Libertà condizionata

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C`Y\ik~ Zfe[`q`feXkX I terremotati aquilani lamentano di vivere in “gabbie dorate”: all’esterno appaiono ricche di comfort, in realtà spesso sono poco vivibili e prive delle primarie comodità. Sistemazioni provvisorie che potrebbero trasformarsi in abitazioni definitive, a causa di soldi inesistenti o mal gestiti di Erica Balduzzi


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Nella nebbia del tardo pomeriggio, i villaggi “Friuli Venezia Giulia”, “Alpini” e “Veneto” di Fossa, vicino L’Aquila, assomigliano più a paesi fantasma che a posti abitati. Le strade deserte e ingombre di neve, poche automobili parcheggiate, le casette spoglie disposte una dietro l’altra, nessuno in giro e tutt’intorno un silenzio innaturale. Davanti ad alcuni moduli abitativi fanno bella mostra di sé pochi vasi di fiori e qualche alberello di Natale illuminato, giusto per ricordare che le feste arrivano anche nelle terre ancora segnate dal terremoto del 6 aprile 2009. Nella voce delle persone che abitano il villaggio, la parola che ricorre più spesso quando si parla dei vari progetti abitativi a seguito del sisma è una sola: sprechi. Validi come campagna elettorale per chi ha interesse a far sapere che L’Aquila si sta rialzando e che l’emergenza è ormai passata. La situazione, a quasi due anni dal terremoto, è però lontana dall’essere risolta. I Progetti Case (Complessi antisismici sostenibili ecocompatibili) e i Map (Moduli abitativi provvisori), presentati dal Governo come la risoluzione miracolosa ai problemi degli sfollati, si svelano nelle parole di chi è costretto a viverci per quello che sono: una grande campagna mediatica per nascondere le falle di progetti dove l’interesse principale era ottenere un appalto.

IXZZfek` `e [`i\kkX% Romina, 37 anni, abita nel Villaggo di Map “Friuli Venezia Giulia” insieme alla madre e alla sorella. Paradossalmente si ritiene fortunata: «Ci hanno assegnato un appartamento piccolo – ammette – pero è anche uno dei migliori: il riscaldamento è a pavimento e l’abitazione non ha problemi di mancanza d’acqua o di cattivo funzionamento degli impianti come invece è accaduto ad altre casette. È tutto nuovo – prosegue l’intervistata – elettrodomestici e stoviglie compresi. Il motivo? Bisognava far riprendere l’economia, ma così sono stati spesi molti soldi pubblici inutilmente, solo per far fare bella figura al Governo. Ci hanno fornito tutto, anche ciò che non serviva: in questo modo non abbiamo lo spazio per portare qui le nostre cose. Libri, fotografie, ricordi, persino vestiti: è rimasto tutto a casa. Qui, in 45 metri quadri, non c’è abbastanza posto». Una cucina con un piccolo divano, due stanze, un bagnetto: il mondo di Romina e della sua famiglia oggi si riduce a questo. Lei dorme in cucina: ci mostra come ogni sera deve spostare il tavolo e aprire il divano-letto per riuscire a coricarsi. «Si può vivere così per qualche settimana – conclude – ma non per mesi interi o addirittura anni. Eppure, se all’inizio sembrava che fossero abitazioni provvisorie, adesso si parla già di una permanenza tra i quindici e i vent’anni». Il signor Peppino – così lo conoscono nel villaggio – ha invece 70 anni e abita poco distante, in un Map costruito dalla Protezione civile per integrare quelli offerti dalle regioni. Basta però attraversare la strada e toccare la “casa” per realizzare che in realtà, più che di un’abitazione, si tratta di una scatola di cartongesso di pessima qualità. Le assi di legno grezzo del soffitto non sono montate correttamente e tra di esse si aprono ampie fessure, isolate solo grazie a una sottile

