Oxygen n. 19 - Governance, futuro plurale

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C’è ormai un accordo generalizzato sul fatto che sia necessario dare alle politiche nazionali e internazionali nuovi obiettivi che vadano al di là della produzione di ricchezza

Entro il 2014 il Pianeta avrà nuovi obiettivi globali, approvati da quasi tutti i Paesi, con l’ambizione di orientare le politiche degli Stati e la governance internazionale. Questo è uno dei principali impegni del segretario dell’ONU Ban Ki-Moon, confermato nella grande assise Rio+20 a giugno 2012. Una scommessa utopistica? Per rispondere è necessario analizzare l’esito dei precedenti obiettivi, i Millennium Development Goals (MDG), approvati dall’assemblea della Nazioni Unite nel 2000 per essere raggiunti entro il 2015. 2015: We can end poverty, proclama l’intestazione del sito dell’ONU dedicato agli Obiettivi del Millennio; e già lo slogan ci fa capire che la meta non è stata raggiunta. Gli obiettivi erano otto, dalla cancellazione della povertà estrema e della fame all’uguaglianza di genere e all’empowerment delle donne, dall’istruzione primaria per tutti i bambini alla lotta contro AIDS, malaria e altre malattie che devastano soprattutto i Paesi più arretrati. Ogni obiettivo era composto da una serie di indicatori, in totale più di 60, la cui costante verifica doveva chiarire se il mondo era sul binario giusto rispetto alle mete prefissate. Per esempio, gli obiettivi di lotta alla povertà estrema e alla fame prevedevano nove indicatori: dalla percentuale di popolazione mondiale che vive con massimo un dollaro al giorno all’incidenza dei bambini sottopeso con meno di cinque anni. Gli Obiettivi del Millennio non sono stati pienamente raggiunti, ma hanno dato un forte impulso alla qualità delle statistiche globali: oggi infatti è più facile controllare lo stato di salute del mondo, anche se la diagnosi che ne deriva non è confortante. Va però detto che il quadro non è del tutto negativo, grazie soprattutto ai formidabili progressi registrati in Asia, mentre l’Africa, soprattutto quella Subsahariana, è rimasta decisamente indietro. Il difetto principale degli MDG era però quello di essere stati calati dall’alto, approvati sull’onda delle speranze per l’inizio del nuovo millennio, ma quasi mai diventati obiettivo consapevole dei governi nazionali. In politica, i numeri che non si trasformano in strumenti di analisi, mobilitazione e consenso finiscono con l’avere poco significato, ed è proprio questo l’errore che Ban Ki-Moon vorrebbe evitare con i nuovi obiettivi per gli anni successivi al 2015. Si vorrebbe che fossero stabiliti attraverso un vasto processo di discussione e condivisione, e al tempo stesso tenendo conto delle mutate sensibilità maturate in questi anni e legate soprattutto al cambiamento del clima. I nuovi obiettivi si chiameranno infatti Sustainable Development Goals (SDG), Obiettivi di sviluppo sostenibile. Trovato il nome e tracciato il percorso, bisogna ammettere che riempire gli SDG di contenuti è tutt’altro che facile. Come dice il nome stesso, i nuovi obiettivi globali daranno più importanza alla sostenibilità e quindi anche all’ambiente. La conferenza di Doha, che si è conclusa a dicembre 2012, ha confermato però le grandi difficoltà a realizzare un accordo tra Paesi su traguardi che possano servire a contenere il cambiamento del clima. Non sarà facile inserire parametri condivisi in materia di emissioni di anidride carbonica o di altri fattori climalteranti. Sia i vecchi MDG sia i nuovi SDG non prendono in considerazione le dinamiche del prodotto interno lordo delle diverse nazioni. I grandi obiettivi dell’ONU sono infatti parte di un processo, che ha preso forza in questi anni, tendente a offrire ai decisori politici nuovi strumenti di valutazione del progresso delle società che sono chiamati a dirigere. La crisi economica ha rafforzato la consapevolezza che la misura del PIL non è più sufficiente, che occorrono parametri in grado di rilevare la distribuzione della ricchezza tra le famiglie, l’effettivo benessere dei cittadini se non addirittura la loro felicità, e di valutare se questo benessere è sostenibile nel tempo o non va a scapito delle nuove generazioni.

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