Artemedica n.33

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n. 33 Primavera 2014

ARTEMEDICA newsletter

ANTROPOSOFIA OGGI

Antroposofia, Buddismo e Cristianesimo L’espressione del pensiero sano L’esperienza del sovrasensibile

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EDITORIALE Primavera 2014

Come reggere il peso della situazione attuale? È un tema che non ha ancora un chiaro contorno, né un aspetto ben definito, ma sembra che dagli effetti dalla crisi nessuno sia esente. C’è un’atmosfera tetra e tutti sono più o meno colpiti dalla depressione economica; molti vivono nella paura di perdere il posto di lavoro e anche la disponibilità di denaro è scarsa. Il quadro culturale, la qualità del giornalismo e le notizie che ci giungono, anche dalla scienza in genere, non invitano sempre all’ottimismo, poiché rispecchiano una grave mancanza di prospettiva umana. La brutalità delle notizie che ci vengono proiettate in immagini crea un clima di paura. Con la nostra rivista Artemedica miriamo a uno sviluppo spirituale e non condividiamo l’ondata di pessimismo che scaturisce da questi fenomeni; vediamo piuttosto nell’attuale disagio una nuova opportunità per conquistarsi un più ampio respiro per la creatività spirituale dell’individuo. Ma anche noi possiamo osservare come molte persone sono attualmente sotto pressione, ne sono colpiti anche i nostri lettori, la cerchia di persone che ci stanno intorno. La crisi non si ferma davanti a coloro che s’interessano di vita spirituale. Come rivista in che modo possiamo affrontare questo problema? Certamente non scrivendo l’ennesimo articolo sui principi sociali biasimando la globalizzazione e avanzando altre teorie astruse. Forse potremmo stabilire un dialogo con i nostri lettori, dialogo basato sullo scambio di opinioni, di esperienze e di suggerimenti. Per facilitare il dialogo abbiamo pensato di formulare alcune domande generiche tra cui potete scegliere quelle con cui avete più affinità. Ritenete, per esempio, importante che una classe politica abbia una visione della vita che contempli il karma e la reincarnazione? In che misura, secondo voi, una simile visione allargata potrebbe migliorare il senso etico morale influenzando favorevolmente la vita politica? Tale visione conferirebbe agli uomini politici non solo maggiore senso di responsabilità, ma guadagnerebbero anche in modestia. Sapere che si deve tornare in terra, anche per pagare in prima persona le conseguenze delle proprie azioni, buone o meno buone che siano, potrebbe essere un forte deterrente ad agire solamente per i propri interessi. Quali sono le vostre esperienze personali in merito alla situazione attuale? Cosa vi preoccupa maggiormente? Dove vedete buone prospettive: per l’umanità in genere o per l’Europa? Scriveteci in modo da aprire un dialogo. Proviamo a creare un forum. Potrebbe essere di grande aiuto per la nostra redazione. Speriamo di incontrare il vostro consenso per fissare un compito comune. Allegati a questo numero troverete alcuni interessanti saggi di noti autori che abbiamo voluto raccogliere in un’unica dispensa. Si tratta di un piccolo omaggio che abbiamo voluto riservare ai nostri lettori che potranno così conservare e facilmente consultare questi studi antroposofici di grande valore.


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ANTROPOSOFIA OGGI

n. 33 - primavera 2014 iscritta al tribunale di Milano al n. 773 registro stampa, il 12.10.2005 In allegato: Antroposofia OGGI Omaggio riservato ai nostri abbonati

Direttore Responsabile Lucia AbbĂ

Direzione Culturale Paulette Prouse

Coordinamento editoriale Bruno Lanata

Redazione Anna Chiello

Impaginazione e grafica Giulia Boffi

Stampatore La Tipografia s.n.c via Bramante 5, Buccinasco (MI)

Immagine di copertina Beppe Assenza, Il colore-immagine bianco

Concessionario per la pubblicitĂ EDITRICE NOVALIS via Angera, 3 - 20125 Milano tel. 0267116249 - fax. 0267116222 www.librerianovalis.il info@ibrerianovalis.il


SOMMARIO Primavera 2014 4 Antroposofia, Buddismo e Cristianesimo

28 Balbuzie: una tecnica per sconfiggerla

di Urs Dietler

8 Il mondo incantato delle fiabe di Letizia Omodeo

14 Sergio di Radonez di Larissa Colitsyna

Centro Cura Balbuzie Stendoro Rocca

30 Il recupero dopo il coma di Davide Tomatis

32 Evoluzione

e trasformazione del senso del tatto in senso dell’Io

16 La ricerca di Freud alla

luce della scienze positivista

di Mara Capozzi

di Sara Cantamessa

34 Sulla pazienza 18 Scienza e poesia

di Patrizia Bertuzzi

del movimento umano di Livia Negri

36 Agricoltura:

seminare il futuro

20 Prevenire e curare con la

medicina tradizionale cinese di Bruno Lanata

40 Frumento: luci e ombre

del cereale per eccellenza di Giulia Giunta

24 L’esercizio del pensiero sano di Frank Meyer

42 Salute felicità di LeoNilde Carabba

26 L’esperienza del sovrasensibile

nella fenomenologia goethiana di Danio Migliore

Antroposofia OGGI 3

Karl-Martin Dietz Come creare una comunità di uomini liberi?

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Renzo Rosti Il problema della chiaroveggenza e lo studio dell’Antroposofia

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Giovanni Simoncini Il lavoro umano: tra necessità di vita e vocazione


Antroposofia, Buddismo e Cristianesimo Per rendere più reale, nella nostra vita, la comprensione del Cristo, dobbiamo comprendere anche i maestri spirituali, sia orientali sia occidentali, e questa sarebbe una conquista di notevole sacralità riguardo al panorama globale, come illustra Rudolf Steiner nell’opera L’oriente alla luce dell’occidente (O.O.113).

Nel contesto steineriano si festeggia il primo secolo di vita dell’antroposofia, e nasce l’esigenza di una trasformazione del movimento con il compito di considerare gli effetti della globalizzazione e incoraggiare la ricerca di ciò che accomuna le diverse religioni; implementando aperture e contatti per evitare conflitti come quelli che imperversarono in Europa in tempi non così lontani. Nell’affrontare il rapporto tra Buddismo e Cristianesimo alla luce dell’esperienza steineriana risulta fondamentale rilevare il “punto di vista” da cui viene considerato l’argomento. Un antroposofo buddista recepirà il tema del Cristianesimo in modo diverso da come un antroposofo cristiano

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recepirà il Buddismo. Questo per indicare solo due aspetti dei molteplici temi sviluppati nel corso del convegno: “Sinfonia delle grandi religioni del mondo” tenutosi a Mannheim. Quale antroposofo cristiano sento anch’io una grande affinità con il Buddismo. Si può constatare come il Buddismo, nelle sue varie correnti, si sia ormai ampiamente diffuso anche in occidente. È interessante osservare la sua vitalità da come si sono sviluppate forme tipicamente occidentali. Nel corso del ventesimo secolo è iniziato un grande momento di dialogo fra buddisti e cristiani attraverso gruppi di studio, seminari, conferenze, con aspetti che assumono caratteristiche osmotiche. Il Buddismo è giunto in Germania alla fine del diciannovesimo secolo, soprattutto grazie agli scritti di Schopenhauer che si può considerare il pioniere del Buddismo in occidente, ed è stato recepito soprattutto da filosofi e artisti. In fasi successive il Buddismo si diffuse anche in forma laica in più ampie cerchie. Questo il contesto in cui Rudolf Steiner entrò nella società teosofica, che aveva l’intenzione di introdurre la saggezza orientale nel mondo occidentale e far sorgere un seme al di là di tutte le religioni. Steiner visse il quesito se la Teosofia fosse un neobuddismo da intendere nel suo rapporto tra Buddismo, Teosofia e Cristianesimo; egli aspirava a sviluppare un esoterismo occidentale, sino alla sua separazione dalla società teosofica.

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Budda e Cristo Steiner ritiene importante mettere in luce sia le similitudini sia le differenze insite in entrambe le religioni; temi che sono stati trattati nei testi quali: Budda e Cristo, L’insegnamento dell’Io/non Io, L’accettazione della sofferenza, Storicità/non storicità. Inoltre, nell’opera Il cristianesimo come fatto mistico, Steiner mette in luce il parallelismo tra la vita di Budda e quella di Cristo che, in quanto iniziati, hanno un cammino simile, ma solo sino al punto in cui la vita di Budda chiude con la trasfigurazione, mentre Cristo soffre, muore e risorge. In Gesù il Logos stesso si è fatto uomo. In lui la parola si è fatta carne. È una differenza essenziale e sicuramente la più profonda. Non contiene alcun criterio di valutazione, ma racchiude il mistero del Golgota. Da questa differenza derivano tutte le altre. Secondo Steiner l’atteggiamento di Budda e di Cristo di fronte alla sofferenza è molto diverso. Mentre nel Buddismo si mira alla dissoluzione della sofferenza – si vedano le quattro nobili verità – Cristo ci mostra come accettare la sofferenza e come superarla grazie all’amore. Budda – dopo aver visto un cadavere – è giunto alla convinzione che la morte è sofferenza e lo ha portato nel suo insegnamento. Seicento anni dopo, Cristo con il suo cadavere sulla croce ha dimostrato la vittoria della vita sulla morte che non porta distruzione, ma conduce a nuova vita. Questo diverso atteggiamento rispetto alla sofferenza non significa che Budda sia indifferente davanti all’altrui dolore. I buddisti sono socialmente molto attivi: accompagnano i morenti, si impegnano in favore dei poveri, dei diseredati, i loro campi d’azione sono i medesimi di quelli dei cristiani. L’azione sociale dei buddisti è stata molto allargata grazie a una loro attività denominata engaged Buddism, anche se la comprensione di tutte le finezze riguardo al diverso approccio alla sofferenza in rapporto all’aiuto al prossimo andrebbe molto oltre gli intenti di questo articolo. Steiner pone, inoltre, l’accento sulla storicità del movimento cristiano – contrapposto, in questo caso, al buddismo considerato come non-storico – in quanto le reincarnazioni si susseguono al fine di progredire per raggiungere livelli sempre più alti. Mentre nel Buddismo lo scopo è quello di innalzarsi per arrivare al Nirvana. Il cammino cristiano, anziché abbandonare la sfera fisica, mira alla sua trasformazione spiritualizzandola. È una differenza che meriterebbe un maggiore approfondimento, ma anche qui Steiner coglie l’essenza, ossia la vera differenza che persiste nonostante le grandi affinità. Esistenza dell’Io Una differenza ancora più sostanziale riguarda l’esistenza dell’Io. Steiner rimane fermo sulla posizione che nel Buddismo non viene accettato un Io che si reincarna; per contro,

