Dall'Erlauf alla Savinja

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Questo capitolo titolato “Dall’Elauf alla Svinja” è tratto dal libro “Il temolo probabilmente”, da pagina 52 a pagina 65, Il libro è disponibile nel sito di Fly Line

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Dall’Erlauf alla Savinja

Enzo Bortolani & Roberto Messori

Idolo in pietra

Brown Emerger Eurycaenis harrisella

Cdc 1 Cdc 2

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Le mosche da temolo, e da trote, più utilizzate in assoluto, soprattutto per il profumato timallide, in un’infinità di fiumi e torrenti dell’arco alpino italo austriaco e dell’ex Jugoslavia. Modelli semplici e spartani, ma collaudati e funzionali,vere certezze, se scelti ed utilizzati correttamente. I modelli sono tutti di Enzo Bortolani, come i passaggi costruttivi, il testo è elaborato da entrambi gli autori.

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Le sei mosche artificiali delle quali si racconteranno storia e dressing. Sullo sfondo un idolo in pietra africano conferisce le necessarie garanzie soprannaturali.

Blue Stone Fly Minipalmer

S’iniziò a pescare assieme in Slovenia nel 1975, nella zona di Tolmino, in fiumi a quel tempo straordinari, il Baca, la Soca, l’Idrija ed il Tolminka, rispettivamente un torrente medio ricco di pesce, un immenso fiume del piano a fondo ciottoloso con poche rapide ed immense lame e piane, un grande torrente d’ogni conformazione ed un torrente cupo, freddo buio e selvaggio, affondato in parte in un impressionante orrido ed avarissimo di pesce. L’unico imbarazzo era la scelta, allora ogni permesso era relativo ad un solo fiume, ma quello che più stimolava era l’Idrija, per la sua inesauribile varietà e la ricchezza di pesce. A quel tempo avevamo elaborato una “regola” generale per quei fiumi: Soca per i Temoli, Tolminka per i cappotti (o per qualche stupendo, difficile pesce strappato ad un ambiente ostico), Baca per fare numero e Idrija per avere tutte le cose assieme in un unico fiume. Consolidammo questa procedura: primo giorno Baca, per far scorta di grandi numeri, entrare nel meccanismo e sfogarsi delle miserie nostrane; secondo giorno Idrija, per affrontare il grande torrente dopo un po’ d’allenamento, terzo giorno i temoli della Soca, per la sfida più raffinata, e per ultimo il (o la) Tolminka, per vedere se a quel punto potevamo affrontare un ambiente davvero selvaggio. Ammetterete 3


Enzo mostra un temolo dello Schwarza catturato dalla Cdc 2.

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che non era un piano malvagio, considerando che oltrettutto era raro incontrare altri pescatori, bisognava davvero andarli a cercare se volevi fare quattro chiacchiere con qualcuno, e che probabilmente era di lingua tedesca. I temoli li trovavamo in tutti i quattro fiumi con le seguenti modalità: la Soca era una vera prateria e non c’era sasso senza un temolo dietro, o davanti, che bollasse o ninfasse quasi sempre, ma la media era modesta, circa cm 30, con punte oltre i cm 40 e le solite rare eccezioni che prendevano sempre gl’altri, di solito a parole. Nel Tolminka stavano a valle del ponte di Tolmino, i temoli, mentre noi pescavamo solo sopra, presso le gole e nelle correnti, qui, temoli, non mi pare che ne abbiamo mai presi. Una volta però agganciai un vitello che se ne stava nel sottoriva, nascosto tra la vegetazione, ma non era la stessa cosa, poi lo persi quasi subito. L’Idrija era il più interessante, si pren-

