Storie borderline della mia pipa

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A TU PER TU COLLANA A TU PER TU

E. Magni

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Storie borderline della mia pipa Enrico Magni Storie borderline della mia pipa

Sei storie vere, raccontate da un reporter o da uno psicoterapeuta. Le storie nascono dal caso e dall’incontro, così come la pipa e il tabacco generano il fumo o come il contenuto e il contenitore producono un significato dando forma all’informe. Il Viaggiatore, la storia di un incontro in uno scompartimento di un vagone ferroviario. L’uno racconta all’altro, come in un transfert, il trauma della guerra nazifascista del quarantaquattro e dell’incarcerazione della madre. In Gianni un incidente imprevisto, mentre sta scalando con la sua guida in una giornata di sole, causa uno spavento profondo che determinerà l’insorgere di una psicosi ossessivo-maniacale. Il Diario è la storia di un lapsus, di un atto mancato, di una adolescente che dimenticando il diario sulla panca dei giardini, dove s’incontra con il reporter, svelerà all’amico silenzioso un suo segreto riguardante la sua precoce vita affettiva e sessuale. In Carla vivrà sulla sua pelle la violenza del maschio, marito indesiderato e sarà testimone di quanto possa essere distruttivo l’amore negato. In Carcere il reporter si interfaccia con le storie maledette dei carcerati, con la violenza, la povertà, l’immigrazione e con il silenzio assordante del potere. In Amici per sempre quattro adolescenti scoprono

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Una Collana dedicata alla vita, alle esperienze, ai sentimenti che si svelano nell’incontro con la psicologia. Racconti personali, vita vissuta, considerazioni di chi un giorno, per scelta o per necessità, ha preso contatto con una materia così bella ma anche così dura e concreta. E, comunque sia finita, vuol portare tutti i lettori a confrontarsi, compenetrarsi, capire cosa accade e come cambia il proprio quotidiano.



A Tu per Tu



Enrico Magni

Storie borderline della mia pipa


Prima Edizione: 2014 ISBN 9788898037568 © 2014 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 - Fax 085 9432764 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di Giugno 2014 in Italia da Universal Book srl - Rende (CS) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)


A mia cugina Maria Assunta (1963-1987) «Sto come si suol dire, sognando ad occhi aperti “effetto bellissimo”. Una dolce musica mi tiene compagnia, mentre la mia mente sta ormai raggiungendo una pace quasi totale, e questo mi pare grazie anche a te. Tutto quello che sto vivendo con te mi sembra cosi bello e dolce, non come ho vissuto negli ultimi tempi ogni mia storia. Non mi sento superiore a te e nemmeno metto in dubbio i tuoi sentimenti nei miei confronti, anche se la maggior parte delle volte mi è sempre successo così».



INDICE

Il viaggiatore Gianni Il diario Carla Il carcere Amici per sempre

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IL VIAGGIATORE

Da pigro reporter incallito inzuppato dal fumo della pipa e da un etereo profumo ascolto con interesse il racconto dell’uomo di fronte che mi scaraventa in un fiato il frammento postumo del lontano inverno nazifascista del quarantaquattro. - Ci nascondemmo dietro la scarpata della riva quando i tedeschi appiccarono il fuoco al fienile, bruciarono la casa, passammo la notte nel fango e la storia della mia famiglia svanì tra le fiamme. I porci volevano mio padre, avevano già preso due fratelli. L’odore del fumo inondò la campagna. Terrorizzati ci nascondemmo fino al mattino. Fu una notte tremenda. Il freddo, l’umidità, il tremolio dei denti, le lacrime di mia madre, la mano dello zio si impressero nella memoria. E’ impossibile dimenticare quella sera. Al mattino trovammo solo macerie, non c’era più nulla, con un carro costeggiammo l’argine del fiume, ci incamminammo nella pianura tra la nebbia maledetta. Avevo solo otto anni ed ero già un disperso. Fu l’inizio di una lunga odissea. Se ne sta lì, seduto sulla sedia scomoda, faccia contro faccia, attorcigliandosi le mani, riparandosi il volto, infossandosi nelle spalle. Soffre, il volto è solcato da incise rughe, si muove in conti9


