Atti del Convegno Il volontariato nel panorama europeo

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Presentazione



Relazione introduttiva Giorgio Groppo Consigliere CNEL, Osservatorio nazionale Volontariato



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SESSIONE IL CONTESTO SOCIOECONOMICO E IL VALORE ECONOMICO DELLA GRATUITÀ E DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE The economic value of social responsibility and voluntary work in Europe Moderatore: Francesco Sansone Relatori:

Università di Pisa

Gianpaolo Gualaccini

Consigliere CNEL Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro “osservatorio sull’economia”

Raffaella Vitale

Direttore Assessorato Politiche sociali Regione Piemonte

Mauro Battuello

Presidente Comitato di Gestione Fondo speciale per il volontariato Piemonte


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I Francesco Sansone (Università di Pisa)

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razie Giorgio. Grazie a voi per essere intervenuti questa mattina e un cordiale benvenuto a voi che siete intervenuti questa mattina. Mi è stato chiesto di coordinare questa tavola rotonda sul contesto socioeconomico e il valore economico della gratuità e della responsabilità sociale. Un tema che ci introduce nell’ambito centrale, come Giorgio Groppo ha appena accennato, del volontariato nel contesto socioeconomico quindi il valore stesso del volontariato, il suo significato e la sua possibile valorizzazione anche economica. La tavola rotonda vedrà gli interventi di Gianpaolo Gualaccini, Comitato di Presidenza CNEL(Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), Raffaella Vitale, Direttore Assessorato Politiche sociali Regione Piemonte e Mauro Battuello, Presidente Comitato di Gestione Fondo speciale per il Volontariato Piemonte. Vorrei introdurre questo tema con alcune considerazioni che riguardano esattamente il contesto socioeconomico attuale, per dare anche eventualmente un indirizzo che poi potrebbe essere ripreso in un secondo giro dopo gli interventi dei relatori e poi eventualmente, vista anche la partecipazione, sentita da parte vostra per qualche domanda. Il tema ci consente di sfatare alcuni luoghi comuni e poi di inquadrare un tema che è il vero valore del volontariato che riguarda la creazione di relazioni di fiducia, che sono poi alla base della stessa economia, quindi a prescindere da quelli che sono poi gli orientamenti valoriali di ciascuno. In questo contesto appare sempre più importante uscire dagli schemi rituali e teorici ed affermare che può esistere anche una buona economia basata sulla gratuità.


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Pare profetica la testimonianza che Benedetto XVI ha offerto nella Caritas in Veritate. “La grande sfida che abbiamo davanti a noi, fatta emergere dalle problematiche della globalizzazione e resa ancor più esigente dalla crisi economico-finanziaria, è di mostrare, a livello sia di pensiero sia di comportamenti, che non solo i tradizionali principi dell’etica sociale, quali la trasparenza, l’onestà e la responsabilità non possono venire trascurati o attenuati, ma anche che nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica”. Queste parole sono prescrittive per quanto riguarda il contesto economico generale e nella fattispecie per quanto riguarda il mondo dell’impresa sociale, del volontariato. Parole in qualche modo rivoluzionarie. Come dire che l’economia ha bisogno di ritrovare un’anima, che i rapporti di mercato devono rimettere al centro la persona, che pur senza perdere di vista l’efficienza e il profitto è necessario assegnare il primo posto alle relazioni umane e alla fraternità. Elementi questi che nei suoi primi interventi sono stati messi in luce, io sono milanese come sapete, dal nostro nuovo arcivescovo, Cardinale Scola proprio parlando al mondo dell’impresa sua eminenza ha più volte citato la gratuità per dare un senso al lavoro dell’uomo e per indirizzare al bene comune la dimensione dell’economia. L’enciclica Centesimus annus, scritta da Giovanni Paolo II nel 1991, immediatamente dopo la caduta della cortina di ferro, affermava molto chiaramente come il fallimento del comunismo fosse dovuto essenzialmente a una ragione antropologica: l’aver considerato l’uomo”come una molecola dell’organismo sociale ha finito col ridurre la vita ad una mera somma di relazioni sociali, facendo scomparire il concetto di persona come soggetto morale”. E se nel comunismo si è sottomessa la libertà alla struttura sociale, nella società iperfinanziaria si è dato posto all’illusione di poter creare il denaro con il denaro e si sono puntate tutte le carte su di una creazione di valore frutto dell’abilità finanziaria più che del lavoro e della creatività. È invece ora di dare un senso alle indispensabili relazioni interpersonali, e in questo voi costituite un mondo che fa il possibile nel concreto per realizzare questo auspicio, questa dimensione. Solo il rispetto profondo per il destino delle persone e l’abbraccio fraterno con l’altro possono riportare la realtà ad una giusta e costruttiva scala di valori. E così la gratuità può rivalutare la stessa economia di mercato, può far ritrovare il senso di parole come fiducia e speranza, può rimettere in gioco le grandi potenzialità e i singoli talenti di ogni persona. In un dialogo aperto e costruttivo con un mondo da cui possono venire tanti spunti positivi e verso il quale dobbiamo riscoprire l’indicazione di San Paolo: vagliate tutto e tenete ciò che è buono. Sulla base di queste considerazioni darei subito la parola al Dott. Gianpaolo Gualaccini.


I Gian Paolo Gualaccini Consigliere CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) e Coordinatore dell’ “Osservatorio sull’Economia Sociale” del CNEL

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ingrazio il CSV di Cuneo, Giorgio Groppo e tutti i suoi collaboratori per questo appuntamento perché questa è l’occasione per fare una piccola riflessione su temi così importanti. Sinteticamente vorrei soffermarmi su tre punti. Il primo punto. Siamo dentro una crisi di livello mondiale; si parla di una crisi dell’economia, della finanza e in gran parte anche della politica. Questo è vero, ma si dimentica la cosa più importante: la vera crisi è quella dell’uomo perché la politica e l’economia sono solo strumenti e, come tutti gli strumenti, sono manovrati dall’unico che è capace appunto di utilizzarli, cioè dall’uomo. Costui è l’unico fattore che può trasformare positivamente la realtà, eppure di lui nessuno si preoccupa. Si parla soltanto della politica e dell’economia. Permettetemi di leggere una frase che Papa Benedetto XVI ha recentemente detto in Germania parlando al Parlamento tedesco “Vorrei però affrontare con forza ancora un punto, che oggi come ieri viene largamente trascurato: esiste anche un’ecologia dell’uomo. Anche l’uomo può scegliere la natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé, l’uomo non crea sé stesso. Egli è spirito e volontà ma è anche natura e la sua volontà è giusta quando lui ascolta la sua natura, la rispetta e quando accetta se stesso per quello che è e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà dell’uomo”. E qual è la natura dell’uomo? Vengo al primo punto. La natura dell’umano è, in una parola, quello che abbiamo già sentito negli in-


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terventi introduttivi: la natura dell’uomo è quella della gratuità. Siccome ciascuno di noi non si fa da sé, ha iscritto nel suo cuore la capacità di darsi, di dare gratuitamente perché gratuitamente è stato fatto. Questa è la natura dell’uomo ed è questa natura che è andata in crisi. Ciò indica una concezione umana, una concezione dell’uomo positiva per cui io non posso costruirmi la mia felicità a prescindere da chi mi è vicino. Se non vi piace il termine gratuità potete dare altri nomi, ci sono tanti sostantivi: c’è chi dice solidarietà, c’è chi dice carità, ma gratuità coincide con la natura umana ed è una concezione umana per cui l’altro non è un nemico - quindi non è un homo homini lupus - ma è amico, per cui io sono capace di costruire e di fidarmi. È una posizione umana che prima di un perimetro, per esempio il perimetro del mondo del non profit, indica una posizione, un atteggiamento comune a profit e a non profit; è l’atteggiamento che ha permesso all’Italia, uscita nel ’45 distrutta da una guerra mondiale perduta, il boom economico degli anni ‘60. Perché dentro le differenze profonde che sono praticamente rappresentate da un’immagine che tutti conosciamo, l’Italia di Don Camillo e Peppone, tutti erano tesi a costruire, in una posizione positiva, tanto che in 15 anni hanno ricostruito il Paese. E vengo al secondo punto e, cioè, alla delimitazione di un perimetro che, potremmo dire, è il perimetro dell’universo del non profit, di questa gratuità. Il mondo del non profit è sicuramente un mondo molto più fatto che pensato, molto più concreto che rappresentato; una cosa è certa: come diceva prima Giorgio Groppo, quelle 1100 Associazioni di volontariato su 1600 associazioni totali del mondo del non profit, sono la ricchezza di Cuneo. Se non ci fossero, probabilmente Cuneo non sarebbe quella che è, anzi forse non sarebbe proprio. E questo è uno spicchio di un mare, di bene comune che c’è in Italia e che si può trovare ovunque. Ed è per questo che abbiamo pensato come CNEL di chiedere all’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, di misurare con un valore economico l’attività dei volontari. In Italia risulta che 3 milioni e 300 mila cittadini fanno più o meno stabilmente attività di volontariato (dati del 1999). L’ISTAT, attraverso un metodo scientifico, ci ha detto che la loro attività di volontariato equivale a un valore economico pari a 7 miliardi di euro, cioè allo 0,7% del PIL del 1999. Questa ricerca - che abbiamo presentato il 5 luglio scorso - è disponibile sul sito del CNEL. Se ci aggiungiamo tutto il resto dell’universo non profit oltre il volontariato andiamo al 4% del PIL su dati del ‘99. Aggiungeteci che – lo dice sempre l’Istat - nel 2009, l’indagine sulle famiglie multiscopo ha mostrato come la propensione degli italiani a svolgere attività di volontariato nell’arco di un quindicennio, con un arco temporale che va dal ‘93 al 2008, si è triplicata. Questo non lo dico per dimostrare la forza del non profit, ma perché è giusto essere coscienti. Pensate che sempre l’Istat dice che nel censimento sulle organizzazioni


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non profit che partirà nella primavera del 2012, la base anagrafica delle istituzioni non profit che loro hanno ritrovato, mentre nel primo censimento del non profit del 1999 contava 221mila unità, ad oggi parte da 450mila istituzioni non profit. Questo era solo per dare qualche numero, per rendersi conto di un mondo che tanto fa quanto si sente e si vede poco. Come le foreste che ci sono anche se nessuno le vede crescere. L’universo del non profit e del volontariato è come un vaso di coccio rispetto ad altri che sono di ferro; normalmente non fa notizia però è un mondo che c’è, è un mare di bene che è diffuso in tutta Italia e non solo perché - altro dato rilevante - è ormai un fenomeno diffuso a livello mondiale. Abbiamo appreso con piacere la notizia che l’ILO (l’Istituto internazionale per il lavoro), che è l’agenzia per il lavoro delle Nazioni Unite, ha proprio recentissimamente approvato un manuale per la misurazione dell’attività volontaria, approvato dai 32 paesi aderenti all’ILO. Per cui quando si dice volontario, per tutti i paesi aderenti all’ILO si dice la stessa cosa. L’ILO ha fatto alcune prime stime: si parla di 140 milioni di persone che fanno volontariato in 32 paesi. Passo al terzo punto. Il rapporto tra questo mondo e le istituzioni politiche. In una parola: principio di sussidiarietà. Però voglio ritagliare qualcosa di più. Io credo realmente che occorra andare nella direzione di un welfare sussidiario, accettare di chiudere il capitolo di un welfare state che non ce la fa più e andare verso un sistema di welfare misto che riconosca tre soggetti: lo stato, il privato profit e il privato non profit. Probabilmente nella realtà è già così, in tante parti di Italia, però, questa cosa deve essere ancora riconosciuta dalla politica. Certo il welfare sussidiario è un welfare non piegato agli interessi della politica, non schiavo della politica. Come le 1600 associazioni non profit che ci sono in provincia di Cuneo, probabilmente non sono piegate a nessun interesse politico locale, ma sono libere e autonome. Purtroppo però la politica fa un passo avanti e due indietro: da una parte riconosce l’autonomia e il principio di sussidiarietà, dall’altra capisce che lasciare troppo spazio significa perdere potere, perdere una capacità di controllo. Però io credo che sia possibile destatalizzare socializzando, non privatizzando, ma socializzando. Ci sono certamente alcuni segmenti delle attività dove l’universo non profit esprime le sue potenzialità (perché sono segmenti che non hanno una redditività economica): penso alle vicende degli asili nido, al recupero degli esclusi dalle scuole, alla gestione dei beni comuni, al fenomeno del microcredito, a tanta parte dell’assistenza socio-sanitaria. Questi sono segmenti dove le realtà non profit, comprese quelle di volontariato, hanno una grandissima parte e dove bisogna decidere che cosa fare. Più società meno stato, si diceva una volta. Più società fa bene allo stato perché non gli fa fare passi indietro ma gli dà il ruolo che gli spetta, il ruolo di garante, di controllore, ma non di gestore, proprio attraverso il principio di sussidiarietà. Non è lecito


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che un istituto di ordine superiore faccia quello che può essere fatto da uno di ordine inferiore. Io credo che questa sia la direzione verso cui anche le istituzioni del mondo della politica devono andare, non per necessità, perché non ce la si fa più, perché la coperta è corta e perché non ci sono più soldi, ma per convinzione. In Inghilterra Cameron ha lanciato la Big society e questo ha significato aprire un dibattito a livello mondiale sulla sussidiarietà. Ha detto più volte, lui e i suoi collaboratori, che nel lanciare questo modello, con cui ha vinto le ultime elezioni, si è ispirato a quello che c’è in Italia perché in Italia la big society, questa cosa che cresce senza che sia sentita, senza che sia più di tanto vista, senza andare sui giornali, senza che sia più di tanto rappresentata, l’abbiamo già. C’è soltanto bisogno che la politica lo riconosca. Più società fa bene allo stato e lo rende più ricco, più capace di far vivere umanamente la nostra vita.


I Raffaella Vitale Direttore Assessorato Politiche sociali Regione Piemonte

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a crisi finanziaria del sistema di welfare, che ciclicamente attraversa il mondo occidentale e, quindi anche il nostro Paese, ci pone in questo momento di riduzione delle risorse pubbliche di fronte alla necessità di affrontare il difficile tema di come continuare a garantire interventi e prestazioni assistenziali a persone anziane e disabili o prive di un reddito adeguato e, contestualmente, se questi modelli soddisfano in termini di efficacia effettivamente il bisogno delle fasce più deboli. Innanzitutto bisogna dire che il sistema di welfare italiano è caratterizzato da due debolezze strutturali, vecchie di almeno 50 anni: la compresenza di diversi soggetti istituzionali nella gestione ed organizzazione dei servizi e delle prestazioni sociali: da un lato, lo Stato centrale con i trasferimenti monetari alle famiglie (disoccupazione, invalidità civile, assegni di accompagnamento, integrazioni al minimo delle pensioni) e dall’altro gli enti locali con un ulteriore mix di interventi monetari (si pensi agli interventi economici a sostegno della domiciliarità) e di interventi professionali, quali l’assistenza domiciliare, residenziale a favore di anziani e disabili, che sono in questo momento quelli più a rischio di riduzione. Lo sviluppo della crisi sociale ed economica in corso dal 2007 non prevede, infatti, una rapida soluzione: sotto certi punti di vista, alcune modifiche di composizione del tessuto sociale e produttivo dell’Occidente avanzato appaiono irreversibili (in particolare il finanziamento dei sistemi di Welfare statali tramite il disavanzo del Bilancio pubblico) e comporteranno, nelle democrazie rappresentative quali l’Italia, una rigida


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selezione degli obiettivi di tutela delle famiglie, degli anziani, dei poveri e dei soggetti fragili in genere e un indubbio alleggerimento delle sovrastrutture burocratiche, poste in capo alla produzione dei servizi stessi. In particolare, nel Piemonte, la progressiva deindustrializzazione (anche legata alla probabile delocalizzazione dell’industria dell’auto) e la sempre più ampia terziarizzazione, abbinata alla progressiva ed indispensabile introduzione del modello federalista, imporranno una sempre maggiore autosufficienza nel sistema finanziamento-produzione – funzionamento – fruizione dei servizi alla persona, con una indispensabile razionalizzazione delle risorse. Il percorso di realizzazione del Federalismo fiscale vede, peraltro, a partire dal 2011 e per i prossimi anni una progressiva trasformazione del modello di finanziamento a favore delle Politiche Sociali, dipendenti sempre di meno dai trasferimenti statali ed una progressiva crescita della responsabilità regionale (sia in relazione alle risorse proprie sia per quelle trasferite dallo Stato per il funzionamento del servizio sanitario) e degli enti locali nell’individuazione non solo delle risorse da destinare all’erogazione delle prestazioni socio-sanitarie e sociali, ma anche nella definizione delle prestazioni di welfare da assicurare alla comunità regionale. Attualmente il sistema di welfare regionale assorbe più di 560 milioni di Euro di spesa pubblica, cui vanno aggiunti circa € 490 milioni per interventi a carico del servizio sanitario nell’area dell’integrazione socio-sanitaria, ponendo il Piemonte tra le Regioni con una spesa pro-capite per questi servizi superiore alla media nazionale. Queste risorse sostengono una varietà di servizi e prestazioni con livelli differenziati tra le diverse aree del Piemonte, creando talvolta situazioni troppo diversificate, per non essere anche inique. In questo generale contesto di riduzione delle risorse disponibili sia a livello regionale che locale e di ridefinizione delle priorità di intervento del sistema dei servizi di welfare regionale una particolare attenzione va posta al tema della riorganizzazione del sistema pubblico delle risposte ed alla valutazione delle modalità non solo più efficienti (sotto il profilo del rapporto tra risorse impiegate, umane e finanziarie, e risultati conseguiti), ma soprattutto più efficaci nei confronti di bisogni, che da tempo si mostrano sempre più dematerializzati ed attinenti alla vita relazionale della persona. La Regione Piemonte fin dall’inizio di questa nuova legislatura è impegnata in un difficile sforzo di programmazione dei servizi, da conciliare con una progressiva riduzione delle risorse disponibili per il loro trasferimento ai soggetti pubblici e privati impegnati nei servizi alle persone in difficoltà. Con il bilancio 2010 e 2011 sono state individuate delle priorità di intervento: famiglie e minori, persone disabili ed anziani non autosufficienti, cui sono state indirizzate e convogliate le risorse regionali e statali disponibili, sia nel bilancio della Direzione Politiche sociali e della famiglia sia nel bilancio della Direzione Sanità.


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Contestualmente l’accento è stato posto, anche, sulle infrastrutture pubbliche deputate all’erogazione delle prestazioni socio-sanitarie e sociali nell’intento di valutare attentamente come nuovi modelli di organizzazione pubblica potessero consentire risparmi da destinare al mantenimento dei livelli quantitativi di risposta offerta ai cittadini. E’ questo il senso della riflessione condotta sulla soppressione dei consorzi di funzione tra enti locali e sulle risorse impegnate per il loro funzionamento, circa il 10% dell’intero consolidato destinato ai servizi socio-assistenziali della Regione Piemonte. Tuttavia va anche detto che qualcosa deve cambiare anche nella modalità con cui i servizi attivi nella nostra regione e destinati alle persone in difficoltà, perché anziane malate o disabili o prive di reddito adeguato si svolgono. Si tratta di iniziative importanti ed anche utili, ma, come qualcuno di voi avrà sperimentato, non sempre offrono la soluzione e, spesso, gli operatori non riescono a creare veramente quel legame di aiuto, che possa mettere in condizioni la persona di superare il proprio problema in maniera definitiva. Forse possiamo dire che la stagione dei diritti riconosciuti alla persona perché cittadino abbia fatto il suo tempo e che oggi, ove le difficoltà non sono la sola mancanza di reddito o la sola malattia, ma l’intrecciarsi di queste con la solitudine e l’assenza di relazioni significative, gli aiuti dati dai servizi pubblici debbano muoversi in un paradigma diverso: quello della responsabilità. Far crescere la responsabilità di chi riceve aiuti, sostegni, prestazioni, perché questi alimentino la capacità di cura verso se stessi e verso la società e le persone, che li hanno offerti. La relazione di aiuto non si svolge solo all’interno di un setting professionale è un dono e non può che essere reciproca, tra chi aiuta e chi chiede, ed alimentare una corrente di cambiamento nei comportamenti e nella vita, altrimenti sussidi, pensioni, indennità sono solo momenti assistenziali e paternalistici, che creano dipendenza e solo raramente autonomia. Ciò richiede che i sistemi di dono e di relazione basate su solidarietà corte e legami di tipo comunitario, come quelle che da sempre realizzano le organizzazioni di volontariato e non profit, debbano trovare nuova forza di crescita ed espansione nell’area del sistema pubblico di welfare, contrariamente all’idea, a lungo egemone nelle scienze sociali, che l’espansione dell’azione pubblica, soprattutto con l’affermazione del welfare state, ne avrebbero reso residuale, o quantomeno compresso, la funzione sociale. La reificazione delle organizzazioni del Terzo Settore a mero strumento del sistema di welfare pubblico o a mero soggetto erogatore di interventi ad integrazione di quelle erogate dal sistema pubblico deve lasciar posto ad un nuovo protagonismo sociale di questa vasta ed inesauribile fonte di energia e di vitalità creativa. Questa riscoperta del mondo della solidarietà sociale libera e gratuita va in gran


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parte contestualizzata, da un lato, considerando il cambiamento qualitativo della domanda di servizi sociali, e, dall’altro, sostenuta con forza, non solo, perché funzionale al superamento della crisi finanziaria ed organizzativa dei sistemi di welfare di molti paesi europei, ma perché essenzialmente funzionale ad alimentare nuovi processi di responsabilizzazione umana, personale e sociale tra le persone e nelle comunità. In Italia come in Piemonte l’esternalizzazione e la commercializzazione dei servizi sociali è avvenuta attraverso il consolidamento e l’ampliamento della partnership tra istituzioni pubbliche e organizzazioni nonprofit, consolidando anche forme dirette da parte del cosiddetto Terzo Settore di organizzazione ed erogazione dei servizi sociali e socio-sanitari, richiesti dai cittadini e messi a carico della spesa pubblica. La rilevanza economica del settore nonprofit, non solo in termini di servizi erogati ma anche dal punto di vista della creazione di occupazione e del prodotto interno lordo, è pertanto una risorsa a disposizione perché il nuovo sistema dei servizi sanitari e sociosanitari trovi nelle imprese del Terzo Settore e nelle organizzazioni di volontariato, di cui è ricca la Regione, un nuovo soggetto promotore di iniziative ed erogatore di prestazioni, per garantire lo sviluppo e la crescita delle attività nell’area della cronicità, ove bisogno di salute e bisogno di senso e relazione umana si integrano nella prestazione, superando il semplice paradigma professionale. In quest’ottica il ribaltamento dei rapporti tra Stato e Terzo Settore rappresenta una sfida per la rivitalizzazione e la sostenibilità economica del sistema di welfare regionale, laddove come nel nuovo piano socio-sanitario si attribuisce un ruolo attivo di tutela delle fasce deboli alle organizzazioni pubbliche (vedi ASL, unioni di Comuni e Comuni) e quello di produzione delle prestazioni e degli interventi alle organizzazioni del Terzo Settore (organizzazioni di volontariato e imprese non-profit). Certo in questo difficile momento saranno le imprese non profit, purchè di adeguate dimensioni aziendali, più dotate di progettualità e capacità di rilevazione dei bisogni a riassumere su di sé il ruolo di gestore ed erogatore diretto delle prestazioni sociali e socio-sanitarie, Al mondo delle Odv spetta in qualche modo trovare una nuova collocazione ed un nuovo protagonismo, che tenga conto delle dimensioni organizzative e di altre caratteristiche. Da una recente ricerca del CNEL emerge, infatti, come le istituzioni attive nei settori della filantropia, della sanità e della tutela dei diritti impiegano in media un numero di volontari superiore alle 30 unità, mentre in quelle operanti nell’ambito delle relazioni sindacali, dello sviluppo economico, dell’istruzione/ricerca e della ricreazione il numero di lavoratori volontari è inferiore alle 20 unità. Inoltre, è bene osservare che il numero di volontari è correlato con le risorse economiche e dunque con una maggiore complessità e strutturazione organizzativa. Difatti, il valore medio di volontari è pari a 12 nelle organizzazioni con entrate inferiori ai 2,5


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mila euro, mentre supera le 20 unità tra quelle con un bilancio superiore ai 30 mila euro. Il tratto sociale più rilevante che identifica i volontari è il capitale culturale, concetto da intendere, nella forma più neutra, come uno stile di vita caratterizzato dal consumo di prodotti culturali e dall’elevata formazione scolastica, ma anche come un fattore di differenziazione sociale che garantisce potere e status a chi lo possiede in maggiore misura (Bourdieu, 1986). Inoltre, per quanto riguarda l’associazione tra partecipazione religiosa e pratica del volontariato, in letteratura ricorre di frequente la tesi che la religione, intesa come sistema simbolico, fornisca dei frame cognitivi e normativi che facilitano l’attivazione e la mobilitazione in diverse forme di partecipazione sociale (Wilson & Janosky, 1995). La relazione tra la probabilità di svolgere un’attività di volontariato e la frequenza ai riti religiosi ha un andamento monotono crescente, nel senso che la disposizione verso il volontariato cresce all’aumentare del livello di partecipazione ai riti di culto, monotonia che si osserva anche rispetto alla frequenza con cui si incontra gli amici. In genere, durante una giornata media, si dedicano al volontariato organizzato circa 2 ore e 36 minuti e al volontariato spontaneo e un’ora e 46 minuti. E’ interessante, poi, osservare che il tempo dedicato al volontariato organizzato è più elevato nei contesti urbani metropolitani (superiore alle 3 ore) rispetto ai comuni di piccole e medie dimensioni. Per concludere: piccole dimensioni organizzative e finanziarie, elevato capitale umano e passione operativa fanno di questo mondo una fonte inesauribile di ricchezza per il sistema di welfare e per un welfare in crisi. E’ un mondo, da valorizzare, che attende, libero da vincoli e lacciuoli di poter progettare in maniera autonoma ed indipendente dalle centrali pubbliche del sistema di welfare interventi di tutela ed assistenza fortemente caratterizzati dalla vicinanza e dalla prossimità alla persona umana in difficoltà. Alle politiche pubbliche, anche regionali, il compito di sostenerlo e valorizzarlo, per renderlo un pilastro centrale nell’ottica di fare di questa nostra comunità una comunità di persone che cresce e si prende cura di tutti i suoi cittadini, soprattutto di quelli più in difficoltà.


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I Mauro Battuello Presidente del Comitato di Gestione Fondo Speciale per il Volontariato in Piemonte

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’argomento relativo al valore economico della gratuità e della responsabilità sociale nell’azione del Volontariato, ed in particolare del Volontariato organizzato, è un tema per molti aspetti stimolante, che contribuisce a fornire una ulteriore chiave di lettura al fenomeno del Volontariato nella nostra società. Non è un caso che si stiano sviluppando studi e ricerche sull’argomento, poiché è naturale che quando un “movimento” viene ad assumere un ruolo importante nella vita sociale si cerchi di indagarne le dimensioni anche da un punto di vista dell’impatto economico. Se si prende a riferimento il recente studio del CNEL in merito, riferito alla valorizzazione del lavoro volontario nel settore del non profit in Italia, emergono dati che dimostrano l’ampiezza del fenomeno nella nostra società, dati che giova riportare per sottolinearne la significatività: la quantificazione del valore economico di tale attività in Italia viene stimata in 7.779 milioni di euro, che in termini relativi, corrisponde allo 0,7% del PIL e, se sommata al valore totale della produzione delle organizzazioni non profit, porta a quantificare la ricchezza prodotta nella nostra nazione dall’intero settore nel 4% del PIL. Ritengo sia positivo, quando si parla di Volontariato, poter fare riferimento anche a tali aspetti di quantificazione economica dell’apporto del “lavoro” volontario, poiché è anche attraverso l’adozione di concetti e unità di misura più “familiari” al comune sentire che è possibile divulgare informazioni su tale fenomeno e renderlo più com-


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prensibile; anche se ritengo non facilmente immediato, per chi si occupa di studiarne le caratteristiche, applicare tali strumenti di misura ad una realtà tra le più variegate e dinamiche della nostra società. Nonostante sia certamente utile ricorrere a strumenti di valutazione economica per fornire un’ulteriore dimensione al fenomeno, ritengo che possa, sulle prime, apparire inconciliabile associare concetti e strumenti di misurazione economica ad un’attività che ha tra i suoi valori fondanti la gratuità. Occorre in proposito evidenziare che la gratuità che sta alla base dell’azione del Volontariato, come evidenziato da diversi commentatori, non è da intendersi solo come assenza di remunerazione e fine di lucro, oppure di rendite di posizione e vantaggi diretti o indiretti (come tra l’altro sancito dalla Carta dei Valori del Volontariato), ma attiene alla sfera del dono. La dinamica del “donare” insita nell’azione volontaria fa sì che si sviluppi un nuovo tipo di legame sociale, che generalizza le relazioni associative ed amicali nei confronti di persone “terze”, proiettandosi nel futuro ed instaurando un circuito basato sulla fiducia. Il Volontariato consente pertanto al singolo di esprimere la propria personalità nella realizzazione del “bene comune”, al di fuori di logiche di profitto economico. Non bisogna però incorrere nell’equivoco di ritenere che l’attività svolta dal Volontariato, poiché gratuita secondo tutte le accezioni sopra evidenziate, debba ritenersi avulsa dalle necessità di supporto anche di natura materiale ed economica per lo sviluppo della sua azione concreta. Questo ancor più se si considera che il Volontariato è stato individuato come uno degli attori e degli interlocutori più importanti nella realizzazione delle politiche sociali. Come ben evidenziato anche nel corso della recente Conferenza sul Volontariato di Venezia, il Volontariato, inteso come espressione della propensione solidaristica spontanea, fa parte integrante della tradizione italiana ed ha origini molto antiche e trasversali a tutte le culture (cattolica, socialista, liberale). E’ stato in ogni caso un passo fondamentale che il “volontariato” sia entrato a far parte del dibattito economico e sociale in Italia e che sia stato dato un riconoscimento anche giuridico al fatto che il Volontariato è una forma di partecipazione sociale che contribuisce alla crescita della società stessa. Pertanto, da un lato vi è una tradizione di interventi insita nella nostra società (e persino, come sottolineato dal Prof. Vittadini, nella natura stessa dell’uomo); dall’altro, norme giuridiche che sanciscono il principio di solidarietà e che riconoscono che la presenza di un’azione sociale già esistente e libera, con le sue forme ed i suoi fini (cfr Art. 1 L. 266/91, “La Repubblica italiana riconosce il valore sociale e la funzione dell’attività di volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, ne promuove lo sviluppo salvaguardandone l’autonomia e ne favorisce l’apporto


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originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuato dallo Stato, dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali”). La Legge quadro sul Volontariato n.266 del 1991, inoltre, nel fissare le condizioni generali entro cui un’iniziativa solidaristica è ammessa all’interno della sfera pubblica, definendo così i requisiti per lo status di “Organizzazione di Volontariato”, mostra di preoccuparsi anche del sostegno economico all’azione solidale svolta nella forma di Organizzazione di Volontariato (OdV). Ed infatti, all’Art. 12 prevede la costituzione di un apposito fondo per il finanziamento di progetti presentati dalle OdV, ed all’Art. 15 prevede la costituzione del Fondo Speciale per il Volontariato presso ogni regione, alimentato dalle Fondazioni di origine bancaria e destinato all’istituzione di Centri di Servizio per il Volontariato a disposizione delle OdV e da queste gestiti; il successivo Decreto applicativo dispone che i Fondi Speciali siano amministrati da organismi appositi, i Comitati di Gestione, che svolgono, tra le altre, funzioni di controllo di legittimità sull’attività dei Centri di Servizio. Da quanto più sopra brevemente introdotto, il Volontariato appare un attore che ricopre un importante ruolo all’interno della società, sia per la significativa mole di attività messa in atto dai Volontari e testimoniata anche in termini economici dalla quantificazione del loro lavoro, sia in termini qualitativi per la capacità del Volontariato di produrre beni relazionali e per la caratteristica di sensore dei bisogni emergenti nella società; ed infatti, il legislatore ha riconosciuto tale ruolo anche a livello normativo, ponendolo come uno degli attori che concorrono a realizzare il principio di sussidiarietà. E’ pertanto significativo che siano state previste ed adottate modalità di sostegno al lavoro del Volontariato, ad ulteriore comprova del riconoscimento di tale ruolo; tra le molte politiche che, a livello nazionale e locale vengono messe in atto per supportare il Volontariato, mi è impossibile non annoverare i Fondi Speciali per il Volontariato; per effettuare le considerazioni che seguono mi riferirò in particolare all’esperienza piemontese. I Centri di Servizio per il Volontariato (CSV) sono strutture che hanno la specifica funzione di sostenere e qualificare l’attività delle OdV, così come definite dalla normativa; sono realtà relativamente recenti, poiché nate dal 1997 in poi, e, ad oggi, presenti su tutto il territorio nazionale. In Piemonte, sono presenti in tutto nove CSV, uno per ogni provincia ad eccezione di quella di Torino, nella quale ne sono stati istituiti due. Ogni CSV, pur in presenza di caratteristiche comuni, svolge la propria attività attraverso percorsi che rispecchiano le specificità dell’area territoriale di riferimento: fatto, questo, positivo, visto che la loro caratteristica irrinunciabile è la capacità di saper rispondere in modo mirato alle esigenze delle OdV del territorio; il tutto, nell’ambito delle disposizioni normative in merito.


