FUL | Firenze Urban Lifestyle #11

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prendimi • free press

febbraio - marzo 2014

anno 02

n• 11

Aut. del Tribunale di Firenze n. 5838 del 9 Maggio 2011 - Direttore responsabile Daniel Meyer Proprietario Fabrizio Marco Provinciali • Realizzazione grafica Ilaria Marchi


Care lettrici, cari lettori, piove da molti giorni, l’inverno è al culmine, il freddo e l’acqua la fanno da padroni. è fantastico, no? Cosa c’è di meglio che starsene a casa, al caldo, a leggere un buon libro (meglio ancora: una copia di FUL...), con una tazza di buon tè? O rintanati in un cinema, a guardare un bel film? Oppure, alla ricerca di nuovi locali, o a giro per ristoranti? Ma la medaglia he sempre due facce, c’è sempre qualcosa di positivo... noi di FUL, almeno, la pensiamo così, e speriamo di trasmettere anche a voi un po’ di questo ottimismo. Al diavolo la crisi! Si andrà una volta in meno al ristorante, e si sperimenterà qualche ricetta in più a casa, magari da condividere con gli amici, tra un bicchiere di buon vino e tante risate. Che sono sempre gratis... come tutte le cose migliori nella vita. E gratuito è anche ovviamente il vostro buon vecchio FUL, che torna con un numero 11 positivo e colorato (alla faccia dell’inverno!) in cui spiccano i colori brillanti - come quelli dello studio di Giovanni de Gara - e dove dominano i temi legati al ritmo: il ritmo della notte, ma anche quello dei mercati di Firenze, quello della musica - con gli Street Clerks, la band fiorentina del momento - , e con un’inchiesta su come Internet ha cambiato il modo di fare musica; d’altronde, come dice Goethe, «il ritmo ha qualcosa di magico; ci fa perfino credere che il sublime ci appartenga». E poi, come piace a noi, anche qualche spunto di riflessione, con la storia di Francesco Flachi, l’ultimo fiorentino a indossare la maglia viola, che adesso sta vivendo un’insolita seconda vita, e con una doppia intervista che ci racconta dei punti di vista differenti sull’annosa questione della movida. Si ride, si riflette, ci si commuove, s’impara sempre qualcosa di nuovo: a questo numero di FUL, modestamente (ehm...), non manca nulla. E, quello che manca, lo troverete nel prossimo numero. Ovviamente... Daniel C. Meyer Aut. del Tribunale di Firenze n. 5838 del 9 Maggio 2011 Direttore responsabile Daniel Meyer Proprietario FMP Realizzazione grafica Ilaria Marchi

Ideazione e coordinamento editoriale Marco Provinciali e Ilaria Marchi Se sei interessato all'acquisto di uno spazio pubblicitario: marco@firenzeurbanlifestyle.com • tel. 392 08 57 675 Se vuoi collaborare con noi ci puoi scrivere agli indirizzi: marco@firenzeurbanlifestyle.com • ilaria@firenzeurbanlifestyle.com visita il nostro sito www.firenzeurbanlifestyle.com pagina facebook FUL *firenze urban lifestyle*

ringraziamenti

Nicola Benvenuti, Francesco Flachi, Trine West, Giovanni De Gara, Street Clerks (Alexander, Cosimo, Francesco e Valerio), Dado, Ayako, Elisa, Borja Valero, Annalisa Lottini, Dino Sauro, Plindo, Stefano Iannaco e ovviamente a tutta la redazione

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p. 8

Street Clerks: anche Firenze ha il fattore X

p. 10

Un’oasi di verde nel cuore di San Niccolò

p. 13

Il ritmo della notte

p. 14

La musica ai tempi di Internet: cronaca di una rivoluzione incompleta

p. 16

Mappa//partners//punti distribuzione

p. 18

Il ritmo (cardiaco) della vita notturna

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Campione fuori dal campo

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Tango. La seduzione del ballo

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Città che vai, mercato che trovi...

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Rubrica: uno

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Rubrica: la

Si chiamano Alexander, Cosimo, Francesco e Valerio, ma il grande pubblico li conosce come Street Clerks. Vengono da Firenze e sono stati una delle rivelazioni dell’ultima edizione di X Factor. Li abbiamo incontrati e abbiamo cercato di scoprire un po’ di più sul loro conto... Giovanni de Gara: artista, flâneur e altro ancora. Misteriosi ermetici messaggi attirano l’attenzione dei passanti da una lavagnetta posta all’ingresso del suo studio: se vi capita di passare da quelle parti, affacciatevi... Potreste rimanere piacevolmente sorpresi. La notte è un mondo a sé stante. Storie che iniziano col calare del sole e finiscono all’alba, che raccontano di un pubblico senza età, non etichettabile, che si aggira per le strade della città, da un concerto all’altro, attraverso i locali, tra musica, alcol e voglia di libertà. La rivoluzione digitale ha completamente trasformato il nostro modo di ascoltare ma anche di produrre la musica. Per scoprire quali saranno gli esiti di tale evoluzione abbiamo parlato con un tecnico che in questo campo lavora da più di quindici anni: Edoardo “Dado” Fracassi.

Come tutti i cuori, anche quello della vita notturna cittadina può avere un battito irregolare o, come è effettivamente successo, subire qualche arresto. La Procura stacca la spina ai locali, i gestori tentano di riattaccarla dialogando col Comune, ma il defibrillatore sembra non avercelo nessuno. “Il ragazzo gioca bene, il ragazzo gioca bene...” dice uno storico coro della Curva Fiesole e chi ha più di trent’anni non potrà che pensare subito a lui: Francesco Flachi. L’ultimo, storico, fiorentino doc ad aver indossato la maglia viola. La seduzione del tango: un mix suggestivo di contatti, sguardi, intesa, passi e sensualità. Un ballo difficile ma che piace, che affascina, che avvicina. Per scoprire qualcosa di più di questo fenomeno siamo andati ad intervistare uno dei maestri più bravi del panorama fiorentino, Giovanni Eredia della scuola Pablo Tango Firenze.

Si viaggia per piacere, per relax, per visitare città nuove, osservare monumenti e adempiere a quella intrinseca curiosità tipica dell’essere umano. Nell’ultimo decennio, volare all’interno del vecchio continente è diventato estremamente facile ed economico: così viaggiamo in lungo e in largo, cercando di assorbire il più possibile cultura e conoscenza di un paese straniero... ma non è così facile!

straniero a Firenze//un fiorentino all'estero

pagina dell’artista* - Per il numero XI a cura di Frenopersciacalli


Come disse qualcuno, “Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare…”. Non ho mai sognato, o neppure pensato, di fare il giornalista. è stato il giornalismo che ha trovato me: è come se ci fossimo sempre conosciuti, ma ci siamo incontrati solo grazie ad una serie di coincidenze. Io questo lo chiamo Destino… Viaggiare, conoscere persone interessanti, intrufolarsi dappertutto, soddisfare la propria curiosità, imparare sempre qualcosa di nuovo, dialogare coi lettori, scrivere… che volere di più. •

Mario Puccioni

Paolo Lo Debole

Cristina Battaglini

Tommaso Baroncelli

“Le persone comuni spesso lo ignorano, ma nel nostro mestiere il talento conta moltissimo. Quando ero ragazzo anch'io pensavo che lo scienziato, alla fin fine, fosse soltanto un osservatore attento che mette in ordine i dati. Non è così. Per scoprire qualcosa di nuovo occorre lo stesso talento di un compositore capace di creare nuovi legami tra note e melodie. Nel nostro caso si tratta di connettere aspetti comportamentali apparentemente lontani tra loro” (G. Rizzolatti, 2012). Dalle scienze bisogna uscirne più volte possibile per colmare l'incolmabile differenza che c'è tra la vita reale e la teoria. Psicoanalista e neuroscienziato cognitivo, lavora da tre anni presso l'Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze. •

Sono nato nel 1964 nella meravigliosa Firenze in un giorno d'estate, precisamente il 21 giugno, ma ho dovuto attendere un sacco di tempo per capire cosa la fotografia significasse per me. Posizionare l'occhio nel mirino e vedere il mondo da una prospettiva diversa, con più angolazione. Oramai ho deciso che questa sarà la mia strada professionale, ogni volta che esco con la mia Nikon il momento diventa importante e il solo pensiero che anche un solo scatto mi soddisfi è gratificante. •

“Tutti sono d’accordo nel riconoscere che nella specie umana sono comprese le femmine, le quali costituiscono oggi come in passato circa mezza umanità del genere umano; e tuttavia ci dicono “la femminilità è in pericolo”; ci esortano: “siate donne, restate donne, divenite donne”. Dunque non è detto che ogni essere umano di genere femminile sia una donna; bisogna che partecipi di quell’essenza velata dal mistero e dal dubbio che è la femminilità”. Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, 1949. •

Firenze, 23 luglio 1979. Nasco pigramente 23 giorni dopo la scadenza del tempo, il primo giorno disponibile del Leone. Sin da piccolissimo rimango per ore incantato ad ascoltare musica e a guardare i dischi girare nel piatto… Colleziono vinili, leggo molto, mi piace cucinare e amo il buon vino. Credo che le belle canzoni aiutino ad essere persone migliori. •

Sandro Bini

Marco provinciali

Alle ore 7 del 13 giugno 1982 sono entrato in contatto con le prime facce umane. Dopo un mese, assieme a Pablito Rossi, Tardelli e tutti gli italiani ero già campione del mondo ed il calcio divenne per me una malattia. Mi piace mangiare un po’ tutto, amo il vino e anche la birra… in fondo la condivisione di una tavola è la cosa più bella che ci sia… Mi occupo di comunicazione e collaboro con alcune testate locali e nazionali… FUL mi piace tantissimo. •

