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cultura

pagina 14 • 25 aprile 2012

Attore, cantautore, ballerino e scrittore. A cent’anni dalla nascita, ritratto di un punto di riferimento del teatro leggero italiano. Oggi un po’ dimenticato

Piccolo, grande Rascel Con lui si è affermata una nuova comicità surrealista che non aveva paura di sognare di Marco Ferrari n piccolo grande uomo. Cento anni fa, il 27 aprile 1912, nasceva a Torino Renato Rascel, attore, cantautore, ballerino e persino scrittore. Renato Rascel, al secolo Renato Ranucci, morto a Roma nel 1991, aveva lo spettacolo nel sangue. Figlio di cantanti d’operetta, nato casualmente nella città sabauda durante una tournée dei genitori e quindi trasferitosi a Roma, cresciuto da una zia e da una nonna, fin da piccolo si trova a calcare i palcoscenici di compagnie filodrammatiche, senza trascurare la vocazione famigliare entrando nel coro di voci bianche allestito dal compositore don Lorenzo Perosi. Nel contempo impara a suonare la batteria, balla il tip-tap, accompagna il trio delle sorelle Di Fiorenza. Nel 1934 viene notato dai fratelli Schwartz (ebrei, registi e impresari tedeschi fautori del passaggio dall’operetta alla rivista: erano scappati dalla Germania nazista sperando nella tolleranza italiana… fecero una brutta fine) e debutta, come Sigismondo, nell’operetta in tre atti Al Cavallino bianco. Poi torna con le Di Fiorenza e quindi passa con Elena Gray partecipando anche a una serie di spettacoli in Africa. A partire dal 1941 fonda una compagnia propria, insieme a Tina De Mola, allora sua moglie, mettendo in scena testi di Nelli e Mangini, di Galdieri e di Garinei e Giovannini. Una carriera lunga e brillante, con caratteristiche condivise con tanti altri artisti dell’epoca: dall’esordio in famiglia nell’operetta alla comicità popolare. Lo stesso, per dire, fecero Pietro De Vico e Anna Campori, che si trovarono poi sulla scena come nella vita: perché un pezzo cospicuo del grande spettacolo italiano è “fatto in casa”, autodidatta. Se la famiglia è sempre stata una grande istituzione, qui da noi, ha mantenuto il suo ruolo anche sul palcoscenico.

U

omino ingenuo e ammiccante, il finto stupido che attraverso un costante uso del doppio senso perviene alla caricatura della realtà sociale. Forse i gerarchi fascisti non si accorsero che quella figura così naif altro non era che una critica all’uomo forte delineato dal regime mussoliniano. Ad accentuare questo personaggio fuori dal comune ci pensano poi un bizzarro repertorio linguistico e un abbigliamento esagerato che contrasta col fisico minuto dell’attore, fuori misura rispetto al resto della compagnia. Così Renato Rascel contribuisce in maniera evidente alla nascita di una nuova comicità prevalentemente surrealista, fatta più di sogni sospesi nell’aria che di piedi impiantati nel palcoscenico. Che poi è il passaggio (colto) dalla

co. E Rascel s’aggiustò addosso questa maschera dandogli un tocco di consapevolezza intellettuale in più. In quegli anni, quelli dell’avanspetacolo, Rascel trova delle partner femminili fedeli, capaci di fare da contraltare alle sue fantastiche esibizioni quali Livia Muguet, Elena Quirici e Elena Grey. E poi, negli anni Quaranta, le sue macchiette si inseriscono perfettamente all’interno del teatro di rivista italiano, evolvendosi in storielle a tema unico sorretto da testi di qualità che giocano sull’improponibilità di quell’omino che non può spaventare nessuno, simbolo di un’Italia che si sente a disagio di fronte ai muscolosi alleati tedeschi. Ma proprio perché unico, il personaggio Rascel finisce per essere riconosciuto e amato da pubblico. I suoi sketch e le sue canzoni diventano capisaldi della rivista, sodali e colleghi sorreggono quella minuscola figura che rischia di scomparire in scena mentre spalle femminili, come Marisa Merlini, giocano con quello strambo Ufo catapultato nell’èra di Mussolini e Hitler.