deva di tanto in tanto un grosso temolo solitario pescando trote, poi negli sfarfallamenti, nelle piane e nelle lame, i temoli, senza la regolarità della Soca, si scatenavano apparendo ovunque privi di freni inibitori. Il Baca sarebbe stato straordinario per il pesce profumato, se... Dalla diga di Klavze il temolo era proibito, a quel tempo tutto l’alto corso del Baca era utilizzato come allevamento per l’accrescimento dei temoli. Noi si andava alla stazioncina ferroviaria di Grahovo ob Baci, si scendeva a piedi lungo la ferrovia per un certo tratto e s’iniziava a pescare: qui pescando trote si catturavano, in un torrentello di mediocre grandezza, tra innominabili frustrazioni e sensi di colpa, i temoli più belli in assoluto. Allora noi si pescava quasi no kill, poiché si tratteneva solo un esemplare davvero bello da mangiare alla sera in albergo. Ben di rado ciascuno di noi teneva più di un pesce. Il senso di colpa derivava dal fatto che il temolo era proibito e nella nostra mentalità d’allora simili catture erano prive di soddisfazione, aspetto che ritengo ancora sano: infatti non si andava lì per i temoli, ma per le trote, e la presa di un grosso timallide era vissuta in modo tutt’altro che eccitante. Oggi invece si dà la caccia alle bandite per pescare comunque, con la scusa del no kill. Questo dovrebbe far riflettere. Sul temolo - Le uniche esperienze sul temolo prima d’allora erano poche uscite sull’Aveto dove quel salmonide dalla grande pinna colorata avrebbe potuto essere catturato, ma l’evento era raro e si trattava di esemplari piccoli o piccolissimi. All’inizio la nostra cultura alieutica relativa al temolo era prettamente libraria, e venne costantemente confermata in tanti aspetti per lunghi anni, pescando nella zona di Tolmino, poi in Austria in fiumi come l’Erlauf, lo Schwarza, la Traun, l’Ybbs, il Lammer, la Gail, la Drava e diversi altri, poi di nuovo nell’ex-Jugoslavia, nel Krka, nella Sora, nella Savinja... ma non furono pochi i luoghi comuni sfatati. Primo tra tutti quello delle mosche piccole e piccolissime: i temoli prendevano di tutto, ad iniziare da ciò che sfarfallava, avrebbero preso anche


passeri, se fossero usciti dall’acqua. Un altro conto che non torna è quello della bocca piccola e fragile, neanche gli si fosse dedicata la canzone di Drupi. Certo non ha la bocca del luccio, ma c’è gente che usa solo micro-mosche perché crede che altrimenti non possano attraversarne le fauci, ma scherziamo? Non c’è insetto che un temolo non possa ingoiare. E poi, fragile? Se strappate le labbra ai temoli le strappate di certo anche alle trote, forse dovreste usare canne più morbide, o fare una vita meno frustrante se alla vostra mosca resta attaccata di tanto in tanto una cartilagine labiale. Cos’è che non va? Tra temoli e trote esiste una differenza di base a proposito di selettività. La trota è più irruenta, il temolo è più metodico e riflessivo: è un principio generale ricco di eccezioni, ma comporta conseguenze. Una trota allarmata o, peggio, spaventata, scompare e non torna più; almeno per quel giorno ve la dovete scordare. Il temolo parrebbe di no. Quando si pesca questi sem-

bra davvero che non ci consideri, magari rifiuta la mosca, ma continua a bollare, sembra che c’inviti a sfidarlo di nuovo e noi, coglioni, spesso accettiamo la sfida. Solo dopo qualche cattura può verificarsi un calo d’attività in quella zona d’azione. Io credo che questo comportamento si abbini perfettamente al precedente e ci autorizzi alle considerazioni del caso sulle differenze di carattere tra le due specie, ma una cosa rimane certa: per prendere gli esemplari migliori è meglio non rompere le scatole né all’una né all’altra. Tuttavia il temolo offre più chance e nella stessa zona talvolta è possibile, con la mosca giusta, prendere due, tre, più difficilmente quattro esemplari importanti. È questa fiducia che a temoli ci rende meno prudenti, poi è difficile rendersi conto delle possibilità perdute. A parte questi criteri generali, ogni altra considerazione va fatta volta per volta, ambiente per ambiente, annusando l’atmosfera e cercando soluzioni.

Una Eurycaenis harrisella di Chamberet, originale, acquistata nel negozio di Garue nel 1974 circa.

