ti vedevo nei miei sogni ma non sapevo come raggiungerti”. Luigi le si sedette accanto e le prese la mano. Quel giorno rimasero seduti uno accanto all’altro colmi del piacere della reciproca vicinanza. Chi mi ha narrato questa storia, un mercante che commercia con quelle terre, mi ha riferito che poco dopo Luigi ed Eudev si sposarono, ebbero molti figli e a memoria d’uomo non si ricorda unione più felice.

Fiabe 11


S

ono nato a Montagnola, più esattamente a Sorengo. Ho sempre avuto la passione per i viaggi, fin da bambino, una passione che la mia famiglia mi ha stimolato e trasmesso: da piccolo ero affascinato dai racconti dei miei nonni sui loro safari in Africa e dai resoconti di mia zia sul Mozambico, dove vive tuttora per sei mesi l’anno, e ho sempre seguito i miei genitori nei loro viaggi. Le altre culture mi interessavano moltissimo. Così ho deciso di frequentare la Scuola superiore alberghiera e del turismo di Bellinzona e mi sono diplomato. Ho iniziato a lavorare per l’Ente francese del turismo a Zurigo, ma non sapevo che cosa volessi fare da grande. Poi una sera, a Ginevra, durante una festa ho incontrato Marina, che oggi è mia moglie. Lei stava facendo l’Erasmus in Svizzera, a Ginevra, e così ho iniziato a fare la spola Zurigo-Ginevra e GinevraZurigo, poi Ginevra-Lugano. Finché Marina non è dovuta rientrare in Spagna a Madrid e io ho deciso di partire per seguire lei. Sono riuscito a ottenere la borsa di studio Leonardo da Vinci per la Spagna, ma la destinazione Madrid non era prevista e sono andato a Siviglia, in Andalusia. Lì ho trovato un’agenzia di viaggi che rispecchiava la mia idea di viaggiare: creava viaggi d’avventura in Europa e nel Nord Africa. Grazie a questa agenzia per la quale lavoravo ho avuto la possibilità di viaggiare in Marocco, dove organizzavamo un tour in mountain bike per tutto l’Atlante fino alle gole del deserto del Marocco. Io assistevo i turisti e avevo modo di conoscere in maniera approfondita la gente e il posto. Poi ho avuto la possibilità di creare un viaggio in Bretagna, una meta a me familiare perché c’ero stato con il direttore di marketing dell’Ente turistico per cui avevo lavorato a Zurigo, un ragazzo bretone della mia età. Ho quindi proposto la Bretagna come meta all’agenzia, che ha abbracciato il mio progetto e così sono stato lì un mese e mezzo con tre gruppi di trenta persone. Da questo viaggio è nato il mio interesse specifico per quella che è la creazione dei viaggi: stabilire gli itinerari, viverli in prima persona lavorando come guida, mostrare ai turisti tutte le bellezze

