Incontro febbraio 2014

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Per una Chiesa Viva Anno X - N. 1 – Febbraio 2014 www.chiesaravello.it

P ERIODICO

DEL LA C OMU NITÀ E CCL ESIAL E DI RA VEL LO

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La Gioia del Vangelo “La gioia del Vangelo”, “Evangelii gaudium” è il titolo dell’Esortazione apostolica che Papa Francesco, all’inizio del suo pontificato, ha consegnato alla Chiesa universale che, in questo particolare momento storico, è invitata ad attuare lo spirito del Concilio Vaticano II. In essa è come racchiuso il Vaticano II, dall’avvio alla conclusione. In questo testo del Magistero pontificio di oltre 200 pagine, assai ampio ma snello e facilmente comprensibile, sono racchiusi tutti gli elementi di cambiamento e adeguamento ai tempi correnti che la Chiesa deve attuare per realizzare, oggi, la sua missione: annunciare fedelmente, vivere coerentemente e testimoniare coraggiosamente il Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo. Papa Francesco vi traccia le linee guida per operare il cambiamento del rapporto tra clero e laicato; la svolta nel rapporto tra impegno ecclesiale e sociale, “liberalizzando” l’impegno politico dei cattolici e affidandogli un mandato pieno con un unico riferimento, quello del Vangelo e del suo messaggio di gioia salvifica; il ripensamento delle strutture ecclesiali in chiave unicamente pastorale, con una Chiesa sempre più “stalla” aperta al “gregge”, con i pastori chiamati ad assumere sulla propria pelle l’odore del “gregge”. In estrema sintesi è questo il contenuto e la definizione dell’Esortazione apostolica ” Evangelii Gaudium” di Papa Francesco: un documento “programmatico ed esortativo” in cui c’è tutto il suo pontificato, le sue parole dette e ripetute in questi mesi

quando ha indicato alla Chiesa di farsi compagna di strada di quanti sono alla ricerca di Dio. “Evangelii gaudium, “La gioia del Vangelo”, è un testo che spiega come si deve fare per considerare il Vangelo il sussidia-

rio del cristiano e come comportarsi di conseguenza: un testo completo, pedagogico, dove Papa Bergoglio prende per mano il lettore e gli indica la via giusta per far diventare il Vangelo rilevante nell’attualità del mondo e nell’attualità della Chiesa. Per Papa Francesco la Chiesa è chiamata ad annunciare il Vangelo. Questa è la sua missione. E l’ Esortazione

apostolica, consegnata a conclusione dell’anno della fede voluto da Benedetto XVI per ricordare il Concilio Vaticano II che provvidenzialmente ha rinnovato la Chiesa, è un documento eccezionale. Innanzitutto perché nasce dal cuore del vescovo di Roma, frutto di un’esperienza in prima linea e della sua prolungata meditazione sull’urgenza di annunciare il Vangelo nel mondo di oggi. Il contenuto e lo stile inconfondibili di Papa Francesco caratterizzano, infatti, il testo e attirano chi lo legge. Colpisce la prosa coinvolgente di questa “ magna charta “ per la Chiesa di oggi, testo che dichiara esplicitamente di avere «un significato programmatico e dalle conseguenze importanti»; perché non è possibile «lasciare le cose come stanno» e occorre costituirsi in uno «stato permanente di missione». Con lo scopo, implorato nella preghiera finale alla Vergine, di «cercare nuove strade perché giunga a tutti il dono della bellezza che non si spegne». Il Papa invita a "recuperare la freschezza originale del Vangelo": Gesù non va imprigionato entro "schemi noiosi" (11). Occorre "una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno" (25) e una riforma delle strutture ecclesiali perché "diventino tutte più missionarie" (27). Su questo piano Francesco si mette in gioco in prima persona. Pensa, infatti, anche a "una conversione del papato" perché sia "più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell'evangelizzazione".

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Segue dalla prima pagina È la prova che Papa Francesco non è un agitatore di folle, non è solo un uomo e un Papa a cui guardare emozionandosi per i suoi gesti e le sue frasi a effetto. Dietro a quei gesti e a quel sorriso c’è la solidità di argomenti importanti a partire dalla «conversione del papato: siamo avanzati poco in questo senso» come Egli coraggiosamente ripete. Appare chiaro che l’Esortazione di Papa Francesco non contiene soltanto le linee guida del suo ministero apostolico, ma chiede a tutti la conversione al Vangelo, come se fosse stato dimenticato, seppellito sotto montagne di documenti aggiunti, sotto cumuli di norme e di concetti morali e spirituali, sotto strati di strutture istituzionali ecclesiastiche. L’Esortazione con cui Papa Francesco affronta il tema dell'annuncio del Vangelo nel mondo di oggi inizia con le parole "La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che s’incontrano con Gesù", perché la gioia è il segno caratteristico della testimonianza cristiana. La parola “gioia” compare ben cinquantanove volte nell’Esortazione. Anche nelle omelie quotidiane della Messa che celebra nella casa di Santa Marta, Papa Francesco riprende con frequenza i contenuti della sua Esortazione e il tema della gioia del vangelo, affermando soprattutto che “la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita di coloro che si incontrano con Gesù”. "Il cristiano è un uomo e una donna di gioia”: la gioia del cristiano non è l’allegria che viene da motivi congiunturali, ma è un dono del Signore che riempie dentro. Il cristiano sia un testimone della vera gioia, quella che dà Gesù”. E’ quanto Papa Francesco ha affermato mettendo l’accento sull’atteggiamento gioioso dei discepoli, tra l’Ascensione e la Pentecoste. “Il cristiano è

un uomo e una donna di gioia. Questo ci insegna Gesù, ci insegna la Chiesa, in questo tempo in maniera speciale. Che cosa è, questa gioia? E’ l’allegria? No: non è lo stesso. L’allegria è buona, eh? rallegrarsi è buono. Ma la gioia è di più, è un’altra cosa. E’ una cosa che non viene dai motivi congiunturali, dai motivi del momento: è una cosa più profonda. E’ un dono. L’allegria, se noi vogliamo viverla tutti i momenti, alla fine si trasforma in leggerezza, superficialità, e anche ci porta a quello stato di mancanza di saggezza cristiana, ci fa un po’ scemi, ingenui, no? tutto è allegria … no. La gioia è un’altra cosa. La gioia è un dono del Signore. Ci riempie da dentro. E’ come un’unzione

dello Spirito. E questa gioia è nella sicurezza che Gesù è con noi e con il Padre”. “L’uomo gioioso è un uomo sicuro. Sicuro che “Gesù è con noi, che Gesù è con il Padre”. Ma questa gioia, si chiede il Papa, possiamo “imbottigliarla un po’, per averla sempre con noi?”: “No, perché se noi vogliamo avere questa gioia soltanto per noi alla fine si ammala e il nostro cuore diviene un po’ stropicciato, e la nostra faccia non trasmette quella gioia grande ma quella nostalgia, quella malinconia che non è sana. Alcune volte questi cristiani malinconici hanno più faccia da peperoncini all’aceto che proprio di gioiosi che hanno una vita bella. La gioia non può diventare ferma: deve andare. La gioia è una virtù pellegrina. E’ un dono che cammina, che cammina sulla strada della vita, cammina con Gesù: pre-