guaina, dalla quale entrano luce, insetti e spifferi. Non ci sono tegole, perché la struttura non ne reggerebbe il peso. Anche nel punto di giuntura tra le pareti e il soffitto si vede una sottile striscia di luce che corre lungo tutto il perimetro della stanza. «I Map della Protezione civile – spiega Peppino – sono i peggiori. Queste strutture secondo chi le ha costruite dovrebbero durare anni ma i problemi si sono visti fin dal primo giorno: si è rotta la doccia, entravano insetti dai muri, le finestre non si chiudevano e per lo stesso motivo ho dovuto far piallare la porta. In bagno ci sono infiltrazioni d’acqua poiché le pareti non sono state rifinite con il silicone, mentre la cucina, nuova di zecca, è stata montata al contrario, con il gas e il forno accanto al frigorifero. Hanno messo la porta blindata ma è inutile perché i muri sono di cartongesso e male isolati; per contro, all’inizio era previsto che la pavimentazione fosse di linoleum: il sindaco si è però battuto e così abbiamo ottenuto le piastrelle. Tutte le manutenzioni straordinarie – aggiunge l’aquilano – sono a nostro carico. Nemmeno gli impianti funzionano correttamente, gli scarichi sono studiati male: emettono costantemente cattivi odori e l’abitazione è una fra quelle che a metà dicembre sono rimaste senz’acqua a causa del congelamento delle tubature». Un problema, quest’ultimo, che ha coinvolto diversi insediamenti della provincia aquilana. Nella sola giornata del 18 dicembre il call center attivo su tutta la zona per la segnalazione di guasti ha registrato più di 700 segnalazioni per il cattivo funzionamento delle caldaie o per l’interruzione del servizio dell’acqua. Secondo la Manutencoop Facility Management (la ditta responsabile della manutenzione delle parti comuni degli immobili, ndr.), il problema sarebbe riconducibile al sottodimensionamento degli impianti rispetto alle temperature eccezionalmente rigide di quei giorni, scese fino a 16 gradi sotto zero. «Eppure si sa che questa è una zona fredda. Se già adesso ci sono questi problemi, cosa succederà nei prossimi anni? Ciò che fa arrabbiare – conclude Peppino – è che per fare bella figura hanno speso molto in strutture di pessima qualità, quando con minor spesa potevano fornirci alloggi davvero provvisori, investendo i soldi nella ricostruzione», che, almeno ufficialmente, è già partita.

C`Y\i` Zfd\ `e ZXiZ\i\% Sul territorio aquilano, però, di cantieri per la vera ricostruzione se ne vedono pochi. Sono nate nuove strade e insediamenti “provvisori”, ma interi paesi e quartieri sono ancora deserti, sventrati, sospesi, come bloccati in un fermo immagine del dopo terremoto, in attesa di un piano che non arriva e di soldi che non si vedono. Perché non ci sono. Perché sono stati usati per altro. Secondo i dati del Dipartimento di protezione civile, solo per i Map sono stati spesi 232 milioni di euro, mentre per le palazzine del progetto Case si parla di 778 milioni di euro, a cui si aggiungono gli ottanta usati per i Musp (Moduli uso scolastico provvisori) e i 596 mila euro per i Mep (Moduli ecclesiastici provvisori). I dubbi riguardo ai costi effettivi delle strutture sorgono soprattutto in merito al progetto Case: i circa 4.500 appartamenti disposti nei 185 edifici del progetto sono


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costati in totale più di 2.700 euro al metro quadro. A far lievitare i costi sarebbe stata in particolar modo la scelta di porre gli isolatori antisismici su pilastri d’acciaio anziché su cubi di calcestruzzo: scelta che, a parità di sicurezza antisismica, ha fatto però triplicare le spese. Un paradosso, se si pensa che si sta parlando di strutture provvisorie. Proprio per questa scelta ambigua, la procura aquilana ha aperto un’indagine inserendo nel registro degli indagati due dirigenti del Dipartimento di protezione civile: Gian Michele Calvi (l’ideatore del progetto Case) e Mauro Dolce (responsabile dell’ufficio sismico del dipartimento). L’accusa su cui stanno indagando i magistrati è di “frode nelle pubbliche forniture”: le 185 palazzine del Progetto Case sarebbero state costruite in modo illegale, con l’utilizzo di materiali non ancora omologati. A “incastrare” Calvi e Dolce sarebbe stata la lettera d’accusa – datata luglio 2009 – che la società “Tis Spa” (che aveva partecipato alla gara d’appalto) ha inviato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, insieme ai documenti che il Gico (Gruppo di investigazioni sulla criminalità organizzata della Guardia di finanza) ha sequestrato presso il Dipartimento delle opere pubbliche del ministero delle Infrastrutture e presso la sede della Protezione civile. Emergerebbe così una precisa volontà di orientare la scelta degli isolatori verso una tecnologia completamente nuova e ancora senza una certificazione sperimentale, per “imporla sul mercato come unica soluzione possibile”, come si legge nella lettera. Una scelta che avrebbe dunque trasformato L’Aquila in una vera e propria cavia per l’utilizzo di materiali omologati soltanto a costruzione avvenuta e che fa aumentare i dubbi non solo circa i costi, ma anche circa la qualità delle abitazioni. «Non posso lamentarmi per la casa in sé – spiega Anna, che dallo scorso novembre abita in un appartamento del Progetto Case a Camarda, una decina di chilometri da L’Aquila – ma critico il modo con cui tutta questa situazione è stata ed è tuttora gestita». La donna racconta di come ogni appartamento sia stato dotato di oggetti inutili, partendo dai servizi di dodici calici per il vino per arrivare ai portachiavi personalizzati con lo stemma della città e della Protezione civile. «Tutti oggetti di bassa qualità – precisa Anna – che però dovremo restituire integri poiché li abbiamo in comodato d’uso. In pratica, viviamo completamente “in prestito”». Sia le Case sia i Map sono infatti concessi ai terremotati con un contratto di comodato prorogabile di anno in anno: ciò significa, nel concreto, che anche per appendere un quadro al muro si dovrebbe chiedere l’autorizzazione al sindaco o alla Protezione civile, perché qualsiasi cosa presente negli appartamenti al termine del contratto deve essere restituita così come era stata consegnata. Anna ci mostra anche gli spazi verdi che circondano la sua palazzina: nelle aiuole è stato installato un moderno impianto di irrigazione artificiale e ai giardini si aggiungono anche i cosiddetti “orti urbani”, cioè aree attrezzate per poter creare, appunto, dei piccoli orti nei pressi delle palazzine. «Non tanto per renderci autosufficienti – continua Anna, un po’ scettica – ma con lo scopo di farci “socializzare”. Inoltre, questa è una zona molto piovosa, per cui l’impianto di irrigazione è stata un’ulteriore spesa inutile». Costi che, secondo i dati della