possibili, rendendo questa esperienza unica. Ho proseguito su questo filone con altre mete, dalle Dolomiti alla Selva Nera. Poi però mi sono fatto un po’ di domande: ero venuto in Spagna per stare con Marina e allora che cosa ci facevo a Siviglia? Così sono partito per Madrid. Qui ho barcollato per i primi mesi, poi finalmente un colpo di fortuna ha cambiato tutto. Un’amica mi ha presentato il suo datore di lavoro, che aveva un’agenzia, un po’ come quelle che ho io adesso, specializzata in viaggi su misura in America Latina, una meta che è diventata la mia passione. Il mio capo incentivava i campi di studio sul posto: io e i miei colleghi andavamo per esempio in Cile, Perù e Brasile per organizzare e testare in prima persona gli itinerari, rendendo più solido il contatto che avevamo con gli operatori locali. Per questa agenzia ho lavorato sette anni, nei quali ho creato le basi per la mia attuale attività, un’agenzia online di viaggi su misura, fuori dal convenzionale. I viaggi che offro sono diversi da quelli delle altre agenzie: io, per esempio, conosco le destinazioni che propongo e quindi posso fornire una consulenza specifica, dettagliata. Le mie proposte non sono come quelli di un normale catalogo in cui è già tutto definito, ma sono pensate su misura, in base agli interessi del cliente, che ha modo di avere un maggiore contatto con il luogo visitato. Sono percorsi “tematici” perché si può scegliere un tema e svilupparlo durante il periodo. Uno degli ultimi che ho compiuto, per esempio, aveva come tema l’immigrazione dei ticinesi in Argentina. Certo, organizzare viaggi di questo tipo è più complicato, ma regala anche tante soddisfazioni, sia a me che lo concepisco sia al turista che vive un’esperienza unica e si trasforma in un vero e proprio viaggiatore. Oggi non vivo più a Madrid, sono tornato alle origini, in Ticino. Questa volta è stata Marina a seguire me. E mi sto preparando a un nuovo viaggio, l’avventura di diventare padre.

TIM MONTOrFANI

Viaggiare è diventato il suo lavoro e oggi ne organizza su misura, lontani da quelli patinati dei cataloghi. Perché un viaggio deve essere un’esperienza unica, toccante, indimenticabile

testimonianza raccolta da Roberto Roveda fotografia di Flavia Leuenberger

Vitae 12


Mappa di pROFONdiTà a cura di Giancarlo Fornasier fotografie ©Alfio Tommasini

Miriam Rima (1947)

UN GiOVaNE FOTOGRaFO RiSCOpRE LOdaNO RiTRaENdO TUTTE LE pERSONE CHE Vi aBiTaNO. FaMiGLiE NUMEROSE, COppiE, pERSONE SOLE O CHE diVidONO La pROpRia ESiSTENZa CON UN aNiMaLE dOMESTiCO. UNa RiCERCa aNTROpOLOGiCa pER iMMaGiNi daL SapORE aNTiCO