dicare, annunziare Gesù, la gioia, allunga la strada e allarga la strada. E’ proprio una virtù dei grandi, di quei grandi che sono al di sopra delle pochezze, che sono al di sopra di queste piccolezze umane, che non si lasciano coinvolgere in quelle piccole cose interne della comunità, della Chiesa: guardano sempre all’orizzonte”. La gioia è “pellegrina, afferma il Papa. “Il cristiano canta con la gioia, e cammina, e porta questa gioia”. E’ una virtù del cammino, anzi più che una virtù è un dono: “E’ il dono che ci porta alla virtù della magnanimità. Il cristiano è magnanimo, non può essere pusillanime: è magnanimo. E proprio la magnanimità è la virtù del respiro, è la virtù di andare sempre avanti, ma con quello spirito pieno dello Spirito Santo. E’ una grazia che dobbiamo chiedere al Signore, la gioia. In questi giorni in modo speciale, la Chiesa ci invita a chiedere la gioia e anche il desiderio: quello che porta avanti la vita del cristiano è il desiderio. Quanto più grande è il tuo desiderio, tanto più grande verrà la gioia. Il cristiano è un uomo, è una donna di desiderio: sempre desiderare di più nella strada della vita. Chiediamo al Signore questa grazia, questo dono dello Spirito: la gioia cristiana. Lontana dalla tristezza, lontana dall’allegria semplice … è un’altra cosa. E’ una grazia da chiedere”. Finendo ritengo di poter affermare che l’Esortazione apostolica di Papa Francesco non è soltanto un ennesimo documento pontificio. Non l’è. Anzi, è una novità assoluta. È il vademecum della conversione al Vangelo, un navigatore per capirlo e metterlo in pratica nel mondo complicato di oggi. A noi, dunque, il compito di accoglierlo con filiale docilità ispirando ad esso tutta l’azione pastorale della Chiesa e il nostro rinnovato stile di vita cristiana.

Don Giuseppe Imperato


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Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro Il 24 gennaio u.s. abbiamo celebrato la festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. Al termine della santa messa, con un nutrito gruppo degli operatori della comunicazione, ha avuto luogo un’approfondita riflessione sul messaggio del Santo Padre, “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro”, per la 48a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Ha fatto da guida l’intervista a Radio Vaticana di Padre Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, di cui di seguito riportiamo le puntuali osservazioni. Egli afferma infatti che «Prossimità, incontro, dialogo sono alcune delle parole chiavi del Messaggio, perché - secondo Padre Spadaro - Papa Francesco è un Pontefice che ama molto la comunicazione, perché ha uno stile pastorale di contatto diretto con le persone. Quindi, per lui comunicazione significa incontro. La cultura della comunicazione è in diretta collisione con la cultura dello scarto, quindi della divisione, delle divisioni di tipo economico, ideologico. La comunicazione - e l’incontro - è al centro, è al cuore della visione bergogliana della vita e della Chiesa. Se dovessi riassumere, dunque, il concetto di fondo di questo testo direi che per lui comunicare appunto è incontrare, cioè farsi prossimo. C’è una sorta di rivoluzione copernicana della comunicazione, dove al centro non c’è il messaggio, ma ci sono le persone che comunicano. Questo è molto moderno, molto contemporaneo, perché noi sappiamo che le reti oggi costruiscono una comunicazione tutta centrata sulle relazioni. Se non ci sono relazioni, quindi, non si comunica. La prossimità è esattamente al centro! L’immagine quindi del Buon Samaritano è un’immagine molto forte che, peraltro, già l’allora cardinale Bergoglio aveva uti-

lizzato nel 2002, parlando ai comunicatori di Buenos Aires. Questo messaggio è il frutto di una meditazione e di una riflessione lunga su questo tema. Ed è molto bello come la parabola evangelica diventi modello di riferimento per un comunicatore. Il Buon Samaritano si fa prossimo e cura le ferite, cura le piaghe, aiuta chi è in difficoltà. Questo concretamente significa per un comunicatore cristiano dare voce a chi non ha voce, rendere visibile il volto di chi è invisibile.

Un altro concetto centrale è costituito dalla rete digitale, perché appunto la comunicazione è una comunicazione tra persone innanzitutto. La Rete, quindi, non è come la rete idrica o la rete del gas, ma la Rete costruisce un ambiente comunicativo. In realtà, è come se il Papa dicesse che la Rete non esiste, Internet non esiste: è la nostra vita, siamo noi, esseri umani, ad essere in Rete! La nostra vita è una rete di relazioni. Poi i fili e i cavi, se vogliamo, ci aiutano ovviamente, anzi devono aiutarci – è questa la vocazione della Rete – ad essere più uniti, ad avere una comunicazione più diretta, che sia anche in grado di superare le barriere e gli ostacoli. C’è una visione cristiana forte, una visione quasi profetica della Rete. La Rete è intesa come dono di Dio agli uomini, perché grazie a questa gli uomini possono essere più uniti. Il Santo Padre si

sofferma poi sul dialogo perché il dialogare significa parlare con una persona non per convincerla delle proprie idee, questo non è un dialogo: dialogare significa confrontarsi con le persone, sapendo che l’altro può aiutare me a capire meglio. Possiamo insieme camminare verso l’unica verità. Allora, arroccarsi dentro idee personali o tradizioni linguistiche, partitiche e così via significa impedire questa fluidità di comunicazione. E’ un tema molto, molto caro a Papa Francesco, che più volte ha detto che la Chiesa deve inserirsi nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi, proprio per comprenderne meglio le attese, le speranze e i dubbi. Lo stile del dialogo, quindi, è proprio uno stile radicale, intendendo per stile non solo un modo di fare, ma proprio l’essenza stessa del Vangelo, l’apertura al mondo. Il Papa dice una cosa qui molto importante, che la comunicazione è una sfida appassionante – è una sua espressione – che appunto richiede energie. Non si può, quindi, affidare la comunicazione ad una routine meccanica, da ufficio stampa che si ferma solo a comunicare delle frasi fatte. Richiede, dunque, energie, voglia di comunicare, intensità, ma anche un’immaginazione nuova. Questo è molto interessante, cioè bisogna vedere le cose in maniera differente. L’immaginazione cristiana è un’immaginazione - grazie all’immagine del Buon Samaritano - in grado di plasmare, di dare forma ad una comunicazione che significa anche un modo di vivere insieme. Il Papa parla a volte nell’Evangelii Gaudium di una marea un po’ caotica, di una sorta di “carovana solidale” in cui ci troviamo immersi. Sono tutte immagini che colpiscono l’uomo di oggi, ma che dicono come la Chiesa debba mischiarsi, debba impastarsi con questa umanità per comunicare il messaggio del Vangelo».

