C magazine #1

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ARTE

C U L T U RA

COSTUME

magazine

Camminando negli anni ‘10 ...fra evoluzione e recessione

SOCIETÁ


magazine

C magazine dicembre 2013 anno 1 numero I Mensile di arte, cultura, politica, costume e società Fondato da: S.La.M. Project Direttore responsabile: Ginaski Wop Art director: S.La.M. Project

Redazione: via Pasquale Andiloro 41/g · 89128 Reggio Calabria tel e fax 0965.29828 Hanno collaborato a questo numero: Federico Bonelli - Nadia Giovinazzo - Erika Grapes - Jan Hassermann - Andrea Lehotska Alfonso Russo - Pino Scotto - Ana Sicat - Ruben Toms Alfonso Tramontana - Francesco Villari - Ginaski Wop Tema del mese: Gli Anni ‘10... fra evoluzione e recessione

Editore: Farandula s.a.s. via Pasquale Andiloro 41/g · 89128 Reggio Calabria tel 0965.29828 Progetto grafico: Officine Farandula

Pubblicità: Farandula Editore - luisrizzo.cmag@gmail.com

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte della rivista e dell’allegato può essere riprodotta in qualsiasi forma senza l’autorizzazione scritta dell’editore. È vietata la vendita dell’allegato (Ed. Farandula). Chiuso in redazione il 29 novembre 2013 alle ore 20:00


Editoriale

C

magazine è un mensile concettuale di arte, cultura, costume e società. Ogni mese un Concept specifico farà da tema portante intorno al quale si muoveranno articoli e considerazioni. C magazine nasce dalle “macerie” di ciò che fu iNscena, mensile cartaceo prodotto dal medesimo staff e che in seguito verrà misteriosamente(?) chiuso nell’arco di 24 ore nel febbraio 2010. Dopo una pausa di riflessione durata tre anni, torniamo in modo ancora più indipendente a proporre il nostro modo di fare informazione, offrendo punti di vista condivisibili o meno da voi lettori, ma certamente liberi, privi di contaminazioni politico-aziendali e soprattutto senza percepire alcun finanziamento pubblico! Il Concept di questo mese riguarda gli anni ’10. Intendiamo analizzare la realtà che si muove intorno a questa nostra decade – i ’10 del nuovo millennio – fatta di spread, crisi reale o presunta, banche e banchieri, Papi abdicanti e Papi social, papi da bunga e ciceroni decadenti e decaduti, e stravolgimenti socio-culturali. Una decade emotivamente disoccupata, dove lo step by step è un categorico schema da incorporare al proprio stile di vita. I nostri ’10 sono sovrapponibili sotto molti aspetti alla seconda decade del ‘900… basti pensare ai disordini del 1911 in Marocco – riconducibili in parte a quanto accaduto e accade nel Marocco e Libia dei giorni nostri; l’affondamento del Titanic così simile nei modi alla strage della Concordia e la prima guerra mondiale (un tempo le guerre si facevano con le armi, adesso invece per affondare la Grecia si combatte a colpi di tassi d’interesse e monete uniche). I ’10 del 900 - fra evoluzioni e recessioni – rappresentarono l’anticamera di totalitarismi, grande depressione e proibizionismo che hanno connotato il successivo evolversi della storia a livello mondiale. Tralasciando catastrofismi, preferisco augurarmi che i nostri ’10 non siano l’anticamera di nulla, e che gli anni ’20 che verranno possano invece rappresentare per la società una nuova epoca evoluzionistica. Guardare alla storia aiuta sempre, e analizzarne i fenomeni che caratterizzano questo nostro folle tempo, contribuisce a sviluppare una disamina il più possibile obiettiva sui fatti, in modo tale che – si spera – non si cada e non si scada negli stessi errori. Fra sarcasmo e pragmatismo si articola il Cover Beat di questo mese con l’esclusiva intervista a Bill Scheft – autore del David Letterman Show - intitolata Scegli tu il tuo passatempo; continuando con la riflessione di Francesco Villari: 10 STEPS THROUGH THE ‘10; in ambito musicale, il gruppo elettro-pop Vena, con L’amore ai tempi dell’hi-tech e in ambito di Arte Contemporanea le discusse opere di Max Papeschi. Come ogni mese non mancherà lo spazio dedicato a libri, cinema, poesia, e food & beverage. Inoltre, le rubriche curate da ospiti d’eccezione: Andrea Lehotska che offre un originale punto di vista nella contrapposizione fra due beni a tutti molto cari: il Pene e la Vagina; e il rocker Pino Scotto che risponde personalmente alle domande dei lettori. Buona lettura e benvenuti in C magazine! Cheers!

Ginaski Wop


musica

vena

l’amore ai tempi dell’hi-tech i vena sono una giovane promessa dell’ettro-pop italiano. testi curati. sound moderno che pesca nel dubstep e nella fidget house. nel loro nuovo ep “brucia amore brucia” parlano di sesso, estetica e della frenesia dei nostri tempi. citando Klimt e vodKa belvedere. c magazine li ha incontrati per scoprire una nuova generazione alla ricerca di modernitÀ, veritÀ e bellezza.

testo

L

Erika Grapes

a seconda decade del ‘900 era caratterizzata da importanti scoperte tecnologiche, ottimismo e speranze verso un futuro che si prospettava radioso (ma che portò presto al primo drammatico conflitto mondiale). Un secolo dopo, l’occidente industrializzato è segnato dalle paure post-11 settembre e, pochi anni dopo, da una profonda recessione economica. Cosa significa essere ventenni nel 2013? Come si manifesta la spensieratezza o la presa di coscienza della vostra generazione? Essere ventenni nel 2013 significa sostanzialmente essere ancora adolescenti. Le responsabilità effettive aumentano relativamente, dato che sopravviviamo comunque grazie ai soldi che i nostri genitori ci versano sul conto corrente, con cui compriamo vestiti, paghiamo gli affitti e gli ingressi in discoteca. Escluso chi dopo la scuola superiore comincia a lavorare, in pochi cercano occupazioni parallele all’università, anche solo per tenere impegnata la testa.

Essere ventenni nel 2013 vuol dire principalmente avere un sacco di tempo, soprattutto per pensare: a cosa fare della propria vita, e quindi allo studio, agli esami e al lavoro che un giorno svolgeremo (anche se impossibile da visualizzare realmente, nemmeno dopo anni di università). E soprattutto abbiamo tantissimo tempo per pensare alle cose poco importanti; e le cose poco importanti sono davvero troppo importanti, in particolare quando forniscono effetti positivi immediati: la botta di autostima che riceviamo da conquiste amorose, l’ossessione dello stile, della moda, delle marche, lo stordimento delle feste e delle serate, le storie da poter raccontare un giorno, la perversa social life sui network e via dicendo. Se a questi elementi piacevoli e anestetizzanti si aggiunge una costante insoddisfazione e a tratti volontaria incapacità di essere felici, ci rendiamo conto di essere tutti potenzialmente decadenti. Diciamo che quelli più svegli, fra noi ventenni, non lo sono.