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nel Cristianesimo e nell’Antroposofia l’Io è considerato una componente essenziale. Ciò che tiene l’uomo insieme nella vita sulla terra non ha alcun significato per il buddista, solamente le sue azioni hanno un effetto sulla prossima vita. La componente che tiene l’uomo insieme in una vita terrena è un Io nella sua pienezza. Questa è sostanza ed è anche la componente che traghetta nella successiva vita terrena tutti i frutti della vita precedente. (Budda e Cristo, O.O. 58). Ogni occidentale che nutre simpatia e interesse per il Buddismo deve scontrarsi con questo enigma: la cosiddetta illusione dell’Io. Cosa si incarna quando un buddista di alto rango, naturalmente inteso in senso spirituale, torna sulla terra con una discesa possibilmente preannunziata? Chi sono io, se mai sono perituro? È proprio in rapporto con quella terza fase dell’accoglimento buddista che sono sorti i contrasti in Europa. Così Georg Grimm e Paul Dahlke si sono trovati in una sorta di pubblica controversia. Il parere di Georg Grimm era poco convenzionale: per lui nell’insegnamento buddista si potrebbe anche rintracciare un autentico Io con carattere trascendente. Anche chi ha studiato le spiegazioni di Steiner sull’Io deve riconoscere di trovarsi davanti a un grande enigma conoscitivo che non si risolve con semplici riflessioni su qualche sensazione dell’Io. Tuttavia, abbiamo davanti a noi un’ulteriore possibilità di discernimento. È notevole che oggi esistano numerosi studi di sociologia, di psicologia e di neurologia che presentano l’esistenza di un Io come una vana speculazione senza alcuna sostanza per cui il singolo individuo cerca di convincersi incessantemente. Convergenze Ora Steiner mostra che in tutte le differenze fra Buddismo e Cristianesimo c’è sempre e ci sarà sempre qualcosa di comune. Egli mette in rilievo che il Buddismo è una corrente universale con un potenziale di crescita in seno alla cultura occidentale: e se prendiamo in considerazione tutte le conoscenze storiche e tutto quello che ci viene incontro come segno del tempo, possiamo dedurre di essere arrivati al punto in cui le due correnti confluiscono. Le considerazioni fatte da Steiner sulle convergenze hanno qualcosa di provocatorio sia per i buddisti sia per i cristiani; occorrerebbe a entrambe le

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correnti una maggiore apertura per innalzarsi oltre i dogmi oppure sarebbe necessaria una più ampia visione scientifico spirituale. Solo così si avrà un arricchimento reciproco fra le due correnti. Può sorprendere tanto un cristiano quanto un buddista l’affermazione che Budda sia l’annunziatore apparso ai pastori, e che dietro la gloria della luce sopra Gesù bambino, nel Vangelo di Luca, si esprimesse la forza di Budda che, nel suo corpo spirito, insegnava nella scuola di misteri del Mar Nero a una personalità che si reincarnò come San Francesco d’Assisi. Per un buddista può essere difficile accettare che Budda continui a evolvere accompagnando favorevolmente il cammino dell’umanità. E per un cristiano può essere difficile accettare che l’idea di reincarnazione e karma, anche se in forma diversa, possa trovar spazio nella corrente cristiana. Vale la pena fare un esame nel senso proposto da Steiner: “con questi argomenti vi prego di non credere ciecamente, ma di indagare su tutto ciò che la vita vi porta incontro, sulle vostre esperienze, e sono convinto che quanto più verificate e esaminate, tanto più giungerete alla convinzione delle ripetute vite terrene. In questo tempo dell’intellettualismo non faccio appello a una vostra fede nelle autorità, ma solamente alla vostra capacità intellettiva”. (O.O. 130) Le riflessioni di Steiner sui compiti di Budda rispetto allo svi-

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luppo dell’anima cosciente e della vita morale dell’umanità, ci permettono un approccio più facile alla comprensione di quella grande entità. Nelle conferenze tenute a Berlino nel 1909 L’impulso e lo sviluppo della coscienza dell’Io ci viene illustrato come il Budda nella quarta epoca Postatlantica incominciò a preparare l’anima cosciente degli uomini in vista di importanti futuri compiti legati all’insegnamento della compassione e dell’amore, chiamata da Steiner “una grande etica umana”. Il Budda diede questa forza all’umanità con l’ottuplice sentiero che agisce come forza che permette all’individuo di realizzarlo. In questo contesto risiede anche la forza germinativa della coscienza che gli uomini, sulla base delle forze di Budda, potranno sviluppare sempre di più a partire da loro stessi. Maitreya Budda Va rivolta una particolare attenzione a ciò che Steiner disse sul futuro Budda, ossia, il Maitreya Budda che anche nel Buddismo occupa una posizione centrale. Steiner descrive questo nuovo Bodisatva quale portatore dell’impulso di Cristo, il quale porterà uno stimolo molto diverso dal Budda storico, ossia il Gautama. Egli agirà con forza magica attraverso la parola risvegliando potenti impulsi morali negli esseri umani. Unirà con la forza di Cristo il più profondo esoterismo

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orientale con il grande anelito religioso dell’Occidente. Steiner indica le varie incorporazioni del Bodisatva e contemporaneamente alla possibilità di ingannarsi sulle incarnazioni. È di fondamentale importanza non fissarsi, ma accogliere e riconoscere l’impulso. Per chiudere questo capitolo richiamiamo ancora l’attenzione sul tema della confluenza delle due correnti. Secondo Steiner nell’umanità agiscono due grandi correnti: da una parte quella del Budda, che rappresenta la più grande corrente di saggezza, una profonda bontà del cuore che porta pace sulla terra. Poi ci vuole l’impulso di Cristo per rendere operativo l’insegnamento di Budda. La seconda corrente, quella di Cristo, condurrà l’umanità verso la moralità. Il ruolo dell’Antroposofia è quello di portare la scienza dello spirito come una sintesi delle religioni. Mentre proseguiamo nell’evoluzione le religioni si avvicineranno sempre di più, così come Budda e Cristo si uniranno nei nostri cuori. La pratica meditativa Tanto nell’Antroposofia, quanto nel Buddismo e nel Cristianesimo troviamo rappresentanti che considerano come punto centrale il mettere in pratica, l’operare nella realtà del mondo. E diffidano di quelle che chiamano speculazioni metafisiche. È interessante però osservare che è proprio nell’ambito della prassi meditativa che si trova il naturale legame. Oltre alle rappresentazioni sulla Trinità, sulle corporeità di Budda, oppure sulle Gerarchie, ci si incontra nell’esercizio della contemplazione, nel percepire se stessi, o nel silenzio. Quando il famoso trappista Thomas Merton incontrò i suoi fratelli monaci buddisti a Bangkok si capirono subito in quella dimensione. Così non è sorprendente che l’ottuplice sentiero di Budda sia indicato da Steiner con un linguaggio un po’ modificato. Il suo libro di base per la meditazione è L’iniziazione in cui viene trattato questo argomento in modo molto dettagliato; mentre le conferenze sul Vangelo di Luca contengono la corrente buddista. Steiner ha posto con forza l’accento sull’ottuplice sentiero del Budda, che ha definito una grande corrente, un’enorme flusso che ha inondato l’umanità intera, un cammino di grande valore culturale. Sono convinto che confrontando il campo meditativo e teoretico legato all’ottuplice sentiero con quello modificato da Steiner ci siano ancora grandi possibilità di approfondimenti e di ulteriori arricchimenti. Chi pratica gli esercizi indicati da Steiner tenendo presenti le connessioni con il Buddismo percepirà un ampliamento. Così il buddista che si interessa del cammino antroposofico, potrà scoprire come, nell’epoca dell’anima cosciente, si stia modificando l’ottuplice sentiero del Budda. Sono convinto che dal modo diverso dello sviluppo dell’anima cosciente nel buddismo ci sia molto da imparare, purché si mantenga sveglia e attiva nella consapevolezza.

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Prospettiva Entro il movimento antroposofico incontriamo frequentemente persone che hanno avuto un qualche contatto con una delle forme della meditazione buddista (Zen, Vipassana, o altre), che hanno sovente studiato testi buddisti o che semplicemente vogliono fare chiarezza. I corsi di meditazione antroposofica contengono non pochi elementi simili a quelli del Buddismo (il passo meditativo, l’esercizio della concentrazione), forse senza conoscerne l’origine. Ci sono dei buddisti nel movimento antroposofico come il famoso Ha Vinh Tho, dei convertiti come il fratello Hue An, dei filosofi della coscienza come Georg Kuehlewind oppure J.W. Schneider che lega la sua affinità col Buddismo con la sua prossima incarnazione. Oggi, alla luce dell’anima cosciente, è più facile riconoscere e accettare queste conoscenze. Non ha senso sostenere che “qui siamo in Occidente”, senza aver la conoscenza di come Steiner riconoscesse l’intimo legame fra le varie correnti. Naturalmente non si tratta di mescolare arbitrariamente i cammini, non è un passo indietro, ma anzi si tratta di riconoscere la caratteristica avvenieristica di queste parole: “La verità sul Buddismo e sul Cristianesimo, se non abbiamo pregiudizi personali, non significa portare conflitti o settarismo, ma dovrebbe essere sorgente di armonia e pace. Al Budda, al grande maestro della verità possono aderire tutte le nazioni e tutte le religioni del mondo. E al Cristo, la forza divina nella più alta verità possono appartenere tutte le nazioni e religioni del mondo. E la comprensione reciproca significa la pace nel mondo. Questa pace è l’anima del nuovo mondo. L’Antroposofia deve condurre a quell’anima universale guidata dalla scienza dello spirito che appartiene a tutti gli esseri umani al centro di tutte le culture”.