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Al fine di perseguire la loro mission di sostegno e qualificazione delle OdV, i CSV erogano prestazioni sotto forma di servizi potenzialmente a favore di tutte le OdV presenti sul territorio di riferimento. A completamento di tale ruolo dei CSV, sono state inoltre previste forme di sostegno di progetti di intervento delle OdV (c.d. progettazione sociale). Il Comitato provvede a ripartire tra i CSV esistenti in regione il Fondo Speciale disponibile per una data annualità, importo in base al quale i CSV elaborano il proprio programma di attività, che viene poi esaminato ed ammesso a finanziamento dal Comitato stesso. Il Comitato, tra l’altro, ha da tempo previsto che la programmazione venga definita, nell’ambito delle prestazioni ammesse dalla normativa, con il coinvolgimento delle OdV locali e sulla base dell’analisi dei bisogni rilevati; quanto precede al fine di sviluppare gli interventi sulla base delle effettive necessità riscontrate. Al fine di fornire una quantificazione del Fondo Speciale piemontese, evidenzio che, a partire dalla costituzione del “sistema” ex Art. 15 L. 266/91 in Piemonte nell’anno 1996 sino all’attuale esercizio 2011 è stato reso disponibile per lo sviluppo della programmazione dei CSV un importo di poco superiore a 126 milioni di euro; nell’attuale esercizio 2011 è stato potenzialmente reso disponibile un importo di più di 8 milioni di euro. I CSV piemontesi pubblicizzano i servizi erogabili e richiedibili dalle OdV in appositi documenti (Carta e/o Regolamento dei servizi), ove riportano sia il “catalogo” dei servizi offerti sia le modalità e le limitazioni connesse ad ogni servizio potenzialmente richiedibile. La gamma dei servizi che i CSV piemontesi possono offrire è molto vasta, e non si ha qui la pretesa di effettuare una disamina esaustiva sull’argomento; nello stesso tempo, può essere utile presentare una panoramica generale di tali tipologie di interventi, sviluppati sulla base delle 4 macro-aree esplicitate dalla normativa (promozione, consulenza/ assistenza, formazione, informazione/ documentazione). Un’ampia quota delle risorse assegnate annualmente ai CSV viene utilizzata dagli stessi per offrire servizi e supporti connessi alla realizzazione di iniziative di promozione del Volontariato e della cultura della solidarietà su temi di interesse per le OdV. Un’altra importante funzione dei CSV a supporto delle OdV è l’attività di consulenza, che comprende “l’erogazione” di prestazioni professionali offerte a sostegno e qualificazione del Volontariato nello sviluppo delle sue attività ordinarie e progettuali; si tratta di attività di consulenza sia su temi più “ordinari” nell’ambito dell’attività delle OdV sia su temi più specialistici, relativi a tematiche complesse o di non frequente trattazione. Importanti risorse vengono altresì destinate ad iniziative di assistenza, che comprendono tutti quei servizi attinenti alla “logistica” ed ai servizi “di base” (copisteria, mesa a disposizione di locali, automezzi e attrezzature). Con riferimento ai dati relativi


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ai consuntivi di esercizio 2010 dei CSV piemontesi, ben due terzi delle risorse utilizzate dagli stessi CSV per l’erogazione di servizi sono relative ad interventi nell’ambito della promozione e della consulenza/assistenza. Circa un quarto di tali risorse viene invece impiegato per offrire servizi nell’area di informazione/ documentazione; in quest’ambito, i CSV si occupano ad esempio di offrire informazioni e notizie su tematiche di interesse per le OdV ed altresì di informare la cittadinanza sugli eventi promossi dal Volontariato o nei quali il Volontariato è coinvolto. La restante parte delle risorse viene utilizzata per soddisfare le esigenze formative delle OdV, attraverso l’organizzazione di corsi, convegni e seminari formativi. Un’ulteriore importante modalità di supporto all’attività delle OdV è data dal supporto alla c.d. progettazione sociale, ovvero dal sostegno ai progetti di intervento delle OdV stesse. In Piemonte, i CSV hanno da tempo sviluppato, accanto all’attività ordinaria di erogazione di servizi, modalità di sostegno alla progettazione sociale delle OdV, con l’obiettivo di rispondere in maniera diversificata e sempre più efficace alle esigenze emergenti dalle OdV stesse. In tale tipologia di sostegno sono anche ricomprese iniziative di finanziamento diretto a progetti delle OdV di norma più complessi e strutturati, possibilità resa possibile dal Comitato di Gestione sin dall’anno 2003. Complessivamente, per quanto concerne l’attività di sostegno diretto alla progettazione sociale delle OdV nel periodo 2003 – 2009, sono stati ammessi a finanziamento 217 progetti per ammontare di circa 3,2 milioni di euro. Nel 2010, il “sistema” piemontese ha provveduto a recepire le indicazioni di cui all’Accordo nazionale tra ACRI, Consulta Nazionale dei Comitati di Gestione, Convol, Forum terzo Settore, Consulta del Volontariato e CSVnet che, tra l’altro, prevede che parte delle risorse assegnate ad ogni regione a partire dall’esercizio 2011 sia vincolato al sostegno della progettazione sociale. In Piemonte, a seguito dei lavori della Commissione Regionale di Coordinamento della progettazione sociale (tavolo di concertazione previsto dalle Linee Guida applicative dell’Accordo predetto che si occupa di definire gli aspetti concernenti tale ambito di intervento dei CSV), sono state individuate tre tipologie di Bando per il sostegno alla progettazione sociale; l’importo disponibile per lo sviluppo di tali forme di sostegno ammonta a circa 2,5 milioni di euro. Ad oggi, tutti i CSV hanno provveduto a pubblicare il Bando a Scadenza Unica (obbligatorio per tutti i CSV), ed anzi per tale Bando risultano per la quasi totalità dei CSV scaduti i termini di presentazione dei progetti; sono altresì stati pubblicati o sono in fase di emissione i Bandi di 5 CSV relativamente alle altre tipologie di Bando individuate. L’obiettivo in ogni caso è procedere all’ammissione a finanziamento ed alla conseguente pubblicazione di tutti i Bandi entro il corrente anno.


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Tale forma di sostegno ai progetti delle OdV può ritenersi complementare a quanto i CSV già ordinariamente svolgono e rappresenta un’ulteriore importante possibilità offerta al Volontariato per sviluppare la propria azione. Da quanto sopra sommariamente illustrato, l’attività dei CSV assume pertanto un importante rilievo nel sostegno all’azione del Volontariato, sia in termini di qualità e differenziazione dei servizi e dei sostegni attivati sia in termini di risorse impiegate. Peraltro, è da tenere presente che la panoramica sopra esposta illustra unicamente l’esperienza piemontese, ed è quindi solo parziale rispetto alla intera situazione italiana. In conclusione, emerge come l’attività dei CSV contribuisca e sia funzionale ad offrire strumenti per la crescita del Volontariato, nell’ottica di una maggiore qualificazione, efficienza ed efficacia della sua azione; in tal modo il Volontariato può maturare e divenire sempre più consapevole del suo ruolo nell’ambito dell’attuazione delle politiche sociali sul territorio. Nella misura in cui tale processo di qualificazione si verifica, le risorse (come quelle dei Fondi Speciali) impiegate a sostegno del Volontariato non possono essere viste come meramente “assistenziali” nei confronti di tale movimento, ma rappresentano un vero e proprio “investimento” che viene rivolto al Volontariato proprio riconoscendone l’alto valore sociale. Rappresentare in termini economici il “ritorno” alla società del lavoro volontario può pertanto costituire una delle chiavi di lettura per verificare se tale “investimento” sia stato o meno fruttuoso. Ritengo che i dati presentati contribuiscano a dare una risposta affermativa in tal senso. In presenza di un Volontariato che, nell’assumere appieno il ruolo di attore ed interlocutore nell’ambito dell’azione sociale, sia in grado di non perdere di vista la sua visione ideale, che lo contraddistingue ed in qualche modo lo valorizza rispetto ad altri attori, non vi è contraddizione nel riconoscere un valore economico alla gratuità dell’azione volontaria. Del resto in conclusione, basterebbe chiedersi: e “se i volontari per un giorno non facessero i volontari cosa succerebbe?” quindi teniamoceli stretti, valorizziamoli, riconosciamone il valore economico ma soprattutto rispettiamone la libertà.


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SESSIONE IL VOLONTARAITO ALL’INTERNO DELLA NORMATIVA EUROPEA Voluntary work in the framework of European regulation Moderatore: Marco Demarie

Responsabile Ufficio Studi Compagnia di San Paolo

Relatori: Susana Szabo

France Benevolat Vice Presidente CEV Europe Centro europeo del volontariato

Pier Virgilio Dastoli

Presidente del Consiglio italiano Movimento Europeo


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II Marco Demarie (Responsabile ufficio studi Compagnia di San Paolo)

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uongiorno a tutti, grazie al CSV di Cuneo e al suo Presidente per l’invito a questa responsabilità di moderare una sessione centrale nel quadro di questo convegno, considerando il suo titolo e le sue ambizioni. Cioè di collocare la nostra riflessione sullo stato attuale del volontariato e dei volontari – penso sempre che siano due cose diverse - nel nostro paese, specialmente con riferimento alla nostra regione, sul più ampio scenario europeo. Non a caso questo convegno nasce verso la conclusione di un anno che le Istituzioni europee, Parlamento e Commissione, hanno deciso di dedicare al volontariato. Di per sé già questa non è una cosa del tutto ovvia, giacché, come è noto, il tema delle politiche sociali non compare tra le competenze strettamente europee; di conseguenza, molti dei fatti, dati, politiche che riguardano il sociale sono stati, per scelta di sussidiarietà verticale, lasciati agli stati nazionali e alla loro organizzazione interna. E’ peraltro sempre più vero che sia il Parlamento sia la Commissione hanno preso interesse a dimensioni di politiche che potremmo definire trasversali: non soltanto perché interesano tutti i paesi dell’Unione europea, fuori o dentro la Zona euro, ma anche perché sono trasversali rispetto ai diversi settori della vita sociale ed economica dell’Unione. Il volontariato è un fenomeno sociale tanto esteso quanto profondo. Sapete meglio di me che il volontariato, che pure ha spesso una connotazione propriamente socioassistenziale, non si esaurisce certo in essa ma tocca aree e settori di intervento ben più ampie. Interessa la nostra idea di come si vive in collettività, di quali tipi di responsa-


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bilità dobbiamo individualmente o in comunità farci carico, di come si esplica il contenuto propriamente umano della cittadinanza. Credo dunque che una delle ragioni per cui si è pensato - ma cercheremo di averne conferma dai nostri relatori - a un anno europeo del volontariato si lega al fatto che la propensione a donare il proprio tempo, la propria competenza, la propria sensibilità per finalità collettive è un ingrediente non secondario di quella costruzione di una cittadinanza, la chiamerei di una “cittadinità” europea, che è uno degli obiettivi del grande progetto europeo (per quanto oggi così drasticamente in crisi). Esiste una dimensione propriamente e nobilmente politica del volontariato. Se noi guardiamo al di là di questa speriamo soltanto congiunturale crisi politicoeconomica dell’Europa, vediamo che c’è qualcosa di più profondo e duraturo, cioè la costruzione di una società europea. Essa è un “già e non ancora”, in parte esiste e in parte no, ma certamente uno dei suoi tasselli di base è l’immagine della figura di cittadino europeo (uomo e donna): una figura sfaccettata, plurale, come plurale è la storia e l’insieme delle tradizioni dell’Europa, ma che trova sintesi intorno a un certo nucleo di valori. Tra questi certamente il valore della solidarietà. Societariamente, essa si esprime non soltanto attraverso quel dovere in alcuni paesi onorato meglio che nel nostro, cioè la fedeltà fiscale, ma anche attraverso il dono quale scelta di libertà. La dimensione del dono è molto varia. Essa può toccare i più vicini o magari, come accade per associazioni che si occupino di territori molto lontani dal nostro, anche chi sta ben lontano da noi (per quanto ridimensionata possa essere la distanza in un mondo globalizzato). Perché la nostra responsabilità di cittadini europei non si limita ai confini né del nostro piccolo paese né di quelli della nostra nazione né dell’Europa nella sua integralità, ma va anche oltre. L’Anno del volontariato si propone dunque di promuovere, diffondere e facilitare la condivisione di una sensibilità culturale ma anche di pratiche positive, in termini di efficacia e di efficienza, che dalla sensibilità dell’”agire per gratuità” possano scaturire. Non escludo naturalmente che il grande problema della trasformazione del welfare c’entri qualcosa, e che nell’enfasi sul volontariato ci possa essere anche qualche elemento, diciamo così, di opportunismo congiunturale. Non è però questo un aspetto da considerare del tutto negativo; è serio, è giusto, è responsabile che una società come quella europea si ponga la seguente domanda: se lo stato, come lo conosciamo, non riesce più a rispondere ai bisogni della società, come la conosciamo, come possiamo/ dobbiamo agire? Abbiamo di fronte un certo numero di risposte: smettere di rispondere ad una parte dei bisogni; fingere che quei bisogni non esistano o sottoporli a critica per vedere se esistono realmente; oppure affrontarli con un sistema complesso di azioni che vadano al di la delle politiche pubbliche esclusive. Quest’ultima opzione richiede di mobilitare anche le risorse “volontarie” delle perso-


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ne, delle famiglie, delle comunità; né è poi una cosa poi tanto strana, perché fino alla nascita del Welfare State novecentesco post-bellico le società si sono sempre comportate in questo modo. Anche questa dimensione, modernizzata, può essere una componente importante della nuova architettura di sicurtà e socialità equa e sostenibile di cui siamo alla ricerca. E’ quindi una riflessione seria, razionale, non emotiva ma strutturale; al tempo stesso non vuole né può essere priva di riferimenti a valori, quindi deve comporre un versante freddo - la razionalità funzionale - ma anche un versante caldo - i valori, le motivazioni, gli ideali. Penso che l’Anno europeo del volontariato parli di tutto questo. E a questo punto è bene vedere che cosa sta succedendo, perché l’anno non è concluso, ma abbiamo primi riscontri, come ci diranno ora i nostri ospiti a cui darei immediatamente la parola. Inizierei con Madame Susane Szabo che è di origine ungherese, ha vissuto a lungo in Gran Bretagna, vive e lavora ora in Francia e possiede dunque un vero “sguardo europeo”. Ci parlerà del fenomeno del volontariato in Europa e poi affronterà alcuni spunti relativi all’iniziativa dell’Anno Europeo. Prenderà poi la parola Pier Virgilio Dastoli, Presidente del Consiglio italiano Movimento europeo. Scusiamo l’assenza di Maria Paola Tripoli non presente per sopraggiunti impegni personali.


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II Susana Szabo France Benevolat Vice Presidente CEV Europe

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orrei essere veloce e presentarvi alcuni dati circa il volontariato in Europa, poi identificare alcune delle sfide che affronta il volontariato europeo e infine spendere due parole circa le aspettative riguardo ai risultati tangibili dell’Anno europeo del volontariato. 1_ DEFINIZIONE DI VOLONTARIATO Una prima sorpresa: non c’è una definizione europea di volontariato. Il volontariato in Europa ha diverse radici culturali e si è sviluppato in contesti sociali differenti, per questo la mancanza di una definizione singola non è una sorpresa. La stessa situazione si presenta a livello nazionale: il volontariato inglese, in una carta riguardante la sua definizione riporta almeno 5 differenti definizioni in base al contesto. Lo stesso avviene in Francia, dove la nozione è percepita sotto diversi punti di vista, senza fissare una singola definizione accettata da tutti. È diverso nei paesi che hanno una legge che definisce il volontariato ma un buon numero di paesi ha una serie di disposizioni legali che inquadrano il movimento del volontariato. Consenso circa le principali caratteristiche dell’attività di volontariato. Se non c’è una definizione comune del volontariato europeo c’è un’ampia condivisione circa i suoi valori. Tutti condividono sul fatto che il volontariato sia un’attività non pagata, intrapresa liberamente, per beneficio di altri che può compiersi all’interno di un’organizzazione o direttamente tra individui singoli, al di fuori del circolo famigliare. Tuttavia, se c’è un accordo sui suoi valori base, bisogna comunque dire che questi


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coprono una varietà di diverse situazioni e hanno differenti significati in base alle diverse tradizioni culturali. Per esempio: la nozione di gratuità. In alcuni paesi al volontario viene coperto il rimborso delle spese, in altri casi ci sono alcuni vantaggi (associazione della Germania del sud offre un passaporto onorario ai volontari che dà accesso a sconti per spettacoli, esibizioni, concerti, viaggi gratuiti ecc.). Altri offrono una tariffa simbolica, pasti ecc. La nozione di “svolgere liberamente senza retribuzioni” non è applicata allo stesso modo in tutta Europa. In Francia si sta ancora discutendo se gli studenti, il cui piano di studi prevede attività di volontariato, siano realmente volontari. Nei paesi anglosassoni, dove il volontariato ha una forte tradizione ed è praticato fin dall’infanzia, il volontariato viene svolto nelle scuole e nelle università come parte integrante del processo educativo, questa questione non si è presentata. Un altro esempio: l’aiuto dato ai membri della propria famiglia non è generalmente considerato volontariato. Ma la nozione di famiglia è molto diversificata: nei paesi nordici concerne il nucleo famigliare, padre madre, figli, in altre aree culturali famiglia, ha un concetto più esteso, raggiungendo quasi le dimensioni di una tribù. Aggiungiamo il fatto che i valori base del volontariato possono essere interpretati in maniere diversa. Conformemente alle diverse culture non si può parlare di un problema semantico. In Europa c’è un solo termine usato per descrivere l’impegno volontario: volontariato. Il concetto definisce il volontariato come una posizione come ad esempio i volontari dal Servizio Volontario europeo o i Volontari del corpo di pace o il servizio civile volontario ecc. Anche se queste tipologie di attività derivano spesso dalle stesse motivazioni altruistiche, queste attività si differenziano da quello che è il volontario ordinario. Sono attività a tempo pieno o parziale che prevedono un indennizzo. Francia e Lussembusgo sono gli unici paesi che danno una differenziazione semantica per queste due forme di impegno, chiamando “volontariat”solo l’impegno che definisce una posizione e “Bénévolat” la più comune tipologia di impegno volontario. In Francia ci sono 200.000 volontairs e 14 milioni di Bénévoles. Se ha un senso differenziare le due tipologie di attività, dall’altra è difficile distinguere nettamente le due forme di impegno. Sembra che i nostri amici tedeschi abbiano trovato la formula: parlano generalmente di impegno della cittadinanza, la nozione moderna ricopre le differenti forme di questo impegno. 1_2- QUANTI VOLONTARI CI SONO IN EUROPA? Ci sono circa 100 milioni di volontari in Europa, in altre parole tre europei su 10 sono impegnati in azioni volontarie. Troviamo il più alto numero di volontari in Austria, Svezia, Regno Unito, Olanda, Danimarca, Finlandia e Lussemburgo. Le più basse percentuali si possono trovare in Bulgaria, Lituania, Portogallo, Romania e Spagna. Anche l’Italia, in base allo studio


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europeo sulla cittadinanza, non ha una così alta percentuale (2,2% della popolazione circa un milione di volontari). In genere parlare di volontariato è più forte nei paesi con una cultura anglosassone e con una religione protestante in quanto il protestantantesimo da sempre esalta l’importanza di questo impegno e il successo di questo mondo che si ottiene dal duro lavoro e dall’impegno. Contrariamente la tradizione cattolica pone l’accento sull’importanza di comportarsi bene in questa vita per ottenere il paradiso ed è abbastanza sospettosa nei confronti delle ricchezze di questo mondo. Si potrebbe illustrare questa differenza con la diversa concezione che le due religioni hanno della povertà: il protestantesimo vuole sradicarla mentre il cattolicesimo alleviarla in quanto la considera un buon passaporto per il paradiso. Un altro importante fatto culturale che influenza la forza del volontariato è il ruolo dato dalle società allo stato. In Francia ad esempio la società civile non prevede di intervenire in una serie di ambiti considerati di competenza dello stato. Per spiegare questo concetto vi racconto un piccolo aneddoto dei miei primi anni in Francia: arrivavo dall’Inghilterra e mia figlia che aveva 5 anni andava alla scuola elementare dove il cortile era in pessime condizioni. Suggerii ai genitori che potevamo andarci un fine settimana pulirlo, dare il bianco, mi sembrava una cosa divertente e utile per i bambini! Gli altri genitori furono inorriditi da questo suggerimento: pulire il cortile, che è competenza dello stato, al quale vengono pagate le tasse; intervenire in questo modo avrebbe creato un dannoso precedente. Questo piccolo aneddoto illustra anche il dilemma del volontario in tempi di crisi economica. Ritornando ai numeri: i confronti tra il numero dei volontari in ogni paese deve essere curato con precauzione. Per esempio il gran numero di volontari in Svezia, 53% del totale della popolazione, diventa meno considerevole se si tiene conto del fatto che sono considerati volontari gli iscritti ai partiti politici e ai sindacati che in altri paesi non sono considerati tali. Il basso numero che si registra invece in alcuni paesi è legato alla diversa nozione di famiglia: nei paesi del nord il concetto ricopre il nucleo famigliare e l’aiuto ai genitori anziani è considerato volontariato. Per contro nei paesi del sud dell’Europa, in particolare nelle aree rurali, l’aiuto reciproco nel villaggio e nella famiglia è considerato parte della normale vita sociale quindi queste attività, che sono altresì praticate, non sono identificate come volontariato.


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1_3- LA TENDENZA GENERALE IN EUROPA È UN AUMENTO DEL NUMERO DI VOLONTARI Questa tendenza è spiegata dal fatto che: • il numero di volontari impegnato nelle organizzazioni è in crescita ovunque (anche se la crisi economica l’ha rallentato un po’, almeno in Francia) • la consapevolezza sociale è anche in crescita • Nuove cause, per esempio l’ambiente, generano nuovi volontari • Con l’aumento delle aspettative di vita ci sono più persone in pensione in buona salute che si inseriscono nel mondo del volontariato • questo incremento è maggiormente rimarcabile nell’Europa centrale e dell’est dove adesso le persone possono fare volontariato libero, mentre sotto i regimi comunisti le iniziative individuali non erano possibili e il volontariato era spesso un’attività obbligatoria diretta dallo stato. 1_4- QUAL È IL PROFILO DEI VOLONTARI IN EUROPA? Il volontario medio è: un uomo, con una buona educazione che vive in campagna o in città medio-grandi. Il fatto che il volontario medio sia un uomo può essere spiegato dalla grande importanza che riveste il volontariato nello sport, che normalmente è un impegno maschile. Stiamo parlando della media europea, i casi poi si differenziano in base ai paesi membri. Per esempio in Francia il volontario medio è una donna, grazie all’elevato numero di donne impegnate nel campo sociale e dell’educazione; purtroppo bisogna dire che le donne rappresentano la forza maggiore nel volontariato ma sono una minoranza nei consigli direttivi delle organizzazioni. Un’altra importante caratteristica del profilo del volontario europeo è lo stretto collegamento tra il livello di educazione e la volontà a fare volontariato. Eurobarometro nel 2007 diceva che il 43% delle persone che hanno continuato i loro studi fino e dopo i 20 anni sono impegnati nel volontariato. Quelli che lasciano la scuola a 15 anni sono molto meno coinvolti. Solo il 28% di loro sono volontari. C’è poi anche una stretta correlazione tra il lavoro e il volontariato. Il 49% delle persone impegnate in attività professionali fanno volontariato raffrontato al 20% delle persone disoccupate. 1_5- VOLONTARIATO IN BASE ALL’ETÀ La maggiore risorsa del volontariato è il gruppo di età tra i 30 e 50 anni, in altre parole coloro che sono attivi sul mercato del lavoro. Per quanto riguarda i giovani le caratteristiche sono contrastanti: l’Eurobarometro del 2007 definisce che solo il 16% dei giovani sono volontari, inoltre solo il 2% dei giovani intervistati lo fanno nel loro tempo libero. Questa brutta immagine generale è fortunatamente compensata dai risultati nazionali: in Spagna il 66% dei volontari sono giovani sotto i 35 anni. Una statistica del-


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la IFOP richiesta da France Bénévolat, definisce che il 27% dei volontari si inserisce in questo gruppo di età. I volontari anziani sono in crescita ovunque, anche se c’è una piccola riserva: un’inchiesta europea del 2008 sottolineava che il 78% dei futuri pensionati dichiaravano che avrebbero fatto volontariato una volta andati in pensione ma, quando davvero arrivavano alla pensione, solo il 44% di loro si impegnava nel volontariato. 1_6- AREE DI ATTIVITÀ CHE ATTIRANO LA MAGGIOR PARTE DEI VOLONTARI Il vincitore è sicuramente il settore sportivo, che attira, per esempio il 31% dei volontari in Danimarca e il 25% in Francia. Altre aree di impegno in ordine di importanza sono: • settore socio assistenziale • organizzazioni religiose • cultura • attività ricreative e per il tempo libero • educazione e ricerca Queste figure sono da elencare con precauzione perché i settori non sono definiti allo stesso modo in tutta Europa (ad esempio alcune attività di svago possono essere considerate culturali oppure attività sportive) 1_7- STRUTTURA LEGALE DEL VOLONTARIATO Ci sono tre diverse situazioni: 1. I paesi che hanno una legge specifica sul volontariato (Belgio, Spagna, Portogallo, Finlandia, Ungheria) 2. Paesi che non hanno una legge specifica, ma un certo numero di disposizioni legali che regolano il volontariato. Questo è il caso di Francia, Regno unito, Austria, Olanda 3. Alcuni paesi come Slovenia e Bulgaria che stanno definendo leggi specifiche 1_8- FINANZIARE IL VOLONTARAITO I fondi pubblici sono la prima fonte per finanziare il volontariato. Queste risorse stanno diventando rare in tutta Europa e hanno la tendenza a spostarsi dal livello nazionale a quello regionale. Allo stesso tempo sempre più diventa importante partecipare a bandi per finanziare i propri progetti. Questi bandi sono sempre più rivolti ad un preciso e specifico settore, quindi partecipare ad essi richiede sempre molta esperienza e preparazione. La creatività delle associazioni diventa sempre più strategica. Le organizzazioni devono cercare di differenziare i loro modelli economici, rivolgendosi alle aziende, alle fondazioni e passando anche attraverso il Fund Raising rivolto alla popolazione. I paesi anglosassoni, dove questa tipologia di pratica ha una tradizione molto forte, sono in una posizione migliore rispetto alle organizzazioni francesi nelle quali non esiste questo tipo di cultura e tutto deve essere costruito da principio.


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2_ LE SFIDE DEL VOLONTARIATO 2_1- MIGLIORARE LA VISIBILITÀ DEL VOLONTARIATO Per raggiungere questo scopo sono necessarie più numerose e migliori ricerche sul volontariato, e la capacità di produrre statistiche più affidabili e regolari a livello nazionale ed europeo. Questo non si può raggiungere senza indicatori omogenei che permettano confronti internazionali. 2_2- ANDARE VERSO L’ARMONIZZAZIONE DEL SETTORE DEL VOLONTARIATO La diversità del volontariato in Europa è una delle maggiori ricchezze ma è anche una barriera alla visibilità e non permette di creare politiche pubbliche di supporto al volontariato. Un passo verso la giusta direzione può meglio identificare il contorno del volontariato europeo, distinguendo il volontariato con uno status (settore civico, schemi di volontariato) dalle semplici forme di volontariato. 2_3- SVILUPPARE E DIVERSIFICARE IL VOLONTARIATO Se tre europei su 10 sono volontari, sette su dieci non lo sono. C’è dunque un grande potenziale su cui si può andare a lavorare. Abbiamo visto la stretta relazione tra il livello di educazione, attività professionale e il volontariato. Possiamo provare a diversificare ancora più intensamente il gruppo usuale dei volontari e vedere che tra le persone meno colte, quelle con maggiori situazioni di difficoltà professionali e comportamentali fanno parte di questo scambio. Molto spesso gli svantaggiati percepiscono di non poter offrire nulla alla comunità. Questo non è vero, il loro contributo sarebbe un grande valore aggiunto. Al fine di disegnare un numero maggiore e più diversificato di volontari può essere saggio valorizzare l’immagine del volontariato rendendolo più accattivante liberandosi di quella dimensione caritatevole che ancora persiste. Il volontariato è un ottimo strumento per combattere l’individualismo che caratterizza la nostra società, prendendo parte alla vita della comunità, essendo solidali con gli altri oltre ad essere un ottimo modo per esercitare la cittadinanza attiva. 2_4- DIFENDERE I VALORI INTRINSECI DEL VOLONTARIATO La crisi economica e finanziaria nella quale ci troviamo rappresenta uno dei maggiori cambiamenti per il volontariato che si ritrova sempre a rischiare di essere usato e strumentalizzato per scopi che non corrispondono alla sua anima iniziale. La tentazione di sopprimere il lavoro pagato e di rimpiazzarlo con il lavoro del volontariato è sempre più reale in molti paesi europei. È importante essere molto decisi su questo punto e insistere sulla complementarietà tra il lavoro pagato e il volontariato. Nei paesi in cui il volontariato è molto forte è importante che si venga a trovare un’intesa tra le associazioni di volontariato e i sindacati in questo senso (Volontariato inglese e BBE).


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Il Centro Europeo del Volontariato ha prodotto un documento che ha come soggetto la mia organizzazione, France Bénévolat sta anche lavorando a una carta per aiutare i centri di volontariato a risolvere i dilemmi dell’attuale crisi economica. 2_5- FORMAZIONE E GESTIONE DEI VOLONTARI La crisi economica tocca anche i volontari impegnati nelle associazioni meglio organizzate per competenze e per qualifica dei volontari in grado di raggiungere scopi sofisticati. Inoltre la formazione dei volontari sta fortemente cambiando. Allo stesso modo, assicurare che tutti i volontari trovino la missione adeguata a se stessi è un bisogno che attraversa le migliori tecniche manageriali, anche se ogni tanto l’uso di questi termini applicati al volontariato può lasciare sconvolti. Simultaneamente è importante l’opportunità di fare volontariato, anche per chi non ha particolari abilità, se si vuole salvaguardare il volontariato come mezzo per l’integrazione e la coesione sociale. 3_ PER CONCLUDERE: CHE COSA CI ASPETTIAMO DALL’ANNO EUROPEO DEL VOLONTARIATO? • Migliori e maggiori politiche pubbliche a sostegno del volontariato a livello nazionale ed europeo; anche se l’azione del volontariato è di competenza degli stati membri l’Unione Europea deve dare slancio alle politiche a favore del volontariato. Effettivamente alla fine di settembre la Commissione europea ha pubblicato una “Comunicazione” (un documento politico indirizzato alle Istituzioni Europee) nel quale vengono fatte un certo numero di proposte interessanti. • Il disegno di una carta del volontariato europeo che esprima una visione condivisa dei valori principali del volontariato per evitare la sua strumentalizzazione. Il Forum europeo dei giovani sta lavorando a un concetto simile, uno statuto dei diritti e dei doveri del volontario, che si spera venga adottato entro la fine dell’anno. Costituire un sistema strutturale permanente per scambiarsi le buone pratiche tra i paesi europei. • Mettere il volontariato nei programmi europei 2014 – 2020 • Investire nella ricerca e migliorare le statistiche riguardo al volontariato • Riconoscere le capacità, le abilità e le competenze acquisite con il volontariato • Favorire misure fiscali favorevoli per le associazioni di volontariato • Favorire la libera circolazione dei volontari che arrivano da fuori Europa.