Nella dura palestra dell’avanspettacolo delineò il personaggio cardine della sua carriera: il “piccoletto”, uomo tascabile, mite e stralunato che con la sua aria ingenua ridicolizzava la realtà sociale

Insomma, è nella dura palestra dell’avanspettacolo che Rascel delinea il personaggio cardine della sua carriera, il “piccoletto”, l’uomo tascabile stralunato, mite, distratto, innocente, incredulo, quasi incapace di stare al mondo. Sempre aperto alla scoperta, eternamente fanciullo, il personaggio Rascel è una macchietta, una figura astratta, sconclusionata, basata sul nonsense, come lo erano stati i fratelli De Rege. Si afferma sulla scena un

tradizione del nano seicentesco alla maschera - surreale, appunto - del Novecento. Il nano, infatti, era una particolare figura di buffo nell’Opera napoletana: lo scemo che non capisce quel che gli capita intorno ma che alla fine con una trovata di genio risolve tutto. Insomma: uno stupido o un genio? Nano è stato Ciccio De Rege, come si diceva, ma anche Peppino De Filippo o il già ricordato Pietro De Vi-

Ma era difficile per i gerarchi far quadrare i conti con quel falso tono infantile di Rascel che spiazzava ogni logica persecutoria. Basta pensare alle strofe della sua più famosa canzone, scritta di getto nel 1939 durante una pausa in camerino: «È arrivata la bufera/ è arrivato il temporale/ chi sta bene e chi sta male/ e chi sta come gli par». Poteva una filastrocca descrivere meglio il clima Renato Rascel nasce “per caso” a Torino durante una tapcupo che gravava sull’Europa alpa della tournée della compagnia d’arte in cui lavorano l’inizio della guerra? Ma i suoi suo padre Cesare Ranucci, cantante di operetta, e sua bizzarri componenti finirono lo madre Paola Massa, ballerina classica. Riceve il battesistesso sotto le forbici della censumo nella Basilica di San Pietro secondo il desiderio del ra avendo titoli dai reconditi sipadre, romano da sette generazioni, e alla città eterna la gnificati e dai doppi sensi contro sua vita resterà sempre legato. il regime come Mi chiamo ViscarCresce a Roma con una zia nell’antico rione di Borgo, fredo, La canzone del baffo, Torna a quenta la Scuola Pontificia Pio IX, gestita dai Fratelli di casa che mamma ha buttato la Nostra Signora della Misericordia i quali, oltre a imparpasta e La canzone della zanzara tire l’insegnamento scolastico, organizzavano corsi di cantubercolotica. Terminato il conto, musica e recitazione. Renato mostra lì i segni del suo flitto, Rascel si prenderà una riprecoce talento, al punto di essere ammesso a far parte, alvincita con il film Gran Varietà in l’età di dieci anni, del Coro delle Voci Bianche della Capcui interpreterà se stesso e il rappella Sistina. Debutta in teatro a fianco del padre, divenupresentante della censura, quella to direttore della filodrammatica “Fortitudo”. All’inizio fascista e quella post-fascista. In degli anni Trenta, e dopo un lungo tirocinio in compagnie un’Italia che aveva bisogno di didi avanspettacolo, Renato Ranucci decide di scegliersi un menticare gli orrori della guerra nome d’arte e sceglie casualmente quello di “Rachel” (dal la sua candida, ingenua comicità nome di una cipria francese molto famosa in quel tempo); è dilagante come testimoniato dai tuttavia, poiché, come ammetterà più tardi in alcune ingrandi successi delle pièce teatraterviste, sono in molti a sbagliarne la pronuncia, decide di li Attanasio cavallo vanesio e Alsostituire la “ch” con “sc”, onde evitare errori. varo piuttosto corsaro a cui fecero seguito altri strambi titoli come

la storia

Renato Rascel con Ugo Tognazzi, Delia Scala e Alberto Sordi. Sotto, in tv, nei panni del “piccoletto” in abiti napoleonici. A destra in basso, la Bocca della Verità. Rascel è anche autore della trilogia di favole “C’era una volta Re-Natino”


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