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Daniel C. Meyer

Ilaria marchi

Firenze l’è la mia città. La amo e la adoro. Mi piacciono i vicoli stretti, le realtà nascoste. Girarla con la mia vecchia bicicletta era una cosa fantastica, era, perché adesso me l’hanno rubata, mannaggia!!! Non vi dico l’età ma sono una giovane grafica a cui piace respirare la libertà, mangiare cose buone e ridere con gli amici. •

Fotografo, curatore, docente di fotografia, fondatore e Direttore Responsabile dell’Associazione Culturale Deaphoto di Firenze (www.deaphoto.it), mi occupo prevalentemente dell’organizzazione delle attività progettuali didattiche ed espositive di Deaphoto. La mia ricerca fotografica è incentrata soprattutto sull’indagine delle relazioni fra l’uomo e il paesaggio contemporaneo e sulla dialettica critica fra percezione e fruizione dei luoghi, legata alla contestualizzazione della propria esperienza. Dal 2009 sono curatore del Personal Blog “Binitudini / Spazio di riflessioni visive teoriche e pratiche sul gesto fotografico contemporaneo” (http://binitudini.blogspot.it). •


Silvia Brandi

Teresa Tanini

Jacopo Aiazzi

Niccolò Brighella

“Nata a Firenze Torregalli il 28 settembre 1987 (Bilancia ascendente Sagittario), di residenza isolottiana ma scandiccese d'adozione, a 20 anni decide che ha voglia di farsi qualche giro e passa 3 anni fra Londra, l'Australia e Parigi. Adesso è a Firenze in pianta semi stabile perché nella vita non si può mai dire. Per FUL traduce gli articoli in inglese, vivendo così nella paura che gli articolisti sentano nella traduzione stravolto il significato delle loro parole e l'aspettino sotto casa. Il traduttore è un mestiere duro ma qualcuno deve pur farlo”. •

It is more fun to talk with someone who doesn't use long, difficult words but rather short, easy words like 'What about lunch?' – Winnie the Pooh. •

Nasco a Fiesole alle 5:30 di mattina del 23 settembre 1985, con una mano sopra la testa e dal peso di 4kg e passa. Più fastidioso di così non potevo essere. Sono nato il giorno in cui è morto Giancarlo Siani, un giovane giornalista di ventisei anni ucciso dalla camorra a Napoli. Oggi ho la sua età e ancora non ho assimilato tutte le sfumature che il giornalismo può assumere. L'unica cosa di cui sono consapevole è il desiderio di coltivare questa conoscenza. Più appassionato della scrittura in quanto tale che dal giornalismo, apprezzo ogni forma di quest'arte. La cosa che più mi codifica come italiano è l'amore per la pastasciutta, con qualsiasi sugo. •

Nasco il 16 giugno del 1978 in un antico paese della periferia fiorentina. Scrivo il mio primo racconto da bambino, narrando le vicende di un cucciolo di coccodrillo che, per caso e per fortuna, con l’ausilio di una stufetta e delle nevi eterne del Kilimanjaro, genera il grande fiume Nilo. Da allora, in un certo senso, non sono mai più sceso da quella esotica montagna (e mi sono innamorato di stufe e termosifoni). •

redazione mobile

Nato a Firenze 31 anni fa. Fin da piccolo manifesta uno spiccato interesse nei confronti delle immagini offerte dal mondo che le circonda. Durante l'adolescenza inizia ad entrare in confidenza con l'apparecchio fotografico e al momento dell'iscrizione all'università, decide di approfondire la sua passione scegliendo il corso di laurea in Grafica e Fotografia sotto la facoltà di Architettura di Firenze. Laureatosi con il massimo dei voti che poteva permettersi, decide di emigrare a Londra dove vive per quattro anni tra foto, tavoli di ristoranti e clubs fino a pochi mesi fa quando rimpatria a Firenze. •

La nostra redazione è in completo movimento, composta da fiorentini autentici e da coloro che hanno trovato a Firenze la loro seconda casa. La centrale operativa è nella zona delle Cure ma l’occasione di incontri e riunioni è sempre una buona scusa per approfittare di una visita ai vari gestori di bar o locali che ormai da anni conosciamo. Una redazione mobile che trova nel supporto della rete il collante necessario per la realizzazione di ogni nuovo numero.

Quello della Scapigliatura fu un movimento artistico e letterario sviluppatosi nell’Italia Settentrionale a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento. Gli Scapigliati erano giovani tra i venti e i trentacinque anni, nutriti di ideali e amareggiati dalla realtà, propensi alla dissipazione delle proprie energie vitali. «…tutti amarono l’arte con geniale sfrenatezza; la vita uccise i migliori » (in introduzione, La Scapigliatura e il 6 febbraio, Sonzogno, Milano, 1862). Martina nata nel 1985. Sa leggere la musica, ama scrivere e cantare, è Dottoressa Magistrale in Giurisprudenza. Vive a Firenze col suo adorato Jack Russel Napoleone, di anni 8. •

Tommaso Pacini

Martina Scapigliati

Marta Pintus

Inizia a scrivere a 6 anni con una poesia che recitava: “Il mondo è fatato, fatto tutto di gelato, con tante caramelle fatte tutte di frittelle (…)”. Nel corso della vita abbandona la poesia per dedicarsi alla prosa, senza però mai rinnegare la visione infantile. Lavora un anno a Barcellona come giornalista di viaggi, scoprendo che la sua poesia altro non era che un reportage: una descrizione dell’essenziale che, come disse la volpe, è invisibile agli occhi. •

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ful in musica

Street Clerks: anche Firenze ha il fattore X

Si chiamano Alexander, Cosimo, Francesco e Valerio, ma il grande pubblico li conosce come Street Clerks. Vengono da Firenze e sono stati una delle rivelazioni dell’ultima edizione di X Factor. Li abbiamo incontrati e abbiamo cercato

di scoprire un po’ di più sul loro conto... A cura di Tommaso Baroncelli

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C

ome nascono gli Street Clerks? «Il gruppo nasce nel 2007 da un'idea di Cosimo, che voleva sfoggiare il contrabbasso nuovo... Inizialmente facevamo prettamente rock’ n’ roll e rockabilly con due chitarre, un contrabbasso, tre voci e tanta allegria. Suonavamo ovunque: locali, salotti privati, in strada... il nome del gruppo è ispirato a questo, oltre che dal nostro abbigliamento, che all'inizio era composto da camicia e cravatta. Sembravamo effettivamente degli “impiegati di strada”!». Che esperienza è stata X Factor? «X Factor è stata un'esperienza molto intensa, che ricorderemo sempre con un grande sorriso, e che ci ha permesso di conoscere molte persone con una grande passione e un grande talento. Parlo degli altri partecipanti, ma anche di tutto lo staff. Dal punto di vista artistico eravamo abbastanza “inespressi”, nel senso che quello che sappiamo fare è scrivere canzoni e “suonarle”, e lì non potevamo fare nessuna delle due cose; però, è stato molto divertente riarrangiare i brani (su tutti Baby, One More Time di Britney Spears) e affrontare il palco in una maniera totalmente nuova per noi, cioè col microfono in mano, come quattro cantanti solisti. È una cosa, questa, che ci ha fatto spesso morire dal ridere... “Ragazzi! Stiamo andando in mondovisione a fare una cosa che non abbiamo


mai fatto... Siete pronti?”. “No”. “Ottimo, andiamo!”. In fondo è stato semplicemente un gioco fantastico». Consigliereste la partecipazione a un talent oppure pensate che la vecchia gavetta sia ancora il modo migliore per emergere? «La gavetta è indispensabile, talent o non talent: non ha senso aspettare di vincere la lotteria, di essere presi ad X Factor o chissà cos'altro. Sono cose che succedono a una persona su un milione, e anche quando succedono non sono queste che cambiano, formano o danno veramente una direzione alla tua vita. Noi non siamo quello che siamo perché siamo andati in tv, ma perché per anni tutti i giorni abbiamo cercato di fare quello che ci piaceva fare, e che sognamo di fare per tutta la vita. La gavetta per noi non è stato un dovere prima del piacere, ma la cosa più bella che potesse succederci». Quali sono i vostri riferimenti artistici? «In realtà abbiamo gusti molto diversi, ma negli anni ci siamo conosciuti e “istruiti” a vicenda. Siamo tutti d'accordo sui Beatles, poi ognuno spazia un po’: si va dal primo rock ’n’ roll di Jerry Lee Lewis, Chuck Berry ed Elvis, fino ai Mumford & Sons, passando da Nirvana, Radiohead, Led Zeppelin, e così via...». Che città è Firenze per fare musica? Ci sono spazi sufficienti e la giusta attenzione da parte del pubblico? «A Firenze c'è sempre stato grande fermento dal punto di vista culturale e musicale. Purtroppo è un po' difficile fare qualcosa di organico, ben organizzato e a lungo termine, e lo è ancora di più in questo periodo storico. Nonostante questo continuano a nascere piccoli live club sempre molto frequentati, e ci sono comunque dei bei locali anche più grandi, come il Tender, il Combo o il Viper, in cui poter assistere a dei veri e proprio concerti, all'“inglese” per intendersi». C’è stato un locale che vi ha fatto da “palestra”? «Noi siamo stati molto fortunati anche per via della semplicità della nostra formazione che si adatta a palchi grandi ma anche a situazioni più piccole o acustiche. I locali in cui abbiamo suonato di più sono il Red Garter e la Nof Gallery, che sono diventati quasi una seconda casa per noi, e non finiremo mai di ringraziarli». Il 6 Marzo suonerete all’Obihall... Che concerto sarà e soprattutto che effetto fa riuscire a “conquistare” un palco del genere dove hanno suonato tutti i più grandi? «È una grande soddisfazione e ovviamente un'emozione unica, perché effettivamente è il primo “nostro” vero concerto su un palco così grande. Abbiamo già suonato su palchi molto grandi, ma sempre aprendo il concerto a qualcuno di più famoso (come Caparezza, Edoardo Bennato). Stiamo preparando una scaletta fresca, ma con qualche “colore” in più, un po’ più originale e personale del solito; ci saranno finalmente nuovi pezzi inediti e riarrangiamenti di successi internazionali... non vediamo l’ora di salire sul palco e suonare. L’ultimo concerto che abbiamo fatto, strumenti in mano, è stato a fine agosto!». Progetti per il futuro? «Ci sono parecchie cose in pentola ma su tutti... essere felici e fare uscire il primo vero album degli Street Clerks!». •