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nuazione, ogni tanto tossisce, a cinquant’anni sembra ancora un adolescente. Il suo narrare racconta di un passato lontano e mi porta in altre terre, luoghi dove incontro personaggi sconosciuti. Con un guizzo acchiappo al volo la mosca che sta scappando al contatto del palmo della mano. La narrazione mi trasforma in un viaggiatore che sale e scende dagli scalini del treno. - Un parente del nonno ci ospitò fino alla fine della guerra. Mio padre partì per la Germania nazista e restai solo con mia madre. Oggi, quando lo vado a trovare, riemergono delle scene che cerco di cancellare, di negare ma sul volto di mio padre si sono incorniciate molte ombre. Eravamo in miseria e ogni giorno eravamo in pericolo, la cosa più importante era sopravvivere. Mia madre abortì e soppresse il bambino. Fu forse per colpa mia? Da allora il dubbio mi tormenta, mi crea angoscia. Ho sempre paura di morire. Prima di addormentarmi mi assale l’ansia costellata da immagini di morte. Ho il terrore di chiudere gli occhi, cerco di stare sveglio, quando sto per addormentarmi scatto e il corpo trema. Eravamo dei contadini, dei mezzadri, io andavo a scuola. Tutte le sere si pregava per ringraziare l’Altissimo per essere ancora vivi. In quell’ultimo anno di guerra la morte era di casa. La paura di morire da un momento all’altro, solo l’ascolto dell’impulso come atto estremo per esistere. In quella confusione e angoscia generalizzata mia madre ebbe dei rapporti con suo cugino. Scruto dal finestrino i paesaggi della pianura padana, così estesi e lunghi, con gli alberi potati all’apice del tronco, l’amico di viaggio mi sollecita una sensazione di morte. Penso a quella donna, alla solitudine, ai bisogni distrutti dalla 10


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guerra barbara e folle che causa separazione, sofferenza, abbandono e stende un alito nebbioso di vita. Chissà quante contorsioni, tormenti prima di abbandonarsi in mezzo ai covoni di fieno, il suono delle sirene tra i filari dei pioppi. Un atto d’amore è sempre un atto di vita. Una notte di luna non può trasformarsi in un’apocalisse perpetua. Stavo favoleggiando una scena d’amore, distolgo lo sguardo dal finestrino e mi concentro ad ascoltare il viaggiatore che continua a tormentarsi. - Un giorno, non ricordo, la memoria vacilla, due carabinieri la portarono via, i miei parenti non dissero nulla, qualcuno l’aveva denunciata. Per due anni scomparve senza che sapessi qualcosa. Lo stato fascista che aveva costruito campi di concentramento, che aveva impestato l’aria di morte, di terrore, che aveva legalizzato la caccia all’ebreo, si avvalse del diritto di condannare mia madre per aver abortito sotto le bombe. A soli nove anni ero stato espropriato di tutto, quando la rividi non era più la stessa, i suoi occhi erano intrisi di ricordi violenti. Era ormai diventata vecchia, prossima al passaggio. La chiama madre ma preferirebbe non nominarla, se fosse morta nel ‘44 ne avrebbe un buon ricordo, una buona immagine. Per un credente, come è lui, è difficile accettare certi sentimenti. Sua madre assomiglia alla Maddalena, alla quale è doveroso lavare i piedi ma non averla per moglie. Non può negarla, rinnegarla. Il viaggio incomincia a presentare dei pericoli, dei burroni, delle difficoltà. Sono tentato di scendere, di lasciarlo, sento la pesantezza e la tortuosità della compagnia, è un compagno di viaggio strano, decido di continuare. - Era una sera d’inverno, lei stava preparando la cena sul camino. Allora, cinquant’anni fa, nelle cascine della bassa padana, i 11


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cibi erano cotti sul camino, mia sorella mi scaraventò la minestra di latte addosso, mi prese in braccio e accarezzandomi mi tenne tutta la sera. Mi tenne stretto al seno, mi scaldò col suo corpo. Lo sento ancora. Delle volte quando faccio l’amore riemerge quella sensazione. Attimi. Ero l’ultimo di sette. In estate le finestre erano aperte e sentivo il rumore delle poche auto che passavano oltre il fiume. Il fiume era tranquillo. Mi capitava di alzarmi a guardare le stelle, loro dormivano, dovevano alzarsi presto per mungere le mucche. Sono passati molti anni. Ero bravo a scuola. I miei volevano che studiassi. Maledetta guerra. Ho sempre rimpianto il fatto di non aver potuto studiare, mi sarebbe piaciuto fare il veterinario o il medico. Mi piaceva studiare, maledizione. Mi è andato tutto male. La miseria è brutta, ti rende infelice. Ero in cortile a giocare quando la portarono via. La guardai in silenzio. Rimasi solo. Decisero, non so chi, di mandarmi in una comunità che era sorta lontana dalla mia terra disegnata dai pioppi, dovevo stare per poco tempo invece durò vent’anni. Due miei fratelli morirono in Germania. Le fiamme della cascina mi ricompaiono nei sogni. La mia infanzia finì presto. Mi stacco un attimo dall’ascoltare. Vedo quei luoghi, le piantagioni, la pianura. Nella sua mente i paesaggi sono immutati. E’ come se ricercasse in quella costellazione qualcosa che indichi la sua identità. Tutto è così diverso. Sulla sua pelle porta lo scotto della minestra, del freddo, del chiaro di luna, nelle sue viscere, ricerca il solco della terra, il profumo della zolla e il mutare delle stagioni. - Scusi, ma non mi sta ascoltando? La vedo un po’ via! Capisco che questa storia non è importante per gli altri ma per me lo è. 12