“Nella stanza della più bella / Tre donne di Klimt sopra la testa / Lei è castana, eppure così fredda / A pensarci, l’idea mi stressa / Dei soldi, dei salve, della sua faccia” E’ un verso di Canzone per una Modella, brano tratto dal vostro EP “Brucia Amore Brucia”. Gustav Klimt descriveva, nei suoi dipinti la fugacità della vita insieme alla decadenza della società contemporanea. Quanto si avvicina questa visione all’estetica dei Vena. In cosa si differenzia, eventualmente? L’opera a cui si riferisce nello specifico il testo è “Le tre età della donna”, e dando una semplice occhiata al dipinto il parallelo con la modella è immediato: adesso può permettersi di godere della sua bellezza e giovinezza, addirittura di usarla per guadagnare denaro, ma quando un giorno esse sfioriranno, o non saranno economicamente “produttive”, cosa le resterà? Piuttosto che della fugacità a noi interessava sottolineare la vacuità della sua vita, troppo concentrata sul suo ruolo e sul culto del narcisismo. Alla fine tutto si riduce ad un’importanza esagerata dell’apparenza e di ciò che pensano gli altri: “parli male di me?”, che non è “pensi male di me” o “hai un brutto ricordo di me”. Cosa importa di cosa sono interiormente quando alla fine sono definito quasi esclusivamente dalle opinioni altrui? Opinioni che ovviamente devo accarezzare, indorare, rendere quanto più seducenti possibili. Nel momento in cui qualcuno si permette di parlare male di me, il gioco non regge. In questo possiamo trovarci d’accordo con Klimt, anche se è un po’ banale dirlo: c’è “decadenza” nella società contemporanea, anche se forse più sottile. Le grandi scoperte tecnologiche di inizio ‘900 hanno portato rapidamente, un secolo dopo, ad una società estremamente hi-tech, con i suoi pro e i suoi contro, anche in ambito musicale. Quanto e come si coniuga, nella vostra ricerca musicale quello che è l’aspetto “caldo” del suonare uno strumento con le infinite possibilità creative dell’elettronica? È proprio nella vastissima gamma di possibilità fornite dall’elettronica che abbiamo trovato nuova forma per il nostro percorso musicale. Dopo le prime esperienze artistiche siamo stati spinti dalla curiosità di miscelare il nostro background di band “classica” composta da voce, chitarra, basso e batteria, con le sonorità più moderne derivate dall’ampliamento degli ascolti e dalla crescita personale. Il frutto di questa commistione ci ha portati a sfogare in maniera più completa la nostra creatività e a trovare un punto di incontro fra i diversi gusti e le differenti influenze come singoli elementi. Ciononostante la nostra sperimentazione ha voluto tenere conto delle peculiarità dei due ambiti, tendendo a lavorare più su un’idea di contaminazione, cioè prediligendo a volte il playing acustico e aggiungendo il “freddo” suono sintetico o viceversa, chiaramente a seconda delle atmosfere e delle intenzioni che volevamo ottenere. L’inizio del ventesimo secolo, in Italia, era segnato da grandi flussi migratori, in particolar modo verso gli Stati Uniti. I viaggi di inizio ‘900 erano drammatici, spesso definitivi, affrontati su imbarcazioni colossali e settimane di navigazione in oceano aperto. Viaggiare oggi significa spesso saltare su un

volo low cost e ritrovarsi nel giro di due ore in un paese diverso, ma sempre più vicino al nostro, per effetto dell’amalgama “globale” di culture sempre più vicine e fuse fra loro. Si cambia paese, lingua, casa per un anno di scambio Erasmus, o perché si è un cervello in fuga. Cosa significa per voi viaggiare? In che modo i vostri viaggi influiscono sul vostro modo di fare musica? Le parole viaggiare e trasferirsi sono sempre più legate alla parola fuga, con la differenza che ora non è prerogativa solo della gente produttiva che non ha speranze di lavoro in Italia. Nell’insoddisfazione generale che colpisce la nostra generazione, ossessionata da sogni di gloria e possibilità di svolta e riscatto personale (soprattutto per chi vive in provincia), l’idea di andare all’estero si carica di speranze e piani per ricostruire sé stessi. Alla necessità di scappare per motivi pratici si è sostituita una voglia di fuga più generica. Indubbiamente andare via di casa, anche solo in un’altra città del proprio paese o per un lungo viaggio o una vacanza studio, è utile per crescere, per staccarsi dalle comodità e sapersi autogestire, aprire la mente, saper tornare a casa e apprezzare o comunque rivalutare ciò che ci si è lasciati alle spalle. Collegandoci al discorso musica, viaggiare è anche un toccasana per la creatività, che troppo spesso rischia di spegnersi se soffocata dalla monotonia: mettendosi in gioco si trovano nuovi stimoli. Se a ciò assommi la possibilità di scoprire e comprendere realtà diverse e magari scontrarti con metodi e strumenti mai visti prima, unendoli con le tue vecchie conoscenze otterrai sempre qualcosa di nuovo. Dalle recensioni sul vostro lavoro emergono principalmente due parole: “Subsonica” e “canzone d’autore”. Un connubio fra ritmi adrenalinici, spesso dance e una ricerca testuale non comune. Come descrivereste il ritmo dei Vena? Che romanzi leggete? Si leggono ancora romanzi nell’era del web? Il ritmo che abbiamo cercato di ottenere è figlio dei generi musicali e delle sonorità del nuovo millennio. I nostri ascolti sono molto differenziati, le ispirazioni davvero molteplici. In generale abbiamo cercato di creare un connubio quanto più solido fra la lo strumentista compositore “classico” e il producer elettronico. In questo senso una band come i Subsonica rientra chiaramente fra le nostre ispirazioni, anche se troviamo appunto che le nostre intenzioni per questo EP siano state ancora più indipendenti dall’idea di formazione classica rispetto alla band torinese. Comunque sia, il nostro sound è in continua evoluzione e potremo tornare ad avere una dimensione più da band in futuro, come anche l’esatto contrario o un altro ibrido ancora. Sicuramente l’importanza dei testi non è secondaria, e in Italia il cantautorato è noto per essere sempre stato di alta qualità; noi non vogliamo però incanalarci in un settore ben definito, semplicemente vogliamo scrivere canzoni e la canzone è di per sé l’esatto connubio fra musica e parole, in cui ognuno dei due elementi riveste la stessa importanza. Le letture sono di tutti i tipi, e la composizione dei membri della band è veramente molto eterogenea: c’è chi predilige la lettura classica, narrativa, e chi invece è più settoriale e magari saggistico. Ci è impossibile definire un unico

il ritmo che abbiamo cercato di ottenere è figlio dei generi musicali e delle sonorità del nuovo millennio