«La gavetta è indispensabile, talent o non talent: non ha senso aspettare di vincere la lotteria, di essere presi ad X Factor o chissà cos'altro»

ENGLISHVERSION>>>> They are Alexander, Cosimo, Francesco and Valerio, better known as Street Clerks. They come from Florence and are one of the last X Factor’s revelation. We met them and tried to get to know a bit more about them… How were the Street Clerks born? «The band was created in 2007 from an idea of Cosimo; at the beginning we mainly did rock’n’roll and rockabilly. We performed everywhere even in the streets: that’s where our name comes from, as well as our clothing which initially was shirt and tie. We really looked like some street clerks!». How was the X Factor experience? «That was a very intense experience, we keep great memories of it. From an artistic point of view we weren’t able to fully express ourselves, what we do is writing and playing songs, and we couldn’t do it there; however it was great to have the opportunity to rearrange songs and perform in a complete different way». Would you recommend participating to a talent show or do you think it’s better to rise through the ranks? «We paid our dues and this is absolutely essential, talent or not: there’s no meaning in waiting to win the lottery, to be called to join X Factor or things like that. We are not what we are because of TV, but because we’ve been trying to do what we want for years». Which are your artistic reference points? «We have very different tastes, we got to know each other over the years and mutually “educated” ourselves. We all agree about the Beatles, then everyone differs: starting from early rock’n’roll – Jerry Lewis, Chuck Berry and Elvis – up to Mumford & Sons, through Nirvana, Radiohead, Led Zeppelin and many others». Is there a club that you consider your “gym”? «The places where we played the most are Red Garter and Nof Gallery, they became sort of a second home for us and we’ll never thank them enough». Next 6th of March you will be playing at Obihall… What kind of gig will that be and how does it feel to “gain” a stage like that, where great artists perform? «It is a big satisfaction and a unique feeling, as this is our first real concert on such a big stage. We will finally have some unreleased songs and rearrangements of international hits… we look forward to jumping on that stage and play». Future projects? «There’s a lot on our plate but the most important thing is to keep being happy and publish our very first Street Clerks’ album!».•

9.


nel verde dipinto di verde

Un’oasi di verde nel cuore di San Niccolò Giovanni de Gara: artista, flâneur e altro ancora. Misteriosi ermetici messaggi attirano l’attenzione dei passanti da una lavagnetta posta all’ingresso del suo studio: se vi capita di passare da quelle parti, affacciatevi... Potreste rimanere piacevolmente sorpresi. Testo di Martina Scapigliati, foto di Paolo Lo Debole

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irenze. Il rione è San Niccolò. Per tutti gli amanti del passeggiare, la zona riserva deliziose piacevolezze: la vicinanza col fiume, la confidenza rionale, piccole gallerie d’arte e suoi artisti, tavole dove mangiare e bere in clima disteso. In San Niccolò non manca neppure la politica colta, secondo Liberale Venturi (personaggio peculiare della zona, amico e spesso ospite graditissimo dello studio del pittore de Gara), la vita semplice consumata nel circolino, le belle case. San Niccolò è un quartiere insolito, un po’ ritirato, riposto: sta in disparte. Giovanni si muove allo stesso ritmo, disteso, del quartiere. La riservatezza della zona la riempie di fascino, l’atmosfera è impreziosita dalla dolcezza della natura circostante e dai colori vividi, poi evanescenti, poi onirici. Una lavagna di gesso fa da insegna al suo studio, su cui l’artista si lascia andare ai pensieri. Arrivando dall’incanto del giardi-

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>>> Flying pig, 132x75 cm

ENGLISHVERSION>>>> Firenze. San Niccolò neighbourhood. For those who love strolling around, this area of Florence is simply perfect: nearby the river, intimate, with its small art galleries and artists, places where you can eat and drink in a relaxed environment. Giovanni has the same relaxed rhythm as the neighbourhood. The discretion of this area fills it with fascination, the atmosphere gets enriched by the surrounding beautiful nature and vivid colours. There’s a black plasterboard outside Giovanni’s studio, where the artist lets his thoughts go. Getting there from the magical Serristori Garden, it stands out as a grand arrêts, inviting passersby to daydream. Poetic rêveries, unforgettable metaphysics. On that dark rectangle de Gara writes as on a flag: «Against yoga stress, robot-dance classes». After the Serristori Garden, de Gara’s studio is the second green lung

no Serristori in direzione Piazza Poggi, s’impone infatti all’attenzione con il carattere dei grand arrêts l’insegna di lavagna nera attraverso la quale de Gara invita il passante ad abbandonarsi alle dolcezze del fantasticare. Poetica della rêverie, metafisica dell’indimenticabile. Su quel rettangolo d’ombra, de Gara scrive come su una bandiera, sventolandola nel quartiere: «Contro lo stress da yoga, corsi di ballo robot». Questo, oggi. Domani chissà. è così: de Gara, vagabondo tra i paradossi della sua città, nella sua figura di barbuto Cristo contemporaneo dall’eterna sigaretta, trae singolari ispirazioni e da queste ottiene spesso una citazione che regala ai cittadini, in un dialogo che vuole superare le dinamiche dualistiche borghesi dell’artista-con-il-collezionista, ma che stimola l’intesa col vero fruitore, che non sempre è l’esperto d’arte. Lo studio de Gara è, dopo il Giardino Serristori, il secondo piccolo-grande polmone verde del quartiere. Il secondo per bellezza e per quantità di vegetazione. C’è il verde dei campi da calcio dipinti in piccole tele, dove l’artista riproduce serialmente quella forma rettangolare con semicerchi che per un periodo lo ha ossessionato. C’è il verde di vigorose piante selvatiche, erbe e piccoli fiori: i dipinti trasudano profumo di vegetali. Dal 2005 ad oggi, Giovanni è passato dall’esser architetto al dipinger questo e quest’altro: da una pittura dai tratti fumettistici, tavole-cabala da interpretare, a qualcosa che ha richiami macchiaioli, cubisti, espressionisti, realisti… e sempre nelle tele c’è un intervento dissacrante, critico, cinico, innovativo. De Gara dipinge con il martello in mano. Fa la sua rivoluzione. Passa dal quartiere all’oriente, e poi dall’epigramma al cinismo. Qualche anno fa il suo studio era il FAF, Florence Art Factory, in zona periferica e industriale; forse qualcuno ricorderà la bellezza dello spazio (e il bagno così rosso) e delle feste... allora de Gara dipingeva tutto di nero. Ora, in San Niccolò, è arrivato il verde. Alcuni non vedono nel colore che una manifestazione istintiva della libertà. Altri, più sottili, vi vedono delle corrispondenze. Ora nella foresta del suo studio, anche gli alberi. The real story of a tree, così si chiama l’ultima fatica di Giovanni de Gara. Romanzi di 11.


>>> Future, 120x80 cm of the neighbourhood. Second for beauty and amount of greenery. There’s a lot of green in the football fields painted on little canvases on which the artist reproduce that familiar rectangular shape which was his obsession for a while. There’s the green of vigorous wild plants, herbs and little flowers: the paintings smell like greenery. As of 2005 to today, Giovanni came from being an architect to drawing this and that: from a painting that has comic stripe’s traits, to Cabala tables, to something recalling Macchiaioli style, Cubist, Expressionist, Realist… and yet every time in every canvas there’s something irreverent, critical, cynical, innovative. De Gara paints using a hammer. Now, in San Niccolò, green has arrived. Some of us can see an expression of freedom in it. Some others, more subtle, can see correspondences. Now, in the forest in his studio, there are trees. The Real Story of a Tree, this is the name of the last de Gara’s creation. Wooden novels obtained using woodworkers’ workshops’ waste. Noble and precious self-contained objects which won’t allow you to leaf through. «Nothing was added or removed: scratches, scars, stamps, writings which tell us the story of a tree (birth, death, incision, employment, km made, kg carried, owners changed) and re-propose the events of its life as evidence of our civilization. Books to be interpreted, which have a lot to say». Part of the earnings will be used to plant trees in the areas of the world which most need it (thestoryofatree.com). The project will be exhibited in Arte Fiera 2014, one of the most important Italian contemporary art’s fair, the “museo diffuso” in Bologna with more than 1000 artists and 172 galleries. • .12