Protezione civile, ammontano a più di 14 mila euro. Molti contestano anche la “razionalizzazione delle soluzioni abitative” emanata dal vice commissario Cicchetti. Tra gli altri punti, essa prevede la mancata destinazione di un alloggio più grande in caso di ricongiungimento di un membro del nucleo familiare assente al momento dell’assegnazione; al contrario, nel caso in cui qualcuno del nucleo si trasferisca altrove, per motivi di studio o di lavoro, alla famiglia viene assegnato un appartamento più piccolo. «Trattamenti ambigui di questo tipo – commenta Anna – sembrano volerci togliere la dignità e ricordarci costantemente che dipendiamo da loro, anche se non è così». Ma c’è di più. C’è la sensazione strisciante che le liste di assegnazione di Map e Case non siano state completamente trasparenti: nuclei familiari più vicini alle istituzioni avrebbero ottenuto alloggi migliori e ci sarebbero state troppe falle nei sistemi di verifica. «I controlli incrociati per l’assegnazione degli appartamenti sono stati svolti da un’apposita commissione – spiega Anna – composta, tra gli altri, da un ufficiale della Guardia di finanza, da impiegati comunali e da rappresentanti della Protezione civile. Eppure a distanza di mesi si è scoperto che molti assegnatari non erano idonei. Allo stesso modo – conclude – c’è ancora gente alloggiata negli hotel anche se ci sono appartamenti e Map liberi. Come è possibile?».

;fdXe[\ i\kfi`Z_\% Già, come è possibile? Una domanda che ricorre e alla quale non si risponde. Perché riguarda troppi aspetti di quel post-terremoto in cui gli aquilani sono stati catapultati. Riguarda gli sprechi di denaro, la disorganizzazione generale e la mancanza di un concreto piano di ricostruzione che permetta agli aquilani di ritornare a casa. Riguarda anche la scelta stessa dei territori su cui costruire gli insediamenti. «Il progetto iniziale del governo, al quale mi sono opposto – spiega il sindaco Massimo Cialente – era una new town nella Piana di Bagno, che però è a rischio idrogeologico, così come le altre aree nei pressi della città. Per questo motivo – continua – ho scelto per il progetto Case le zone a ridosso delle frazioni che si stavano svuotando dopo il terremoto: un domani queste strutture verranno abitate da studenti e da giovani coppie che andranno a ripopolare le frazioni. Il mio è stato un ragionamento sul lungo periodo e vorrei poter vivere abbastanza per capire se è stata una scelta giusta». Un progetto che tuttavia mostra già parecchie falle: a Fossa i Map sono stati costruiti praticamente sopra un’antica necropoli, mentre a Sassa le esondazioni dei fiumi locali, a causa delle forti piogge di dicembre, hanno provocato l’allagamento delle strade e il conseguente spostamento di circa 200 terremotati dal progetto Case in strutture alberghiere. Di nuovo. Il Comitato 3.32, formatosi a L’Aquila negli immediati giorni successivi al sisma, sottolinea lo stato di disagio dei propri membri: «Così abbiamo pure l’ennesima beffa: gli sfollati degli sfollati. A chi spettava la scelta di dove costruire? Quando si comincerà a parlare di un vero progetto di ricostruzione? Chi può rendere conto di tutti gli sprechi spacciati come “miracoli”?». Sono quasi due anni che L’Aquila aspetta risposta a queste domande.


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