argomento di interesse, siamo estremamente diversi tra noi e in questo risiede forse un punto di forza. Sicuramente nell’era del web si leggono meno libri in favore di una maggiore immediatezza dei contenuti digitali e dell’enorme potenziale dell’interattività degli stessi, più fruibili e divertenti. Resta sicuramente una buona dose di lettori, magari bisogna solo cercarli su scale di interessi differenti. Per la Belle Epoque, la Francia era un punto focale per quanto riguarda arte e cultura. Quanta affinità trovate con la nuova musica elettronica francese? I grandi numi tutelari del French Touch, dagli Air ai Daft Punk, passando per artisti più moderni come Justice, SebastiAn o più ricercati quali Étienne de Crécy o Mr. Oizo , ci sono assolutamente noti e fanno parte anche loro del grande calderone di influenze del nostro sound. Sarebbe però riduttivo sostenere che le caratteristiche delle produzioni di questi artisti compongano da sole il nostro sound, il quale è ispirato dal mix di sonorità parecchio lontane tra loro e apparentemente inconciliabili. Certamente la capacità della scuola francese di comporre musica dalla forte ballabilità e dal “tiro” molto diretto, unito all’utilizzo di suoni caratteristici, sono elementi che possono ricordare alcune atmosfere del nostro EP. I vostri brani riescono ad essere al tempo stesso orecchiabili e originali. Qual è la ricetta per la canzone perfetta? Noi crediamo che si debba partire da un’idea, il resto verrà da sé. È impossibile pensare a qualcosa senza avere riferimenti almeno mentali: oggi vogliamo sentire questo ritmo, vogliamo richiamare questa sonorità, vogliamo parlare di queste tematiche. Una volta decise tutte queste cose si può passare al secondo step, cioè buttare giù qualche idea musicale e definirne il taglio, sempre in base ai riferimenti in testa: userò questi suoni perché sono incisivi, userò queste parole perché sono più pop o più romantiche etc. Infine si esegue il lavoro più duro, cioè lavorare in continuazione sul materiale abbozzato tramite prove su prove a tutti i livelli e in continuazione, finché il suono e le parole non siano un tuttuno coeso e sensato. Spesso è difficile, perché nonostante tutti i piani fatti in precedenza è un lavoro estremamente dinamico e che richiede una mente aperta. Magari un suono non è adatto, una parola nemmeno e allora con calma e pazienza si prova qualcos’altro e così via, confrontandosi continuamente. Il labor limae è fondamentale, dev’essere continuo e non deve mai permetterti di adagiarti sugli allori. L’ ultima cosa, che noi crediamo assolutamente necessaria, ma che spesso è data scontata e lasciata al caso, è che trattandosi di canzoni, la musica deve dire la stessa cosa del testo, deve esserne la traduzione, la reiterazione e il rinforzo. È quello che cerchiamo di fare noi, avere quanta più coesione fra le parole e le note. Solo così l’ascoltatore riuscirà ad immergersi davvero e a intendere quello che intendiamo noi e vivere le stesse emozioni.

se tutti siamo vittime del sistema capita di incontrare persone che lo sono maggiormente

Nel 1912 le donne manifestavano per chiedere a gran voce il suffragio universale. Recentemente è uscito un vostro videoclip “La Grinta” in cui descrivete alcune vostre coetanee, identificandone la fragilità e la confusione in una simbolica “Alessandra”. Cosa è successo, secondo voi, a livello psicologico e sociale alle ragazze di oggi? Di cosa parla il video? Se tutti siamo “vittime” del sistema (ma anche un po’ complici), capita di incontrare persone che lo sono maggiormente. Alessandra è più un luogo della mente, dove abbiamo deciso di inserire tutte quelle ragazze insicure e travolte dalla vita estetizzante di Milano. Gli aperitivi, i bilocali minimal, le vodka di lusso e le discoteche alla moda sono belli e divertenti, ma partecipare a questo tipo di vita gaudente sopportandone la pressione rischia di farle esplodere. A livello psicologico, storicamente, alle donne è sempre stato richiesto uno sforzo superiore per adattarsi a determinati ruoli, e nella città capitale della moda e dei trend, ora nascono nuove richieste da adempiere: la perfezione del vestiario, la cura della bellezza e del fisico, l’attenzione per la griffe, la necessità di apparire. In un ambiente agguerrito e concorrenziale come Milano, il rischio di diventare un outsider se non si accettano questo genere di convenzioni è alto per tutti e su alcuni soggetti particolarmente fragili può succedere che si ritrovino a credere troppo a questa patina luccicante, facendone una delle loro ragioni di vita. Come nel caso di Alessandra. Nel video si è cercato di ricreare nella prima parte le immagini che più sintetizzassero questo genere di lifestyle festaiolo e spensierato ed in una seconda di descrivere il ritorno alla realtà delle ragazze, il disvelamento epifanico della finzione a cui hanno partecipato: l’energia estetica, ovvero il gusto per la bellezza vera e non per quella imposta, viene finalmente liberata, al prezzo di una lacrima. In particolare l’ispirazione per le scene finali del video ci è stata data dal film “Io la conoscevo bene” di Paolo Pietrangeli, di cui abbiamo tentato di fare una citazione. Un vero ringraziamento va ai videomaker Alessandro e Stefano di The Dogs Production, che sono riusciti a rendere perfettamente su video le nostre idee!

Quale sarà il prossimo video dei VENA? Potete dare alcune anticipazioni? VENA: Abbiamo in programma un nuovo video da girare a breve, lo script è attualmente in fase di lavorazione e dobbiamo decidere le location. La canzone prescelta è Sui muri di Milano, una canzone d’amore metropolitano, in cui vengono sovvertite le regole del romanticismo su un ritmo drum n bass che maggiormente ci ispirava la frenesia della città. Ancora una volta il video cercherà di ricreare le atmosfere suscitate dalla canzone, e con ogni probabilità sarà girato pensando più ad un cortometraggio vero e proprio.


musica

Ridatevi Fuoco...Bastardi! a cura e di

Pino Scotto

Pino Scotto, ogni mese, risponde alle domande dei lettori. Invia una mail a: staffcmag@gmail.com

Carlo - “Ciao Pino. Seguo il rock da sempre ma recentemente mi è capitato di ascoltare delle robe di musica cantautorale italiana. Trovo che i testi di alcuni cantautori siano molto rock sotto un certo punto di vista. Sono fuori strada? Tu che ne pensi?”

Max – “Pino, stando alle dichiarazioni rilasciate da Ruby in tribunale, pare che Mr. Berlusconi organizzasse festicciole private con fighe da paura e mega orge… io non sono berlusconiano, ma devo riconoscere che è uno stile di vita parecchio rock. Non trovi?”

Sfondi una porta aperta! Pensa che settimane fa mi trovavo in tour, e una notte in camera in hotel ho sentito casualmente un pezzo di Renato Rascel. Una canzone scritta sotto il periodo fascista. Il brano era ovviamente una presa per il culo nei confronti della dittatura, e il titolo è: È arrivata la bufera. In quel momento ho deciso di lavorare a un album di cover che sarà pubblicato in aprile. Ho recuperato un repertorio cantautorale italiano dove reinterpreterò canzoni di artisti che hanno scritto testi importanti e impegnati già 40 o 50 anni fa… Tenco, Graziani, Celentano e altri ancora. Quindi credo che tu sia sulla strada giusta. Stai riscoprendo anche tu una grande storia della musica italiana.

