Città sostenibili

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2-08-2010

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I luoghi della scienza

L’habitat arboreo è realizzato a partire da un’impalcatura sviluppata con la tecnica del CNC (Computer Numerical Control) che consente di sagomare la geometria delle piante e impostare gli intrecci dei rami. La tecnologia è assistita dalla chimica e in particolare dal principio aeroponico delle radici, che se cresciute in assenza di aria restano morbide e quindi possono essere modellate senza rompersi. Queste poi s’induriscono una volta piantate nel terreno grazie alla citochina, un ormone delle piante che ne stimola la crescita. Da oltre dieci anni, Gordon Glaze, Ezekiel Golan e Yael Stav fondatori di Treennovation, centro di orticoltura e design di Tel Aviv, stanno studiando (come Mitchell) questo principio e ideando applicazioni creative, come alberi che crescono a forma di fermate dell’autobus o di panchine. L’idea è che in un futuro non troppo lontano potranno sorgere interi villaggi naturali, fatti di alberi, totalmente autosufficienti e... Commestibili. L’idea di Joachim Mitchell è infatti quella di avere «case al 100% biologiche in modo che uomini, animali e organismi possano ricavare da queste il proprio cibo, nel pieno rispetto dei cicli dell’ecosistema». Per esempio, pensate a pomodori che crescono sulle pareti della vostra casa-albero. «Più che case eco-compatibili, saranno parte della stessa ecologia locale», dice Joachim. La sperimentazione abitativa di Mitchell si spinge però al di là dei vegetali: insieme ai ricercatori Eric Tan,

Maria Aiolova e Oliver Medvedik del Bioworks Institute di Brooklyn, sta lavorando a una “casa di carne”, un modello di habitat fatto interamente di pelle. Si tratta di un’abitazione organica composta di cellule di maiale, cresciute in vitro (dunque nessuna tortura sugli animali) con tessuti sviluppati in laboratorio usando il sodio benzoato come agente per uccidere batteri e funghi e una matrice composta di materiali tra cui polveri di collagene, gomma xantana, pirosolfato di sodio e impalcature di PET (Polietilene tereftalato) riciclato. Queste case di pelle non sono forse così promettenti come le case-albero, che costituiscono invece una vera e propria nuova tendenza del vivere naturale. Sono molte infatti le compagnie che ne stanno promuovendo la costruzione in tutto il mondo: basti pensare ai modelli futuristici esposti nel volume Case sugli alberi di Andreas Wenning. In Italia già dal 2002 è sorto il primo “villaggio arboricolo” ai piedi della montagna “la Bella Addormentata”, tra i boschi dei Monti Pelati in Piemonte, che sta continuando a espandersi con nuove abitazioni costruite su castagni: palafitte a sei metri da terra, collegate tra loro da passerelle di legno e costruite secondo i principi della bioedilizia, usando materiali riciclati e il più possibile offerti dal bosco. Se vi avventurate invece nella foresta di Qualicum Beach, sull’isola di Vancouver in Canada, rimarrete con il naso per aria: Eve, Eryn e Melody sono infatti gigantesche sfere di 500 chili che pen-

dolano dagli alberi, legate a delle corde, facendo provare l’effetto rimbalzo a chi ci cammina dentro, dal letto alla cucina. Queste Free Spirits Spheres, le “sfere degli spiriti liberi”, sono state ideate dall’ingegnere canadese Tom Chudleigh, che le ha modellate come grossi occhi di legno e fibra di vetro (3,2 metri di diametro) che ti guardano dall’alto della foresta. Chudleigh le ha dotate di elettricità, frigorifero e forno a microonde, e le affitta come un bed ma senza breakfast per una notte di meditazione. Dalle vette degli alberi ai fondali marini. C’è chi, pur non essendo un pesce o una sirena, ha dimostrato che è possibile vivere in una casa sotto il mare. Quantomeno per 13 giorni. Nel 2007, l’australiano Lloyd Godson ha sperimentato il primo habitat sottomarino autosufficiente e autosostenibile dotato di un sistema di supporto alla vita basato completamente sulle piante. Il suo progetto BioSub consisteva in una capsula grande quanto un container da spedizione, all’interno della quale l’ossigeno che lui respirava era per la prima volta interamente prodotto dal processo di fotosintesi delle alghe. A generare elettricità erano celle solari fuori dal container e, all’interno, pedalando sulla sua bicicletta Lloyd produceva la luce artificiale necessaria alle alghe e alla crescita di alcune verdure. Le avventure dell’“uomo pesce” australiano stanno ora continuando con Life Amphibious: non una casa, ma un sottomarino a propulsione umana che imita l’efficienza del nuoto dei pinguini.

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