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iovani e volontariato Il tema della partecipazione giovanile legata in particolare alle varie forme di volontariato e di impegno nella cittadinanza attiva ma anche all’inserimento nel mercato del lavoro interessa e preoccupa da tempo le istituzioni europee ed in special modo la Commissione europea, il Parlamento europeo ed il Consiglio d’Europa che dedicano, da anni, attenzione e proposte ora tramutate in politiche. Esse costituiscono ormai un importante patrimonio europeo ed un valore aggiunto rispetto a quel che si realizza negli Stati membri come è dimostrato dai programmi dell’Unione europea per i giovani (“Gioventù in azione”) che coprono il periodo 2007-2013 o la Convenzione sulla promozione del Servizio volontario di lungo periodo per i giovani approvata dal Consiglio d’Europa nel 2000. Sarebbe utile ricordare che esiste una chiara distinzione fra organizzazioni di volontariato e ONG, le cui attività non sono organizzate sulle stesse basi del volontariato e la cui democrazia interna – specialmente per quanto riguarda le reti umbrella europee o quasi-agenzie ammistrative come il Forum della Gioventù – dovrebbe essere più attentamente studiata dalle istituzioni europee. Il tema della partecipazione giovanile ed in particolare del volontariato è importante nel momento in cui si dovranno affrontare in comune le sfide della democrazia partecipativa e del conseguente ruolo della società civile, della solidarietà in un mondo ed in un continente travagliato dagli effetti devastanti di irrazionali paure legate alle proprie identità ed al sentimento di insicurezza, della crisi economica e della crescita

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apparentemente inarrestabile del precariato soprattutto giovanile che si aggiunge alla disoccupazione strutturale. Tutti gli studi confermano la percezione di una tendenza in atto da molto tempo che non riguarda solo il mondo giovanile e che si traduce in calo crescente di partecipazione (e di iscrizione) dei cittadini alle attività delle forze politiche ed anche delle organizzazioni sindacali e con un aumento crescente della partecipazione nelle attività delle ONG ma più in generale del mondo associativo. A questo proposito, l’ “Institute for Volunteering research” ci ricorda non solo la percentuale di giovani che hanno avuto esperienze di volontariato in Europa (16%) ma che essi sono tendenzialmente non interessati o coinvolti all’interno dei partiti politici. E’ passato il tempo delle scuole di formazione di partito, poiché è passato ormai il tempo delle ideologie e dei valori politici espressi dalle ideologie e poiché i partiti di ispirazione socialista, cristiana e liberale hanno rinunciato ad immaginare un futuro che non può non essere europeo lasciando cadere la loro ispirazione rispettivamente internazionalista, universalista e cosmopolita. La formazione politica è ora affidata a movimenti associativi e fondazioni che – non è un caso – sono fortemente impegnati sul terreno della ricerca e dell’azione internazionale come avviene ogni anno nelle scuole federaliste di Ventotene, Carpinelli e Bardonecchia o nelle scuole estive organizzate dalla Fondazione intitolata ad Alex Langer Del resto, i sondaggi semestrali dell’Eurobarometro ci dicono che i cittadini nutrono più fiducia nei movimenti associativi di quanta ne nutrano – in ordine rigorosamente decrescente – per le istituzioni europee e per governi, parlamenti e partiti nazionali. In special modo, secondo le stime della Commissione sulla promozione del ruolo delle associazioni e delle fondazioni del volontariato in Europa, vi sono più di 100 milioni di cittadini impegnati in questo settore nell’Unione europea a 27. Nell’affrontare un’analisi sulla dimensione del volontariato in Europa e pur tenendo conto delle differenze che esistono all’interno dei paesi membri dell’Unione europea, sarebbe importante concordare – anche nel quadro di politiche comuni e della “Carta Europea del volontariato” – una definizione comune con parametri condivisi che comprendano il carattere non retribuito delle attività svolte, il coinvolgimento per propria libera iniziativa, l’impegno a vantaggio di un terzo esterno al proprio ambiente familiare o di amicizie e la non-discriminazione. Preme a me sottolineare l’esigenza di incoraggiare gli Stati membri, le autorità locali e regionali nonché le istituzioni europee a riconoscere il valore del volontariato per la promozione della solidarietà in una società sempre più caratterizzata dall’individualismo, dall’intolleranza verso “l’altro” e dall’esclusione.


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L’anno europeo del volontariato Le iniziative realizzate dalle istituzioni europee (Commissione, Parlamento europeo, Presidenza del Consiglio Ungherese e Polacca, Autorità nazionali e locali) durante quest’anno dedicato al volontariato si iscrivono nel quadro di tre innovazioni essenziali nello sviluppo dell’integrazione europea: • l’entrata in vigore due anni fa del Trattato di Lisbona • il carattere giuridicamente vincolante della Carta dei diritti fondamentali • la strategia Europa 2020. Per quanto riguarda il Trattato di Lisbona, esso aggiunge nuovi obiettivi (art. 3 TUE) che non erano previsti nei trattati precedenti come l’economia sociale di mercato, la piena occupazione, la coesione territoriale, la protezione dei diritti dell’infanzia e la diversità culturale e linguistica, che accompagnano e rafforzano quelli che fanno parte integrante del “modello sociale europeo” (anche se i governi non hanno voluto fare esplicita menzione nel trattato di questo modello) e cioè la lotta contro l’esclusione sociale e le discriminazioni, la promozione della giustizia e della protezione sociali, l’eguaglianza fra uomo e donna (che figura fra i principi fondanti della società europea all’art. 2 TUE) e la solidarietà fra le generazioni. Riprendendo le innovazioni proposte dalla Costituzione europea, il Trattato di Lisbona getta le basi di quel che Habermas chiama lo “spazio pubblico europeo” nel titolo II dedicato ai principi democratici ed in particolare (art. 11 TUE) al dialogo aperto, trasparente e regolare, alla consultazione delle parti interessate ed alla creazione di un diritto di iniziativa popolare (art. 11.4 TUE). In questo quadro si va rafforzando nell’ambito dell’Unione un modello avanzato di cittadinanza attiva che richiede l’impegno sia delle autorità pubbliche che della società civile. Poiché una delle domande essenziali alle quali era stata chiamata la Convenzione sull’avvenire dell’Europa dalla dichiarazione di Laeken (dicembre 2001) era “Europa, per che fare ?”, la ripartizione delle competenze e dunque dei poteri per agire fra Stati e Unione getta le basi (se le Istituzioni europee avranno la volontà di farlo) per nuovi campi di interventi dell’Unione o nelle competenze concorrenti (art. 4 TFUE) come la già ricordata coesione territoriale, la sicurezza in materia di salute pubblica o nelle competenze necessarie per sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri (art. 6 TFUE) come la protezione e il miglioramento della salute umana, il turismo, lo sport e la protezione civile che si aggiungono a quelle preesistenti nella cultura, nell’educazione e formazione professionale. Queste competenze sono poi meglio articolate nel trattato come il turismo all’articolo 195, lo sport all’articolo 165 e la protezione civile all’articolo 196. Da ultimo, è opportuno ricordare l’istituzione di un Corpo Volontario Europeo prevista all’art. 214 TUE nell’ambito dell’azione esterna dell’Unione ed in partico-


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lare nel titolo III dedicato alla cooperazione con i paesi terzi e l’aiuto umanitario. In applicazione di questo articolo la Commissione europea ha presentato una proposta legislativa al Parlamento Europeo ed al Consiglio. Per quanto riguarda la Carta dei Diritti Fondamentali ed anche tenendo conto della prospettiva dell’adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali del Consiglio d’Europa (art. 6.2 TUE), riguardano l’azione del volontariato gli articoli sulla libertà di riunione e di associazione (art. 12), il diritto all’educazione (art. 14), il diritto d’asilo (art. 18), la protezione in caso di allontanamento, espulsione o estradizione (art. 19), la non discriminazione (art. 21), la diversità culturale, religiosa e linguistica (art. 22), l’uguaglianza fra uomo e donna (art. 23), i diritti dell’infanzia e delle persone anziane (articoli 24 e 25), l’integrazione delle persone handicappate (art. 26), la sicurezza sociale e l’aiuto sociale (art. 34), la protezione della salute (art. 35) e dell’ambiente (art. 37). Con l’entrata in vigore della Carta si è sviluppato e si sviluppa sempre di più un “federalismo giudiziario” che coinvolge non solo la Corte di Lussemburgo ma le Corti ed i Tribunali a livello nazionale in una dimensione di cui i cittadini devono essere sempre più consapevoli. Per quanto riguarda infine la strategia Europa 2020 che sostituisce le inconcludenti strategie di Lisbona 2000-2005 e 2005-2010, essa si basa come è noto non più sull’obiettivo quasi esclusivo e puramente economico della competitività ma su quello nuovo di uno sviluppo “intelligente, sostenibile ed inclusivo” che si sostanzia in sette “iniziative faro”. Fra queste iniziative, è opportuno ricordare – oltre a quelle che hanno un legame diretto con il mercato del lavoro e la lotta alla disoccupazione – la piattaforma europea di lotta alla povertà e le azioni e politiche nel quadro dei già ricordati programmi per garantire la mobilità dei giovani (Gioventù in Movimento). Per quanto riguarda questi programmi il CIME propone che essi vengano rapidamente estesi alla Gioventù dei paesi coinvolti nella Primavera Araba o, come preferiscono dire i giovani arabi, “nella stagione della libertà e della democrazia”. Si è aperta a fine giugno una difficile fase negoziale, che durerà fino al 2013, e che riguarderà sia il rinnovo delle prospettive finanziarie pluriennali per un periodo di tempo che coprirà tutta la legislatura 2014-2020 sia il rinnovo delle basi giuridiche e delle modalità di intervento dell’Unione nelle politiche che daranno sostanza alle vecchie ed alle nuove competenze dell’Unione fra le quali ricordo solo il programma per un Servizio Volontario Europeo che scade anch’esso nel 2013. Anche il mondo del volontariato dovrà essere attivo per consentire all’Unione di avanzare e non di retrocedere in una dimensione intergovernativa di difesa di apparenti interessi nazionali. Se dovessi suggerire dei temi di riflessione che ci conducano verso uno spazio di


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condivisione, responsabilità e codecisione proporrei ai cittadini attivi di impegnarsi in comune per un lavoro di scrittura collettiva di una carta europea comprendente gli elementi essenziali della democrazia partecipativa/paritaria/di prossimità, dei diritti collettivi (ma non solo l’esercizio collettivo di diritti individuali), dei beni comuni e del ruolo dell’Europa nel mondo. Sarebbe interessante verificare se i partiti e in generale il Parlamento europeo saranno pronti ad usare il nuovo potere “costituente” affidato dal Trattato di Lisbona all’Assemblea chiedendo la convocazione di una terza Convenzione alla quale attribuire il mandato di finalizzare il testo di questa nuova Carta. Lo sviluppo della democrazia partecipativa a livello europeo può rafforzare la democrazia partecipativa o meglio può creare le condizioni per dare forma e sostanza ad una democrazia rappresentativa che esiste nelle istituzioni europee ancora allo stato embrionale. Fra le pratiche partecipative vi è la Convenzione di Aarhus in materia ambientale che è entrata in vigore nel 2001 ed è stata fatta propria dall’Unione europea con una decisione del Consiglio nel 2005. Pur prevedendo, oltre all’informazione, anche la partecipazione dei cittadini e l’accesso alla giustizia la Convenzione di Aarhus è ancora largamente disattesa dai governi nazionali e dalle istituzioni europee mettendo in evidenza che l’obbligatorietà di una norma non provoca direttamente la sua attuazione ma che è necessario incentivarne l’applicazione e prevedere sanzioni nei casi in cui essa sia stata violata o disattesa. In questo spirito, sarebbe importante l’inserimento nei prossimi regolamenti delle politiche comuni con implicazioni finanziarie (ricerca, ambiente, cultura, giovani, educazione..) l’obbligo di consultazione previsto nei regolamenti dei fondi strutturali. Anche nel quadro dei negoziati europei sul finanziamento dell’Unione, si dovrebbe dare spazio al bilancio partecipativo inventato a Porto Alegre, in Brasile e sviluppatosi prima in America Latina e poi in un numero crescente di città europee. Allo strumento dei bilanci partecipativi in Europa è stata dedicata una ricerca della Fondazione Hans-Böckler con studi monografici che si possono trovare sul sito www.buergerhaushalt-europa.de. Nel presentare i risultati della ricerca, il professor Yves Sintomer ha parlato significativamente del “ritorno delle Caravelle” poiché per la prima volta le strade dell’innovazione istituzionale sono andate da Ovest a Est e dal Sud al Nord. Per concludere, il tema della cittadinanza attiva europea è da sempre uno dei capisaldi dell’azione del Movimento Europeo e il Consiglio italiano nel nostro Paese rappresenta l’“organizzazione ombrello” attraverso la quale mobilitare gli attori della società civile consapevoli della rilevanza del conseguimento dell’unità europea, intesa secondo il messaggio originario dei padri fondatori ed in particolare del Manifesto di Ventotene per un’Europa libera ed unita (1941). Abbiamo quindi scelto di impegnarci in questo anno dedicato al riconoscimen-


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to del volontario, quale portatore di buone pratiche di cittadinanza attiva, anche ad un progetto concreto di valorizzazione del volontariato italiano quale, ANCHE IO VOLONTARIO IN EUROPA, promosso dal partenariato di gestione per la comunicazione europea composto specificatamente da Parlamento europeo, Commissione europea e Dipartimento per le Politiche europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Siamo quindi anche a Cuneo per promuovere il portale internet del progetto (www.volontarioineuropa.eu) che vuole far conoscere meglio in Europa la realtĂ delle associazioni di volontariato italiane, anche quelle di minori dimensioni, e, in particolare, quelle tra le loro attivitĂ che meglio si inquadrano nella promozione dei valori europei.

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SESSIONE IL RUOLO DELLE FONDAZIONI BANCARIE COME SOGGETTO PARTNER NELLO SVILUPPO DELLA SOLIDARIETÀ E DELLA COMUNITÀ The foundations of banking origin as community and solidarity development partners. Moderatore: Alide Lupo

Componente CdA Fondazione CRTorino

Relatori: Gerry Salole

Chef executive of the European Foundation Centre Intervento tratto da sito European Foundation Centre www.efc.be

Luca Remmert

Comitato di Presidenza ACRI Associazione di Fondazioni e Casse di risparmio

Ezio Falco

Presidente Fondazione CRCuneo


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III Alide Lupo (Componente CdA Fondazione CRTorino)

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uongiorno a tutti. Il mio ruolo è di moderatore quindi mi limiterò a presentare i relatori che sicuramente avranno molte cose da esporre sul tema del “Il ruolo delle fondazioni bancarie come soggetto partner nello sviluppo della solidarietà e della comunità” che occupa la terza sessione del convegno. Ricordo a tutti che per l’appunto per loro vocazione le Fondazioni sono attori importanti sui territori di loro appartenenza per quanto riguarda il sostegno al mondo del volontariato attraverso quelle che sono le loro attività erogative, sia in forma di filantropia, ovvero in forme anche innovative di compartecipazioni in modo differente. Tra i settori rilevanti infatti tutte le fondazioni hanno il settore del volontariato e della filantropia, poi, si può dire in senso più forzoso,attraverso il meccanismo introdotto dalla legge sul volontariato la 266/91 che prevede che una quota dei ricavi netti delle Fondazioni venga destinato al volontariato. Su questi temi sicuramente i relatori potranno spiegarvi meglio come funzionano questi meccanismi, io posso solo dire che questo territorio che è quello cuneese e la regione Piemonte in generale, ha la fortuna di avere la presenza di numerose fondazioni bancarie che da sempre hanno avuto tra di loro forti e stretti legami di collaborazione e di condivisione di progetti. A livello piemontese, inoltre, c’è un’associazione che riunisce tutte le associazioni piemontesi che vede partecipi sia da un punto di vista operativo, di progettualità, sia da un punto di coordinamento delle rispettive azioni, mondo del volontariato, Centri di Servizio ed Enti territoriali. Le Fondazioni a tutto titolo possono essere considerate protagoniste del mondo del volontariato perché sono sempre state a fianco del volontariato e perché promotri-


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ci esse stesse di molteplici progetti che vedono un coinvolgimento sinergico delle une e delle altre; sinergico anche proprio nella progettualità non soltanto nell’erogazione e nella messa a disposizione di quelle risorse che aimè oggi vediamo andare sempre più verso un futuro che ci sembra incerto e più orientato verso la scarsità e quindi anche alla necessità di riuscire a farle rendere meglio e a farle fruttare di più. Voglio fare una piccola precisazione, come membro del Comitato di Gestione del fondo Speciale per il Volontariato qui in Piemonte, in merito alla questione dei fondi che vanno, tramite i Centri di servizio, solo a fornire servizi alle Associazioni. Voglio solo ricordare come la normativa vigente preveda, in quanto la norma non è ancora stata cambiata nonostante i molteplici tentativi di proposte di legge per modificarla, che le risorse che i Centri di Servizio devono distribuire sui territori alle associazioni di volontariato siano per il sostegno e la qualificazione del volontariato e che non debbano essere sostitutive dei progetti del volontariato (quindi risorse per la formazione, per la documentazione). Nella Regione Piemonte, fortunatamente dico io, tra l’altro proprio nel periodo in cui ero vicepresidente del Comitato di gestione, è stata fatta una riflessione, in tempi in cui tra l’altro le risorse erano più consistenti di quelle attuali, che ha portato ad un accordo che ha quasi anticipato quello poi è stato fatto in sede nazionale e quindi anche noi abbiamo fatto un po’ da sensori, da profeti e nell’ambito di questo accordo anche con i Centri di servizio è stato stabilito che una certa quota di queste risorse, attraverso il meccanismo dei Centri di Servizio, venisse destinata al sostegno della progettazione sociale sui territori con bandi, con i meccanismi che garantiscano trasparenza ed efficacia con un monitoraggio come giusto che sia. Addirittura spingendo questa capacità di sostegno all’acquisto di attrezzature in una certa misura e con certe regole. Ora sul punto associazioni grandi, associazioni piccole questo è un discorso che ritorna spesso in tutte le sedi nelle quali è necessario valutare progetti, fare graduatorie; è sempre un tema che ha due facce. È vero che da un lato le associazioni più grandi hanno certi vantaggi ma in effetti io credo che uno dei ruoli, uno dei compiti dei Centri di Servizio, che sono appunto a servizio del volontariato, sia quello anche di aiutare le associazioni grandi e piccole, iscritte e non iscritte ai registri del volontariato, a sviluppare le loro capacità di progettazione attraverso quella che viene chiamata, forse in modo improprio, una certa professionalizzazione nel senso di affinare meglio quegli strumenti per riuscire a tradurre le idee in risposte ai bisogni del territorio.


III Gerry Salole Chef executive of the European foundation centre Intervento tratto dal sito dell’European Foundation Centre www.efc.be

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8 gennaio 2011, la Commissione europea, la presidenza ungherese dell’Ue hanno ufficialmente lanciato l’Anno europeo del volontariato 2011 (EYV2011). In questo contesto l’European Foundation Centre ha invitato le fondazioni associate a condividere informazioni circa il loro lavoro e le loro esperienze nell’ambito del volontariato. Sono 17 le Fondazioni che hanno dato il contributo. Di seguito una fotografia del risultato dell’indagine. Che cosa fanno le fondazioni nell’ambito del volontariato? Il cambiamento pratico che le fondazioni cercano di ottenere in questo settore è di aumentare la consapevolezza del valore e dell’importanza del volontariato, di aumentare il riconoscimento del volontariato a livello nazionale e di ottenere un maggior impegno dei cittadini nello sviluppo della comunità locale. Le fondazioni si battono per aumentare tutte le competenze dello staff delle organizzazioni di terzo settore che promuovono attività di volontariato dalla gioventù all’età adulta affinché si decida di investire le risorse personali per il bene della comunità. Dalle informazioni ricevute si può concludere che le fondazioni lavorano con i volontari a diversi livelli: • fornendo supporto ai progetti di volontariato promossi dalle associazioni. La Compagnia di San Paolo ha indicato che in Italia il supporto delle Fondazioni bancarie al volontariato è regolato per legge (Art.15 Legge 266/91). I “Fondi regionali speciali per il volontariato” prelevati dalle entrate annuali


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delle fondazioni devono essere allocati ogni anno. Questi fondi sono destinati a dare supporto organizzativo, formativo, gestionale e legale per far crescere le associazioni di volontariato. Questi fondi sono amministrati da Comitati di gestione regionali che li destinano a Centri di Servizio il cui compito è di supportare i progetti del lavoro volontario delle associazioni. • svolgendo la funzione di costruire contatti tra i volontari e le associazioni non profit. La Fondazione “la Caixa” offre ai volontari opportunità online, più di 3000 persone hanno avuto vantaggi dal programma; La Oranje Fonds risponde ai volontari delle associazioni nel corso della giornata nazionale del volontariato tedesco NL DOET che è stata lanciata 7 anni fa. • organizzando speciali programmi formativi e di acquisizione di competenze, sviluppando guide e materiali sulla gestione dei volontari (es. Fondazione “la Caixa”, Fondazione Luis Vives) e schemi per incoraggiare gli staff di volontari (City Bridge Trust). • documentando il volontariato. La Korber- Stiftung e la federazione tedesca delle fondazioni hanno lanciato un sondaggio sul finanziamento da parte delle fondazioni al volontariato lo scorso anno. • consolidando l’infrastruttura del lavoro volontario che è un obiettivo chiave del programma sociale e culturale di Robert Bosch Stiftung • innalzando gli standard del settore facendo chiedere dalla fondazione a cui si richiede il finanziamento spiegazioni all’associazione che partecipa al bando sulle modalità con cui sostengono i propri volontari • innalzando la consapevolezza della cooperazione con le agenzie nazionali responsabili dell’attuazione dell’anno europeo a livello nazionale e promuovendo nei loro programmi le attività ad esempio la Fondazione Eugénio de Almeida in Portogallo. A livello europeo il Robert Bosh Stiftung supporta la campagna “ Verso un anno europeo del volontariato 2011 di successo” e l’Alleanza per l’anno europeo del volontariato 2011 per aumentare la consapevolezza e facilitare il lavoro in team e la cooperazione degli attori in campo. Quali cambiamenti possono essere segnalati? Le Fondazioni sono state chiamate a segnalare i cambiamenti che vogliono che si verifichino nel volontariato mettendo in evidenza poche questioni chiave da seguire: • Migliorando le abilità delle organizzazioni Non profit creando network e squadra con le altre organizzazioni del terzo settore, istituzioni pubbliche e private per accrescere l’impatto del loro lavoro nel campo del volontariato; • Il volontariato non dovrebbe essere visto come un rimedio alla mancanza di adeguati finanziamenti. Perciò il rischio di sfruttamento dei volontari, la creazione di aspettative irrealistiche e l’estinguersi dell’impegno dei volontari sono


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ancora preoccupanti. • Motivando le persone al volontariato anche se le attività volontarie non sempre in alcuni paesi sono riconosciute dalle autorità e dalla legge. • Coinvolgendo i giovani, compresi i bambini nel volontariato • Esaminando e ridefinendo le vie di transizione sostenibili tra il lavoro volontario e quello pagato, tra volontariato e servizio pubblico. Cosa può aiutare a realizzare l’Anno Europeo del volontariato? Le Fondazioni rispondono rimarcando piccole azioni concrete che possano essere considerate dalle Istituzioni europee. Queste includono: • l’incoraggiare ricerche e azioni per sperimentare strumenti e pratiche migliori • facilitare lo scambio di pratiche nel campo che non sono sempre ben conosciute da un paese all’altro • la promozione di opportunità delle associazioni per i volontari e reali soluzioni di volontariato management • l’incremento del valore del volontariato non solo a livello locale, ma come fattore importante per perseguire una coesione e uno sviluppo sociale tra gli stati membri. • l’acquisizione del pieno riconoscimento da parte dei governi e della società delle abilità e delle esperienze sviluppate all’interno del settore del volontariato • Ampliando il supporto finanziario per le attività nel campo del volontariato Come le Fondazioni possono contribuire all’anno europeo? Le Fondazioni hanno risposto sottolineando l’importanza di sostenere la voce del volontariato nella creazione della linea politica e cercando di innalzare la consapevolezza delle attività dei volontari attraverso: • la condivisione di buone pratiche, esperienze ben conosciute e linee guida manageriali • il posizionamento di dichiarazioni circa il bisogno di promuovere la cultura del volontariato a livello europeo • la preparazione di informazioni semplici e chiare su che cosa le fondazioni e le Organizzazioni non profit debbano raggiungere con la collaborazione dei volontari nei diversi settori • proposte di programmi speciali che possano supportare concretamente le azioni dei volontari • lo svolgimento di un indagine sui fondi dati ai volontari dalle fondazioni in Europa Lo scenario L’anno europeo traccerà una gamma di attività a livello nazionale ed europeo per mettere in rilievo e promuovere il volontariato. Le attività a livello europeo sono le seguenti:


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I l tour 2011 dell’Anno europeo del volontariato: i paesi europei visiteranno un posto in ogni periodo dell’anno e daranno ai volontari la possibilità di parlare del loro lavoro, incontrarne un altro e attirare l’attenzione dei politici. • La staffetta dell’Anno europeo del volontariato: 27 volontari staffettisti reporter seguiranno il lavoro di 54 associazioni di volontariato e produrranno audio, video e report scritti per essere trasmessi dai media. • Conferenze tematiche nel corso del 2011 per mettere in luce le questioni legate al volontariato: Maggio/giugno: celebrazione dei volontari e del loro prezioso contributo Ottobre accrescere le associazioni di volontariato Dicembre: conferenza conclusiva con i cambiamenti futuri Per i dettagli visitare la homepage del sito dell’European foundation centre. Hanno risposto al sondaggio dell’European foundation Centre: City Bridge Trust, Compagnia di San Paolo, Fondazione Banca del Monte di Lucca, Fondazione Banco di Sicilia, Fondazione Cassa dei Risparmi di Forli, Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia dell’Aquila, Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia, Fondazione Cassa di Risparmio di Fossano, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Fundação EDP, Fundação Eugénio de Almeida, Fundación “la Caixa”, Fundación Luis Vives, Körber-Stiftung, Oranje Fonds, Robert Bosch Stiftung, Tuzla Community Foundation.


III Luca Remmert Comitato di Presidenza ACRI

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razie Alide e buongiorno a tutti. Due brevissime parole su che cosa è l’ACRI. L’Acri è l’Associazione delle Fondazioni Bancarie e delle Casse di Risparmio, è un’associazione di secondo livello che riunendo tutte le Fondazioni di origine bancaria cerca di mettere a fattor comune tutte quelle esperienze che arrivano dalle Fondazioni. Il mondo delle Fondazioni è molto eterogeneo, ci sono Fondazioni grandi, ci sono Fondazioni estremamente piccole; l’ACRI riesce a dare quell’opera di coordinamento che è sempre importante, soprattutto se è un mondo particolarmente articolato, che ci sia. Due parole su come le Fondazioni sono indubbiamente protagoniste di questo grande ed articolato mondo del volontariato. Prima si accennava alla legge 266/91 ex articolo 15, questa è una delle due metodologie attraverso le quali le Fondazioni sono protagoniste, da un punto di vista economico, impegnando una parte importante dei loro fondi, in quanto la legge 266 stabilisce che 1/15 dell’avanzo di esercizio al netto di una riserva obbligatorio venga appunto destinato a questo mondo. E questo oggi vuole dire una cifra superiore a 60 milioni di euro, sto parlando del complesso delle Fondazioni. Accanto a questo le Fondazioni, rispetto ad un accordo che c’è stato a livello nazionale del 2005, danno anche circa 20 milioni di euro alla Fondazione per il sud. Questo è il primo filone che è quello che attiene alla legge. C’è un secondo filone, ben più importante per il monte delle risorse che vengono impiegate che è quella parte che tutte le Fondazioni fanno finanziando i progetti sul sociale, gran parte dei progetti sul sociale direttamente o indirettamente, hanno come coinvolgitori finali il mondo del volontariato. Cifre, qui si parla di cifre superiori,


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sempre per quanto riguarda le Fondazioni di origine bancaria a livello nazionale, si parla di cifre superiori ai 100 milioni di euro. Quindi voi capite che con questi tre meccanismi la realtà del volontariato sta in piedi anche grazie alle risorse che gli vengono impiegate. Il monte totale è molto importante. Di fatto, anche solo per questa ragione, noi siamo protagonisti di questo mondo ma lo vogliamo anche essere e lo vogliamo essere attraverso la partecipazione attiva a tutto il grande discorso della progettazione sociale. Le Fondazioni, nelle varie articolazioni del mondo del volontariato, hanno i loro rappresentanti. E noi qui vogliamo attraverso i nostri rappresentanti poter contare, poter dire la nostra perché siamo sempre più convinti, che si debba uscire da un’ottica di mero finanziamento ma che tematiche così importanti debbano essere affrontate insieme, soprattutto in momenti in cui la coperta diventa più stretta per tutti, e qui sto riferendomi ovviamente alla parte finanziaria. Il momento, da un punto di vista di emergenza sociale, lo viviamo, lo stiamo vivendo quotidianamente sulla nostra pelle, è estremamente difficile. Il disagio sociale a tutti i livelli, la pressione che arriva dal territorio è molto forte, che poi non dimentichiamoci che le Fondazioni non fanno altro che stare sul territorio, essere attente alle esigenze del territorio e cercare di dare le risposte maggiori e più concrete. Ecco la pressione che ci arriva da un punto di vista di esigenze per far fronte a questo disagio sociale è una pressione sempre più forte, è una pressione più forte ovviamente per le Fondazioni che operano nelle grandi città, la compagnia di San Paolo lo sente veramente in un modo incredibile tutti i giorni. Noi siamo sempre stati molto impegnati sul sociale anche attraverso un nostro ente strumentale che è l’ ufficio Pio, la parte sul sociale rispetto agli altri capitoli di erogazione, che sono la ricerca scientifica, la ricerca economica, la sanità, l’arte e la cultura, è sempre stata per la compagnia di San Paolo la parte preponderante e adesso lo è ancora di più, ogni volta che noi ci troviamo a rinnovare i documenti previsionali per gli anni successivi sentiamo sempre più forte questa esigenza ed effettivamente riusciamo in momenti di difficoltà anche per noi a destinare sempre più risorse per il sociale. Quindi credo che in un momento come questo noi dimostriamo ancora una volta, tutto il mondo delle Fondazioni, vi ho fatto l’esempio della Compagnia di San Paolo, ma tutto il mondo delle Fondazioni lo sta facendo, noi quindi dimostriamo con questi nostri comportamenti di fare la nostra parte. Io credo che però in un momento così difficile, difficile perché da una parte la coperta diventa sempre più stretta, dall’altra il monte delle erogazioni da parte delle Fondazioni diventa sempre più difficile (perché vi ricordo solo che le Fondazioni bancarie erogano le parti che arrivano dal reddito del proprio capitale investito e le altre dalle partecipazioni che hanno o in banche conferitarie o in altre cose) ovviamente la crisi, il momento difficile rende questa coperta


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un po’ più corta perché le entrate delle Fondazioni sono minori. Quindi anche noi facciamo più fatica a mantenere dei livelli erogativi importanti. Ai quali tra l’altro il nostro territorio e il mondo del volontariato, si è un po’ abituato, quindi questo è un altro problema. Perché molto spesso con le nostre erogazioni abbiamo contribuito a creare e a far vivere delle strutture che poi sono cresciute quasi contando, quasi dando per scontato l’arrivo di queste risorse quindi in un momento in cui devi fare un po’ marcia indietro, puoi riuscire ad erogare meno soldi effettivamente ci rendiamo conto che creiamo qualche problema. Torniamo a dire che noi facciamo la nostra parte ma tutti devono fare la loro parte. E allora qui, mi fa piacere farlo in questo contesto, credo che anche il mondo del volontariato, che è così importante, che ha un ruolo così importante nel grande problema della crisi del sistema del welfare e quindi di tanti angoli che rimangono scoperti da quella coperta che dovrebbe effettivamente coprire un po’ il grande mondo del sociale, dicevo anche il mondo del volontariato deve continuare ad essere protagonista ma deve e può fare degli sforzi. E allora, ecco che lo faccio così per indurre lo stimolo a qualche vostra domanda, a qualche sollecitazione ad un dibattito, ecco che chiudo dando qualche stimolo al quale dovremmo poi forse cercare di pensare e cercare di dare delle risposte. Il mondo del volontariato è un mondo così eterogeneo, così in modo eterogeneo rappresentativo, ci chiediamo è così giusto che debba essere così eterogeneo? È chiaro che le realtà del volontariato lo sappiamo devono rimanere sul territorio, devono essere sul territorio, hanno questo ruolo anche di antenna sul territorio oltre che di questa attività sul sociale che è assolutamente fondamentale, quindi non sto mettendo assolutamente in dubbio il ruolo ma qualche domanda va fatta. In un momento in cui dobbiamo correre dietro all’efficienza fondamentalmente riusciamo, siamo sicuri di essere il più efficienti possibile? Allora ecco chiediamoci non siamo forse troppi soggetti e non riusciamo forse ad essere più efficienti? Per riuscire a far funzionare meglio quella leva che è poi la vera leva del volontariato e che anche in questo caso è la leva che fa sì che questi fondi, destinati dalle Fondazioni Bancarie, siano la leva più efficiente possibile affinché ogni singolo euro possa ricadere sul territorio, direi quasi non solo essendo speso bene ma direi quasi avendo la capacità di avere un effetto moltiplicatore.