Sinceramente, riguardo alle trombate che si fa Berlusconi, posso solo dirti che vorrei essere al posto suo.. ma di base non me ne fotte una minchia della sua vita privata e delle sue scopate e idem per quanto riguarda Ruby che, minorenne o no, secondo me faceva certe cose già da quando aveva 12 anni! Il vero problema di Berlusconi non è rappresentato dal bunga bunga, ma da tutti i danni che ha fatto con Forza Italia, con la sua politica e con le sue aziende. È questo il vero problema di Berlusconi. Anzi, ben venga il bunga bunga… è in stile rock and roll! Tanto l’Italia è ormai un paese di mignotte, questo lo sappiamo tutti… anche se non le chiamano più mignotte, adesso si chiamano Escort.

Anna – “Ciao grande Pino. Sono una chitarrista di 29 anni. Vorrei poter vivere di musica e realizzare il mio sogno, ma qui in Italia vedo solo porte sbarrate! Tu che hai fatto concerti un po’ d’ovunque e conosci le realtà straniere, potresti consigliarmi un Paese in cui trasferirmi? Io pensavo a Londra.”

Stafania – “Ciao mitico! Sto seguendo X Factor ( e so che già la cosa ti farà incazzare), ma dovrai ammettere che quest’anno il livello si è alzato notevolmente. Ad esempio, ho ascoltato gli Ape Escape. Non trovi che forse finalmente questi reality si stiano aprendo alla musica fatta con le palle? Ciao.”

Io vado spesso a suonare in Inghilterra, e vedo che è pieno di italiani che si trasferiscono con la speranza di suonare, o anche semplicemente di trovare un impiego come camerieri in un pub… quindi pensa come siamo messi in Italia?! Attualmente sto girando parecchio all’estero, perché sono in tour con i Twin Dragons e posso dirti che anche negli U.S.A. stanno messi tutti alle corde! Gli unici Paesi che probabilmente potrebbero offrire delle serie opportunità e dove si fa musica, così come si è sempre fatta, sono la Germania e l’Australia. Poi ci sono queste nuove frontiere come la Cina o la Thailandia che stanno scoprendo relativamente da poco la musica Rock, quindi potrebbero essere dei Paesi in cui potresti rifarti una vita nel vero senso della parola.

Io credo di avere avuto un ruolo in questa “evoluzione”. Perché continuando a dire a queste merde che in Italia ci sono musicisti veri, forse ho contribuito a farli svegliare. O forse a farli diventare più paraculi… perché questa in fondo è solo una mossa da parte loro per pulirsi la coscienza, considerato che da quei programmi tv non “uscirà” mai nessuno... ne’ da X Factor ne’ dalla De Filippi. In questi programmi chiamano solo gli artisti da Karaoke, quando invece in giro di gente brava ce n’è. Io faccio tante date e ascolto ragazzini che spaccano il culo, ma non verrà data loro mai una opportunità perché son troppo bravi, e in questi programmi invece preferiscono selezionare quei prodotti che durano 6 o 7 mesi al massimo!


cover beat costume e societĂ


10 STEPS THROUGH THE ‘10



cover beat costume e società

Quella mattina, come ogni mattina, mi alzai con la speranza che ci fosse l’acqua fresca necessaria per svegliarmi ed acqua calda per lavarmi. Dopo una veloce colazione fatta di abbondante caffè e di una sigaretta uscii di casa. Cercavo lavoro, come ogni mattina alla buon ora. Possibile che non ci fosse l’opportunità per un ottimo carpentiere quale io ero di trovare un ingaggio, fosse anche a giornata? Possibile che i tempi che stiamo vivendo mi costringano alla fame e che i colloqui di lavoro non vadano oltre gli apprezzamenti e i successivi rimandi? Possibile che il resto della giornata trascorso sulla strada non mi racconti nulla di nuovo? Avrei dovuto soltanto aspettare l’autobus delle 19:00: era quello lo scopo della mia giornata? Una volta arrivato alla mia fermata cos’altro avrei potuto fare se non fermarmi al bar del marciapiede di fronte al mio portone ed incominciare a bere? A bere a credito, ovviamente. L’occupazione era una preoccupazione anche del mio barista. Se tutti avessimo trovato uno straccio di lavoro il suo quaderno nero si sarebbe trasformato in un arcobaleno. Ma lui era paziente. Così come eravamo pazienti noi, nomi di quella lista a credito. Nomi di una vita a credito i cui parenti si sarebbero indebitati per far scrivere un nome su un blocco di marmo. Magari il più tardi possibile.” Mio padre mi ha raccontato questa storia. L’ha sentita da suo padre al quale l’ha raccontata suo nonno. Questo racconto mi ha colpito forte allo stomaco. Razionalizzare il fatto che il tempo passa solo per le tipografie, che stampano ogni anno i nuovi calendari, e per le pompe funebri, ça va sans dire, mi lascia intendere che la vita non fa altro che ripetersi e ripetersi e ripetersi. Un ciclo continuo che ci coinvolge giusto per il tempo di un posto di blocco al quale dobbiamo formalmente rispondere mostrando i documenti. Poco importa che la data di nascita sia il 1878 o il 1978, il ciclo continuo cambia i nomi dei nostri referenti politici di quartiere e del nostro caro “Mr. President”. Cambia il viso del nostro panettiere, del benzinaio e del macellaio. Trascorsi un centinaio di anni, a ben vedere le differenze su scala mondiale non sono poi così marcate di quanto non lo siano quelle dei tratti che caratterizzano il viso del nonno di mio padre.

È vero che lui si è fatto le ossa per mezzo della Grande Depressione per poi passare attraverso la prima guerra mondiale, pagata a caro prezzo. È vero anche che ha preparato la strada per la seconda guerra mondiale, combattuta da mio nonno a ridosso della prima linea. È vero anche che a ridosso della prima linea mio nonno abbia pensato bene di fare otto figli e lasciar loro, mio padre compreso, un mondo fatto di pace. Ma possiamo realmente parlare di pace? Io, per esempio, non ho mai sentito parlare della pace del Vietnam. Le insurrezioni popolari continuano a riempire le piazze: dal Messico di Pancho Villa all’Algeria, all’Egitto fino alla Libia del fu Gheddafi. La mancanza di lavoro che fu l’anticamera della Grande Depressione del decennio successivo si spera che non si ripeta, ma la strada intrapresa sembra simile. È come fosse tutto uguale, ma in una parvenza che il restyling e le mode ci propongono come diverso. La guerra mondiale con i soldati in divisa o la crisi mondiale della finanza, con i broker in giacca e cravatta sono gli stessi sintomi della stessa identica malattia che affligge l’uomo dalla notte dei tempi: l’uomo non ha imparato a divertirsi. Non ha imparato a vivere bene. Perché se avesse imparato a divertirsi e a vivere bene si accontenterebbe di divertirsi e vivere bene assieme agli altri piuttosto che cercare di arraffare tutto per il proprio egoista divertimento, per la propria egoista vita. Pensa più a quello che “potrebbe essere” invece di godere di quello che “è”. L’uomo afferma di avere imparato dalla propria storia senza rendersi conto che se la storia si ripete vuol dire che mentiva a se stesso e ha mentito agli altri. Oh, uomo! Che lingua parli davanti allo specchio? Io controllo bene la mia immagine riflessa, i miei occhi di colore differente: verde con fondo marrone e marrone con fondo verde: è una caratteristica di famiglia. Chiudo gli occhi, risciacquo il viso e chiudo l’acqua. Pronto per la mia quotidiana ricerca di lavoro, apro il portone ed esco in strada. Respiro e mi incammino sicuro che stasera al bancone del bar incontrerò il fantasma del mio bisnonno. Ma io, a differenza sua, non smetterò mai di fumare. I’m sorry.