La Redazione


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10 anni di “Incontro per una Chiesa viva”

Il 1 febbraio 2005 l’articolo di fondo (“Ripresa”), a firma di Don Giuseppe Imperato, apriva il nuovo corso di questo mensile. Il periodico, in una veste nuova e con il rinnovato titolo di “Incontro per una Chiesa Viva”, riprendeva il cammino intrapreso a partire dal 1968, dapprima a cadenza mensile e poi con sole edizioni straordinarie, su impulso di Don Giuseppe Imperato senior, con il proposito di arricchire la comunità di una nuova voce finalizzata all’animazione della vita comunitaria. La scelta del nome non era ovviamente casuale e aveva colto il richiamo ad agire in intima unione con i sacerdoti, a dare il contributo ad ogni iniziativa della famiglia ecclesiale, a realizzare un incontro che è sempre occasione di partecipazione, fonte di conoscenza, luogo in cui confrontare idee e di propositi, assumere responsabilità, esaminare problemi e ricercare soluzioni. Elementi fondamentali per costruire una Chiesa Viva che non appassisce e non muore perché è una sorgente di Verità e di Vita, portatrice di un messaggio di Salvezza capace di trovare una risposta ai dubbi dell’uomo moderno sempre più spesso avvelenato dal germe della disperazione. Lo strumento di comunicazione iniziava un nuovo cammino per mettere a disposizione notizie e informazioni sulla nostra realtà, per creare un punto di ag-

gregazione. “La vita è cammino, cambiamento, costruire. Dunque inizio e oggi gettiamo questo seme, iniziamo. Nasce povero come ogni seme, ogni intento e ogni sogno che anela a trovare terreno fertile, mettere radici e svilupparsi nel tempo. Con la spontanea e generosa disponibilità di alcuni giovani si parte. Confido nell’aggregazione e nel dialogo, nel lavoro e nella visione. Un augurio: incontrare e incontrarci in tanti amici che portino il personale contributo alla crescita della comunità cristiana di tutti i battezzati.”. Con queste parole Don Giuseppe Imperato riassumeva appieno gli obiettivi e gli auspici dell’avventura editoriale, nata dall’esigenza di dotare la comunità di un nuovo strumento di comunicazione, in formato non solo cartaceo ma anche digitale per esplorare quel grande continente che non è semplicemente “tecnologia” è formato da uomini e donne reali che portano con sé ciò che hanno dentro. Un luogo di incontro in cui, nella molteplicità di opinioni e punti di vista, far confluire i tempi e i ritmi della vita religiosa e sociale di Ravello, i principali avvenimenti diocesani, i preziosi contributi della stampa cattolica, il Magistero della Chiesa. In breve, uno strumento per far giungere nelle case una parola di bene, di speranza, di conforto. Quel piccolo seme piantato in una gelida serata invernale del 2005 ha trovato terreno fertile, ha messo radice e gradualmente ha prodotto molto frutto: il gruppo di redazione, inizialmente costituito dai ministranti del Duomo, si è ampliato coinvolgendo gli operatori pastorali, si è aperto all’apporto di tanti amici che non hanno fatto mai mancare un prezioso contributo, ottenendo il positivo riscontro dei lettori. Le rubriche sulle attività della vita associativa e culturale, unitamente all’approfondimento sulle tematiche della fede, della morale e della devozione popolare, hanno offerto interessanti spunti di riflessione finalizzati alla crescita dell’intera comunità. Non sono mancate le cronache di avvenimenti sportivi e ricreativi nella consape-

volezza che tali attività appartengono al patrimonio comune degli uomini e contribuiscono morale ed alla formazione della persona. Contestualmente anche la tiratura delle copie in formato cartaceo è sensibilmente aumentata, grazie al perfezionamento dei processi di stampa, mentre una veste grafica ulteriormente migliorata ha riorganizzato i contenuti in una struttura agile e intuitiva. In questo modo “Incontro per una Chiesa Viva” è diventato uno strumento per comprendere appieno la nostra comunità, con i suoi pregi e le sue debolezze, per ripercorrere nell’anno liturgico le tappe di un cammino di Fede fondato nel battesimo e alimentato da quella inesauribile sorgente di santità e di glorificazione di Dio che sono i Sacramenti, in specie l'Eucaristia. I momenti e gli eventi più significativi del XVII centenario del martirio di San Pantalone (2005), L’Anno dell’Eucarestia (2004-05), L’Anno Sacerdotale (2009-10), l’Anno della Fede (2012-13), l’elezione di due pontefici (2005 e 2013) hanno scandito questo decennio consentendo una trattazione puntuale degli aspetti teologici e pastorali finalizzati alla sensibilizzazione e alla crescita del laicato, «gigante addormentato, che ha bisogno di essere risvegliato», al fine di realizzare una concreta corresponsabilità ecclesiale. Un mezzo per formare ed informare dunque, ispirato ai principi della Libertà e Verità, solide basi per una Chiesa chiamata ad aprire tutte le porte per raggiungere quella periferia esistenziale affollata di una umanità che cerca una salvezza o una speranza.

Luigi Buonocore


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“Generare futuro”

“I figli sono la pupilla dei nostri occhi… Che ne sarà di noi se non ci prendiamo cura dei nostri occhi? Come potremo andare avanti?”. Così Papa Francesco all’apertura della XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù ha illuminato ed esortato tutti alla custodia della vita, ricordando che generare ha in sé il germe del futuro. Il figlio si protende verso il domani fin dal grembo materno, accompagnato dalla scelta provvida e consapevole di un uomo e di una donna che si fanno collaboratori del Creatore. La nascita spalanca l’orizzonte verso passi ulteriori che disegneranno il suo futuro, quello dei suoi genitori e della società che lo circonda, nella quale egli è chiamato ad offrire un contributo originale. Questo percorso mette in evidenza “il nesso stretto tra educare e generare: la relazione educativa si innesta nell’atto generativo e nell’esperienza dell’essere figli”, nella consapevolezza che “il bambino impara a vivere guardando ai genitori e agli adulti”. Ogni figlio è volto del “Signore amante della vita” (Sap 11,26), dono per la famiglia e per la società. Generare la vita è generare il futuro anche e soprattutto oggi, nel tempo della crisi; da essa si può uscire mettendo i genitori nella condizione di realizzare le loro scelte e i loro progetti. La testimonianza di giovani sposi e i dati che emergono da inchieste recenti indicano ancora un grande desiderio di generare, che resta mortificato per la carenza di adeguate politiche familiari, per la pressione fiscale e una cultura diffidente verso la vita. Favorire questa aspirazione (valutata nella percentuale di 2,2 figli per donna sull’attuale 1,3 di tasso di natalità) porterebbe a invertire la tenden-

za negativa della natalità, e soprattutto ad arricchirci del contributo unico dei figli, autentico bene sociale oltre che segno fecondo dell’amore sponsale. La società tutta è chiamata a interrogarsi e a decidere quale modello di civiltà e quale cultura intende promuovere, a cominciare da quella palestra decisiva per le nuove generazioni che è la scuola. Per porre i mattoni del futuro siamo sollecitati ad andare verso le periferie esistenziali della società, sostenendo donne, uomini e comunità che si impegnino, come afferma Papa Francesco, per un’autentica “cultura dell’incontro”. Educando al dialogo tra le generazioni potremo unire in modo fecondo la speranza e le fatiche dei giovani con la saggezza, l’esperienza di vita e la tenacia degli anziani. La cultura dell’incontro è indispensabile per coltivare il valore della vita in tutte le sue fasi: dal concepimento alla nascita, educando e rigenerando di giorno in giorno, accompagnando la crescita verso l’età adulta e anziana fino al suo naturale termine, e superare così la cultura dello “scarto”. Si tratta di accogliere con stupore la vita, il mistero che la abita, la sua forza sorgiva, come realtà che sorregge tutte le altre, che è data e si impone da sé e pertanto non può essere soggetta all’arbitrio dell’uomo. L’alleanza per la vita è capace di suscitare ancora autentico progresso per la nostra società, anche da un punto di vista materiale. Infatti il ricorso all’aborto priva ogni anno il nostro Paese anche dell’apporto prezioso di tanti nuovi uomini e donne. Se lamentiamo l’emorragia di energie positive che vive il nostro Paese con l’emigrazione forzata di persone – spesso giovani – dotate di preparazione e professionalità eccellenti, dobbiamo ancor più deplorare il mancato contributo di coloro ai quali è stato impedito di nascere. Ancora oggi, nascere non è una prospettiva sicura per chi ha ricevuto, con

