Chiauci 'ndanne - presentazione

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Carmine Di Vincenzo

Chiauci ‘ndanne memorie e tradizioni

Youcanprint Self-Publishing


1a edizione giugno 2014 Carmine Di Vincenzo Via Trieste 13 – Chiauci (IS) Internet : www.chiauci.com Mail: chiauci@alice.it ISBN | 978-88-91146-09-0 © Tutti i diritti riservati all’Autore Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore. Youcanprint Self-Publishing Via Roma, 73 - 73039 Tricase (LE) - Italy www.youcanprint.it info@youcanprint.it Facebook: facebook.com/youcanprint.it Twitter: twitter.com/youcanprintit


Ai miei figli Igino e Gianluca, orgoglio della mia vita, affinchè amino Chiauci come me ed i nostri antenati.

Codice ISBN

1’ edizione giugno 2014 Carmine Di Vincenzo Via Trieste 13 – Chiauci (IS) Internet : www.chiauci.com Mail: chiauci@alice.it


INDICE pagina 5 9 12 13 24 25 27 29 40 42 46 48 49 51 74 77 85 88 92 96 102 108 122 125 135 143 148 151 161 164 169 170 172 173 175 181 186 192 201 203 204 206 208 216 220 222 223

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Presentazione Prefazione La storia di Chiauci In località LE CASE Centro Storico Via Tre porte Fonte Casale Monteluponi Il rione “Ospedale” L’origine del nome Lo stemma di Chiauci Il tratturo La transumanza La FOCE La croce viaria Il catasto onciario Il Monte Frumentario Società operaia di Mutuo Soccorso La cooperativa Il costume di Chiauci L’emigrazione La guerra L’assedio Fontane ed acquedotto Chiesa di S.Giovanni Apostolo ed Evangelista Sant’Onofrio San Giorgio San Vincenzo San Michele Madonna del Rosario L’Altare Maggiore La campana Maggiore Personaggi – Don Matteo Cipollino Don Donato Del Ciello Don Livio Di Vincenzo Giuseppe Diamante Mascia Lina Pietravalle Vincenzo Grasso Erminio Trabucco Zio Armanduccio Nonna Maria JAMMe BBeLLe Il paese – come era e com’è Vita a Chiauci La sera accanto la fuoco La luce “Giovanni Di Iorio” o “L’Iniziativa” La ‘Ncartata


224 225 226 227 228 232 233 235 246 248 250 253 255 255 256 257 258 258 260 262 263 264 265 269 270 272 273 275 276 278 279 281 287 290 293 295 296 302 312 316 319 322 323 324 325 327 332 336 338 340 341

La NeVèRA La Pianeta della fortuna La SARàCA Il FLìTTe La neve A CAGNIA MELA Auguri e figli maschi Antichi mestieri La SPRESCIA Le SANAPeRCELLA La levatrice I lattai di Chiauci a Napoli Storie di ragazzi - Le tazze con la polenta Mechele Le Ciuoppe I morti La TeTTeMUAGLIA Il bagno pubblico Il girarrosto La LeBBRETTA Il letto La cucina e lo smaltimento dei rifiuti La piattara Mietitura e trebbiatura VRùSCe Cugini di campagna Prosciutto contro mortadella Volemo le bambole Una brutta storia La mano nera Un infortunio agricolo In galera! Tradizioni – Carnevale - Corpus Domini - MAITeNIATe I missionari Le ‘NDOCCE San Martino Pane di Sant’Antonio La festa degli alberi La scurdia Sega la vecchia La nascita Il battesimo Il fidanzamento La PAReNDEZZA La DODDA Lo sposalizio La morte Le URèVe Le SPeNSORIe Il maiale

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344 344 349 350 351 352 360 363 366 378 393 398 408 416 423 430 431

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L’ AMMASCICHe I pacchi dall’America La SQUANDRA La banda Le Aquile La scuola La VeTTURA Quando arrivò la televisione Foto di gruppo Giochi di una volta Piatti di una volta Curiosità Proverbi di Chiauci Soprannomi di Chiauci Vocabolario con parole SDREUSe Bibliografia Ringraziamenti