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l’uomo afferma di avere imparato dalla propria stora senZa rendersi conto che se la storia si ripete vuol dire che mentiva a se stesso e ha mentito agli altri

Francesco Villari


Intervista a Bill Scheft

Sceglilo tu il tuo passatempo! bill scheft è uno degli autori del david letterman show. ma non solo: è un romanziere e commediografo. ci è stato concesso di fare 8 passi nel tempo recente 2013 attraverso umori ed umorismi con in mano il presidente,un passato, magari un futuro, la politica, l’economia, la satira e soprattutto una pala!

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Francesco Villari

P

er iniziare vorrei chiederti qualcosa sull’ormai pietra miliare nelle dinamiche da “new world” della politica americana, il Presidente Obama: perché in giro c’è ancora qualcuno che è convinto che lui sia il Principe di Bel Air? Che immagine! Sembra di avere a che fare con Borat. Sarò serio: guardo alla politica con un certo distacco, come se fossi seduto al cinema. Barack parla di “decisioni”. Dobbiamo prendere decisioni. Dobbiamo prendere le nostre migliori decisioni mentre lavoriamo per il futuro. Pensi che ci sia stato qualcuno in passato che non lo ha fatto? Penso che dovrei rivolgermi a qualcuno della CIA per interpretare questo genere di domanda in codice. Ma penso che i ragazzi siano molto, molto occupati in questo momento. Puoi dirmi quali sono secondo te le analogie e le differenze fra la situazione globale degli anni 10 dello scorso secolo e quelli del nostro nuovo millennio? È come se il tempo non sia stato capace di trovare una soluzione ad alcuni fondamentali problemi sociali…

Secondo me è questo il senso: come possono andare male le cose in un momento in cui anche il Papa è su twitter! Il Papa!!! Su twitter!!! Vorremmo veramente che sua santità scrivesse cose come: “Cazzate!”, “Mangiate carne la domenica!”, “Mi prendi per il culo?”. “Ricordate: ogni martedì sera al vaticano i chierichetti bevono gratis”? “Tieni ‘sti cinque dollari e non dirlo a nessuno. Anzi, no, è troppo: ridammi i cinque dollari e dillo pure a chi vuoi”, questo è Groucho Marx, lo saprai bene. Risale a circa cento anni fa. Cosa pensi rispetto al programma economico di Marx Bros? Ti do un piccolo suggerimento. Quando parli con qualcuno negli USA, evita di usare le parole “Marx” e “programma economico” nella stessa frase. “Una risata vi seppellirà tutti”. Recentemente hai acquistato una pala? Perché me lo chiedi? Ti ha chiamato il mio dottore? Cosa ti ha detto? OH MIO DIO, è maligno, vero? Non lo dire a mia madre, la notizia la ucciderebbe. Aspetta un attimo…. vai avanti.


cover beat costume e società

la crisi mondiale è iniZiata Quando rYan seacrest è apparso su 8 canali contemporaneamente

Il 2012 sarà ricordato come l’anno in cui la crisi mondiale è iniziata. Nel 2013, gli USA si possono considerare il più importante paradigma di libertà nel mondo nonostante nel resto del globo si debba parlare con la violenza, con le rivoluzioni dal basso, con le bombe? Il 2012 è l’anno dell’inizio della crisi se stai usando il calendario Maya. Per me la crisi mondiale è iniziata quando Ryan Seacrest è apparso su otto canali contemporaneamente.

Comunicazione e media e tecnologie e real time e apps sono il simbolo del progresso. I segni che certificano la grande unione fra le comunità occidentali. I segni dell’Uomo che vuole essere migliore (o stare meglio?). Un passo ideale nella ascesa della scala evolutiva. Ma cosa è successo alle notizie? Dove si trova l’informazione? Non mi ricordo chi lo abbia detto, ma l’ha detto quando è stata inventata la televisione alla fine del 1940: “abbiamo inventato la più importante conquista tecnologica dell’ epoca moderna, o la più grande perdita di tempo”. Stesso dicasi per ogni pietra miliare tecnologica. La società era migliore prima che ognuno di noi avesse un telefono o una macchina fotografica o una telecamera? Non so se è progresso il fatto che le persone ricevano notizie non corrette in tempo reale. Non so se l’uomo è al suo meglio. Ma ecco la domanda che mi preme: volevi dire “accidentale” o “occidentale”, devo cercare qualcosa? Di certo saprai che in quanto autore del David Letterman Show rappresenti una fonte di “ispirazione” per molti tv show satirici nel mondo? Cosa pensi a proposito delle “citazioni”? Dave è l’ispirazione. Ogni cosa inizia e termina con lui. Noi cerchiamo solo di stargli dietro, e non è facile, credimi. Le citazioni mi piacciono, ne vuoi una? Ecco la mia preferita: “Ogni qual volta dimenticherai di essere un ebreo, un cristiano te lo ricorderà”.


onia del gu G.audio G.audio

l’armonia del gusto

Champagne Cocktail Lo Champagne cocktail va servito in flute. Ingredienti: 1 zolletta di zucchero, 4-5 gocce di Angostura, 30 ml di brandy, Champagne. Colore del coktail: Ambrato. Preparazione: Ponete la zolletta di zucchero in fondo alla flute e bagnatela con 3 o 4 gocce di Angostura, aggiungete il Brandy e riempite il bicchiere di Champagne. Colonna sonora consigliata per la vostra bevuta: “Si tu vois ma mère”di Sidney Bechet. Curiosità: La ricetta di questo classico risale al 1862. Era il drink prediletto nell’epoca della Belle Epoque. Perse notorietà all’inizio della prima guerra mondiale. Lo Champagne cocktail, torna negli anni ‘10 del nuovo millennio, riaffermando quel modo originale di degustare lo Champagne così come lo si faceva più di un secolo fa. Per ottenere un risultato migliore consigliamo di utilizzare uno Champagne molto secco e un buon Brandy di qualità (ad esempio un Gran Duque d’Alba). Mentre sorseggiate questo cockatil più ci si avvaicina alla zolletta di zucchero, più dolce diverrà il drink.