• Urs Dietler Tratto da die Drei

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Il mondo incantato delle fiabe Termina con questa quarta parte il meraviglioso viaggio di Letizia Omodeo nel mondo delle fiabe di cui l’autrice di fornisce un’approfondita e puntuale analisi sul loro valore spirituale e formativo per l’uomo. Esistono diverse traduzioni delle fiabe. Antonio Gramsci, per esempio, durante la sua prigionia oltre ai Quaderni del carcere, ha fatto anche una traduzione accurata di alcune fiabe, pubblicate col titolo Fiabe in libertà. Come lui stesso affermò, durante la prigionia era intenzionato a occuparsi «intensamente e sistematicamente di qualche soggetto» che lo «assorbisse e centralizzasse la sua vita interiore». Questa decisione di non abbandonarsi, ma di coltivare una vita di pensiero e di sentimento nonostante le difficoltà del destino, viene narrata ripetutamente nelle fiabe, e in forme diverse. È il tema delle forze che nell’uomo possono farsi libere. Questo tema si ritrova, per esempio, ne L’allodola che canta e saltella come forze di coraggio nell’affrontare il destino: l’allodola è l’immagine di quel qualcosa nell’uomo che vuole librarsi in alto e gioire, e questo è il tesoro più grande che si possa desiderare. In tedesco ’allodola’ ha una stretta assonanza con ’leone’: Löweneckerchen e Löwe. Il re chiede alle tre figlie cosa desiderano al ritorno dal suo lungo viaggio e, delle tre sorelle, le due maggiori chiedono in regalo perle e diamanti, la minore l’allodola. Le tre sorelle sono ancora una volta l’immagine delle tre forze dell’anima: la parte senziente vuole quanto è legato alle forze sognanti lunari, le perle; la parte razionale vuole quanto è cristallino e tagliente, i diamanti; la componente più giovane dell’anima, l’anima cosciente, anela alla libertà. L’allodola per la diletta figlia minore viene trovata quasi al ter-

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mine del viaggio, in un bosco nei pressi di un castello sontuoso, ma c’è un leone minaccioso che in cambio chiede al re la prima cosa che al suo ritorno gli si farà incontro. Dolorosamente dovrà cedergli proprio la figlia minore, che accetta incondizionatamente il proprio destino. Il leone è espressione di quelle forze irruenti del cuore che ogni animo umano alberga in sé e che debbono venire riscoperte nella loro autenticità. Il leone, infatti, è un principe sotto incantesimo: di giorno leone, lui e tutta la sua corte, e di notte essere umano. Questo ci dice che di notte, quando l’uomo è nel mondo spirituale, si mostra nella sua regalità, mentre di giorno si manifesta nell’espressione delle sue passioni personali. La fanciulla diventa la sua sposa, vivono felici per un lungo periodo, «vegliando la notte e dormendo di giorno». Questa è la condizione abituale della nostra anima, spiritualmente desta di notte, quando è in compagnia delle vere forze del cuore, e addormentata di giorno. Nella sua veste di leone il principe stregato non può venir toccato neppure dalla più piccola luce di una candela, non può quindi uscire dal suo regno. Il leone rifugge la luce perché attraverso la luce avviene un’irrimediabile trasformazione. Per le nozze della seconda sorella, però, si lascia convincere dalla sua sposa. Il principe stregato, la fanciulla e il loro piccino si recano quindi al castello. Ella, dice la fiaba, «fece costruire muri così spessi che nessuna luce poteva penetrarvi», ma un filo di luce toccò il principe trasformandolo in una colomba che per sette anni dovette volare per il mondo lasciando cadere ogni sette passi una goccia

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di sangue e una bianca piuma a indicare la strada alla sua sposa. Da questo punto in poi comincia la lunga peregrinazione dell’anima umana per un sentiero mistico che si compie in sette gradi. I tre linguaggi Un’altra fiaba in cui gli animali giocano un ruolo importante è I tre linguaggi. Vi si narra di un giovane, figlio unico di un nobile, «sciocco e che non sapeva imparare nulla». È ottuso non nel senso che intendiamo noi, ma in quanto portatore di forze pure, innocenti, infantili, che potremmo chiamare parsifaliche. Il padre vorrebbe ficcargli qualcosa in testa, ma non vi riesce. Lo manda per tre anni consecutivi da tre famosi maestri, ma il ragazzo impara solo cose che per i padre sono follia. Impara tre linguaggi: il latrare dei cani, il canto degli uccelli e il gracidare delle rane. Il nobile ripudia il figlio e questi comincia a peregrinare. La peregrinazione lo porta all’antico castello dove egli chiede riparo. Gli mostrano allora la vecchia torre, è lì che può trovare giaciglio se non ha paura di venire sbranato dai cani. Per un incantesimo i cani esigono un sacrificio umano per essere placati, ma il giovane non li teme, egli conosce il loro linguaggio. Egli apprende che i cani custodiscono un tesoro e che essi latreranno finché qualcuno non lo estragga. Il castellano gli promette di dargli in sposa la figlia se riuscirà nell’impresa e, infatti, il mattino dopo, ad azione compiuta, il latrato cessò. Il giovane sposò la principessa e vissero felici, e qui termina la prima parte della fiaba. Che senso ha la figura del cane? Il cane si presenta sempre come custode di segreti. Anche Ercole tra le dodici fatiche ha il compito di tirar su il cane infernale; nella mitologia greca Cerbero è il cane a tre teste che sta a guardia dell’Ade. Questa fiaba dice che i cani esigono un sacrificio umano, cioè: solo chi è introdotto nei segreti della natura può misurarsi con questa forza! Il giovane che conosce il loro linguaggio riesce a dominarli. L’olfatto del cane Una osservazione di Rudolf Meyer è questa: ogni animale ha un aspetto sensoriale particolarmente sviluppato e in questa specializzazione si presenta superiore all’uomo. Nel caso del cane si tratta dell’olfatto. Quella è la sua forma di intelligenza: il cane è in grado di fiutare perfino le cose più recondite, perfino le cattive intenzioni. Ma anche l’uomo, dice Meyer, può sviluppare in sé l’inclinazione a voler cogliere le motivazioni più basse e nascoste presenti nelle azioni dei suoi simili. Anche l’uomo può sviluppare un senso, un modo di pensare “canino”, può diventare “cinico”. Egli può sviluppare quell’atteggiamento esistenziale e conoscitivo che la scuola filosofica greca di Diogene era giunta a perfezionare in modo consapevole, il cinismo. I cinici professavano una vita randagia - “cane”, era il soprannome di Diogene (412-323 a. C) - indifferente ai bisogni e fedele al principio dell’autosufficienza nella ricerca della felicità come unico fine dell’uomo. Sul portone di certe scuole misteriche era ricorrente

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la scritta: Cave cane! che voleva essere un ammonimento a non cader preda del cane che sta in noi. L’ammonimento voleva dire: prima di accedere alla soglia dei misteri conserva il timore reverenziale di fronte all’immagine divina dell’uomo. Il giovane della fiaba, stolto in base ai criteri comuni, ma con forze del cuore innocenti secondo un criterio superiore, è colui che con purezza e mancanza di pregiudizio non solo ha appreso il linguaggio della natura, ma ha saputo trarre il tesoro nascosto nella torre, cioè nella vetta del castello: il pensatoio umano. Anche in questa fiaba si ribadisce l’importanza del momento del sonno per attingere forze spirituali, e del mattino per compiere in maniera desta l’azione nel mondo. La seconda parte della fiaba narra che il giovane, dopo essere vissuto felicemente con la sua sposa, intraprende il cammino per Roma. Nel linguaggio medievale, per l’essere umano che si interroga sull’eterno, sulla salvezza dell’anima, andare a Roma voleva dire andare a pescare nel luogo della tradizione. E qui la fiaba racconta che il giovane apprende dalle rane della palude qualcosa che lo rende molto triste, ma a cui andrà incontro. La Chiesa, nel suo stato di decadenza, aspettava un segno, questo segno è il giovane stesso: egli verrà fatto Papa. Nella sua nescenza egli non sa che dire durante la messa, saranno le due colombe sulla spalla a suggerirgli le parole: non più la tradizione appresa, quindi, ma l’ispirazione del mondo spirituale sarà ciò che fa dell’essere umano una guida spirituale. Il personaggio di questa fiaba è colui che sa cogliere i segni dei tempi, che ha il coraggio di affrontare il destino e, certo dell’aiuto spirituale, acquista «la parola perduta». I cantori delle fiabe I precursori di questa umanità sono i cantori delle fiabe. A Steiner venne chiesto, ma dov’era il centro di questi cantori? Dove hanno imparato a presentare agli uomini queste immagini? Nella conferenza del 10 giugno 1911 del ciclo «Digressioni sul Vangelo di Marco» Steiner risponde che lo avevano imparato negli stessi templi che dobbiamo vedere come Scuole Rosacroce. Chi ha composto le fiabe ha prestato ascolto a coloro che narravano i segreti spirituali e ha creato le immagini in modo consapevole perché in esse parlasse lo spirito dell’umanità intera. Dai templi, man mano che la sapienza andava perduta, vennero poi inviati i rapsodi, i cantori, in qualità di pedagoghi dell’umanità. Ad aprire tutta la tradizione di questi rapsodi i fratelli Grimm hanno posto, non a caso, Il principe ranocchio in cui si si racconta che la saggezza – simboleggiata dalla palla d’oro con cui si allietava la principessa – andò persa nel fondo del pozzo. La principessa è la più giovane tra le figlie del re, è la più bella ed è radiosa tanto che il sole si meravigliava del suo volto. La principessa, ovvero l’anima, non può più seguire ciò che l’allietava e diventa triste e piange sempre più forte: «la palla sparì, e la sorgente era profonda, profonda a perdita d’occhio». Il dolore

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si presenta come espressione di consapevolezza del tesoro perduto e del bisogno di riconquista, e qui, nell’immagine del ranocchio deforme e viscido che porge aiuto alla principessa ripescando la palla dorata, si affaccia un primo abbozzo di coscienza. Il rospo ci porta incontro un aiuto, ma poi risulterà sgradevole: la principessa riprende la palla ma vorrebbe ignorare quanto gli ha promesso. È il re, con la sua potenza, che impone alla principessa di rispettare il patto e il ranocchio prende parte alla vita della principessa, nella sua quotidianità: mangia dal suo piattino, beve dal suo bicchierino, dorme nel suo lettino. La sua voce suona impertinente e pretenziosa tant’è che la principessa in un atto risolutivo lo spiaccica contro il muro. Si scioglie l’incantesimo e in piedi dinnanzi a lei si mostra un principe. La fiaba esordisce con «Nei tempi antichi» che rimanda agli albori dell’evoluzione umana quando l’essere umano, come il neonato, è ricco di futuro davanti a sé. Ecco perché dice «quando desiderare serviva ancora a qualcosa»: il desiderio ci muove incontro dal futuro, così come la rappresentazione emerge dal passato. Noi, in quanto esseri umani, siamo sempre nel mezzo di questa corrente: il passato che muove da dietro e il futuro che ci viene incontro*. La differenza tra l’anziano e il bambino piccolo è che questi, per lo meno sul piano cosciente, non ha passato, ha solo futuro, laddove il vecchio è tutto passato e pochissimo futuro (in termini fisico-sensibili). La forza del Sole In questo primordio dell’evoluzione c’era dunque un re la cui figlia minore, la più giovane, addeo aveva in sé le forze del Sole, cioè le forze dell’io nascente, dello spirito: «perfino il sole si e o v r e meravigliava quando le brillava in volto». Questa figlia è dunque espressione di quell’Io umail no che ogni essere umano deve far crescere in sé, quindi ella è nella sua veste animica, cioè ti raccon e altri fanciulla, bella e splendente. La sua dimora è un castello – il corpo umano, prezioso, regale – e intorno un bosco tenebroso – le forze vitali e astrali, inconsce – e in mezzo, sotto un vecchio tiglio, una fonte. Questa immagine è importante perché ci dice che questa realtà animico-spirituale che è l’essere umano ha un centro: il tiglio, ovvero la sua colonna vertebrale con in cima la chioma, il cervello. Questo essere umano trovava frescura presso la fonte, ovvero presso la «sorgente», presso la rivelazione di ogni conoscenza. La fiaba sta parlando di un tempo remoto quando l’essere umano viveva in un’era dorata, aurea, e trovava refrigerio nella rivelazione. Prendeva la palla e «la buttava in alto», ovvero il suo tesoro di saggezza, avuta in dote, veniva spinto nei mondi spirituali della rivelazione per poi tornare nelle sue mani protese verso l’alto, verso il divino. Un «giorno», però, cioè in un certo momento dell’evoluzione umana, questo tesoro – la saggezza rivelata – «cadde a terra», ovvero decadde, scappò via: la fiaba ci dice che venne un momento in cui l’anima umana non fu più in grado di afferrarla e «rotolò nell’acqua!» La saggezza sparì nell’inconscio e la principessa non fu più in grado di seguirla. L’anima è triste, si dispera, e «non si poteva consolare»: questo allude al tempo nella storia dell’evoluzione umana in cui l’anima viveva di profonda nostalgia per la realtà spirituale. Il dolore è espressione di consapevolezza del tesoro perduto e del bisogno di riconquista. È a questo punto che compare il ranocchio. Il rospo rimanda a certe forze della nostra natura più inconscia di fronte alle quali l’anima «inorridisce», così dice la fiaba. Esse pretendono sempre di più dall’animo umano e l’anima umana «controvoglia» – cioè contro la sua natura, che sarebbe quella di asservire lo spirito in piena coscienza – per un certo tempo ne asseconda gli impulsi. La fiaba ci porta attraverso un crescendo in un processo interiore in cui noi stessi ci sentiamo esausti e cominciamo a provare antipatia per il ranocchio tanto pretenzioso. La fiaba dice: la principessina «aveva paura» del freddo ranocchio, ovvero, la freddezza procura sgomento all’anima. Infatti, dove dovrebbe stare un rospo? Nello stagno, non a fianco della principessa. E quando l’anima è così infelice da non poterne più, viene “sacrificato” il rospo. Il linguaggio comune dice “sputare il rospo” quando non se ne può più di qualcosa. Ecco il gesto risolutivo della principessa che vuole disfarsi il rospo, ma in realtà lo trasforma nel principe: la realtà spirituale che si trovava stregata nel rospo, che era sotto incantesimo, poteva venire liberata solo grazie alla presa di posizione dell’anima umana che ora pone con decisione le distanze tra sè e le forze dell’istinto.