Lilian (1932) e Silvio (1933) Priarone

Gianfranco (1952) e Vera (1953) Sargenti


Irma (1926) e Bruno (1927; deceduto) Debernardi

Claudio (1954), Yvonne (1957) Tunzi e il cane Yukon


A

lfio Tommasini, che cosa ha spinto un giovane fotografo a ritrarre la popolazione del proprio paese, e come hanno recepito le persone coinvolte questo suo progetto? Vivevo da quasi tre anni a Madrid quando realizzai l’importanza di capire meglio da dove venivo. Vivere e viaggiare all’estero aprendomi a nuove culture, mi ha spinto a cercare più a fondo nelle mie proprie radici. Abitavo in una grande città, non avevo nostalgia di casa, mi mancava però perdermi nella natura per poi scendere in paese e scambiare saluti con tutti coloro che incontravo. Guardando al nostro territorio vedevo con amarezza la trasformazione di molte comunità in villaggi dormitorio, in paesi museo o in case con le finestre sempre chiuse. Credo che a Lodano – anche se in un contesto e una società completamente differente a quella dei nostri nonni – permanga un forte senso della comunità. Volevo fare qualcosa che riflettesse i colori del nostro tempo, senza cadere nella tentazione di creare fotografie romantiche, di folclore paesano, di un tempo che non esiste più. In fase di produzione mi sono però ispirato ai fotografi che a inizio novecento arrivavano in paese e ai quali rivolgersi per farsi fare il ritratto di famiglia da spedire ai parenti emigrati lontano. Come allora, ho deciso di eseguire degli scatti statici e frontali. Direi che le persone coinvolte hanno percepito bene il mio progetto: al momento delle fotografie, alcuni mi dicevano che si sarebbe rotto l’apparecchio fotografico... ma in generale non credo di aver forzato nessuno e tutti hanno accettato. La soddisfazione più grande è stata vedere gli abitanti uniti nella sala comunale, durante la presentazione del libro. Il luogo, il modo di vestire e di porsi sono stati aspetti nei quali lei non è intervenuto, lasciando libera scelta. È stato un modo per creare meno diffidenza rispetto al suo lavoro oppure è stata una modalità che mirava ad meglio approfondire gli aspetti di “ricerca sociologica” e antropologica sugli abitanti di Lodano? Conoscevo quasi tutti e questo mi ha permesso di ottenerne la fiducia. Desideravo che si sentissero comodi e che scegliessero il luogo dove farsi ritrarre. Desideravo catturare la gente abbigliata con tipologie di indumenti diverse, da quelli per la festa a quelli per il lavoro, o semplicemente quelli indossati in casa. Il suo è un comune ai margini delle grandi arterie di comunicazione e del commercio. Quali sono gli elementi che “giustificano” un lavoro come questo? Gran parte degli abitanti lavorano a Locarno. La distanza dal centro esiste ma è lieve, per questa ragione vi sono persone che si trasferiscono nella bassa Vallemaggia. Nell’ultima parte del mio libro, quella dedicata alle generazioni più giovani, la maggior parte dei single o delle famiglie abitavano a Lodano da poco, ma vecchi e nuovi abitanti desiderano vivere nel verde e nella tranquillità. Come me, altri giovani decidono di emigrare, ma credo che poi tutti, una volta lontani, si rendono conto dell’importanza delle origini e quanto segni crescere in una piccola comunità. Svolgendo questo lavoro sono stato spinto dall’idea che bisogna condividere e aprirsi ai propri vicini, nuovi o vecchi, patrizi o forestieri. Affermare la diversità dei gusti o del carattere ma anche la comprensione e l’unione in relazione al territorio in cui si vive, ciò che porta in definitiva all’identità di un luogo. Solo nei villaggi che mantengono un’anima, quando c’è una nascita e quando c’è un decesso quasi tutti si uniscono.


Le fotografie sono state scattate tra il 2007 e il 2008, in seguito è uscito il volume. Che cosa è successo dopo il suo lavoro? Trova sia cambiato qualcosa tra lei e le persone che ha ritratto? Riguardando le immagini, oggi riconosce ancora in quei visi le emozioni e i sentimenti che ha provato, e percepito, mentre scattava? Per un anno ho potuto ascoltare tutti gli abitanti e capire con più chiarezza perché vivevano qui. Per me è stata anche una modo per comprendere se fossi tornato davvero ad abitare in un piccolo paese. Facendo i ritratti ho cercato di guardare tutti con la stessa vicinanza; volevo evitare che il diverso grado di conoscenza della persona mi portasse a ritrarla in maniera differente. Anche se ricordo con molto piacere i momenti passati insieme ai “soggetti”, il sentimento che provo è più legato all’insieme del lavoro che alla singola foto. Come dicevo, le emozioni maggiori le ho avute dall’apprezzamento che ho ricevuto dagli abitanti e dai loro parenti. Ticinosette ha pubblicato in passato alcuni suoi scatti dedicati a una coppia di senzatetto (“Il container”, n. 49/2012; http://issuu.com/infocdt/docs/n_1249_ti7). Quali sono i progetti sui quali sta lavorando? Attualmente mi sono ristabilito in Ticino e continuo a dedicarmi alla fotografia documentaristica. Sono molto attratto dalla produzione di video e probabilmente prossimamente unirò queste due forme di espressione per dei progetti nel territorio. Spero anche di poter continuare a viaggiare. Muovermi e conoscere nuove culture è per me di vitale importanza.

sopra: Noa (2007), Sabina (1972), Damian (1976) e Lio (2004) Caminada nella pagina accanto, dall’alto in basso: Moira Tunzi (1979) e il cane Lilo Mario Tommasini (1934) Simona Bergonzoli (1972) Gianluca Ihmolz (1986) sotto: Famiglia Pacifico Debernardi, patrizi di Lodano (ca. 1920)