24 ore da uomo! a cura e di

N

on intendo parlare dell’accessorio maschile portato in mano, sotto la vita, del quale ci si separa raramente. Voglio trattare un altro accessorio dell’uomo, di medesima importanza, presente più o meno sempre all’altezza della borsa. Quello di cui non si separa mai. Il Pene. Quello che desidererei possedere per almeno, appunto, 24 ore. Possederlo all’esterno, questa volta. Perché quell’aggeggio è semplicemente più bello da vedere, più pratico, più onesto, inimitabile, mentre a riprodurre il sesso femminile spesso basta una bistecca semicruda. In questo momento le donne scuotono la testa di fronte alla mia poca fantasia nel paragonare la loro vita, banca, strumento, gioia e organo riproduttivo a qualcosa che si trova alla Coop per molto meno, e i maschi non sono d’accordo. Chiediamoci allora perché già gli antichi greci, lavorando alle statue, hanno capito che riprodurre il Pene era un gioco, e hanno fieramente esposto i ‘doni’ maschili in mezzo alle piazze. Poi hanno provato a imitare le curve della donna, e ci sono riusciti maestosamente. Arrivati all’inguine, si son talmente impanicati nel rifare tutta quella cosa ammassata, che si son detti : incrociamole le gambe, per una volta. Oppure appendiamoci un foglio di fico, va. La Vagina, per svolgere la sua funzione puramente biologica, necessita di un luogo già precedentemente scelto con cura, asciutto, riparato, illuminato e non popolato che disponga però anche di un qualcosa dove, accovacciandosi, può appoggiare la borsetta contenente oggetti ben separati o al contrario casualmente ammucchiati per grado di utilità : portafoglio, cellulare, chiavi, ipod, penna, abbonamenti e tessere fedeltà per la ceretta, accendino, kit SOS composto da burro cacao, tampax, salviette umidificate, cerotti, Momendol, limetta, spazzola, specchio, profumo, scontrini di sette anni fa, un altro accendino se il primo non funzionasse, volantini, viveri non identificabili, qualcosa di apparentemente costoso ma distrutto, qualcosa apparentemente cheap e inutile a cui però è legata emotivamente, bustine di zucchero, ombrello, occhiali da sole, libro, .. ( per la lista completa dell’indispensabile femminile si prega di contattare la redazione, abbiamo un limite di battute spazi inclusi. ) La praticità del Pene è incontestabile : per svolgere la sua funzione biologica, gli basta aprire la zip del jeans. Nutre una certa preferenza peri pali e alberi; è un cacciatore, vuole mirare e di solito non si deve poi asciugare le scarpe. L’onestà del Pene comprende il non poter mentire sulla voglia, gioia, sull’aver preso la pillola, sulla gravidanza in corso o interrotta, sulle prestazioni sessuali già effettuate nella giornata. Si fa spostare, alzare, girare, abbassare, tirare,

ma soprattutto si fa guardare in faccia anche da te stesso. E a differenza di tanti altri organi, specialmente femminili, non mente. Muta di continuo, anche più volte al giorno. La Vagina se ne sta lì, zitta zitta, sempre uguale. Come si fa a fidarsi di una cosa che nel corso della sua lunga vita operativa (e dico lunga perché vive più di un Pene, ahinoi), rimane sempre uguale ? Una che sanguina ma non muore mai dissanguata? Il Pene sa cosa vuole e svolge il suo secondo e ultimo bisogno, quello fisico, senza manipolazioni : Non si nasconde dietro alle azioni pseudonecessarie, perditempo, a doppio fine. Asseconda deciso i suoi bisogni, alternandoli tra quello che gli permette di farla senza doversi sedere sulla tavoletta gelata e quello riproduttivo, che tiene in vita la sua virilità e lucidità. Quella virilità che hai il vantaggio di riconoscere già in spiaggia, grazie al costume senza nessun push up, nessuna illusione. Perché il Pene spruzza - passatemi il termine - onestà da tutti i pori : non lascia nulla all’immaginazione, mostra senza inibizione se è o meno contento di vederti, non barra sul tempismo, sull’inizio e sulla fine. Loro, le Vagine, in cambio gli propongono : 30 minuti di preliminari che non sono altro che un impaziente convincerla di dirti di sì Una netta trasformazione a mo’ di cipolla : ogni strato di vestito che la migliorava a che le togli, ti fa lacrimare sempre di più. Ma sai che non è ora il momento di pensare che persino tu, Pene, saresti una gran figa se potessi usare le zeppe, ombretti, calze coprenti, extensions e piastra, botox e reggiseni a balconcino, mutande che abilmente nascondono le smagliature sui fianchi. Un’invasione di sms il giorno dopo, alla ricerca di un motivo per il quale ve l’hanno data.

Andrea Lehotska

Sai da sempre che ci sono due tipi di donne, le zoccole e le pure. E sai anche che mentre le zoccole sono zoccole, le pure...pure ! La differenza tra le due è sottile, diciamo che le appartenenti al primo gruppo sono cacciatrici dichiarate, e te la offrono così spudoratamente che è come se te le fossi già portate a letto. Con un po’ di buonsenso, le ignori, paragonando la situazione invertitasi a quella di un albero che corre dietro al cane per farsi pisciare addosso. La disponibilità delle pure sta nella tua abilità verbale di non farle sentire quello che in realtà sono. Perché si sa, se gli uomini mentono è solo perché le donne chiedono troppo. Ma va fatto, perché fino al primo orgasmo con una sconosciuta, non sai mai cosa vuoi da essa. Dopo il primo orgasmo, appena il tuo accessorio teso punta pian piano il pavimento e non più il soffitto, tu basta che la guardi e sai subito se le fai un cappuccino con le tue manine o le fai chiamare il taxi con le sue manine. Loro non lo capiscono, ma se la bigamia è una donna di troppo, la monogamia anche. Loro non lo capiscono, ma una scappatella non è infedeltà, in quanto spontanee e non premeditata come quella femminile. Loro non lo capiscono, ma fare sesso con una prostituta, una che ti piace, una con cui ti sfoghi solo e fare l’amore, son quattro cose diverse, facilmente compatibili ma escludono che si possa usare la stessa donna per sperimentarle. Loro non lo sanno che son più predisposte a rimpiangere i peccati solo perché sono più predisposte a commetterli. Ma sanno una cosa : che anche se tu sei il giocatore, gli arbitri sono loro, per un semplice motivo : sono loro a decidere, e mentre hanno il vantaggio di trovare sempre uno che giocherà con e per loro, tu per svolgere la tua attività preferita regolarmente, hai solo quattro misere possibilità : pagarle come prestazione occasionale ( perché la donna che paghi è quella che ti costa meno. ) convincerle ( dicendo alla vicina di casa che mentre il buon vicino ‘presta’, la buona vicina ‘dà’. ) sposarle ( ma tempo due anni e l’evento si trasforma dall’obbiettivo allo strumento di trattativa. ) farti un’amante ( la cosa più conveniente : se t’incontra è perché non ha il mal di testa che ha solo con il suo compagno.) Ognuna di queste donzelle, mettile sul piedistallo - tanto loro non capiscono che le metti là non per farle stare più in alto, ma per togliertele dai mezzo ai coglioni.