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A proposito di soluzioni, occorre riconoscere che col temolo la mosca è ancora più importante che con la trota. Dev’essere quella entomologicamente giusta, deve essere fatta bene e soprattutto usata bene. Quando vediamo una trota in torrente prodursi in una bollata rabbiosa su un insetto e le lanciamo una mosca che deriva in modo corretto, ma viene rifiutata, rimaniamo sorpresi, se quella trota ha agito così è perché s’era allarmata, ha percepito qualcosa del nostro attacco, o è di quelle che hanno studiato tutti i libri di John Goddard, insomma, non è da lei, ma col temolo è diverso. Nel lanciare la mosca a un temolo l’incubo costante è quello del rifiuto, vale a dire quello che si verifica nella maggior parte dei casi, ecco quindi la ricerca infinita di una mosca migliore, che offra maggiori garanzie, anzi che sia quasi miracolosa. Il problema è che tante mosche si comportano così, ma ad intervalli. La mosca miracolosa oggi fallisce domani, e viceversa. Credete davvero che sia colpa della mosca? Non è un po’ come dar la colpa all’auto se tamponate qualcuno? Con questi presupposti, qui si proporranno alcuni semplici modelli tra queste, quelle che di tanto in tanto sembrano compiere miracoli, selezionate tra quelle più utilizzate di frequente, perché negli anni hanno riscosso la maggiore fiducia. Sono state evolute pian piano, con minimi adattamenti, ed ogni scelta di materiale è più oculata e motivata di quanto a prima vista lascino supporre. In verità, alla fin fine, sono più i materiali scartati e le strutture eliminate che quelli che sono rimasti a comporla, ma è questo il vero segreto. In questi sei modelli non troverete novità, né strane forme plastiche, né materiali di sintesi o costruzioni originali. Sono quattro dressing banalissimi di derivazione classica. Comprendono due CDc, un piccolo plecottero (e chi non lo proporrebbe, coi temoli?), una parachute, un piccolo palmer e una versione praticamente originale dell’immortale Eurycaenis harrisella di Chamberet. Tra le mille mosche delle mie scatole sono quelle che lego al finale con più frequenza e fiducia. Vediamole una alla volta. 6

Cdc 1 - Foto 1, dopo aver rivestito l’amo col filo di montaggio si prepara un moderato dubbing di pochi centimetri.

Cdc 1 La più semplice è il Cdc con torace in dubbing di pelo di lepre, mentre l’addome non ha corpo: solo filo di montaggio. Si tratta di un amo con una passata del bobinatore caricato con filo nero. Niente code. Altro non è che una versione semplice ed originaria della F-Fly (realizzata con solo un bunch di Cdc sull’amo e null’altro), ma resa “grassoccia” (si potrebbe aggiungere “come piace ai temoli”) con un modestissimo torace in pelo di orecchio di lepre. La sua funzione è di rendere più realistica la silhouette e di contribuire al galleggiamento. Possiamo chiamarla Cdc 1. Cdc 1, il dressing Amo. Dal 16 al 20. Filo di montaggio nero. Code. No. Addome. Filo di montaggio nero. Torace. Pelo di lepre. Hackle. No. Ala. Cdc grigio scuro. Cdc 2 Segue una sua versione dove il dubbing è ripartito lungo tutto l’amo formando anche l’addome. Questa versione la chiameremo Cdc 2 e sembra funzionare meglio come emergente che come subimmagine,


Foto 2, si realizza un piccolo ingrossamento del torace con dubbing in pelo di lepre, lasciando “scappare” le fibre più consistenti.

Foto 3, si appone un ciuffetto di barbe di Cdc grigio e si chiude la mosca con nodo e vernice.

come invece la prima. Per la verità sono parecchio equivalenti e le utilizzo preferenzialmente la prima in acque più difficili, la seconda se la superficie è un po’ più mossa.

Foto 2, si forma il corpo lungo tutto l’amo col dubbing in pelo di lepre.

Cdc 2, il dressing Amo. Dal 16 al 20. Filo di montaggio nero. Code. Hackle grigio scuro. Corpo. Pelo di lepre scuro. Hackle. No. Ala. Cdc grigio scuro.

Cdc 2 - Foto 1, dopo aver rivestito l’amo col filo di montaggio si prepara un dubbing in pelo di lepre.

Foto 3, si forma l’ala in Cdc e si chiude l’artificiale.

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Il “minipalmer” denota da sempre un’efficacia che trascende l’impressione che offre al Pam, quella di una buona mosca per acque alte, ma nulla di straordinario. Invece...