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Principessa, ranocchio, principe o re, sono tutti aspetti dell’umano, sono volti diversi di una stessa realtà in momenti evolutivi diversi: il rospo è anche quella parte della nostra coscienza che gracida, che ci ha pure dato un aiuto, ma a cui l’anima non deve sottomettersi per imposizione o convenzione. Con un atto di volontà è possibile trasformare quella parte di noi perché si esprima nella sua vera realtà, autentica e regale. Il rospo assume una valenza ora buona, ora insistente e antipatica, a seconda del vissuto dell’anima umana. Così è la realtà: ora buona, ora matrigna, dipende dall’uomo. Ma, pur sempre, tutto è al servizio dell’uomo. La seconda parte della fiaba comincia con: «poi si addormentarono». Ogni passaggio di soglia è un salto di coscienza: «la mattina dopo, quando il sole li svegliò», cioè quando la coscienza è assurta a un nuovo stadio, compare la carrozza con gli otto cavalli bianchi. Il cavallo rappresenta anche in questa fiaba le forze spirituali intelligenti nell’uomo, in questo caso sono 8, più l’altro personaggio: il fedele Enrico. Le immagini delle fiabe Il fedele Enrico, apparentemente semplice servo e subalterno del principe, chi è veramente? Potrebbe non essere azzardato affermare che è la realtà spirituale che ha sofferto della condizione il cui si trovava il principe, è l’Io superiore che ha atteso con pazienza, ma anche con sofferenza, il riscatto del suo principe, dell’io ordinario, asservito alle forze di natura, sotto incantesimo. Questa è la realtà spirituale che conduce al nuovo regno. La sofferenza patita dall’Io superiore è espressa dai tre cerchi che cingevano le forze del cuore: il pensare, il sentire, il volere sono le tre forze dell’umano che sono state cinte, protette da uno steccato, perché rimanessero pure da ogni personalismo. Sono le forze che il fedele Enrico aveva cinto da sé, con la sua volontà superiore, attorno al suo cuore. È interessante notare che nel nome tedesco Einrich è velato il mistero dell’Io: Ein-r-Ich. Solo alla fine dell’evoluzione l’Io è libero, cioè pienamente se stesso. Il principe ranocchio e il fedele Einrich, in fondo, sono la stessa realtà. In conclusione, gli eventi di una vera fiaba non descrivono mai fatti esteriori, ma fatti animico-spirituali, leggi valide per tutta l’umanità, processi evolutivi universali. Anche gli ambienti sono di natura interiore e non fisica, pertanto è del tutto fuorviante applicare a questo tipo di narrazione criteri validi per il mondo dei sensi. Essi vanno tenuti lontano – e con ciò non se ne smentisce la loro validità. Il paradosso e la meraviglia della fiaba è che con un linguaggio quotidiano, comprensibile a chiunque, vengono create immagini che rimandano a verità spirituali eterne di cui dobbiamo divenire via via consapevoli. Perciò, proporre una fiaba al bambino vuol

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dire essere in grado di raccontarla, vuol dire avere convinzione interiore che il suo messaggio è vero e saggio. Diversamente, dovremmo astenerci dal raccontarla. Nella fiaba del principe ranocchio, per esempio, di fronte al comportamento della principessa che getta il rospo contro il muro, non vale il criterio normalmente assodato per cui bisogna essere buoni con gli animali. In questo caso la domanda interiore non è: trovo giusto che la principessa sia così crudele col rospo?, bensì: trovo giusto che una bella principessa, chiamata a diventare regina, abbia come suo compagno un rospo “freddo” e viscido? Devo aver chiaro a me stesso che il racconto non incita al maltrattamento degli animali, ma a risvegliare forze sopite nell’essere umano; allora sì che potrò avere un atteggiamento interiore oggettivo e non di disapprovazione morale. In tal modo il vissuto del bambino sarà spontaneamente equilibrato, perché in primo piano emergerà non l’orrore del ranocchio spiaccicato, ma la figura fulgida del principe «dagli occhi belli e amichevoli». Al linguaggio per immagini delle fiabe va solo prestata attenzione, perché in realtà lo usiamo ogni giorno. Senza saperlo portiamo continuamente in noi le immagini delle fiabe. Per esempio: “perdo il filo” rimanda al fuso, al filare e al tessere (dei pensieri) dell’anima umana; “spaccare in due un concetto” rimanda al povero spaccalegna, immagine del pensiero impoverito, solo razionale, che divide e analizza, ma alla fine resta per l’appunto misero; “tornare alle sorgenti” rimanda alla fonte in cui si ripesca il tesoro perduto, in cui ci si tuffa in un nuovo mondo; “battere il chiodo” rimanda al ciabattino o al maniscalco il cui lavoro mette in grado di camminare, cioè di procedere col pensiero; ecc. Tricotomia dell’essere umano Per disvelare il significato delle immagini, peraltro passibile di infinite modulazioni, dobbiamo rifarci alla tricotomia dell’essere umano, cioè alla tripartizione in corpo, anima, spirito. Il concilio di Costantinopoli ha abolito questa tricotomia eliminando lo spirito, e la nostra cultura si è resa incapace non solo di leggere i fenomeni della natura e il fenomeno uomo, ma anche di leggere le immagini delle fiabe. Quando la fiaba presenta figure maschili, per esempio, allude allo spirito umano; con le figure femminili allude all’anima umana, spesso nel suo triplice aspetto di anima senziente, razionale e cosciente. Con le sorellastre possono rivelarsi aspetti di tono minore dell’anima, quelli subordinati al mondo fisico, e con la fanciulla più giovane e bella l’aspetto dell’anima chiamata a diventare regina, cioè l’anima cosciente che unita all’Io umano, allo spirito, fonda un nuovo regno. D’altro canto non va dimenticato che ogni personaggio è una angolatura, una unilateralità, e il senso complessivo dipende dal contesto in cui è posta tale immagine: l’immagine è per sua

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natura mobile e fresca, non categorizzabile, per questo si presta ad infinite variazioni. Così, anima e spirito, durante la vita, abitano in una dimora – capanna o castello – che rimanda alla corporeità fisica o alle condizioni in cui tale realtà animico-spirituale si trova alle origini o nel corso dell’evoluzione. Se il protagonista si muove entro un giardino, pensiamo alle forze di vita, cioè all’involucro eterico del corpo; o se peregrina in un bosco oscuro e minaccioso dove si trovano animali, si muove tra istinti e passioni, tra ciò che muove il corpo animico subordinandolo alle forze di natura del corporeo. Ogni riflessione che possiamo trarre non deve essere una speculazione teorica, ma un sentire del cuore che scaturisce dal fatto di lasciare vivere in noi la fiaba senza pregiudizio. A volte la fiaba narra di due fratellini – come nel caso di Hänsel e Gretel – in cui può essere interessante osservare quale delle due figure è in primo piano: per esempio dapprima è Hänsel – l’individualità spirituale – che conduce l’anima titubante e paurosa nel cammino di incarnazione sulla terra; dopo il risveglio nella casa della strega, è Gretel – l’anima umana – ad essere protagonista, mentre lo spirito è imprigionato e inerme, e tornerà ad essere libero solo grazie alla presa di coscienza dell’anima umana. Cenerentola La fiaba di Cenerentola inizia con la piccola principessa al capezzale della madre, dopo la cui morte «la fanciulla andava ogni giorno alla tomba della madre, piangeva ed era sempre docile e buona». Sul mondo cala la coltre di neve, il freddo inverno. Qui si presenta un’immagine della devozione religiosa: la religione, la fedeltà a ciò che non c’è più come percezione, è rappresentata dalla tomba della madre: resta un ricordo di un bel tempo pregno di forze d’amore, ma l’anima si ritrova ora cenciosa e nella polvere, cioè al servizio della caducità. Infatti, quando il sole è riapparso dopo l’inverno, il re ha ripreso moglie, e con la matrigna ci son le due sorellastre «belle e bianche di viso, ma brutte e nere di cuore». È interessante che la fiaba sottolinea che ciò che appare, il viso, non coincide con la sostanza, il cuore. La natura delle sorellastre si esprime nei desideri che esse hanno: quando il padre vuole partire l’una chiede bei vestiti, l’altra perle e gemme. Cenerentola chiede il «primo ramoscello» che gli batterà sul cappello quando sarà sulla strada. Col ramoscello c’è un riferimento preciso a quella forza interiore di cui nella forma più pura era portatore il Gesù Nazareno – Nezer in ebraico vuol dire virgulto, ramoscello – e che può radicare in ogni anima umana. Il padre riporta dunque un ramo di nocciolo – una pianta sacra o magica fin dalla tradizione celtica – e Cenerentola lo pianta sulla tomba della madre. Innaffiato dalle sue lacrime il ramoscello cresce fino a diventare un albero. La fiaba dice che Cenerentola si reca sotto l’albero tre volte al giorno per pregare e un uccellino le si posa sulla spalla e le dà ciò che lei chiede. Viene con ciò espresso che Cenerentola fa l’esperienza dell’esaudimento