sovrapposizioni nell’arte: da john heartfield a max papeschi

V

i sono stati nella storia più recente, momenti in cui la necessità di comunicare dell’artista ha scavalcato la sua tradizionale funzione di creatore di opere dotate di un puro valore estetico o suggestivo. L’urgenza comunicativa nasce spesso da una necessità di mostrare verità, laddove la società del tempo tende a camuffarla o ad addolcirla grottescamente. Un modo senza dubbio efficace e diretto per enunciare un messaggio che sia comprensibile a molti è quello di mostrare delle immagini.

testo

Erika Grapes

I

mmagini il più possibile veritiere. Fotografie. Immagini riconoscibili, che ritraggano volti o simboli conosciuti. Ma una delle tecniche più potenti per veicolare un messaggio è quella di sovrapporre due immagini che siano entrambe al contempo veritiere e ben consolidate in quello che Carl Gustav Jung definiva come inconscio collettivo, ma in qualche modo stupefacenti se accostate fra loro. Il più recente antenato del copia&incolla nell’arte è (come suggerisce la parola stessa) il collage. Il primo in assoluto a trasformare questa tecnica in una forma d’arte e a presentarla al pubblico fu John Heartfield, fondatore del movimento dadaista e inventore del fotomontaggio (1916). L’esigenza di Heartfield, come artista e forse anche come comune cittadino del mondo nel primo dopoguerra, fu quella di rifiutare quell’arte storicamente inopportuna che celebrava bellezza, armonia e di sacrificarla all’urgenza più immediata di utilizzare il mezzo artistico e la sua risonanza come strumento di comunicazione. Opere immediate, comprensibili. Opere che utilizzavano la tecnica pubblicitaria per veicolare messaggi di condanna verso le barbarie della Prima Guerra Mondiale. L’arte come potente strumento di denuncia politica. Gli Hitler di John Heartfield sono buffi e macabri al tempo stesso. I suoi fotomontaggi anti-bellici sono forti, accostano scene di morte e simboli di potere.

John Heartfield - caricatura di Hitler


contemporanea arte e cultura

Circa un secolo dopo, un artista di Milano finisce sulle prime pagine dei quotidiani di tutto il mondo: una sua opera, che ritrae il corpo nudo di una donna con la testa della disneyana Minnie e una svastica enorme sullo sfondo viene appesa in formato gigante a Poznan, in Polonia, a pochi metri da una sinagoga. L’artista in questione è Max Papeschi, regista teatrale e televisivo. Ciò che crea sgomento nella pubblica opinione non è tanto l’utilizzo del simbolo nazista di per sé, ma l’estetica innocente dell’opera. A differenza dei toni cupi del contemporaneo Bansky, il lavoro di Papeschi è un flash. Uno spot pubblicitario, una sigla dei teletubbies. Utilizza teste di muppet, bambi, ufo robot, pippo, ronald mc donald, suore-bambole gonfiabili, bambini e li posiziona nel mezzo di celebri scene drammatiche o catastrofiche. Non denuncia nessuno in particolare, ma denuncia tutti. Non si schiera da nessuna parte. Papeschi, si limita ad indicare ad una

folla inebetita i re nudi, uno per uno. Ed è proprio la sua imparziale ed acuta neutralità a suscitare più censure e reazioni. “E’ un bene che venga suscitata un’emozione, anche se negativa. Le emozioni ci fanno pensare, ci fanno innescare ragionamenti, ci fanno ricordare la storia.” spiega Papeschi, che considera la sua opera più di comunicazione che di arte. “In definitiva il mio lavoro estremizza il concetto di ‘banalizzazione del male’ già in atto nella società attuale. Le armi di banalizzazione di massa tendono a semplificare e disneyzzare la nostra percezione della realtà, personaggi ed eventi sono spogliati nella rappresentazione mediatica di qualunque complessità finendo inevitabilmente per assomigliarsi al punto da essere intercambiabili.” Laddove Heartfield utilizzava il linguaggio pubblicitario per lanciarsi in una campagna contro l’arte e l’estetica, Papeschi usa l’arte per svelare il male della pubblicità applicata ai fini meno nobili.



contemporanea arte e cultura


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poesia arte e cultura

parole accese a cura e di

Francesco Villari

S

uccede sempre prima di andare a dormire. Ti chiedi se in effetti hai fatto tutto quello che dovevi fare oppure ti sei dimenticato qualcosa che avresti dovuto ricordare. Ti convinci che il sonno ti aiuterà ma domattina non saprai nemmeno di dover ricordare quel qualcosa che ti eri ripromesso di tenere a mente. Succede sempre così. Altrimenti che senso avrebbe tagliare la legna? Per lasciare i tronchi morituri sul sentiero che ti porta a casa? Quando succedono certe cose è come se piovesse dentro casa. La cosa non ti convince e sei certo che quando vennero a fare i lavori di ristrutturazione si chiusero con dei larghi sorrisi per la buona riuscita dell’operazione. Ma, come diceva quello “l’operazione è riuscita�ma il malato è morto”. È così, è identico: piove dentro casa. E la tempesta se ne fotte di te che hai appena lavato il pavimento con il nuovo Don Limpio al limone. Se ne fotte di te, certo. Avresti soltanto dovuto ricordare a che altezza del salone la crepa aveva ceduto ma, stupido che non sei altro, non hai nemmeno provato a tamponare la falla. Fallo ancora. Se credi di poterlo risolvere, il problema è soltanto qualcosa di momentaneo e, si sa, la vita è fatta di momenti. La lista delle priorità è diventata qualcosa di simile ad un vaso nel quale coltivi l’albero della tua vita. Non è una genialata ma è pur sempre meglio che fottersene, o no? Quindi continui a coltivare e ti compiaci delle foglie e dei fiori mentre, a volte troppo distratto, dimentichi di concimare e di annaffiare il fondo della tua lista di problemi. Quelli che non ti ricordi proprio perché stanno laggiù. Inutile doverne parlare. Le cose non si risolvono da sole e la mattina di quel giorno dopo non accetterò lo stupore sul tuo volto nello scoprire che il tuo fottuto bonsai è morto. Mancano le basi. Gli acidi e i sali fanno quello che possono ma la chimica incompleta tradisce sempre. Ed è colpa tua. Poi ti ricordi di essere un homo sapiens e ne approfitti per insultare il primo che passa. Tanto per ricordare a te stesso (stronzo) che sei vivo, vegeto, intelligente, financo bello e profumato. Sei soltanto la merda che ti permette di coltivare a dovere quello che è il potenziale che ti è stato riconosciuto e che hai pagato con un pianto all’inizio della corsa. Dovresti ricordartene la sera prima di andare a dormire. Altrimenti il rischio di morire annegato nelle lacrime delle crepe del tuo corpo resta maledettamente alto. Stronzo.