PRESENTAZIONE Finalmente Chiauci, finalmente il Molise Ivana Mulatero Durante la lettura delle bozze di questa creatura di carta, ho ripercorso mentalmente i quindici anni, e forse più, della personale ricerca di Carmine Di Vincenzo sostenuta dalla pazienza e dalla cura meticolosa per ogni aspetto degno di nota del suo paese d’origine chiamato nel Medioevo Terrae Clavicorum, l’odierna Chiauci. La ricerca, culminata ora con la conclusione della raccolta dei materiali di studio, si concretizza in uno speciale volume che lega insieme i molteplici caratteri che caratterizzano e identificano il paese. Il taglio metodologico cerca di far interagire il documento scritto e d’archivio, il ricordo di coloro che hanno vissuto nel paese, unitamente alla testimonianza diretta dell’autore che è, non dimentichiamo, protagonista e animatore dell’attuale scena folclorica chiaucese con il gruppo musicale chiamato “I Cap’danniàr”. Carmine Di Vincenzo ha, forse, da sempre l’attitudine dell’etnografo (il suo primo mestiere non è quello dello storico o dello scrittore ma più prosaicamente quello del Consulente del Lavoro), probabilmente insufflata in tenera età e alimentata al cospetto di nonni e parenti e compaesani che a modo loro erano depositari d’antiche saggezze per le quali non era richiesta un attestato di laurea a certificarlo o un vocabolario d’italiano del’Accademia della Crusca. Bastava trascorrere qualche ora insieme - e a me è successo con zia Rosina, la Rosa Sacco, una delle fonti orali citate nel libro - per capire la profondità di pensiero che rifletteva una coscienza lucida e disincantata ma altrettanto empatica e spirituale, non solo sulle vicende di vita personale ma, più in generale, sulla Storia che aveva lambito il paese di Chiauci lasciandone tracce che le loro menti acute e intelligenti, sapevano interpretare. Quel tipo di saggezza metteva a frutto, anche a distanza di settant’anni, ogni frammento di cultura trattenuto nei pochi anni trascorsi sui banchi di scuola, quasi centellinando ogni passo di filastrocca, di proverbio o d’almanacco appreso, tenendo viva la fiammella dei rudimenti del sapere nel corso di una vita intera, grazie sicuramente ad una memoria prodigiosa ma, ancor più, credo, per l’intima consapevolezza che lo studio fu un momento unico e irripetibile e di privilegiato affaccio su un mondo diverso dalla quotidianità di fatiche, di duro lavoro e di concreta sussistenza. Certo, non per tutti l’esperienza scolastica si è presentata con quei tratti, ed è pur vero che la lingua italiana appresa a scuola, e con essa una certa idea d’unità e di nazione a cui appartenere, era cosa avulsa dalla vita reale nella quale la lingua madre, il dialetto, era l’unico modo per conoscere e relazionarsi con il piccolo mondo paesano (a parte coloro che dovettero emigrare, e furono molti). Le prime risorse per Carmine Di Vincenzo, e il libro lo dimostra