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razie. Ringrazio il Centro Servizi di Cuneo per l’invito fatto alla Fondazione, al suo Presidente, ad essere qui oggi. Un’occasione interessante per il rapporto con il vostro mondo e quindi al termine di questo mio breve intervento credo che sarebbe molto utile uno scambio di considerazioni tra di noi. La Fondazione CRC ha un ruolo importante, non foss’altro per la mole di soldi che sono stati erogati su questo territorio: dalla sua costituzione nel 1992 sono stati erogati più di 300 milioni di euro. Cifre veramente molto importanti. Il rapporto delle Fondazioni e in particolare della Fondazione CRC con il mondo del volontariato è molto stretto; c’è una presenza del mondo del volontariato prevista a livello statutario nel consiglio di indirizzo della Fondazione CRC. L’ultimo consiglio, quello nominato a metà di aprile, vede la presenza del Presidente della sezione dell’Avis di Alba, e quindi un’associazione importante con un suo uomo di rilievo nel consiglio di indirizzo che ha nominato il Consiglio di amministrazione. C’è questo rapporto economico molto importante per cui tutti gli anni noi automaticamente “estraiamo” una somma che viene destinata a vari Comitati di gestione che poi li girano al territorio. Mi spiace per l’Assenza di Gerry Salole avrei avuto molto piacere di salutarlo, è già venuto a Cuneo. Noi come Fondazione, insieme con le altre due Fondazioni qui presenti Compagnia di San Paolo e CRTorino, facciamo parte della rete europea di Fondazioni che va sotto il nome di European Foundation Centre di cui Gerry Salole è direttore. Perché c’è tutta una rete di Fondazioni, (in Italia c’è la peculiarità delle


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Fondazioni di origine bancaria), ma soprattutto a livello europeo c’è una rete di Fondazioni storiche, con presenze soprattutto nel mondo anglosassone, Germania e anche in Francia, mentre in Italia questa rete non era così diffusa e l’invenzione di Amato del 1990 ha fatto sì che si creassero questi enti non profit, nel tentativo di disgiungere l’azionista dalle Casse di Risparmio che continuavano a fare banca. Partirei dal legame esistente tra il mondo del volontariato e l’azione di queste Fondazioni. Direi che siamo a servizio di quello che è il bene di una comunità - si diceva fino a poco tempo fa, ma credo che vada riscoperto come tema - quello che è il bene comune. Che io declino al singolare e non al plurale perché in una società già molto frammentata, dove ognuno tende ad avere come obiettivi alcune cose che gli interessano, e tutto sommato snobbare quelle che sono problematiche di altri, credo invece che l’obiettivo sia quello di raggiungere il bene della comunità, dove tutti devono rinunciare a qualche cosa se si vuole veramente fare il bene della comunità in cui si vive. È un concetto forse un po’ vecchio ma vanno riscoperte tante cose del passato oggi perché abbiamo visto che tante novità che sono venute negli ultimi 30/40 anni della nostra vita non hanno prodotto soltanto delle cose buone ma hanno prodotto anche cose meno buone, di cui oggi stiamo raccogliendo alcuni frutti molto avvelenati. Un secondo tema che ci lega è il tema della sussidiarietà che sta nell’articolo 118 della nostra Costituzione, uno degli articoli finora meno attuati. Sta in quella parte della Costituzione che pur avendo più di 60 anni non ha ancora trovato una realizzazione nel vissuto della nostra comunità nazionale. Leggevo con grande sorpresa su uno dei blog che girano per la rete – che paiono proporre soluzioni miracolose al tema della crisi, con una vena di anticlericalismo, sempre presente nel nostro paese che sussidiarietà significa privatizzazione dei servizi dello Stato. Credo che su questo vada fatta molta chiarezza: in un momento in cui si deve ripensare un nuovo modo di essere comunità nazionale, comunità regionale, comunità provinciale e poi via via ai vari livelli. Io credo invece che, mai come ora, sia necessario riprendere i contenuti essenziali di questi temi, io credo che mai come ora sia necessario riandare a come eravamo comunità negli anni 50 e 60 quando si viveva con molto meno, le comunità erano molto più coese, molto più unite, c’erano delle forme di aiuto reciproco molto forti, poi noi siamo andati, mano a mano che cresceva il benessere, a guardare non allo Stato, non alle Regioni, non alla comunità provinciale e comunale e siamo arrivati non solo al condominio, ma molto più nel dettaglio. E allora dobbiamo recuperare, e in questo il vostro ruolo penso sia fondamentale, una nuova capacità di ricostruire le nostre comunità dal basso. Mi lego al tema della sussidiarietà dicendo quello che le Fondazioni da anni stanno cercando di fare sui loro territori nel dire che tra l’azione dello stato e l’azione del mercato c’è un territorio molto vasto, che è stato poco sviluppato nel nostro paese, nel quale tanti soggetti come noi possono svolgere dei ruoli fondamentali, e non solo perché oggi siamo in una situazione difficile, ma certamente


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anche alla luce delle attuali situazioni il ruolo di questo territorio di mezzo tra lo Stato e il mercato può essere fondamentale. Noi diciamo, io lo ribadisco perché la mia cultura mi porta a dire questo, che non tutto è Stato, non tutto è mercato anche se c’è qualcuno che anche di questi tempi cerca di recuperare ideologie del passato. Io vedo in giro molto conservatorismo e non è una categoria politica, lo vedo a destra come lo vedo a sinistra, molte ideologie che credevamo di avere perso per strada per fortuna, invece si stanno riaffermando. Tanto più in momenti di crisi determinati arroccamenti rischiano di essere delle ricette semplici, a cui aggrapparsi. Abbiamo passato un periodo in cui si pensava, dopo un periodo in cui molti dicevano che tutto dovesse lo Stato, che la finanza e il mercato si dovessero autoregolare. Abbiamo visto come in assenza di regole i guai prima o poi arrivano, i nodi vengono al pettine; questa crisi, che è anche figlia di questa impostazione culturale, si stava preparando da tempo, non è scoppiata così improvvisamente. È scoppiata anche perché si è vissuti, si è sempre cercato di vivere senza regole, soprattutto nella finanza che poi ha generato, ha portato il virus nell’economia, oggi questo virus è arrivato agli stati e sta arrivando sui nostri territori fino alle famiglie, fino alle persone. È un domino che non si sa quando e dove si fermerà. Quindi io credo che vada recuperato il ruolo di soggetti di mezzo, soggetti che quindi non devono sostituire, ma devono interagire certamente con lo Stato e con l’impresa ma che non sono sostitutivi dello stato e non sono concorrenti dell’impresa. Su questo terreno si gioca la sfida delle cosiddette libertà sociali, si gioca la sfida del contributo che si può dare per uscire da questa situazione di grande difficoltà. Una situazione che non sarà di poco momento; io sono ancora incerto se pensare che questa crisi durerà dieci anni o se dire che abbiamo cambiato scala, cioè se siamo entrati in un altro mondo. Probabilmente siamo entrati in un altro mondo e quindi bisogna prendere atto e non semplicemente subire questa crisi, ma mettere in atto tutte le dinamiche positive per cercare di contrastarla soprattutto con l’obiettivo o sapendo che lasciando che le cose facciano il loro corso automatico chi ne soffrirà di più saranno i più deboli a qualunque livello, economico, culturale, sociale in genere. Il mondo che noi rappresentiamo gestisce un patrimonio della comunità; noi non gestiamo un patrimonio di qualcuno: il patrimonio della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, che è comunque intorno a 1,5 miliardi di euro, è il patrimonio di un pezzo della comunità cuneese. Quindi è una grande risorsa, per cui dobbiamo riuscire a far fruttare questo denaro al meglio, e in questo momento è particolarmente difficile riuscire a farlo fruttificare, perché la domanda che probabilmente molti di voi si fanno è da dove la Fondazione prende i fondi da erogare sul territorio? Dalla gestione del patrimonio. Ora noi abbiamo il nostro patrimonio investito nelle banche, nel nostro caso Banca Regionale Europea e Ubi Banca e poi investito in altri strumenti finanziari. Ora stanno flettendo sia i dividendi delle banche, e fletteranno ancora di


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più nei prossimi anni, perché state leggendo sui giornali cosa si sta preparando per le banche italiane, dovendo i francesi e i tedeschi svalutare i bond, stanno in qualche modo imponendo alle banche italiane di svalutare i buoni del tesoro. E quindi in futuro la redditività delle banche sarà molto bassa e in più i normali strumenti finanziari rendono molto meno che in passato e quindi noi avremo a disposizione anche meno risorse che ci impongono di fare delle scelte più precise, più mirate sia di settore sia all’interno dei settori. Cosa che noi stiamo facendo, lunedì si approverà il documento programmatico per l’anno prossimo. Questa crisi c’è e a questa crisi bisogna dare delle risposte forti insieme, noi siamo a disposizione per ragionare con tutti quei mondi vivi che possano insieme con noi ripensare il modo di essere comunità. Questo welfare State abbiamo visto che non regge ai colpi di questa crisi, va ripensato, sicuramente si ridurrà, bisognerà che le risorse che arrivano dallo Stato e dalle Regioni minori rispetto al passato siano destinate a quelle che sono le necessità più impellenti. Ne faranno, e rischiano di farne le spese i più deboli e quindi noi possiamo aiutare con voi queste nostre comunità a studiare dei nuovi modi per stare vicino a chi ha delle maggiori difficoltà. Non tutto ciò che è stato fatto nel passato è bene, abbiamo probabilmente sprecato molti soldi, abbiamo dato troppo a tutti, anche a chi aveva delle risorse per pagarsi determinati servizi. Io ricordo che già all’inizio degli anni ’80 mio papà, che aveva fatto la terza elementare, ma si occupava di politica quasi tutti i giorni perché l’esperienza della comunità cristiana e dell’azione cattolica l’avevano portato ad avere questo tipo di sensibilità, non avendo mai nessun ruolo di nessun genere a livelli significativi, ci diceva che aveva l’impressione che come comunità stessimo vivendo al di sopra delle nostre possibilità. Aveva fatto la terza elementare però probabilmente aveva già capito più di tanti politici. Ricordo che negli anni ’80 il debito pubblico italiano in valore assoluto si è moltiplicato per 7. Cioè all’inizio degli anni ‘80 il debito pubblico italiano, in valore assoluto mi pare di ricordare fosse intorno a 130 – 140 miliardi di euro, siamo usciti alla metà degli anni 90 con 1200 miliardi di euro di debito pubblico. Dove siano finiti questi soldi nessuno lo sa perché se avessimo almeno fatto le infrastrutture, strade e quant’altro almeno li vedremmo; invece sono finiti in un buco nero che ha creato quel peso che dovrà essere smaltito a cominciare da ora. Perché noi non possiamo lasciare ai nostri figli e nipoti un debito pubblico che ha superato i 1900 miliardi di euro. Bisogna incominciare ad affrontare da subito il problema. Noi stiamo facendo iniziative non soltanto erogando a chi ci fa domanda. Abbiamo presentato nei giorni scorsi un piano crisi che impegna 1 milione 700 mila euro in cinque filoni, dalla casa, all’emergenza caritativa in altri vari settori. Cito tre esempi di iniziative delle Fondazioni: per esempio nel locale due anni fa abbiamo fatto partire un progetto a Bernezzo sulla domiciliarità degli anziani che ha visto molto coinvolto il mondo del volontariato, ed è stato scelto Bernezzo proprio perché li c’è un grande tessuto di volontariato; a livello regionale c’è


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un progetto sull’housing sociale dove sono impegnate tutte le fondazioni piemontesi e poi c’è questo progetto nazionale, che prima è stato ricordato, della “Fondazione Con il Sud” che vede investimenti tutti gli anni di 20/30 milioni di euro che vanno a finire in progetti presentati dal mondo del volontariato. Quindi il rapporto tra le Fondazioni e il mondo del volontariato è molto forte e io spero che possa ulteriormente rafforzarsi in futuro soprattutto in una collaborazione non soltanto di chi chiede e di chi può dare del denaro, ma anche per definire sempre meglio gli obiettivi, per definire i quali bisogna mettersi intorno a un tavolo, pensarli, scriverli e poi eseguirli cosa che in questo terzo tempo spesso è mancato alla classe dirigente del nostro paese, non soltanto a Roma, ma anche dalle nostre parti e che spero però non manchi più nel futuro.

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IV

SESSIONE GIOVANI E VOLONTARIATO: LABORATORIO DELLA CITTADINANZA PARTECIPATA Young people and volunteering: a laboratory of participated citizenship Moderatore: Silvio Magliano

Presidente CSVPiemonte.net

Relatori: Ugo Ascoli

Università di Ancona

Giancarlo Rovati Università Cattolica Sacro Cuore di Milano Vincenzo Saturni Presidente nazionale AVIS – Ass. Volontari italiani sangue Sabina Polidori

Responsabile Segreteria Tecnica Osservatorio Nazionale Volontariato DG Terzo settore e Formazioni sociali Ministero del lavoro e delle politiche sociali Ricercatrice Isfol


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IV Silvio Magliano Presidente CSV Piemonte.net

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I

l volontariato nel panorama europeo: confronto tra esperienze. Sono particolarmente contento di poter moderare questa tavola rotonda anche perché il tema scelto quest’oggi è un tema a me caro, fosse anche solo per ragioni legate all’età, poiché ho trentuno anni: Giovani e volontariato: laboratorio della cittadinanza partecipata. Mai come oggi diventa necessario affrontare questo tema per poter parlare di speranza anche perché il volontariato rappresenta uno degli elementi fondanti della concezione del nostro stato, della concezione del popolo italiano e pensare che il volontariato possa avere un futuro lo si può fare solo nella misura in cui vi saranno giovani in grado di capire il livello di interesse, il livello di fascino che il volontariato per essi può rappresentare. Quest’oggi lo facciamo, cercheremo di sviluppare questo tema insieme a degli autorevoli relatori che vado subito a presentare: il professor Ugo Ascoli dell’Università di Ancona, docente di Sociologia Economica e Welfare e Politiche sociali. Ugo Ascoli, professore, la ringraziamo di essere qui. Il professor Giancarlo Rovati è professore ordinario di Sociologia Generale nella facoltà di Scienze Politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Anche il professore ha una serie importante di incarichi, mi piace molto ricordarlo anche per gli articoli che leggo con piacere su Il Sussidiario. net. Approfondiremo il tema dei giovani e del loro legame con il Volontariato con Vincenzo Saturni, presidente nazionale Avis (Associazione Volontari Italiani Sangue). Infine, e finalmente, una donna, Sabina Polidori Responsabile Segreteria Tecnica Os-


) IV - SILVIO MAGLIANO (

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servatorio Nazionale del Volontariato e ricercatrice Isfol. C’è un aspetto che mi colpisce di questo tema e parto subito con una citazione che per me è significativa di Marguerite Yourcenar “Agire e pensare come tutti non è mai una garanzia e non è sempre una giustificazione”. Questa è una delle cose, uno degli elementi che, a mio giudizio, oggi le nuove generazioni devono tenere presente; tra l’altro ritengo importante sottolineare come in questa struttura, mentre noi celebriamo questo grande e importante convegno, vi è una mostra “Un’amicizia all’opera: 150 anni di solidarietà e sussidiarietà in Italia, una storia sui santi sociali”. Perché dico questo? Lo dico perché a mio giudizio, e mi avvio alla conclusione, il problema del legame tra i giovani e il volontariato è un problema che dev’essere affrontato in modo non ideologico e soprattutto non moralista perché se il tema sono i giovani dobbiamo capire i giovani. Bisogna capire quali sono le caratteristiche dei ragazzi, quali sono i desideri che hanno questi ragazzi, qual è il sistema in cui questi ragazzi crescono, in cui sono cresciuti, e intendo il sistema mediatico, il sistema di informazione e quali sono i modelli che hanno davanti. A me impressiona il fatto che si dica che i giovani che fanno volontariato sono sempre meno. Se, però, andiamo a vedere i dati, invece, in proporzione, i giovani sono un po’ di più, è solo che ci sono decisamente meno giovani rispetto anche soltanto a pochi anni fa. Dal 1996 al 2006, nella fascia di età tra 14 e 34 anni, i giovani sono diminuiti di 1 milione e mezzo. Il rapporto che c’era nel 1996 tra 100 giovani e quanti di essi facevano volontariato era del 6%; oggi, invece è dell’8,5%. Cosa vuol dire? Vuol dire che qualcosa si sta muovendo perché di fronte agli scenari - e più gli scenari sono difficili, più mi pare che ci sia un moto naturale del cuore dell’uomo, quindi di ognuno di noi, che porta a fare del bene - ecco più gli scenari si complicano, più gli scenari diventano difficili, più questi ragazzi in qualche modo se trovano modelli positivi, se trovano maestri affascinanti, si concepiscono come discepoli, si concepiscono come persone capaci di seguire e di imparare. Non a caso, e concludo, oggi abbiamo avuto la possibilità di guardare in prima pagina, almeno della Stampa, i volontari di Monterosso, che sono questi giovani stupendi che nel giro di 2 giorni si sono dati disponibili per andare là dove l’uomo aveva bisogno, perché a causa di una catastrofe naturale si trovava in condizioni molto difficili. Quindi alla luce di questa breve introduzione, Giovani e volontariato: laboratorio della cittadinanza partecipata, ci auguriamo che questo tempo che passeremo insieme ci dia degli spunti per capire di più nel merito e poi per poter dare delle possibilità di sviluppo. Io vi ringrazio e lascio subito la parola al professor Ascoli.


IV Ugo Ascoli Università Politecnica delle Marche

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IV - UGO ASCOLI 69

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uonasera a tutti. Userò i miei 10-12 minuti per trattare cinque punti con voi in modo molto schematico, così da alimentare il dibattito. Innanzitutto vorrei fare un’osservazione che non è una critica a chi ha organizzato il convegno ma che ci dovrebbe guidare nel futuro: non bisognerebbe più dire ‘giovani e volontariato in Italia’ perché oggi, sempre di più, le caratteristiche del ‘welfare del nord’ e del ‘welfare del sud’ sono completamente diverse. Non si può parlare di un unico sistema di welfare nel nostro paese: il welfare del nord e il welfare del sud rappresentano ormai due organizzazioni sociali, due modelli di politiche sociali molto diversi, con caratteristiche che si stanno differenziando sempre di più. Di conseguenza l’analisi del rapporto fra le giovani generazioni e il volontariato andrebbe decisamente differenziata territorialmente. Questa è una premessa che non posso sviluppare, semmai ci torniamo se qualcuno ha voglia di approfondire l’argomento. E adesso passo ad affrontare il tema. Primo punto: giovani e azione volontaria. Qualcuno parla di crisi della partecipazione dei giovani alle attività, all’azione volontaria. Tale affermazione è quantomeno azzardata perché i dati sono assolutamente carenti, come poi verrà illustrato. Abbiamo una opacità delle statistiche, una non chiarezza e non conoscenza che colpiscono. Tuttavia dai pochi riscontri attendibili a nostra disposizione si evince come, ad esempio, fra il 2001 e il 2006 ci sia stato un aumento di presenza giovanile nel volontariato, come i giovani (intendendo per giovani quelli con


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meno di 30 anni) fossero presenti in quegli anni sotto la veste di ‘volontari continuativi’ in almeno metà delle Organizzazioni di Volontariato e come essi rappresentassero poco più di 1/5 dei ‘volontari attivi’ complessivi. Sono dati tratti dalle ultime riflessioni condotte in modo sistematico e da studi recenti: quindi non c’è assolutamente da pensare ad una crisi di partecipazione dei giovani al volontariato. Una delle cause importanti degli andamenti appena descritti andrebbe rintracciata nell’aumento dell’impegno promozionale messo in campo dalle Organizzazioni di Volontariato e dai Centri di Servizio nelle scuole e nella comunicazione verso i mondi giovanili. Ci sono altri dati, che Sabina Polidori esporrà, ma la riflessione che dobbiamo trarre è che non si possa parlare di crisi del volontariato, né tanto meno di crisi dei giovani nella partecipazione alle attività del volontariato. Tutti i numeri ci dicono il contrario e ci mostrano, d’altro canto, come le caratteristiche dei fenomeni oggetto della nostra attenzione siano in rapido cambiamento. Punto secondo: giovani e lavoro È stato evidenziato stamattina, soprattutto da Susana Szabo, ed emerge da tutte le ricerche, che chi fa volontariato per lo più è persona che lavora. C’è una fortissima correlazione fra fare volontariato e lavorare, così come c’è una fortissima correlazione tra fare volontariato e possedere medio alte credenziali educative. Allora se dobbiamo pensare a come aumentare il peso delle giovani generazioni nelle Organizzazioni di Volontariato non possiamo non guardare a che cosa sta accadendo nel mercato o nei mercati del lavoro. Riscontriamo allora come poco più di 1/5, il 21%, dei giovani (intendendosi con giovani quelli fra 15 e 29 anni), in base ai dati statistici ufficiali, non fanno nulla, cioè non sono impegnati nella scuola o in altro percorso formativo, né risultano occupati in qualche attività lavorativa. Siamo in presenza della generazione NEET (cioè not employment, not education, not training), come le definisce un acronimo anglosassone. Se operiamo un confronto con il Regno Unito, che pure non se la passa certo bene, anche a causa delle invenzioni fantasiose e conservatrici sulla cosiddetta ‘Big Society’, rileviamo come i NEET fra i giovani arrivino in quel paese ‘solo’ al 16, 3% e i disoccupati fra i 16 e i 24 stiano raggiungendo la fatidica cifra del milione. Se andiamo ad osservare il tasso di disoccupazione giovanile nel nostro paese scopriamo, come è noto, valori ben più alti: fra i giovani (maschi e femmine) con età 1524 siamo al 30% circa a livello nazionale, ed al 33% per le ragazze; al Sud il tasso è pari rispettivamente al 39,5% e al 42,4% per le ragazze. Mai l’Italia nell’ultimo decennio si è confrontata con dati del mercato del lavoro di questo tenore. Se noi pensiamo che nel meridione quasi 1 ragazza su 2 non trova lavoro e un 40% complessivamente dei giovani tra 15 e 24 anni è disoccupato, si comprende bene


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IV - UGO ASCOLI 71

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quale sia la difficoltà di partecipare alla vita sociale, da parte delle giovani generazioni. Vi offro un ulteriore dato: guardiamo le persone che hanno fra 35 e 44 anni (sta a voi chiamarli giovani o adulti giovani): in Italia nel 1990 questi 35-44enni stavano in famiglia come figli per il 4,9%; nel 2009, cioè circa vent’anni dopo, i 35-44enni che stanno in famiglia come figli sono passati al 10,7% ! Saremmo poi più vicini alla Spagna per la difficoltà con la quale un lavoratore a tempo determinato entro dodici mesi possa passare ad un impiego a tempo indeterminato. Siamo in presenza di squilibri straordinari che ci conferiscono un inquietante primato europeo e la dicono lunga sul sacrificio enorme di generazioni che non riescono ad entrare nel mercato del lavoro regolare, e che quindi fanno più fatica a vivere. Vivere vuol dire costruire progetti di autonomia, progetti esistenziali, progetti lavorativi, progetti di coppia e di figli. Nonostante questo mercato del lavoro, nonostante questi mercati del lavoro, non rileviamo una diminuzione della partecipazione delle giovani generazioni alle attività delle Organizzazioni di Volontariato, all’azione volontaria. Ci saremmo potuti aspettare scenari negativi perché, ripeto, siamo in presenza di una fortissima correlazione, riscontrabile ovunque: in genere chi fa volontariato è persona che ha una attività lavorativa. Terzo punto: le tendenze delle politiche sociali negli ultimi anni Chi governa le politiche sociali ha fatto una scelta: ridurre drasticamente i finanziamenti statali per le politiche socio-assistenziali, dal fondo nazionale per le politiche sociali, al fondo per l’integrazione degli immigrati, dal fondo per gli asili nido, al fondo per non autosufficienza, al fondo per i giovani. Vi sfido a confrontare le cifre: siamo quasi arrivati a zero. Chi volesse sdrammatizzare gli effetti di tali scelte sulla spesa sociale potrebbe evidenziare come i comuni mediamente ricavino dalle risorse statali solo la copertura di un quinto della loro spesa; per molti comuni meridionali, tuttavia, l’incidenza delle risorse statali risulta assai più elevata. I comuni, però, debbono affrontare allo stesso tempo anche altri nodi assai problematici: dalla riduzione generalizzata dei trasferimenti statali al rispetto del ‘patto di stabilità’, alla contrazione dei cespiti immobiliari fiscali. Appaiono quindi in grandissima difficoltà. Tralascio poi, volutamente, per ‘carità di patria’gli effetti del taglio formidabile di risorse subito dalla scuola. Tutto ciò è destinato ad incidere pesantemente sul cosiddetto ‘welfare locale’, avviato, in assenza di cambiamenti nella politica, ad un processo di drastico ridimensionamento. In tale scenario si annidano, ovviamente, grandi turbolenze anche per le Organizzazioni di Volontariato.


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Quarto punto: le pensioni dei giovani Voi vi chiederete: ma che c’entrano le pensioni? Proverò a condurre una breve riflessione in merito. Il nostro paese è caratterizzato da un sistema pensionistico pubblico,uscito dalla riforma del 1995, che, tramite una sorta di ‘combinato disposto’ con le politiche della flessibilità (e della ‘precarietà’) del mercato del lavoro, ha praticamente annullato le pensioni per i giovani. Tutte le proiezioni degli studiosi ci dicono che fra 30 anni la metà delle pensioni da lavoro in Italia, stante queste regole, saranno al di sotto dell’assegno di povertà. Stiamo ‘programmando’ la povertà per metà di coloro che andranno in pensione fra 30 anni! I giovani di fatto non avranno più una pensione degna di questo nome, cioè qualcosa che consenta di vivere decentemente senza regredire troppo nel proprio tenore di vita: e per la gran parte di loro non si danno alternative. Le pensioni ‘complementari’, che dovevano integrare il sistema pubblico, sono state scelte appena da 1/5 dei dipendenti privati; i dipendenti pubblici non hanno tale possibilità; i lavoratori atipici, ancora meno. Non solo, quindi, stiamo ‘tagliando le gambe’ ad una parte considerevole delle giovani generazioni, esclusa oggi dal mercato del lavoro, ma, prepariamo un futuro problematico anche a chi riesce ad agganciare un’occupazione. Nonostante tutto ciò giovani e azione volontaria rappresentano ancora un capitolo positivo ed importante della storia nazionale. Quinto punto: giovani, partecipazione e beni comuni Che significato attribuire alla grande partecipazione giovanile alle attività di volontariato che, è stato detto, emerge in presenza di calamità naturali o di grandi eventi nazionali? Vorrei che riflettessimo insieme su questa fenomenologia. Prima il presidente Falco diceva “io non sono per i beni comuni, vorrei declinare al singolare, dire il bene comune”. Attenzione “bene comune” è un’altra cosa. Al bene comune può tendere una chiesa, una religione, uno stato; noi dobbiamo occuparci dei ‘beni comuni’, delle ‘attività di interesse generale’ come chiarito nell’art. 118 della Costituzione, dei ‘beni collettivi’. Questo paese ha dato prova recentemente di una enorme capacità di mobilitazione sociale e civile, proprio allorché apparivano in gioco gli interessi generali della comunità. Parlo di acqua, parlo di energia, parlo di giustizia giusta, parlo della prevenzione di calamità naturali: in quell’occasione abbiamo assistito ad un’esplosione di volontariato e di partecipazione giovanile. Ciò si è manifestato tramite i ‘social network’ (Twitter, Facebook) tramite la ‘rete’ (Internet), tramite la mobilitazione nelle piazze. Se le questioni sono di interesse generale, se sono in discussione i ‘beni comuni’, i giovani ci sono!


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Se vogliamo allora che le Organizzazioni di Volontariato, e l’azione volontaria in generale, acquisiscano una dimensione ‘politica’ più rilevante, appare necessario affrontare il tema del ‘modello di crescita’: occorre che i ‘volontariati’ facciano una scelta, che elaborino un’agenda in cui compaiano i beni comuni di cui intendono occuparsi. L’istruzione? L’ambiente? L’infanzia? I giovani e il lavoro? Altro ? Così facendo, è possibile promuovere una grande mobilitazione sociale nel paese e, soprattutto, spingere ‘i soggetti pubblici’ a ritrarsi dal percorso intrapreso, dove di fatto il ‘sociale’ è scomparso dal ‘cuore’ della politica nazionale e c’è spazio solo per i molto poveri cui concedere la ‘social card’. Altrimenti il paese continuerà a ‘declinare’ e a differenziarsi in modo ancor più drastico fra Nord e Sud; il Mezzogiorno diventerà un grande villaggio per vecchi (i giovani emigrano, i nati diminuiscono, la popolazione invecchia) controllato ancor di più da organizzazioni di tipo mafioso; il Terzo Settore (e quindi anche il volontariato) si ridurrà a ‘controllore’ della marginalità sociale e potenziale ‘riduttore’ delle tensioni sociali, ‘dispensatore’ di interventi caritativi e filantropici, sempre meno in grado di sviluppare il proprio ‘dna’, fatto di solidarietà, democrazia, giustizia sociale, contrasto delle disuguaglianze, impegno personale e partecipativo, spirito di cittadinanza.


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IV Giancarlo Rovati Professore ordinario di Sociologia generale nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Figura 1 – Tasso di partecipazione alle organizzazioni di volontariato per classi di età su totale popolazione. Anni 1996 e 2006 (N. volontari ogni 10.000 residenti)

Fonte: elaborazione su dati Iref-Caritas italiana e dati ISTAT sulla popolazione residente

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1. Giovani e volontariato: oltre gli stereotipi E’ opinione diffusa che la partecipazione dei giovani alle diverse forme di volontariato sia in diminuzione per ragioni attribuite alle loro condizioni di vita e ai loro orientamenti culturali; se però consideriamo il peso demografico delle classi giovanili - che è pesantemente calato negli ultimi 20 anni - si scopre che il tasso di partecipazione dei giovani alle organizzazioni di volontariato è aumentato nel corso dell’ultimo decennio (figura 1).


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E’ peraltro vero che i giovani sono attirati principalmente dall’impegno volontario nell’ambito delle emergenze di massa (come nel caso di catastrofi naturali, che richiedono l’impegno di molti volontari organizzati dalla protezione civile), delle emergenze sanitarie (come nel caso del servizio sulle ambulanze), delle emergenze su bisogni specifici (si pensi alla colletta alimentare organizzata ogni anno dalla Fondazione Banco Alimentare onlus che quest’anno ha registrato un’incremento di volontari e di prodotti donati), dalle attività di animazione sociale ed educativa per i coetanei, dalle campagne di sensibilizzazione ai problemi ambientali; sono invece meno propensi (ed anche meno adatti) ad agire nell’assistenza di lunga durata alle persone. I risultati dell’Indagine multiscopo 2007 condotta dall’Istat confermano gli andamenti del 2006 e permettono di evidenziare che l’impegno gratuito non è rivolto solo a favore delle associazioni di volontariato ma anche di associazioni di altra tipologia (tabella 1); questa esperienza coinvolge oltre 1 milione e 700 persone ed è distribuita in maniera abbastanza simile all’interno di ciascuna classe di età con un impegno prevalente da parte di chi appartiene alla classe di età 45-54 anni e più ridotto da parte di chi è più anziano1; resta in ogni caso importante segnalare che la disponibilità a svolgere attività gratuite (in misura più o meno intensa e duratura) ha coinvolto nel 2007 oltre 6 milioni e mezzo di persone e che questa esperienza denota una propensione diffusa ad assumersi i costi anche economici della partecipazione sociale. Sul piano generale è importante sottolineare che l’area della gratuità eccede il mondo del volontariato organizzato ed è parte costitutiva di quasi tutte le associazioni volontarie che vivono grazie all’impegno e alla dedizione dei loro aderenti. Tabella 1 – Persone di 14 anni e più che negli ultimi 12 mesi hanno svolto attività gratuita per associazioni di volontariato e non, per classe di età – Anno 2007 (in migliaia) U attività gratuita per associazioni di associazioni non di Totale b / a *100 volontariato (a) volontariato (b) 14-17 anni 18-24 anni 25-34 anni 35-44 anni 45-54 anni 55-64 anni 65 anni e più

N.

%

N.

%

N.

222 466 744 948 845 782 675 4.682

4,7 10,0 15,9 20,2 18,0 16,7 14,4 100,0

84 184 253 358 348 287 213 1.727

4,9 10,7 14,6 20,7 20,2 16,6 12,3 100,0

311 660 1.013 1.326 1.211 1.086 902 6.509

37,8 39,5 34,0 37,8 41,2 36,7 31,6 36,9

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Indagine multiscopo 2007, Roma 2009

2. Partecipazione associativa e “gratuità diffusa” L’intreccio (e la distinzione) tra partecipazione associativa e impegno gratuito è analiticamente documentato dalla quarta indagine sui valori degli europei2, svolta 1

Il rapporto percentuale tra il numero di persone impegnate gratuitamente in associazioni non riconducibili al volontariato organizzato e il numero di persone che collaborano ad associazioni di volontariato è pari mediamente al 37% e presenta valori simili sia nelle classi di età più giovani che in quelle più mature, con l’eccezione appena indicata.