‘round midnight a cura e di

A

Jan Hassermann

rcadia ai polsi dei profeti vana pulsasti Pompando ai gangli di ciò che già era bleso. Stimmate oriunde e vani Achei riflessi. Di circolare flusso migrando, scandì l’eroe la schiatta moltiplicando il seme. Comuni membra. Palingenesi. Indaco e Magenta la da venire e tinte ancòra, arcigne e vasti luoghi preclusi ai soloni del deforme incesto. Perplimemmo costumi ormai virtù al cospetto di ciò che il Prisma rende. Cenere di vento, oblio del niente. Stamine, spore, vaganti gas alla domanda, al prezzo. Mossieri appecorati ledono ancora l’ormai defunto umano Senso. Disdoro al petto di chi vede, digrigna e attende. Mimo che irridi, a me il perdono per l’auspicato lezzo.


riserva urbana arte e cultura

Bella Coppia! a cura e di

- 1910 La storia di tre famiglie che più differenti si muore: I Wilcox sono ricchi sfondati, fanno investimenti un po’ qua e un po’ la; Gli Schlegel, di origine tedesca, esponenti di spicco della borghesia londinese; E infine i Bast, lowert class… la vita è dura, mi spiego? Lo scrittore Edward Morgan Forster li fa incontrare e scontrare tra loro. Ci saranno scintille. Il lettore ne rimane affascinato e alla fine della lettura ne esce fuori meglio di quando aveva iniziato. Casa Howard - titolo originale Howard End - lo consiglio vivamente soprattutto agli aspiranti scrittori. Ottantadue anni dopo diventa un film diretto da James Ivory e interpretato da Emma Thompson, Helena Bonham Carter, Vanessa Redgrave, Samuel West ed Anthony Hopkins. Ahimè, troppi hanno visto il lungometraggio, che è un ottimo film s’intende, e pochi però hanno letto il romanzo che trasuda da ogni pagina notevole spessore umano. Facciamo un balzo di cento anni in avanti...

Ruben Toms

- 2010. C’è Carlotta che si vede brutta e sgraziata. Pensa e riflette forse troppo. Anzi, senza forse. Cerca la bellezza e l’amore in ogni dove. Crescere è difficile per la protagonista de La Panzanella di Giulia Villoresi. L’autrice scrive con maestria. E’ brava. Ci sa fare. La letteratura è roba sua. Anche in questo caso il lettore ne esce fuori bene. La scrittrice irrompe nella letteratura Little Italy con un fantastique esordio. La Panzanella è un romanzo che consiglio a qualche aspirante produttore cinematografico. Non voglio, o meglio, non posso aspettare ottantadue anni per vederlo tradotto in pellicola… Ops, in digitale.

G. Villoresi - pagine 208 Feltrinelli

E. M. Forster - pagine 306 - Feltrinelli


cinemAltrove a cura e di

Federico Bonelli

da qui, da altrove, ho visto solo ora il film di sorrentino la grande bellezza che e’ uscito in olanda da un paio di settimane. non poso offrirvi quindi una

“misurazione” ma vi offro un’autopsia. e per bilanciare l’odore di formalina del mio teatro anatomico vi propongo anche un film prezioso: a man with a movie camera, di dziga vertov, classe 1929, che rappresenta una buona fila di film persi nel decennio precedente e prodotti dalle avanguardie.

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orrentino è bravo, è serio, quasi un saggio, meno “amabile” di Fellini. Ho pianto sulla prima scena e non m’era mai successo. Sorrentino non è disperatamente mercuriale come il maestro di Cinecittà’; lo cita, come a tantissimi altri, ma di citazioni si tratta e non di plagio. Visivamente è un film enorme. Ma Sorrentino non è un umorista. La Bellezza di Sorrentino non ride (ne fa ridere). La regia aspira al punto di vista di Zeus; a vedere le cose sotto un profilo profondamente diverso, ma governabile. E’ Affidabile e esteticamente piacevole. Non porta una tesi rivoluzionaria ma tanta nostalgia. Passata la festa mi appare come ovvia una certa tossicità sparsa dell’ideologia del film. Non c’è posto per giovani. Si discende in un inferno di vecchi indifferenti e di potere, annoiati, colti e ipocriti. Non c’è spazio per alcuna passione rinnovatrice e se c’è è alle prese con la propria piccolezza, dall’alto di una “cultura di antico rigore” che non ha alcuna pietà per i giovani. La “artista e performer” che sbatte la testa sul muro dell’acquedotto romano, o il giovane che si tinge di rosso cercando di pulirsi da un peccato originario e che muore suicida. Il punto di vista del vecchio esce dal film in fondo vincente e destinato a distruggere tutto ciò che ha rappresentato prima di morirsene. Una rappresentazione quando vuoi raffinata di una decadenza profonda dell’anima a cui non viene data possibilità alcuna di redenzione. Penso all’alba del secolo e a Chekov. I suoi Borghesi pieni di tics, di aspirazioni mancate, di ipocrisie e anacronismi, pieni di buoni sentimenti e destinati a concimare la terra dei ciliegi. Se Servillo è la trasposi-

zione di un personaggio di Chekov che si aggira per una irreale Berluscònia, per qualsiasi forza che possa rappresentare un cambio di punto di vista non c’e’ alcuno spazio. L’unica estetica e’ quella concessa dal capitalismo nel suo crepuscolo e Sorrentino non se ne discosta, producendo un film splendido e tossico come in fondo la sua tesi principale. Mentre le immagini corrono dal quotidiano al soprannaturale, dell’architettura alla festa nella suburra romana-vippàra, e con il suono e i piedi ballo e approvo, mi domando quanto serva impegnare tanta arte per raggiungere l’assoluto di una linea o di un colore o di un personaggio quando l’intero è appiccicoso e puzza e vorremmo invocare un’ onda nuova che lo spazzi via. Mi chiedo quindi perché tutta questa bellezza, perché debba servire la morte... Ora che avete visto La Grande Bellezza prendete della musica buona, forte, incazzata, possibilmente suonatevela voi. Mettetevi a vedere il film di Dziga Vertov: Man With a Movie Camera, tra amici o da soli. Il film è muto, e merita che ci si suoni sopra, con qualsiasi mezzo necessario, perché è favolosamente attuale la sua capacità di diventare videoclip. Vertov fu un innovatore del mezzo e il film è girato dopo la rivoluzione d’ottobre, tra le strade di una città da immaginare da capo. Ecco questo mi aspetto io dal cinema adesso, immagini incompatibili con un estetica vecchia spazzata via dalla novità creatrice di giovani preparati. Utopie che si reinnovano e sfumano le une sulle altre. Sorrentino s’è lasciato infatuare dal crepuscolo. È un ottimo artista.


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