Raspelli anche la luna è capovolta

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Anche la luna è capovolta

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Coordinamento editoriale Leandro del Giudice Redazione Giovanni Cascavilla Logo di collana Anna Bartoli da Carlo Mattioli, Il ramo, 1992 in copertina Burundi foto di Luciano Cavallaro ISBN 978-88-8103-779-7 Š 2015 Diaroads srl - Edizioni Diabasis vicolo del Vescovado, 12 - 43121 Parma Italia telefono 0039.0521.207547 – e-mail: info@diabasis.it www.diabasis.it


Anche la luna è capovolta

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Simona Raspelli

Anche la luna è capovolta Una volontaria tra Burundi e Palestina Prefazione e intervento di Edoardo Raspelli

DIABASIS


Anche la luna è capovolta

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Agli ospiti di Nkuba e a Malak di Jenin


Anche la luna è capovolta

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INDICE

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Prefazione di Edoardo Raspelli

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Introduzione di Simona Raspelli

12 Burundi: dove si mescolano terra e acqua 1. «Che ci vai a fare in Burundi?» 2. Il Vispe (Volontari Italiani Solidarietà Paesi Emergenti) 3. Lo sbarco in Africa 4. Bambini gonfi e dalla pelle chiara 5. Abazungu e Abarundi 6. Di corsa con un moribondo sulle spalle 7. Correndo verso il lavoro in infradito e scarpe da ginnastica 8. Osteomielite e pulci penetranti 9. Sconvolgente impatto con l’ospedale 10. Sacchetti a lume di candela 11. Incontri interculturali: che cos’è un ascensore? 12. In Burundi non c’è più zucchero 13. Interviste ai giovani burundesi 14. La gioia per una vecchia rivista italiana 15. Cibo e mercato: cocktail sensoriali esplosivi 16. Portare erba in un carcere burundese 17. Terra e mattoni 18. Vecchie macchine da cucire italiane 19. «Che le pulci possano mangiarti!» 20. Riavvolgendo la pellicola

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Arachidi tostate nelle foglie di banano di Edoardo Raspelli

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Palestina: la terra resiliente

1. La vigilia di Natale a Betlemme 2. La Tenda delle Nazioni 3. I bambini di At-Twani 4. La Firing zone: «Fate sapere al mondo» 5.

Le reti di Hebron e il muro a Qualqylia


6. 7. 8. 9. 10. 11. 12.

Passaggio al check point A Jenin Contro la demolizione delle case Abuna Manuel a Gaza Le donne di Nablus Il dottor Nidal E la storia non è ancora finita

Riferimenti bibliografici Ringraziamenti


Prefazione È anche questa l’Africa di mia figlia Simona

I sacchetti saldati al fuoco delle candele Con la mia fiammante 3000 mi ero fermato a fare il pieno, come sempre al self service, l’unica cosa che so fare di “materiale”, a parte il mio lavoro che, mi dicono, mi viene piuttosto bene. Ma mica potevo sporcarmi le mani con il gasolio; mica potevo farmi lasciare il puzzo indelebile di quel rifornimento autostradale lungo il viaggio per le vacanze. No, che sia Agip o Q8, la gentilezza è sugli scudi ed ecco che, gratuitamente, i benzinai, i gestori, ti mettono a disposizione gratis quei sottili leggeri ma utilissimi guanti di materiale plastico trasparente che, ditemi se mi sbaglio, è una gran comodità. Ero arrivato a quando la rotellina della pompa toccava i 60 euro, la metà della mia spesa solita; mi sono fermato; mi sono guardato attorno; ho lasciato andare per un attimo il grilletto del carico e mi sono chiesto che cavolo stessi facendo. Sì, il pieno, con i guanti di cellophane monouso; tra pochi istanti, arrivati ai 110-120 euro, avrei chiuso il bocchettone della mia macchina, avrei riposto il serpente di gomma, mi sarei tolto quei guanti e li avrei buttati nel cestino… Decine di volte l’anno un gesto banale, ripetitivo, automatico, comune, consueto, abitudinario, sciocco, per milioni di italiani, per decine di milioni di occidentali. E mi sono ricordato di mia figlia, di Simona, psicologa, anzi ph.doctor, e di quello che mi aveva raccontato del suo primo viaggio umanitario in Burundi, cuore povero della più povera Africa. «Un giorno, sai papà – mi diceva mia figlia – ero in una stanzetta inondata di sole con una mia amica. Eravamo a Bugenyuzi; il nostro compito era preparare i sacchetti individuali da riempire con le medicine che ogni ammalato dell’ospedale di Bugenyuzi avrebbe dovuto prendere ogni giorno. All’improvviso è entrata un’infermiera; ha messo davanti a noi sul tavolo un paio di candele e le ha accese. Che strano? Mi sono detta – continua a raccontare mia figlia Simona – Il sole è alto! C’è una gran luce! Forse l’infermiera vuol fare come da noi, nei centri benessere… che gentile… accende le candele per fare atmosfera… Poi l’infermiera è andata alla finestra, c’era vento, l’ha chiusa … e ci ha passato dei pezzi di cellophane…».


