Incontro Gennaio 2013

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Per una Chiesa Viva Anno VIII - N. 12 – Gennaio 2013 P ERIODICO DELLA www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it

COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Beati gli operatori di pace È Il tema del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la giornata mondiale della pace 2013. La rinnovata constatazione che “l’uomo è fatto per la pace” ha spinto infatti il Papa a riflettere, in un’ottica adattata alla modernità, sulle parole di Cristo nel Discorso della Montagna: “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9). Vivere concretamente la prospettiva delle Beatitudini evangeliche è, secondo Benedetto XVI, l’unico modo per superare il male che sconvolge il mondo e costruire una società fondata su “verità, giustizia e amore”. La pace, infatti, è un dono di Dio, ma al contempo anche un’opera umana che - scrive il Santo Padre - presuppone “un umanesimo aperto alla trascendenza e un'etica della comunione e della condivisione”, necessita di un “colloquio costante con Dio” e del “riconoscimento di essere una unica famiglia umana che si struttura con relazioni interpersonali e istituzioni dove si riconoscono i reciproci diritti e doveri”. L'operatore di pace è quindi “colui che ricerca il bene dell'altro, il bene pieno dell'anima e del corpo e che collabora alla realizzazione del bene comune delle varie società”. Come si traduce concretamente tutto ciò? Papa Benedetto sottolinea da subito che la realizzazione del bene comune e della pace è strettamente connessa al rispetto della vita umana nella sua integralità. I “veri operatori di pace sono coloro che amano, difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue dimensioni: personale, comunitaria e trascen-

dente” afferma nel Messaggio. La dimensione Personale a cui si riferisce il Papa, rimarca il fatto che “gli operatori di pace difendono e promuovono la vita dal concepimento fino alla morte naturale”. In tale azione di difesa e promozione, il punto nodale è “il riconoscimento della struttura naturale del matrimonio, quale unione fra uomo e donna, caratterizzata anche dal suo insostituibile ruolo sociale”, evidenzia il Santo Padre. Per cooperare a realizzare la pace, è importante

quindi che “gli ordinamenti giuridici e l'amministrazione della giustizia riconoscano il diritto all'uso del principio dell'obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l'aborto e l'eutanasia”. C’è poi una dimensione trascendente della vita umana, posta in essere da chi difende la libertà religiosa, intesa dal Papa “non solo come libertà di scelta della religione, ma anche come libertà di testimoniare e annunciare, compiere attività educative e di assistenza, esistere e agire come organismi sociali”. Infine la dimensione comunitaria. Scrive il Santo

Padre: “L'operatore di pace è colui che considera fondamentali e promuove i diritti e doveri sociali che sono essenziali per la piena realizzazione dei diritti e doveri civili e politici”. Il punto centrale è qui “la minaccia al diritto al lavoro”, considerato oggi “una variabile dipendente dei meccanismi economici e finanziari”. A tal proposito, il Pontefice riafferma la necessità di perseguire l'obiettivo della piena occupazione, la cui precondizione è che il lavoro venga “considerato da un punto di vista etico, spirituale e come bene fondamentale per la persona, per la famiglia e per la società”. Ciò esige che siano studiate e messe in atto coraggiose politiche del lavoro per tutti. Nel Messaggio si ricalca, pertanto, la necessità di un nuovo sguardo sull'economia e di un nuovo modello di sviluppo che “sia integrale, solidale e sostenibile” e che “abbia Dio come riferimento ultimo”. In tal senso, il Papa indica due punti cruciali: da un lato, “la strutturazione etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali”; dall'altro, “una considerazione adeguata e risoluta della crisi alimentare” che, secondo Benedetto XVI, è “ben più grave di quella finanziaria”. Il tema della sicurezza degli approvvigionamenti alimentari, spiega il Pontefice, è ritornato centrale nell'agenda politica internazionale a causa di crisi connesse, tra l'altro alle oscillazioni dei prezzi delle materie prime agricole, "a comportamenti irresponsabili e ad un insufficiente controllo dei Governi e della Comunità internazionale”.

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Segue dalla prima pagina È urgente, perciò, che gli operatori di pace si impegnino a creare le condizioni ottimali, specialmente per i piccoli agricoltori, per far sì che essi svolgano il lavoro della terra "in modo dignitoso e sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale ed economico”. Richiamando il discorso del Messaggio del 2012 su "Educare i giovani alla giustizia e alla pace", il Papa, infine, concentra la sua attenzione sul tema dell'educazione, ribadendo “con forza” che gli operatori di pace sono chiamati “a coltivare l'impegno di una valida educazione sociale”. In primo luogo è la famiglia, “cellula base della società dal punto di vista demografico, etico, pedagogico, economico e politico”, a dover svolgere un ruolo educativo di base. Essa, scrive il Papa, “ha una naturale vocazione a promuovere la vita”; per cui “va tutelato il diritto dei genitori ad educare i propri figli e il loro ruolo primario nell'educazione, in particolare, nell'ambito morale e religioso”. Anche le comunità religiose, hanno un "immenso compito di educazione alla pace" e, in questo ambito, ricoprono un ruolo fondamentale anche le istituzioni culturali, scolastiche e universitarie “alle quali è richiesto un fondamentale contributo per il rinnovamento della classe dirigente e delle istituzioni, così come una riflessione scientifica che radichi le attività economiche e finanziarie in un fondamento antropologico ed etico”. Il Messaggio per la Giornata della Pace 2013 si conclude quindi con l’affermazione della necessità di una “pedagogia della pace” che richiede “una ricca vita interiore, validi riferimenti morali e atteggiamenti e stili di vita appropriati” e implica “azione, compassione, solidarietà, coraggio e perseveranza”. Tutti gli atteggiamenti, cioè, “incarnati dal Signore Gesù fino al totale dono di sé”.

Il desiderio di Dio

Gli uomini sapienti seguirono la stella e arrivarono a Gesù, la grande luce che illumina tutta l’umanità.

Cari fratelli e sorelle, il cammino di riflessione che stiamo facendo insieme in quest’Anno della fede ci conduce a meditare oggi su un aspetto affascinante dell’esperienza umana e cristiana: l’uomo porta in sé un misterioso desiderio di Dio. In modo molto significativo, il Catechismo della Chiesa Cattolica si apre proprio con la seguente considerazione: «Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell'uomo, perché l'uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l'uomo e soltanto in Dio l'uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa» (n. 27). Una tale affermazione, che anche oggi in molti contesti culturali appare del tutto condivisibile, quasi ovvia, potrebbe invece sembrare una provocazione nell’ambito della cultura occidentale secolarizzata. Molti nostri contemporanei potrebbero infatti obiettare di non avvertire per nulla un tale desiderio di Dio. Per larghi settori della società Egli non è più l’atteso, il desiderato, quanto piuttosto una realtà che lascia indifferenti, davanti alla quale non si deve nemmeno fare lo sforzo di pronunciarsi. In realtà, quello che abbiamo definito come «desiderio di Don Giuseppe Imperato Dio» non è del tutto scomparso e si affaccia ancora oggi, in molti modi, al cuore dell’uomo. Il desiderio umano tende Benedetto XVI @Pontifex_it sempre a determinati beni concreti, spesGli uomini sapienti seguirono la stella e so tutt’altro che spirituali, e tuttavia si arrivarono a Gesù, la grande luce che trova di fronte all’interrogativo su che illumina tutta l’umanità.