De Gara dipinge con il martello in mano. Fa la sua rivoluzione. Passa dal quartiere all’oriente, e poi dall’epigramma al cinismo legno ricavati da scarti di falegnameria. Nobili e preziosi oggetti chiusi, che non si lasciano sfogliare. «Niente è stato aggiunto o tolto: graffi, cicatrici, timbri, scritte raccontano alcuni anni della vita di un albero (nascita, crescita, taglio, utilizzo, km percorsi, kg portati, padroni cambiati) e ne ripropongono le vicende come veri e propri reperti della nostra civiltà». Libri da interpretare, che hanno molto da raccontare. «Un testo semplice, ma non facile. Sintetico, ma dannatamente naturale. Il romanzo più avvincente che sia mai stato scritto. Una sorta di ri-allineamento genealogico, che avrebbe fatto impazzire il compianto Darwin». Parte del ricavato proveniente dalla vendita dei libri sarà impiegata per piantare un albero nelle zone più bisognose del mondo (therealstoryofatree.com). Il progetto sarà in esposizione alla kermesse di arte contemporanea Arte Fiera 2014, tra le più seguite in Italia, il “museo diffuso” di Bologna con oltre mille artisti e 172 gallerie. •


messa a fuoco

Il ritmo della notte

La notte è un mondo a sé stante. Storie che iniziano col calare del sole e finiscono all’alba, che raccontano di un pubblico senza età, non etichettabile, che si aggira per le strade della città, da un concerto all’altro, attraverso i locali, tra musica, alcol e voglia di libertà. testo e foto (Giardini di Mirò – Live Viper Club – Firenze 2013) di Sandro Bini

N

on posso farci niente, ho sempre preferito le atmosfere dei piccoli club alle grandi arene degli stadi e i palazzetti per vedere ed ascoltare musica dal vivo, e i piccoli gruppi emergenti e underground alle star del rock e del pop. Da almeno una decina di anni, una piccola fotocamera è la fedele compagna delle mie serate nei club fiorentini, per cercare di raccontarne l’atmosfera. Auditorium Flog, Viper, Tender, Glue, Ex Fila (e molti altri): questi i luoghi più ricorrenti che fanno da scenografia a serate animate da un pubblico spesso crossgenerazionale, accomunato però da una reale passione per la musica e la socialità che inevitabilmente la accompagna. Si ascolta, si osserva, si beve, si parla, si cerca di stare bene e di non pensare – almeno per un po’ – a tutti i problemi che quotidianamente ci assillano. Un pubblico critico, “difficile”, come critica e difficile è la nostra città, specialmente in un periodo di vera crisi come questo, ma anche generoso e dai grandi entusiasmi una volta conquistato. Ecco, ho cercato con le mie fotografie, realizzate costantemente durante tutti

questi anni, di raccontare in modo semplice e spontaneo chi ha attraversato questi luoghi e queste notti, cercando di costruire attraverso tanti piccoli tasselli un piccolo affresco sociale, culturale e musicale di un aspetto secondo me importante della nostra socialità e del nostro modo di viverla. Tutto questo in un dialogo e un costante, devoto riferimento a quei grandi maestri della fotografia che prima di me sono riusciti a descrivere con autentica partecipazione i ritmi della notte: dagli straordinari e pioneristici Paris de nuit (1934) di Brassai e A night in London di Bill Brandt (1938), a Love on the west bank di Ed Van der Elsken, fino ai più recenti lavori di Nan Goldin a Wolfgang Tillmans che hanno raccontato la vita notturna giovanile degli anni ottanta e novanta. Certo, c’è sempre qualcuno che si esibisce sul palco, ma io ho sempre avuto una particolare attenzione per chi ascolta e chi guarda, perché senza il pubblico non ci sarebbe nessun concerto, così come la fotografia non si compie nell’attimo fin troppo mitizzato del clic ma nel rito di restituzione di quando qualcuno la guarda e gli restituisce un soffio di vita.•

Si ascolta, si osserva, si beve, si parla, si cerca di stare bene e di non pensare almeno per un po’

www.deaphoto.it

ENGLISHVERSION>>>> I can’t do much about it, I’ve always preferred the atmosphere of small clubs to listen to live music rather than that of big stadiums and arenas, and emerging underground groups to big pop/rock stars. My small camera is the partner of my nights out in the Florentine clubs, she helps me to capture those atmospheres. Auditorium Flog, Viper, Glue, Ex Fila and more: these are the places where you can find the most animated crossgenerational public, moved by a real passion for music and sociality. People who are there to listen, observe, talk, drink, enjoy their time trying to forget (even just for a tiny bit) about their daily problems. My pictures try to catch them in a simple and spontaneous way, like small parts of a bigger social, cultural and musical fresco. It’s also a homage to the big photographers who succeeded in describing the rhythm of the night before me: starting from the extraordinary Paris de nuit (1934) by Brassai and A night in London by Bill Brandt (1938), to Love on the West Bank by Ed Van Der Elsken and the more recent works by Nan Goldin and Wolfgang Tillmans, which perfectly describe the 80s and 90s’ nightlife. There’s always someone performing on a stage, but my interest is for those who are there to listen and watch, because without public there wouldn’t be any concerts nor gigs. The same thing that happens in photography: its fulfilment comes when someone looks at it. •

13.


web music

La musica ai tempi di Internet:

cronaca di una rivoluzione incompleta

La rivoluzione digitale ha completamente trasformato il nostro modo di ascoltare ma anche di produrre la musica. Per scoprire quali saranno gli esiti di tale evoluzione abbiamo parlato con un tecnico che in questo campo lavora da più di quindici anni: Edoardo “Dado” Fracassi. Testo e foto Niccolò Brighella

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Batterista, poi Dj e producer per la Lowbit e TBahn records, Dado è oggi, dopo aver completato la prestigiosa scuola APM a Cuneo, un sound engineer e un fonico che ha collaborato con Marco Tagliola a Fantasma dei Baustelle, a Air Effect con Ozmotic e Christian Fennez, e allo sviluppo di tutti i dischi usciti per l’etichetta Fresh Yo! Label dal 2012, compreso il successo Cortellaha di Millelemmi. Raggiungo Dado proprio mentre registra nello studio privato di Millelemmi. Nelle pause tra una prova e l’altra, ci sediamo a parlare e la conversazione verte subito sulla sua visione del mondo musicale in questo periodo. L’altro giorno, a proposito di FELINE FUNK e del modo con cui l’etichetta per cui lavori si finanzia, abbiamo discusso di come oramai siano i live, e non la produzione di album, la cui vendita è crollata, a sostenere il mercato musicale. Questo esito a cosa è dovuto, e quali sviluppi avrà in futuro? «Oggi solo le tournee rendono, e non è un bene: non poter vivere della vendita della propria musica non permette più a un musicista di potersi dedicare ad essa in esclusiva. La scarsità di budget ha diminuito la cura delle produzioni stesse; pochissimi si rivolgono a dei tecnici e cresce la convinzione che tutto possa essere fatto in casa».

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Questa accessibilità della produzione musicale è un problema o un’opportunità? «È sicuramente un’opportunità, ma non solo. Molte cose possono essere fatte in casa, con un buon livello tecnico, il problema è che i musicisti, non sono quasi mai dei tecnici. La maggior parte dei prodotti è assolutamente non professionale: questo “dilettantismo” (in senso stretto, non denigratorio) si sente dal punto di vista tecnico e artistico. Perché stanno scomparendo i produttori che, da sempre considerati il male nella musica, erano anche coloro che sapevano trasformare un album in un prodotto con un valore aggiunto. Le possibilità per i musicisti di crescere sono diminuite enormemente, anche a causa dell’assenza di investimenti: prima anche una band indie underground poteva vivere benissimo della propria musica, oggi esistono solo il mainstream e i dilettanti. Da quanto tempo ormai una band non riesce più a emergere e a lasciare il segno?». Anche i nuovi supporti hanno influenzato questo trend? «Sì, è tutto parte di un mercato usa e getta. Oggi il supporto con cui si ascolta musica è l’MP3 che ha una qualità ridotta. Non c’è più la possibilità di sviluppare la qualità, e non c’è più l’interesse dell’utente finale ad averla, perché già di partenza scarica il prodotto gratuitamente. Inoltre, si produce così tanta musica che non c’è tempo di ascoltare un album e meta-

«La scarsità di budget ha diminuito la cura delle produzioni stesse»


bolizzarlo. Il minutaggio stesso dei pezzi si è accorciato enormemente, e l’aspetto artistico ne ha risentito, perché c'è bisogno di tanta musica e d’impatto, immediata, ma che spesso ha poco altro da offrire. Sembra oramai superata l’epoca dei concept album da ascoltare in toto: i progetti si fanno sempre più piccoli e meno rilevanti e, come se non bastasse, ne serve sempre un numero maggiore. A questo contribuisce anche lo skip listening, il passare con l’iPod da un pezzo all’altro di playlist da noi preparate con più album. Non c’è più bisogno di creare opere di ampio respiro, si lavora più che altro sulla

ENGLISHVERSION>>>> The digital revolution has completely changed our way of listening to music but also the way music is produced. We spoke with a technician who has been working in this field for over fifteen years: Edoardo “Dado” Fracassi. Drummer, then DJ and producer for Lowbit and TBahn records, Dado is now a sound engineer and sound technician who worked with Marco Tagliola for Fantasma by Baustelle, Air Effect with Ozmotic and Christian Fennez, and for every album produced by Fresh Yo! Label since 2012. The other day we talked about how live shows now are the real support of the music market, instead of the albums' sales. What is the reason in your opinion and which the future developments? «Nowadays tours are the only way to earn some

qsulla quantità. E la quantità spesso significa poca qualità».». Ma al di là degli aspetti tecnici, quali saranno secondo te gli sviluppi futuri del mondo musicale? «Credo che l’epoca degli studi con centinaia di migliaia di euro di strumentazione sia ormai passata, ma sono ottimista: penso che sia così sempre all’indomani di una rivoluzione, le persone coinvolte non riescono da subito a prendere coscienza dei nuovi mezzi e usarli in modo completo. Un giorno spero che sfrutteremo meglio la nuova realtà digitale per ciò che riguarda la produzione della musica e il suo ascolto». •

money, and it's no good: a musician who cannot make a living out of his music cannot completely dedicate himself to it. Low budgets reduce the standards of the productions. Only a few employ professional technicians when recording an album, and people think everything can be homemade». The accessibility to music production is a threat or it can be considered as an opportunity? «It is definitely an opportunity, but not only. The majority of the productions are absolutely not professional: this “dilettantism” is quite clear from both the technical and artistic points of view. We no longer have the figure of the producer who once contributed to add value to an album». Do the new technologies influence this trend?