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Mi affidarono ad una coppia infeconda che aveva deciso di vivere in questa comunità. Il capo era un prete energico, deciso. Ero uno dei pochi ragazzi presenti in comunità. Si lavorava e ci si impegnava per la sopravvivenza della comunità. Mi accorsi più tardi delle costrizioni e dei condizionamenti subiti. La prima notte di matrimonio non sapevo nemmeno fare l’amore. Avevo vergogna di farmi vedere nudo, per l’angoscia di peccare venni subito, mia moglie nemmeno s’accorse. Lei pure era inesperta. A trent’anni scoprii il sesso. Trent’anni. Mi avevano insegnato tutto del mondo, dello Spirito Santo, delle opere di bene ma ero analfabeta nel corpo e nei sentimenti. Era da vanitosi guardarsi allo specchio. Il mio corpo non mi era mai piaciuto, l’avrei voluto più atletico. In comunità mi chiamavano ragno. Scappavo sugli alberi, ero da tutte le parti. Il Don mi rimproverava sempre, mi chiedeva sempre di più. Feci dei corsi di formazione per la comunità, imparai tutti i mestieri, dal muratore al dattilografo. A diciotto anni divenni il vice e poi il capo dei giovani, poi feci l’economo. Ero importante per la comunità. Il Don era troppo autoritario, cercavo di schivarlo. Sopprimeva tutte le mie iniziative, quando cercavo di avere qualche contatto con una ragazza, mi richiamava, guai. Una volta riuscii a fregarlo, avevo conosciuto in paese la figlia del fruttivendolo, era carina e dopo qualche mese incominciammo a ballare insieme e ci sbaciucchiavamo con passione, era l’unica cosa che sapevo fare. Il Don quando venne a saperlo mi chiese cosa intendessi fare. Lei non voleva sposarsi, poi perché doveva farlo? Noi ci divertivamo a ballare, a stare insieme e basta. Il Don decise che era pericoloso per la mia morale continuare quel rapporto, mi destituì dal mio compito di economo e mi diede altre mansioni più impegnative. In quel periodo iniziai a soffrire di mal di stomaco, di diarrea, 13


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fu uno strano periodo di contraddizioni, desideravo andarmene ma non sapevo dove. Avevo paura di lasciare la comunità, lì avevo gli amici, conoscevo le persone e poi contavo almeno qualche cosa. Cosa avrei fatto fuori? Il mal di stomaco continuava e fui operato. Ero dibattuto se stare o andare, mi avevano deprivato dei miei sensi, delle mie passioni, del mio odio. C’erano delle notti in cui i sensi di colpa mi picchiettavano il cervello, ma se me ne fossi andato, senza aver dato una spiegazione, mi sarei tormentato per tutta l’esistenza. Fu una vera disperazione: Dio Santo non avevo niente, nemmeno i vestiti che indossavo erano miei, anche quelli venivano dal magazzino. E poi l’immagine del tradimento mi faceva aumentare le contrazioni dello stomaco; non volevo essere Giuda, avrei tradito la fiducia di tanta gente e quella del Don. Quell’uomo era stato per me un padre, un padre troppo duro e severo...una carezza cosa sarebbe stata...un gesto...no, mai, maledizione. Eppure credo. Quante volte avrei voluto morire. Fu proprio in quel periodo che decisi di uccidermi, ma mi mancò il coraggio, la forza, poi avrei tradito il mio credo cristiano. Una sera mi venne una brillante idea, pensai di aprire un’altra comunità. Sono quelle idee che restano nella memoria. Ne parlai con il Don e con gli altri amici che desideravano fare qualcosa di personale e di andarsene. La guerra era ormai finita da molti anni. Le cose erano cambiate, sentivo il profumo del sessantotto, desideravo muovermi, andarmene, buttare via quegli stracci, credevo e volevo dimostrare che era possibile vivere con gli altri nel sociale in nome di Cristo. Sentivo il bisogno di incontrarmi con gli altri, di sporcarmi le mani, di provare a vivere il cristianesimo in modo diverso. Avevo conosciuto dei preti operai, il Don non li condivideva. Non riuscivo più a sopportare fisicamente la presenza del Don, 14