cosa sia davvero «il» bene, e quindi a confrontarsi con qualcosa che è altro da sé, che l’uomo non può costruire, ma è chiamato a riconoscere. Che cosa può davvero saziare il desiderio dell’uomo? Nella mia prima Enciclica, Deus caritas est, ho cercato di analizzare come tale dinamismo si realizzi nell’esperienza dell’amore umano, esperienza che nella nostra epoca è più facilmente percepita come momento di estasi, di uscita da sé, come luogo in cui l’uomo avverte di essere attraversato da un desiderio che lo supera. Attraverso l’amore, l’uomo e la donna sperimentano in modo nuovo, l’uno grazie all’altro, la grandezza e la bellezza della vita e del reale. Se ciò che sperimento non è una semplice illusione, se davvero voglio il b e n e d e l l ’a l tr o come via anche al mio bene, allora devo essere disposto a de -centrarmi, a mettermi al suo servizio, fino alla rinuncia a me stesso. La risposta alla questione sul senso dell’esperienza dell’amore passa quindi attraverso la purificazione e la guarigione del volere, richiesta dal bene stesso che si vuole all’altro. Ci si deve esercitare, allenare, anche correggere, perché quel bene possa veramente essere voluto. L’estasi iniziale si traduce così in pellegrinaggio, «esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio» (Enc. Deus caritas est, 6). Attraverso tale cammino potrà progressivamente approfondirsi per l’uomo la conoscenza di quell’amore che aveva inizialmente sperimentato. E andrà sempre più profilandosi anche il mistero che esso rappresenta: nemmeno la persona amata, infatti, è in grado di saziare il desiderio


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che porta ad uscire da sé e a trovarsi di fronte al mistero che avvolge l’intera esistenza. Considerazioni analoghe si potrebbero fare anche a proposito di altre esperienze umane, quali l’amicizia, l’esperienza del bello, l’amore per la conoscenza: ogni bene sperimentato dall’uomo protende verso il mistero che avvolge l’uomo stesso; ogni desiderio che si affaccia al cuore umano si fa eco di un desiderio fondamentale che non è mai pienamente saziato. Indubbiamente da tale desiderio profondo, che nasconde anche qualcosa di enigmatico, non si può arrivare direttamente alla fede. L’uomo, in definitiva, conosce bene ciò che non lo sazia, ma non può immaginare o definire ciò che gli farebbe sperimentare quella felicità di cui porta nel cuore la nostalgia. Non si può conoscere Dio a partire soltanto dal desiderio dell’uomo. Da questo punto di vista rimane il mistero: l’uomo è cercatore dell’Assoluto, un cercatore a passi piccoli e incerti. E tuttavia, già l’esperienza del desiderio, del «cuore inquieto» come lo chiamava sant’Agostino, è assai significativa. Essa ci attesta che l’uomo è, nel profondo, un essere religioso (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 28), un «mendicante di Dio». Possiamo dire con le parole di Pascal: «L’uomo supera infinitamente l’uomo» (Pensieri, ed. Chevalier 438; ed. Brunschvicg 434). Gli occhi riconoscono gli oggetti quando questi sono illuminati dalla luce. Da qui il desiderio di conoscere la luce stessa, che fa brillare le cose del mondo e con esse accende il senso della bellezza. Dobbiamo pertanto ritenere che sia possibile anche nella nostra epoca, apparentemente tanto refrattaria alla dimensione trascendente, aprire un cammino verso l’autentico senso religioso della vita, che mostra come il dono della fede non sia assurdo, non sia irrazionale. Sarebbe di grande utilità, a tal fine, promuovere una sorta di pedagogia del desiderio, sia per il cammino di chi ancora non crede, sia per chi ha già ricevuto il dono della fede. Una pedagogia che comprende almeno due aspetti. In primo luogo, imparare o reimparare il gusto delle gioie autentiche della vita. Non tutte le soddisfazioni producono in noi lo stesso effetto: alcune lasciano una traccia positiva, sono capaci di pacificare l’animo, ci rendono più atti-

vi e generosi. Altre invece, dopo la luce iniziale, sembrano deludere le attese che avevano suscitato e talora lasciano dietro di sé amarezza, insoddisfazione o un senso di vuoto. Educare sin dalla tenera età ad assaporare le gioie vere, in tutti gli ambiti dell’esistenza – la famiglia, l’amicizia, la solidarietà con chi soffre, la rinuncia al proprio io per servire l’altro, l’amore per la conoscenza, per l’arte, per le bellezze della natura –, tutto ciò significa esercitare il gusto interiore e produrre anticorpi efficaci contro la banalizzazione e l’appiattimento oggi diffusi. Anche gli adulti hanno bisogno di riscoprire queste gioie, di desiderare realtà autentiche, purificandosi dalla mediocrità nella quale possono trovarsi invischiati. Diventerà allora più facile lasciar cadere o respingere tutto ciò che, pur apparentemente attrattivo, si rivela invece insipido, fonte di assuefazione e non di libertà. E ciò farà emergere quel desiderio di Dio di cui stiamo parlando. Un secondo aspetto, che va di pari passo con il precedente, è il non accontentarsi mai di quanto si è raggiunto. Proprio le gioie più vere sono capaci di liberare in noi quella sana inquietudine che porta ad essere più esigenti – volere un bene più alto, più profondo – e insieme a percepire con sempre maggiore chiarezza che nulla di finito può colmare il nostro cuore. Impareremo così a tendere, disarmati, verso quel bene che non possiamo costruire o procurarci con le nostre forze; a non lasciarci scoraggiare dalla fatica o dagli ostacoli che vengono dal nostro peccato. A questo proposito, non dobbiamo però dimenticare che il dinamismo del desiderio è sempre aperto alla redenzione. Anche quando esso si inoltra su cammini sviati, quando insegue paradisi artificiali e sembra perdere la capacità di anelare al vero bene. Anche nell’abisso del peccato non si spegne nell’uomo quella scintilla che gli permette di riconoscere il vero bene, di assaporarlo, e di avviare così un percorso di risalita, al quale Dio, con il dono della sua grazia, non fa mancare mai il suo aiuto. Tutti, del resto, abbiamo bisogno di percorrere un cammino di purificazione e di guarigione del desiderio. Siamo pellegrini verso la patria celeste, verso quel bene pieno, eterno, che nulla ci potrà più

strappare. Non si tratta, dunque, di soffocare il desiderio che è nel cuore dell’uomo, ma di liberarlo, affinché possa raggiungere la sua vera altezza. Quando nel desiderio si apre la finestra verso Dio, questo è già segno della presenza della fede nell’animo, fede che è una grazia di Dio. Sempre sant’Agostino affermava: «Con l’attesa, Dio allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l’animo e dilatandolo lo rende più capace» (Commento alla Prima lettera di Giovanni, 4,6: PL 35, 2009). In questo pellegrinaggio, sentiamoci fratelli di tutti gli uomini, compagni di viaggio anche di coloro che non credono, di chi è in ricerca, di chi si lascia interrogare con sincerità dal dinamismo del proprio desiderio di verità e di bene. Preghiamo, in questo Anno della fede, perché Dio mostri il suo volto a tutti coloro che lo cercano con cuore sincero. Grazie.

Benedetto XVI Catechesi del 7 novembre 2012 Commento al messaggio per la giornata mondiale della pace La pace “comporta principalmente, come scrisse il beato Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in terris,… , la costruzione di una convivenza fondata sulla verità, sulla libertà, sull’amore e sulla giustizia”. Il messaggio scritto da Sua Sanità Benedetto XVI per la Giornata Mondiale per la Pace, che ricorre il 1° gennaio, pone al centro della riflessione il ruolo dei costruttori di pace, con riferimento al discorso delle beatitudini riportato nei Vangeli dove per gli operatori di pace c’è la promessa di essere chiamati figli di Dio. Ma le parole del Pontefice sembrano costruire un pone tra passato e futuro: dalla Pacem in terris di Giovanni XIII alla situazione mondiale attuale, dove la pace sembra sempre più un’utopia. Le parole del Papa del Concilio sottolineano con una precisione netta quali siano le condizioni per una pace duratura che sia dono per tutti i popoli: verità, libertà, amore e giustizia; a questi elementi va aggiunto un altro non meno importante: lo sviluppo fondato su un’economia etica.