Alfio Tommasini

Nato a Lodano (Vallemaggia) nel 1979, ha studiato fotografia a Madrid partecipando a un master all’istituto EFTI. Nel 2009 pubblica il libro Lodano Generazioni, da cui sono tratte le immagini di queste pagine. Ha lavorato come fotografo in Spagna e prosegue oggi la sua attività come freelance in Ticino. alfiotommasini.com


Vela. In viaggio con Mamé testo e fotografie di Giorgio Thoeni in collaborazione con Lorella Romiti

Luoghi 42

Quando si ha un progetto di navigazione, il procedere lungo la costa aiuta a entrare in una nuova dimensione: fa dimenticare il caos della circolazione stradale e le ansie della terra ferma che rimangono “a vista”, ma soprattutto educa a un confronto costante con la natura attraverso le variabili meteorologiche. Un dettaglio fondamentale che non tiene conto di orari e appuntamenti. È così che quando siamo tornati a La Rochelle per riprendere la rotta verso la Bretagna1, un percorso che, senza fretta, dovrà portarci in Scozia, ci siamo resi conto di quanto sia preziosa l’arte della pazienza quando si va per mare. Dove eravamo rimasti… Avevamo dieci giorni di tempo per raggiungere Lorient, una bella prospettiva “turistica” se le condizioni lo avessero permesso. Diventa rapidamente una scommessa se il tempo si fa inclemente e assottiglia le possibilità di riuscire a partire. Ora siamo in due a condividere questo progetto di navigazione ma la protagonista di questa avventura è sempre Mamé, la piccola barca a vela di nemmeno otto metri con cui siamo partiti da Genova e con cui, dopo aver attraversato la Francia da Sète, la patria di Georges Brassens e Paul Valéry, lungo il Canal du Midi (ah! Carcassonne e il suo cassoulet), il canale laterale della Garonne fino al grande estuario della Gironde (ah! Pauillac e gli infiniti vitigni del Bordeaux), siamo infine sfociati in Atlantico, nel golfo di Biscaglia. Questa volta il robusto ostacolo meteorologico si chiama Petra, con venti che spazzano le coste fino a raggiungere i 127 km/h. Siamo alla fine di aprile e la tempesta arriva dalle coste della Cornovaglia inglese. La capitaneria del porto ci sconsiglia persino di dormire in barca… Non basterà lasciar passare Petra, dovremo attendere almeno un giorno affinché il mare si calmi e le onde causate dai forti venti calino di qualche metro. Finalmente riusciamo a mollare gli ormeggi. Mancano appena quattro giorni all’appuntamento con il volo di ritorno fissato da Parigi. Salpiamo al tramonto col favore della corrente di bassa marea per Île d’Yeu, prima tappa verso Lorient. Non è stata una vera e propria passeggiata ma l’arrivo alle otto del mat-