il concepimento, il dono della vita. È davvero preoccupante considerare come in Italia l’aspettativa di vita media di un essere umano cali vistosamente se lo consideriamo non alla nascita, ma al concepimento. La nostra società ha bisogno oggi di solidarietà rinnovata, di uomini e donne che la abitino con responsabilità e siano messi in condizione di svolgere il loro compito di padri e madri, impegnati a superare l’attuale crisi demografica e, con essa, tutte le forme di esclusione. Una esclusione che tocca in particolare chi è ammalato e anziano, magari con il ricorso a forme mascherate di eutanasia. Vengono meno così il senso dell’umano e la capacità del farsi carico che stanno a fondamento della società. “È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori”. Come un giorno si è stati accolti e accompagnati alla vita dai genitori, che rendono presente la più ampia comunità umana, così nella fase finale la famiglia e la comunità umana accompagnano chi è “rivestito di debolezza” (Eb 5,2), ammalato, anziano, non autosufficiente, non solo restituendo quanto dovuto, ma facendo unità attorno alla persona ora fragile, bisognosa, affidata alle cure e alle mani provvide degli altri. Generare futuro è tenere ben ferma e alta questa relazione di amore e di sostegno, indispensabile per prospettare una comunità umana ancora unita e in crescita, consapevoli che “un popolo che non si prende cura degli anziani e dei bambini e dei giovani non ha futuro, perché maltratta la memoria e la promessa”. Roma, 4 novembre 2013 Memoria di San Carlo Borromeo

Il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana


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Album di famiglia Alcuni bambini siedono accucciati in un angolo: un gesto strano, fatto spesso a scuola e spesso ripetuto anche in casa. E' come se non volessero occupare completamente il campo della sedia su cui trascorrono alcune ore. Si dice che quella sia una fase comune a molti, una fase in cui il bambino, per insicurezza, per appoggiarsi ad

una roccaforte nel momento della crescita, si inventa un amico immaginario, una sorta di sperone per cavalcare meglio nella vita, un conforto, una medicina da auto somministrarsi senza che nessuna corrente esteriore possa interferire e cambiarne la posologia vietando la transitoria panacea con l'indicazione " per adulti". Qualche mese fa ho ritrovato una foto in una di quelle casalinghe macchine del tempo che si conservano sugli armadi. Nella migliore tradizione del ricordo, sono scatole abbastanza ampie, quasi sempre a fiori retrò, prati dai colori garbati che foderano tesori umili fatti di zie e nonni, di prime Comunioni, di ritratti di classe davanti ad una cartina dell'Italia, di candeline e cappelli para pioggia. Sono stive da pirati buoni , soffite pret a porter, terre promesse stipate con dovizia nel corso degli anni e a cui si raggiunge con una mappa fatta di scale a pioli, di sedie impilate, di piedi puntati all'insù come i nasi se l'altezza non è di quelle dolomitiche. Di primo acchito quella tessera sembrerebbe un poster pubblicitario degli anni '80: una vistosa bottiglia di coca cola campeggia come un obelisco trasparente ed istoriato dalla scritta rossa e boccoluta. Dietro ci sono io, i miei quattro o cinque anni,un maglione blu già immortalato in altri scatti, una torta incisa da un cesario di parenti , mia nonna, amici di famiglia e, poi, con

lo sguardo chino, vicinissimo a me come un campanile lo è alla chiesa c'è lui, il mio amico. No, non immaginario: carne, ossa, storia, fatica, tante umiliazioni, ascesa sociale. Ha un pullover grigio, la cravatta sottile, la camicia a vista, un gusto per i particolari e per la moda che in quegli anni ed in quell'atmosfera casalinga, sembra quasi stridente, graffiante, eccessivo. Sta con lo sguardo chino, ma c'è: la barba appena pronunciata, adolescenza semplice che va via verso la maturità con naturalezza. Io non dovevo allora accucciarmi su di un lato della foto per fargli posto: il mio amico c'era, visibile a tutti. Io non dovevo tenere l'ombrello sporto verso destra per coprire una creazione della mia mente e totalmente invisibile: quando andavo a scuola era lui spesso ad accompagnarmi e a tenermi l'ombrello, era lui che arrivava a casa con mio padre all'imbrunire, lui che tirava via la domenica del lunedì aprendo il cancello che tante altre volte mio padre avrebbe fatto scorrere da solo nella guida. Dai bozzoli vengono farfalle, si sa, si proprio da quei nasi perpendicolari, da quei pipistrelli senza grotta, cozze variopinte e terrestri. Ma quale magistrale disegno, se non quello divino, poteva concepire l'esplosione di un cigno in miniatura da un uovo impiccato? Anche il mio amico era così: il suo bozzolo era vistoso, quasi ridicolo, un bozzolo di emarginazione forse, di povertà, e qualcuno, qualcuno a me tanto caro ha visto in largo anticipo, ripiegati là dentro come i ferri in una cassetta da lavoro i moncherini di un paio di ali e questo tanto prima che il bozzolo si crepasse e lasciasse sfuggire il tovagliolo di colori del suo talento, della dedizione, della facilità nel proporsi alle persone e conquistarle. Certo un diverso si sarebbe detto, diverso come lo si intendeva allora, una diversità da non esaltare, esibire ma da correggere come si correggeva un mancino, di cui parlare sottovoce come si racconterebbe per far rabbrividire di un mostro da cantina, di un marchingegno rumoroso nella sala lavanderia che ogni tanto con un latrato ricorda di essere ormai

fuori uso. Certo un diverso, si concluderebbe. Ma la vita, talvolta, sa come premiare e riscattare il dolore. Il mio amico, anzi il nostro amico, ha scelto presto la strada che gli somigliava, certo lontana dai pini di Ravello, dagli sguardi sorpresi o curiosi e, con grande sofferenza, lontana anche dalla mia torta e dalla bottiglia di Coca Cola. Senna, Arco di Trionfo, due amori, uno quasi per sempre. Borsa a mano, cinture tatuate dai grandi stilisti, un lavoro, una casa, nipoti come figli, e viaggi e champagne ed una madre magra quanto uno spillo accudita con l'attenzione che si ha per i bimbi a passeggio sugli Champs Elysees. L'ultima volta in cui l'abbiamo abbracciato, il mio amico era come una delle nostre montagne, maestosa allo sguardo ed erosa da quella perniciante devastazione che le rende giganti fragili, capaci di rotolare giù alle prime piogge: il gilet sulla pelle nuda, sulle braccia abbronzate, gli aperitivi all'imbrunire, l'accento, la voglia di vivere, tutto nascondeva fin troppo bene le sue ultime ore da farfalla. La farfalla indica il cambiamento: curiosamente in greco esiste una sola parola per indicare sia l'anima che la farfalla. Il mio amico in quel tranquillo giorno d'estate ci ha sorriso, ci ha raccontato, era sempre felice di rientrare là dove, come un fossile, un parente centenario, ancora restava l'ombra della sua placenta preistorica, il ramo a cui era stato appeso per anni il bozzolo da cui proveniva. Ma non ci ha rivelato nulla, il male non è cool, anche quando è letale, non ci ha nemmeno detto addio, l'addio che danno le persone comuni e lui di comune, scontato, non aveva nulla. Il mio amico, il nostro amico, ha preferito andare via così, come le farfalle appunto che ti fanno voltare la testa, artificio di colori, ed un attimo dopo, quasi sempre, sono liquefatte dal tempo. Tanta grazia, straordinaria delicatezza soffiate via leggere un istante: un dito premuto per liberare il genio, veloce, impalpabile come un'invisibile, profumata nebulizzazione di Chanel numero 5.