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Segue da pagina 3 Verità, libertà, amore e giustizia sembrano, infatti, essere molto diffuse oggi ma in realtà la situazione è ben diversa; non solo in alcune parti del mondo la libertà e la giustizia sono solo concetti astratti non presenti nella quotidianità degli uomini ma anche nei Paesi, cosiddetti sviluppati, la verità, l’amore, e anche la libertà e la giustizia in alcuni casi sono niente più che uno slogan. Basta considerare i tanti attentati alla dignità dell’uomo, dalla nascita fino al termine ultimo della vita, passando per il suo ruolo sociale di lavoratore, per rendersi conto che la nostra società non può essere considerata un luogo dove si costruisce la pace. La pace non è, infatti, l’assenza di guerra, così come spesso si è portata a credere ma è la non presenza di conflitti minori che nella vita delle nostre città sono sempre più presenti. I conflitti sociali, in senso orizzontale e in senso verticale, la cosiddetta guerra tra poveri, o ancor più quella tra gruppi etnici differenti, non sono solo emergenze sociali che la globalizzazione ha generato e che risultano tra le priorità per cui occorre trovare la soluzione, sono soprattutto il risultato di mancanza di verità, libertà, amore e giustizia nonché di un’economia dove l’accrescimento del profitto non si accompagna al rispetto della dignità umana. I grandi conflitti, ancora presenti nel mondo e che a volte si riacutizzano dopo un periodo di quiescenza, mostrano chiaramente che l’umanità corre un costante rischio di perdere di vista quali siano gli elementi costitutivi della dignità dell’uomo. Rispettare la libertà altrui, perseguire la giustizia e vivere la verità sono i passi necessari per giungere ad una pace duratura; ma l’elemento che deve essere il comune denominatore di tutto è l’amore: chi ama il prossimo non può limitarne la libertà o calpestarne la giustizia. In questa ottica anche lo sviluppo economico acquisterà la dimensione della sostenibilità e dell’eticità; mettere al primo posto il rispetto

dell’umanità della persona non significa depauperare i processi economici di sviluppo ma arricchirli di una prospettiva costruttiva, dove il singolo (la persona) è veramente parte di un tutto (la società) e non lo strumento per l’arricchimento di pochi.Il Pontefice sottolinea l’importanza di educarsi ad essere operatori di pace. Questo ruolo non ha nulla a che fare con quanti sono chiamati ogni giorno per professione a diffondere la pace; non siamo tutti chiamati ad intervenire in zone di conflitto per portare la pace, ma tutti siamo chiamati a costruirla nel nostro ambiente sociale, dal quartiere della città dove si vive, alla comunità ecclesiale a cui apparteniamo fino alla piccola società che è la nostra famiglia. Per costruire questa pace “minore” ma sicuramente più diffusa e che può essere un tassello di quella “maggiore” tra i popoli, non occorre essere esperti ma basta utilizzare quegli elementi la cui importanza veniva evidenziata dal beato Giovanni XIII. A tutto ciò occorre unire un altro elemento importante che è la conoscenza dell’altro. Conoscenza significa capire l’altro, specialmente se diverso da noi, imparare ad apprezzarne le ricchezze umane e culturali che lo caratterizzano perché da ogni persona che incontriamo possiamo apprendere qualcosa. Il conflitto è figlio dell’ignoranza, intesa come mancanza di conoscenza dell’altro e dell’incapacità di considerare l’altro nella sua dimensione di figlio di Dio. L’augurio che dobbiamo rivolgerci per questa giornata per la pace e la preghiera che deve accompagnare le nostre celebrazioni liturgiche del 1° gennaio, in attesa della Veglia diocesana per la Pace, è, riprendendo le parole di Papa Benedetto XVI, che Dio “illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alla sollecitudine per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il prezioso dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, a rafforzare i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri e a perdonare coloro che hanno recato ingiurie, così che in virtù della sua azione, tutti i popoli della terra si affratellino e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace”.

Ritratto degli operatori di pace

Il primo Gennaio 2013, si è celebrata la XLVI Giornata Mondiale della Pace. Papa Benedetto XVI l’8 di Dicembre, 2012, Solennità dell’Immacolata Concezione,ha donato alla Chiesa un incantevole Messaggio dal titolo “ Beati gli operatori di pace.”Il Santo Padre, dopo aver analizzato le cause che alimentano “i focolai di tensione e di contrapposizione” tra nazioni e tra popoli, ha inteso incoraggiare tutti a sentirsi responsabili riguardo alla costruzione della pace. “L’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio”, ha affermato , e nonostante “ i venti di guerra , le molteplici opere di pace di cui è ricco il mondo , testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide,con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata.” Per questo motivo il Papa si è ispirato alla Beatitudine Evangelica : “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” ( Mt,5,112) ed ha tratteggiato il modello , o meglio , ha definito “la pedagogia dell’operatore di pace”, elencando tutte le caratteristiche necessarie a chi vuole perseguire la pace. Per prima cosa “l’operatore di pace” si impegna a vivere secondo la volontà di Dio per realizzare “una serenità interiore “ e per cercare una “pace esteriore” con il prossimo ed il creato, basando i suoi rapporti sulla verità, sulla libertà, sull’amore e sulla giustizia. Coloro che hanno a cuore la pace non tralasciano il rapporto intimo con Dio, consapevoli che l’unione con il Padre li aiuta ad allontanarsi dal peccato, dall’egoismo , dall’avidità, dalla violenza. Essi, inoltre sono coscienti di non rincorrere un sogno o un ‘utopia, poiché creati ad immagine di Dio, e chiamati all’edificazione di un mondo nuovo, grazie” all’Incarnazione del Figlio e alla Redenzione da Lui operata”. Per la realizzazione della pace, pur tenendo conto dei limiti umani, bisogna “IMITARE” Cristo. “Gesù, infatti è la nostra pace,la nostra giustizia, la nostra riconciliazione.” Il Maria Carla Sorrentino Santo Padre, afferma ancora che gli operatori di pace hanno rispetto per la


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operatori di pace hanno rispetto per la vita umana, dal concepimento sino alla fine naturale e non devono tollerare attentati e delitti contro la vita , come l’eutanasia e l’aborto . A coloro che hanno a cuore la pace, Papa Benedetto rivolge un accorato invito a costruire un nuovo modello di sviluppo e di economia ,affermando che” fino a quando l’ottica egoistica di massimizzare i profitti ed i consumi, resterà fra le prime aspirazioni dell’uomo di oggi, non si realizzerà la giustizia ,le disuguaglianze aumenteranno e la “pace sociale”, resterà solo una chimera da inseguire.” I veri operatori di pace si dovranno adoperare con ogni mezzo per favorire uno sviluppo ed un nuovo modello economico sostenibile,più solidale basato sui principi della gratuità e della logica del dono di sé. A tutti i principi morali quali l’ equità, la libertà, la giustizia, la verità ci si educa in famiglia , per questo motivo il Santo Padre , sempre nel tracciare il ritratto degli operatori di pace , dichiara che chi anela alla pace, “ coltiva la passione per il bene comune della famiglia, la quale è uno dei soggetti sociali indispensabili alla realizzazione della cultura della pace . Proprio nelle famiglie nascono e crescono “ gli operatori di pace”, futuri promotori di una cultura della vita e dell’amore. Fra gli altri soggetti deputati al compito di educare alla pace , c’è senz’altro la Chiesa attraverso la Nuova Evangelizzazione , ma anche altre Comunità Religiose , così come un ruolo fondamentale, è ricoperto dalle istituzioni culturali , scolastiche ed universitarie ,che si impegnano nella formazione degli operatori di pace, per realizzare l’armonia ed il bene comune. Lo stesso Pontefice , afferma che educarsi alla pace è un lavoro lento, ma con la volontà di tutti si potranno “ superare le barriere che dividono , rafforzare i vincoli della mutua carità, comprendere gli altri e perdonare coloro che hanno recato offese, così che tutti i popoli della terra si affratellino e fiorisca la desiderata pace”,attraverso l’impegno degli operatori di pace che sempre devono mostrare compassione, solidarietà, coraggio e perseveranza.

