Compost 08

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Cronache Vere “Sul finire degli anni 90 c’era un bel fermento, si respirava un’atmosfera stimolante e frizzante. Non c’era il demenziale sovraffollamento di oggi.“ Numero6 / Laghisecchi / Nome / Prisoner Intervista con Michele Bitossi di Simone Madrau

VERTICALIZZO E BADO ALSODO Michele Bitossi non è certo persona che abbia bisogno di presentazioni. E se mai ne avesse, bastano due nomi a far dire ‘aaah ma sì’: Laghisecchi e Numero6. Compost ripercorre l’ascesa del nostro, dai concerti al Palace alle pagine di Pitchfork attraverso il turbine di personaggi e comprimari più o meno celebri legati a filo doppio alle sue vicende. Piccolissimi pezzi in un mosaico sempre più importante, che nemmeno l’impegno di una famiglia sembra poter limitare. Ti racconto una storia. Era la seconda metà degli anni 90, andavo in classe in quarta o quinta liceo a Recco e di cosa succedesse a Genova non sapevo nulla. Ricordo a malapena un video dei Blindosbarra su VideoMusic. Però seguivo molto da vicino il rock indipendente, anche italiano. Era un periodo che ero in questo giro di sei o sette persone dove c’era un grande spaccio di cassettine, ciascuno comprava un cd e lo copiava agli altri. Poi un giorno, tra un Rosemary Plexiglas e un Lungo I Bordi, qualcuno in qualche discorso fece sbucare il nome Laghisecchi. Aggiungendo: ‘sono di Genova’. Inevitabilmente rimasi incuriosito ma non riuscii mai a mettere le mani sopra a quel materiale. Cosa mi sono perso? Beh, ti sei perso due album in cui una band di sciammannati poco più che ventenni cercava, a mio avviso con qualche successo, una ‘via italiana’ al suono che band come Pavement, Built To spill, Grandaddy, Sebadoh e altri stavano sviluppando ormai da qualche tem8 CMPST #8[12.2008]

po. Dopo un ep autoprodotto nel 1995, che per quanto ingenuo e assai limitato da molti punti di vista ci ha permesso di arrivare al primo contratto discografico, abbiamo realizzato Radical Kitsch nel 1998 e Très Bien: Piano B nel 2000. Soprattutto il primo ha ricevuto un’accoglienza lusinghiera da parte dei media e del pubblico, che si è dimostrato decisamente recettivo e interessato al progetto. Pensa che abbiamo anche venduto un buon numero di dischi! Si parla di altri tempi. Sul finire degli anni 90 c’era un bel fermento, si respirava un’atmosfera stimolante e frizzante. Non c’era il demenziale sovraffollamento di oggi. Era una dimensione ideale per scrivere, produrre, suonare cose nuove. Hai citato due album di Scisma e Massimo Volume molto importanti ed estremamente rappresentativi di quel momento magico. Quanto ai Laghi si tratta di un’avventura che ricordo con enorme affetto. Ci siamo divertiti alla grande e, cosa significativa, ricevo ancora adesso numerosi attestati di stima di gente che ci seguiva e

aveva apprezzato il nostro lavoro. Con Andrea (Tarick1), Giorgio e Pietro si è anche parlato di una reunion. Chi vivrà vedrà...

Parliamo di questioni molto venali. A quanto ho capito vendevate più dischi allora, dove appunto per fare le cassettine qualcuno doveva comprare l’originale, a dispetto di ora in cui comunque l’annosa questione file-sharing, da un lato una croce per le vendite dei dischi, contribuisce paradossalmente anche alla visibilità di un gruppo indipendente. Pensare di arrivare a campare con queste cose in quel momento aveva più senso rispetto all’oggi? In parte ti ho già risposto prima. In effetti parliamo di 10 anni fa ma sembrano molti più a causa della velocità con cui la tecnologia ha bruciato le tappe. Allora c’era sicuramente maggiore meritocrazia e selezione: se volevi farti produrre un disco in qualche modo dovevi meritartelo, convincendo pienamente l’etichetta (indie o major) di turno. Non essendo per niente sviluppato il concetto di home-recording i costi di produzione erano decisamente più alti rispetto ad oggi e, fatalmente, c’era molta più


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