Rivista arti marziali cintura nera budo international ottobre 2014

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"Non esiste nessun grande genio senza un tocco di follia” Séneca

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n Maestro che m’insegnò molte cose, (i miei maestri sempre l’hanno fatto ... grazie), metteva sempre in prospettiva l'idea del tecnico come il più basso scalino dell'insieme evolutivo della consapevolezza. Nella sua prospettiva, lo stratega regnava dal più alto, seguito dal tattico e infine, lì in fondo, c’era il tecnico. Per tanto che questa visione fosse in qualche modo peggiorativa, è giusto dire, sia chiaro, che senza tecnici, il nostro mondo non funzionerebbe. Egli è l'anello più vicino alla realtà immediata, quello che lavora sulle cose più tangibili; fa sì che gli aeroplani non cadano e che i treni scorrano, esegue un trapianto o fabbrica un computer. In ogni classificazione si tende sempre a mettere l'accento su quello che si ha più in simpatia, ma ognuno al suo posto svolge il proprio ruolo, occupa il suo spazio e si realizza nella sua natura. Sembra che precisamente questa sia una delle chiavi nascoste della felicità, quella cioè che la propria natura corrisponda alle funzioni che si realizzano. Fuori dall’ambito, tutti siamo più o meno impacciati e ci sentiamo meno soddisfatti e meno stimati dagli altri. l riduzionismi sono sempre il risultato della simpatia di ognuno. La tecnica non è tutto, niente affatto. Senza cuore, senza spirito, la tecnica è un guscio vuoto; una macchina, un robot. Il valore delle cose sta nell’intangibile. Non è la stessa cosa pegar pases ... piuttosto che toreare, fare ... che creare le condizioni per far accadere le cose ... accompagnare la natura delle cose, che combatterla. (Pegar pases, è un termine della tauromachia. Pegar pases a un toro è l'atto di muovere il capote – la cappa - e la muleta - il drappo di stoffa rossa - davanti a lui, e non vuole dire che un torero stia dominando il toro; è quello che succede quando ci si riferisce al detto "non è la stessa cosa pegar pases che toreare” in quanto toreare è diverso, è l'arte di fare in modo che il toro vada dove non vuole andare" . Il toro carica dritto, il torero gli fa deviare la carica, è la lotta del principio maschile, la rettitudine, col femminile il tortuoso. Un torero torea quando domina il toro, quando la sua soavità può contro la forza dell'animale, è la vittoria del sottile sul rozzo, della strategia del centro sulla strategia della forza. ( n.d.t.) Il sottile si eleva sempre, il raffinato col tempo s’impone sempre, perché l’immediato adora il concreto tanto quanto il permanente l'astratto, l'idea. L'Arte, il mistero e il fascino delle cose, non esiste per la tecnica, anzi, è questa una conseguenza delle precedenti. Suonare note non è fare musica e anche se le note che suoni non escono dal parametro dell'armonia, é l'imbastitura che crea il cuore e il sentimento dell'individuo artefice, ciò che offre loro alito, coerenza e senso. Non c’è trucco, tecnica, né artificio che sostituisca questo mistero. Avere "mestiere" non è essere creativo. Dicono che la musica è matematica, ma nessun matematico ha prodotto un bestseller mescolando numeri, né ha lasciato nella

“Si toreano e si entusiasmano le platee allo stesso modo che si ama e ci si innamora, per virtù di una fonte segreta di energia spirituale che, a mio intendere tiene là, nel profondo dell'essere, la stessa origine. Quando questa fonte nascosta è secca, è inutile sforzarsi. La volontà non può nulla. Non si innamora uno a volontà, né a volontà torea. Manuel Chaves Nogales