Giulia Schiavo

Capodanno con le cipolle Dopo aver percosso più volte il battaglio della porta, senza ottenere risposta, Dario diede un ultimo sguardo alla finestra illuminata. Aveva deciso. Salì le scale, girò la chiave nella toppa ed entrò. Il vecchio era riverso come un morto sul tavolo della cucina, le braccia allungate, una penna ancora stretta fra le dita, gli occhiali schiacciati tra il viso e il marmo bianco. Dietro di lui scoppiettava il camino e ticchettava forte un grosso orologio a muro. “Ottaviano! Ottavianooo! Sono Dario!” L'uomo rizzò la testa e la scosse, riaggiustò gli occhiali sul naso e si levò dalla sedia con un balzo. “Chi è? Ah, Dario, scusa, ero mezzo addormentato, ero.

Ehh, questo fuoco traditore! Sei venuto per le cipolle, vero?” “Sì, voglio proprio vederlo, l’esperimento”. Il vecchio gli gettò un’occhiataccia: “Esperimento?! Gli esperimenti possono fallire, figlio mio, le cipolle no! Vedrai, vedrai. Accomodati, sarai servito, prendo tutto l’armamentario e... Che ore sono? Ah, quasi le due. Trebièn, è l'ora giusta”. Girato lo sguardo dappertutto, Ottaviano si chinò sotto il lavello e da un cesto raccolse due cipolle, dopo averne palpate diverse. Dal cassetto del tavolo prese un cucchiaino e un coltello, e dalla dispensa incassata nel muro un coccio con del sale e uno scifello; sul fondo di questo era adagiato un cartoncino rettangolare, diviso in dodici riquadri, ciascuno col nome di un mese, scritto in stampatello. “Trebièn: cipolle, coltello, sale, c'è tutto. Cominciamo, sei pronto?” Dario sorrise: “Io sì”. Il vecchio nettò il marmo del tavolo, posandovi tutti gli oggetti. “Allora, guarda”, disse prendendo la prima cipolla, “la

vedi? Attento, serve bella tonda, non schiacciata!” Ottaviano la divise in due col coltello, poi ne prese una metà e staccò con cura la prima scaglia, un guscio emisferico che depose sul cartone, nella casella del mese di gennaio. Separò un secondo guscio, mettendolo nel riquadro del mese di febbraio, poi un terzo, che osservò con attenzione, prima di porlo nella casella di marzo. Dall'altra metà della cipolla ricavò altre tre scaglie, con le quali riempì la prima fila di mesi. Dopo, affettò la seconda cipolla e ripeté le stesse operazioni, fino a coprire coi gusci tutte e dodici le caselle. Poi, con mani tremanti, prese col cucchiaio un po’ di sale, ne dosò accuratamente la quantità e lo versò nella prima scaglia; borbottando ogni tanto degli strani versi, riempì col sale anche le altre undici. “Fatto!” esclamò alla fine, “ci vediamo domani mattina, bello!”. Il ragazzo sbottò in una risata: “Come domattina? Ma adesso non...” “Adesso non succede un bel niente! Dobbiamo aspettare la reazione delle cipolle, no? Senti, lo vuoi vedere il risultato? E allora, figlio mio, devi venire domani”. “Ma... ma domani io non posso, Ottavia’. C'è il veglione di capodanno stanotte, andiamo fuori, forse neppure ritornerò, in giornata». Il vecchio abbassò lo sguardo, poi prese il ragazzo per un braccio e lo fissò: “Senti, puoi venire stasera? Non sarà ancora perfetta la cosa, ma ne capiremo, vedrai. Ehh, figlio mio, ognuno alla sua arte, e il lupo alle pecore. Allora?” «Sì… sì, potrei venire prima di partire. Gli dico che arrivo una mezz'oretta più tardi... Va bene, vengo stasera, ci vediamo intorno alle dieci, allora”. Un po’ prima delle ventidue, Dario bussò di nuovo alla porta di Ottaviano. “Avanti, gioventù”. “Buonasera Ottavià, e tanti auguri”. Il vecchio spalancò la bocca: “Caspita, che damerino! Forza, ché stasera gli dài! Beato te! Va be’, aspetta, vado al belvedere”. “Al belvedere?” “La terrazza, la loggia! Devono stare all'aria, le cipolle! L'aria, la luna, tutto ha influenza! Ehhh, bello mio”.


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Segue da pagina 5 Ottaviano tornò sorreggendo lo scifello, che appoggiò con cautela sul tavolo; poi cominciò a scorrere con lo sguardo i gusci di cipolla, nicchiando ogni tanto. “Ohhh”, esclamò infine, “adesso guarda, guarda il sale dentro la prima scaglia. Com'è? Quasi intatto, vedi? Dunque, a gennaio poca acqua. Ma se fa freddo è neve, ricordati!”. Spostò il dito sul secondo guscio: “Febbraio, lo vedi? Anche qui, tutto solido: è secca, figlio mio! Marzo, sale un po‘ sciolto: pioggia, ma non tanta. Aprile, ehhh, osserva: il sale è tutto liquido: acqua a volontà! Anche a maggio, vedi, acqua! Giugno e luglio, asciutti. Agosto, ahh, pericoloso! Sale sciolto, granelli: grandine! Addio, belle speranze! Va be’... settembre e ottobre, un po’ di acquetta, e sta bene. Dicembre, idem con patate, ma... sacramento! Guarda novembre, guarda! L’acqua già esce dalla cipolla, domani bagna pure il cartone. Ahhh! Piogge a volontà, alluvioni! Sono dolori, caro ragazzo!” “Porca miseria! Ottavià, sei forte, complimenti. Ma senti: funziona sempre? È attendibile?” «Attendibile? Sacramento! Sono cinquant'anni che ci azzecco! Senti, ti ricordi l'alluvione di tre anni fa, te la ricordi? Allagamenti, frane, morti. Tutto previsto! Aveva avvertito Ottaviano, chiedilo a Sebastiano Cappellone. “Incredibile! Cioè, scusa, volevo dire che è fantastico. Ma dimmi una cosa, perché... insomma, a che serve tutto questo?” “A che serve? Ah-ah-ah! E che ti credi? Io le cipolle le spacco... per le cipolle! Per l'agricoltura! Mica faccio le previsioni pe’ anda’ a passeggio, io! E mica è questione solo di cipolle… Quante altre beghe ci stanno! La luna, la patta... vieni, vieni qui”. Ottaviano indicò il calendario appeso al muro. “La vedi questa faccia scura? Luna nuova! C'è stata il venti, dunque al trentuno ne mancano undici. Allora, la patta è di undici giorni, perché le lune sono tredici, ma i mesi dodici. Mi spiego...”. “Ecco, bravo, volevo proprio sapere se è importante, la luna”. “Ehhh! Addio veglione allora, ah-ah! Mi chiedi se la luna è importante? E’ tutto! E’ tutto! Invece, certi babbei non tengo-

I NCONTRO PER UNA CHIESA VIVA no conto di una mazza, quando lavorano la terra; poi gli va tutto in malora. Gli sta bene! Noce di collo! Gliel’ho detto mille volte, ma se ci comanda a noi, la luna! Quando certe mattine ti alzi e ti rode il piripì, chi è stato secondo te? Comunque, ascolta bene: mai potare, piantare e trapiantare con la luna tenera, cioè crescente. Mai! Solo con la luna dura! Seminare e raccogliere frutti sì, vendemmia compresa. Vuoi saperlo? Io vendemmio solo con la luna crescente, e i risultati... chiedi a Peppe Maschera che vinello ha fatto Ottaviano, l'anno scorso. Sta qui, lo puoi assaggiare. Ma ti dirò di più. Anni fa, avevo previsto un dicembre secco, buono insomma. Io non mi mossi! Tanti malfidati non vollero darmi retta e colsero l’oliva a novembre, come dice il proverbio, lo sai, no? - A Santa Caterina, sia la bianca sia la nerina - Ma siccome l'annata era stata cattiva, l'oliva era verde, acerba, e l’olio fu uno schifo. Io invece aspettai: fatti dire che nettare! Biondo, pulito, gustoso, uhhh! Mi feci certe risate! Era buono per l’arrotino, l'olio dei San Tommaso». “Grande Ottaviano! Grazie, m’ha fatto davvero piacere. Ma senti, voglio farti l’ultima domanda. Ci vengono i contadini a chiedere il responso delle cipolle?” “Se ci vengono?! Ma sei matto? Vedrai domani mattina che processione, qui dentro!” Il primo di gennaio, tornando dalla messa seconda, Assunta, senza bussare, aprì la porta della casa di Ottaviano e salì faticosamente le scale. Sorrise con la mano sulla bocca non appena vide il vecchio che avvitava la caffettiera. “Buon principio e buona fine», disse con aria solenne. Ottaviano ammiccò: “Auguri pure a te, comare. Tu ci indovini sempre, pure a capodanno…” “Veramente ridevo per un’altra cosa, compa’. Sono venuta a vedere le cipolle”. “Eccole, hanno parlato pure quest’anno. Aprile e maggio, acqua a barili, agosto, grandine. Ma è novembre il più cattivo! Avverti i parenti, i padani, sono cavolacci, lassù”. Assunta sgranò gli occhi: “Davvero? Santo Dio, non gli bastava la nebbia? Va be’, telefonerò, così gli faccio pure gli auguri. Ma ascolta, compa’: è venuto Filippo?” Ottaviano fece spallucce: “Sono due anni