Minipalmer La terza mosca proposta è il cosiddetto minipalmer, l’antesignana della AK 47. L’episodio venne già raccontato in Fly Line, comunque un nostro amico pescando in una sorgiva Friulana si trovò con altri compagni a confrontarsi con un pescatore locale che catturava con allucinante continuità, mentre i nostri... Beh, non combinavano granché. Dopo un po’ la faccenda divenne insopportabile e Mimmo cedette: andò a parlare con l’ammazzasette, che fu cortese quanto prodigo, e tornò con un piccolo palmer grigiastro ed ali in Cdc. Lo provò ed iniziò a catturare subito. Successivamente questo modello dilagò tra noi amici e divenne il prototipo di numerosi modelli fino ad arrivare, appunto, alla AK 47 ed ai suoi derivati, ma per temoli l’originale rimase insostituibile, volendo (dovendo...) scendere su dimensioni minori di amo. Minipalmer, il dressing Amo. Dal 16 al 20. Filo di montaggio grigio scuro. Code. Hackle sandy dun. Corpo. Pelo di lepre chiaro. Hackle. Palmer con hackle sandy dun. Ala. Cdc grigio medio. 8

Brown Emerger La quarta mosca è una parachute, concepita, e utilizzata, come emerger. Il nome scelto è Brown Emerger, giacch[ il corpo è in dubbing di lepre, materia preferenziale per la March Brown che in effetti imita piuttosto bene o, meglio, imita gli Ecdyonurus in sfarfallamento. Venne già proposta in una versione un poco più complessa. Che dire? Funziona, e bene. Galleggia anche, bene. Galleggia come un emerger, col corpo sotto, l’hackle trattenuta dalla pellicola e le ali fuori, ali visibili, molto visibili. È ottima in torrente, ma nelle acque della Soca non ha mai deluso, anche in lame dalla superficie poco increspata. Possiamo ipotizzare che al pesce si mostri come una ninfa pervenuta in superficie ed in atto di abbandonare l’esuvia. Brown Emerger, il dressing Amo. Dal 14 al 10. Filo di montaggio grigio scuro. Code. Hackle grizzly. Corpo. Pelo di lepre scuro. Tinsel. Piattina dorata. Hackle. Gallo grizzly parachute. Ala. Bunch di poly bianco, oppure Cdc grigio chiaro.


Minipalmer - Foto 1, nel rivestire l’amo col filo si fissano le code e l’hackle che formerà l’avvolgimento “palmer”.

Foto 3, si forma il corpo col dubbing in pelo di lepre.

Foto 4, si avvolge l’hackle, tre giri nel corpo e due in testa.

Foto 2, si prepara un dubbing in pelo di orecchio di lepre col sistema dell’asola, ma senza eccedere nel materiale.

Foto 4, si forma l’ala in Cdc grigio e si chiude la mosca.

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Foto 2, si fissa una hackle grizzly alla base del ciuffo di poly.

Brown Emerger -

Foto 1, col filo di montaggio si riveste l’amo e si fissano le code, quindi si torna in testa dove si fissa un ciuffo di polipropilene bianco. I puristi possono sostituirlo con Cdc. Si forma alla sua base una legatura come nella foto. Presso la curva si fissa una piattina metallica.

Foto 4, se vi eravate dimenticati la piattina dorata, è il momento di metterla...

Foto 7, avvolto l’hackle parachute dall’alto verso il basso e qui fissato, si completa la mosca con nodo e vernice.

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Foto 3, si lega la rachide dell’hackle lungo la legatura del poly come nella foto.

Foto 5, si prepara un dubbing in orecchio di lepre.

Foto 6, si forma il corpo in dubbing in orecchio di lepre profilandolo come nella foto, con addome conico e torace.

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Blue Stone Fly

- Foto 1, col filo di montaggio si riveste l’amo e poi si forma il corpo in dubbing di pelo di orecchio di lepre.

Blue Stone Fly Quinta mosca. È la Blue Stone Fly. Perché blu? Perché l’ala è blu, più violetta, in verità, che blu. Nella foto appare blu, ma in realtà è una sorta di lilla, evidentemente i sensori della digitale non digeriscono l’ultravioletto e neanche il violetto. Nacque per caso quando, dovendone costruire alcune in vista di un’uscita, m’accorsi che il quill grigio era finito. Ne feci alcune che non delusero e rimasero nel box ad alternarsi a quelle grigie che realizzai successivamente. Nel tempo ebbi più volte l’impressione che quelle col quill violetto fossero più efficaci e, sapete com’è, pur convinto che si trattasse esclusivamente del caso... Avete già capito, finii per convincermi. Si direbbe che non vi sia logica, ma a quel tempo non pensavo che i pesci percepissero diversamente da noi l’ultravioletto. Oggi diverse ricerche stanno cercando di dimostrare questo curioso aspetto e si stanno studiando e sperimentando artificiali realizzati con materiali luminescenti e riflettenti viola e bluastri; sembrerebbe che attirino di più i pesci. Certamente a breve attireranno di più i pescatori. Comunque la Blue Stone Fly funziona. E bene. Un caso, certo, ma... Che vi co12

