Cosmonautica Magazine - N° VI

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Salire su una di queste imbarcazioni significa fare un tuffo nella storia ma anche capire meglio alcuni principi alla base del posizionamento delle vele e della costruzione degli scafi. Partiamo dalle differenze rispetto alla vela moderna; innanzi tutto sulle barche “tradizionali” non c'è deriva e non c'è boma. Per quel che riguarda lo scafo significa che il timone fa anche un po' da deriva e quindi diventa fondamentale il bilanciamento con la prua al fine di mantenere la rotta e per poter virare. In quest'ultimo caso è opportuno eseguire la manovra con una certa destrezza e mantenere la barca in velocità, non è sempre facile e per questo una regola di regata consente l'uso del remo qualora, dopo la prima virata mancata, non si sia ancora riusciti a cambiare di bordo. Per quel che riguarda la vela c'è poi una poesia di nomi e tecniche, a partire dall'antenna, un'asse diagonale che sostiene la randa per tutta

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la lunghezza e che, in poppa, la fa assomigliare tanto ad uno spinnaker. Altra caratteristica sono le manovre fisse e correnti che, dovendo rispettare la tradizione, sono costituite da cordami e bozzelli in legno, come le bigotte alla base delle sartie. Vi sono poi tipologie di barche diverse a seconda della conformazione dello scafo, a poppa tronca o tonda come Ninin, il gozzo di 6 metri sul quale siamo saliti grazie a Giancarlo, l'armatore e a Oscar, il comandante che, con pazienza, ha cercato di erudirci sui termini, la storia e le caratteristiche delle barche. Anche Graziella è un gozzo, ha 70 anni, ma non li dimostra grazie all'amore e alla cura con la quale è stata ristrutturata, ed è lunga 17 palmi ovvero 4,25 metri. Infatti queste barche si misurano in palmi (un palmo corrisponde circa a 45 centimetri) perché, come sostiene l'armatore, “gli inglesi fanno le barche con i piedi e noi con le mani”.


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