che non si presenta, non lo sapevi?” “E Rocco?”. “Sta male, sacramento! Come faceva a venire?” “E Franceschino?». “Ma dove vivi? Non la coltiva più la Cannavina! Ci va ancora a tempo perso, ma...”. “Madre mia! Prima, a quest'ora, era già venuto mezzo paese! Insomma, non è venuto nessuno”. Ottaviano scrollò la testa e batté una mano sulla coscia: “Ma non è venuto il figlio di Maria Luisa? Dario, il più grande, quel pennellone. C'è stato due volte, quando l'ho spaccate e alle dieci, per vedere il responso, come dice lui”. Assunta sembrò ancor più sorpresa: “Ma tu guarda! E com’è che era interessato alle cipolle?” “Sacramento! Per curiosità! Che ti credevi, è venuto solo per curiosità! Che gliene frega a questi del tempo, della terra...”. “Insomma, è venuto”. “Sineee! Adesso se lo metterà a raccontare agli amici, stanne certa. Diranno un po’ di stupidaggini, me lo immagino, anzi, ci prenderanno per i fondelli, che ti credi”. “Ah, questo è sicuro. Però chissà, forse anche loro un giorno…”. Ottaviano saltò come una molla: “Che?! Come?! Ma non li vedi? Sono allevati coi biscottini questi, anche andare al cesso gli pesa! Questi le cipolle le spaccheranno, te lo dico io, ma per mangiarsele a colazione, pranzo e cena! Sempre che si trovino, perché quando la pacchia finirà, le ghiande dovranno raccogliere, e non per i porci, ma per loro, come Michele Sbucafratte, te lo ricordi?» “Santa Madonna, compa’! Andremo a finire proprio in queste condizioni?” “Andremo? Andranno! Loro! Ne passeranno poca di fame, questi! Comunque… lasciamo perdere, non sono ragazzi cattivi. Hanno tutto, e non sanno fare niente... ma sono bravi ragazzi, non sarà manco colpa loro, che Dio gliela mandi buona”. Ottaviano si avvicinò alla caffettiera e lo sguardo cadde sulle cipolle. Si voltò verso Assunta: “Ma sì, lasciamoli stare. Via, prendiamoci ‘sto caffè e... Ah, comma’, fammi un favore prima. Tanto non verrà più nessuno…”. Indicò la finestra, e scattò con la testa: “Piglia le cipolle e...”.

Armando Santarelli


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Dipendenze e Centri di Ascolto Complessivamente l’Italia è "in buono stato di salute e i dati del 2011 rispetto al 2010 verificano una condizione comparabile con quella degli altri paesi europei". Il ministro della Salute, Renato Balduzzi, sintetizza così le conclusioni nella relazione sullo stato sanitario del paese presentata alla presenza del Presidente della

Repubblica, Giorgio Napolitano. Tuttavia Balduzzi segnala un'area problematica: "Gli stili di vita e le abitudini alimentari". Questioni intorno alle quali per il ministro serve lavorare per contrastare il crescere di alcune malattie UN MILIONE E 300ML GIOVANI A RISCHIO ALCOL. Alcol, sostanze e gioco d'azzardo: sono queste le 'dipendenze degli italiani. Circa un milione e 300 mila giovani fra gli 11 e i 25 anni sono a rischio per il consumo di alcol fuori pasto o di binge drinking (le ''abbuffate" alcoliche); circa 390.000 minori non rispettano la prescrizione di totale astensione dal consumo alcolico. La sostanza d'abuso per cui la richiesta di trattamento è più diffusa è l'eroina (70,1% dei pazienti), seguita dalla cocaina (15,2%) e dai cannabinoidi (9,2% ). Ed i ludopatici, nuova categoria di malati di gioco d'azzardo, sono stimanti in circa 700.000, di cui 300.000 quelli patologici. Affrontare il problema delle dipendenze non è un lavoro facile. Spesso il problema vero e’ trovare qualcuno che ascolta i problemi di chi soffre di dipendenza . I centri di ascolto sono importanti per poter aiutare chi ha bisogno di un appoggio. La chiesa è il punto di riferimento principale delle comunità sia piccole che grandi ed è sempre disponibile ad offrire un appoggio a chi ne ha bisogno, mentre lo stato offre il suo aiuto

tramite le ASL. In una lettera del 14 Dicembre 2010 Mons. Orazio Soricelli, Arcivescovo di Amalfi-Cava de’Tirreni, affrontava il problema rivolgendosi alla comunità in questo modo : “Carissimi Fratelli e Sorelle, con questa lettera desidero esprimerVi la mia personale preoccupazione per un grave problema che affligge il territorio sociale della nostra Arcidiocesi: le dipendenze.Purtroppo tale devianze comportamentali si fanno sempre più strada nella vita dei nostri giovani e non solo. Tante sono le piaghe di cui molti sono affetti: alcool, fumo, gioco d’azzardo, la cocaina, l’eroina, ecc. Vi chiedo un impegno sempre maggiore per vigilare sulla vita dei nostri cari, siano essi figli, familiari ed amici. Il Signore ci suggerisce di amare il prossimo come sé stessi ed è proprio nel nostro prossimo che incontriamo il Signore in chi soffre, è emarginato, ha delle dipendenze da sostanze o da altro. Nel portare avanti questa delicata missione ci viene incontro il SER.T (Servizio per le tossico dipendenze) della nostra Azienda Sanitaria Locale). Presso il SER.T opera il dott. Gennaro Pagano con il quale io stesso ed i nostri parroci abbiamo già avuto alcuni incontri per avviare un impegno al fine di poter arginare in parte il triste fenomeno. Per quanto riguarda la zona della Costiera Amalfitana presso il presidio ospedaliero di Castiglione di Ravellovia Civita 40, al secondo piano ogni Martedì dalle ore 15 alle 18 è attivo un centro di ascolto di cui è referente lo stesso dott. Pagano. Tel. 089 4455451. Confidando sempre nell’aiuto del Signore e nella buona volontà di tutti, Vi auguro una fattiva collaborazione in questo delicato compito di vicinanza umana e cristiana”. La vita di una comunità è fatta di interscambio culturale, ludico, lavorativo, ecc. la chiesta e lo sport occupano uno spazio molto importante sia nella fase di crescita della comunità, sia come punti di riferimento di aggregazione sociale ed anche di confronto con persone che hanno interessi, cultura , religione e ambienti di crescita diversi. Frequentare il catechismo, partecipare alle iniziative della propria parrocchia, praticare uno sport di squadra o anche la pratica sportiva svolta con un gruppo di persone, possono avere un ruolo impor-