tino a Port-Joinville e una meritata dormita ripagano tutto. Ne approfittiamo per visitare a piedi l’isola della Vandea. Qualche ora di cammino per scoprire scenari indimenticabili, dalle mura del vecchio castello alle sue coste selvagge. Puntiamo la sveglia alle quattro del mattino e facciamo rotta su un’altra isola, Belle-Île. Finalmente saremo in Bretagna: ci vorranno dodici ore ma sarà una navigazione abbastanza tranquilla con qualche piacevole schiarita a mitigare temperature non del tutto primaverili. L’arrivo a Le Palais è freddo e bagnato. Se non si arriva all’ora – per l’ingresso nel piccolo porto ci vuole pazienza – occorre infatti attendere l’apertura di una chiusa che contiene il livello dell’acqua a bassa marea. All’interno le barche sono ormeggiate “a pacchetto” ma le dimensioni di Mamé ci permettono di avere un posto singolo risalendo il piccolo e basso canale. Sostiamo un giorno intero per lasciar passare un altro colpo di vento. Ne approfittiamo per noleggiare un’auto e fare il giro della più grande isola bretone, meta di Claude Monet e di Sarah Bernardt che acquistò il vecchio forte Vauban sulla punta nordoccidentale dell’isola per trasformarlo nel suo rifugio. Sfidando la Manica Il tratto che divide Belle-Île da Lorient sulla carta non sembra essere così impegnativo. Una trentina di miglia che, col favore della corrente di alta marea dovrebbero corrispondere a quattro o cinque ore di navigazione. Dovremo però fare i conti con onde di oltre quattro metri accompagnate da un robusto vento al traverso prima di doppiare l’Île de Groix ed entrare nel canale di Lorient. Arriviamo nel porto di Kernevel poco prima delle cinque del pomeriggio. Il treno per Parigi parte alle sei e mezza. Davvero poco tempo per riassettare la barca, lasciarla in consegna e organizzare il suo trasferimento in un cantiere dove passerà alcuni mesi a secco e su un terrapieno. Ma anche stavolta ce l’abbiamo fatta. Anche grazie alla serietà e all’affidabilità dei bretoni, gente di poche parole, competente e poco incline alle improvvisazioni. Dalle coste della Bretagna del sud ci avvieremo verso Brest e dopo aver scapolato la punta di Finisterre entreremo nel canale della Manica. Dove lo scenario cambierà radicalmente. Incontreremo grandi escursioni di marea con le loro forti correnti, una costa molto più selvaggia e a tratti inospitale ma molto suggestiva, un numero inferiore di porti dove poter trovare rifugio con la conseguenza di rimanere più volte all’ancora in attesa che il livello del mare permetta a Mamé di riprendere la navigazione. Una prospettiva impegnativa ma per la quale vale la pena di continuare a sognare. note 1 La prima parte del viaggio di Giorgio Thoeni è apparsa in Ticinosette n. 49/2011 (http://issuu.com/infocdt/docs/n_1149_ti7).


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Home sweet home Tendenze p. 44 – 45 | di Marisa Gorza

Il recente Salone del mobile di Milano ha cercato di far rinascere dalle ceneri una nuova era propositiva. Architetti, creativi, esteti, maestri d’arte e del bel vivere, si sono radunati nel grande crogiolo del Salone fieristico, o nelle installazioni sparse per le varie aree cittadine del Fuori Salone, per inventare, disegnare, proporre. Del resto, per definizione, chi progetta... guarda avanti

Pare sia proprio nei momenti di crisi che l’habitat viene vissuto come rifugio, come luogo in cui staccare la spina e ripristinare le energie. Sia che si tratti di un palazzo o di un bilocale, la propria abitazione è sempre più percepita come il classico focolare. Le congiunture negative causano senza dubbio ferite profonde e chiusure forzate, tuttavia possono anche innescare piccole rivoluzioni nelle abitudini e nella cultura del consumatore. E proprio perché più che mai è tempo di fare squadra, anche le grandi firme della moda si raggruppano in un calendario per estendere le loro proposte di stile ai nostri focolari. Anzi, durante le fatidiche sette giornate milanesi (da pochi giorni terminate), hanno dato vita a eventi speciali, performance e interessanti presentazioni per un totale di cinquanta iniziative. Tanto per mettere in luce le due eccellenze della creatività lanciate alla riscossa anti crisi. L’iniziativa, già alla sesta edizione, si chiama MilanoModaDesign, appunto. Gli stilisti o i brand sono gli stessi, l’impronta inconfondibile sta ai vestiti quanto ai mobili e alle varie suppellettili: importanza e impegno sono paralleli. Con la piccola differenza che ai defilé entra solo chi ha il prezioso invito, mentre per gli happening dell’arredamento le porte sono aperte quasi a tutti in una grande festa globale. Certamente tramonta l’ostentazione, il lusso fine a sé stesso, l’attenzione punta piuttosto al prodotto. Seducono oggetti d’arredo fatti per durare, in un perfetto equilibrio tra funzione, creatività ed estetica moderna e capaci di regalare calore ed emozioni. Ecco qualche piccolo esempio. Mettiamoci il cuore È un gioioso mondo a colori quello di Agatha Ruiz de la Prada per via delle proposte che riflettono divertita ironia e rispetto per l’ambiente. Emblematica la linea di piccoli mobili Amat, quali sedute, sgabelli e tavolini che reiterano la forma a cuore. Realizzati in materiali riciclabili al 100%, dalla struttura portante in acciaio ai sedili e schienali in faggio curvato, sono fatti a misura per grandi e piccini. Davvero particolare è la seggiola, sempre con schienale sagomato a cuore palpitante, totalmente ricoperta con la romantica tecnica dell’unci-