Yes, we live in a disposable market where quantity has replaced quality. The world is so saturated with music that there is no time to properly listen to an album and assimilate it. The quality of the products is definitely affected by it, as we need easy listening music, of great impact in always bigger volumes, and high volume often means low quality». Leaving aside the technical aspects, which do you think will be the future developments in the world of music? «I think the age of super-expensive instrumentation has ended, but I’m optimistic: it’s always like this after a revolution, it takes a while to understand the full range of the new media and learn to use them properly. I hope that one day we will be able to really take advantage of digital technology for music production and listening». •

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Il ritmo (cardiaco) della vita notturna Come tutti i cuori, anche quello della vita notturna cittadina può avere un battito irregolare o, come è effettivamente successo, subire qualche arresto. La Procura stacca la spina ai locali, i gestori tentano di riattaccarla dialogando col Comune, ma il defibrillatore sembra non avercelo nessuno. A cura di Jacopo Aiazzi

I

l 13 dicembre scorso, sette locali di via de’ Benci sono stati posti sotto sequestro per violazione della quiete pubblica. è la seconda volta in pochi mesi: la prima, il 25 maggio 2012, è stata arginata con l’adesione da parte degli esercenti al Patto per la notte proposto dal Comune. Dopo che i titolari dei locali si sono resi disponibili a finanziare i servizi straordinari di controllo dei vigili urbani e hanno presentato un ricorso, il 25 gennaio scorso, la Procura ha finalmente posto il dissequestro. Persino sull’altra sponda dell’Arno il vento che tira non è di bonaccia: infatti, anche alle porte de La Cité sono comparsi per ben due volte i sigilli della Procura. I residenti non dormono, gli esercenti non vivono. Il perché abbiamo cercato di capirlo parlando con Trine West, titolare del Lochness che, dopo il secondo sequestro, ha deciso di mantenere il locale aperto infrangendo così l’ordinanza e venendo per questo denunciata, e con Nicola Benvenuti, presidente del Quartiere 1. Qual è il “problema via de’ Benci”? TW: «Il problema via de’ Benci è l’essere una strada di grande passaggio: per arrivare da un punto all'altro della città è spesso necessario passare da lì, e questo ovviamente crea disagi per i residenti che giustamente la notte vogliono dormire. Il sequestro dei locali non cambia questo fatto, anzi: senza la presenza del personale addetto ai controlli fornito dai locali è molto probabile che la gente farebbe ancora più confusione».

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NB: «In via de’ Benci sono concentrati oltre otto locali di somministrazione aperti fino a notte fonda. I frequentatori impediscono il transito dei mezzi pubblici e privati, disturbano la quiete pubblica, sporcano la via». Far pagare agli esercenti gli straordinari dei vigili urbani è una proposta che fa gola, ma risolverebbe davvero il problema? TW: «Una maggiore presenza delle forze dell’ordine, secondo me, risolverebbe il problema. Se poi a noi esercenti dovesse essere chiesto di pagare una tassa per avere più controlli, io sarei disposta a farlo: il danno economico che comporta il sequestro ci rende abbastanza disperati, e siamo disposti a pagare per poter tornare alla normalità». NB: «Difficile valutarne la fattibilità in termini di costi/benefici». I minimarket, in questa vicenda, che ruolo hanno? TW: «I minimarket sono un problema reale: non per il fatto che ci sono, ma perché vendono alcol a chiunque e a qualsiasi ora, permettendo di berne grosse quantità a prezzi bassi. Con quello che costa un drink in un qualsiasi locale in via de’ Benci, conviene comprare una bottiglia di vodka al minimarket e ovviamente, una volta acquistata, nessuno controlla più in che condizioni sei. Passo ore a raccogliere bottiglie di birra da 66cl, vino e vodka, che non sono di certo venduti dai locali. Mentre noi siamo chiusi, continuano feste e rave in strada, con alcol a fiumi». NB: «Molte persone comprano nei minimarket alcol in bottiglia, a minor prezzo che nei locali, per arrivare ad uno stato di ebbrezza, ovvero continuare a bere». Il Patto per la notte si è rivelato essere un palliativo, quale potrebbe essere una soluzione che risolva definitivamente il problema? TW: «Un divieto serio per i minimarket per impedire che vendano alcol dopo una determinata ora, controlli da parte delle forze dell'ordine, più collaborazione con le istituzioni e incontri tra residenti, commercianti, Comune e Prefettura, a intervalli regolari per evitare di arrivare ad una situazione come quella in cui ci troviamo adesso». NB: «I patti per la notte sono falliti perché manca una sanzione e perché coinvolgono solo i gestori dei locali, e non altri attori della vita notturna: minimarket, residenti, clienti. L’ amministrazione comunale può emanare regolamenti della somministrazione che contemperino in modo equilibrato i legittimi diritti di tutti gli attori, fornendo anche ai gestori certezze sulle modalità di conduzione della propria attività. Infatti la liberalizzazione del commercio non contrasta affatto con la salvaguardia di diritti costituzionalmente garantiti, quali il diritto al riposo e al benessere psicofisico, etc. Tale regolamento potrebbe anche assorbire eventuali patti per premiare comportamenti virtuosi dei gestori o per coinvolgere rappresentanti dei diversi interessi nel monitoraggio dell’applicazione del regolamento, secondo il principio della sussidiarietà». La vicenda sembrerebbe risolta con la rimozione dei sigilli, ma è una soluzione già vista. Intanto, Trine West ci ha fatto sapere che il Lochness è stato definitivamente chiuso a causa di uno sfratto per morosità. Il fondo, infatti, era già in vendita da tempo, ma l’alternarsi delle chiusure anticipate e le polemiche sorte in seguito sembrano non aver favorito l’arrivo di investimenti da parte di compratori esterni. •

i residenti non dormono, gli esercenti non vivono

ENGLISHVERSION>>>> On 13th December, seven bars in via de’ Benci were impounded for disturbing the public peace. After the owners of the premises declared their availability to finance extraordinary services of control by the municipal police and have filed an appeal, on 25th January, the Prosecutor's office has finally released the seizure. Residents don’t sleep, bar owners don’t survive. We tried to figure out why by talking to Trine West, owner of Lochness (after the seizure, she decided to keep the place open against the law and was sued for this), and with Nicola Benvenuti, president of Quartiere 1. What is the “via de’ Benci’s issue”? TW: «The issue is that via de’ Benci is a crossroad: passing there is often necessary and this obviously creates problems for the residents, who have the right to sleep at night. However, the bars' seizure does not change this fact». NB: «More than eight clubs open till late are clustered in the area of via de’Benci. Their customers obstruct the transit of public and private transportation, disturb the public peace, leave the street dirty». Operators of the municipal police could really solve the problem? TW: «I think a greater presence of the police would solve the problem. If we had to pay to have more controls, I would be willing to do it». NB: «It’s hard to assess its feasibility in terms of costs and benefits». What role do minimarkets have in this issue? TW: «Minimarkets are a real problem, because they sell alcohol to anyone at anytime. For the same price you can get a drink in a bar of via de’ Benci or a bottle of vodka at the minimarket. Alcohol flows even when we are closed, with rave parties going on outside in the street anyway». NB: «Many people buy alcohol in the minimarkets at a lower price to get easily drunk». What could be a solution to solve the problem once and for all? TW: «A serious limitation to the opening hours of the minimarkets, more controls from the police, more collaboration with the institutions and regular meetings between residents, shopkeepers, Municipality and Prefecture to prevent such a situation». NB: «The “pact for the night” has failed because there is no penalty, and it didn’t involve all the parties at stake: minimarkets, residents, customers. The local authorities should issue regulations that protect the rights of everyone». Seals have been removed and the incident seems concluded however the solution is not going to last. In the meantime, Trine West has let us know that Lochness has eventually closed, due to an eviction for non-payment. •

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cuore viola

Campione fuori dal campo “Il ragazzo gioca bene, il ragazzo gioca bene...” dice uno storico coro della Curva Fiesole e chi ha più di trent’anni non potrà che pensare subito a lui: Francesco Flachi. L’ultimo, storico, fiorentino doc ad aver indossato la maglia viola. Testo di Daniel C. Meyer, foto di Paolo Lo Debole

ENGLISHVERSION>>>> Francesco Flachi: the last, great, Florentine football player who wore the purple shirt. 100% Florentine, he’s got Florence in his blood, look, voice, gesture. He had everything: talent, passion, unconditioned love for his supporters, which were his friends too. Unfortunately fate chose a harder path for him: he rose then fell: bets, disqualification, cocaine… He’s a wiser man today, serene, down-to-earth. The second stage of his life – apparently – has been quite different: he owns Il Panino di Categoria, a nice and cozy sandwich bar in via XX Settembre. «I would have done it anyway. I enjoy being surrounded by people, doing everything». These are not just words: he is really kind with everyone and humble. He started playing football in the Isolotto team when he was seven, at