Emilia Filocamo


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Eucaristia e vita coniugale Seconda parte Dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù si nasconde, e la folla lo cerca perché ha fame, ma fame materiale, non certo del pane vivo che Egli sa di offrire e che dà la pienezza della vita attraverso quello che sarà il Suo sacrificio. L’altro pane sazia solo momentaneamente, dopo lo stomaco brontolerà, e si avrà di nuovo appetito. E’ necessario avere voglia del pane vero, se si prende l’ostia e il cuore non è pronto, non sarà “corpo”, ma solo farina e acqua quella che abbiamo assunto. Il desiderio di incontrare Dio, è già di per sé un traguardo. Il beato Giovanni Paolo II, insegnava che attraverso l’Eucarestia il Signore si rende presente e diventa la nostra gioia. Quando siamo uniti in Cristo, siamo con l’Emmanuele, Dio è con noi, e non c’è altra sapienza o potenza che ci occorrano per educare i figli e salvare noi stessi, loro e gli altri con noi. Questa potenza educativa plasma la vita di coppia che si raccoglie intorno all’Eucarestia nella Messa, ed è lì che gli sposi, con il loro procedere insieme, testimoniano la loro coniugalità, esiste una chiesa che non è formata solo da singoli, e le coppie devono imparare a non comportarsi come tali, perché non lo sono. La funzione religiosa comincia chiedendo perdono (il Confesso), che vale a poco se con la coppia è entrato anche un rancore irrisolto, se sa di non essersi perdonata, per qualunque cosa, anche una sciocchezza; prosegue, con l’ascolto della Parola, fine a se stesso quando arrivati a casa non la si medita in due; poi c’è il Credo, e usciti dalla Messa, si ci comporta senza testimoniare la nostra natura di cristiani cattolici;…E’ questa purtroppo la fotografia della coppia moderna che si reca alle celebrazioni liturgiche e se il cenacolo, come si propone, ha aperto anche solo un po’ l’orizzonte sull’Eucarestia e su quello che significa essere sposi, allora quella è una fotografia che può cambiare. E’ vivendo in pieno ogni momento della liturgia che riusciremo a dare valore all’Eucarestia e ci sentiremo anche chiamati a viverla. Papa Francesco all’incontro mondiale delle famiglie ha commentato la parabola del pubblicano e del fari-

seo proprio in relazione all’essere coppia, famiglia cristiana che così si comporta. Ha chiesto ai fedeli se in famiglia si pregava e per di più come: alla “fariseo”, falso, soddisfatto di sé stesso, che si sente giusto e si pavoneggia, giudicando gli altri; o alla “pubblicano”, autentico e che bisognoso del perdono di Dio, si umilia. Il Papa ha ricordato che a Suoi tempi si recitava il rosario tutti insieme e si pregava gli uni, per gli altri, a casa, intorno ad un tavolo; in Chiesa, oggi come allora, intorno AL tavolo. Ha ricordato che San Paolo ha fatto della sua vita una battaglia e una corsa per la fede, non l’ha solo difesa, l’ha portata lontano, ha parlato senza paura ed ora tocca alle famiglie cristiane custodire e condividere la fede, rendendosi missionarie nelle cose di tutti i giorni. Ancora, ha ribadito che la famiglia è gioia ed ha avuto la forza ed il coraggio di chiedere come andava con la gioia in casa, a chi, era venuto ad ascoltarlo. Per fortuna ha richiesto una risposta personale, da non condividere, ma ha spiegato che la gioia viene dalla profonda armonia fra le persone, dal sostenerci a vicenda che si rende possibile dove alla base c’è Dio, l’Amore paziente. Solo Dio crea l’armonia delle differenze, sale della terra, luce del mondo, lievito per la società. Vivere con fede e semplicità nelle gioia, non è impossibile e l’Eucarestia è un ottimo mezzo di sostentamento. Con questo monito Don Silvio ci ha lasciati a riflettere su un questionario di dieci domande inerenti la partecipazione della coppia al momento eucaristico: come viene vissuto questo tempo; se, è presente, in famiglia, il dialogo al riguardo con i figli; quando e in che modo si applicano gli insegnamenti ascoltati nella vita quotidiana; l’importanza della complicità di coppia nel cammino per la santità; se si riconosce nel sacrificio eucaristico la nostra rigenerazione umana e spirituale… insomma, una riflessione per la quale, forse, c’è bisogno di tutto l’anno. Prima del pranzo, durante la Messa, sem-

pre Don Silvio ha basato l’omelia sul commento della prima lettura (I Mac. 6,1 – 13) e su un male tanto antico quanto moderno, la tristezza. Di tristezza si muore, ci ha detto, si moriva nell’antico testamento, ne muore oggi, chi si sente solo. E’ solo, solo chi si sente solo, e ancora non sa che Dio è vivo presente in mezzo noi e rinnova il Suo sacrificio per la nostra salvezza ogni volta che celebriamo Messa. Un dono grande e gratuito, sta a noi accettarlo. Dopo pranzo, ciascuna comunità si è presentata alle altre; sono state ascoltate delle testimonianze sulla penetrazione della Parola di Dio nelle comunità attraverso la promessa eucaristica (per un anno, tutti i giorni si ci reca a Messa e si ci comunica), l’adorazione perenne e quella notturna,; il racconto video di una coppia che ha seguito il percorso di preparazione alla Prima Comunione del figlio pregando e vivendo, come famiglia, un anno eucaristico. Ancora, la partecipazione ai gruppi d’amicizia, gruppi di discussione misti (con appartenenti di comunità diverse) dove ognuno ha presentato la propria esperienza in relazione alla catechesi comunitaria. A seguire, abbiamo visto la realizzazione delle opere compiute in Burkina Faso (Africa), con le raccolte fondi a cui anche noi, in prima persona, abbiamo partecipato. L’oasi Santa Teresa è ora in grado di accogliere gli studenti e poter provvedere alla mensa e allo studio, hanno i bagni, l’acqua potabile.

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Segue da pagina 7 A casa nostra sembrano cose normali, ma lì, vedere ciò in mezzo al niente, ci ha fatto emozionare come la consapevolezza che per una volta tanto anche noi avevamo contribuito e potremmo continuarlo a fare insieme a chiunque lo voglia; nei primi mesi del nuovo anno partiranno della squadre di opera, ossia gruppi di lavoratori che metteranno a disposizione la propria professionalità, per quel che non si può contare sull’aiuto locale: muratori, elettricisti, ingegneri,…i soldi servono sempre perché i progetti sono ancora tanti, tra cui la costruzione di un dormitorio femminile che permetta anche alle ragazze di poter accedere agli studi, però in questo modo anche chi ha poco, o non può partecipare monetariamente, ha la possibilità di rendersi e di sentirsi utile. La responsabile dell’oasi, Caterina, ha concluso la testimonianza video con queste parole: “Lui fa’ i miracoli, io glieli chiedo”. Siamo stati testimoni della gioia, la stessa che ci chiede Papa Francesco. E’ il momento delle preghiere: il rosario, la compieta e l’adorazione notturna. La nostra comunità ha vissuto questo momento dalle una alle due, fuori pioveva a dirotto, ma dentro non è stato da meno. L’atmosfera, il riflettere sulla giornata appena vissuta, il libro sulla Passione che qualcuno si era portato proprio per l’adorazione e poi ha fatto il giro di tutti… Pochi rumori: i fazzolettini tirati dalle confezioni di plastica, qualche singhiozzo e il lieve mormorio di un canto. Il Signore ha avuto occhi e orecchi per ciascuno di noi, speriamo di non essere stati da meno. Domenica mattina, nuovo giorno, nuova catechesi. La parola di Dio proposta, è stata un brano tratto dalla lettera agli Efesini di San Paolo apostolo (5, 21 – 33) inerente l’atteggiamento dei coniugi nella vita di coppia in relazione all’amore di Cristo per la Chiesa: l’offerta dell’uno per l’altro. Questo già normalmente avviene nella Celebrazione Eucaristica dove, dopo la liturgia della parola, comincia quella eucaristica, rinnovando il patto del matrimonio, si recupera in sostanza, ciò che si è scelto, come un continuo sacrificio a Dio gradito. Si comincia con la presentazione dei doni e il sacer-