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della preghiera, e l’immagine dell’uccellino viene suscitata ancora una volta a indicare le forze che ci pongono in contatto col mondo spirituale, nostro fedele compagno. Un altro motivo ricorrente è quello della festa da ballo che dura tre giorni in cui tutte le fanciulle del reame sono chiamate a comparire. La matrigna e le sorellastre di Cenerentola pongono delle condizioni pressoché impossibili alla fanciulla, come separare dalla cenere un piatto di lenticchie. È una prova di discernimento quella che deve superare l’anima umana, e viene aiutata dalle forze elementari: uccellini e colombelle. Ma non basta per superare l’arroganza della matrigna e delle sorellastre; aspetti entrambi dell’anima umana nel suo cammino di purificazione. Cenerentola deve avere abiti regali per presentarsi al principe. Sotto il nocciolo, sulla tomba materna, rivolge una preghiera. L’abito d’oro e d’argento e le scarpine di seta le vengono dati dalla colomba; alla colomba Cenerentola li restituisce fuggendo dopo il ballo. Così per due giorni: ella compare al principe, danza con lui e poi fugge, una volta nella piccionaia, una volta sull’albero delle pere. Entrambe le volte è il re a domandarsi se la principessa misteriosa non sia Cenerentola. Il ballo notturno è una immagine di quella permanenza dell’anima a fianco dello spirito che avviene ogni notte, quando, lasciata la «palandrana grigia» del corpo, l’anima assume le vesti radiose che le corrispondono in base al suo cammino. Perché tale sposalizio avvenga alla luce del giorno, nella consapevolezza, occorrono prove e trasformazioni interiori. L’ultima prova è immaginata con la scarpetta: le due sorellastre, pur di ingannare il principe, si amputano ciò che non va: l’una le dita troppo lunghe, l’altra il calcagno troppo grosso. Le colombe posate sulla tomba materna avvisano il principe della scia di sangue che esse lasciano sulla strada e questi riporta indietro prima l’una e poi l’altra. Solo Cenerentola ha il piede adatto, cioè solo lei ha camminato né troppo in punta, disdegnando la terra, né troppo pesante, attaccandosi alla terra. In questa immagine si ritrova ancora una volta una metafora del cammino dell’anima: quello pienamente umano avviene con le forze del centro, tenendo a bada le forze luciferiche, che vorrebbero volare via dalla terra troppo in fretta e quelle arimaniche che vorrebbero calcare la terra con la forza del possesso. In questa immagine del piedino di Cenerentola che calza a pennello la scarpetta d’oro sta racchiuso un segreto: la vera maturità dell’essere umano, la vera unione con lo spirito, sta nel rapporto armonico che l’anima realizza con la terra attraverso il suo cammino che si svolge in ripetute vite. La fiaba termina con l’immagine della cecità delle sorellastre quando si avviano in chiesa, e sommessamente l’immagine sembra dire: l’anima fa il suo ingresso cieca nel mondo soprasensibile quando pretende un rapporto con lo spirituale senza purificazione e basato sulla forza.

• Letizia Omodeo

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A cura di Franca Ricci e Diego Rossi di Full-Point

GEOBIOLOGIA E ONDE PSICHICHE Nel precedente articolo abbiamo parlato delle due categorie di onde più “concrete” studiate in geobiologia: le onde elettromagnetiche (create dall’uomo) e le onde geopatiche (provenienti dalla terra). Abbiamo anche capito che queste onde sono difficilmente percettibili agli esseri umani e per ricercarle sono necessari strumenti più o meno sofisticati. Essendo non rilevabili dalla persona non addetta ai lavori esse agiranno durante gli anni e riveleranno la loro nocività tempo dopo. Ma esiste una terza categoria di onde, le onde psichiche che si affianca alle altre, ma a differenza di esse viene facilmente percepita dalle persone, anche se non praticano la geobiologia, soprattutto durante la prima visita nella loro futura abitazione o luogo di lavoro. In questo articolo vorremmo parlare di queste onde psichiche che altro non sono che un effetto più esoterico degli influssi geopatici ed elettromagnetici. Dai tempi dei tempi i luoghi di culto venivano costruiti dopo un attento studio delle onde telluriche (provenienti dal suolo) e delle onde cosmiche. Già molti secoli orsono gli esperti di geobiologia sapevano che l’essere vivente capta l’informazione attraverso dei corpi sottili che sono direttamente legati alle ghiandole endocrine e al sistema nervoso, per poi trasmettere questa informazione ai differenti organi. Gli antichi sapevano così che, nel giro di qualche mese, l’uomo porta al suo interno tutte le informazioni del luogo in cui vive, che veniva chiamato “Memorie dei muri”. Questo permetteva loro di comprendere il legame sottile, ma molto potente, che lega l’habitat con l’abitante. Trovare le energie che abbassano la risonanza tra il luogo e chi vi vive è essenziale per la salute e la buona riuscita nella vita. Per illustrare le differenze di reazione tra ciò che viene subito sentito (onde psichiche) dall’emisfero destro, e ciò che viene invece ricercato (onde geopatiche) dall’emisfero sinistro, facciamo qui un esempio: durante la prima visita in un appartamento che si intende acquistare, improvvisamente diciamo che il luogo non ci piace. L’agente immobiliare che ce l’ha mostrato rimane stupefatto dicendo “Si trova in un bel quartiere, è un palazzo signorile, è luminoso e calmo, vicino ai negozi ed è ad un prezzo veramente ragionevole”. Confusi non sappiamo cosa rispondere, perché anche noi non sappiamo spiegare cosa ci ha colpito così negativamente appena entrati nell’appartamento. Così spesso tentenniamo e lasciamo

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che il nostro emisfero sinistro decida per noi, acquistiamo l’appartamento e poi viviamo con un senso d’angoscia in quella casa. Ecco, quello che abbiamo sentito con la prima visita altro non era che il “vissuto del luogo” ovvero l’antica “Memoria dei muri”. Vediamo adesso come queste onde psichiche vengono recepite velocemente dal nostro inconscio. Le onde psichiche sono di differenti nature, ma hanno tutte un impatto molto forte sulla nostra psiche e ignorarlo può essere pericoloso. L’acqua è la principale componente della nostra costituzione, il suo colore di emissione è il blu. Emettendo raggi gamma, i flussi delle acque sotterranee abbassano l’irraggiamento infrarosso e il campo magnetico. Essa colpirà particolarmente la coppia di organi “reni-vescica” che sono la sede della vostra fiducia assoluta, portando così un’energia di paura, di indecisione, di insicurezza, di umore altalenante. L’individuo che ne sarà colpito potrà avere oltre ai problemi fisici legati agli organi suddetti, anche problemi lavorativi, famigliari, potrà cadere in una letargia totale, non riuscirà a portare avanti i suoi progetti, a portare a termine lavori iniziati. Inoltre questa bassa vibrazione attirerà nel luogo solo persone o situazioni a loro volta di bassa vibrazione. Infine, una casa situata su una falda provocherà sui suoi abitanti un senso di oppressione e potrà portare alla depressione. Inoltre il nostro ferromagnetismo psico-corporale è in rapporto con il ferromagnetismo terrestre: la falda può provocare un disequilibrio tra queste risonanze. Il colore della vibrazione emessa dalla rete di Hartmann è il violetto. La rete è un quadrilatero che riveste tutta la Terra, composta da bande orientate nord-sud, est-ovest. Lo spessore di queste bande è di 21 cm, spessore che corrisponde alla lunghezza d’onda dell’idrogeno, archetipo dell’unità. La rete di Hartmann è molto sensibile alle influenze elettriche e gli incroci con altre reti telluriche possono facilmente deformarla e anche amplificare le sue emissioni patogene. Inoltre il reticolo di Hartmann dipende completamente dalle influenze dei cicli della luna. L’effetto di questa rete è di amplificare le informazioni che riceve, quindi se le persone vivono in serenità nella loro casa, Hartmann amplificherà questa serenità, ma se vi sono liti e disarmonia anche questo verrà amplificato. Il colore della vibrazione emessa dalla rete di Curry è il rosso. Ha la facoltà di registrare e di fissare tutto

quello che è passato e successo nel luogo e mentre lo fa aumenta la sua frequenza. Quindi questa rete veicola memorie che non corrispondono alle persone residenti attualmente nell’abitazione ed ogni volta che si passa su questo reticolo con i nostri campi molecolari e morfici captiamo tutte le informazioni telluriche e astrali dell’abitazione. Le persone sensitive posso arrivare a conoscere il contenuto della memoria di un’abitazione semplicemente piazzandosi sulla rete di Curry, stabilendo così se l’edificio ha buone o cattive influenze su chi vi abita. La rete di Curry risuona nella coppia di organi “polmoni-intestino crasso” e ha la capacità di portare all’abbassamento del corpo emozionale dell’habitat. Nelle antiche chiese medievali veniva individuato un nodo di Curry particolarmente negativo dove si poneva una pietra detta “La pietra dei morti”, in questo luogo veniva collocato il feretro durante le funzioni funebri. La rete di Curry infine ha la facoltà di amplificare considerevolmente i nodi patogeni quando incrocia altri reticoli. Nonostante tutto questo non abbiamo intenzione di dare tutte le colpe di ciò che non va nella nostra salute e nella nostra vita al vostro letto, ma dopo che tutte le cause “razionali” sono state prese in considerazione e il problema sussiste, un rilevamento geobiologico si rende necessario. Questo sarà utile sia per le onde psichiche che per le onde geobiologiche che per l’inquinamento elettromagnetico. È del resto molto raro che un problema abbia una sola causa, per questa ragione lo studio geobiologico dei luoghi dove sostiamo a lungo è una importante ricerca per capire la salubrità del luogo stesso, che può ostacolare le cure che portano alla guarigione.