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oteva essere per Firenze quello che Totti è stato per Roma, non gli mancava nulla: il talento puro del campione, la passione, l’amore incondizionato per i tifosi, che per lui erano anzitutto amici. E poi, era di Firenze, l’ultimo grande giocatore fiorentino a provenire dalle giovanili. Ma il destino ha scelto per lui una strada più difficile, fatta di salite, ma anche di discese e sbandate: le scommesse, le squalifiche, la cocaina... non gli è stato risparmiato nulla, e ha dovuto pagare per tutto, fino alla fine. C’è chi parla di opportunità mancate, di talento sprecato. Ma Francesco Flachi non ha buttato via nulla nella sua vita, basta vederlo oggi: nonostante le sue vicissitudini, o forse proprio grazie a loro, oggi è uomo saggio, sereno, soddisfatto e con i piedi ben piantati per terra. «Il bello e il brutto fanno parte della vita: è troppo facile prendere solo il bello, io mi prendo tutto» dice oggi, senza ombra di rimpianto: ed è sincero, si vede. La seconda fase della sua vita – apparentemente – è molto diversa dalla precedente: è proprietario de Il Panino di Categoria, una bella e accogliente panineria in via XX settembre, lungo gli argini del Mugnone. Una scelta che potrebbe apparire in controtendenza, ma lui dice: «L’avrei fatta comunque. Mi piace

twelve he moved to Fiorentina. His big chance came quickly. It was the 16th of January 1994: he was eighteen and coach Ranieri decided he could make his dèbut. The real occasion arrived a week later. Fiorentina was playing at home, in Florence and the Artemio Franchi stadium was full. «I suffered the blow there – Flachi says – I was playing in Florence, in front of 30 000 people. I played my first match wearing the shirt number 10». But it went well, very well actually: «during the first period of the match I didn’t play very well, but in the the second I placed three assists and got a penalty kick». A real triumph. «The day after my phone kept ringing the whole day because I was still on the phone book, I had to disconnect it» he recalls smiling. But it wasn’t that easy: money, cars, nights out, a small city where rumours spread very easily… «No man is a prophet in his own land», he says. The

competition was hard, the pressure very strong. He then played for Bari and Ancona football teams and came back to Florence in the 1998-99 season – a glorious time for Fiorentina (which did qualify for Champions league) but which did not give him much space, since there were giants such Batistuta and Edmundo. That was his last appearance in Florence: he then moved on to Sampdoria where he found the glory and goals he deserved, as well as a disqualification and cocaine. That’s another story, though, and Flachi now has a detached relationship with his past. Florence is here to keep him company: «Florence is my home, everything I own» he says, then focuses «I like Florence, I love living here. People are always nice to me». His glorious period might have passed, but one thing did not change: whatever he does, still now, «This bloke knows how to play». •


«Il bello e il brutto fanno parte della vita: è troppo facile prendere solo il bello, io mi prendo tutto» stare in mezzo alla gente, e fare tutto: apparecchio, sparecchio, spazzo e servo le persone. E lo faccio con piacere». Non sono solo parole: è davvero gentile, affabile, ha una buona parola per tutti, e un’umiltà vera, quasi sorprendente se si pensa alla sua storia di vita; ma lui spiega: «Non ho mai cambiato il mio modo di essere solo perché sono diventato famoso e ho avuto i soldi: io sono sempre stato così, nella vita si nasce e si muore senza cambiare». Eppure la sua “vita” non è stata propriamente quella di tutti: ha iniziato col calcio a sette anni all’Isolotto, e poi a dodici anni è passato alla Fiorentina, facendo tutta la trafila nelle giovanili. “Il ragazzo gioca bene”, e per lui arriva presto la grande occasione. È il 16 gennaio del 1994: lui ha 18 anni, e il mister Ranieri, che lo stava tenendo d’occhio da un po’, decide di farlo esordire in campo. Roba da far tremare le gambe a chiunque... ma lui entra in campo a cuor leggero: «Ho un carattere molto spensierato, non ci ho pensato più di tanto...». La vera “botta” arriva una settimana dopo. Stavolta si gioca in casa, a Firenze: l’Artemio Franchi è pieno, la città intera non molla la squadra, nonostante la retrocessione. «Lì ho accusato un po’ il colpo – ammette Flach – giocavo a Firenze, davanti a 30mila spettatori, ero sotto gli occhi di tutti. E giocai per la prima volta con la maglia numero 10». Ma andò bene, benissimo: «Il primo tempo giocai un po’ così così, il secondo tempo feci una strage perché feci tre assist e mi procurai un rigore». Un trionfo, sotto gli occhi della famiglia e degli amici: a 18 anni era arrivato, aveva coronato il sogno di ogni tifoso della Fiorentina. «Il giorno dopo il telefono di casa squillava dal mattino alla sera perché ero sull’elenco, e mi toccò staccare il telefono!» ricorda, sorridendo. Ma non è

tutto facile: i soldi, le macchine, le serate, la città che è piccola, e dove le voci girano velocemente... nulla è regalato, niente è facile. «Essere profeti in patria è davvero difficile – riflette – dipende anche dalla tua personalità: io ho un carattere molto socievole, mi piace stare in mezzo alla gente, e questo non aiutava». La concorrenza era agguerritissima, e la pressione forte; Flachi gioca, si ritaglia i suoi spazi, sempre con onore, finché non arrivano le parentesi in prestito a Bari e Ancona. Poi il ritorno attesissimo in Viola nella stagione 1998-99, che sarà gloriosa per la Fiorentina (chiuderà al terzo posto classificandosi per la Champions League) ma dove non troverà molto spazio, chiuso da fenomeni come Batistuta e Edmundo. È la sua ultima apparizione a Firenze: nonostante possa dire che «qualche soddisfazione a livello personale me la sono levata» e i bei ricordi della vittoria in Coppa Italia, è tempo per lui di girare pagina. Passerà alla Sampdoria, dove troverà la gloria, l’affetto e i gol che merita, ma anche le squalifiche per le scommesse e la cocaina.

Ma è un’altra storia: e anche Flachi ha ormai un rapporto distaccato col passato. «Si cresce, si sbaglia, si casca e ci si rialza» riflette, ma aggiunge convinto: «Se ti comporti bene non hai nulla da temere: tutto ti ritorna indietro». E poi, c’è sempre Firenze a tenergli compagnia: «Firenze per me è la casa. È tutto per me» dice d’impeto, e poi mette a fuoco: «Mi piace Firenze: mi piace la città, soprattutto la sera quando è illuminata. Mi piace proprio viverla. Sono proprio affezionato a questa città, e anche la gente mi dimostra sempre il suo affetto». Forse il momento della gloria è passato, gli stadi strapieni sono solo un ricordo, ma una cosa non è cambiata: qualunque cosa faccia, anche adesso, “il ragazzo gioca bene”. •

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La seduzione del ballo foto a cura di tangopaparazzo.com

La seduzione del tango: un mix suggestivo di contatti, sguardi, intesa, passi e sensualità. Un ballo difficile ma che piace, che affascina, che avvicina. Per scoprire qualcosa di più di questo fenomeno siamo andati ad intervistare uno dei maestri più bravi del panorama fiorentino, Giovanni Eredia della scuola Pablo Tango Firenze.

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arà successo anche a voi di non poter fissare con qualcuno perché impegnato con il corso di ballo, vero? Probabilmente, se non frequentate palestre o robe varie, avrete anche sbuffato un po’ pensando: «Madonna, come si è ridotto!». Ma non si scappa: ormai quella dei balli di gruppo non è più nemmeno una moda, è qualcosa di radicato negli usi e costumi, nel calendario della settimana. Le coppie trova-

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no affinità e svago, i single sperano di cuccare (e non dite che non è vero...). Si incomincia così e pian piano ci si appassiona. Succede a Firenze, come nel resto d’Italia. Ognuno ha la sua disciplina preferita, ma la più completa ed elegante è considerata quella del tango: un mix suggestivo di contatti, sguardi, intesa, passi e sensualità. Un ballo difficile ma che piace, che affascina, che avvicina. Per scoprire qualcosa di più di questo fenomeno siamo andati ad intervistare uno dei maestri più bravi del panorama fiorentino, Giovanni Eredia della scuola Pablo Tango Firenze. Il tango è un ballo internazionale che ormai è ben radicato in Italia. Quali sono le ragioni del suo successo nel nostro paese? «L’Unesco ha decretato il tango argentino Patrimonio dell’Umanità. Questo la dice lunga sul valore storico e culturale di un fenomeno che sarebbe riduttivo chiamare solo ballo: piuttosto, è un dialogo continuo tra arti, danza, musica e tradizioni, che dalle sponde del Rio de La Plata si è diffuso in tutto il mondo, con un contributo straordinario del nostro paese. L’Italia ha dato un apporto non solo in termini anagrafici, grazie all’immigrazione tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, ma anche artistici: basti pensare che i musicisti (orchestre e compositori) per il 70% sono di chiare origini italiane, per non parlare dei ballerini. È indubbio che tra italiani e argentini ci sia una profonda vicinanza nel modo di sentire la musica, approcciarsi alla vita e… corteggiare una donna. Il tango argentino ha molto successo nel nostro paese per via di tutte queste affinità». Sull’onda dell’invasione mediatica a suon di spot televisivi e della diffusione di sonorità contemporanee quali Gotan Project è lecito affermare che il tango può adattarsi a qualsiasi musica? .24