2

Per informazioni dettagliate si rimanda al sito ufficiale di EVS : http://www.europeanvaluesstudy.eu


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Figura 2 – Partecipazione associativa per classi di età - Indagine EVS Italia 2009 (valori %) 80 59,1

50

54,4

68,5

62

57,9

Nessuna organizzazione

40

1 organizzazione

30 20

62

)

60

22 18,9

27,2 18,4

2 o più organizzazioni

23,8 18,3

21,1

19,5 18,6

19,6 18,4

10,4

10 0 18-24

25-29

30-34

35-64

65 e più

Totale

Figura 3 – Partecipanti ad associazioni che svolgono a loro favore attività gratuite per classi di età. Indagine EVS – Italia 2009 (valori %) 90

85,2

80 70

70,1

72,1

77,8

60

Nessuna organizzazione

50

1 organizzazione

40

2 o più organizzazioni

30 20 10

77,8

77,4

15,2

19,1 9,5

11,1

8,2

11,5

0 18-24 3

25-29

30-34

35-64

65 e più

Totale

Per la quarta indagine italiana si rinvia a G. Rovati (a cura di), Uscire dalle crisi. I valori degli italiani alla prova, Vita e Pensiero, Milano 2011. Per indicazioni sulle precedenti indagini italiane si rinvia a R. Gubert (a cura di), La via italiana alla postmodernità. Verso una nuova architettura dei valori, FrancoAngeli, Milano 2000; R. Gubert e G. Pollini (a cura di), Il senso civico degli italiani. La realtà oltre il pregiudizio, FrancoAngeli, Milano, 2008.

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nel biennio 2008-20093 che ha rilevato il tasso di partecipazione alle associazioni assistenziali, culturali, ricreative, civiche e l’eventuale impegno gratuito a favore di queste associazioni (tabella 2). Il tasso di gratuità risulta particolarmente elevato nel caso delle organizzazioni che lavorano con i giovani (74%) con le organizzazioni religiose (72%), con i comitati e i gruppi locali (68%), con i gruppi vari (64%), con le associazioni per lo sviluppo del terzo mondo (61%), nelle associazioni che svolgono attività educative, culturali, artistiche (61%). Il tasso di gratuità risulta invece più basso nel caso dei partecipanti alle associazioni professionali (23%) e sindacali (27%), ma anche nei gruppi femministi (38%) e nei gruppi di impegno per la pace (39%), per ragioni riconducibili in parte al grado di professionalizzazione delle strutture associative (almeno nel caso delle associazioni professionali e sindacali) e in parte alla minor sistematicità delle attività basate su mobilitazioni occasionali (come forse nel caso dei movimenti femministi e pacifisti).


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Considerando chi ha dichiarato di partecipare ad una o più organizzazioni tra le 15 indicate, si nota che sono ancora i giovani (da 18 a 34 anni) ad avere un tasso di partecipazione superiore alla media generale (sommando una o più forme di partecipazione), con valori compresi tra il 41% (18-24 anni) e il 46% (25-29 anni); analogamente superiore alla media è la quota di giovani che dona gratuitamente una parte del suo tempo a favore del medesimo tipo di associazioni, con valori compresi tra il 22% (30-34 anni) e il 30% (18-24 anni) (figura 2). Anche “l’attivismo” - misurato convenzionalmente in base alla partecipazione multipla (a due o più associazioni), vede i giovani in vantaggio sui colleghi più anziani, ridimensionando, anche in questo caso, alcuni diffusi stereotipi negativi (figura 3). 3. Uscire dalle crisi: il posto del non profit e del volontariato I segnali incoraggianti che provengono dal recente passato lasciano intatti gli interrogativi sul futuro del volontariato nel nostro paese, non tanto per ragioni economiche quanto per il limitato ricambio generazionale che si registra in molte organizzazioni non profit. Al di là dell’aspetto quantitativo, resta aperto il problema di come trasmettere alle generazioni più giovani i valori di base del volontariato riconducibili alla sequenza gratuità-altruismo-reciprocità-fiducia-solidarietà4. L’intervento educativo degli adulti deve tener conto che la gratuità e l’altruismo entrano oggi nell’orizzonte personale e sociale dei giovani (ma anche degli adulti) sotto forma di “desiderio”, di “corrispondenza”, di “voler essere” piuttosto che sotto forma di “dover essere”; diventa allora essenziale l’incontro con proposte e testimonianze capaci di parlare a questo desiderio e di trasformarlo in esperienza costruttiva e continuativa. All’origine della gratuità e dell’altruismo vi è, in effetti, un particolare tipo di “interesse” a sé e agli altri che si fonda sul desiderio di cose buone, vere, belle presentite come esigenza del proprio cuore, come pure la percezione di una corrispondenza tra questo desiderio personale e il medesimo desiderio avvertito da altri. In questo senso, la tensione alla gratuità e all’altruismo è l’esito di una gratitudine per qualcosa e per qualcuno che è già entrato a far parte, positivamente, della nostra esperienza, piuttosto che il portato di uno sforzo volontaristico o di un “dovere”. Contrariamente a quanto si è soliti ritenere, le virtù della gratuità non sono necessarie ed apprezzate solo nell’ambito delle attività volontarie, non retribuite, non profit ma anche nell’ambito delle attività professionali ed economiche orientate al profitto come indica, in forma apparentemente paradossale, l’enciclica Caritas in veritate (cfr. par. 36-39) con riferimento al bisogno di gratuità e di spirito del dono anche nella vita economica affinché essa possa funzionare efficacemente, creando benessere invece che danno, spreco, crisi, malessere. Prima che un richiamo morale (certamente pre4 Cfr. P. Donati, I. Colozzi (a cura di), Il terzo settore in italia. Culture e pratiche, FrancoAngeli, Milano 2004; G. Rossi, L. Boccacin, Le identità del volontariato italiano. Orientamenti valoriali e stili di intervento a confronto, Vita e Pensiero, Milano 2006.


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G. Rossi, L. Boccacin, Le identità del volontariato italiano, cit. p. 119.

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P. Donati, I. Colozzi (a cura di), cit. p. 10 e ss.

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sente: cfr. par. 37) vi è in questa sottolineatura un richiamo alla natura costitutiva di ogni lavoro (profit o non profit) cioè del lavoro in quanto tale, che è la modalità più immediata attraverso cui ogni persona esprime e trasforma sé stessa, mentre trasforma la realtà circostante mediante la propria cultura e il proprio desidero di ben operare , così come è stato magistralmente delineata nell’enciclica Laborem exercens (di cui ricorre nel maggio prossimo il 30° anniversario) da Giovanni Paolo II, attraverso la distinzione tra lavoro in senso soggettivo (centrato sulla persona che lavora) e lavoro in senso oggettivo (inteso come mezzo di produzione). La trasmissione dei valori guida che definiscono il codice simbolico del volontariato passa attraverso un duplice processo: l’educazione dei volontari a questo tipo di valori, mediante un lavoro formativo e autoriflessivo; la capacità dei responsabili delle organizzazioni di volontariato e dei loro volontari di testimoniare, mediante la loro azione, la fecondità personale e sociale dell’azione oblativa e altruistica. Varie ricerche documentano un’elevata convergenza tra gli orientamenti identitari delle organizzazioni di volontariato e gli orientamenti interiorizzati dai singoli volontari; nel complesso è stato identificato un elevato trade off “tra le culture solidaristiche, le attività che da esse originano e l’incidenza di tali azioni sui processi di formazione dell’identità dei volontari”5. Nello stesso tempo vengono da più parti segnalate difficoltà del sottosistema privato-sociale ad esprimere una coscienza civile veramente profonda e distintiva di sé6 che impedisce di influenzare in maniera forte la cultura civile, continuando a concepirsi (e ad essere concepito) come marginale rispetto alla cultura mercantile, da un lato, e alla cultura pubblico-statalista, dall’altro. Una parte consistente dell’associazionismo sociale sostiene in effetti una visione del civile ancora subalterna al ruolo del sistema politico-amministrativo, piuttosto che consapevole della propria autonoma e propositiva soggettività. Al pari di altre aggregazioni sociali anche il volontariato partecipa della oscillazione tra comportamenti chiusi-aperti, difensivi-innovativi, particolaristici-universalistici, corporativi-solidaristici; sul piano sistemico il principale antidoto alla chiusura non va ricercato principalmente nei comportamenti virtuosi delle singole organizzazioni (ovviamente auspicabili) quanto nella pluralizzazione di tali aggregazioni e nella virtuosa competizione reciproca non solo tra i singoli enti ma anche tra le loro diverse tipologie. Accanto al volontariato orientato ai servizi opera anche un volontariato orientato ai diritti; nel primo tipo di volontariato che possiamo definire “volontariato sociale” le azioni intraprese dalle singole organizzazioni e dai singoli collaboratori sono orientate a favore di portatori di bisogni mediante servizi e prestazioni basate sulla relazione diretta; nel secondo tipo che possiamo definire “volontariato civile” si punta


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a difendere i diritti di una collettività principalmente attraverso forme di advocacy, ovvero di sensibilizzazione e denuncia. L’elevata differenziazione interna raggiunta dal composito mondo del volontariato organizzato si esprime anche attraverso forme organizzative “miste” (nelle quali convivono volontari e lavoratori retribuiti per effetto congiunto della necessaria continuità dell’azione e della professionalizzazione richiesta da talune prestazioni specialistiche), organizzazioni di secondo livello, finalizzate al coordinamento delle realtà di base, organizzazioni multilivello, con compiti di coordinamento e di rappresentanza di “reti di reti” di cui è tipica espressione il Forum del terzo settore . Senza pensare ad improbabili standardizzazioni - che finirebbero per impoverire la socialità tipica del privato-sociale - risulta oltremodo necessario incrementare gli spazi per un effettivo pluralismo delle diverse esperienze e dei diversi modelli, in linea con una bene intesa idea di sussidiarietà orizzontale che implica un incremento di progettualità, di intraprendenza, di partecipazione. 4 L’associazionismo volontario come palestra relazionale e partecipativa Al di là delle criticità, il mondo del volontariato, nel suo concreto modo di essere, riesce tuttora ad esprimere una eccedenza culturale e societaria che continua ad avere rilevanti ripercussioni sulla costruzione dell’identità personale e della coesione sociale. L’azione volontaria sostiene, in misura rilevante, la costruzione di identità dialogiche, aperte all’ascolto, alla condivisone, alla ricerca di relazioni sociali autentiche, solidali, fraterne; concorre al processo di responsabilizzazione verso se stessi e verso gli altri, allo sviluppo virtuoso dell’orientamento altruistico, della responsabilità civile e politica, dell’innovazione e della partecipazione alla casa comune, a patto di non esaurirsi su una dimensione pragmatica, facile preda del conformismo e dell’eterodipendenza. Tra le dinamiche virtuose innescate dall’azione volontaria , durevole ed organizzata, figurano la possibilità di fare i conti con la diversità, di mettersi in discussione, di condividere impegni e responsabilità con altri, di raggiungere punti di accordo. Insieme agli altri protagonisti del terzo settore (associazioni di promozione sociale, cooperative e imprese sociali, gruppi e comitati, fondazioni), le organizzazioni di volontariato contribuiscono all’empowerment delle soggettività sociali che si inseriscono tra il singolo cittadino e il sistema politico-istituzionale, sintetizzato dalla parola “stato” , da un lato, e il singolo consumatore e il sistema economico-finanziario, sintetizzato dalla parola “mercato”, dall’altro. Di questi “corpi intermedi” fanno parte tutte le forme associative (privato-sociali, politiche, economiche) che aggregano interessi, obiettivi pratici, disegni ideali e che nella loro reciproca interazione spezzano situazioni di monopolio e di (potenziale) dispotismo delle maggioranze.

L’intervento è stato pubblicato sulla rivista “Social News”


IV Vincenzo Saturni (Presidente Nazionale AVIS)

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uonasera a tutti, per prima cosa desidero ringraziare gli organizzatori per l’invito a questo importante convegno e anche i relatori che mi hanno preceduto, perché hanno introdotto alcuni temi che sono estremamente importanti e le riflessioni che sono state fatte costituiscono certamente uno stimolo per chi, tutti i giorni, si impegna ad avvicinare i giovani, a farli diventare parte integrante e protagonisti delle azioni di volontariato. I numeri che abbiamo ascoltato ci confortano ma, come è stato accennato da tutti noi, quando ci troviamo ad operare, la difficoltà a reclutare nuove generazioni all’interno delle nostre Associazioni è un vivere costante. Nel mio intervento non parlerò esclusivamente di AVIS perché l’idea è di dare un significato allargato a quello che un’Organizzazione di Volontariato come la nostra presente praticamente in tutta Italia, in 3.200 sedi e con oltre 1.200.000 soci - riesce a proporre in termini di formazione di quello che a noi piace definire “un cittadino solidale e responsabile”. Peraltro, ulteriore obiettivo strategico per AVIS è il rinforzo di politiche indirizzate ai giovani, che promuovano sia la donazione sia l’attività di volontariato tra le nuove generazioni, coinvolgendole e responsabilizzandole, rendendole protagoniste nelle fasi progettuali, per far emergere risorse talvolta non sufficientemente valorizzate. Quindi è importante un rilancio delle azioni di volontariato, cominciando a diffonderne i principali ideali ai giovani. La promozione del volontariato e di una cultura della solidarietà mette anche in


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discussione il tipo di società e di comunità locale che ci si prefigura. È diffusamente riconosciuto che l’impegno volontario ha in sé un valore formativo che travalica l’attività svolta e che è opportuno incoraggiare per gli effetti positivi sulla società, in quanto in grado di produrre capitale sociale inteso come “reticolo di relazioni cooperative (ascritte e acquisite, formali e informali, inclusive ed esclusive), retto da fiducia e norme di reciprocità, e caratterizzato da una certa stabilità nel tempo” (Mutti, 2002). Il volontariato produce legami, beni relazionali, rapporti fiduciari e cooperazione tra soggetti e organizzazioni concorrendo ad accrescere e valorizzare il capitale sociale del contesto in cui opera; questo perché il volontariato è scuola di solidarietà in quanto concorre alla formazione dell’uomo solidale e di cittadini responsabili. E quindi è indispensabile agire nel senso di coinvolgimento dei giovani, anche per dare loro una risposta significativa ai cambiamenti con cui ci si confronta. E, sebbene esistano opinioni diverse sul senso di solidarietà delle nuove generazioni, non vi sono molti dubbi sul fatto che la crisi che stiamo vivendo sia, a un tempo, una crisi economico-finanziaria, ma anche una “crisi dei valori”, a cui fa immediatamente seguito un senso di sfiducia per certi aspetti irrazionale, ma comunque tendenzialmente generalizzata. La crisi dei valori deriva da una profonda frattura tra le persone, determinata dalla mancata condivisione di valori, ovvero dall’incapacità di condividere e vivere gli stessi valori: ricostruire il dialogo è la sfida più difficile da affrontare. Un’associazione di volontariato può svolgere un ruolo importante in questo scenario proponendosi come realtà portatrice di valori, come luogo di condivisione degli stessi, come strumento per dar voce a chi crede in questi valori culturali e sociali positivi. Conoscere e comunicare diventa quindi importante per gratificare i volontari, motivare i giovani, trovare collaborazione nella cittadinanza e nelle istituzioni, per comprendere meglio gli altri, per farci conoscere, per essere responsabili e per dimostrare di esserlo All’interno della nostra organizzazione ed in questo contesto si inserisce la Consulta Giovani che, con l’attuale organizzazione, permette la rappresentanza dei giovani di tutte le regioni e l’elaborazione di proposte in tema di politiche giovanili, costituendo un importante carico di idee, destinate al bene comune e alla solidarietà, viste come parte integrante dell’Associazione e non come parte a sè stante. La nostra associazione ovviamente ha un target ben definito, opera per coinvolgere persone che si mettano a disposizione per contribuire a dare una risposta a un bisogno di salute, partecipando a garantite adeguate quantità di sangue e dei suoi componenti, sicuri e di qualità a tutti coloro che ne presentano una necessità. Ma Avis negli ultimi anni si è data una missione allargata: quando noi proponiamo la donazione consapevole che ha come essenza la gratuità - e la donazione di sangue, cioè di una parte di se stessi per gli altri, rappresenta una forma concreta e


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tangibile di gratuità - veicoliamo anche il concetto che il donatore deve avere una periodicità della propria azione, che deve essere anonimo, che dona cioè per chiunque ne abbia bisogno e non per una persona specifica perché questo è un valore forte del nostro essere volontari del dono. Tutti questi percorsi preludono alla promozione di stili di vita sia sani, perché il nostro è un ambito sanitario, ma anche positivi; si punta a favorire il passaggio nella mentalità dei ragazzi e delle persone che incontriamo il concetto di costanza della propria azione, di disponibilità per gli altri, di gratuità del gesto che compiono. Inoltre, poiché siamo nell’anno Europeo del Volontariato che prevede anche lo scambio di buone prassi, volevo focalizzare l’attenzione su alcuni nostri percorsi finalizzati ad interventi di tipo formativo ed educativo per il mondo giovanile ed in particolare con il mondo della scuola. Questa interazione ci consente infatti di far crescere la responsabilizzazione del cittadino che, al momento di diventare maggiorenne (esiste il limite di legge di 18 anni per diventare donatori), se le condizioni di salute glielo consentono, fa una scelta consapevole di aderire e di rendersi disponibile. Quindi abbiamo avviato questi percorsi con una nostra pubblicazione dal titolo“Orientare alla cittadinanza ed alla solidarietà”. Da allora, grazie anche ai protocolli sottoscritti con il MIUR, abbiamo sviluppato sempre maggiori sinergie con il mondo della scuola, all’interno del quale la nostra Associazione si mette a disposizione come agenzia educativa esterna, per sviluppare progetti nei quali i giovani sono protagonisti e non comparse. Questa impostazione nasce dalla consapevolezza che solo se i ragazzi diventano protagonisti del loro essere, del loro agire, riescono poi a mettere in pratica quello che gli viene proposto. Questa mattina, in una sessione, si diceva che l’educazione civica in alcuni casi viene messa in un angolino (un’ora ogni tanto, magari viene fatta per perdere un po’ di tempo, per rilassarsi). Secondo noi l’educazione alla solidarietà dovrebbe essere un percorso continuativo rivolto ai ragazzi perché è solo in questo modo che possono maturare le proprie scelte consapevolmente e quindi mettersi veramente al servizio degli altri. In questo senso ci sono importanti esperienze sul territorio, ad esempio negli sportelli Scuola e Volontariato dove, la possibilità di costruire i progetti direttamente con la scuola e con i ragazzi fa sì che questi ultimi rappresentano gli attori di tutto quanto accade. La risposta all’emergenza in caso di calamità naturali è quella che forse fa più presa sui ragazzi perchè è quella in cui si vede dare una risposta concreta ed immediata. Però esistono diverse altre esperienze estremamente significative, ad esempio “Nonni on line”: dove i ragazzi di un istituto tecnico insegnavano ad alcuni anziani l’uso del computer, per alfabetizzarli al mondo dell’informatica. Questo percorso è stato uno scambio generazionale significativo perché sono state messe in campo delle


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forze giovani con la tecnologia moderna per delle persone che si sono sentite rivitalizzate da questi incontri. A questi esempi si aggiungono ulteriori progetti di partecipazione, quali il Servizio Civile Nazionale ed il Servizio Volontario Europeo che è un’esperienza che permette di confrontare realtà differenti con un vissuto ma anche con una tradizione storica, culturale completamente diversa tra i vari paesi dell’Unione Europea e che consente una crescita di tutto il mondo giovanile. Questo aspetto va sottolineato perché abbiamo sentito anche oggi il tema delle difficoltà economiche della crisi con la quale tutti ci confrontiamo. Certamente all’interno di questa crisi c’è anche una crisi di valori e il volontariato può mettere quel po’ di fiducia e di stimolo che può servire a dare una speranza ulteriore e sicuramente l’investimento sui giovani è un investimento che va assolutamente fatto. Questo investimento però deve essere inserito in un principio di sussidiarietà, perché è chiaro che tutti devono fare la propria parte, ognuno per quello che concerne il proprio ruolo, però certamente non si può pensare di non investire nel mondo educativo e formativo, all’interno di un percorso che vede i ragazzi come protagonisti e il mondo del volontariato sicuramente ha la capacità di dare tutti gli strumenti necessari in questo tipo di iter. La mia voleva essere una serie non esaustiva di puntualizzazioni, anche dal punto di vista pratico, di quello che il mondo del volontariato vive oggi con una visione ovviamente particolare che è quella dell’Associazione che io in questo momento rappresento, con attenzione focalizzarci su tematiche che sono alla base del nostro agire per dare veramente una possibilità di speranza e di fiducia al mondo giovanile. Diversamente ritengo che una parte della missione del volontariato verrebbe persa. Quindi la nostra idea è che nel momento in cui siamo riconosciuti dagli italiani come una delle espressioni della società civile di riferimento e di fiducia ci assumiamo una grossa responsabilità, che peraltro ci siamo sempre assunti. E quindi organizzandoci, facendo rete e mettendoci a disposizione degli altri ci si assume la responsabilità di proposta ed interlocuzione che cerchi di indirizzare le scelte di politica sociale. Grazie.


IV Sabina Polidori Responsabile Segreteria Tecnica Osservatorio Nazionale Volontariato DG Terzo settore e Formazioni sociali Ministero del lavoro e delle politiche sociali Ricercatrice Isfol

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arlare di partecipazione implica innanzitutto un riferimento alla dimensione del “prender parte”: ad azioni, processi, atti che riguardano la collettività, dunque fa riferimento all’azione concreta e manifesta. D’altro canto partecipare vuol dire anche “far parte”: di un’associazione, di un gruppo, di una collettività, dunque vivere un sentimento di appartenenza. Questa seconda dimensione chiama in causa un processo identitario, che coinvolge l’ambito più personale e psico sociale degli orientamenti cognitivi, affettivi, e valoriali. Questo aspetto è particolarmente rilevante per la partecipazione giovanile. La “gioventù” è infatti il momento della crescita individuale nel quale si costruisce l’identità sociale e politica dell’individuo. L’adesione ad un gruppo, il riconoscimento nei valori da questo proposti, concorrono a formare e definire l’identità del soggetto che partecipa, a chiarire i confini tra il sé ed il non sé, attraverso il riconoscimento in un’identità collettiva appartenente ad una comunità. Un ulteriore aspetto della partecipazione, da prendere in considerazione ai fini del nostro incontro, è la sua valenza espressiva, ossia il fatto che partecipare sia una modalità attraverso la quale esprimere se stessi, far sentire la propria voce e di autorealizzarsi. Valenza che si rende più intensa nelle forme di partecipazione informali, in cui è senz’altro maggiore la possibilità di far valere competenze, capacità e proposte del singolo e dunque di arricchire con il proprio contributo l’esperienza collettiva di comunità.


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Gallino1 definisce la partecipazione distinguendone due sensi: l’uno forte, l’altro debole. Nel primo caso, con il termine si intende la possibilità di intervenire nei o sui centri di governo di una collettività, quindi un gruppo, un’associazione, un’organizzazione di cui si è membri. Implica, perciò la possibilità reale o l’atto concreto del concorrere a determinare, su un piano di relativa eguaglianza con gli altri membri, gli obiettivi principali della vita della collettività. Nel secondo caso, partecipare vuole dire prendere parte in misura più o meno intensa e regolare alle attività caratteristiche di un gruppo, di un’associazione, che sussista o meno per il soggetto la possibilità reale di intervenire efficacemente nelle o sulle decisioni di maggior rilievo. La partecipazione, forte o debole che sia, è perciò indissolubilmente legata all’appartenenza che ci descrive membri di un gruppo e che contribuisce alla costruzione della nostra identità sociale. Stando alla definizione di Tajfel, infatti, l’identità sociale è “quella parte dell’immagine che un individuo si fa di se stesso che deriva dalla consapevolezza di appartenere a un gruppo (o a gruppi) sociale, unita al valore e al significato emozionale associati a tale appartenenza”2. Parte integrante dell’identità sociale è poi la comunanza di stili di vita, dei quali, a chiudere il cerchio, la partecipazione sociale rappresenta una particolare area. Per Faggiano, ad esempio, la partecipazione sociale riferita ai giovani, è un’espressione utile per sintetizzare tre particolari sfere dell’agire giovanile, la partecipazione politica, l’appartenenza e partecipazione etico-religiosa e la fruizione mediale a scopo informativo3. Significativo l’incremento dell’adesione giovanile alle Realtà del volontariato. I giovani manifestano infatti a partire dagli anni ’80 il desiderio di condividere con altri e di esserci, senza riconoscersi in grandi ideali e in grandi aggregati, e la scelta del volontariato consente di raggiungere questi obiettivi coniugando il bisogno di autorealizzazione con il desiderio di fare qualcosa a favore della comunità. La partecipazione si sposta verso organizzazioni meno strutturate, le preferenze dei ragazzi vanno ad associazioni locali, calate nei contesti territoriali piuttosto che verso le grandi associazioni a carattere nazionale. I giovani oggi rifiutano la rigidità organizzativa e desiderano di immergersi nei contesti locali. Per quel che riguarda il primo punto possiamo dire che la ricerca di una maggiore libertà di espressione e il rifiuto nei confronti delle strutture rigide sono tendenze ancora riscontrabili, che hanno profondamente modificato il mondo del Terzo Settore nel suo complesso, dando vita ad una pluralità di piccole associazioni e gruppi. 1

Gallino L., Dizionario di Sociologia, 2000, Utet, Torino.

2

Cfr. Tajfel H., Gruppi umani e categorie sociali, 1995, Il Mulino, Bologna.

3

Cfr. Faggiano M.P., Stile di vita e partecipazione sociale giovanile. Il circolo virtuoso teoria-ricerca-teoria, 2007, FrancoAngeli.


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4

Cfr. Mion R., Associazionismo giovanile e volontariato, in Occhionero Ferraris M. (a cura di), I giovani e la nuova cultura socio-politica in Europa, Franco Angeli, 2001.

5

Cfr. Boudon R., Declino della morale? Declino dei valori?, Bologna, Il Mulino 2003.

6

Cfr. Buzzi C., Rischio, reversibilità, sfiducia negli altri, disagio, in Buzzi C., Cavalli A., De Lillo A. (a cura di), Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto sulla condizione giovanile in Italia, Bologna, il Mulino 2002.

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Si tratta, anche in questo caso, di un riflesso dei più grandi mutamenti su scala sociale, che hanno riverberi nel campo delle scelte individuali: il processo di individualizzazione in atto, richiede al soggetto di essere “autentico”, di compiere scelte in autonomia, dimostrando a se stesso ed agli altri chi è e cosa può fare. Non è più, o non solo, l’adesione al gruppo, la scelta solidaristica a contare, ma anche la possibilità di essere se stessi, di realizzarsi. Da tener presente anche la nostra contemporaneità, caratterizzata da scenari incerti e fluidi della società attuale si caratterizzano per una elevata differenziazione strutturale e culturale, nonchè per il proliferare di sistemi valoriali molteplici e fragili. In questo contesto, la condizione giovanile4 assume i contorni sfumati e frammentati di un’età aperta, di cui si fa fatica a costruire una rappresentazione omogenea per stile di vita, modalità espressive e comportamenti collettivi. E’ difficile rilevare tratti generazionali specifici o modelli culturali e partecipativi distintivi, ma molteplici volti generazionali invisibili, diffusi e diluiti in spazi simbolici e materiali inediti. Gli under trenta risultano “scollati” dai grandi motori di senso dei sistemi valoriali un tempo prevalenti ma, privi di assetti societari tradizionali, si ispirano a configurazioni valoriali “deboli”, ripiegando spesso su prassi esistenziali autocentrante e personalistiche. In realtà, entro un orizzonte di senso in cui l’individualismo non è un valore alternativo agli altri quanto un principio ordinatore5, le tendenze delle culture giovanili6 (pragmatismo, reversibilità delle scelte, canali a doppia moralità, accettabilità del rischio, non assunzione definitiva della responsabilità) sembrano esprimere, alla base delle proprie scelte, la fragile debolezza di un impianto valoriale non unitario. Si tratta di una premessa cruciale per definire lo scenario motivazionale e valoriale entro cui riportare l’impegno volontario giovanile – e con esso le principali variabili descrittive del fenomeno. Una nota che, come vedremo più oltre, solleva la questione dell’applicabilità all’universo giovane delle più tradizionali ipotesi interpretative del volontariato, in termini di efficacia ed esaustività. La cultura post-moderna degli under trenta presenta tratti distintivi che vengono attivati in base al contesto situazionale, più che rispondere ad un sistema valoriale univoco e di ordinamento dei significati. Abbiamo di fronte una generazione i cui sistemi valoriali di riferimento sono a “geometria variabile”, adattati di volta in volta al contesto situazionale che il giovane si trova a sperimentare. Rispetto all’identità dell’individuo, questi sistemi non possono essere completamente indipendenti o contradditori ma certamente non sono così stabili e consolidati da rispondere alle sollecitazioni senza esserne messi in discussione: “Il politeismo dei valori degli adolescenti sa-


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rebbe, dunque, la risposta ad una situazione anomica, caratterizzata dalla crisi dei grandi sistemi valoriali tradizionali: una anomia che non è il frutto di una mancanza di valori o una negazione dei valori della società adulta ma (..) un segnale che i valori trasmessi ed incarnati dalla generazione dei padri hanno bisogno di essere sottoposti ad una revisione per poter rispondere efficacemente alle nuove sfide della società contemporanea”7. La lettura, in questi termini, del sistema valoriale giovanile restituisce un’immagine di quale sia l’universo di riferimento che guida le azioni dei giovani, esprimendone significati e motivazioni. In questa ottica, la difficoltà dei giovani ad organizzare i valori secondo modelli pregressi può tradursi in una fenomenologia partecipativa inedita e sensibilmente diversa. Ne deriva l’ipotesi di un protagonismo societario sui generis che si muove probabilmente fuori dalle tradizionali forme di mobilitazione sociale, attivo negli interstizi fluidi, informali e relazionali della società. A tal proposito è stato: - osservato8 come l’aggettivo “assente” non sintetizzi solo in modo esemplare il valore attribuito o l’esiguità dell’impegno volontario giovane ma, soprattutto, l’inesistenza di categorie analitiche con le quali interpretare una fenomenologia partecipativa giovanile sui generis; - precisato9 come esista un impasse interpretativo che, poggiando su un approccio analitico per contrasto con le precedenti generazioni, ha la sua logica conseguenza in una distorsione conoscitiva delle dinamiche giovanili: i giovani, quando ci sono, si fanno compagine sociale indistinta, si eclissano, diventano realtà sommersa e “invisibile”. L’impegno volontario si profila, in questi termini, come espressione di micro-prassi sociali, portatore di una sensibilità partecipativa nuova, espressione di forme non burocratiche né omologanti di cittadinanza sociale. È la dimensione localistica, informale e spontanea il contesto privilegiato dei giovani, i quali scelgono preferibilmente bacini partecipativi diretti, radicati in rapporti faccia a faccia, non mediati da ruoli rigidamente definiti. Si tratta, dunque, di strutture di mediazione che presentano uno spiccato e informale spessore relazionale, nelle quali per informalità non ci riferiamo, ovviamente, alle caratteristiche dei singoli reticoli sociali, che possono presentare invece livelli molto alti di strutturazione formale, ma alla proprietà del sistema di relazione tra i soggetti. I giovani sembrano farsi portatori di una concezione del volontariato come sfida della prossimità, ponendosi al centro delle reti di solidarietà come un prezioso propulsore di energie partecipative, dinamiche e innovative. In tal senso, “le attività di 7

Cfr. Buzzi C., Rischio, reversibilità, sfiducia negli altri, disagio, in Buzzi C., Cavalli A., De Lillo A. (a cura di), Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto sulla condizione giovanile in Italia, Bologna, il Mulino 2002.

8

IREF, Ottavo Rapporto sull’associazionismo sociale, Roma, Edizioni Lavoro, 2003.

9

Diamanti I. (a cura di), La generazione invisibile. Inchiesta sui giovani del nostro tempo, Milano, Il Sole 24 Ore, 1999.


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volontariato possono considerarsi come uno dei migliori esempi di partecipazione, e dunque come una componente essenziale, se non addirittura come un presupposto, della cittadinanza attiva”10

10 Parere CESE, Le attività di volontariato, il loro ruolo nella società europea e il loro impatto, SOC/243, 24 novembre 2006. Il Comitato Economico e Sociale è stata la prima istituzione europea ad invitare la C.E. a proclamare un Anno del volontariato e a pubblicare al più presto un Libro bianco sulle attività di volontariato e la cittadinanza attiva in Europa, con l’obiettivo di evidenziare le reciproche influenze dei due fenomeni e di sottolinearne le dimensioni e l’importanza. Dato che gran parte dell’attività volontaria viene svolta nel contesto locale, il Libro bianco dovrà contribuire all’elaborazione di una strategia che consenta di rafforzare la dimensione europea di tale attività e di promuovere la cittadinanza europea attiva e l’identificazione europea.