Foto 2, si fissa una sezione di quill di tacchino a formare la tipica ala dei plecotteri del genere Leuctra.

sta provare? Si realizza in pochi minuti, è facile e certamente efficace. Blue Stone Fly, il dressing Amo. N. 16. Filo di montaggio nero. Code. no. Corpo. Pelo di orecchio di lepre scuro. Hackle. Rado, blue dun scuro. Ala. Quill di tacchino tinto blu violaceo. Eurycaenis harrisella Sesta ed ultima mosca. Sinonimo di Brachycercus harrisella, questa piccola imitazione di Caenis che porta il nome di un insetto appartenente a questo genere, ma in realtà ne imita svariati, non limitandosi, oltrettutto, alle sole effimere. È la mosca più poetica del repertorio entomologico del Pam, valutata come impalpabile, eterea... effimera, appunto. Il corpo in quill di pavone naturale, l’hackle misto bianchiccio ceraceo e giallastro chiaro e le ali spent in punta di hackle chiara mostrano un piccolo insetto pallido che già tende a mimetizzarsi nell’aria, figuriamoci nell’acqua. Se si avesse la pazienza di utilizzarla, nonostante la dimensione minuta, in torrente, si scoprirebbe con sorpresa che i pesci non solo la


Foto 3, si appone e si avvolge con 2/3 giri una hackle di gallo colore grigio medio. Nodo e vernice.

vedono bene, ma la cacciano con entusiasmo e convinzione, anche in acque mosse ed alte. Il problema per il Pam è vederla, almeno per chi non è allenato a pescare con imitazioni poco visibili in acque mosse, non è da tutti, specie quando si delega la vista agli accorgimenti “hi-visibility fly”. Sono sempre meno infatti i pescatori che tendono ad accrescere l’abilità personale delegandone diversi aspetti a siffatte mosche, ai segnalatori d’abboccata, a finali colorati e via dicendo. Da realizzare è la più difficile, non perché sia davvero difficile, ma perché le altre, in confronto, sono semplicissime. L’unica difficoltà, che poi è un montaggio banale, è quella di apporre le due piccole ali in punta di hackle, ma è il minimo che si possa richiedere ad un flytyer poco più che iniziato, anche se vanno montate su un amo n. 16. Questa eterea imitazione è l’emblema perfetto della parte sana e veritiera della vera cultura Pam del mondo classico; chi conosceva ed utilizzava a suo tempo le mo-

sche di Chamberet ed ha ben chiara nella mente il loro aspetto e la perfetta armonia di montaggio, compresa la forma dell’amo, sa cosa intendo, specie se ha ancora la possibilità di osservare qualche esemplare originale. Fa parte di quei modelli che danno piacere solo per il fatto di essere tenuti nella mano ed osservati, e comportano una piccola emozione al momento del montaggio, poiché si sta per lanciare al pesce, al di là di una semplice mosca, un piccolo e magico universo culturale. Eurycaenis harrisella, il dressing Amo. N. 16. Filo di montaggio grigio chiaro. Code. Hackle giallo pallido. Corpo. Quill di pavone naturale tolto dall’occhio blu. Hackle. Due piume: una grigio chiaro ed una giallo pallido. Ala. Punte di hackle grigio chiaro. Bene, ora avete in dotazione un arsenale di grande potenza, usatelo come si conviene. 13


Eurycaenis harrisella - Foto 1, col filo di montaggio si riveste l’amo e si fissano le code ed il quill di pavone.

Foto 4, si appongono due piccole hackle di gallo, una biancastra ed una giallo pallido, non servono piume lunghissime, poichĂŠ si effettueranno solo pochi giri per piuma.

Foto 5, si avvolgono le due hackle in successione. Si chiude la mosca con nodo e vernice.

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Foto 2, col quill di pavone si realizza l’addome.

Foto 3, si realizzano le due ali in punta di hackle grigio. Si montano prima verticali, le si dividono con l’ago e si aumenta via via l’apertura con giri incrociati del filo di montaggio fino ad aprirle a circa 150°.

Eurycaenis harrisella

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