Per saperne di più siete tutti invitati alla conferenza presso il centro Artemedica, il giorno mercoledì 26 Marzo 2014 alle ore 19.30 (ingresso gratuito Riferimenti Bibiografici www.full-point.com http://www.geomedecinedelhabitat.com/ http://www.geobiologie-pb.com La Geobiologie moderne (Philippe Bouchaud)

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Sergio di Radonez Si celebra quest’anno il settecentesimo anniversario di Sergio di Radonež, santo patrono della Russia e fondatore del monastero della Santa Trinità, chiamato anche monastero di San Sergio. Nel 2014 la Russia e alcuni paesi limitrofi – come l’Ucraina e la Bielorussia – celebreranno un importante evento: il settecentesimo anniversario di San Sergio, il cui merito è stato quello di mettere fine, dopo centocinquant’anni di dominazione, al giogo dei tartari e di riunire i vari principati per formare un grande e potente stato. Era l’epoca del trionfo della teologia ortodossa. Durante il lungo periodo di dittatura ateista imposta al popolo russo, la Lavra1 di San 1

Sergio venne chiusa dai bolscevichi nel 1930 per essere poi riaperta nel 1946. Inoltre, il monastero ha perso due dei suoi grandi tesori: l’icona della Trinità di Andrei Rublov, trasferita alla galleria Tretiakov di Mosca, e l’originario gruppo di campane collocate nel suo famoso campanile a cinque piani, edificato a metà del XVIII secolo, che domina l’insieme del monastero. Attualmente il monastero è considerato uno dei più antichi luoghi della fede ortodossa, oltre ad essere importante meta

di pellegrinaggio, in modo particolare la Cattedrale della Santa Trinità dove si trova la tomba di San Sergio. Fra gli altri edifici della Lavra (territorio del monastero) troviamo la Cattedrale dell’Assunzione, principale chiesa del monastero con le sue cinque cupole. Lungo il muro sud della fortezza si trova la chiesa-refettoriale di San Sergio. Dal 1992 l’insieme della Lavra della Santa Trinità è entrato a far parte dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco.

Lavra è un termine russo per designare un territorio benedetto e sacro.

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Il santo monaco Sergio di Radonež (vissuto nel XIV secolo) è da molti considerato il più grande leader spirituale e riformatore monastico della Russia medievale. Nato da una famiglia boiara nei pressi di Rostov, fu costretto in giovane età a spostarsi a Radonež a causa della rovina economica dei suoi genitori. Trasformatisi da possidenti in contadini, Sergio e i suoi due fratelli Pietro e Stefano (che per primo avrebbe preso i voti sacerdotali) traevano sostentamento dal lavoro della terra. Alla morte dei genitori, Sergio, spinto da visioni mistiche che lo spronavano a dedicarsi totalmente alla fede, convinse il fratello Stefano ad abbandonare il monastero dove risiedeva e a seguirlo nella vita claustrale. Nel profondo della foresta, nei pressi della collina Makovec, i due decisero di costruire una piccola cella e una chiesa dedicata alla Trinità. Venne così fondato il primo nucleo del monastero che diventerà famoso come il Monastero della Trinità di San Sergio (Troitse-Sergiyeva Lavra). Dopo poco tempo Stefano si trasferì nuovamente in un monastero di Mosca. Sergio (che nel frattempo aveva preso i voti) rimase quindi solo, per più di un anno, nel bosco come eremita. In seguito, però, altri monaci decisero di unirsi a lui e costruirono nuove celle, convincendo quindi Sergej a diventare l’egumeno (ruolo che corrisponde a quello di padre superiore) del monastero che era venuto formandosi. Sergio si dimostrò dapprima titubante di fronte a

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una scelta che andava profondamente a turbare i propri intenti eremitici ma poi, dopo aver ricevuto l’approvazione del Patriarca di Costantinopoli e del Metropolita di Mosca, acconsentì a guidare il nascente monastero. In particolare, quando la notizia della nuova comunità religiosa raggiunse il Patriarca di Costantinopoli, Filoteo, questi decise di inviargli, in segno della propria benedizione, una carta monasteriale nella quale lo benediceva per l’opera intrapresa e indicava le linee guida nella gestione del monastero. In poco tempo il TroitseSergiyeva Lavra diventò un punto di riferimento nel movimento monacale russo.

Durante il regno di Dmitrij Donskoj, infatti, i suoi discepoli iniziarono a predicare in tutta la Russia centrale e settentrionale, fondando, a immagine della comunità di Sergio, numerosi monasteri quali quelli di Borisoglebskij, Ferapontov e Kirillo-Belozerskij. In tutto i seguaci di Sergio fondarono oltre 400 monasteri facendo crescere in tutta la Russia l’influenza e l’autorità di quest’ultimo. Tuttavia quando il Metropolita Alessio, sul proprio letto di morte, propose a questi di diventare il suo successore nella guida della Chiesa ortodossa russa, Sergio oppose un netto rifiuto, preferendo rimanere un semplice monaco. Pur vivendo una vita ascetica, Sergio prese parte per due volte alla vita politica del proprio paese. La prima volta fu quando venne inviato dal Metropolita Alessio a sedare una rivolta nelle città di Tver’ e di Nižnij Novgorod, annunciando la sospensione di tutti i servizi liturgici fino al termine della sollevazione; la seconda volta, nel 1380, fu quando intervenne benedicendo e incoraggiando Dimitri Donskoj nella sua rivolta contro i tartari. Sergio fu glorificato nel 1452. Le sue reliquie furono rinvenute nel 1422 e furono poste nel monastero di TroitseSergiyeva Lavra, da lui fondato. La Chiesa ortodossa lo commemora il 25 settembre, data della sua morte, e il 5 luglio, data in cui furono rinvenute le sue reliquie.

• Larissa Colitsyna (professoressa dell’Accademia teologica) con l’aiuto di Nicola Chérassimov (studente)

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Psicologa, laureata presso l’università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Sara Cantamessa ha lavorato nel reparto di Immunoterapia Oncologica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese (2010-2013); sta completando la specializzazione in Psicoanalisi della Relazione presso l’istituto SIPRe di Milano.

La ricerca di Freud alla luce della scienza positivista All’epoca di Sigmund Freud, la scienza posava le sue basi sul corrispondentismo tra realtà e oggetto della conoscenza. Lo scienziato, attraverso metodi accurati e strumenti adeguati, poteva raggiungere l’oggetto della sua conoscenza e detenere il potere della verità. Queste caratteristiche erano riservate alle così dette “scienze dure” come la matematica, la fisica e la chimica. A quell’epoca esisteva ancora una cesura profonda tra le “scienze della natura” e le “scienze dello Sigmund Freud spirito”: solo le prime erano considerate scientifiche perché erano misurabili, analizzabili e se ne potevano dedurre leggi oggettive (De Robertis D., 2001). Freud, per conferire uno status scientifico, cioè di scienza della natura, alla sua ricerca sull’uomo cercò di utilizzare le leggi della fisica e della meccanica trasportandole sull’essere umano. Durante la sua carriera accademica Freud si impossessò dei princìpi scientisti positivisti: teoria del campo e della soglia, ideale fisicalista di quantificazione e di misura, neuropsicologia cerebrale (Bercherie, 2003, p. 223) e imparò ad assumere una visione corrispondentista tra la struttura anatomica e la relativa funzionalità. In altri termini, apprese che le cause del funzionamento di un fenomeno risiedevano nelle caratteristiche della sua struttura,

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della sua anatomia. Se si riuscivano ad affinare gli strumenti per osservare con più precisione i fenomeni, allora li si sarebbe potuti comprendere. Freud assunse questi insegnamenti della scienza tradizionale come princìpi guida per le sue ricerche. Esse inizialmente riguardarono l’istologia e la neuroanatomia ma, ben presto, attratto dal fenomeno delle nevrosi isteriche, si spostarono sul versante psicologico. Freud si buttò su questa materia nuova e inesplorata con gli strumenti e la mentalità scientista della sua epoca. La meta-psicologia freudiana, che poco dopo prese il nome di psicoanalisi, si propose fin da subito come una ricerca sull’uomo molto più vasta e profonda rispetto alla psicologia sensoriale e percettiva in auge a quel tempo. Freud fondò un sapere che, per la sua unicità, non aveva con chi potersi direttamente confrontare: la stanza di analisi era il suo laboratorio, e teoria e prassi si alimentavano reciprocamente all’interno dello stesso ambito. L’originalità della sua disciplina, da un lato, portava Freud ad indagare e ad abbracciare con le sue teorie i molti campi del sapere umano come l’arte, la storia, l’antropologia, la società, dall’altro lato, però, doveva continuamente compiere lo sforzo di ricondurre le sue scoperte e le sue teorie ad un linguag-

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complesso edipico, che sono gio scientifico accettabile per stati confutati dalle ricerche la scienza ufficiale positivista. in ambito neuro scientifico e Per fare un esempio concreto, sociale. Se dunque, l’impianl’apparato psichico umano – to teorico freudiano è stato descritto da Freud dapprima rivisto, stravolto, superato, come psiche a strati (in Studi cosa ci rimane oggi della risull’isteria del 1892-1895) e cerca di Freud? in seguito descritto attraverPenso che Freud, attraverso le tre istanze psichiche di so la sua psicoanalisi, abbia Inconscio, Preconscio e Concolto un’esigenza umana di scio, poi sostituite da Es1, Io apertura verso nuovi orizzone Super Io – manterrà sempre ti esistenziali, forse si è inun impianto teorico di tipo consciamente fatto portavoce causale e meccanicistico. di un’esigenza più ampia, di Le istanze psichiche, infatti, natura epocale, che spingeva possiedono, secondo Freud, a studiare l’uomo attraveruna forma e una struttura fisiso nuovi punti di vista. Una ca che ne determinano il loro spinta verso la conoscenza funzionamento: per esempio umana che non voleva rimal’Io che è l’organo psichico nere ad un livello puramente della coscienza, per Freud è teorico, come la filosofia, ma in superficie perché è in conche si potesse calare in una tinuo contatto con il mondo Gli occhi di Van Gogh esprimono il profondo dimensione pratica, curativa. esterno. Inoltre, l’apparato tormento della vita dell’artista. Forse c’era qualcosa in lui, psichico è mosso e regolato da leggi direttamente traslate dalla fisica termodinamica e che aveva a che fare con la sua esperienza di vita, ma andall’energetica: pensiamo al concetto di accumulo e scarica che con il suo carattere, la sua personalità: è ben noto il dell’energia pulsionale così come al “princìpio di costanza suo aspetto narcisistico, che si deve essere sposato con una psichica” che riprende la “legge di costanza” nell’ambito tendenza storica, culturale che si respirava nell’aria. Egli cercò di indagare e spiegare quali forze, quali dinamiche della fisica (Assoun, 1988, p. 167). Sembra che, nella ricerca di Freud, convergano due movi- muovessero gli esseri umani e tentò di dare loro uno status menti tra loro opposti: da un lato, una forte spinta verso scientifico e una spendibilità sul piano pratico curativo. l’ignoto, verso i lidi sconosciuti della natura umana, come Questo fu il suo tentativo di ricerca che stimolò i suoi conl’inconscio, colti spesso attraverso la sua grande capacità temporanei e i suoi successori a seguirlo, o a contrastarintuitiva e immaginativa, dall’altro lato, la forte urgenza di lo, contrapponendovisi con altre teorie. Ed è forse proprio razionalizzare e sistematizzare le sue ricerche entro i crite- questa esigenza di conoscenza profonda dell’animo umari dettati dalla scienza ufficiale. Ecco la profonda scissio- no, questa necessità di afferrare le forze psichiche che lo ne con cui conviveva Freud: spiegare la complessità umana muovono, in un’ottica coerente e scientifica, ciò che resta, attraverso le leggi della scienza positivista. Due modalità, ancora oggi, alla base delle numerose ricerche psicologiche, a ben vedere, ricordano le differenze tra Es creativo e che e psicoterapeutiche. Super-io razionale: forze contrastanti che forse si trovavano • Sara Cantamessa davvero nell’animo di Freud. Se oggi riusciamo a ricondurre l’origine della psicoanalisi alla sua dimensione storico-culturale, al contesto scientifiRiferimenti Bibiografici co che ha caratterizzato la sua epoca, ci rendiamo conto di P. L. Assoun, Introduzione all’epistemologia freudiana, Theoria, Roma, 1988. quanto siamo distanti da quel modo di comprendere e di D. De Robertis, “Epistemologia a psicoanalisi” in Ricerca Psicoanalitica, studiare l’uomo. Il panorama scientifico è profondamente Anno XII, n.1, 2001. mutato così come anche gran parte dei concetti teorici freuP. Bercherie, La metapsicologia di Freud, Einaudi, Torino, 2003 diani come ipersessualità infantile, autismo, narcisismo,

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Livia Negri è insegnante Feldenkrais accreditata dal Feldenkrais European Training accreditation Board. Affianca da oltre vent’anni la passione per la danza (classica, moderna, contemporanea, teatro-danza, tango argentino) e per discipline di riequilibrio posturale (tecnica Alexander) e psicofisico (yoga) alla professione giornalistica, oggi orientata in particolar modo alla divulgazione del Metodo. Insegna negli anni ‘90 movimento olistico, in cui integra le diverse tecniche di lavoro, per poi trovare nel Metodo Feldenkrais la sintesi congeniale delle sue esperienze.

