LEADERSHIPMEDICA 284

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co effetto di provocare la paralisi dei tribunali. Il danno sociale, oltre che economico, è ormai divenuto insostenibile. Il legislatore ha dovuto prendere atto della pericolosità del fenomeno e della sua incapacità di farvi ulteriormente fronte continuando a perpetrare la gestione tradizionale della “guerra di posizione”. Con l’emanazione del Decreto legislativo n. 28/2010 ed il successivo Decreto Ministeriale n. 180/2010, la mediazione civile (conciliazione) è divenuta una realtà anche nel panorama legislativo italiano. Si è inteso così incentivare la risoluzione delle controversie in modo totalmente differente dal passato, ossia lasciando alle due parti in conflitto la risoluzione del problema con l’ausilio di un mediatore (la terza parte), recuperando pertanto quell’ottica cooperativa perduta nella prima infanzia ed ancora mantenuta in vita nelle tribù primitive. Anche se lo scopo del legislatore è quello di “deflazionare” il lavoro dei giudici, sarebbe un peccato perdere l’opportunità di una grande innovazione culturale, ossia la possibilità di migliorare la nostra vita e, contemporaneamente, la vita degli altri. I mediatori, ovviamente, rivestiranno un ruolo molto importante nella riuscita di questo cambiamento: la loro preparazione e la loro propensione all’ottimismo nei confronti di una relazione cooperativa tra le persone non possono essere date per scontate, in quanto tali abilità necessitano di essere “allenate”. Ma più di ogni cosa, il facilitatore di accordi dovrà avere in sé la curiosità per le potenzialità e l’inclinazione positiva

delle persone, facendo emergere le capacità che sono rimaste inespresse prima di sedersi al tavolo della mediazione. La ricerca delle potenzialità e il loro allenamento è anche la finalità del coaching. Quest’ultimo nasce come metodologia tesa a migliorare le capacità personali, permettendo così l’ottenimento di obiettivi soddisfacenti ma, soprattutto, l’appagamento di un’esistenza vissuta secondo le proprie idee e ideali. Il coaching è una “disciplina” relativamente giovane, che ha trovato inizialmente grande diffusione nell’ambito aziendale e, di recente, anche nella vita di ogni giorno (life coaching). Il metodo del coaching e quello della mediazione hanno molti punti di contatto e, per una migliore riuscita dell’attività conciliativa, sarebbe molto utile che i mediatori apprendessero alcuni efficaci “strumenti” dal coaching stesso. A tale proposito, sembra opportuno analizzare le similitudini e le differenze tra la due metodologie.

La relazione Il D. Lgs. 28/2010 definisce la mediazione come un’attività svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia. Il procedimento non è soggetto ad alcuna formalità, ma deve comunque garantire la riservatezza e l’imparzialità. L’imparzialità, intesa come “equivicinanza” emotiva e mentale tra le due parti, è fondamentale per la riuscita del procedimento, in quanto nessuno

dei due contendenti deve percepire di essere preferito rispetto all’altro, pena la ricerca ossessiva della creazione di un maggior consenso sulla propria posizione rendendo, pertanto, vano qualsiasi progresso rispetto alla situazione iniziale. Entrambe le parti devono percepire che il mediatore è lì per ascoltarli con sentito interesse, in un clima di fiducia reciproca e di stemperata tensione: egli non è un giudice e non deciderà, né tantomeno intende schierarsi o allearsi ma, piuttosto, mira alla creazione di un clima cooperativo all’interno del quale siano i due soggetti in conflitto a gestire direttamente il proprio litigio. A tale proposito, un clima rilassato ed un ambiente favorevole sono necessari: chi entrerà nella sala lo dovrà “percepire” fin dall’inizio, grazie soprattutto a come il mediatore accoglierà gli intervenuti al procedimento. Il mediatore deve mantenere anche una leadership sulle parti per non permettere che il conflitto si riapra; non si tratta di dominio sulla situazione (ognuna delle parti potrebbe alzarsi ed andarsene in qualsiasi momento), bensì la manifestazione della sua autorevolezza (che deve sempre essere guadagnata). In sintesi, il mediatore deve “accogliere”, ossia allestire uno spazio (fisico ed emotivo) favorevole, “ascoltare” con sincero interesse quanto le parti hanno da dire, “esplorare” i reali interessi sottostanti alla lite e far emergere le aree di possibile accordo. Nella relazione di coaching è altrettanto importante l’accoglienza, dove il cliente (coachee) si senta a proprio agio e

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