dote recita: “manda il Tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo”, così i doni diventano corpo e sangue e questo indica agli sposi che non basta la sola volontà di concedersi, bisogna anche saper chiedere aiuto…magari allo Spirito Santo. La paternità di Dio, ci accompagna, agisce per noi ed in noi: è lo Spirito Santo che ci dà la possibilità di offrirci, rigenerandoci, “fa con noi”: ci fa amare con la stessa misura di Cristo; prende la stanchezza e rende la grazia per renderci testimoni e ministri; riceviamo, insomma, una nuova identità. Lo sposalizio è giudicato da molti follia, e un po’ lo è, in fondo si sacrifica una parte di sé o in toto, per chi? Per un altro essere umano che come tale è fonte di incertezza, per questo è necessario che singolarmente si ci purifi-

chi per l’altro. La coppia con il sacramento del matrimonio riceve un dono di valore inestimabile, spesso, però lo stile di vita quotidiano offusca l’amore di Cristo e questo dono non risplende più, perché noi stessi non ci crediamo più. Il Signore, non è un ospite, e con lo Spirito siamo chiamati a custodire la famigliarità come meglio possiamo. Dopo l’invocazione allo Spirito, il prete enuncia il memoriale “questo è il mio corpo, questo è il mio sangue,…” e si rivive il momento della consegna. Gesù Cristo si consegna per la salvezza del mondo, dona sé stesso, abbraccia la croce e con la Sua morte ci redime. La vita matrimoniale è un po’ lo stesso, un’offerta continua, una croce

che si può solo abbracciare. Dinanzi al sacrificio di Cristo, i problemi quotidiani sembrano tutti di lieve entità perché il mistero dell’Amore, non si riesce a contenere, non si spiega. La consegna del Signore è passata per la passione e la croce serve ad azzerare le pretese, siamo stati salvi a prescindere da quanto dopo lo avremmo o meno amato, Gesù non ha portato il conto di quello che avrebbe potuto ricevere in cambio. E’ inutile fare qualcosa nella speranza di pretendere in cambio l’amore dell’altro, se questo sentimento non è autentico e pronto al sacrificio anche inutile, non servirà a niente. In Cristo morto per la Chiesa, c’è stata la chiamata all’unità, degli sposi in primis, e lo ricorda anche San Paolo “per questo l’uomo lascerà il padre e al madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una sola carne”; la grazia ci è stata regalata, ora non resta che immergervisi. L’ultima fermata però, non è la morte, l’Apocalisse, non a caso, si conclude con la resurrezione, per cui, nel matrimonio non si muore (come pensano in troppi), bensì, si ci rigenera nel Santo Sacrificio. Lasciamo che sia Cristo a parlare, e proclamato il Padre Nostro ci identifichiamo come figli, tutti eguali per Dio, da cui riceviamo su invito, “beati gli invitati alla mensa…”, la stessa parte di “pane”. Il Beato Giovanni Paolo II identificava nel matrimonio, una strada piena di croci, le croci del mondo, che non è innocente e attraverso queste ha bisogno di essere salvato. Dopo i calvari ecco arriva l’agognato traguardo, la gioia. Quando si riceve l’ostia consacrata, si diventa corporei e consanguinei di Cristo e più tenderemo a somigliargli, maggiore sarà il cambiamento che ci renderà in grado di accoglier l’altro. La grazia suppone la natura e senza questa consapevolezza è inutile accostarsi, anche quotidianamente, al Pane Vivo, ben lo sapeva san Francesco, che testimoniava con la vita, prima che con le parole, la sua fede e la sua voglia di Cristo. Certo, dopo questa immersione in “acque così profonde”, la furia metereologica che ci ha accompagnato in questo cenacolo, è passata quasi inosservata, ci siamo resi conto che era più di noi stessi e del nostro abitudinario comportamento che dovevamo preoccuparci, che dell’acqua! La Messa, dopo la catechesi, è stata


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un momento di vera riflessione, forse per la prima volta siamo stati consapevoli, ci abbiamo finalmente messo del nostro, perché sapevamo come relazionarci. Il pranzo ha concluso il cenacolo e ci ha offerto un altro momento di profonda discussione sull’esperienza appena vissuta, al suo termine ci siamo salutati e con il nostro nuovo bagaglio siamo ritornati a casa. Queste sono esperienze che non si affrontano mai a cuor leggero, perché ciascuno lascia qualcosa per potervi partecipare: marito, casa, figli. E’ necessario organizzarsi bene e chi lo sa quando si torna a casa, quel che si trova, tra faccende a cui attendere e malcontenti generali. Il cenacolo è un’attività che può essere perseguita da tutta la famiglia in quanto, anche per i più piccoli, sono previsti momenti di intrattenimento, purtroppo le esigenze sono tante, lavorative e familiari stesse, per cui, parte chi può. Ciò nonostante, l’annuncio a chi è restato non manca, magari non ci saranno risultati immediati, intanto si semina e prima o poi si raccoglierà.

Patrizia Cioffi

Il nostro esempio: Maria Noi donne e mamme ci domandiamo come guidare una famiglia e i nostri figli. Consapevoli del prezioso dono ricevuto dal Signore, che portiamo in grembo come un gioiello in uno scrigno, ci preoccupiamo di fare crescere i nostri figli nel modo migliore. Ma in che modo? Un giorno leggendo la Bibbia trovai l’esempio supremo da seguire: Maria, piccola creatura, umile e semplice, come ci ricorda il Magnificat, che sin da principio si è affidata, senza esitazione alcuna, nelle mani di Dio grazie al dono della Fede con cui ci si abbandona nelle braccia dell’Eterno Padre senza angosce. Dio aveva prescelto Maria per il suo disegno divino. Maria e Giuseppe, suo sposo, si sono conformati ad esso. Noi mamme, dunque, attraverso i sacramenti, l’ascolto della Parola di Dio, che ci parla tramite i suoi ministri e la preghiera giornaliera, che mai dovrebbe mancare in una famiglia, nutriamo l’anima e accresciamo la nostra Fede che ci aiuta a superare numerose controversie che la vita ci presenta.

Dall’Annunzio dell’Angelo Gabriele sino alla crocifissione, Maria, ci ha insegnato che con la preghiera e soprattutto, confidando nell’aiuto di Dio, possono superare le difficoltà della vita. La Vergine Beata ci rinnova l’invito ad “abbandonarci come deboli figli fra le braccia della più tenera fra le madri”. Invochiamola costantemente senza mai scoraggiarci affinché possa illuminare la nostra strada. Ci Ascolterà.