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abbondantemente, sono le persone e attraverso esse, un patrimonio di ricordi, di usi e costumi, di vicende, di tradizioni e un ampio contesto di conoscenze e d’umanità che travalica certamente il confine paesano e ci porta a riflettere se questa storia di Chiauci sia quella di un’entità a sé stante o, com’è più probabile, un aspetto della complessiva vicenda regionale molisana. Ritengo che i secoli di storia di Chiauci siano il paradigma, l’emblema dei periodi di sviluppo e di quelli di regressione che la regione ha vissuto, fino alle ultime recenti trasformazioni che hanno portato ad uno spopolamento progressivo dei suoi 136 borghi, con una modernità che ha eroso l’assetto morfologico e paesaggistico e, con una visione di rilancio della regione, ancora pienamente da individuare nelle sue linee portanti, riversata nel non mutamento delle strutture sociali mentre quelle produttive languono. Nel frattempo, però, il mondo è andato avanti ed è persino successo che si sia incominciato ad accorgersi che il Molise esiste. Piccoli segnali qua e là, ma significativi di un mutamento di natura non solo mediatica ma di portata antropologica al quale alcuni molisani rispondono il più delle volte piccati, con malcelata insofferenza per le ingiuste e stereotipate rappresentazioni che non rendono conto di quanto sia “bella, buona e giusta” la figura del molisano e della regione. Ma, verrebbe da esclamare: “Meno male che ora un qualche stereotipo incomincia a circolare sul Molise, dalla zia “parsimoniosa” di “Sole a catinelle” alla domanda sullo “squattone” nel quiz televisivo di Rai 1, dalla battuta di Maurizio Crozza di vendere la regione a Putin alle pecore molisane sparse nelle vignette di Stefano Disegni. L’ultima volta che sono ritornata a Chiauci, Carmine Di Vincenzo la prima cosa che mi ha detto è stata: “Quante siè m’nùte e quante te ne vià?”, sentendo entrambi, con compiaciuto divertimento, di recitare una formula di benvenuto che è un modo simpatico per condividere un pezzetto di storia specificatamente locale (sarebbe da aprire invece una riflessione su un aspetto contrario, vale a dire da dopo la pubblicazione della guida “Molisani”, avvenuta nel 2002, ho notato la progressiva scomparsa del particolare interloquire). Ogni regione ha, e preserva con cura, alimentandolo, un aspetto che la caratterizza, che può non solo riassumerla con forzature ma anche aiutare una forma di comprensione intuitiva, veloce come i tempi di ricezione attuali purtroppo consentono, e magari suscitare un sorriso indulgente, che predispone a saperne di più. Una regione inesplorata e a tratti ancora pervasa di genuina umanità, all’opposto dell’apparenza e del glamour per intenderci, potrebbe occupare lo spazio della domanda “What else?” nei termini di qualcosa che si trova svoltato l’angolo dell’usa e getta. Una regione che possiede molti atout controcorrente al gusto del consumo massificato, potrebbe suscitare interesse e curiosità in una società ridondante di preconfezionati segnali di attrazione. La regione Molise e i suoi piccoli “rio Bo” sta suscitando sempre più interesse nei suoi abitanti, fenomeno questo da rimarcare come un dato d’assoluto

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rilievo emerso negli ultimi anni e senza il quale non è pensabile che si possa attendere un’attenzione più ampia se prima non si crea un tessuto di consapevolezza in chi la vive e la abita da sempre. Conoscere il passato e la storia di ogni borgo, cioè raccoglierne la memoria, significa capire e vedere il futuro. La memoria è una serie di curve tra il passato e il futuro. Noi siamo qui nel presente, conosciamo poco il passato e vogliamo provare a capire il futuro. Ma non possiamo conoscere il presente se non lasciamo la “superstrada” (utilissime, per carità…) e, fuor di metafora, non siamo disposti ad inoltrarci nel percorso tortuoso e accidentato delle innumerevoli curve che avvinghiano come reticoli (alcune di secolare traccia transumantica), ogni paese molisano al suo territorio. La memoria, quindi, è molto importante per conoscere il futuro, e lo sa bene Carmine Di Vincenzo che non manca di ridiscutere scelte politiche e amministrative compiute in passato dalle istituzioni pubbliche a riguardo del territorio chiaucese, producendo riflessioni salutari per una crescita comunitaria. Gli argomenti e le opinioni non sono da accantonare sbrigativamente come polemiche paesane a motivo di scelte irrimediabili, ma per impedire che si ripetano gli errori commessi in passato. Intervenire su uno dei principali beni di Chiauci e del territorio regionale molisano nel suo complesso, intendendo con questo la ricchezza paesaggistica e naturalistica, per sottometterlo a logiche economiche di sfruttamento e di spartizione, significa non comprendere quali sono le prerogative principali di rilancio e di sviluppo ricercate nella società attuale come beni preziosi. Significa, invece, puntare in una direzione internazionalmente condivisa, prendere in esame la definizione della Convenzione europea sul paesaggio del Duemila che ci aiuta a mettere a fuoco il paesaggio, considerarlo in un certo senso “un territorio percepito dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. La tutela e la valorizzazione di un borgo sono l’esito di un percorso di graduale acquisizione di consapevolezza della storia e delle persone che vi hanno vissuto, sostenuto soprattutto da ricerche come quella compiuta da Carmine Di Vincenzo (e nel recente passato da altri autori come la valente storica dell’arte Adelaide Trabucco). I libri non sono solo da riporre nello scaffale della libreria, quando si comprano, ma da usare come strumenti vivi d’apprendimento da parte di chi è direttamente chiamato a decidere politicamente e istituzionalmente e da tutti coloro che in varia misura appartengono alla comunità. In una fase di trasformazione del territorio, quale quella che Chiauci ha vissuto negli ultimi trent’anni, molti aspetti significativi del paese, luoghi simbolici intessuti di significato, consentono di sperimentare un senso di continuità, di sentirsi partecipi, radicati. La conoscenza delle sedimentazioni storiche e del passato svolge in questo un ruolo fondamentale. Di fronte al cambiamento in atto del contesto naturale e abitativo, le testimonianze materiali e intangibili, così come la memoria collettiva, assumono un valore più evidente, contribuendo a suscitare radicamento nel territorio e