netto. I punti rigorosamente a mano in corposi fili color fucsia, sono assemblati dalle agili dita di Alessandra Roveda, la cui storia artistica ha radici nell’infanzia. Nomadi e trasformisti Ed è proprio l’heritage artigianale l’elemento celebrato dalla griffe Louis Wuitton, non base statica, ma principio di evoluzione. Come dire che gli iconici bauli da viaggio della maison, pur rendendo omaggio al Gran Tour, alle crociere d’antan, ai tragitti esclusivi di un pubblico d’élite, possono ispirare qualcosa di diverso e multifunzionale, alla portata di un’utenza più vasta. Ciò grazie all’apporto di tredici designer di fama internazionale che hanno stilato in limited edition, altrettanti e interessanti “Objects Nomades”. A cominciare da un’amaca che diventa uno sgabello ripiegabile, per continuare con il Baule-Letto creato nel 1880 per l’esploratore Pierre de Brazza, rieditato con un tocco contemporaneo e ribelle. Ben inserita nella dinamica del divenire è la “Bench Chair” dove le storiche cinghie per richiudere le valigie ora costruiscono una panca da spiaggia. Dedicata ad amanti “nomadi”. Un ammiratore discreto La lana è una fibra naturale al 100%, una risorsa pura ed ecocompatibile. Lo assicura The Woolmark Company, autorità nel mondo delle nobili materie prime naturali. Materiale di qualità per i tessuti timeless dell’abbigliamento, il marchio, durante il Salone ha presentato The Wool Lab Interiors, una novità assoluta per raccontarne e promuoverne la potenzialità nell’universo del design. Un gruppo di architetti di fama ha difatti dato vita ad alcuni progetti di grande funzionalità e arguzia innovativa. Colpisce di sicuro l’insolito separé realizzato dal designer americano Ron Gilad. Una struttura metallica, incrociata sul retro sostiene un fluttuante drappo in pura lana merino, anzi a sostenerlo sono le mani... prensili che ne reggono i lembi. Sotto spuntano i piedi di un ipotetico signore che induce alla discrezione. Ma non sarà che lancia una sbirciatina sorniona? Questo spiritoso pannello divisorio si ambienta facilmente ovunque. Personalmente lo adotterei, se non altro per mettermi in casa un decoroso e silenzioso ammiratore.


Un ammiratore discreto

Nomadi e trasformisti

Mettiamoci il cuore


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ariete Grazie ai transiti planetari la vita lavorativa tenderà a divenire più movimentata, con spostamenti e nuovi contatti d’affari. Novità per i nati nella terza decade. Discussioni in famiglia.

toro Vita affettiva alla grande. Grazie agli ottimi valori di transito potrete condividere insieme al vostro partner nuovi interessi. Possibili incontri durante una gita o un’occasione culturale.

gemelli Mentre da una parte scoprirete di avere risorse insospettate, dall’altra, sarete stimolati a lasciarvi andare oltre il vostro consueto autocontrollo. Più autorevolezza con i figli.