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delle volte desideravo la sua morte. Mi tormentava troppo, lui era il capo, il responsabile, il fondatore. Gli ruppi tanto le scatole che dovette cedere. Mi aiutò a trovare dei terreni per fare una cooperativa agricola in un piccolo paese situato al nord. Il paese era piccolo. In quel quadrilatero sembrava che la storia non fosse mai trascorsa; riuscimmo a sistemare un cascinale. Era difficile interagire con gli abitanti, ci vivevano come degli estranei, non capivano cosa volessimo fare, gli stessi parroci del luogo presero le distanze, non volevano che ci invischiassimo con i parrocchiani. La cooperativa faceva fatica a mettersi sul mercato. I soldi erano pochi, passai dalla miseria alla miseria e la cooperativa durò poco. L’idea di suicidarmi passò. Ai giardini della stazione di Milano un giorno conobbi una donna, era in libera uscita, con fatica riuscii a parlarle, stetti lì fino a tardi, persi il treno. Per qualche tempo la rividi, gli incontri si fecero più frequenti, più intensi, mi balenò l’idea di sposarmi, di mettere su casa, di stare con quella donna molto più giovane di me. Mi risvegliava tenerezze, desideri, sensazioni che pudicamente cercavo di nascondere, assopire. Mi sentivo sempre preso dal terrore di sbagliare, di peccare, provavo una grossa vergogna, anche lei era inibita, ci si controllava in tutto, anche nel baciarsi. E pensare che l’amore è bello. Parla e spezzetta la sua storia e la sua angoscia. Il tempo ha lasciato negli occhi di quell’uomo l’inerzia della vita. Se non ci fosse stata la guerra cosa gli sarebbe successo? Forse la vita sarebbe stata completamente diversa, gli eventi sarebbero stati altri, così pure le passioni, gli amori, non rinnegherebbe la madre. Più lo scruto nelle rughe, più me lo immagino sedicenne, seduto sull’argine del fiume a pescare o in compagnia di una ragaz15


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za, a guardare il movimento dell’acqua tra le anse. - Riuscii a trovare una casa. La cooperativa la lasciai, anche gli altri non proseguirono nell’attività commerciale, ognuno prese la propria strada. Non ritornai in comunità. Stetti in quel paese, con coraggio riuscii a convincere quella donna a sposarmi. I primi rapporti furono talmente tesi e bramosi che appena riuscivo a penetrare il suo corpo eiaculavo. La cosa mi tormentava, ma lei sembrava che non fosse disturbata. C’erano delle volte in cui non riuscivo a mantenere l’erezione. Tutto ciò mi sconvolse. Mi rattristò, non sapevo con chi prendermela. In quello stato di confusione vennero al mondo dei figli. E gli anni passavano, le notti pure, i miei sogni di luce, di colore tenue, di piacere si amalgamavano con l’angoscia. Un’ansia strana penetrava quotidianamente nelle ossa, aumentava con l’inverno e con l’autunno. Desideravo il caldo, il sole, il mare e mettere da parte le lunghe giornate nebbiose, umide, non sopportavo la pioggia, il freddo, me stesso. Mi ero convinto di essere un nulla, un incapace, un fallito, perciò potevo anche morire. La coscienza me lo proibiva, avevo dei figli, dovevo farli crescere. Il pensiero della morte mi tormentava. Mi alzavo dal letto due o tre volte per notte, andavo in cucina a leggere il giornale. Passavo la notte a fissare il rubinetto del gas, o a guardare le stelle amiche-nemiche. E in questo modo la mia esistenza è andata avanti per anni. Da poco ho ripreso a dormire, a smettere di andare dai medici, ad incazzarmi con il mio principale. Ho ridimensionato anche l’immagine di Dio. Mi ha tormentato troppo questo Dio di speranza, di gioia, di amore vissuto con terrore, con la paura essere punito. Tutto quello che è fonte di vita, felicità si è tradotto in disperazione. Dio perché non ti sento! Adesso la saluto, la lascio, sono arrivato. 16


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