Scienza e poesia del movimento umano “Non si tratta di cambiare. Si tratta di divenire, conoscendo se stessi [...] e sentirsi come si sente un albero in una distesa di alberi: parte della natura. L’albero da solo non vivrebbe, la terra senza alberi non vivrebbe e un essere umano dovrebbe sentirsi allo stesso modo: parte di questo mondo.” (Moshe Feldenkrais, Embodied Wisdom). Fisico, ingegnere, ricercatore, prima cintura nera di judo europea, per il suo immenso desiderio di conoscenza, la sua cultura, gli interessi e le vicissitudini personali, Moshe Feldenkrais fondò negli anni Cinquanta il metodo di rieducazione neuromotoria che reca il suo nome: un’inedita sintesi di discipline e teorie sul funzionamento dell’essere umano nei vari aspetti, da quello neurifisiologico a quello cognitivo, da quello biomeccanico a quello psicologico, elaborata attraverso una perenne autoesplorazione. In inglese si parla di “Embodied Wisdom”, in italiano di “apprendimento organico”, ossia un apprendere attraverso il movimento, che si fa mezzo per lo sviluppo dell’uomo e il miglioramento delle sue funzioni. Partendo dal concetto di unità mente-corpo, che Feldenkrais considerava una realtà oggettiva, scoprì che riducendo lo stimolo e l’estensione dei movimenti corporei si affina il controllo muscolare, ottenendo anche una maggiore chiarezza e velocità del pensiero. Scelse quindi il movimento come chiave di accesso alla globalità della persona, poiché affrontare l’unità mente-corpo a partire dal corpo è più facile e immediato: il movimento è concreto e permette al cervello di registrare differenze, cambiamenti, informazioni che stimolano e svi-

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luppano nuove combinazioni neuronali e quindi nuovi modi di agire. “Ecco allora che la funzione motoria diventa parte integrante non solo delle funzioni cosiddette superiori come scrivere, cantare, dipingere, ma anche di attività che oggi definiremmo cognitive ed emotive quali pensare in termini matematici, percepire, provare sentimenti, amare” (M. Feldenkrais, Metamodelli). Integrazione funzionale Il presupposto di un tale processo è la capacità innata del sistema nervoso di intensificare e raffinare le funzioni, ossia di imparare illimitatamente. Ne consegue una fiducia nelle potenzialità individuali, per cui il compito primario dell’insegnante Feldenkrais è di aiutare la persona ad accedere a queste risorse e a farle emergere. Nel rispetto dell’unicità, dei tempi e dei ritmi personali dell’allievo, l’insegnante non guida sulla base di presunti schemi e modelli, ma si “sintonizza” con la persona per stimolare un processo esplorativo, che si traduce in scoperte sorprendenti. Si veda l’Integrazione Funzionale (IF), ossia la lezione individuale in cui l’insegnante entra in contatto con l’allievo attraverso un tocco delicato: essa è innan-

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zitutto una “coreografia di domande” sulle abitudini neuro-motorie della persona. E, grazie alle domande, questa inizia a percepire e a riconoscere il suo modo abituale di muoversi, ne scopre i limiti e si apre a nuove possibilità. Esplorare significa infatti mettere in luce quelle parti del corpo in ombra, non ascoltate, non visualizzate, perché possano attivarsi in modo efficace. I movimenti risultano più facili, senza tensioni e dolori e ci si sente più comodi nelle azioni quotidiane, da quelle più comuni, come camminare, a quelle performanti, come danzare. Con un senso di leggerezza e di armonia che si riflette nel pensiero e nello stato d’animo. Consapevolezza attraverso il movimento Speculari all’Integrazione Funzionale sono le lezioni di gruppo dette CAM (Consapevolezza attraverso il movimento), durante le quali l’insegnante non mostra i movimenti agli allievi ma li indica verbalmente, in modo che ognuno esplori da sé e “impari a imparare” per tentativi, prove, errori, scoperte… proprio come fanno i bambini nel loro apprendimento organico. Un bambino che si muove è infatti un bambino che sta imparando. “Quanto più un bambino impara a muoversi in modo abile e coordinato e a rendere attivo il suo senso del movimento, tanto più diverrà differenziato ed efficiente il sistema nervoso che percepisce tutti questi schemi di movimento e, percependoli, li trasforma e fa maturare se stesso”. Un testo tratto dalla rivista Goetheanum (pubblicato su Artemedica, n.28) in cui un insegnante Feldenkrais si riconosce pienamente. E se agire sul movimento significa incidere sul pensiero, sull’emozione, sulla sensazione, ecco che in un processo di autoeducazione costante si può giungere a un comportamento maturo, poiché sottrarsi all’automatismo dei movimenti, significa anche uscire dalla compulsività dei pensieri, delle emozioni, delle relazioni e acquisire libertà di scelta. Interdipendenza fra sistemi “Nelle scuole esoteriche del pensiero si racconta una parabola tibetana. Secondo la favola, un uomo senza consapevolezza è simile a una carrozza i cui passeggeri sono i desideri, i cavalli sono i muscoli, mentre la carrozza stessa è lo scheletro. La consapevolezza è un cocchiere addormentato. Finché egli rimane addor-

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mentato la carrozza sarà trascinata senza scopo. Ciascun passeggero persegue una destinazione diversa e i cavalli tirano per vie differenti. Ma quando il cocchiere è sveglio e tiene le redini, i cavalli tireranno la carrozza e porteranno ciascun passeggero alla sua giusta destinazione. In quei momenti quando la consapevolezza riesce a essere in accordo con il sentimento, i sensi, il movimento e il pensiero, la carrozza si affretterà sulla strada giusta. Allora l’uomo può fare scoperte, inventare, creare, innovare e conoscere. Egli comprende che il suo piccolo mondo e il grande mondo circostante sono un tutt’uno e che in questa unità egli non è più solo.” (M. Feldenkrais, Conoscersi attraverso il movimento). In questo passaggio, così come nella citazione iniziale e in tanti altri testi di Feldenkrais, il paradigma di un’interdipendenza fra sistemi, fra cui il sistema uomo, sottolinea la portata sociale del Metodo. E benché non ci sia mai un esplicito riferimento all’aspetto spirituale, è allo spirito che la sua visione fa appello nel concepire un essere umano maturo, in contatto e in ascolto di sé e quindi degli altri e del mondo, per poter finalmente tornare “a riveder le stelle”. Perché “questa realtà cosmica è così immensa e schiacciante che solo quando siamo al nostro massimo possiamo coglierne una fugace visione,” (M. Feldenkrais, Le basi del metodo).

• Livia Negri

Moshe Feldenkrais (1904-1984) Ingegnere, fisico, inventore, maestro di arti marziali e studioso dello sviluppo umano, Feldenkrais è nato in Europa orientale. Emigrato in Palestina, da ragazzo ha studiato alla Sorbona e, negli anni trenta, ha lavorato presso il laboratorio JoliotCurie a Parigi. Nello sviluppo del suo lavoro Moshe Feldenkrais ha studiato l’anatomia, la fisiologia, lo sviluppo infantile, le scienze motorie, l’evoluzione, la psicologia, nonché una serie di pratiche orientali di consapevolezza e altri approcci di tipo somatico.

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Renzo Rocca e Giorgio Stendoro, fondatori della Psicoterapia con la Procedura Immaginativa (1976) dell’Istituto di Psicologia Clinica Rocca-Stendoro (Milano) e del Metodo di Cura della Balbuzie (1989). Sono autori di alcune centinaia tra articoli scientifici e divulgativi, hanno inoltre pubblicato testi scientifici e un romanzo edito in italiano e in inglese.

Balbuzie: una tecnica per sconfiggerla Probabilmente è successo a tutti di balbettare qualche volta: durante un esame, oppure al colloquio per un lavoro importante o magari a un appuntamento galante. Ma, a parte l’imbarazzo, non si è trattato di nulla di grave. Diventa invece un problema più serio quando si ripete con una certa frequenza. Si parla allora di balbuzie vera e propria, un disturbo che si manifesta soprattutto nell’infanzia e che ha ripercussioni psicologiche importanti se non si interviene in tempo. La balbuzie è un disordine del ritmo della parola, nel quale la persona sa con precisione ciò che vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di involontari arresti, ripetizioni, prolungamenti di suoni iniziali o nel mezzo delle parole pronunciate. Il balbuziente in molte occasioni precedenti, può aver pronunciato senza nessuna difficoltà quelle identiche parole che ora costituiscono un problema. La balbuzie è un complesso disturbo del linguaggio e della comunicazione che interessa dal 2 al 4% della popolazione, con un rapporto maschi-femmine di 4 a 1. Un problema con più cause A livello mondiale la balbuzie viene definita come un disturbo

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complesso multifattoriale e multidimensionale determinato da fattori fisiologici, genetici, ambientali, cognitivi, emotivi linguistici e relazionali che giocano un ruolo importante nell’insorgenza e nel mantenimento del disturbo. Esiste una certa predisposizione genetica ed ereditaria: la possibilità che un bambino balbetti aumenta da tre a cinque volte se uno dei genitori è balbuziente o lo è stato. Anche i fattori psicologici rivestono un ruolo molto importante nel manifestarsi di questo problema. Non a caso la balbuzie compare spesso in particolari momenti di tensione emotiva e chi ne soffre riconosce che ansia e stress aggravano il disturbo. Le persone balbuzienti, in effetti, molto spesso sono consapevoli del loro disturbo e quindi si agitano in previsione di qualsiasi