tante nella scelta di uno stile di vita sano e lontano dalle dipendenze(qualunque esse siano), contribuendo a sviluppare il senso di appartenenza ad una comunità che può aiutare a sentirsi meno soli (la solitudine è fra le prime cause delle dipendenze di alcool, droga e del gioco d’azzardo). La Diocesi di appartenenza, Il SER.T presso l’Asl, i servizi sociali del comune, sono tutte organizzazioni a cui si può fare riferimento per avere un appoggio, un aiuto concreto alla ricerca di una soluzione per uscire dalle dipendenze, sia che riguardi i ragazzi , sia che riguardi gli adulti. Affrontare una dipendenza come un problema da risolvere vuol dire andare incontro ad una battaglia impegnativa. La consapevolezza che sia un problema per sé stessi è il primo passo da fare . Accettare di farsi aiutare è il secondo passo e spesso il più difficile da compiere. Nel caso di ragazzi adolescenti ( ed il numero di ragazzi che hanno problemi di alcool è purtroppo in crescita) la consapevolezza che il problema esista non viene affrontata nell’ambito familiare per vergogna, o presunzione o mancanza di comunicazione, o altro, impedendo così alle famiglie di poter intervenire. I ragazzi in particolar modo, ma spesso anche gli adulti, non sono consapevoli che ci sono battaglie che da soli non si possono vincere. Chiedere aiuto spesso è complicato. Chiederlo a chi ci vuole bene dovrebbe essere più logico, ma il problema delle dipendenze non si sposa bene con la logica. Quello è il momento di guardarsi intorno e ci si accorge che lo Stato può fare la sua parte tramite le ASL (il SER.T appunto, dove ci sono persone competenti e pronte ad offrire supporto per affrontare problematiche relative all’alcool, alla droga, alla dipendenza dal gioco d’azzardo, al dialogo con i propri familiari, o altro, garantendo il più totale anonimato)e che la porta della chiesa , come ci ha dimostrato più e più volte nel corso della sua storia millenaria, quando abbiamo bisogno di conforto e di supporto, è sempre stata aperta e sempre lo sarà.

Marco Rossetto


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Il Natale nell’Anno della Fede Nell’Anno della Fede le celebrazioni natalizie,al di là delle tradizioni ormai fagocitate dai riti del consumismo,dovrebbero aver sortito almeno nei cristiani un risultato importante:meditare sull’inizio della salvezza e soprattutto su Colui che ci ha redenti, ossia Cristo del quale ogni anno la Chiesa ci fa celebrare il Natale. Nell’Anno della Fede sarebbe stato bello celebrare insieme la nascita del Signore per dare un segno forte e tangibile del nostro essere comunità Ecclesiale,unita nella preghiera e nella lode al Signore ,laeta et triumphans,prostrata davanti a Dio che ha scelto di diventare uomo perché l’uomo diventasse Dio. Insomma,nell’Anno della Fede sarebbe stato bello celebrare il Natale del Signore in maniera diversa dagli altri anni e invece neppure l’Anno della Fede,almeno in questa sua prima parte, ha sortito quello che, a mio giudizio,sarebbe stata la grande testimonianza di un impegno a vivere seriamente questi dodici mesi importanti che Papa Benedetto XVI ha voluto dedicare alla prima delle virtù teologali. Sono forse troppo pretenzioso e mi arrogo il diritto di sostituire i miei tempi a quelli di Dio! Magari a Pasqua,a seguito delle ulteriori riflessioni che come comunità ecclesiali siamo invitate a fare proprio sul grande dono della Fede,si potrà registrare qualche novità di rilievo che attesti che la Comunità ecclesiale di Ravello sta diventando adulta nella Fede. Me lo auguro. Preso atto che anche nell’Anno della Fede ciascuna comunità parrocchiale ha celebrato il Natale nell’ambito dei propri confini territoriali,la nostra cronaca deve limitarsi alle celebrazioni che si sono tenute nel Duomo. Ancora una volta, anche in occasione delle feste natalizie,la Basilica ex Cattedrale,”Chiesa Madre” nel gergo devoto e corretto delle persone anziane di tutta Ravello, ha confermato quella sua vocazione ad essere, oltre che luogo santo e

tempio di Dio, un magnifico scenario per iniziative artistico-culturali sempre più di alto livello,sapientemente mischiate alle solenni celebrazioni che la Liturgia del Tempo di Natale prevede. Come di consueto,tutto è iniziato con la solenne Messa della Notte. Al suono delle zampogne e delle ciaramelle,dopo il canto della Calenda di Natale,la processione con la statuetta del Bambino ha preceduto la solenne celebrazione. Non c’erano tante persone,almeno all’inizio,poi pian piano l’assemblea è diventata natalizia,anche se oggettivamente la partecipazione non è stata altissima. La Fede non si misura dal numero dei praticanti,però è stato significativo vedere come, nell’Anno della Fede,tanti battezzati non hanno ritenuto

importante partecipare alle celebrazioni liturgiche. Del resto anche se vedessimo le Chiese piene,come comunità non dovremmo mai stancarci di continuare a lavorare per comunicare la Fede al mondo di oggi,senza dormire sugli allori o illudendoci di far comprendere e vivere il Natale con processioni,fuochi e zeppolate. Il Natale è la prova tangibile dell’amore di Dio per l’uomo. Se non comprendiamo che alla base di tutto c’è un atto di Amore del Creatore verso la creatura non possiamo mai capire pienamente Cristo e il suo Vangelo. Non possiamo gioire della buona notizia del Vangelo,ossia che Cristo ci ha salvati per Amore. E’ stato questo il concetto su cui Mons. Imperato ha insistito nel corso delle omelie tenute nella Messa della

Notte e del Giorno di Natale,in quest’ultima spiegando lo stupendo prologo del Vangelo di Giovanni,il discepolo teologo che ha compreso la vera natura di Dio e che ha posto il capo sul petto di Gesù.Ad aiutare a vivere e comprendere il senso del Natale i canti eseguiti dalla Corale della Basilica ex-Cattedrale diretta dal sempre bravo M°Giancarlo Amorelli e accompagnata all’Organo dal M° Achille Camera che non esita a dare la sua disponibilità per allietare le celebrazioni liturgiche. La Messa polifonica eseguita dalla Corale nelle solennità natalizie conferma il generoso impegno di quanti,sotto la guida sapiente, paziente e competente del M°Amorelli,nonostante impegni familiari e lavorativi,hanno scelto di dedicare alcune ore della settimana allo studio e alla esecuzione del canto sacro. E a loro è toccato il compito di eseguire il primo dei concerti tenuti in Duomo in questo periodo natalizio. Nella serata di sabato 29 dicembre,infatti,insieme con i cori di Amalfi,Tramonti, e Furore i coristi del Duomo di Ravello hanno eseguito,sempre sotto la direzione del M°Amorelli, celebri melodie natalizie e alcuni brani dedicati alla Costiera Amalfitana che sono stati particolarmente apprezzati dal pubblico convenuto,abbastanza numeroso,nonostante le inevitabili concomitanze che da sempre si accumulano nel programma del Natale a Ravello. Domenica 30 dicembre, abbiamo celebrato la Festa della Famiglia. Nella ricorrenza liturgica della Santa Famiglia,sia alla messa delle 10.30 sia a quella vespertina,gli sposi convenuti hanno rinnovato le promesse matrimoniali. Al mattino una particolare attenzione è stata riservata alle coppie che hanno nel trascorso 2012 ricordato il 25° o il 50° anniversario di matrimonio. Forte il messaggio di Mons.Imperato che ha ricordato l’importanza e la santità del matrimonio e della Famiglia,che non sono assolutamente quello che i talk show quotidianamente ci propinano o che si ispirano al discutibile criterio del “fare quello che