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E’ importante rilevare che la cittadinanza attiva è solo uno dei presupposti/caratteristiche del volontariato, in quanto ciò che caratterizza il volontariato è la gratuità, l’altruismo, la reciprocità, la fiducia, la solidarietà, ecc.; elementi che costruiscono e alimentano sia legami sociali di comunità sia beni relazionali di comunità. La promozione del volontariato nella società serve a diffondere tra i cittadini (quindi anche tra i giovani) la consapevolezza dell’impegno come valore sociale, in questo modo vengono realizzati i presupposti per la costruzione di una società più solidale, sia per quello che riguarda i rapporti umani, sia per l’aspetto del vivere civico. Come recita anche il 2° comma dell’art. 4 della Costituzione italiana, “ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.” Quindi l’essere volontari deve andare oltre la scelta individuale per diventare uno stile di vita attraverso il quale i giovani, e non solo, esercitano la cittadinanza attiva, responsabile e condivisa, ma soprattutto, gratuitamente, l’altruismo, la reciprocità, la fiducia, la solidarietà.

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Il concetto di cittadinanza è un concetto di non facile definizione, soprattutto quando si vuole uscire da una sua visione collegata puramente ad uno status legale. Infatti il concetto di cittadinanza contiene in sé implicazioni che vanno al di là di quelle connesse all’ambito dei diritti e doveri che derivano dall’appartenenza di un soggetto ad una comunità politicamente definita. Come evidenziano Kymlicka e Norman1 nella parola “cittadino” sono impliciti fattori comportamentali (essere un buon cittadino, agire da buon cittadino e così via) che apportano al concetto di cittadinanza una connotazione propria dell’agire. Ma poiché l’agire avviene sempre in un contesto che per sua natura si modifica con il cambiare delle condizioni culturali sociali ed economiche anche il concetto di cittadinanza evolve sia nel tempo che nello spazio. Dunque la cittadinanza, come attività, come processo di partecipazione attiva alla comunità (o alle comunità) di appartenenza e come complesso di conoscenze, sentimenti, atteggiamenti e comportamenti degli individui ci porta inevitabilmente ad individuarne i legami con l’acquisizione/ impiego di competenze che rendano reale ed efficace l’agire da cittadino.


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Le valenze del volontariato: • Costruzione dell’identità • Sperimentazione di sé in attività socialmente riconoscibili • Incremento del capitale umano: acquisizione di competenze in vario modo spendibili • Esplorazione del mondo, oltre la “socialità ristretta”dei microcosmi giovanili • Sviluppo di capitale sociale: frequentazione, interazione, collaborazione con adulti significativi • Socializzazione alla vita associativa, al confronto democratico, alla dimensione politica

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Le attività di volontariato, quindi, favoriscono lo sviluppo della solidarietà e del dovere civico. Con la partecipazione ad esperienze di volontariato, i giovani vengono coinvolti attivamente nelle dinamiche sociali, attraverso attività rivolte alla cura della persona disagiata ed ai beni collettivi (ambiente, patrimonio artistico, ecc.), ciò li aiuta a sentirsi parte integrante della società e a sviluppare un forte senso di cittadinanza e di partecipazione alla comunità. Inoltre per i giovani le attività di volontariato servono anche a confrontarsi e li aiutano a compiere scelte in contesti relazionali nuovi, diversi da quelli abituali quali la famiglia e la scuola; per mettere “in circolo” fattivamente tutto ciò è nato il Progetto Giovani e Volontariato: un laboratorio di idee in evoluzione. Progetto che nasce all’interno dell’Osservatorio Nazionale per il Volontariato11 grazie sia all’esperienza maturata dai Centri di Servizio per il Volontariato (i primi sportelli Scuola e Volontariato nascono a Torino e Milano) sia all’approvazione, quindi successiva realizzazione, del progetto sperimentale: “Scuola e solidarietà – solidarietà e legalità per prevenire il disagio giovanile”, presentato con la Circolare dei progetti sperimentali di volontariato del 2001 (ai sensi dell’art. 12 della L. 266/1991) dal Centro Nazionale del Volontariato di Lucca; quindi sulla base dell’esperienza portata avanti in relazione al monitoraggio e alla valutazione continua sulla partecipazione giovanile alle attività progettuali dei progetti finanziati dal Fondo Nazionale del suddetto Osservatorio. Dalle informazioni in nostro possesso – derivanti da progetti rivolti alle fasce giovanili, approvati con la citata L. 266/1991- a partire dal 1997 al 2010, si è rilevato che buona parte dei giovani considera che “un’esperienza di volontariato” consenta di aumentare il loro grado di conoscenza rispetto a temi che normalmente non conoscono direttamente (disagio ed emarginazione sociale; tutela dell’ambiente e del patrimonio artistico; attività all’interno di enti pubblici per servizi alla cittadinanza; ecc.). Naturalmente queste impressioni variano in base alla formazione personale, alla 11 L’organismo si è occupato anche della realizzazione del Protocollo D’Intesa tra la Commissione parlamnetare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altrte associazioni criminali similiari. Protocollo del 1998 tra il Ministero della Pubblica Istruzione e il Dipartimento per gli Affari Sociali della Presidenza del Consiglio.


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12 Il concetto di cittadinanza viene infatti modulato e qualificato con una serie di aggettivazioni, quali cittadinanza democratica, cittadinanza responsabile, cittadinanza globale, cittadinanza attiva ecc. e ciascuna di queste viene assunta come il contenuto di una educazione particolare e specifica. In molti casi manca una definizione di tale educazione particolare, ma anche dove la stessa viene fornita, questo avviene senza alcun inquadramento della educazione particolare nell’ambito di un concetto generale di “educazione alla cittadinanza”. Cfr. Antonio Padova, Deontologia civica, 2006 13 Trattasi della rapporto di ricerca Giovani e Volontariato: un laboratorio di idee in evoluzione, ed. 2007, cfr. pag. 27. 14 Cfr. De Lillo A, Il sistema dei valori, in Buzzi et al., (a cura di), Giovani del nuovo secolo. Quinto Rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, Bologna, Il Mulino, 2000.

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provenienza dei giovani e in base all’impegno che effettivamente essi dedicano alle attività di volontariato. In base ai dati sopra esposti e in corrispondenza alle esigenze di una società in continua trasformazione e in concordanza con quanto dichiarato nel Libro Bianco della Commissione Europea: “Un nuovo impulso per la gioventù europea”, che, nell’ambito di una nuova forma di governance, individua nel volontariato uno dei settori fondamentali di intervento in grado di fornire loro una occasione di crescita personale attraverso azioni di volontariato, oltre a offrire risposte valide contro l’isolamento, l’emarginazione e le devianze, presente e/o da realizzare nelle comunità giovanili è nato il citato progetto Giovani & Volontariato che si pone come obiettivo la promozione e l’incentivazione del volontariato nelle giovani generazioni, come esperienza di cittadinanza attiva e responsabile12 (valorizzazione delle diverse esperienze che i giovani compiono nei contesti che frequentano abitualmente: famiglia, scuola, volontariato e associazionismo, sport e mondo del lavoro), anche attraverso gli sportelli della condivisione e della solidarietà da estendersi all’interno delle Associazioni di volontariato e nei luoghi del cosiddetto “tempo libero”. Come è stato evidenziato e rilevato nell’ultimo rapporto di ricerca dell’Osservatorio Nazionale per il Volontariato13 i giovani sembrano farsi portatori di una concezione del volontariato come sfida della prossimità ponendosi al centro delle reti di solidarietà come un prezioso propulsore di energie partecipative, dinamiche e innovative. E’ interessante a tal riguardo riportare alcuni elementi descrittivi dell’universo valoriale giovanile14 entro cui va a posizionarsi l’esperienza del volontariato. Una rapida ricostruzione della gerarchia dei valori giovanili e del posizionamento valoriale della solidarietà nel sistema di riferimento dei ragazzi conferma saldamente ai primi tre posti i legami personali riferiti alla sfera familiare (quasi 86%), amicale (70,3%) e affettiva (77,6%); la solidarietà registra il 48,5% dei consensi. I dati del rapporto IARD confermano il peso crescente che i giovani riservano alle relazioni interpersonali più immediate, configurandole come una sorta di “nocciolo” valoriale compatto riferito all’intorno sociale vicino al ragazzo. Le quattro categorie omogenee individuate per il più articolato sistema dei valori (valori individuali, valori di tipo evasivo, valori della vita collettiva, valori legati all’impegno personale), rivelano che i giovani, al di là della dominante categoria legata ai


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valori affettivi, presentano una media piuttosto elevata per l’etichetta “vita collettiva” associata, principalmente, alla solidarietà e all’eguaglianza sociale. I giovani confermano di non essere sostanzialmente estranei ai temi della società civile e di disporre di un certo livello di cultura civica. Ricostruendo lo spazio concettuale e semantico entro cui si collocano le risposte degli intervistati, l’indagine ha realizzato una mappa dei valori giovanili interpretabile sulla base di due assi: quello espressivo del rapporto tra socialità ristretta e collettività e quello indicativo dello spazio che dalla dimensione dell’esteriorità arriva alla dimensione interiore e personale. Nello spazio individuato tra socialità ristretta e interiorità, si rintraccia un nucleo valoriale fondante per la costruzione del sistema di vita del giovane: questo set di valori rappresenta il punto centrale di attenzione dei giovani (appunto famiglia, amici, amore, autorealizzazione e lavoro). L’aspetto interessante è il significato attribuito a quei valori appartenenti solitamente all’area collettiva (eguaglianza, solidarietà, libertà e democrazia) ma che risultano collocati nell’area della socialità ristretta, vicini ai valori propri della vita individuale: questi temi sono considerati non tanto esercizio di virtù civiche e conquiste collettive ma elementi costitutivi della propria identità, una sorta di diritto personale da far valere. Si tratta di valori semanticamente abbinati a quelli della famiglia, dell’amore o dell’amicizia; valori della socialità ristretta a cui vengono di fatto assimilati: “Anche i valori della vita collettiva, dunque, appaiono definitori del proprio intorno sociale: si vive con i propri amici, si fa riferimento agli affetti più cari, nel bozzolo delle relazioni primarie ed è per la difesa di tale bozzolo che si chiede solidarietà e libertà. I valori conquistati per tutti vengono piegati alle richieste di sicurezza e rassicurazione che solo l’intorno sociale più vicino e tranquillizzante può garantire”15. ****** La promozione della cultura e dello stile di vita dell’essere volontari nelle organizzazioni di volontariato, negli spazi giovanili dedicati al tempo libero, nelle scuole, nello svolgimento del Servizio Civile Nazionale, oltre al Servizio Volontario Europeo, costituiscono elementi fondamentali per la partecipazione dei giovani alla vita civile, al sistema della democrazia rappresentativa e alla cittadinanza partecipata (Risoluzione del Consiglio d’Europa del 25 novembre 2003 in materia di obiettivi comuni sulla partecipazione e informazione dei giovani (2003/C/04). Il Consiglio d’Europa da diversi anni si occupa del tema dell’educazione alla cittadinanza, in particolare nel quadro del programma EDC – Education for Democratic Citizenship16, il cui scopo è individuare quali valori e competenze occorrono per divenire cittadini partecipi, 15 Cfr. De Lillo, nota 6 del presente documento. 16 L’educazione alla cittadinanza democratica diventa una politica prioritaria per il Consiglio d’Europa al Secondo Summit dei capi di Stato e di Governo tenutosi a Strasburgo nell’ottobre 1997. Il progetto per l’EDC nasce nel 1997 con lo scopo di ricercare quali valori e quali capacità richiedono gli individui per diventare cittadini partecipativi. Una prima fase del progetto si è sviluppata nel periodo tra il 1997 e il 2000 e una seconda fase dal 2001 al 2004.


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17 Cfr. Ralf Dahrendorf, La società riaperta, Roma-Bari, Laterza, 2004.

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come si possono acquisire queste competenze e come possono essere insegnate ad altre persone, ponendo anche l’attenzione sul tema dell’interculturalità che è interconnesso con quello della cittadinanza che “definisce in forma pratica ciò che tutti gli uomini hanno in comune, così che siano liberi di svilupparsi in tutta la loro diversità”17. Nella società multietnica e multiculturale non è più concepibile una visione etnocentrica che si barrichi in difesa delle proprie caratteristiche peculiari, ma che al contrario auspica un confronto reciproco che porti a riconoscere la legittimità, il valore e la funzionalità di ogni cultura per la crescita soggettiva e della comunità. La consapevolezza, quindi, che l’unico approccio possibile è quello della conoscenza e dell’educazione reciproca, per formare i futuri cittadini responsabili del mondo; la coscienza che incomprensioni e pregiudizi di secoli, rimangano seri ostacoli al dialogo ed è necessario, quindi, adottare nuove strategie che inducano a stabilire rapporti dinamici, partendo dal presupposto che l’individuo/comunità accoglie e rispetta solo ciò che comprende e che comprende solo ciò che conosce. Nell’ambito di quanto sopraesposto a partire dal 2007 – all’interno del progetto Giovani e Volontariato: un laboratorio di idee in evoluzione - sono nati i “Laboratori della cittadinanza: condivisa e partecipata”, che si pongono come: - obiettivo generale di rafforzare il ruolo determinante della scuola, insieme alle organizzazioni di volontariato e di cittadinanza attiva, come luoghi privilegiati per la sensibilizzazione, la formazione e l’educazione delle giovani generazioni alla solidarietà e alla coscienza critica, attraverso lo strumento della progettazione sociale. Partecipando attivamente alla progettazione, i giovani sono coinvolti nelle dinamiche sociali, attraverso attività rivolte alla cura delle fasce deboli e ai beni comuni. Queste attività li aiuteranno a sentirsi parte integrante della società, a sviluppare un forte senso di cittadinanza comunitaria e a creare uno stile di vita dove la partecipazione e la condivisione rappresentano la base della crescita personale di ogni individuo che vive nella comunità; - obiettivo generale, al fine di promuovere tra i giovani partecipanti al progetto, l’interesse e l’attenzione alle tematiche afferenti alla cittadinanza attiva, si intende perseguire, in tutti gli ambiti territoriali coinvolti, i seguenti obiettivi generali che costituiranno il “filo conduttore” dell’intervento. • Educare/Formare alla convivenza civile; • Educare/Formare alla cooperazione; • Accompagnare nella crescita umana e personale, • Educare/Formare attraverso l’antimafia dei diritti, attraverso la democrazia, il radicamento dei valori civili, dei bisogni fondamentali dei cittadini; • Contribuire alla formazione dei giovani come comunità educante ed educativa; • Promuovere un’autentica educazione alla convivenza civile e democrazia, delradicamento dei valori civili, dei bisogni fondamentali dei cittadini, che aiuta i


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giovani a costruire il proprio futuro mediante scelte consapevoli e responsabili; • Educare/Formare alla solidarietà; • Offrire elementi di sensibilizzazione per favorire l’acquisizione di motivi cheaiutino i ragazzi a ponderare e fare scelte in favore della legalità; • Stimolare una personale ricerca, per creare un comportamento responsabile, cosciente e consapevole. I beneficiari primari dell’iniziativa sono studenti di ordine grado, che parteciperanno attivamente ai moduli formativi individuati dall’istituzione scolastica e dalle organizzazioni di volontariato, come utili agli approfondimenti di tematiche inerenti alla cittadinanza attiva. Successivamente, in collaborazione con i volontari delle organizzazioni coinvolte, progettano un’iniziativa finalizzata a rispondere ad uno o più bisogni territoriali connessi agli aspetti formativi. I beneficiari secondari dell’iniziativa saranno, invece, le istituzioni scolastiche coinvolte, le organizzazioni di volontariato, i Centri di Servizio per il Volontariato e la cittadinanza allargata che attraverso lo scambio relazionale con il mondo giovanile, hanno occasione di riflettere maggiormente sui temi progettuali e di “leggere” alcune dinamiche territoriali con una visione differente. A tal proposito riporto di seguito alcune risultanze significative che seguono al rapporto finale della ricerca esplorativa18, riguardante la prima annualità dei suddetti Laboratori che ha visto come ente capofila la Provincia di Torino e come enti cottuari le Province di Arezzo, Avellino, Palermo e Trevisto che è stata presenta lo scorso anno a Torino, insieme alle stesse Province e ai ragazzi coinvolti nelle attività “laboratoriali”. Il Progetto in questione – che ha coinvolto direttamente 16 Istituti Scolastici, 289 allievi, 24 formatori individuati dai Centri di Servizio e/o dalle Organizzazioni di Volontariato, 35 docenti e 50 volontari – è caratterizzato dall’attuazione di interventi finalizzati a fornire ai partecipanti (generalmente ragazzi delle terze e quarte classi di Istituti di Istruzione Superiore), gli strumenti ed i metodi per la progettazione sociale, l’analisi territoriale e l’approfondimento di conoscenze attinenti la diversità, l’ambiente e la legalità al fine di attivare, nelle singole scuole coinvolte, laboratori di cittadinanza partecipata. Le attività sono state articolate in otto fasi (sette più una trasversale) • Fase trasversale: Monitoraggi • Fase 1. Ricerca Esplorativa • Fase 2. Incontro formativo per i referenti provinciali, scolastici ed i docenti coinvolti • Fase 3. Incontri formativi territoriali 18 Cfr. Rapporti di Ricerca, I Giovani e il Territorio, Polidori S., Rotondi S., Tavazza A., Ministero del Lavoro e dellePolitiche sociali - Osservatorio Nazionale per il Volontariato e Provincia di Torino, 2010.


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• Fase 4. Seminario di presentazione • Fase 5. Laboratori di Cittadinanza Partecipata (fase formativa) • Fase 6. Laboratori di Cittadinanza Partecipata (fase attuativa) • Fase 7. Convegno finale I dati emersi ci restituiscono una fotografia delle loro “energie”, “visioni”, e “aspettative” rispetto al territorio in cui vivono. Quello che interessava non era tanto ricostruire un profilo generico dell’universo giovanile, ma conoscere e quindi soffermarci sui processi di attivazione di cittadinanza e partecipazione, rilevando quindi il rapporto esistente con il Territorio, come essi vivono e cosa vivono del loro contesto sociale e della comunità. La caratteristica fondamentale della dimensione giovanile è quella di essere considerata un momento di transizione verso l’età adulta e la tensione verso l’autonomia è la caratteristica fondamentale di questo ambito generazionale. L’autonomia come concetto specifico ha però sia una dimensione materiale, sia una dimensione precipuamente identitaria. La dimensione materiale è quella relativa al reddito ed alle modalità per raggiungerlo, le condizioni abitative, mentre quella identitaria è relativa ai processi di costruzione del sé, dell’espressione dei propri valori e dei propri bisogni, dei propri orientamenti soggettivi. Ed è proprio in questa ultima direzione che secondo noi si forma e si radica la cittadinanza attiva, condivisa e partecipata, perché ha a che fare con questa sfera soggettiva dell’individuo giovanile ed è su questa che abbiamo rivolto la nostra attenzione nella presente indagine esplorativa. Dalla ricerca realizzata emergono alcuni aspetti che di seguito si sintetizzano per avere un quadro d’insieme che fissa i caratteri peculiari della stessa analisi. Innanzitutto l’entità territoriale di riferimento è quella locale, segnale che i giovani sono legati al proprio contesto circoscritto. Il valore più importante è la famiglia, seguita dalle reti amicali. La problematica che avvertono come prioritaria è quella dell’occupazione, mentre il dato significativo, in linea con le recenti ricerche nazionali, è l’assenza totale dell’impegno politico come valore prevalente per la propria vita. Lo sport si conferma grande strumento di rivendicazione della propria autonomia: viene considerato sia come interesse prioritario nel proprio tempo libero, sia un’esigenza da soddisfare anche tramite la realizzazione, da parte delle istituzioni locali, di nuovi impianti. Rispetto alle motivazioni che spingono i giovani a partecipare, prevale l’orientamento al sé, ossia il “bisogno di sentirsi parte di un gruppo”, la “voglia di divertirsi”, “l’espressione del sé”: tutte esigenze del singolo. Poco presente, invece, è in generale “l’orientamento ai valori”, siano essi “valori religiosi”, “valori etici” o “politici”. I giovani/studenti intervistati si mostrano abbastanza soddisfatti dei servizi offerti sul proprio territorio, soprattutto relativi allo svago ed al divertimento, mentre poco sod-


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disfatti sono rispetto alle condizioni lavorative e al clima sociale relativo alla tolleranza tra le persone. Riguardo all’esperienza nel volontariato, la maggior parte di essi non ha mai avuto possibilità di sperimentare questa attività anche se potenzialmente sono interessati a farlo in futuro. Emerge fortemente che molti di loro non conoscono associazioni sul proprio territorio, segnale questo che dovrà essere rafforzato il ruolo dei Centri di servizio per il volontariato, della scuola, delle singole istituzioni locali, al fine di promuovere maggiormente il volontariato come stile di vita e quindi come valore culturale. I giovani, inoltre, si aspettano che le Istituzioni promuovano soprattutto spazi aggregativi ed attivino politiche per l’inserimento lavorativo; in ultima istanza dichiarano che la modalità migliore per sentirsi coinvolti è proprio quella di avere un costante rapporto con gli amministratori locali rivendicando, quindi, anche un loro potere decisionale nelle piccole scelte della vita quotidiana. Nel considerare invece le risultanze delle singole realtà provinciali, alcuni dati sembrano degni di valorizzazione: relativamente alle attività svolte nel tempo libero, non ci sono sostanziali differenze, tranne la presenza per i giovani di Palermo, di un significativo interesse per il computer ed internet. Lo sport si conferma essere in primis l’attività preferita per i giovani delle 5 Province. Sui valori predominanti la famiglia e il lavoro accomunano tutti i giovani, anche se coloro che vivono a Treviso si mostrano molto più sensibili soprattutto alle reti amicali, rispetto al lavoro. Le motivazioni alla base della partecipazione sono prevalentemente quelle solidaristiche e quelle di appartenenza ad un gruppo, con la particolarità della Provincia di Arezzo che mostra un’attenzione dei giovani alla dimensione del divertimento/aspetto ludico nell’impegnarsi attivamente sul proprio territorio. Infine, rispetto all’entità territoriale di riferimento emerge che i più orientati ad un approccio “localistico”, ossia che si identificano con il proprio Comune, sono i giovani di Palermo e di Benevento, mentre i più vicini ad un approccio “globale” sono i trevigiani. I giovani di Arezzo e di Torino, invece tendono ad identificarsi soprattutto con la “propria Nazione”. La differenza tra orientamento tra i giovani del Nord e del Sud emerge chiaramente: il radicamento territoriale molto vicino al proprio quartiere è prevalente negli alunni che vivono nel Centro, Sud, mentre i giovani residenti nel Nord del nostro paese tendono ad avere un approccio patriottico e globale. In generale possiamo affermare che la fotografia che emerge da questa indagine ci fa riflettere e ci restituisce il quadro di una realtà giovanile che manca di progettualità futura per la precarietà diffusa caratterizzante la nostra società attuale e per la mancanza di comunità condivise e partecipate in maniera “allargata”. Bisognerebbe sviluppare politiche giovanili che partano dalle esigenze dei giovani e dai loro bisogni, attingendo al bagaglio di esperienze specifiche.


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19 Bauman Z. (1996), Le sfide dell’etica, Feltrinelli, Milano. 20 Arendt H., Vita activa. La condizione umana, Bergamo, Bompiani, 1998.

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I giovani di oggi vivono in una società eticamente “neutra”, come la definisce Bauman “adiaforica”19, ossia una società indifferente al problema del bene e del male, senza punti di riferimento certi. In questo scenario, da dove bisogna partire allora per promuovere la cittadinanza attiva tra i giovani? Innanzitutto bisogna saper riconoscere ed intercettare le nuove forme di cittadinanza e partecipazione oggi presenti sul Territorio. Si tratta infatti di cogliere forme allargate di partecipazione giovanile alla vita locale, che si manifestano con modalità diverse dal passato, quali ad esempio l’associazionismo informale e quello virtuale, ossia il partecipare ad attività sportive, il fare musica insieme agli amici, suonare in una band, partecipare ai social network. Se queste sono le forme, bisogna saper trovare strumenti ed interventi idonei che favoriscano la partecipazione e la cittadinanza attiva e facciano rapportare la popolazione giovanile con gli enti locali al fine di facilitare l’incontro tra giovani ed istituzioni, primo passo verso una conoscenza reciproca e la costruzione congiunta di un nuovo modello di società civile. La prevalenza dell’individualismo e della competizione porta l’individuo contemporaneo ad avvertire una concomitante necessità di “appartenere” e contrastare la disaggregazione delle trame sociali e la percezione di un qualche sradicamento personale, familiare e sociale. All’interno di questi “non luoghi”, simboli per Augè della nostra epoca, si avverte una crescente domanda di “senso”, una ricerca di luoghi significativi in cui ridefinire, attraverso rapporti significanti e profondi, una nuova attribuzioni di senso allo spazio pubblico della “vita activa”20. Ecco allora che il territorio in cui si vive può diventare davvero per i giovani una risorsa importante, ma deve essere considerato in un serbatoio di identità e non un luogo di protezione e di chiusura. I giovani sono i principali drivers del cambiamento nelle società contemporanee: attori sociali in grado di giocare un ruolo determinante; è in loro che si sedimentano le nuove tendenze destinate, nel tempo, ad estendersi alla famiglia, alle generazioni adulte, all’intera società. Rappresentano una potente dinamica di innovazione “dal basso”, che li vede protagonisti di un processo accelerato di ridefinizione degli stili di vita, di diversificazione e allargamento degli interessi, di crescente apertura della società italiana alle tecnologie e alla ricchezza culturale del territorio. Ma i giovani appaiono, soprattutto, indecifrabili e indefinibili: è evidente che la stessa autarchia dei codici espressivi generazionali rischia di provocare una profonda frattura culturale rispetto agli adulti. La sfida attuale è quella di pensare a comunità territoriali più a misura di giovani, con spazi di partecipazione e di aggregazione per ricostruire i legami sociali, rigenerare


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la cittadinanza. Il concetto di partecipazione oggi significa sempre di più “prendere parte” e “sentirsi parte” a processi, alla comunità, per la ricerca di un “bene comune”. La cittadinanza partecipata per non ha dunque un valore ontologico, ma strumentale: partecipare è un mezzo, un vero e proprio metodo e stile di vita. Il problema è riuscire a stimolare i giovani ad attivarsi; rendere accoglienti ed “elastiche” le organizzazioni che vogliono integrare i giovani; dare continuità al protagonismo diretto dei giovani trasformandolo in spazi decisionali e di confronto condivisi e reali. Il ruolo degli adulti è fondamentale in questo processo di costruzione della cittadinanza partecipata perché essi sono i mediatori, facilitatori, che consentono di sviluppare autonomia e coscienza critica. C’è dunque spazio per una partecipazione giovanile, purché le organizzazioni di volontariato, e in generale l’associazionismo, e le Istituzioni sappiano leggere con nuove lenti le innovazioni che le giovani generazioni stanno portando avanti in questo ambito e siano pronte a modulare le proprie risposte mantenendosi costantemente aperte al confronto. A tal rigiuardo si ritiene necessaria una maggiore capacità di proposta, da parte delle organizzazioni di volontariato di esperienze concrete, di occasioni, di opportunità che facciano conoscere e vivere ai giovani la concretezza e la positività dell’esperienza del dono, della relazione d’aiuto e della condivisione. Per questo avvicinare, quindi, il mondo delle organizzazioni di volontariato con quello della scuola è di fondamentale rilevanza. È auspicabile un avvicinamento reciproco dove ogni parte sia promotore partecipe di un percorso utile, fecondo di cambiamenti e di sviluppi. Siamo di fronte ad un patto condiviso per la comunità costruttrice di “legami sociali”: una autentica scommessa e impegno alla cittadinanza societaria attiva, condivisa e partecipata destinata ai nostri attori più preziosi: i giovani.


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SESSIONE PROMOZIONE E RAPPRESENTANZA DEL VOLONTARIATO Promotion and Representation of the voluntary work sector Moderatore: Luciano Dematteis

Vicepresidente nazionale ANPAS

Relatori: Emma Cavallaro

Presidente Convol Conferenza permanente Presidenti Associazioni e Federazioni nazionali di volontariato

Andrea Olivero

Presidente Forum Terzo settore

Antonio Miglio

Vicepresidente ACRI – Ass. di Fondazioni e Casse di risparmio

Marco Granelli

Assessore Volontaraito, Politiche sociali e PC CittĂ di Milano

Emanuele Alecci

Vicepresidente Commissione Politiche sociali CNEL


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rima di entrare nel merito del convegno, vorrei fare una introduzione analizzando, in chiave volontariato, il rapporto annuale del Censis. Questo rapporto descrive l’Italia come un Paese che, a fronte di una sequenza positiva sul piano dello sviluppo industriale, con la crescita di imprese di qualità che promuovono il made in italy nel mondo, ed una visione che sembra poter superare le turbolenze finanziarie addensatesi negli ultimi tempi, non riesce a far filtrare queste positività negli strati più ampi della società. Secondo lo stesso rapporto lo sviluppo non filtra perché non diventa processo sociale in quanto la nostra società si è adagiata su una inerzia diffusa senza prospettive future. Una realtà che diventa ogni giorno più magmatica intrisa di emozioni, esperienze, pulsioni, indifferenti ai fini di obiettivi futuri ma ripiegata su se stessa e con una visione mirata al vivere giorno per giorno. Tutto ciò è confermato se si esamina settore per settore la nostra realtà sociale, dalla politica alla violenza nelle strade e nelle famiglie, alla microcriminalità urbana e a quella organizzata, alle dipendenze da droga e alcol, all’integrazione degli immigrati, alle disfunzioni del servizio pubblico e ai vari veti incrociati che bloccano ogni sviluppo. Viviamo in un paese ove ognuno conduce battaglie contro qualcun altro, con il solo obiettivo di prevalere personalmente senza una visione di programmazione globale a favore non del singolo ma della comunità.


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In una società di questo tipo è sicuramente difficile prevedere uno “ sviluppo di popolo” a meno che, sempre secondo il Censis, scendano in campo quelle che chiama le minoranze attive che io, in visione di questo convegno individuo nell’associazionismo, nella promozione sociale, nelle cooperative sociali, nella cooperazione internazionale e nel volontariato. Io credo, penso e spero che queste minoranze riescano a superare la visione settoriale e operino insieme per creare un movimento d’opinione che contamini l’agnosticismo di gran parte della popolazione, creando un’onda d’urto che spazzi via la gramigna che c’è nei nostri animi e faccia rifiorire il germe della solidarietà ridando speranza a tutti noi ma in particolare alle generazioni future. In quest’ottica il Convegno di questi giorni a Cuneo ha dato alcuni spunti di lavoro importanti. Il tema “ Confronto fra esperienze” ha messo appunto a confronto quelle minoranze attive di cui sopra, sul tema del volontariato, inteso nel senso più ampio della parola, impegnato nelle varie componenti del terzo settore. I vari interventi dei relatori nelle due giornate di lavoro hanno messo in evidenza il valore dell’attività volontaria e come i punti di contatto favorevoli fra le varie componenti del terzo settore siano molto maggiori delle differenze. E’ stato evidenziato come al valore sociale e morale di chi fa volontariato si abbina un valore economico che il CNEL ha valutato sui sette miliardi di euro annui, cifra considerevole che però non tiene conto perché non misurabile, del valore aggiunto di coesione sociale che questa massa di persone offre al paese. Altro dato emerso, in contrasto con quanto comunemente viene fuori quando si parla di volontariato, è il disimpegno dei giovani verso quest’attività, ebbene, dati alla mano, risulta invece che l’impegno dei giovani nel volontariato è aumentato ma ha cambiato forma, sta alle associazioni studiare nuovi sistemi per intercettarli, ma già il solo dato ci da speranza per il futuro. In questa ultima sessione del convegno, di cui ho l’onore di essere il moderatore, i relatori sono i massimi rappresentanti del volontariato, del terzo settore, delle fondazioni bancarie, dei centri di servizio per il volontariato e del CNEL. Questa sessione, forte delle sollecitazioni pervenute dai lavori delle altre sessioni si propone di ribadire con forza i concetti fondanti l’attività volontaria: • la gratuità delle azioni come elemento distintivo del volontariato • il valore della relazione e della condivisione con l’altro • esperienza di solidarietà e pratica di sussidiarietà fondata sulla giustizia • partecipazione responsabile e pratica di cittadinanza solidale • funzione culturale nei confronti delle giovani generazioni • ruolo di mediazione politica partecipando attivamente ai processi della vita sociale in difesa delle aree deboli del sistema paese;


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ma soprattutto volle mettere in evidenza che in un periodo di crisi come quello attuale, che coinvolge, non solo l’Italia, ma tutto il sistema planetario, il volontariato in tutte le sue espressioni, può giocare un ruolo importante per riumanizzare la politica e superare questa crisi che non è solo finanziaria ma è in gran parte crisi di valori. Se le intenzioni espresse nel dibattito di questi due giorni si riesce a renderle patrimonio comune di chi è impegnato nel volontariato, non solo a livello nazionale ma anche in ambito europeo, avremo dato dignità a tutte le “ minoranze attive” che potranno così creare quel movimento virtuoso necessario per modificare l’attuale forma di egoismo e chiusura “ nell’io” alla visione di una vita più solidale del “noi”. Con questa visione ottimistica ringrazio gli organizzatori e tutti coloro che hanno lavorato per la riuscita di questo importante momento di riflessione e lascio la parola ad Emma Cavallaro Presidente Convol.