Rosa Lucibello

Scuola media nel 2014 a Ravello, evoluzione di un sistema formativo

Le problematiche della situazione economica del nostro tempo sono l’argomento e la preoccupazione principale delle famiglie. Le ansie degli adulti che si pongono il problema di far quadrare i conti che non tornano mai si riflettono sugli studenti che si pongono la domanda su cosa gli serva studiare se poi non trovano un lavoro dopo la scuola. La risposta che possiamo dare ad un adolescente a questa domanda e su come affrontare uno dei più alti tassi di disoccupazione giovanile d’Europa è una sola: una solida formazione scolastica! La qualità dell’istruzione è quella che farà la differenza per avere un voto di laurea più alto degli altri e che aprirà le porte alle possibilità lavorative sempre più esigue sia in Italia che all’estero. Studiare di più è l’unico modo che hanno i ragazzi di oggi per prepararsi ad un domani lavorativo sempre più complicato. Il percorso per la preparazione all’università inizia dalla scuola secondaria di primo grado con la programmazione dello studio su base settimanale. Superati i primi mesi di ambientamento di passaggio dalla scuola primaria alla scuola secondaria di primo grado, lo studente deve riuscire ad impostare un metodo di studio, una programmazione dei compiti e

delle attività extrascolastiche , in modo che i 3 anni di scuola secondaria di primo grado siano sufficienti ad arrivare al primo liceo pronti per affrontare 5 anni di studio con una buona preparazione di base. La scuola secondaria di primo grado dell’istituto comprensivo di Ravello e Scala ha due caratteristiche che la rendono particolare : l’orario prolungato e lo strumento musicale. Generalmente le scuole hanno o una o l’altra opzione o nessuna delle due. Il lavoro dei dirigenti degli anni passati è stato indirizzato ad ottenere il più possibile per gli studenti di Ravello e di Scala creando le premesse per una formazione scolastica più completa possibile. La musica d’insieme, possibile solo con l’orario prolungato, è la prima grande opportunità di responsabilità di gruppo di uno studente. Lo studio dello strumento a livello individuale è la principale conquista di una scuola ad indirizzo musicale ( a Scala purtroppo pochi anni fa si è perso lo strumento musicale perché gli alunni erano inferiore ai 12 richiesti come numero minimo per la cattedra di strumento). L’orario prolungato alla scuola media consente allo studente di frequentare la scuola per più tempo, di approfondire ciò che non riesce a fare durante le ore scolastiche del mattino, di portare avanti i progetti di educazione civica, possibili solo con l’orario prolungato (attualmente alla scuola secondaria di Ravello ce ne sono 3 in corso). Da non sottovalutare la possibilità di essere seguiti fino alle 16,mangiando tutti i giorni allo stesso orario ed evitando potenziali problemi di disagio sociale per chi non ha la possibilità di essere seguito dalle famiglie a casa nelle ore pomeridiane. Tutto questo toglie ai ragazzi spazio al loro tempo libero. Meno tempo per giocare. Meno tempo per lo sport. Uno sforzo maggiore per i genitori. I tre anni di scuola media vissuti così diventano faticosi, ma sono fatiche che danno agli studenti una preparazione scolastica migliore, un’opportunità in più di trovare la propria strada un domani. Quest’ opportunità è di gran lunga più importante di tutto il resto. Nessuno di noi può garantire agli studenti che gli sforzi che fanno per studiare oggi saranno ripagati domani trovando un lavoro che li soddisferà.

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Riparte il cammino di AC a Ravello con il nuovo consiglio

Dargli la possibilità di avere una formazione scolastica di buon livello è ciò che possiamo dare loro subito. A Giugno 2013 all’Auditorium Oscar Niemeyer ed a Dicembre 2013 nella chiesa di San Francesco , gli studenti della scuola secondaria di primo grado si sono esibiti in prove di orchestra e recitazione . Hanno studiato per prepararsi, erano contenti, impauriti ed emozionati. Lo spirito di squadra degli insegnanti e degli studenti è stato il valore aggiunto che è venuto fuori da queste esperienze. I ragazzi toccano con mano i risultati dello studio che diventa un mezzo per raggiungere uno scopo. Da considerare anche gli spettacoli a cui hanno preso parte alcuni ragazzi della scuola media come musicisti all’auditorium Oscar Niemeyer negli ultimi due anni ed a Villa Rufolo gli anni precedenti, fornendo loro stimoli per lo studio e l’aggregazione sociale. Proporre la migliore istruzione possibile è quello che la società può fare per i propri cittadini per prepararli ad affrontare il futuro. A Ravello e Scala ci sono la scuola materna, primaria e secondaria di primo grado. Le energie di insegnanti e dirigenti sono concentrate sul farle funzionare al meglio. I genitori possono dare il loro contributo collaborando con la scuola per migliorare la proposta formativa e andando a votare compatti quando la scuola lo prevede.

Il 14 gennaio scorso l’Azione Cattolica parrocchiale di Ravello si è ritrovata intorno all’Assistente spirituale, don Giuseppe Imperato, nella Cappella Feriale del Duomo ravellese, per ricominciare il cammino associativo di questo nuovo anno. I soci hanno celebrato la liturgia eucaristica, arricchita da momenti di riflessione che hanno evidenziato il senso di essere tesserati di AC e di continuare a camminare sulla strada dell’AC. Interessante è stato riflettere nel momento introduttivo della celebrazione su uno stralcio di un discorso del Presidente nazionale Franco Miano, che sottolineava che “aderire all’Azione cattolica è scelta di libertà. La libertà di donne e uomini, ragazzi,

giovani, adulti che liberamente, a partire dal loro sì a Gesù e dalla loro appartenenza alla Chiesa di Dio, scelgono di impegnarsi insieme per la vita della Chiesa e della società, crescendo nella fede e in umanità. Una scelta di libertà di fronte alla comunità e per la comunità. Una libertà che accoglie i doni ricevuti e li sa mettere a disposizione dei fratelli. Persone che sanno che ogni dono ricevuto non può essere custodito tenendolo nascosto ma, al contrario, custodire un dono vuol dire metterlo in circolo, farlo conoscere, farlo crescere. Così è per il dono dell’Ac: cresce se lo facciamo conoscere e apprezzare anche da altri, se la nostra libertà sa interpellare la libertà degli altri. Una libertà da condividere e per condividere”. Altro momento importante è stata l’omelia dell’Assistente spirituale che ha Marco Rossetto ripreso spunti sia da quanto detto da Franco Miano, ma soprattutto da quanto

raccomandato dall’allora Cardinale Jorge Bergoglio all’AC di Argentina, qualche anno fa. Quello che oggi è Papa Francesco ricordava all’Azione Cattolica di vivere la “tensione” tra l’incontro con Cristo è quello con il prossimo, anzi proprio dall’incontro con Cristo nasceva la “tensione” verso il prossimo, in quanto “talvolta la tentazione è quella di rinchiudersi nei gruppi, studiare, parlare e restare li, talvolta c’è lo sbandamento, il semplice uscire, senza preghiera, senza vita interiore, senza formazione: no, bisogna vivere in tensione tra i due poli.”. Inoltre, concludeva il Cardinal Bergoglio “in Azione Cattolica non cerchiamo di fare proseliti, Gesù accusava di questo i farisei, cerchiamo di portare una proposta, la proposta che viviamo nella nostra interiorità Gesù, il Salvatore, colui che dà senso alla vita e che portiamo a tutte le periferie e il modo di portare questa proposta è la mitezza. L’Azione Cattolica non è una multinazionale che deve fare un bilancio tutti gli anni, per vedere come cresce, come va; no, è un gruppo di uomini, di donne, di giovani, di ragazzi che vivono una proposta che non è loro ma di cui sono innamorati e la vivono con fervore, con gioia, con mitezza.” E don Giuseppe Imperato ha sottolineato come l’esperienza di AC possa esser altamente formativa dal punto di vista spirituale riportando l’esperienza vissuta da Papa Francesco, la cui nonna, che è stata citata spesso dal Papa come colei che gli ha insegnato un rapporto speciale con Dio attraverso la sua fede semplice, è stata molto attiva nell’AC piemontese prima di affrontare con il marito l’avventura argentina. Ed anche lì, sebbene lontana dalla sua terra , continuò a trasmettere il messaggio di Azione Cattolica, formando generazioni agli ideali di vita cristiana. Dopo la conclusione della celebrazione, durante la quale sono state benedette e