ENGLISHVERSION>>>> Nowadays dancing is not just a fad: it's something rooted in the traditions and customs. The couples find affinities and entertainment while singles hope to meet someone special: you start dancing and you might end up falling in love. Tango is considered to be the most complete and elegant discipline: a charming mix of looks, touch, moves and sensuality. A difficult yet fascinating dance. To find out more about it, we interviewed one of the most talented masters of the Florentine scene: Giovanni Eredia, teacher at the Pablo Tango Firenze school. Tango is an international dance, that now is deeply rooted in Italy. What are the reasons for the success in our country? «UNESCO has declared Argentine Tango part of the World Heritage. That says a lot about the historical and cultural value of a phenomenon that would be reducing to call just dance: it is an ongoing dialogue between arts, dance, music and traditions, that from the shores of the Rio de La Plata has spread around the world. There is no doubt that Italians and Argentines have a very similar way of feeling the music, approaching life... and courting a wo-


«Il tango argentino è un fenomeno culturale, e non un semplice ballo o danza: non stiamo parlando di crossfit o step. Chiarito questo equivoco, va sottolineato che ogni singolo brano ha una lunga storia che coniuga testi e musica, dove emerge sempre il virtuosismo del bandoneon, lo strumento caratterizzante. Il tango argentino si balla in milonga su musiche che vanno dagli anni ’30 ai ’50 con alcune eccezioni dei decenni successivi. Ballare un tango vuol dire interpretare con i passi, con l’abbraccio, le melodie, il ritmo e le parole: una fusione tra musica e movimento, strettamente connessa alla tradizione. Adattare i passi del tango argentino ad un brano di Ligabue equivale ad un semplice esercizio fisico per bruciare qualche caloria, null’altro. La fusione tra elettronica e tango può funzionare per la danza contemporanea o per qualche performance, ma è un abito scomodo per il tango argentino da milonga». Il tango è un ballo per tutti? «Il tango è un ballo sociale, è quindi per definizione un ballo aperto a tutti. Una comunicazione che attraverso l’abbraccio è alla portata di chiunque, senza alcuna restrizione anagrafica. Oggi, sempre più giovani si avvicinano, forse spinti dalla voglia di riscoprire un contatto fisico che social network e web confinano al mondo virtuale. Dopo anni dominati da discoteche e da balli in solitudine, sta emergendo il bisogno di abbracciarsi e di comunicare le proprie sensazioni e desideri. Il tango è un linguaggio universale: si può andare a un festival in Russia, in Svezia o negli Stati Uniti e stabilire una connessione straordinaria con il partner senza parlare la stessa lingua».

man. Argentine tango is very successful in our country because of all these affinities». Contemporary sounds are contaminating tango, think about the success of Gotan Project, it is fair to say that tango can be danced on any music? «Argentine tango is a cultural phenomenon, and not just a dance. Each song has a long history that combines lyrics and music; it is danced in milongas, with music that was composed from the 30s to the 50s. Adapting the steps of Argentine tango to a contemporary piece is a simple exercise to burn off a few calories, nothing else. The fusion of tango and electronic music can work for contemporary dance and for some performances, but it is not properly fitting for the Argentine tango danced in milongas». Tango is a dance for everyone? «It’s a social dance, therefore by definition a dance open to all, without any restriction. Today, more and more young people are approaching tango, perhaps driven by the desire to rediscover that physical contact that social networks and web confine in a virtual world. It is a universal language: you can establish an extraordinary connection with a partner without even speaking the same language». •

Beh, che dire... ci toccherà provarlo! •

25.


in città

Città che vai, mercato che trovi... Si viaggia per piacere, per relax, per visitare città nuove, osservare monumenti e adempiere a quella intrinseca curiosità tipica dell’essere umano. Nell’ultimo decennio, volare all’interno del vecchio continente è diventato estremamente facile ed economico: così giriamo in lungo e in largo, all’insegna della visita “mordi e fuggi”, e, nel breve spazio temporale di un week-end, cerchiamo di assorbire il più possibile cultura e conoscenza di un paese straniero... ma non è così facile! A cura di Marco Provinciali, foto di Paolo Lo Debole

ENGLISHVERSION>>>> Over the past ten years it has become extremely easy to flya round Europe: so we travel back and forth over the weekend trying to absorb as much culture and knowledge as we can from the different European cities. I have a passion: I love visiting gastronomic markets. The market is the place that best describes the life of people in a city, more than thousands of words. In a few square meters our senses are assaulted by a mix of smells, colours, flavours, our taste buds go crazy even if we don’t actually eat anything. Markets are extraordinary places to observe and understand the history of a city. In Florence, street food is a must, and there’s a reason for that, tightly connected to the anthropogical roots of Florentine society. For example, along the streets in the old part of the city, lunch has always been a quick meal, even at the beginning of the twentieth century the time allowed was very short. Because of this, streets were populated by “Lampredottai”, “Paninai”, “Brodai”, “Malcarnai” (they respectively prepared lampredotto, panini, soups and different kinds of meat), and other vendors who sold cold maccheroni and dutch cheeses. As for beverages, besides vinaini’s botteghe (wine vendors, ndt), they used to sell wine “by the minute” from the “Buchette” (little holes in the walls); considering that, we can easily deduct how the daily life of a Florentine was. Anyway we were talking about markets and the two main ones in Florence are San Lorenzo and Sant’Amborgio: historical places where fresh and seasonal food can be found, strong odours, local products, people shouting, wine glasses… when you’ll have your old and new friends from abroad sitting on your sofas, please do not forget to make them breath the real essence of the city.• .26

N

on sarete mica tra quelli da cappellino, bus turistico e Sagrada Familia, vero? Naaaa, non ci crediamo! L’amico d’occasione nella meta che vogliamo visitare si trova sempre e ognuno prende liberamente dalla città quel che vuol farsi regalare. Visita al museo? Monumento? Vita di quartiere? Sballo? Chi scrive ha una passione, nata forse per gli esami di sociologia sostenuti o per coincidenze di lavoro, ovvero quella di andare a visitare i mercati gastronomici delle città. Piace anche a qualcuno di voi? Il mercato è quel luogo che racconta, più di mille parole o giornate, il modo di vivere degli abitanti del posto che stiamo visitando. In pochi metri quadrati i nostri sensi vengono assaliti da un insieme di stimoli contrastanti: profumi, colori, sapori… le papille gustative impazziscono anche senza metter niente in bocca! Il mercato è un luogo eccezionale per osservare e capire la storia della città. Certo, alla boqueria, invasa dai turisti, sarà difficile vedere un catalano intento nella compra quotidiana, ma provate ad andare al mercato di Sant Antoni, per esempio: tutta un’altra storia. E il mercato turco di Berlino? È uno dei più grandi della città. I turchi in Germania, nella seconda metà del secolo scorso, sono arrivati in massa e con i loro prodotti e le


San Lorenzo: L’edificazione di questo mercato, insieme a quello di Sant’Ambrogio, fu deliberata all’epoca di Firenze capitale e fu una conseguenza del risanamento del centro storico, che aveva comportato la scomparsa del Mercato Vecchio nell’area di piazza della Repubblica. Per creare la nuova struttura del Mercato Centrale fu necessario aprire un ampio spazio abbattendo una serie di isolati nei pressi della Basilica di San Lorenzo. Il risultato fu notevole: l’elegante struttura in ghisa, su disegno di Giovanni Mengoni (lo stesso architetto della Galleria Vittorio Emanuele II di Milano) è contrassegnata dagli ampi finestroni del piano superiore ed è circondata all’esterno da una loggia di dieci arcate classiche per ogni lato, con snelle colonne di pietra serena. Il mercato fu inaugurato nel 1874 con l’Esposizione Internazionale di Orticoltura. The birth of this market was decided when Florence was the capital of Italy and was a consequence of the restoration of its historical centre, which made the Old Market situated nearby piazza della Repubblica disappear. The result was huge: the elegant cast-iron building, based on Giovanni Mengoni’s project and characterized by big windows on the upper floor, is externally surrounded by ten classical arcades for each side, with thin columns made of pietra serena. This market was inaugurated in 1874 during the International Horticultural Exhibition.

loro ricette hanno facilmente conquistato la cultura gastronomica tedesca, fatta di stinchi, crauti e würstel. Tra i mercati più famosi ci sono poi il Borough Market di Londra e quelli di Parigi che ne vanta ben 82 (di cui tre dedicati esclusivamente al biologico). Il cibo è una vera e propria espressione culturale, che racconta la storia di un popolo. Anche Firenze. Se qui il cibo di strada è una tradizione c’è un perché e si rifà alle radici antropologiche della società. Infatti tra le vie della città vecchia, il pranzo è sempre stato una cosa piuttosto veloce anche agli inizi del Novecento quando la vita aveva ritmi più lenti rispetto a quelli odierni. Gli artigiani potevano dedicarvi poco tempo, per questo, c'erano lampredottai e paninai, ma anche “brodai”, “malcarnai” (venditori di carni più dure) e osti ambulanti che vendevano piatti di maccheroni freddi o formaggi all’olandese. 27.