Già, perché in Burundi, a Bugenyuzi, non ci sono sacchetti di plastica, sono rarissimi e costosi…E non ci sono nemmeno i pezzi a misura, che so, un metro quadrato…No, dal ricco Occidente, per beneficienza, arrivano le bobine, che vengono tagliate a pezzi; i pezzi sono quelli che sono stati messi dall’infermiera davanti a Simona Raspelli ed alla sua amica che, con il calore della fiammella della candela, hanno saldato i sacchetti uno ad uno, cercando di non scottarsi le dita e che qualcuno, aprendo la porta, non creasse quella corrente d’aria che facesse spegnere la candela… Ma a Bugenyuzi non è nemmeno facile avere sempre la corrente elettrica; chi deve cucire, lo fa con le vecchie Singer a pedale arrivate in dono dall’Occidente…ma quando si guastano, i pezzi di ricambio non ci sono più, né in Burundi né tanto meno nel ricco Occidente elettrificato e… si smette di cucire… Tutto questo è solo uno spicchio, un pezzetto, una curiosità del mondo, dell’esperienza di vita che mia figlia ha vissuto per mesi in Burundi e che racconta qua, in queste pagine. A me è rimasto… l’episodio “curioso”, il particolare “strano”… il folclore, a mia figlia maggiore il toccare con mano la tragedia, le tragedie. Le pagine di Simona Raspelli danno il loro, il suo contributo a non dimenticare. Edoardo Raspelli


Introduzione

Uno sta al centro del grande continente nero ed è chiamato «il cuore dell’Africa» e del cuore ha in effetti anche la forma...piccolo paese verde tra i più poveri del mondo... l’altro, accanto a Israele, è una striscia di terra sempre più piccola, contesa, recintata e soffocata... Burundi e Palestina. A trentadue anni decido di “mettere in stand by la mia vita europea” e il mio lavoro di psicologa e ricercatrice e di partire per Africa e Asia: due mesi e mezzo di volontariato in Burundi e qualche settimana in Palestina, tra campi profughi e villaggi sotto assedio militare.

Burundi:dove si mescolano terra e acqua «Con ogni piccola descrizione di una cosa vista si può lasciare un seme nel terreno della memoria». Lo scrive Tiziano Terzani in Un indovino mi disse, storia di un viaggio di un anno per l’Asia senza prendere aerei. Io di aerei ne ho presi, il mio viaggio è durato solo due mesi e mezzo, ospite di una comunità che offre il suo servizio da quarant’anni e che è rimasta insieme alla popolazione anche nel pieno della guerra civile: l’esperienza è stata di volontariato e la terra calpestata è stata quella rossa del Burundi, il cosiddetto cuore dell’Africa. Ma l’intenzione di condividere quel che ho visto, quel che ho ascoltato, quel che ho vissuto è la stessa. Forse un po’ perché davanti a certe cose non si può tacere; forse perché ho avuto l’opportunità di fare quest’esperienza e vorrei raccontarla a chi è curioso e per vari motivi non ha avuto quest’occasione; forse perché continuano ad arrivare profughi sulle nostre coste e magari non riusciamo a immaginare il perché e proviamo pure fastidio; forse perché sentire storie di altri mondi, così com’è stato per me viverle, può far bene alla salute; forse perché in alcuni momenti poter ampliare un po’ l’orizzonte e mettere in prospettiva la quotidianità può essere utile... ecco perché questo racconto di viaggio. Ero già stata in Burundi in un agosto precedente, con l’organizzazione non governativa Vispe (Volontari Italiani Solidarietà Paesi Emergenti) per un mese di volontariato con un gruppo di quindici giovani. Poi è arrivata l’idea di tornare, per più tempo, da sola.


Perché sono tornata? Per conoscere meglio quella realtà, per immergermi meglio nella sua vita e nelle sue difficoltà, per capire qualcosa in più. È questo che racconto. La mia esperienza dell’essere straniera, in una terra che parla di sè già mentre ci si cammina sopra, mentre si lotta con la stanchezza, mentre s’incontrano i suoi bambini, donne, uomini, anziani; mentre s’incrociano i suoi ammalati e i carcerati; mentre si sperimentano i suoi cibi, animali, tempi. Il racconto di un piccolo pezzo di vita vissuta appena sotto l’Equatore, dove anche la luna è capovolta.