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arto dalla rappresentanza che oggi è certamente un tema che chiede tutta la nostra attenzione sul quale non circola né molta letteratura, né molte riflessioni specifiche ed originali. Oggi è molto di moda parlare di volontariato rapportandolo al “dono” ed è chiaro a tutti che la logica del dono appartiene totalmente al mondo del volontariato, a noi volontari, purché non cerchi di sostituirsi ad altre logiche come ad esempio quelle del rispetto dei diritti e della giustizia che sono imprescindibili in una realtà democratica. La prima domanda da porsi, a mio avviso, è se il volontariato è percepito come soggetto “politico”. Appare evidente a tutti che non lo è, forse è percepito come soggetto “pubblico”, ma certamente non “politico”. Nel momento in cui il bilancio della spesa sociale scende in modo vertiginoso il volontariato rischia di essere sospinto e vorrei dire schiacciato sul piano dei servizi che pur essendo preziosi non sono né il primo, né il più importante obiettivo del volontariato, che come ci ricorda la Carta dei valori del volontariato è tra l’altro: “… azione gratuita, espressione del valore della relazione e della condivisione, scuola ed espressione di solidarietà, pratica di sussidiarietà, partecipazione responsabile, pratica di cittadinanza solidale, ha una funzione pedagogica e culturale”. Se le istituzioni non ci percepiscono come soggetto “politico” dobbiamo chiederci se noi stessi siamo tutti davvero convinti di essere portatori di una visione strutturale e generale e di essere un soggetto a vocazione maggioritaria. E mi sembra chiara anche la risposta, perché se fossimo davvero convinti di questo saremmo anche più capaci


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di una reale “soggettività politica” e di essere come volontariato sempre di più un soggetto di cambiamento. A questo proposito nella Risoluzione del Parlamento europeo sul contributo del volontariato alla coesione economica e sociale, che è all’origine della dichiarazione di questo 2011 Anno europeo del volontariato, si legge che “le attività di volontariato facilitano il coinvolgimento degli attori locali che vengono responsabilizzati, attraverso la partecipazione, l’impegno e l’intervento. E’ opportuno notare che tali esiti, benché generalmente considerati, non sono sempre ben accetti dall’autorità, ciò è dovuto a diverse ragioni non ultimo il fatto che la partecipazione può essere vista come elemento che mette in discussione lo status quo e questo può a volte rivelarsi scomodo”. Il volontariato non è una corporazione ma una parte sociale e per questo chiede di sedersi al tavolo della concertazione e delle decisioni. Non ci basta essere chiamati per essere messi al corrente vogliamo chiaramente partecipare a tutto il processo che conduce a determinate decisioni e vogliamo poter intervenire con la nostra competenza ed esperienza. Non ci interessa il potere ma la solidarietà e il bene comune. La nostra competenza nasce e si nutre delle relazioni dirette. Vorrei dire che i volontari non si fermano agli sportelli, entrano nelle “case”, nelle vite e scoprono bisogni e mali sociali direttamente e non per sentito dire o per narrazione ricevuta. Per cui ci importa poco una rappresentazione che si costruisce sul prevalere del numero dei voti ma la nostra rappresentanza è quella di chi ha più ragioni ragionevoli e capaci di convincere. E questo tipo di rappresentanza ci chiede un preciso impegno di informazione, formazione, conoscenza, aggiornamento. Nel nostro caso non basta contarsi bisogna sapere bene cosa si vuole e saperlo anche comunicare in modo accettabile e comprensibile. Una rappresentanza progettuale che non si sottrae mai al confronto, al riconoscimento della diversità e all’esercizio del dialogo. Qualche anno fa è stata prodotta la Carta della rappresentanza, il cui valore principale risiede nell’aver voluto intercettare i presupposti e i valori di una cittadinanza che chiede di esprimersi in una dimensione sempre più ampia. Presupposti che valgono in tutti i processi di rappresentanza, da quelli istituzionali a quelli che riguardano le organizzazioni. Nella Carta ci si chiede anche quanto e le singole organizzazioni e le istituzioni pubbliche abbiamo investito in competenze, tempo, relazioni e conoscenze. Il logo della Carta è il Giano bifronte per indicare come il rappresentante ha una duplice funzione: farsi portavoce di quello che pensano i rappresentanti ed anche far tornare alla base le posizioni degli interlocutori. Vorrei richiamando una linea, porre ancora un interrogativo. Da molto tempo non si ascoltavano più voci che richiamassero la possibile nascita di un quarto settore,


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attualmente questa ipotesi si sta riaffacciando e non in modo episodico. Personalmente non sono favorevole al sorgere di un quarto settore ma credo che dobbiamo tutti avere la capacità di ascoltare, di comprendere il perché, le ragioni delle motivazioni alla base di questa ipotesi risorgente e di lasciarci interpellare seriamente sempre nella logica di chi vuole convincere e quindi prima di tutto deve capire. Il rischio è non dare attenzione a problemi che comunque esistono e per alcuni sono importanti. Personalmente sono convinta che con la purezza delle nostre origini dobbiamo ritrovare tutta la forza profetica che ci appartiene e quindi il coraggio di intervenire con forza quando occorre, il coraggio di parlare con chiarezza ed anche il coraggio della denuncia. Dobbiamo essere capaci di generare e promuovere coscienza critica e schierarci: la neutralità non può appartenerci come volontari. Di fronte alle situazioni e alle tristi cifre che conosciamo, il volontariato deve pronunciarsi, evitando il rischio di trasformarsi in opera di controllo sociale, magari funzionale al sistema che produce o quantomeno permette le sperequazioni che sono sotto i nostri occhi. Il volontariato deve rischiare e parlare con chiarezza nel rispetto della legalità e della pace facendo leva sui migliori sentimenti che sono presenti nel nostro Paese, perché se è vero che c’è un dovere alla solidarietà è altrettanto vero che c’è un diritto a poterla esercitare. A questo proposito vorrei dire che non appartiene ai volontari il sentirsi i primi della classe, come è stato detto poco fa. Noi siamo ben consapevoli di essere persone normalissime che hanno fatto una scelta precisa e che cercano di essere coerenti con questa scelta sapendo che la gratuità non significa solo assenza di denaro ma è garanzia di libertà, di democrazia e di cambiamento. Il volontariato è una realtà antica e sempre nuova, nato sia nel mondo cattolico, sia in quello laico e il fatto che pur appartenendo a queste differenti origini ci si trovi a lavorare insieme per il bene comune è estremamente significativo. L’occasione e la sfida dell’Anno Europeo sono state affidate a noi tutti e alla vigilia della chiusura dell’Anno Europeo dovremmo fare un serio esame di coscienza e chiederci se abbiamo saputo trasformarle in una sfida vincente e capace di donarci sempre maggiore unità per costruire sul territorio legami e collegamenti e consentire di presentarci alle istituzioni con quella credibilità ed incisività che oggi non ci sono riconosciute. Per non scoraggiarsi troppo, occorre ricordare che le iniziative, come quelle degli Anni Europei si chiudono ufficialmente ma devono proseguire nel cammino e nella maturazione di tutto quello che hanno messo in moto e possono farlo solo se noi lo vogliamo davvero. Divisioni e frammentazioni non costruiscono e lo sappiamo bene, è estremamente urgente camminare con sempre maggiore convinzione verso un lavoro di rete e verso la creazione di spazi che ci consentano in piena libertà e vorrei dire in un clima di laicità e democrazia, di poter riflettere e interrogarci e confrontarci sui temi più importanti


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e sui nodi più evidenti o nascosti e su questo “salto di qualità” che abbiamo di fronte e del quale non osiamo varcare la soglia, forse perché ci rendiamo conto che non si tratta di aggiustamenti organizzativi, ma di cambiare molte delle categorie mentali e strutturali che oggi ancora ci accompagnano e ci connotano. Ci vuole un forte scatto di coraggio, il coraggio di metterci insieme, di riflettere, di prendere delle decisioni liberi dalle autoreferenzialità, da interessi di parte per dedicarci tutti insieme alla costruzione del bene comune sapendo anche affrontare i conflitti che esistono invece di ignorarli o tentare di rimuoverli. Insieme dobbiamo anche rapportarci alla complessità e alla pluralità delle altre componenti del Terzo Settore, di cui il volontariato con la propria specificità è l’anima, con la certezza che non si tratta di operare piccoli aggiustamenti, ma di ritrovare la capacità di dare vita ad una società nuova e questo lo potremo fare solo lavorando insieme tra organizzazioni che si riconoscono nei valori del volontariato, sapendo che il volontariato vero non conosce né arroganze né localismi e il suo compito principale non è certamente quello della difesa della categoria ma quello dell’impegno per la giustizia sociale, per una cittadinanza attiva e partecipata e per la difesa dei più deboli ed emarginati. Solo in questo modo si può riuscire ad essere più coraggiosi e presenti nel dibattito, più rappresentativi, più capaci di incidere nei processi politici come interlocutori reali in tutte le situazioni e soprattutto in quelle che generano ingiustizia, povertà, emarginazione, disuguaglianza e rifiuto dell’altro, situazioni che devono vederci come volontari sempre più presenti ed operanti sapendo che siamo tutti nello stesso momento storico per cui le nostre scelte ed anche i nostri stili di vita influiscono su tutti gli altri ovunque essi siano. Oggi qualcuno suggerisce che dovremmo parlare più di rappresentatività che di rappresentanza. E’ certamente una linea su cui riflettere, ma a me sembra che la rappresentatività ce la dobbiamo giustamente guadagnare attraverso il nostro servizio ed il nostro impegno, ma non sono affatto sicura, anche guardando alla situazione, che questo ci assicuri sempre un ritorno di riconoscimento di rappresentanza, che noi dobbiamo esigere, non per noi stessi, né per le nostre organizzazioni, ma per tutti coloro ai quali si rivolge il nostro servizio, per tutti coloro che diversamente resteranno senza voce e senza diritti e pensando al futuro, anche prossimo, mi sembra che questa sia una frontiera dalla quale assolutamente non possiamo arretrare. Personalmente sono convinta che se fossimo dei volontari più coraggiosi, presenti nelle diverse situazioni con la determinazione che ci viene dalla profezia delle nostre origini saremmo anche più numerosi e i giovani si sentirebbero maggiormente a loro agio nelle nostre organizzazioni. Questo è un tempo che chiede particolare attenzione alle cose nuove che germinano, anche le più piccole, perché sono portatrici di istanze vere e occorre dare loro


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voce e creare le condizioni per alimentarle, farle crescere e fare loro posto. Non ci toglieranno nulla ma anzi ci daranno molto. Tra le domande che dobbiamo farci e non possiamo eludere c’è quella che riguarda le reti come luoghi riconosciuti e democratici, il più ampi possibili di rappresentanza e presa di decisone. Oggi siamo troppo frammentati e divisi, l’autoreferenzialità eccessiva è una grave colpa e non costruisce, dobbiamo nel rispetto delle nostre singolarità essere capaci di costruire unità, solo se lo faremo cresceremo tutti. Nella recente Assembla ConVol abbiamo rivisto lo Statuto aprendo la ConVol a presenze di tipo nuovo. Abbiamo deciso di sviluppare maggiormente le realtà regionali, tenendo conto che molto oggi si realizza a livello regionale e attraverso questo ampliamento pensiamo di accogliere la voce e la realtà anche delle piccole organizzazioni che possono dare molto in novità di apporti. Inoltre accoglieremo nella nostra Assemblea: Consigli, Conferenze e Consulte regionali di volontariato per riceverne riflessioni, indicazioni e ricchezza e vorremmo accogliere anche realtà nazionali ed internazionali di particolare significato. Speriamo che tutto questo riesca a farci ritrovare nuovo smalto e l’ardore dei 20 anni per essere davvero quello per cui siamo nati. Recentemente il Prof. Fantozzi notava come attualmente il volontariato sia più “adattivo” che “innovativo” e pur con grande dispiacere credo che purtroppo si possa essere d’accordo con Lui. Ritornare alla purezza delle nostre diverse origini dovrebbe scuoterci ed aiutarci ad essere sempre volontari veri e a non trasformarci in burocrati del volontariato, una categoria veramente terribile. Il Prof. Di Sabato in un suo testo ricordava che il volontariato prima di essere una disciplina, prima di essere una tipologia di attività, è una categoria dello spirito. E qui sta la grande differenza tra un volontario vero ed un burocrate del volontariato. A noi la scelta ed anche le conseguenze! Desidero chiudere questa mia comunicazione ringraziando Giorgio Groppo e tutto il Centro di Servizio di Cuneo per l’idea di questo incontro e per tutto quello che è stato fatto per la sua realizzazione. Mi auguro che la pubblicazione degli Atti aiuti l’approfondimento della riflessione fatta in questi giorni. Di fatto la preparazione di questo incontro è iniziato un anno fa e quindi grazie per questo lungo lavoro e per quanto questo lavoro ha prodotto.


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esidero anzitutto ringraziare il Centro Servizi per il Volontariato di Cuneo e il suo Presidente Giorgio Groppo per questo momento di confronto che peraltro ha visto intorno a questo tavolo, già da ieri, autorevolissimi esponenti di questo mondo. Oggi sono riuniti quasi tutti i soggetti che si sono ritrovati in questi ultimi anni nella comune e difficilissima impresa che è rappresentare il mondo del Terzo Settore e del volontariato, per trovare soluzioni ai problemi incalzanti che via via giungevano, andando a mettere insieme organizzazioni anche molto differenti tra loro in vista di progetti molto ambiziosi. Fondazione con il Sud nasce dalle persone che sono intorno a questo tavolo, o quantomeno dalle organizzazioni che qui rappresentiamo e, ugualmente, molti dei progetti che oggi ci vedono impegnati come organizzazioni sociali, in particolare il mondo del volontariato, sono da noi coordinati, con tutti i limiti che conosciamo ma anche con passi in avanti significativi che sono stati compiuti. Parto da una domanda perchè forse dobbiamo essere più pronti a interrogarci che a dare risposte e definizioni. Credo sia una domanda propedeutica: qual è il nostro compito, cioè perché ricercare modelli di rappresentanza? Questa rappresentanza è finalizzata a che cosa? E’ chiaro che se noi rispondiamo a questo interrogativo, costruiamo un modello di rappresentanza di un certo tipo piuttosto che di un altro. Confindustria ha molto chiaro il motivo per il quale deve fare rappresentanza: è la tutela di legittimi interessi di una parte. Il mondo sindacale ha chiarissimo qual è il suo obiettivo in ordine al tema della rappresentanza; non riesce a farlo in maniera uni-


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taria ma se non quando ci sono in gioco determinate questioni, ma comunque sono evidenti ruoli e funzioni di queste come di altre formazioni sociali. Perché dunque il mondo del Terzo Settore ed in particolare quello del volontariato ha bisogno di un modello di rappresentanza? Io individuo alcune questioni: alcune più importanti altre meno, ma certamente che esse sono fondamentali per la nostra riflessione. Da un lato, quella che può apparire la più banale, forse anche la meno nobile, cioè la tutela del proprium del volontariato, la tutela di quelle che sono le modalità con le quali noi possiamo esercitare il nostro compito all’interno della società italiana e veniamo riconosciuti (per utilizzare l’espressione della nostra Carta Costituzionale). Si tratta di andare a garantire che le leggi del nostro paese ci permettano di agire, ci accompagnino, ci promuovano, cioè mettano in campo quelle strategie che consentano la nostra crescita. Questo è un elemento di certo parziale nella visione della rappresentanza ma non è assolutamente da trascurarsi perché, e noi lo vediamo fortemente in questi tempi, se noi non svolgiamo anche questo compito di una rappresentanza puntuale dei bisogni, delle necessità del nostro mondo ci ritroviamo sempre di più burocratizzati, schiacciati da una pubblica amministrazione, talvolta anche da un governo centrale che ci attribuisce dei compiti e delle funzioni che sono strutturalmente diverse da quelle per cui noi nasciamo. E sono generalmente quelle al servizio non di un progetto sussidiario di società ma di un modello nel quale alle organizzazioni sociali tocca il compito di fare supplenza rispetto a un ritirarsi delle istituzioni da alcuni settori chiave della tutela e della promozione sociale. Allora anche questa prima funzione che forse è la meno nobile, quella che noi meno tendiamo a evidenziare nelle nostre relazioni esterne, non è trascurabile perché ha un valore sostanziale, se noi riusciamo a interpretare bene questo ruolo, per tutte le nostre organizzazioni sociali. Inoltre, nella fase che stiamo attraversando, questa funzione ha anche un valore di tutela della democrazia. Viviamo infatti un momento di portata storica nel quale l’Occidente, ma il nostro paese in maniera particolarissima, sta vivendo una crisi di partecipazione democratica. Andare a tutelare il volontariato e il Terzo Settore nella sua specificità organizzativa, vuol dire anche tutelare la possibilità dei cittadini che si autorappresentano di sviluppare pensiero, elaborazione, proposte e di farle ascoltare all’interno delle istituzioni. Sempre di più, in un paese che è sordo al sentire della gente noi ci dobbiamo responsabilizzare in questo senso, dobbiamo garantire che questi spazi non vengano limitati. Dico questo anche perché purtroppo stiamo assistendo, in questi ultimi tempi, a un costante attacco al nostro mondo, fatto proprio da quei burocrati, non tanto del volontariato ma anche delle istituzioni, che a livello nazionale e a livelli territoriali (pensiamo ai tanti registri regionali nati su leggi molte volte anche un poco confuse) hanno caricato sulle spalle del nostro mondo, delle nostre organizzazioni, responsabilità sempre più gravi senza andare al contempo ad aprire spazi più incisivi di intervento


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o senza coinvolgerci in veri processi partecipativi. Potremmo anche essere disposti a farci analizzare al microscopio se poi questo portasse a darci un vero ruolo, ma invece ciò avviene nella logica di affidarci l’ esternalizzazione di servizi, se va bene, e generalmente di servizi a basso costo. Abbiamo combattuto diverse battaglie, ad esempio sul modello EAS, che negli ultimi 2 anni ha fatto nascere non poche preoccupazioni, ma pensiamo anche a quello che ci attende di qui a qualche mese, nell’eventualità che la delega assistenziale non vada a buon fine, cosa che è più che probabile. Va detto che è stata immaginata in maniera piuttosto ardita, cioè si pensa di far cassa per 20 miliardi su un settore che praticamente non li ha. Non credo che vorranno annullare tutte le politiche sociali nel nostro paese, compresi gli assegni per l’invalidità, quindi se non si riuscirà ad attuare, provocherà un taglio lineare del 5% su tutte le agevolazioni fiscali. Ad oggi, riporto un fatto di venerdì scorso, in Agenzia Entrate ritengono che probabilmente anche le attività istituzionali dei soggetti del Terzo Settore dovranno essere gravate da un’imposta sulla raccolta. Sarebbe pura follia non soltanto da un punto di vista economico ma anche e soprattutto per gli aggravi dal punto di vista organizzativo-burocratico per le nostre organizzazioni. Ci batteremo e faremo la nostra parte come abbiamo fatto per la questione EAS; però non sono questioni da poco perché se si passasse a provvedimenti di questa natura, ininfluenti per le casse dello Stato, noi saremmo schiacciati, cioè chiuderebbero probabilmente migliaia se non decine di migliaia di piccole e piccolissime organizzazioni e noi non possiamo permetterlo. Ribadisco: non in una logica di casta o di interessi di parte ma in una logica di bene comune perché in gioco c’è la democrazia, la partecipazione, la tensione positiva verso la cura delle persone, di cui peraltro lo Stato ha un bisogno disperato ma di cui costantemente non si accorge. C’è però un secondo motivo per mettersi insieme e costruire rappresentanza ed è quello che è anche evidenziato nel titolo dell’incontro di questa mattina: la promozione dell’idea di volontariato. Stiamo vivendo in una società nella quale i valori collettivi che un tempo in qualche misura riuscivano anche nella loro sola enunciazione a scaldare i cuori e sollecitare la voglia di impegnarsi nelle persone (la solidarietà, la giustizia sociale), valori che vanno oltre quello che è il sentimento individuale perchè diventano la base dello stare insieme, hanno perso vigore. Non credo in quella crisi dei valori che spesso viene chiamata in causa, quasi che tutto ad un tratto gli italiani abbiano perso il valore della solidarietà, della giustizia, anche della stessa legalità: certamente abbiamo grandi limiti e problemi su questi punti, ma non credo che improvvisamente ci sia stato un tracollo nella capacità personale di avere a cuore le cose importanti. Il problema è che questi elementi che erano caratteristici della sfera pubblica fino a qualche anno orsono, oggi sono regrediti nell’ambito della sfera privata e sempre di più diventa difficile su questa base costruire partecipazione e impegno. Noi ci scontriamo costantemente con una cultura individualistica che certamente tocca il cuore


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di ogni persona, ma che è diventata anche in qualche modo elemento caratterizzante della sfera sociale, è diventata non quel piccolo egoismo che da sempre sta nel cuore dell’uomo, ma categoria pubblica, cosa che mette a dura prova organizzazioni che fanno esattamente dell’opposto, dello spendersi per gli altri, il centro della loro missione. Quindi io credo che la promozione dell’idea di volontariato, dell’idea di porsi nei confronti della realtà con un atteggiamento attivo, generoso nell’assumersi le proprie responsabilità con consapevolezza, dedizione e spirito di servizio, sia un impegno che deve essere ancora di più di un tempo portato avanti con grande determinazione. Noi a questo riguardo, proprio perché siamo molto diversificati, possiamo offrire esperienze di volontariato, quindi offerte alle persone che si avvicinano a noi, molto diverse e appunto per questo anche adatte alla varietà di quelle che possono essere le esigenze delle persone. Ma abbiamo la necessità di far cogliere che vi è una modalità di insieme, comunque positiva, il più possibile unitaria, per far rilevare che vi è un modo di impostare la propria vita e di proporsi nei confronti dell’altro, che ha al centro l’idea del dono e della gratuità. Infine, ed è un terzo elemento, ma forse è quello che più fatichiamo a portare avanti, noi dobbiamo portare istanze, idee, proposte di cambiamento a favore di chi non è rappresentato, cioè di quelle tante persone che stanno a cuore alle nostre organizzazioni, che le nostre organizzazioni spesso coinvolgono facendole diventare protagoniste, ma che normalmente non vengono rappresentate nel paese. Pensiamo ai tanti poveri o poverissimi che oggi non partecipano nemmeno al voto: se andiamo attentamente a valutare, sono del tutto privi di rappresentanza, non sono iscritti ai sindacati e spesso neanche alle nostre stesse organizzazioni, ma li coinvolgiamo in percorsi partecipativi diversi ed è proprio questo ciò di cui hanno bisogno. Per noi rappresentanza è anche rappresentare una parte del paese che non si vede, ma che deve essere comunque costantemente al centro dell’attenzione di chi fa politica. E’ chiaro il significato di quanto veniva detto a proposito del fatto che noi non possiamo essere neutrali. Non per una logica di voler contare all’interno della società o di fare opposizione politica (non è la nostra vocazione), ma perché il nostro compito è dare voce a chi non ha voce e rispetto a questo non possiamo andare a mediazioni di basso profilo, dobbiamo farlo con determinazione stando sempre attenti alla realtà dei fatti, con l’atteggiamento concreto che è tipico del mondo del volontariato, ma con una visione più ampia. Credo sia necessario farlo in maniera unitaria e all’interno di una logica di Terzo Settore per come l’abbiamo costruito in Italia. Anche qui le definizioni sono sempre molto strette: in Italia il volontariato corrisponde alla Legge 266/91 cioè a una ben precisa modalità di fare azione volontaria, in organizzazioni che sono rigorosamente costituite, anche se poi al loro interno ci sono storie molto diversificate, organizzazioni di volontariato che gestiscono anche


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attività economiche, a volte cospicue perché riguardano servizi che hanno una storia importante alle spalle. Quindi non è tanto nell’attività, quanto proprio nel modello di legislazione cui si fa riferimento, che ci sono queste differenze. Ma il Terzo Settore italiano nasce tutto intorno all’idea della solidarietà e dell’azione volontaria. Noi infatti quando parliamo di Terzo Settore non parliamo di tutto il Non Profit. In Italia distinguiamo quella parte di Non Profit che ha un modello partecipativo democratico e che ha a cuore lo sviluppo dell’azione volontaria: il Terzo Settore. E distinguiamo, all’interno del Terzo Settore, diversi ambiti: dalla cooperazione sociale all’associazionismo, al vero e proprio volontariato 266, ma tenendo conto che in tutti questi ambiti e modi vi è azione volontaria che noi cerchiamo di sviluppare insieme. Si è detto “rappresentanza unitaria”, non unica, perché la logica di questo mondo è che deve custodire come una ricchezza la sua pluralità, e al contempo deve sapere trovare una sintesi per riuscire a fare il lavoro di cui si è detto.


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V Antonio Miglio (Vice Presidente nazionale ACRI)

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razie, buongiorno a tutti, anche io ringrazio Giorgio Groppo e il Centro Servizi per aver organizzato questo convegno così importante; ho partecipato ieri a quasi tutti gli incontri e devo dire che sono stati di grande interesse. Rispondo subito che noi preferiamo un volontariato forte. Perché le Fondazioni, che sono nate da poco tempo, si sentono parte del terzo settore perché sono dei soggetti privati che hanno scopi di tipo pubblico e hanno uno scopo principale che è quello dello sviluppo economico e sociale delle comunità, scopo comune anche a gran parte dei soggetti di terzo settore. Perché ci interessa un terzo settore forte? Perché noi riteniamo che nel nostro paese, in particolare, ci sia un mondo che non ha voce con cui voi operate tutti i giorni e con cui noi, attraverso voi, lavoriamo e conosciamo. E purtroppo, e le parole del governatore Draghi la scorsa settimana nella giornata del risparmio ce lo hanno confermato, le misure che si stanno per prendere in Italia rischiano di rompere la coesione sociale e di scaricarsi sui più deboli. Detto pubblicamente dal governatore ora Presidente della Banca Centrale Europea, c’è da crederci e da preoccuparsi. La legge attualmente all’esame del Parlamento prevede tagli alla spesa sociale per 20 miliardi. In base ai dati ISTAT in Italia la spesa sociale è di circa 52 miliardi. Se se ne tolgono 20 significa toglierne quasi metà e la spesa di 52 miliardi è appena la metà della spesa sociale media in Europa. Noi stiamo tra quelli che spendono di meno. Allora pensare di ridurre ancora una spesa sociale, che già è la metà di quella dei paesi europei, significa distruggere i ceti più deboli, che oltretutto non hanno neppure la voce per


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scendere nelle piazze, perché poi nelle piazze scendono quelli che già stanno un po’ meglio. Su questo noi dobbiamo cercare, terzo settore e Fondazioni, di far sentire la voce di questa gente perché non c’è nessuno che la fa sentire. Ieri parlavo con un esponente del Governo che, parlando ad un convegno, dopo aver fatto una bellissima analisi sulla situazione dell’Italia ed avendo paragonato l’Italia ad un’azienda in cui il figlio ha i debiti con le banche e la mamma ha tanti soldi depositati in banca che da in garanzia al figlio; quindi, parafrasando, il figlio (stato) indebitato fortemente e la mamma (cittadini) molto ricchi. Infatti in Italia la ricchezza privata rapportata al PIL è la più alta del mondo. (E quasi la metà di questa ricchezza è del 10% dei cittadini più ricchi, aggiungo io). E quindi, ha concluso, visto che c’è la garanzia della mamma, le banche non devono far rientrare il finanziamento dato al figlio ma lui deve ristrutturare l’azienda e, se ce la fa, si mette in condizione di pagare i debiti. Quando ha finito l’intervento gli ho detto che aveva dimenticato una cosa: che in questi casi normalmente la mamma (i cittadini ricchi) prende una parte del suo grande patrimonio e va a coprire metà dei debiti del figlio (lo stato) in modo che il figlio faccia più in fretta a ristrutturarsi. E lui mi ha risposto che di queste cose non si può parlare in Italia perché il primo dei ricchi che dovrebbero metter mano al portafoglio sta lassù e non ci permette di parlare di queste cose. Per noi Fondazioni il fatto che il volontariato abbia una rappresentanza è fondamentale, però dato che noi non abbiamo solo a che fare con il volontariato ma con tutti quelli che si occupano di sociale, noi non possiamo distinguere diversi tipi di rappresentanza a seconda della tipologia di soggetto. Noi riteniamo che tutti coloro che agiscono nel sociale debbano trovare una forma di rappresentanza unitaria, che noi come Fondazioni vediamo nel Forum del terzo settore, dove vengono rappresentate tutte le sensibilità di questo mondo (cooperazione sociale, associazionismo, volontariato vero e quant’altro). Questo perché noi pensiamo che il volontariato debba superare tutta una serie di problematiche per far sì che quel ruolo di dare voce a chi non ha voce diventi più possibile. La frammentazione è un valore, noi capiamo il motivo per cui c’è frammentazione, però di fronte a delle sfide così grandi bisogna superarla; il che non vuol dire unificarsi ma vuole semplicemente dire mettersi insieme e allora in questo i Centri di Servizio hanno un ruolo importantissimo. I Centri di Servizio devono sempre di più adoperarsi per costruire reti, per mettere insieme, per costruire categorie di associazioni che riescano ad avere una linea più unitaria possibile perché altrimenti si rischia che la voce non venga sentita. E un’altra cosa che deve superare il volontariato è quell’atteggiamento che a volte ha di primo della classe e cioè il ritenere che di fronte ad altri che si occupano di sociale si sia più puri perché si ha la gratuità e il dono mentre gli altri soggetti di terzo settore si mescolano anche con aspetti economici. Questo a nostro modo di vedere


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indebolisce quello che è il rapporto esterno del volontariato. Quindi rappresentanza forte. Ieri mi è stata posta una domanda che riguardava il perché non mettere insieme Acri e Centri di Servizio a ragionare su un progetto Fondazioni/volontariato. L’ho già detto in tante occasioni e lo ripeto, vedo i Centri di Servizio innanzi tutto come un organismo tecnico a favore del volontariato e che, secondo me, se puntassero a diventare un ulteriore luogo di rappresentanza del volontariato, non farebbero il bene del volontariato. Perché di luoghi di rappresentanza del volontariato ce ne sono troppi, secondo noi bisogna che il terzo settore trovi questo luogo di rappresentanza unitaria, dove mantenendo tutte le individualità, si possa avere un’unica voce. Vi porto l’esempio delle Fondazioni. Noi siamo partiti in una situazione in cui c’erano delle Banche, e l’Acri era un’associazione di Banche. Poi sono arrivate le Fondazioni e nell’associazione c’era una dicotomia tra banche e fondazioni che facendo cose completamente diverse, stavano nella stessa associazione. Poi le Fondazioni erano divise in due categorie quelle associative, cioè con un’assemblea dei soci e quelle istituzionali con nomine prevalentemente pubbliche, poi c’erano grandi Fondazioni come la Cariplo e altre piccolissime come quella di Fossano. E c’erano delle spinte perché ogni “categoria” avesse una sua rappresentanza autonoma. Non è stato facile mantenere l’unità associativa, ma grazie al nostro grande Presidente Guzzetti siamo riusciti, dal 2000 ad oggi, ad avere un’unica voce. Questo è quello che ha dato la forza di resistere, aiutati da voi, quando nel 2003 hanno tentato di pubblicizzarci e di portarci via le risorse per usarle per lo Stato, di resistere e di vincere. Cito solo più un’iniziativa, e concludo, sulla quale dovremmo lavorare un po’ insieme. Noi abbiamo concluso un accordo con l’Osservatorio permanente giovani/ editori di Firenze (quello che gestisce l’iniziativa del “giornale in classe” e raggiunge 1 milione e 800 mila studenti). Infatti abbiamo visto il lavoro che i Centri di Servizio hanno fatto di sensibilizzazione nelle scuole sui temi della sussidiarietà, della gratuità e del dono raggiungendo però non moltissimi studenti. Noi vorremmo utilizzare la rete dell’Osservatorio (e sarebbe utile in collaborazione con i Centri di Servizio), per portare al milione e 800 mila studenti i temi della sussidiarietà e del volontariato. Noi abbiamo fatto l’accordo ora si tratta di definirlo e lo faremo nelle prossime settimane. Grazie per l’attenzione. RISPOSTA A DOMANDE Domanda: Rispetto alla crisi, di cui tutti parlano, ma con voci discordanti, quale atteggiamento ritiene si debba avere nei confronti dei cittadini? Si deve far sapere qual è la situazione, e dare delle linee di soluzione. In genere i nostri politici sono bravissimi a enunciare i problemi ma poi nel momento in cui bisogna trovare le soluzioni, invece di porsi la domanda con buon senso e onestà intellettuale, questo è giusto o non è giusto, si pongono la domanda, questo conviene o non conviene? Mi tocca o non mi tocca? Mi fa perdere o non mi fa perdere voti?