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piace”. Suggestivo l’invito rivolto alle mamme perché, guardando alla Vergine Maria, riscoprano il loro grande ruolo e siano le prime a trasmettere ai figli il dono della Fede. Nella mattina del 31 dicembre si è tenuto il Concerto di fine anno. Un altro grande momento che ha confermato le grandi potenzialità del monumentale Organo del Duomo e il ruolo centrale della Chiesa Madre di Ravello nello sviluppo e potenziamento di attività culturali già in atto nella Città della Musica. Alla messa vespertina sotto lo sguardo solenne e materno di Santa Ma-

ria Vetrana abbiamo reso grazie al Signore per quanto ci ha dato nell’anno 2012,così come nella solenne liturgia del 1 gennaio abbiamo meditato sulla più importante delle feste mariane,la divina Maternità di Maria SS., sapientemente valorizzata dalla riforma del calendario

post conciliare che l’ha posta nel ciclo natalizio, trasferendola dall’11 ottobre,data nella quale si celebrava, non con la solennità odierna,fino agli anni del Vaticano II. Non è mancata la riflessione sulla Pace ascoltando alcuni passi tratti dall’interessantissimo messaggio che Sua Santità Benedetto XVI ha scritto in occasione della 46° Giornata Mondiale della Pace. E pace ha suscitato,almeno nel sottoscritto,il concerto che hanno tenuto la mattina di mercoledì,2 gennaio, alcuni ospiti dell’Istituto don Orione di Napoli. Raccolte intorno all’altare, queste persone “diversamente abili”,sotto la direzione del M° Pia Ferrara,già nota ai ravellesi per i concerti che organizzava in Duomo ai tempi di don Giuseppe Imperato sen.,hanno animato la Messa e poi hanno offerto un breve momento musicale molto toccante che ci ha fatto capire come questi ragazzi e ragazze che noi crediamo”diversi”, “sfortunati” sono in grado di trasmettere sensazioni di pace e serenità attraverso la musica e il canto. L’ora non propizia e l’inclemenza del tempo hanno permesso soltanto a un gruppo di turisti e a pochissimi ravellesi di vivere questa esperienza significativa. Sempre mercoledì,ma in serata,il Duomo ha ospitato un altro grande momento musicale. Il gruppo artistico “Viatoledo” ha felicemente intrattenuto il pubblico intervenuto con un raffinatissimo programma di musiche popolari natalizie eseguite con grande professionalità da questi artisti,tra i quali l’amico Candido Del Pizzo,che hanno messo a disposizione la loro arte per raccogliere fondi per la Onlus “Caterina”,con la quale il Duomo di Ravello collabora da qualche anno,grazie agli amici del Gregge di Salerno che continuano a stupirci per il loro fortissimo legame con san Pantaleone. E’ stato commovente vedere,al termine del concerto, tanti di questi giovani “fiondarsi”in Cappella per venerare il

Sangue del Santo Patrono,in contrapposizione ai tanti amici di Ravello che,tornando a casa,ho visto uscire dal” donato” nuovo tempio. Perdonatemi! Considerazioni post natalizie! Una novità in questo anno della Fede l’ha proposta la Congrega della B.V.del Monte Carmelo e del SS. Nome di Gesù. Giovedì,3 gennaio,in occasione della ripristinata memoria liturgica del SS. Nome di Gesù,i confratelli e le consorelle si sono ritrovati in Duomo per partecipare alla santa Messa e,in misura minore,all’Adorazione Eucaristica. Non il ripristino di una memoria arcaica,superata e obsoleta,ma una ulteriore occasione per comprendere l’importanza di Gesù,”nel cui nome ogni ginocchio si pieghi nei cieli sulla terra e sotto terra”.Riteniamo opportuno citare altre due iniziative che completano la cronaca del Natale 2012. Il giorno di S.Stefano l’Azione Cattolica ha organizzato la Tombolata in Piazza, una iniziativa che consente di raccogliere fondi da destinare in beneficenza e un segno dell’attenzione che la prima associazione del laicato italiano rivolge agli indigenti. Un plauso al Presidente parrocchiale, Manuelita Perrillo,e ai suoi collaboratori per l’impegno con cui,nonostante tante difficoltà,si sforzano di far passare il messaggio e lo stile dell’A.C. in tempi non propizi. La seconda iniziativa che mi piace ricordare riguarda il Protocollo di intesa che il Comune di Ravello ha firmato,giovedì 3 gennaio, con l’Associazione “Ravello Nostra”in merito al riordino e alla sistemazione dell’Archivio Comunale. Quando si parla di “Ravello Nostra” si parla del suo fondatore,don Giuseppe Imperato sen.,del quale ricorre nel luglio 2013 il decennale della scomparsa. A lui e a chi lo ha seguito nella guida pastorale della Parrocchia di S.Maria Assunta il merito di aver appassionato e dato fiducia a quei giovani che oggi, attraverso i loro studi e le loro ricerche,continuano a farci dono di tante notizie relative alla sempre gloriosa storia di Ravello.Una storia sempre più bella se illuminata dalla Fede.

Roberto Palumbo


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Il Papa e l’Anno della Fede Nell’Anno della Fede, I cristiani “possano approfondire la conoscenza del mistero di Cristo e testimoniare con gioia il dono della fede in Lui”. È l’auspicio che Benedetto XVI affida alla preghiera della Chiesa nella sua intenzione generale per il mese di gennaio. In questi ultimi mesi, soprattutto nelle udienze generali, il Papa sta sviluppando una riflessione specifica sull’Anno della Fede e sulle responsabilità che esso comporta per i cristiani. In questo servizio, Alessandro De Carolis ne sottolinea alcuni passaggi . Andare in battaglia in chiara situazione di svantaggio non è cosa che faccia stare tranquillo né un generale, né l’ultimo dei fanti. A meno che non si sappia di poter contare su un alleato di schiacciante superiorità. L’Anno della Fede proclamato da Benedetto XVI circa tre mesi fa contiene per chi crede lo spirito di questa sfida: un combattimento in condizioni di ambiente sempre più spesso ostile – dunque con le difficoltà, e anche i timori, indotti dall’inferiorità numerica – ma con la certezza che chi combatte di fianco ha la forza dell’onnipotenza. Non per niente, nell’aprire l’Anno della Fede, Benedetto XVI ha spinto i cristiani nei “deserti del mondo contemporaneo”, laddove cioè la terra della fede ha le crepe della siccità anche tra i battezzati: “Il cristiano oggi spesso non conosce neppure il nucleo centrale della propria fede cattolica, del Credo, così da lasciare spazio ad un certo sincretismo e relativismo religioso, senza chiarezza sulle verità da credere e sulla singolarità salvifica del cristianesimo (...) Dobbiamo, invece, tornare a Dio, al Dio di Gesù Cristo, dobbiamo riscoprire il messaggio del Vangelo, farlo entrare in modo più profondo nelle nostre coscienze e nella nostra vita quotidiana”. (Udienza generale, 17 ottobre 2012). Spesso la fede, affermava il Pontefice, “è vissuta in modo passivo e privato” e que-

sta remissività è alla base della “frattura” che esiste “tra fede e vita”. Eppure, aveva ribadito di recente Benedetto XVI, per rendere efficace l’annuncio di Gesù agli altri non c’è mai stato bisogno del piedistallo di una cattedra: “L’evangelizzazione, infatti, non è opera di alcuni specialisti, ma dell’intero Popolo di Dio, sotto la guida di Pastori. Ogni fedele, nella e con la comunità ecclesiale, deve sentirsi responsabile dell’annuncio e della testimonianza del Vangelo”. (Discorso Congregazione per i vescovi, 20 settembre 2012) Nell’intenzione di preghiera, inoltre, il Papa utilizza una parola che spesso passa inosservata, o viene considerata una sorta di “guarnizione” estetica al concetto dell’evangelizzazione, ovvero il fatto di testimoniare con “gioia”. Per far breccia nei muri di indifferenza verso Dio, ebbe a dire Benedetto XVI, c’è bisogno di cris t i a n i “entusiasti della propria fede”. Un entusiasmo, però, tutt’altro che ingenuo: “La gioia cristiana scaturisce pertanto da questa certezza: Dio è vicino, è con me, è con noi, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, come amico e sposo fedele. E questa gioia rimane anche nella prova, nella stessa sofferenza, e rimane non in superficie, bensì nel profondo della persona che a Dio si affida e in Lui confida”. (Angelus, 16 dicembre 2007). Chiarito il contesto della sfida – e la natura della fiducia da portare nel cuore – Benedetto XVI enumera le armi con cui combatterla: “Non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione – ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione”. (Apertura Anno della Fede, 11 ottobre 2012)