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un’identità sociale che, pur con il trascorrere degli anni e i cambiamenti, comunque mantiene una sua integrità. L’attenzione costante che Carmine Di Vincenzo ha rivolto verso la storia di Chiauci ridando centralità ad un borgo molisano, contribuisce a dare espressione ai singoli caratteri, alle vicende grandi e piccole che lo hanno attraversato lasciando traccia sulle lapidi marmoree, nelle acquasantiere delle chiese, nelle croci viarie, nelle fontane, sui portali in pietra delle case, che cercano nella propria permanenza e a volte abbandono, una narrazione che li faccia riappartenere e rinascere con un senso rinnovato per la collettività. In questo volume dedicato alla storia di Chiauci, il passato la fa da padrone, a volte il tono narrativo rivela una malcelata nostalgia e malinconia, mentre il presente è ancora imbozzolato in pochi scatti fotografici ripresi dall’aereo che offrono vedute panoramiche del piccolo borgo inanellato ad una rocca che si eleva 868 metri sul livello del mare. Certo, il libro non può avere l’ambizione di una monografia lussuosa e patinata e di rivolgersi al pubblico con strategia promozionale sostenuta dalla finanza pubblica, ha però altri intenti non meno importanti, trattandosi poi di un progetto il cui unico committente è stato il desiderio dell’autore di corrispondere all’amore per la sua terra d’origine. Attraverso la ricostruzione delle vicende storiche, il dramma delle due guerre mondiali, la piaga della migrazione interna e della grande emigrazione per il mondo, in un continuo rimando tra le specificità locali e gli avvenimenti di portata più ampia, emerge in primo luogo l’esistenza e la storia di una piccola comunità, le vicissitudini degli abitanti con i loro strambi soprannomi (conquista l’aneddoto relativo al responsabile della prima centrale elettrica del paese che all’ora di pranzo mandava il segnale convenuto alla moglie di preparare il pranzo, con tre brevi interruzioni della luce all’intero paese, o conforta il sapere dell’esistenza di un sindaco donna ai tempi dell’occupazione alleata durante la seconda guerra mondiale), ma anche la ricostruzione dei mestieri in cui la comunità chiaucese è stata più riconoscibile e riconosciuta. È da questo senso di comunità e dal principio della tutela attiva del patrimonio culturale e naturale locale che potrebbe prendere le mosse un’ipotesi di rappresentazione museale della storia di Chiauci, naturalmente arricchita da molte altre ricerche e documentazioni che si vorranno aggiungere, per promuovere la costruzione di un rapporto diretto e consapevole, con le proprie radici e con il proprio futuro.

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PREFAZIONE "Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti". Cesare Pavese, La luna e i falò (1950)