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Portiamo un caso. Quest’estate qualcuno ha pensato: c’è gente che guadagna più di 90 mila euro all’anno, siamo in una situazione drammatica, chiediamogli un piccolo contributo in più, pur rendendoci conto che la pressione fiscale italiana è già molto alta, però a persone che guadagnano così bene chiediamogli questo piccolo contributo in più. Intanto abbiamo scoperto che sono circa 350 mila in Italia che guadagnano più di 90 mila euro all’anno il che rappresenta lo 0,6% della popolazione. Poi abbiamo scoperto, come dicevo nel mio intervento, che il 10 % dei più ricchi ha un patrimonio medio di 1 milione e mezzo di euro a famiglia. Allora con soli 350 mila che guadagnano più di 90 mila euro, come hanno fatto quei sei milioni di cittadini a mettere da parte oltre 3800 miliardi di euro? Però è successo che quello 0,6% che guadagna molto è riuscito a far togliere quel piccolo prelievo, sostituito dall’aumento dell’IVA che paghiamo tutti. E poi si dice che in Italia non esistono poteri forti!!! Noi dobbiamo, oltre a far conoscere la situazione, riuscire a chiedere che ci sia, nell’affrontare la crisi, buon senso, onestà intellettuale e giustizia Non avendo possibilità di aumentare la spesa pubblica, bisogna andare a prendere i soldi, un po’ di soldi, a chi li ha per darli a chi non li ha e non chiederci se questo colpirà me o lui. Dico ancora una cosa e chiudo: voi sapete che Confindustria, ABI e le altre Associazioni di imprenditori hanno fatto delle proposte al governo tra le quali hanno inserito una piccola patrimoniale, 1,5 per mille sui patrimoni superiori a 800 mila Euro. Ebbene, la Marcegalia in casa sua, Mussari in casa sua sono stati messi in discussione per questa proposta e non ne possono più parlare. Perché quelli che avrebbero dovuto pagare l’1,5 per mille hanno detto no. Dobbiamo riuscire a fare passare tra la gente questo ragionamento, e cioè di andare a toccare il 10% della popolazione ricca per dare una mano all’altro 90%. Oltretutto mi sembra che sarebbe elettoralmente pagante. Il problema però è che in quel 10% ci sono quelli che dovrebbero votare le legge e quindi autotassarsi. Queste cose secondo me bisogna iniziare a dirle, a farle sapere, magari non avremo la forza di coartare chi deve decidere però le dobbiamo almeno far sapere. E finisco con un dato: oltre a dire che il 10% delle famiglie più ricche ha il 47% della ricchezza privata italiana, dobbiamo anche dire che il 50% delle famiglie più povere ha soltanto il 10% di questa ricchezza. Questa è una situazione che non può continuare altrimenti ci avvieremo ad essere un paese da terzo mondo.


V Marco Granelli Assessore Volontariato, Politiche Sociali e PC Comune di Milano

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razie, grazie a voi, al CSV di Cuneo per questa iniziativa molto interessante. Io sono arrivato solo oggi per impegni che ho assunto recentemente ma sono contento di questa iniziativa significativa che ha un valore appunto nazionale, dimostra la capacità di questo mondo di sapere creare occasioni di pensiero e riflessione di grande valore e le mette a disposizione di tutti. Io ringrazio appunto chi ha lavorato intensamente per arrivare a questo risultato. La domanda di Dematteis mi spiazza, nel senso che io volevo dire alcune cose per il ruolo che sto svolgendo ora, perché io penso che i temi che avete posto c’entrano molto con il ruolo delle istituzioni e avere una promozione e una rappresentanza del volontariato credo sia fondamentale per le istituzioni. Provo comunque a dire anche alcune cose sul tema dei Centri di Servizio ma su questo credo che debbano parlarne i rappresentanti, anche se è chiaro che l’esperienza e la storia di questi anni mi permette di avere contenuti. Però su questo, proprio perché ritengo che uno dei principi della promozione e della rappresentanza del volontariato sia l’autonomia, penso di non poter pienamente soddisfare l’esigenza di Luciano Dematteis. Penso che la promozione e la rappresentanza siano due passaggi fondamentali necessari e oggi strategici per una relazione tra mondo del volontariato e istituzioni, perché la promozione, e parto da li, è una necessità per chi rappresenta le istituzioni e per chi rappresenta la comunità svolgendo questo ruolo. Cioè penso che non ci sia bisogno ulteriormente, penso che oggi sia chiaro a tutti o comunque ci sono studi e riflessioni, documenti che dicono con chiarezza che avere una società, una comunità


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dove è viva l’esperienza, il senso il valore, sono vive le forme del servizio al bene comune sia fondamentale, cioè cambia la qualità e la capacità di benessere di una comunità, di una società. Riuscire ad avere in un paese, in una società, un volontariato, soggetti di terzo settore dove i cittadini fanno esperienza di gratuità, di responsabilità, di servizio al bene comune fa la differenza. E quindi per chi ha il ruolo di rappresentare, di governare una società, una comunità, diventa determinante che in una società ci siano queste esperienze, ci siano queste realtà e ci siano meglio e diffusamente. E quindi è un dovere farsene carico per le Istituzioni. Il farsi carico del fatto che queste realtà ci siano e possano vivere al meglio e possano interfacciare con più cittadini possibili, non per il mero fatto di avere un volontario in più e saper fare un po’ di più, e quindi coprire un buco in più di quella coperta, di necessità che esistono ma invece perché molti cittadini vivono l’esperienza del servizio al bene comune e vivono questo dovere di responsabilità, che è scritto nell’articolo 2 della nostra Costituzione, e quindi siano meglio cittadini e creino delle comunità più coese con la capacità di avere delle identità pur in una società complessa, plurale come quella di oggi. Penso che le Istituzioni oggi più che mai debbano avere questa necessità e debbano farsene carico, certo questo non vuol dire svolgere un ruolo di organizzare questa esperienza. Farsene carico vuol dire fare in modo che queste esperienze possano diffondersi il più possibile e più persone possano interfacciare questo per riprendere e vivere questa dimensione. Perché il desiderio di solidarietà, di servizio è molto diffuso, però è anche vero che nella cultura in cui siamo oggi immersi, che è una cultura dell’individuo, le relazioni, le costruzioni di responsabilità reciproca sono sempre più deboli. Quindi il lavorare perché queste esperienze siano diffuse, perché ci siano questi legami diventa fondamentale e non può essere lasciato al caso. Non possiamo pensare che l’attività di promozione del volontariato che dev’esserci, dev’essere una cosa di cui l’istituzione si deve far carico, ma non deve organizzare, deve lasciare che la soggettività sia dei cittadini, sia lasciata ai cittadini non può essere lasciata al caso, terzo passaggio che mi sento di fare e cioè non può essere lasciato a persone di buona volontà o a eventi/situazioni che accadono. È chiaro che quando succede un evento catastrofico le punte di generosità dei cittadini crescono, e più si fanno vedere in televisione le immagini e più la generosità cresce, sia nel senso economico sia nel senso della mobilità dei cittadini, chi si occupa di protezione civile queste cose le vede bene. Noi non possiamo pensare che la diffusione dell’ esperienza di volontariato sia legata al caso, agli eventi oppure al fatto che ci siano più o meno persone di buona volontà. Le Istituzioni devono farsi carico di costruire dei percorsi non casuali ma strutturali per cui i cittadini incontrino e vivano questo tipo di esperienze, anche solo per una volta nella loro vita. Perché questo permette di rafforzare il senso del servizio del bene comune, della responsabilità.


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Questo vuol dire che le belle esperienze che sono cresciute nelle scuole, devono diventare più strutturali, non devono diventare solo un’occasione dove ci sono dei buoni insegnanti o un Centro di Servizio che ha fatto quella attività, delle organizzazioni che hanno l’attenzione ad esserci ma deve diventare un qualcosa di strutturale. I cittadini strutturalmente devono conoscere questo tipo di esperienze. Sulla promozione io penso che le Istituzioni debbano mettersi in campo, proprio per mettere le associazioni nelle condizioni di svolgere questo ruolo fondamentale, di conoscere la loro esperienza di cittadini e di fare scattare, riscattare una dinamica del senso del bene comune. Altrettanto fondamentale io penso sia il tema della rappresentanza perché è un ruolo politico oggi sempre più necessario nella società occidentale. Perché questa sappia cambiare, perchè sappia rinnovarsi, sappia avere delle opportunità di senso, dare delle opportunità di senso ai cittadini e dare proprio un’opportunità di senso comune, di coesione, di speranza. Questo è necessario, per questo serve ampliare, sostenere il ruolo politico delle associazioni e questo, se ci pensate bene, è proprio il contrario della rappresentanza che si è costruita nelle lobby; poi la lobby serve per far sì che le organizzazioni abbiano gli strumenti per esistere e per agire; le lobby in genere tutelano una parte della società, la rappresentanza del mondo del volontariato e dell’associazionismo non tutela una parte, tutela il bene comune, tutela il bene di una comunità. È questa la cosa fondamentale di grande differenza, e quindi su questo bisogna costruire delle forme di rappresentanza che appunto portino una rappresentanza capace di svolgere questo ruolo, non solo di difendere l’esistenza delle singole associazioni ma capace di produrre nel paese una rappresentanza che lavori per avere delle risposte di tutti e quindi su questo penso si possano dare dei perché e dei come, io penso anche che la necessità di rispondere al tema delle risorse della ridistribuzione delle risorse, la necessità di risorse per i servizi per il bene comune della nostra società sia fondamentale. Alcuni dati già li sappiamo, lo dice anche la Banca di Italia che il 50% della ricchezza di questo paese è concentrato nel 10%, i soggetti istituzionali sono i più fragili, il pubblico è il più fragile dal punto di vista delle risorse ma allora bisognerà pensare a delle politiche e a dei processi di consenso che sappiano ridistribuire le risorse e rimettere le risorse per i beni comuni. Questa cosa è fondamentale ma ha bisogno di una forte rappresentanza, non possono essere i singoli soggetti a fare questa battaglia per sé perché altrimenti entreremmo in una guerra fra poveri, con poche risorse o una guerra con le grandi risorse. Io lo sto vedendo nei comuni, nell’esperienza che sto facendo come amministratore, il rischio per salvarsi è quello di legarsi ad alcuni o ad altri. Ed è una cosa pessima da questo punto di vista. Allora forse avere un volontariato che è capace di porre nei cittadini un problema di necessità di risorse per rispondere a questi bisogni, è fondamentale e questo lo può fare una rappresentanza della società civile, ci vuole una capacità nella realtà per quanto riguarda il rapporto con le istituzioni di non governare la


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rappresentanza ma che questa rappresentanza ci sia, questo vuol dire molto anche per come agisce un ente locale. Io ho visto, anche approcciandomi in questi pochi mesi, alcune esperienze pessime da questo punto di vista. Quando un direttore generale di protezione civile mi presenta tutto quello che ha fatto e non mi cita una volta la parola associazioni e io dico “ma scusi e le associazioni?” e lui mi dice “ma di quello se ne occupano la Regione o altri”, questo in un comune come Milano, non in un paesino. Questo vuol dire non avere in mente l’organizzazione, avere in mente i volontari singoli da governare quando ne ho bisogno e non avere in mente l’Associazione. E qui l’Istituzione deve essere capace di avere un modo, una regola per parlare con questo mondo. Non si possono costruire relazioni solo biunivoche. Io ho sentito colleghe che dicono “io sono molto attento al volontariato e al terzo settore, io ogni mattina sento due o tre presidenti di organizzazioni perché mi faccio dire sulle cose come devo agire”. Non è questo il modo per lavorare con il terzo settore, lavorare con il volontariato con il terzo settore significa costruire dei luoghi strutturali, strategici e non parlare con queste organizzazioni solo perché ho bisogno di mettere a posto una famiglia sfrattata o quant’altro; devo fare la strategia. Allora se io devo parlare di Expo, per stare a casa mia, il volontariato è centrale in questo tema ma non perché mi servono i volontari ma perché devo riuscire a mettere dentro i temi del volontariato nelle strategie. Penso che questi siano i modi e i sistemi di una rappresentanza e su questo vi invito a sfidare fortemente il rapporto con le istituzioni.


V Emanuele Alecci Vicepresidente Commissione politiche sociali CNEL

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nnanzi tutto vorrei ringraziare pubblicamente il Centro Servizi di Cuneo e il suo Presidente perché in un periodo come quello che stiamo vivendo caratterizzato da una grande povertà di riflessioni sul futuro del volontariato, dell’azione volontaria e solidale nel nostro paese, voi riuscite ad organizzare questo appuntamento che sta rappresentando uno dei momenti più importanti nelle manifestazioni che si sono organizzate in questo Anno europeo del volontariato. Non voglio farvi un discorso astratto; innanzi tutto vorrei dirvi che prima di riflettere di promozione e di rappresentanza del volontariato occorrerà tenere presente ciò che stiamo vivendo oggi. Infatti se non teniamo conto dei cambiamenti che stiamo verificando in questi ultimi anni e come si sta modificando il nostro Paese rischieremo di fare solo un discorso astratto. Fare volontariato 20 anni fa era diverso che farlo oggi. Farlo oggi vuol dire affrontare con decisione il tema del Cambiamento. Questa società deve trovare delle alternative allo sviluppo. Non possiamo pensare di affrontare i grandi problemi che stanno attraversando i nostri paesi nello stesso modo in cui sono stati affrontati 40 anni fa! L’azione del volontariato può contribuire alla crescita culturale e morale del nostro Paese? A questa domanda noi dobbiamo rispondere con un convinto SI. L’azione del volontariato non può essere ricondotta né a una funzione puramente strumentale, cioè costruttore di beni sociali, né ad una funzione improntata esclusivamente alla tutela dei valori. La sfida è tenere insieme queste due cose. Tenerle insieme


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partendo dai bisogni e dalle aspirazioni delle persone per far crescere una cultura del sociale e del dono capace di diventare progetto. Non si fa promozione e non si fa rappresentanza se dietro non c’è un’idea di questo genere. E a me il pensiero va immediatamente a Luciano Tavazza che ho conosciuto quando avevo 25 anni: Lui diceva sempre “fare del volontariato non vuol dire essere barellierei”, A questa modalità deve essere ricondotta l’azione del volontariato. Un volontariato che con la sua testimonianza diviene una sorta di lente che permetta a tutta la società di leggere le cose in un altro modo. Se usassimo il volontariato come una lente per leggere tutte le cose, forse le decisioni potrebbero essere diverse. Ritornando cioè a ridefinire il progetto politico di cambiamento del volontariato! Questo vuol dire dare gambe al progetto di un volontariato come una delle più alte forze di civilizzazione del paese. Per me questa dovrebbe essere la grande novità operativa da perseguire. In questo modo allora il tema della rappresentanza diventa fondamentale. Non più una rappresentanza che abbiamo perseguito fino ad oggi. Cioè quella di divenire un’ennesima parte sociale!. Questo è forse il compito del Forum del Terzo settore che dovrebbe essere la somma di tutto il no profit nazionale. Per quanto riguarda il volontariato il nostro compito principale dovrà essere quello di rappresentare principalmente i bisogni, le esigenze e le speranze degli amici che in questo nostro paese fanno più fatica. Pertanto anche il nostro modo di rappresentare il volontariato deve trovare delle modalità inedite. Perché nel dire che è una parte sociale si rischia di utilizzare una metodo di rappresentanza che è tipico di altri soggetti ma che noi non siamo in grado di portare avanti. Allora nel momento in cui noi dobbiamo ripensare al nostro rappresentarci, noi dovremmo perseguire una duplice azione.– da una parte dare forza e vitalità al Forum del Terzo Settore che non può essere messo in discussione e che deve diventare sempre di più il luogo della sintesi. Dall’altra ritrovare all’interno del volontariato una modalità nuova per rappresentare i bisogni delle persone che sono più in difficoltà. Io ricordo sempre che Tavazza diceva: “Se i presidenti di Cuneo una volta all’anno, almeno una volta all’anno, non trovano il tempo per sedersi attorno ad un tavolo, non per dire cosa si sta facendo ma per cominciare a pensare quali sono i problemi di Cuneo, questi Presidenti bisogna mandarli a casa perché non stanno facendo un buon servizio” ve lo voglio ripetere perché spesso anche io quando ho fatto il Presidente ho rischiato di fare forse il bene della mia organizzazione ma non il bene del volontariato che dovrebbe essere quello di rappresentare le istanze vere dei bisogni della gente. All’interno del volontariato deve emergere un bisogno di unità. Allora noi avremmo un Forum del Terzo settore importante che potrà portare avanti le istanze di tutto


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il non profit. Sarà più forte nella misura in cui il volontariato riuscirà a mettere da parte le differenze e si metterà a lavorare per portare fuori e far emergere i bisogni della gente. Allora sì che saremo forza di civilizzazione, sì che saremo pronti al cambiamento, e che non saremo ricordati come i barellieri della storia. Questo non deve essere un discorso astratto. Se vogliamo perseguire tutto ciò vorrà dire mettere in piedi una serie di iniziative, e di proposte per tutta la società civile italiana. Allora non è più pensabile, come spesso accade, che il mondo del volontariato dica alcune cose, prospetti alcune scelte senza poi definire per esempio una alternativa economica a queste scelte. I Centri di Servizio non sono organi di rappresentanza però sono organizzazioni che possono aiutare tutto il mondo del volontariato a definire anche delle alternative economiche al nostro modello di sviluppo. Io non posso solo dire “Le cose così non vanno” devo definire anche delle alternative Rischiamo di essere dimenticati o peggio di divenire residuali. Per questo all’azione gratuita delle mani nude dovremo sempre di più aggiungere competenze. Allora sì che si può fare rappresentanza, sì che si può fare promozione vera del volontariato. Mi pare che questo sia preliminare per riuscire ad andare avanti, altrimenti rischiamo ogni volta ai nostri seminari, ai nostri convegni di dire “abbiamo tentato di fare, le cose non vanno c’è sempre meno gente che ha voglia di fare”. Il progetto di civilizzazione della nostra società è un progetto alto che dovremmo assumerci con decisione. Il volontariato ha grandi possibilità.


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Conclusione dei lavori Gianna Gancia Presidente Provincia di Cuneo Emilio Dalmonte Vicedirettore della Rappresentanza in Italia della Commissione europea


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Gianna Gancia Presidente della Provincia di Cuneo

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uongiorno a tutti. Vorrei ringraziare gli organizzatori di questo convegno perché credo che esso rappresenti un momento di confronto importante e significativo. L’ente Provincia non ha competenze specifiche sul volontariato e già questo fatto potrebbe essere oggetto di discussione perché uno dei problemi dell’Italia è purtroppo quello di vedere tanti enti coinvolti (stiamo parlando di rappresentanza presso le istituzioni) ma con micro-competenze oppure compartecipazioni di competenze. Di conseguenza, come sapete, quando su certe situazioni ci sono tanti responsabili, alla fine nessuno è responsabile. Nel settore del volontariato la Provincia ha sostanzialmente tre compiti istituzionali: il primo è il coordinamento dei volontari di Protezione civile, l’aspetto più significativo per una provincia come la nostra; il secondo è la gestione burocratica dell’Albo del Volontariato; il terzo è quello che riguarda i bandi regionali sulla Legge 38, cioè i progetti che fanno capo alle associazioni di volontariato. Si tratta di competenze limitate, sulle quali possiamo incidere poco. Molto più significativo è invece l’ascolto delle organizzazioni che vengono in Provincia, in quanto istituzione, per essere ascoltate ed è una cosa che cerchiamo di fare. Nel Cuneese ci consideriamo fortunati perché il volontariato è nel nostro Dna, basti verificare quante numerose sono tali realtà. Ad esempio, per quanto riguarda la Protezione civile, la metà del numero di volontari di tutto il Piemonte proviene dalla Granda, un dato questo veramente significativo e importante. Passando al tema che viene proposto oggi vorrei rimarcarne l’importanza, ripren-


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dendo le parole del presidente Olivero che parlava di rappresentanza libera e autonoma. Per la poca esperienza che ho, mi sento però di contestare tale affermazione perché anche nell’ambito del volontariato, in base agli specifici settori, si percepisce una forte strumentalizzazione politica che molto spesso prevale sul fare. Anche per questo motivo ritengo importante il dibattito di oggi perché ci permette di smascherare le ipocrisie. Abbiamo infatti dei settori dove sappiamo che c’è una componente prevalente di centro destra ed altri dove prevale il centro sinistra: il fatto di dirlo è già un passo avanti. Credo, infatti, che iniziare a porre i problemi sul tavolo e dire le cose come stanno sia già un modo per iniziare a discutere. Certo, non necessariamente dobbiamo essere tutti d’accordo, ma possiamo instaurare un rapporto di dialettica e di pacato confronto del quale il nostro Paese, in questo momento, ha estremamente bisogno. Condivido le parole del dott. Miglio sul fatto che ci sia una situazione che debba essere rivista, una situazione molto grave a tutti i livelli. Dal mio punto di vista è fondamentale che lo Stato, proprio in virtù di questa autonomia-rappresentanza libera, faccia oggi un passo indietro, anzi non uno, dieci. Io credo veramente nell’identità e nell’essere comunità e l’aspetto positivo sta proprio nel dare visibilità a questa realtà di volontariato, ponendo al centro la comunità creatrice di legami sociali. Occorre ridare valore alla comunità, nel senso che quando di sera vedo la mia vicina di casa che, dopo aver lavorato tutto il giorno, si occupa dei panni di un’altra signora che abita lì accanto, ma è malata (fa la chemioterapia) e ha anche dei figli, ecco per me quello è volontariato. Lo dico perché vorrei davvero che ci ponessimo delle domande sul fatto che si debba a tutti i costi regolamentare tutto. Lo dico non come provocazione (perché è fondamentale il ruolo che svolge il volontariato), ma perché ritengo che sia anche importante un’autodeterminazione, cioè quello che succedeva quando lo Stato non era ancora entrato in tutti i gangli della società civile e c’era la comunità che si prendeva carico di molte situazioni. Questo è un aspetto positivo che è necessario valorizzare e rafforzare. Penso che non occorra, come diceva sempre il presidente Olivero, dare dei criteri economici al volontariato. Il volontariato deve andare in soccorso delle istanze delle persone veramente più deboli, perché un altro problema in Italia è questo. Io ho avuto due genitori malati di cancro molto a lungo e quindi ho un’esperienza con i volontari di questo settore. Purtroppo ho visto persone molto facoltose attingere alle risorse socioassistenziali e questo è sbagliato. Ho sofferto nel vedere genitori con la possibilità di appoggiarsi ai figli, famiglie benestanti, che andavano a fare la chemioterapia assistiti con l’auto del Consorzio socio-assistenziale. Io questo proprio non lo tolleravo e credo, scusate se vi porto un’esperienza personale, che noi dobbiamo andare a incidere su queste sacche di spreco, perché lo Stato - così com’è adesso - non siamo in grado


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di mantenerlo. Possiamo nasconderci dietro tutta la demagogia che vogliamo (che poi non è solo demagogia perché secondo me tagliare i costi alla politica servirebbe tantissimo per dare un segnale), però le sacche di spreco di chi approfitta, di chi incassa assegni di invalidità e non è invalido, di chi ritira sussidi e non ne ha diritto, di chi chiede l’aiuto dei volontari e potrebbe invece dare un contributo economico, ecco - anche in questi casi noi - possiamo fare il nostro dovere. Il nostro è un Paese dove veramente questo problema esiste ed è inutile nascondercelo. Quindi, oltre al ringraziamento per quello che fate, e non è un ringraziamento di maniera, volevo sottoporvi le riflessioni che ho fatto in questi anni e in questo ultimo periodo, perché i tempi sono strettissimi: dobbiamo cambiare mentalità in fretta. Ad esempio, io sono contraria agli assegni di disoccupazione protratti per tanto tempo perché vedo gente che si fa il calcolo e ritiene più conveniente stare a casa piuttosto che cercarsi un lavoro. Ve lo comunico perché lo vedo veramente e ne sono dispiaciuta perché mi sembra uno spreco di energie, di forze giovani inutilizzate. Stabiliamo regole più severe. Scusate se faccio un esempio concreto: se una persona, chiamata dal Centro per l’impiego, rinuncia alle offerte che le vengono proposte, al terzo lavoro rifiutato si deve interrompere l’assistenza, altrimenti non faremo il bene di questa persona. Dobbiamo riuscire a denunciare questi problemi veri e, vi assicuro, non è facile dire queste cose perché sarebbe più comodo dire altro. Quindi dobbiamo agire in fretta e penso che, alla fine, dovremo intervenire su questi aspetti perché lo vogliono tutti gli italiani. Grazie, quindi, perché proprio partendo da gente come voi che ha voglia di impegnarsi, diamo risorse a chi veramente lo merita.


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Emilio Dalmonte Vice Direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione europea

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uongiorno, sono qui per portarvi il saluto ufficiale della Commissione europea. Proclamando il 2011 “Anno europeo del Volontariato”, le istituzioni europee, sotto la spinta della società civile, hanno voluto dare visibilità e sostegno ad un movimento divenuto spesso indispensabile per il funzionamento della nostra società. E’ importante inquadrare il volontariato in un contesto europeo proprio oggi, allorquando si parla di Europa solo in rapporto alla crisi, alle banche, alla finanza.; no, l’Europa non è solo questo, l’Europa è altro. Basterebbe leggere gli articoli due e tre del Trattato di Lisbona per trovare quei valori che i 27 paesi membri hanno scelto per fondare e caratterizzare l’Unione europea: fra questi spiccano il rispetto della dignità umana, l’uguaglianza, la non discriminazione e la solidarietà. E allo stesso tempo si sottolinea come l’Unione si adoperi per uno sviluppo basato su una economia sociale di mercato:definizione, quest’ultima, che compare per la prima volta nei Trattati e segnala la ferma intenzione di puntare a una società che non vuole lasciare indietro nessuno. Il volontariato è radicato in tutti i paesi europei in una miriade di associazioni che quotidianamente prestano servizi di pubblica utilità, assistenza e aiuto a persone in difficoltà, a ospedali, scuole, carceri e centri di accoglienza per indigenti, profughi e anziani. Senza contare tutte le attività che organizzazioni di volontariato conducono all’estero in campo umanitario. Tutti questi progetti e iniziative ci fanno comprendere che il volontariato è in primo luogo un potentissimo strumento di inclusione sociale:


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è nell’interesse di tutti che le frange di popolazione che vivono quotidianamente situazioni di disagio trovino l’occasione per sentirsi protagoniste della vita collettiva, cioè di una società inclusiva e, proprio per questo, più ricca. Con il loro lavoro, quindi, i volontari offrono servizi preziosi per l’insieme della società e allo stesso tempo sviluppano la dimensione umana, favoriscono i contatti e le relazioni, creano strutture e reti che rafforzano il tessuto sociale. A livello europeo, tutto questo vuol dire maggiore comprensione e integrazione fra cittadini di paesi diversi e anche strategie per affrontare insieme i problemi comuni. In una parola, coesione ! Secondo le statistiche ufficiali, l’Italia conta 29 mila associazioni di volontariato, il maggior numero delle quali è impegnato nei settori dell’assistenza alle persone, della protezione civile e della tutela dell’ambiente. Rispetto a una media europea che conta un 30% di volontari sulla totalità della popolazione, l’Italia sembra una delle realtà meno virtuose, ma questa apparenza cela un proliferare di associazioni che non appaiono nelle statistiche semplicemente perché non sono registrate o non chiedono aiuti pubblici. L’Italia è in realtà uno dei pochi paesi che possono contare su una legge apposita per il volontariato. Senza entrare nel merito della situazione nazionale, mi limito a constatare che, per vivere e crescere, il volontariato ha bisogno di finanziamenti erogati con continuità e ben distribuiti, nonché di una società che ne permetta lo sviluppo e ne riconosca il valore. Da ogni punto di vista il volontariato riveste una crescente importanza nella società italiana ed europea in genere, ma assume anche una nuova valenza come fenomeno sociale a livello planetario. I mezzi di comunicazione di massa, internet e la globalizzazione ci mettono oggi in contatto permanente con il resto dell’umanità e accentuano la tendenza naturale dell’uomo all’empatia, cioè a quel sentimento di solidarietà e di condivisione che ogni uomo prova per il suo simile. La sofferenza e il bisogno altrui suscitano in noi una reazione e cambiano il nostro comportamento, ci rendono più consapevoli e responsabili. E’ il fenomeno della “civiltà morale dell’empatia” che secondo lo scrittore tedesco Ritter Henning spinge l’uomo a cercare nella solidarietà con l’altro il superamento della sua finitezza. E’ in fondo questo il messaggio di tutte le grandi religioni, non solo quelle del Libro, che proclamano come fondamento essenziale dell’esistenza umana l’amore verso il prossimo. La presa di coscienza da parte dell’uomo delle responsabilità che ha nei confronti dei suoi simili, così come nei confronti dell’ambiente in cui vive, è la chiave del nuovo progresso dell’umanità. Oggi i limiti raggiunti dal nostro sistema economico, che ci fanno vedere l’impoverimento (per non dire la fine) delle nostre risorse, assieme alle scoperte vertiginose della scienza, che ci danno il potere di una manipolazione smisurata della vita, devono anche indurci a un ripensamento del nostro essere nel mondo. Oggi possiamo intervenire nelle coscienze dei nostri concittadini come interveniamo nell’economia delle nostre società e ribaltare il nostro agire orientandolo sulla nostra


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volontà, e non solo sul bisogno. Il volontariato aiuta a nutrire questo spirito, a far sentire ogni individuo parte di una comunità più vasta, che non si ferma più alla collettività e neppure alla nazione, ma che respira con il mondo. L’indiscutibile valore del volontariato non ci deve però nascondere una tendenza preoccupante in molti nostri paesi, dove la sfera pubblica si ritira sempre più dal suo dovere di servizio, rendendo una parte della società dipendente dal buon cuore e dalla disponibilità altrui. Il volontariato dovrebbe essere un valore aggiunto alla civiltà, non uno strumento per sopperire alle mancanze di uno Stato sempre più assente. Oggi non è di moda sostenere un rafforzamento dello Stato, che ovunque in Europa si ritrae sotto l’accusa di essere costoso e inefficace. Se l’antico modello di servizio pubblico non è più attuale, è altrettanto vero che non si possono abbandonare servizi essenziali in balia del solo profitto. Un’azione pubblica più leggera, più radicata nel territorio e funzionale ai bisogni è possibile e necessaria, per non perdere di vista il benessere a lungo termine delle nostre società e in fin dei conti la loro stessa coesione. Il ruolo di riferimento dello Stato e dei suoi poteri di equilibrio è uno dei valori centrali della cultura politica europea, che si iscrive nel Trattato di Lisbona, laddove, per la prima volta nella sua storia, l’Unione europea dichiara di fondarsi su una economia sociale di mercato. Se l’Unione europea è alla ricerca di valori, questo è uno dei pilastri su cui deve proclamare di fondarsi. Nel suo saggio “The European Dream”, l’economista americano Jeremy Rifkin descrive la profonda differenza fra il sogno americano e quello europeo. Se per gli americani la libertà è associata all’autonomia, cioè al fatto di non dipendere dagli altri, soprattutto dal punto di vista economico, il sogno europeo viene descritto in termini opposti: “For Europeans, freedom is not found in autonomy but in embeddedness”. Per noi essere liberi è dunque porci in relazione con gli altri, fruire di quell’ inclusività che ci dà appartenenza e sicurezza. Per questo gli europei cercano anche nel volontariato quella dimensione di incontro e di bene comune che in molta parte nel nostro moderno vivere si è persa. E per l’importanza che danno all’idea stessa del condividere, si aspettano legittimamente uno Stato che sia in grado di fornire adeguati servizi pubblici finanziati da un equo gettito fiscale e di livello comparabile in tutti i nostri paesi. Soltanto in questa prospettiva il volontariato assume il suo più alto valore e diventa espressione di senso civico, crescita individuale, collante sociale e scuola di vita.


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