Fonte: www.radiovaticana.va

Recenti donazioni

Negli ultimi mesi dell’anno appena trascorso il Duomo di Ravello si è arricchito di nuove opere dal grande valore artistico, donazioni che testimoniano il profondo legame che unisce i fedeli provenienti da ogni località alla chiesa ravellese. Il 7 settembre u.s. le famiglie D’Ambrosio e Castaldi di Pagliarone Montecorvino Pugliano) hanno donato due angeli di fattura lignea, realizzati dal maestro Alfredo Molli, artista dallo stile raffinato specializzato nell’arte presepiale partenopea, che sono stati collocati ai lati del tabernacolo nella cappella costruita in onore di San Pantaleone. Un segno di amore verso Gesù Eucaristia e di ringraziamento e devozione verso il Santo Patrono. In quella occasione Mons. Giuseppe Imperato ha presieduto un intenso momento di preghiera, cui hanno partecipato le famiglie e i membri della Confraternita dedicata al SS. Nome di Gesù a alla Madonna del Monte Carmelo, che si è concluso con un atto di affidamento al celeste medico di Nicomedia, “difesa del clero e del popolo”. A distanza di poche settimane, poi, il 27 ottobre la statua raffigurante San Padre Pio, a devozione della famiglia Priore – Pennacchia, è stata posta in corrispondenza del dossale in legno dorato che accoglie il dipinto realizzato da Giovanni Angelo D’Amato. La pregevole scultura è stata eseguita dal noto scultore Antonio Priore, scomparso nel 2003, autore di numerose immagini sacre dipinte nelle chiese della diocesi di San Severo e di opere oggi conservate in importanti gallerie nazionali. Ancora una volta nella Mater Ravellensis Ecclesia la fede si condensa nell’arte, capace di trasmettere la volontà e la sensibilità del donatore, la capacità interpretativa dell’artista, i complessi significati dell’opera stessa realizzata “ad maiorem Dei gloriam”.


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Una coerente testimonianza di Fede

9 dicembre 2012, è una giornata dai vividi colori invernali sferzati da un gelido vento di tramontana, che sibila tra i frondosi rami della vegetazione mediterranea. La comunità di Ravello si appresta a celebrare la festa di Santa Barbara con un momento di preghiera presso le antiche Grotte mentre, nel silenzio e in punta di piedi, il prof. Mario Palumbo, dopo una vita laboriosa, con il conforto dei sacramenti, dono particolare dello Spirito Santo, muove gli ultimi passi del suo pellegrinaggio terreno. Un cammino speso a servizio dell’intera collettività e segnato negli ultimi tempi dalla sofferenza, in parte lenita dalla dolcezza degli affetti familiari e vissuta nell’autentico spirito cristiano, come partecipazione all’opera salvifica del Redentore, con la fiducia nella Madre di ogni consolazione e di ogni aiuto. E’ trascorso già un mese. Per una volta ho atteso che fossero spenti i colori e le luci delle feste prima di affidare alla penna il ricordo di un solerte educatore delle nuove generazioni, di un animo sensibile ai più autentici valori della tradizione, impegnato nella difesa del

patrimonio monumentale e immateriale della Città, protagonista degli eventi più significativi della vita ravellese. E’ andato via un pezzo di storia cittadina e sembra ancora inverosimile rassegnarsi all’idea che ciò possa essere accaduto. Il tratto nero della stilo diventa fluente e deciso, quasi a voler evocare quella calligrafia all’antica, vergata con minuzia nei registri delle feste patronali, mentre con lo sguardo della memoria vedo apparire in lontananza il “professore Mario” con l’inseparabile borsa, lasciata talvolta solo alla fidata custodia dell’amata sposa Ida nell’edicola di famiglia. Ritornano alla mia mente i giorni in cui la piazza o gli ambienti domestici facevano da cornice alle nostre lunghe conversazioni, specialmente nei periodi prossimi alle celebrazioni patronali in cui, sulla scia di una nobile tradizione, profondeva impegno instancabile e meticoloso. Momenti in cui era possibile rivivere aneddoti e storie di una Ravello d’altri tempi, non di rado documentati con rigorose foto d’epoca molto spesso legate al borgo di Torello, e nello stesso tempo occuparsi delle problematiche di stretta attualità che interessavano una Città ormai a vocazione internazionale. Tracciare il profilo di questa persona straordinaria, “professore” e “presidente del Comitato Feste” per antonomasia, mi è apparsa impresa ardua fin dalle prime righe. Chi potrei o dovrei ricordare? Lo sposo zelante? Il buon padre di famiglia? Il maestro diligente? L’amministratore attento? Il competente organizzatore? L’amico dei giovani? E qui metto un freno ai miei dubbi, di certo le pagine non riuscirebbero a trasmettere i molteplici aspetti del suo carattere se non fossi capace di ricomporre queste tessere multicolori della sua personalità nel grande mosaico che si chiama

“testimonianza di Fede coerentemente vissuta”. Una Fede che ha permeato la vita di un uomo nella sua interezza, capace di far vivere la famiglia come chiesa domestica, il lavoro di educatore come missione finalizzata allo sviluppo integrale della persona, l’impegno civico come servizio al bene comune. Un’esperienza alimentata con la preghiera e la partecipazione ai sacramenti, vissuta con lo sguardo costantemente rivolto alla Beata Vergine Addolorata, la madre che ai piedi della croce unisce il suo dolore, pieno di fede e di amore, a quello del Figlio, e al celeste medico Pantaleone, il grande Misericordioso. Il 10 dicembre una folla provenente dalle varie Città della Costa d’Amalfi, unita al cordoglio dei familiari, si raccoglie nel Duomo di Ravello per rendere l’estremo saluto a una cittadino speciale. Alla fine del sacro rito il feretro, portato a spalla dai portatori di San Pantaleone, i “suoi” giovani, lascia la basilica sulle note del “Ravelli Pignus Optimum”, inno in onore di San Pantaleone eseguito dapprima ad organo e poi diffuso in una esecuzione per grande banda. Lo specchio di cielo soprastante, plumbeo al calar del giorno,viene squarciato da una serie di quindici colpi oscuri, saluto e suggello di un nuovo corso: inizia l’ennesimo spettacolo pirotecnico a cura del “professore Mario”, un capolavoro dai colori splendenti preparati con la polvere delle opere buone che unita all’acqua dei puri di cuore si accende nell’eterna lode della Trinità. Luigi Buonocore


CELEBRAZIONI DEL MESE DI GENNAIO GIORNI FERIALI Ore 17.00: Santo Rosario Ore 17.30: Santa Messa GIORNI PREFESTIVI E FESTIVI Ore 17.30: Santo Rosario Ore 18.00: Santa Messa GIOVEDI’ 3-10-17-24-31 GENNAIO Al termine della Santa Messa delle 17.30 Adorazione Eucaristica LUNEDI’ 7-14-21-28 Itinerario di Formazione alla Fede con il Catechismo della Chiesa Cattolica per tutti gli Operatori Pastorali – “L’uomo è capace di Dio” 1 GENNAIO SOLENNITA’ DI MARIA SS. MADRE DI DIO Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 3 GENNAIO Memoria del SS. Nome di Gesù - Contitolare della Confraternita 6 GENNAIO Solennità dell’Epifania del Signore Ore 8.00-10.30: Sante Messe Ore 18.00: Santa Messa e Reposizione del Bambino 13 GENNAIO Festa del Battesimo del Signore Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 18 - 25 GENNAIO Ottavario di Preghiera per l’Unità dei Cristiani 20 GENNAIO II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 24 GENNAIO SAN FRANCESCO DI SALES - PATRONO DEI GIORNALISTI Ore 17.30: Santo Rosario Ore 18.00: Santa Messa e Momento di riflessione sul ruolo dei giornalisti Cattolici 25 GENNAIO Conclusione dell’ottavario di preghiera per l’Unità dei cristiani Ore 17.30: Santo Rosario Ore 18.00: Santa Messa con la partecipazione degli operatori pastorali e delle associazioni parrocchiali 27 GENNAIO III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00 - 10.30 - 18.00: Sante Messe


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