Sono stato per moltissimi anni a ricercare e conservare testimonianze su Chiauci, documenti, scritti, libri, citazioni, proverbi, modi di dire, personaggi, foto e finalmente sono riuscito a completare questo lavoro. Mi sentivo in dovere nei confronti delle nuove generazioni, dei miei figli e nipoti, di lasciare traccia di un passato che sicuramente andava sbiadendosi, dimenticato. L’intenzione è stata sempre quella di condividere le mie ricerche ed i miei documenti con tutti i chiaucesi e di lasciare un ricordo del tempo trascorso e qualche riflessione. I miei ricordi sono scritti nella mente ma molte notizie mi sono state fornite dagli anziani del posto ai quali ho incessantemente chiesto e di farmi raccontare le loro esperienze e ricordi. Per molti anni sono andato in giro con in tasca foglietti ed appunti, con la macchinetta fotografica o con la telecamera. Ho voluto dare un sottotitolo al libro usando la parola “ ‘ndanne”, un termine ormai desueto se non scomparso nel linguaggio parlato di Chiauci. “ ‘Ndanne” sta per “allora”, “in quei tempi”, un francesismo che deriva da “d’antan”, proprio per dare subito il senso del contenuto. Leggendo si scoprirà che a Chiauci, come in quasi tutto il Meridione, fino agli anni ’60, fino a quando cioè non si sono sviluppati i traffici, la televisione, il telefono, ecc, la vita era quasi simile a quella vissuta dagli antichi popoli: stessi riti, stesse tradizioni, stesse usanze, stessi costumi. Nel corso di millenni lo stile di vita era cambiato poco. Non ci sono molti documenti su Chiauci da consultare. Molti libri e documenti esistenti al Palazzo Baronale, raccontano gli anziani, sono stati bruciati. Qualche documento proviene da archivi privati, dall’Archivio di Stato di Napoli, Campobasso ed Isernia, dall’Archivio Parrocchiale di Chiauci. Altri documenti e foto sono stati reperiti in famiglia. Per fortuna il fratello di mio nonno Carmine, Angelo Di Vincenzo, padre di Don Livio che fu parroco di Chiauci, aveva la passione della scrittura e la cultura della conservazione della documentazione. Molti scritti e ricordi sono riportati su vecchi calendari, su vecchi quaderni o su fogli sparsi di ogni tipo: dalla carta di giornale a quella azzurra dei

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maccheroni, dal cartone delle scatole delle scarpe al cartone del cemento. Per fortuna sono riuscito a salvare qualcosa, ma non tutto, di quanto era conservato nella sua abitazione. Molto è andato perso perché bruciato o gettato nei secchi della spazzatura. E proprio nei secchi della spazzatura ho recuperato qualche libro, vecchi calendari, lettere, che persone non di Chiauci e quindi senza passione ed amore per il piccolo paese, li avevano buttato. I ricordi sono quelli di un ragazzo nato nel 1954, quindi appena dopo la seconda guerra mondiale, in un paese di montagna con i suoi problemi ed in piena emigrazione. Ho voluto, in qualche tratto, non abbandonarmi ai miei ricordi ma documentare. Può anche sembrare un semplice “copia e incolla” ma i documenti a volte sono più chiari di molti ragionamenti. Sono punti fermi che non danno possibilità di interpretazione o manipolazione. Certamente il volume non ha la pretesa di essere un saggio storico (non ne ho sicuramente la capacità, le competenze e l’ambizione) ma vuole rappresentare “quadretti” di vita quotidiana, con i riferimenti documentali, ove esistono e sono riuscito a raccogliere, e di racconti orali. Ci sono i giochi che facevamo, la descrizione del paese, le storielle che si sentivano raccontare, i ricordi delle persone importanti per un ragazzo, gli amici di scuola. Ci sono aspetti della vita quotidiana, il dialetto ormai scomparso, lo scorrere degli anni, i ricordi belli e brutti, ma tutti autentici e spontanei, ricevuti oralmente da persone chiaucesi. Perché anche la persona più semplice può svelarci perle di saggezza e conoscenza. Ho voluto anche fare qualche ritratto di persone che hanno dato lustro al nostro paese, con la consapevolezza che altri ne andrebbero aggiunti. Se avrò abbastanza tempo per una seconda edizione colmerò la lacuna. Voglio ringraziare per il prezioso contributo, anche se molti non ci sono più, Cenzella “La piattina”, zia Amelia Muccillo, nonna Maria Iacobucci, nonna Bice, nonno Carmine, mio padre Igino, mia madre Natalina, zio Giovanni “Colombino”, zio Ang’lillo Di Vincenzo, zio Peppino Di Vincenzo, Mimì Grasso, Ermatea e Adelaide Trabucco e quanti hanno contribuito, anche non sapendolo, alla realizzazione di questo lavoro. L’auspicio è che non si perda traccia delle nostre origini, della nostra cultura, dei nostri usi, costumi e delle nostre radici di cui ogni chiaucese deve andare fiero. Non è un’opera che esaurisce tutti gli aspetti della vita d’altri tempi, ma è un primo tentativo di non disperdere le nostre tradizioni popolari, le radici, la nostra cultura, scrigno di valori ed esperienze inestimabili, prima che sia troppo tardi. Non per mera nostalgia di tempi passati ma per conservare le nostre origini, per recuperare e curare il senso di appartenenza alla nostra

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comunità. Aspetto segnalazioni, integrazioni, correzioni, foto, descrizioni di foto e precisazioni per poter migliorare e correggere il lavoro per una nuova edizione. In conclusione voglio dire che i nostri figli e nipoti, come lo siamo noi e sono stati i nostri antenati, devono essere fieri di appartenere alla comunità della “Terra delle Chiavi”.

