Pleasedisturb2008

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Photo: Alberto Sinigaglia - Laboratorio Fotografico Iuav

La creatività è al centro del nostro presente. E lo sarà ancora di più nel futuro, perché decide del senso del lavoro, sia come realizzazione personale sia come relazione con gli altri. In un certo senso, la creatività è libertà attuale e attuata. Nel celeberrimo libro di Richard Florida (L’ascesa della nuova classe creativa, Arnoldo Mondadori ed., Milano 2003) le tre “T” della creatività (tecnologie, talento e tolleranza) non solo ignorano la quarta “T”, quella di territorio, ma sono pensate addirittura esplicitamente contro di essa. La creatività per Florida è intrinseca alla metropoli globale, quella dei flussi di persone, merci, informazioni, capitali e servizi. Attrattività, contaminazione, comunicazione rappresentano i principali ingredienti di esternalità da capitale umano che, mutuando Jane Jacobs, inseriscono i loro moltiplicatori nella città densa, agglomerata. È la metropoli che innesca ricambio e innovazione, qualità e contaminazioni. Nella ricognizione sul Nord-est italiano, invece, la “T” di territorio è protagonista di una propria geografia della creatività, dei suoi attori, circuiti, percorsi e mappe. Se Florida mutua da Jacobs densità e attrattività, vorremmo valorizzare un’altra traiettoria presente nell’urbanista americana: la “regionalità”, ovvero il luogo in cui si federano territori e comunità. La regionalità istituisce il senso del nostro territorio. La creatività del Nordest è metropolitana, ma con un valore aggiunto, la sua configurazione diasporica, la traduzione e il riposizionamento di una condizione di margine mobile e innovativo che non si istituisce nella forma della città. È esodale e non residenziale. Questa dimensione del territorio, questa forma differita del suo consistere in luoghi residenziali, il margine come mobilità della identità di sé, sfugge a Florida. Nel territorio diasporico della metropoli che vibra ai margini, la creatività è riferita al “foedus”, al principio di federazione, in una contestualizzazione volutamente differenziata dalla città concentrata delle risorse creative. Nella grande metropoli globale, a mio avviso, sono più potenti e intangibili le potenze dell’esteriorità, il “grosso animale” che Simone Weil coglie nella Repubblica platonica e che rilegge come metafora dell’anonimia della vita metropolitana, irretita nei suoi dispositivi spietati, anonimi, meccanizzati. La potenza di questi dispositivi è il massimo della sfida, ma anche del rischio di neutralizzazione e dispersione per le forme di soggettivazione che ad essa reagiscono. Sono in corso di esperimento straordinari “ritorni” a Michel Foucault, con letture che lasciano aperto il dilemma se i paradigmi di disciplina e controllo inducono forme di soggettivazione o di desoggettivazione. Nel corso sulla Nascita della Biopolitica (Collège de France, 1978-1979, Feltrinelli ed., Milano 2005), Foucault allude a una possibilità innovativa e spiazzante: nella società della competizione lo spazio della soggettivazione si potrebbe costituire “oltre” i dispositivi di disciplina e di controllo. Pertanto la varietà dei soggetti che abita l’articolazione territoriale plurale, può accedere alle chanches di libertà e utilizzarle per federarsi, in poche parole ha maggiori opportunità dell’individuo metropolitano, esposto com’è più direttamente al “grosso animale”, alle potenze anonime della massa. In questa, infatti, predomina l’idea della libertà come eccesso. In tale articolazione territoriale le forme di soggettivazione che accedono allo spazio si federano meglio e hanno maggiore disponibilità delle reti di cooperazione, focalizzano il comune (i common, i beni comuni) che secondo quanto descrive Yochai Benkler (preceduto in questo da una formidabile intuizione di Antonio Negri e Michael Hardt in Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, Rizzoli ed., Milano 2002) in The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom (Yale University Press, New Haven-London 2006), sostituiscono e articolano l’asfittico dualismo tra Stato e mercato. Il territorio creativo pertanto è quello che ha maggiore libertà di articolazione spaziale dei propri linguaggi; inoltre, ha maggiore opportunità di federazione delle reti cooperative riproducendole sulle scene pubbliche diasporiche, a margine mobile, che non si irrigidisce nella forma del confine, e che concepisce l’esodo come libertà e non come eccesso.

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Creativity is the focus of our present time. And it will be so more and more Creativity is the focus of our present time. And it will be so more and more in the future, because it gives meaning to work, both as self-fulfilment and in relation to others. In a certain way, creativity is actual and actuated freedom. In the renowned book by Richard Florida (The rise of the Creative Class, Basic Books, New York 2002) the three “T”s of creativity (technologies, talent and tolerance) do not just leave out the fourth “T”, that of territory, but are also explicitly against it. According to Florida, creativity is intrinsic to the global metropolis, that of people, information, goods, capitals and services. Attractiveness, cross-over, communication represent the main ingredients that every human being can provide, borrowing from Jane Jacobs, and mutiply themselves in the dense agglomerated city. It is the metropolis that triggers turnover and innovation, quality and cross-over. Examining North East Italy, the “T” for territory is the protagonist of its own geography of creativity, of its actors, its circuits, paths and maps. If Florida borrows the concepts of density and attractiveness from Jacobs, we would like to emphasize another direction presented by the American city planner: “regionality”, i.e. the place where territories and the community ally. Regionality institutes the sense of our territory. The creativity of NorthEast Italy is of a metropolitan kind, but with an added value: its diasporic nature, identifiable in an ever changing, mobile border that never institutionalizes itself in the form of the city. It is of a departing (“exodus”) and non-residential quality. This non-residential territorial dimension and the concept of the border as a mobile entity, are not captured by Florida. In the diasporic territory of the metropolis vibrating at its borders, creativity is referred to as the “foedus”, the principle of alliance, in a context intentionally different from the city focused on creative resources. In the big global metropolis, in my opinion, the external forces are much more powerful and intangible, the “Big Animal” which Simone Weil sees in Plato’s Republic and which she understand as a metaphor of the metropolitan anonymity enmeshed in its merciless, anonymous, mechanized devices. The power of these devices is the maximum challenge, but also presents the maximum risk of neutralization and dispersion for the subjectivation forms that react to it. Some extraordinary returns to Michel Foucault are under experimentation, reading it in such ways that leave open the dilemma of whether the paradigms of discipline and control induce forms of subjectivation or of de-subjectivation. In The Birth of Biopolitics (Collège de France, 1978-1979) Foucault alludes to an innovative and surprising possibility: in the competitive society, the space for subjectivation could be constituted beyond the discipline and control devices. Therefore the variety of subjects that live in such plural territorial context, can have access to opportunities for freedom and use them to form a federation: in a few words, they have more opportunities than the metropolitan individual, who faces the “Big Animal”, the anonymous forces of the mass, much more directly. In the latter, the idea of freedom as excess is predominant. In such territorial context, the subjectivation forms that have access to space ally themselves better and have more co-operation networks at their disposal, focus on what is common, i.e. the common goods, that, according to what Yochai Benkler describes in The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom (Yale University Press, New Haven-London 2006) – preceded in this regard by the splendid intuition of Antonio Negri and Michael Hardt in Empire (Harvard University Press, Cambridge, Massachussets-London 2000) – substitute and articulate the listless dualism of market and State. The creative territory is therefore the one that has more freedom in the spatial articulation of its languages; moreover it has more opportunities to promote a federation of co-operative networks, reproducing them in public diasporic scenes, with a mobile border which is not fixed and conceives of the exodus as freedom and not as excess. Luca Romano


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