Palestina: la terra resiliente Ne parlano e ne scrivono in tanti e c’è movimento intorno a essa...eppure i suoi abitanti hanno continuato a chiedere di parlare, di raccontare, di dire, di testimoniare, di far sapere, di essere la loro voce...ed ecco che nasce questa parte di racconto. Un racconto della Palestina per come l’ho vissuta nelle due settimane scarse in cui mi ha ospitata, nel tempo del Natale e del Capodanno. Una manciata di giornate...da togliere il fiato. Giornate in cui sono entrata nei campi profughi, ho ascoltato testimonianze di vita quotidiana e di resistenza non violenta, ho vissuto il passaggio quotidiano prima dell’alba ai check point dei palestinesi che si recano al lavoro, ho incontrato volontari occidentali che accompagnano i bambini a scuola come deterrente alle violenze...ho respirato l’aria di una prigione a cielo aperto. È il racconto di ciò che due occhi qualunque hanno visto e due orecchie qualunque ascoltato in quel pezzettino di terra che chiamano Palestina, al di là delle teorizzazioni sul conflitto arabo-israeliano, al di là delle competenze storiche, politiche, economiche o religiose, al di là delle prese di posizione, al di là di tutto...sono andata, ho visto, ho vissuto, ho incontrato persone, uomini e donne comuni, bambini, ho memorizzato e ora racconto. Simona Raspelli


Riferimenti bibliografici Abulhawa S., Ogni mattina a Jenin, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2011 Cyrulnik B., Prefazione, in E. Malaguti, Educarsi alla resilienza, Erickson, Trento 2005 (pp. 9-14) Grossman D., La Guerra che non si può vincere, Mondadori Editore, Milano 2003. Malaguti E., Educarsi alla resilienza, Erickson, Trento 2005. Riva B., Tu bianco non puoi capire, Marna, Gorle 2012. Shenk D., Data smog: surviving the information glut, HarperCollins Publisher, New York 1997. Terzani T., Un indovino mi disse, TEA, Milano, 2008.

Ringraziamenti Ringrazio Anna Semeraro, primo contatto per l’esperienza in Burundi (insieme a Serena) e aiuto prezioso nei rientri in Italia; il Vispe, per avermi accolta, guidata e avermi dato l’opportunità di fare le esperienze raccontate e per alcune delle foto; Antonio Caccini, per il supporto nelle varie fasi del percorso; la comunità che mi ha ospitata in Burundi, perché conosco la fatica che si fa quando entra un nuovo elemento in un sistema; tutte le persone conosciute in Burundi per gli apprendimenti che mi hanno permesso di fare; il gruppo di giovani insieme ai quali ho incontrato il Burundi per la prima volta, compagni di viaggio e soprattutto della destrutturazione che il viaggio favorisce; Karoli Meroni, per l’affiancamento delicato, paziente e disponibile, per la condivisione della sua storia e delle sue riflessioni, per la revisione della bozza sul Burundi; Matteo Scaramuzza, per avermi proposto il viaggio in Palestina e per la revisione della bozza sulla Palestina; Morad, per averci fatto conoscere quella parte di Palestina e dei suoi abitanti e le persone con cui ho potuto condividere il viaggio e le riflessioni che ne sono seguite e in particolare Marco; Antonella e Franco Melzi per la rilegatura della prima bozza del libro e il fortunato «in bocca al lupo»; la mia famiglia, Enrico, Barbara, le mie amiche, per l’“incastro stellare” di avvenimenti, parole e incontri che rendono possibili le cose e mio padre, per avermi sempre incoraggiata a scrivere; chi nel frattempo ha incominciato a bussare alla mia porta, delicato e forte come un raggio di sole. Carla Limido ed Edizioni Diabasis per l’opportunità e la fiducia dimostrata; infine, ringrazio tutti coloro che in modo diverso sono entrati in queste esperienze e hanno aggiunto un pizzico del loro sale, perché è stato l’incontro con tante persone così diverse che ha stimolato queste pagine.


Il secondo capitolo della collana Essere un viaggio attraverso Burundi e Palestina con Simona e il Vispe alla ricerca forse di noi stessi stampato nel carattere Simoncini Garamond a cura di PDE Spa presso lo stabilimento di LegoDigit Srl - Lavis (TN) per conto di Diabasis nel febbraio dell’anno duemila quindici



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