cancro Grandi novità in amore per i nati nella prima decade. La vostra vita affettiva, a partire dal 1. maggio, si accenderà di incontenibile passione. Colpi di fulmine durante un viaggio.

leone Capricci affettivi per i nati nella prima decade. Cercate di spendere il vostro desiderio di libertà concedendovi nuove emozioni. Favorite le relazioni d’affari dei nati nella terza decade.

vergine I nati nella terza decade dovranno stare attenti a tenere a freno la lingua: potreste essere indotti a spendere qualche parola di troppo nell’ambito di un rapporto professionale.

bilancia La vostra vita sentimentale torna a colorarsi di rosa: erotismo in forte ascesa. Cambiamenti professionali per i nati nella terza decade che vorranno osare. Fate attività sportiva.

scorpione La vita sentimentale può finalmente affrontare un percorso sereno. Verso il 2 maggio potrete scoprire un’improvvisa energia. Grazie ai pianeti le difficoltà potranno essere risolte.

sagittario La vostra vita matrimoniale e sentimentale potranno essere travolte da nuove emozioni. Crisi di gelosia per i nati nella prima decade. Malumori e possibili discussioni fra fratelli.

capricorno Grazie ai pianeti potrete trovare nel vostro partner un indispensabile aiuto per la realizzazione di un divertente progetto professionale. Momento felice per i nati nella terza decade.

acquario Scoprirete con il vostro partner doti nascoste della vostra sensualità. Relazioni d’affari per i nati in maggio. Attenti ai truffatori da strapazzo. Buone possibilità di vendita di una casa.

pesci La configurazione planetaria suggerisce una gravidanza in vista o una tempesta di passione nella vostra vita affettiva. Cambiamenti e/o positive ristrutturazioni dell’ambiente familiare.


Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 19

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 2 maggio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 30 aprile a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Orizzontali 1. Distorsione, slogatura • 10. È vicino a Bellinzona • 11. Replica • 12. Non è dotata di orecchio musicale • 13. Pari in rospo • 14. Misera, sventurata • 15. La coppiera degli dei • 16. Articolo romanesco • 17. Avanti Cristo • 18. Procedura • 19. Fa coppia con lui • 21. Ispido • 23. Ciotola • 26. Il bel Delon • 28. Pari in errore • 29. I confini di Carabietta • 30. Dazi autostradali • 33. Ha scritto “I miserabili” • 35. Priva d’accento • 36. Un idrocarburo • 38. Austria e Cuba • 39. Il Nichel del chimico • 40. Ebbe la moglie trasformata in statua di sale • 41. Andato in poesia • 42. Badili • 43. Prefisso postale • 44. Piccoli difetti • 46. Sono uguali nel sosia • 47. Garbato, gentile • 50. Cono centrale • 51. Il gemello di Giacobbe • 52. Favole. Verticali 1. Noto film di G. Amelio • 2. Andare a sbattere, cozzare • 3. Segnale d’arresto • 4. Nome di donna • 5. Un colore • 6. Il monogramma di Zorro • 7. Fiume russo • 8. La sposa di Anfione • 9. Intenditrice, competente • 15. Studia il comportamento degli animali • 18. Ripetute • 20. Il nome di una Miranda • 22. Consonanti in radio • 24. Fa lacrimare • 25. Bastonata • 27. Lo sono i pasti pantagruelici • 31. Il sommo vate • 32. Il noto frate da Todi • 34. Pagina centrale • 37. Le Lipari • 41. Un’incognita • 42. Rogo • 45. La dea greca dell’aurora • 46. Mezza dozzina • 48. Te, in altro caso • 49. Svezia e Francia • 50. Sono pari nel rombo.

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Soluzioni n. 15

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La soluzione del Concorso apparso il 12 aprile è: TAVOLINO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Ada Egloff via Fabrizia 25 6512 Giubiasco Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

Giochi 47


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