Se qui il cibo di strada è una tradizione c’è un perché e si rifà alle radici antropologiche della società

Sant’Ambrogio Anche questo mercato, come quello centrale, fu realizzato su disegno dell’architetto Giuseppe Mengoni, nel 1873. L’operazione urbanistica in questo caso fu del tutto indolore, in quanto l’area sulla quale sorse era occupata da campi agricoli (i toponimi di alcune strade, come via dell’Ortone, ne sono testimonianza). L’edificio si presenta più modesto, non solo per dimensioni, rispetto a quello del Mercato Centrale, richiamandone comunque alcuni elementi. Funzionò come centro di vendita all’ingrosso di frutta e verdura fino agli anni Sessanta, quando questo fu trasferito nell’area di Novoli. All’interno dell’edificio si trovano banchi di generi alimentari e una piccola osteria. Sotto le tettoie esterne, aggiunte in un secondo tempo, invece, sono allestite varie bancarelle di orto-frutta, vestiario, prodotti per la casa, piante e fiori. Il quartiere in cui è inserito ha saputo conservare, in parte, la sua identità pur aprendosi alle nuove tendenze. This market too was based on a project by Giovanni Mengoni, in 1873. The market’s area was initially occupied by fields; until the sixties it mainly worked as wholesaler of fruits and vegetables, then it was moved to the Novoli area. Now, inside the building there are gastronomic stands and a small tavern. Under the external roofing, there are stalls selling fruits and vegetables, clothing, house products, plants and flowers stands. The neighbourhood where the market is located hasmanaged to preserve its original identity and to remain open to new trends at the same time.

Quanto al bere, oltre alle botteghe dei vinaini, c’era l’usanza di vendere il vino al minuto, attraverso le cosiddette “buchette”. Ma parlavamo di mercati e a Firenze i più importanti sono quello di San Lorenzo e di Sant’Ambrogio. Sono luoghi storici che oltre ad offrire un'ottima scelta di prodotti freschi e di stagione, sono un’occasione per respirare quell’atmosfera tipicamente fiorentina, fatta di odori forti, becerii, giovialità. Sensazioni che difficilmente il supermercato dietro casa sarà in grado di regalare... Ecco: quando il vostro divano si troverà a ospitare nuovi e vecchi amici di altre nazioni non vi dimenticate di fargli respirare la vera essenza della città. • .28


uno straniero a firenze /\ un fiorentino all'estero

Ayako

Mi chiamo Ayako. Sono iscritta all’università di Firenze, studio lingue e canto lirico. Sono venuta in Italia per la prima volta quando avevo sedici anni, sono stata a Firenze per un mese. Prima di lasciare il Giappone avevo paura ed ero preoccupata, perché conoscevo l’Italia solo tramite i libri e la TV. Il Giappone è tutto diverso. Quando sono arrivata a Firenze all’inizio per due o tre giorni non sono riuscita né a dormire né a mangiare bene. Sono stata aiutata dalla mia insegnante di canto che mi ha ascoltato e aiutato a farmi capire (in quel momento il mio livello di italiano era molto basso). Dopo mi sono accorta che la gente italiana era gentile e simpatica e non ho avuto più paura. Da quel momento l’Italia mi è piaciuta davvero. Cosa porteresti a Firenze da Tokyo? La prontezza nel lavoro, il caldo in casa d’inverno, l’abitudine di togliersi le scarpe quando si entra in un’abitazione, la pellicola per alimenti, l’acqua dolce, UNIQLO (una marca di vestiti), il tubetto di wasabi e karashi. Cosa porteresti a Tokyo di Firenze? La velocità nel camminare, l’intervallo tra la gente e l’arte, la moda, i numerosi concerti e i buonissimi gelati. My name is Ayako. I attend the University of Florence studying languages and singing. The first time I came to Italy I was only sixteen and I stayed for a month. Before leaving Japan I was a bit scared because I only knew Italy through books and TV. Japan is completely different. At the beginning I couldn’t sleep nor eat well. My singing teacher helped me a lot with the language (my Italian was really bad at that time) but she also took care of me and encouraged me. After a while I realized Italian people are nice and kind so I wasn’t afraid anymore. That’s when I started to really enjoy Italy. Q: What would you take to Florence from Tokyo? I’d take the aptitude towards work, the nice warm temperature inside the houses during winter, the habit of taking shoes off when getting inside a house, food film, sweet water, UNIQLO (a clothing brand), wasabi and karashi tubes. Q:What would you bring to Tokyo from Florence? The walking speed, the interval between people and art, the so many concerts and amazing ice creams. •

Elisa

Mi chiamo Elisa Barberini e ho 24 anni. Mi sono trasferita a Tokyo dieci mesi fa per imparare il giapponese con l’idea di tornare dopo un anno, ma ormai mi sono innamorata di questo paese e sto cercando un modo per rimanere un po’ più a lungo. Frequento ancora una scuola di lingue e nel frattempo lavoro part-time in uno studio di grafica. Purtroppo la legge sull’immigrazione in Giappone è molto severa, e ottenere un visto di lavoro è più difficile di quanto mi aspettassi, quindi non so se sarò in grado di rimanere più a lungo di quello che mi permette il mio visto da studente. Il Giappone è un paese meraviglioso, ma totalmente diverso dall’Italia o qualsiasi altro paese europeo che abbia mai visitato. Ho avuto chiaramente molti problemi di adattamento durante i primi mesi, ma una volta ingranato il ritmo ho cominciato a comprendere che in tutta questa frenesia in realtà c’è ordine e logica. Cosa porteresti a Firenze da Tokyo? Porterei il rispetto verso gli altri, l’ordine, la pulizia e l’efficienza. I trasporti puntuali, la tecnologia, i mega-schermi e il karaoke. Porterei le persone giovani, la moda più stravagante e le parrucche. Gli occhi delle persone che guardano uno straniero incuriositi e non disgustati. Porterei i ciliegi in fiore in primavera e gli aceri rossi in autunno. Porterei l’osservanza delle tradizioni e dei riti senza vergogna. Cosa porteresti a Tokyo di Firenze? Mi porterei da Firenze i punti fissi, il solito gruppo di amici alla solita ora al solito posto. La sensazione che un’amicizia possa durare una vita. La cordialità e i sorrisi delle persone a lavoro e negli uffici. Il vino e il buon cibo e il caffè. My name is Elisa Barberini and I’m twenty-four. I moved to Tokyo over 10 months ago to learn Japanese and I intended to stay for about a year, but now I’m so in love with this country that I’m trying to find a way to remain longer. I attend language classes and I work part-time in a graphic studio. Unfortunately the immigration laws here are very strict and it’s quite difficult to obtain a work permit, so I don’t really know if I’ll manage to stay longer than what my student visa allows. Japan is a wonderful country but completely different from Italy or any other European country I visited. At the beginning I had many problems settling down, but then I started to understand and appreciate the logic behind the Japanese frenetic lifestyle. Q: What would you bring from Tokyo to Florence? I’d bring the respect towards the others, the order, the cleanliness and efficiency. The timely public transportation, the technology, the mega-screens and karaoke. I’d bring young people’s bizarre fashion and wigs, the curiosity in their eyes when they look at strangers. I’d bring the blooming cherry trees in spring and the red maples in fall. I’d also bring the observance for the traditions and the rituals. Q:What would you take to Tokyo from Florence? I’d take my reference points, my group of friends at the usual time in the usual place. The feeling that a friendship that can last forever. The cordiality and smiles on people faces at work. Good wine, good food and coffee. •

febbraio - marzo

vi consigliamo

A misura di libro 50 anni di edizioni centro di 1964/2014

*dal 19 febbraio al 23 aprile Spazio Mostre Ente Cassa di Risparmio di Firenze via Bufalini, 6

*dal i° al 22 marzo

Museo Marino Marini piazza San Pancrazio, Firenze www.museomarinomarini.it

dal i° al 22 marzo

Festival Teatrale di Settignano I primi quattro sabati di marzo la Casa del Popolo di Settignano ospiterà gli spettacoli all'interno del Festival “Teatro a Progetto” ideato dall'Associazione MalD'Estro

8-10 marzo

TASTE Salone dedicato alle eccellenze del gusto e del food lifestyle. Taste è il salotto italiano del mangiare bene e stare bene, dove si danno appuntamento i migliori operatori internazionali dell'alta gastronomia, ma anche il sempre più vasto e appassionato pubblico dei foodies.

8 marzo

O'LIVE PIÙ GUSTO ALLA VITA Il Frantoio di Santa Tea organizza una cena di beneficenza grazie al supporto di Eataly Firenze e Schooner. Un irripetibile menu preparato da cinque insoliti chef: Oscar Farinetti, Leonardo Romanelli, Davide Paolini, Paolo Marchi, Enzo Vizzari Via de' Martelli, 22r - Firenze Evento riservato alla stampa su prenotazione. per info: 055 868117

15 marzo

feline funk w/ pigro on sofa + gipsy guy + biga + vante + tba tabasco club piazza santa cecilia, 3 r

21-23 marzo 2014

STOMP mette in scena il suono del nostro tempo, traducendo in una sinfonia intensa e ritmica i rumori e le sonorità della civiltà urbana contemporanea. bidoni della spazzatura, pneumatici, lavandini, scope, spazzoloni, vengono riciclati in un “delirio” artistico di ironia travolgente. Teatro Verdi - Via Ghibellina, 101 29. www.teatroverdionline.it


la pagina dell'artista* Per il numero XI a cura di Frenopersciacalli

frenopersciacalli Vince il primo premio a 4 anni in un concorso di pittura organizzato dal campeggio abusivo dove aveva un terreno la sua famiglia. Da quel momento, qualsiasi fosse il supporto (carta, legno, muri‌) non ha piÚ smesso di dipingere, ma solo di ricevere premi. I suoi lavori e le novità si trovano nella pagina ufficiale frenopersciacalli su facebook. www.facebook.com/pages/frenopersciacalli/129130657277517?ref=hl He won the first prize when he was four years old, in a painting competition organized by the abusive campsite erected in the land owned by his family. From that moment on, whatever the support (paper, wood, walls ...), he has never stopped painting, although he stopped receiving awards. His works and innovations can be seen in the Frenopersciacalli official page on Facebook. www.facebook.com/pages/frenopersciacalli/129130657277517?ref=hl .30


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