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occasione in cui devono parlare, dando avvio a un pericoloso circolo vizioso in quanto l’ansia non fa che peggiorare ulteriormente il disturbo. Si manifesta in tenera età Nella maggior parte dei casi la balbuzie si manifesta fin dai primi anni di vita. Tuttavia prima dei tre anni è normale che il bambino spezzetti le parole o ripeta ritmicamente le sillabe: è solo intorno ai 36 mesi, infatti, che comincia a padroneggiare il linguaggio. Non ha senso quindi diagnosticare la balbuzie prima di questa epoca. Gli esperti parlano di una sorta di “prova tecnica di trasmissione”, che permette al piccolo di impadronirsi pian piano del linguaggio. Solo se la balbuzie si manifesta più avanti è bene intervenire. La balbuzie vera e propria compare in momenti ben precisi: intorno ai 6-7 anni o più raramente tra gli 8 e i 10 anni e può manifestarsi in modo continuato o intervallato. Solitamente si manifesta in periodi particolari, per esempio in seguito alla nascita di un fratellino, all’inizio delle scuole elementari o in altre situazioni: il bambino, senza rendersene conto, esprime il suo disagio psicologico sfruttando la vulnerabilità dell’organo predisposto (le corde vocali). Ci sono anche casi in cui la balbuzie compare più avanti: nell’adolescenza e in età giovanile. Il metodo di trattamento Stendoro Rocca Dal 1989 è stato elaborato un particolare metodo per la cura della balbuzie, basato sul lavoro in equipe multidisciplinare (operatore della balbuzie, logopedista e psicologo-pedagogista). Secondo Giorgio Stendoro e Renzo Rocca, fondatori del Centro cura balbuzie Stendoro Rocca, la patogenesi del disturbo è legata al laringospasmo delle corde vocali che impedisce e altera il flusso della corrente aerea espiratoria. Tale spasmo della glottide ostacola la formazione del suono. Il laringospasmo causa l’interruzione del processo di espirazione e ostacola le vibrazioni cordali formanti il suono (blocco tonico, clonico, misto) L’obiettivo della tecnica è stimolare la capacità del soggetto di controllare la chiusura pre-suono delle corde vocali. Pertanto correggere la posizione di pre-fonazione delle corde vocali: un soffio, un respiro, un flusso d’aria mantengono abdotte e rilassate le corde vocali. La metodologia Stendoro-Rocca propone 17 incontri nell’arco di due mesi, in gruppi formati da quattro a sei componenti

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omogenei per età. I conduttori, in seduta con i pazienti, guidano nello stesso tempo l’interazione e l’interiorizzazione della tecnica fino al punto da rendere automatico l’accordo pneumofonico, anticipatorio del blocco fonatorio e, quindi, attivare la generalizzazione del processo propriamente richiesto nei vari ambiti del discorso sociale e culturale. Questa combinazione tra operatori e pazienti, in un continuo rapporto di incontro-discussione-chiarimenti tra il sociale e l’individuale favorisce nel soggetto l’accesso alla fluenza e il progressivo svincolo da strategie verbali e somatiche, che spesso precludono il desiderio di dialogare. Attraverso una costante applicazione delle strategie di anticipazione, controllo e regolazione dello spasmo fonatorio, base patogenetica del disturbo di balbuzie, il soggetto avvia il processo di automatizzazione del controllo pre-fonatorio.

• a cura del Centro Cura Balbuzie Stendoro Rocca

Silvia Gotti e Silvana Pasetti, esperte in balbuzie

Per informazioni: Cura Balbuzie Stendoro Rocca c/o Artemedica Via Belgirate 15, Milano tel.: 02.40700745 – 340.5573975 fax: 02.40700316 www.vincerelabalbuzie.com info@vincerelabalbuzie.com www.psicoterapia-rocca-stendoro.it

Riferimenti Bibiografici R. Rocca, G. Stendoro, Vincere la Balbuzie, 2002, Armando Ed. R. Rocca, G. Stendoro, Psicosomatica: una risposta dall’Immaginario, 2005, Armando Ed. R. Rocca, G. Stendoro, Counseling con l’intervento della Procedura Immaginativa, 2006, Armando Ed. R. Rocca, G. Stendoro, La Balbuzie: una tecnica per sconfiggerla, 2008,Armando Ed.

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ARTEMEDICA CONSIGLIA... Commiato (bello anche il titolo, con quel tanto di controllato eppure doloroso distacco che la parola porta con Fin sé) èdalla un bel romanzo breve di gli impulsi pedagogici dati da sua nascita, e per Umberto Lucarelli o – se preferisce Rudolf Steiner, la siscuola Waldorf vive della collaborazio– unne lungo che si divide in le forme di tale collaborazione fra racconto, genitori e insegnanti; due tuttavia parti. La mutano prima è nel dedicata al e nelle singole situazioni contempo commiato dell’ioai genitori narrante non dallabasta più occuparsi delle necescrete. Oggi madre, seconda dal padre. Che che si presentano di volta in sità,laeconomiche e di spazio, Lucarelli siasentono l’autore che si serveuna ora responsabilità più ampia, cervolta: di avere dellacano pennaun e ora della macchina da con gli insegnanti. Quel che rapporto più stretto presaaccade si sente dalle ripetizioni, nellevolute scuole: gli ostacoli che si incontrano, le modalledalità continue alternanze e con le qualidisicampo superano, i rapporti che si creano, le controcampo, in cui sociali il filo rosso costellazioni chedella si formano, ha un significato più narrazione di una storia storia altri ambiti dove avvengono generale che puòsenza illuminare (o, incontri meglio, fatta di tantee storie: fra persone non fra ruoli. quadratini di film, come li definisce il

Commiato

«Cosa sono i ricordi? Sono come delle foto che perderanno colore, tutto è destinato a finire, a sbiadire e a corrompersi. Ciò che resta è il nulla, il niente assoluto, il vuoto profondo. La vita va avanti oppure la vita si insegue. Avanti e indietro non significano nulla. Chi va avanti? Chi va indietro? E dove va? Tutto ciò che ci accompagna è pura illusione». Biblioteca Bietti

Karl-Martin Dietz è nato nel 1945 a Heidelberg. Ha compiuto studi di filologia classica, germanistica e filosofia ad Heidelberg, Tübingen e

Roma, ha inoltre la facoltà di scienze economiche. Si è lauprotagonista) è una frequentato costante “voce con una sulla filosofia il pre-socratica. Dal 1974 al 1980 ha svolfuorireato campo” chetesiaccompagna to attività di insegnamento presso l’Università di Heidelberg. Nel 1978 lettore dalla morte più recente – della ha fondato con Thomas Kracht l’Istituto Friedrich von Hardenberg für madre – (2012) a quella del padre Kulturwissenschaften dove, oltre a lavori legati alla scienza dello spiri(1989). to e a pubblicazioni volte a una presa di consapevolezza del momento attuale, viene sviluppata una “cultura dell’iniziativa basata sul dialogo”

che Carusi nel corso del tempo si è concretizzata in intraprese economiche e Roberto in organizzazioni culturali.

In copertina: copertina: foto di Camocardi foto di Massimo Mariaelisabetta Realini

ISBN 978-88-88444-60-4

€ 12,00 9,00

9 788888 444604

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Commiato (bello anche il titolo, con quel tanto di controllato eppure doloroso distacco che la parola porta con sé) è un bel romanzo breve di Umberto Lucarelli o – se si preferisce – un lungo racconto, che si divide in due parti. La prima è dedicata al commiato dell’io narrante dalla madre, la seconda dal padre. Che Lucarelli sia l’autore che si serve ora della penna e ora della macchina da presa si sente dalle volute ripetizioni, dalle continue alternanze di campo e controcampo, in cui il filo rosso della narrazione di una storia senza storia (o, meglio, fatta di tante storie: quadratini di film, come li definisce il protagonista) è una costante “voce fuori campo” che accompagna il lettore dalla morte più recente – della madre – (2012) a quella del padre (1989).

Umberto Lucarelli Commiato - Biblioteca Bietti 90 pagine - € 13,00 Umberto Lucarelli (1961), scrittore, regista e operatore sociale. Ha pubblicato: Non vendere i tuoi sogni, mai (Tranchida 1987; Bietti 2009), Ser Akel va alla guerra (Tranchida 1991; Bietti 2009), Il quaderno di Manuel (Tranchida 1994), Fossimo fatti d’aria (BFS 1995), Nulla (BFS 1999), Pavimento a mattonella (BFS 2001), Sangiorgio il drago (Ibis 2008), Rivotrill (Bietti 2011).

Karl-Martin Dietz

Insieme per il futuro Genitori e insegnanti nella scuola Waldorf

Collana di studi e ricerca per la formazione individuale e sociale

Umberto Lucarelli

POLIS

Umberto Lucarelli Commiato

«Cosa sono i ricordi? Sono come delle foto che perderanno colore, tutto è destinato a finire, a sbiadire e a corrompersi. Ciò che resta è il nulla, il niente assoluto, il vuoto profondo. La vita va avanti oppure la vita si insegue. Avanti e indietro non significano nulla. Chi va avanti? Chi va indietro? E dove va? Tutto ciò che ci accompagna è pura illusione».

Cosa vogliono fare insieme genitori e insegnanti? Questa la domanda cui Insieme per il futuro vuole dare una risposta. Fin dalla sua nascita, e per gli impulsi pedagogici dati da Rudolf Steiner, la scuola Waldorf vive della collaborazione tra genitori e insegnati; le forme di tale collaborazione tuttavia mutano nel tempo e nelle singole situazioni concrete. Fino al 1970 erano gli insegnanti a essere in grande misura i soli responsabili della scuola, mentre i genitori si occupavano soprattutto delle necessità economiche e di spazi. In quegli anni andava però crescendo nell’opinione pubblica la sensibilità verso i problemi educativi, e nel movimento pedagogico steineriano nasceva, partendo dai genitori, un’istanza nuova. I rapporti tra genitori e insegnanti divennero via via più stretti, e andavano perciò trovate nuove modalità di collaborazione. Dapprima si cercò di superare i problemi che si presentavano, sia all’interno del collegio sia tra genitori e insegnanti, con modalità analoghe a quelle della vita economica, mediante cioè un miglioramento strutturale. Ci si accorse però che la causa delle difficoltà non risiedeva affatto nelle condizioni statutarie. Gli interessati registrarono con costernazione che, anche dopo gli interventi strutturali, nelle loro scuole non scomparivano i problemi di fondo. Questo porta oggi a nuove riflessioni. Lo sforzo per una collaborazione pedagogica deve essere posto nel suo complesso in relazione all’autodeterminazione. Deve prendere in considerazione, come questa, i valori interiori della vita dello spirito, che si distinguono chiaramente da quelli della vita giuridica. 07/01/14 13:32

Karl-Martin Dietz Insieme per il futuro - Genitori e insegnanti nella scuola Waldorf Editrice Novalis 56 pagine - € 9,00

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