Carmine Di Vincenzo

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La storia di Chiauci

1783 – nella carta del Sig. Rizzi Zannoni – Terra di Lavoro e contea di Molise – Chiauci viene riportato com “CHIAVICI”

Chiauci è un paese di antiche origini ubicato in quella regione dell’Antico SANNIO (o SAPHINIM) i cui abitanti erano i SAPHINEIA o SANNITI (secondo un’iscrizione del II secolo a.C. esistente a Pietrabbondante). I Sanniti propriamente detti risiedevano nell’Abruzzo meridionale, nel Molise, nella parte orientale della Campania ed erano dello stesso gruppo etnico dei Sabini, migrati dal Lazio nell’Italia meridionale. Già in epoca preromana si era diffusa tra il IV ed il II secolo tra i Sanniti l’esigenza di dotare e munire il territorio di centri fortificati per difendere le popolazioni dalle incalzanti invasioni degli eserciti romani.

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ANDANNE (Fulvio Cocuzzo) Andanne è parola alla francese Che s’usa ancora spisse a Sandrenate. Andanne nen è iere e nen è glie ianne passate, ma è tutte quelle che ne revè chiù. …

Andanne è parola alla francese Che si usa ancora spesso a San Donato (*) Andanne non è ieri e non è l’anno passato Ma è tutto quello che non torna più.

Andanne è tutte quelle che te siente quande delle campà te fià glie cunte le cose che revide se tu pienze ne menute a quelle che gli tiempe t’è rialate e t’è retuote

Andanne è tutto quello che ti senti Quando della vita ti fai due conti Le cose che tu rivedi se pensi un minuto A quello che il tempo ti ha regalato e ti ha ripreso

…. Ma che cc ò fa: la vita è ne menute E andanne è quelle che te si perdute: so le canzune che n’zeme cantate so glie capieglie che n’iave carute so le mammocce che n’zeme agganciate glie solde che nen seme mai tenute avoglia a dì ca vuoie ne ce peteme lamentà andanne…ma che ne parlame a fa!

Ma che ci vuoi fare: la vita è un minuto E andanne è quello che ti sei perso Sono le canzoni che non abbiamo cantato Sono i capelli che sono caduti Sono le ragazze che non abbiamo agganciato I soldi che non abbiamo mai tenuto Hai voglia a dire che oggi non ci possiamo lamentare Andanne… ma che ne parliamo a fare

Fulvio Cocuzzo, di San Donato Valcomino (FR), già Professore di Italiano al Liceo Classico, è cantautore, cantastorie, poeta, rimatore, burattinaio, commediografo, attore, ricercatore e storico e, nel tempo che gli rimane, anche falegname e ciclista. E’ stato a Chiauci molte volte con i suoi spettacoli di burattini, musica e poesia. (*) San Donato Valcomino (FR)

RINGRAZIAMENTI Un ringraziamento particolare ai miei genitori Igino e Natalina per avermi trasmesso l’amore ed il rispetto per il paese, alle mie sorelle Bice ed Annamaria, a mia moglie Lucia che ancora mi sopporta dopo 32 anni di matrimonio, al Comune di Chiauci, alla Pro Loco Chiauci, al Consiglio Pastorale, a Ivana Mulatero, a Don Pietro Paolo Monaco, a Valentino Di Pilla, a Claudio Di Cerbo, a Leone Di Vincenzo, a Domenico Meo, a Clara Di Lonardo, a Domenico Inforzato, a Michele Di Lonardo, a Silvio Volpacchio, a Giovanni Rossi, a Annalisa Bondonno, a Colabuono Giuseppe, a Carlo Di Pilla, a Emilio Di Pilla, a Maria Colabuono, a Gino Di Pilla, a Nicola ed Olindo Sciarra, a Mimì Grasso, ad Adelaide e Ermatea Trabucco, a Antonio Muccillo, a Domenico De Gregorio, ai chiaucesi emigrati ed tutti coloro che con le loro testimonianze hanno consentito la realizzazione di questo lavoro.

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Finito di stampare nel mese di Giugno 2014 per conto di Youcanprint Self-Publishing


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