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distribuite le tessere ai soci, per i quali esse sono segno della scelta di collaborare generosamente a diffondere il Regno di amore e di pace, facendo della generosità, dell’accoglienza e della solidarietà, i punti salienti del loro essere cristiani, anche grazie alla presenza del Presidente diocesano uscente Raffaele Gambardella, si è proceduto a rinnovare il Consiglio parrocchiale attraverso la scelta per acclamazione dei Responsabili dei settori. Sono risultati scelti: per l’ACR Maria Carla Sorrentino, per i Giovanissimi/ Giovani Arianna Amato e Maddalena Pisacane, che si sono particolarmente distinte a livello diocesano nell’animazione dei momenti di incontro che l’AC ha organizzato, per gli Adulti Gorizia De Falco e Manuelita Perillo, che lascia la presidenza parrocchiale dopo sei anni. Come Presidente parrocchiale l’Assemblea ha deciso di sottoporre al nostro Arcivescovo, Mons. Orazio Soricelli, il nome di Raffaele Amato. Tra la gioia dei presenti il tutto è terminato con un momento di convivialità.

ottenne a molti condannati la commutazione della pena di morte. Incentivò l'arte del corallo a Torre del Greco e diede impulso alla riattivazione delle seterie di San Leucio di Caserta a bene dei coloni del posto, le cui famiglie ricevettero casa, lavoro, una chiesa e la

Maria Carla Sorentino scuola obbligatoria".

La Regina santa E' stata proclamata Beata oggi a Napoli la regina delle due Sicilie, Maria Cristina di Savoia, moglie del re Ferdinando II di Borbone. Il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha presieduto stamani la Messa di beatificazione nella Basilica di Santa Chiara dei Frati Minori, definendo la nuova Beata “autentica regina della carità”. Il servizio di Benedetta Capelli: Reginella santa. Era questo il modo in cui i napoletani, nei primi anni Trenta dell’800, chiamavano Maria Cristina di Savoia morta a soli 24 anni dopo aver partorito Francesco II, ultimo re di Napoli. Bellezza, cultura, una solida formazione cristiana la rendevano una sposa ambita e quando si unì in matrimonio con Ferdinando II di Borbone si capì che il destino di quel regno sarebbe cambiato di lì a poco. Decise infatti, d’accordo con il re, di destinare parte del denaro per i festeggiamenti delle nozze per dare una dote a 240 spose. Il cardinale Angelo Amato: "La sua intercessione presso il sovrano

Una giovane donna che aveva capito come la ricchezza vera sia quella del cuore. Un messaggio che arrivò chiaramente ai poveri, agli ultimi, e che le aprì la strada verso la santità:"La beatificazione della regina Maria Cristina di Savoia mostra che la porta stretta della santità può essere varcata da tutti, grandi e piccoli, ricchi e poveri, uomini e donne, sacerdoti e laici, perché l'essenziale della santità consiste nell'amare Dio e il prossimo con tutte le proprie forze". Una testimonianza cristiana più che mai attuale. La sua vita è una risposta alla tendenza di rendere i vizi virtù e di lasciarsi andare al torpore della mediocrità e del male. “Sono i santi come la Beata Maria Cristina di Savoia – afferma il cardinale Amato – a risvegliare il mondo”: "I Santi rimettono le cose a posto, mostrando come la povertà, la mitezza, la purezza, la giustizia, la pace, la condivisione siano beatitudini, che edificano la società rendendola più sana e più umana. I Santi bonificano la società dall'inquinamento dei vizi, restituendo valore alla virtù e dignità alla vita".

La Redazione

2 febbraio 2014

18a Giornata della Vita Consacrata

La celebrazione della Presentazione di Gesù al tempio ci orienta a Cristo, vera luce di tutte le genti, principio e fondamento della fede e della vita cristiana. In Cristo, ci riscopriamo amati da Dio, già consacrati a Lui mediante il battesimo, chiamati all’offerta di noi stessi nell’amore, sostenuti dalla grazia dello Spirito. In Lui ritroviamo ogni giorno il senso della nostra vocazione e la gioia di essere discepoli e testimoni. Ora, se la celebrazione della Presentazione di Gesù parla a tutti, essa parla in modo del tutto particolare a coloro che sono chiamati a una speciale consacrazione, nelle diverse forme ed espressioni, siano essi dediti principalmente alla contemplazione o all’apostolato, alla vita comunitaria, siano essi appartenenti a Ordini o Istituti religiosi, Istituti secolari o Società di vita apostolica, a comunità antiche o nuove. La missione apostolica dà un apporto importante e insostituibile alla nuova evangelizzazione, in conformità agli specifici carismi dei vari Istituti. Essi operano in vari modi perché gli uomini e le donne del nostro tempo aprano la porta del loro cuore al dono della fede. Sono impegnati nella catechesi e nella formazione cristiana; operano in vari ambiti educativi. Il mondo ha bisogno della testimonianza fedele e gioiosa di uomini e donne consacrate. La richiedono tante situazioni di smarrimento, che pure sono attraversate anche dal desiderio di cose autentiche e vere e, ancor più, da una domanda su Dio, per quanto possa sembrare tacitata o rimossa. La Comunità ecclesiale di Ravello, che gode della presenza del duplice istituto francescano e clariano, loda e ringrazia il Signore per tale privilegio, e, nella giornata mondiale a loro dedicata, formula per loro gli auguri santi per un cammino di crescita nella santità e nella testimonianza evangelica.


CELEBRAZIONI DEL MESE DI FEBBRAIO GIORNI FERIALI Ore 17.00: Santo Rosario Ore 17.30: Santa Messa GIORNI PREFESTIVI E FESTIVI Ore 17.30: Santo Rosario Ore 18.00: Santa Messa GIOVEDI’ 6-13-20-27 FEBBRAIO Al termine della Santa Messa delle 17.30 Adorazione Eucaristica LUNEDI’ 3-10-17 Amalfi - Chiesa di San Benedetto - ore 18.00: Itinerario di Formazione alla Fede con il Catechismo della Chiesa Cattolica per tutti gli Operatori Pastorali “II anno – “Per riscoprire la gioia della fede” . 2 FEBBRAIO PRESENTAZIONE DEL SIGNORE Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 3 FEBBRAIO SAN BIAGIO 8 FEBBRAIO Ore 19.00: Catechesi per gli Adulti promossa dalla Confraternita 9 FEBBRAIO V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Celebrazione della XXII Giornata del Malato Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 11 FEBBRAIO BEATA VERGINE MARIA DI LOURDES 17 FEBBRAIO VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 22 FEBBRAIO Ore 19.00: Catechesi per gli Adulti promossa dalla Confraternita 23 FEBBRAIO VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante MesseVEMBRE


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