memoria delle collettività melodie eterne come Yesterday o tante altre. Il genio si alimenta di estremi, tormento e disagio. Il comune dei mortali adora e idolatra la genialità, ma la verità è che non sopporta il genio. Armato di grandi virtù, cammina con i suoi grandi difetti, dissipando molto buono nei suoi sforzi per non cadere, o facendo molto male nei suoi sforzi per prevalere. Però, è dai difetti che sorgono virtù inaspettate: Belmonte creò la corrida moderna perché non aveva facoltà fisiche per correre davanti ad un toro. Alla sua epoca, toreare consisteva nello scansare l’investitura dei tori con la maggiore grazia possibile, ma rimanendo fermo, dovette ingannarli con la cappa e la muleta, e da qui nacque la corrida moderna. Prima di lui si diceva "O ti togli tu, o ti toglie il toro" egli sentenziò: "se si sa toreare, né mi tolgo io, né mi toglie il toro. "Un torero di quel tempo, Rafael Guerra, diceva: "Se vuoi vedere Belmonte affrettati, perché qualche giorno lo ammazza un toro." Ma fu Joselito, la sua controparte, che alla fine lo ammazzò un toro; Belmonte morì a 70 anni sparandosi, dicono, quel giorno che non poté montare sul suo cavallo, sua altra passione. Ed è che, le persone più notevoli sono essenzialmente grandi tarati. Non si può essere bravi in tutto; a grandi virtù ... grandi difetti; è nella compensazione di questi enormi gradienti, che eventualmente sorge il genio, una conseguenza che sembra antitetica all'idea della felicità. Per la maggioranza, questi individui sono curiosamente assenti dal loro stesso processo, impegnati ad essere geniali in quello che non lo sono, e nell’avere ragione anche quando non l'hanno. Frequentemente sono ossessivi e autodistruttivi. Ed è, che quando i dislivelli sono molto grandi, l'equilibrio e la serenità diventano estremamente difficili, rendendo saggezza e tempra due conquiste piuttosto complicate, di solito soppiantate dalla circospezione, pesantezza e perfino autoritarismo. Un noto Maestro giapponese di Aikido arrivò a strapparsi un dente in un furibondo attacco d’ira ... Picasso era un terribile arrogante tiranno ... Paul Gauguin definì se stesso nei suoi "Scritti di un selvaggio”. Solo il tempo dà la giusta prospettiva a questi personaggi. Coloro che raggiungono una certa pace di solito lo fanno da molto vecchi e in solitudine, dietro una vita tormentata dalla lotta contro se stessi. Però, il risultato di questo brutale confronto può trasformarsi in qualcosa di speciale che tocca molte vite. No, non è facile il destino del genio, (né per lui né per chi gli sta vicino). Fortunatamente io non lo sono, rimango un semplice "border line" ... il mio è più vicino al concetto di uomo orchestra (rinascimentale direi, però ogni giorno mi suona più pretenzioso), non so se per natura, per scelta o per un miscuglio di entrambe le cose, perché nei caratteri, ciò che hai per natura e ciò che si sviluppa, finisce per far confusione col passare degli anni. Gatto Pérez diceva "che se non hai la felicità, non sei saggio, né sei na (nada, nulla)", anche se fosse in dosi Traduzione: Chiara Bertelli


Alfredo Tucci è Managing Director BUDO INTERNATIONAL PUBLISHING CO. e-mail: budo@budointernational.com

terapeutiche e per errore, devi avere qualcosa per tirare avanti. L'allegria e la positività a volte possono di più che molte preoccupazioni, già lo dice il proverbio: “Si prendono più mosche con il miele che con l’aceto”. Ma fu un altro mio Maestro che mi mise davanti al paradigma - tecnica contro arte - con maggiore intensità, il mio Maestro di pittura, Manolo Tarazona. Fui probabilmente l'unico alunno che ebbe, perché fui l'unico che lo sopportò. Si definiva come un anormale, perché lo avevano fatto sotto un bombardamento. Disney lo scelse assieme ad altri dieci bambini dell'Europa per conferirgli una borsa di studio negli USA, perché a 13 anni si guadagnava già da vivere facendo fumetti di successo; ma egli disse che voleva essere pittore a Parigi ... e così fu. Lavorò in qualche occasione per Dalí, realizzando una tecnica di pittura a oro; una volta finito il lavoro, che fu pagato molto bene, il suo commerciante gli disse che il Maestro lo voleva conoscere. Manolo rispose immediatamente: "Beh, io da lui no." Stupefatto, l'uomo gli domandò perché e Manolo rispose: "Perché mi deluderebbe." Prese il suo milione di pesetas dell'epoca e andò per conto di Dalí a percorrere le Americhe col suo amante, (in quell'occasione un inglese). Egli, che era un genio, mi spiegò che mi avrebbe insegnato la tecnica, ma che avrebbe cercato di spiegarmi la cosa più importante: a essere artista. Per lui, il dipingere era il processo finale, la terapia e il risultato del suo approccio al senso della vita. Questa sensibilità era uno strano incontro di fantasia, sentimento, pazzia e inganno. Per trovarsi, bisognava perdersi, ed egli ... eccome si perse! Ma in questa pazzia, nella sua personale frenesia, seppe lasciare alcune opere immortali e imprimendo evidente emozione su moltissime pareti del pianeta con i suoi quadri, come egli diceva, una finestra dalla quale volava la fantasia di chi guardava le sue opere. Incapaci di sentire come lui, di guardare come lui, egli prestava loro i suoi occhi e la sua fantasia per mettere qualcosa di cui egli eccedeva nelle loro vite ... e ci riusciva”. Il prezzo fu molto alto, ma visse e morì nella sua legge, e oggi nei miei ricordi ho solamente affetto e rispetto per lui. Che la sua anima trovi ora pace e tranquillità. La tecnica senza lo spirito è un artificio; quando questa viene dall'anima, è saggezza, è arte senza artificio e acquista così tutta la sua grandezza. La verità nascosta della corrida e dell'Arte, sono il flogisto della saggezza, e quando questa fa atto di autentica presenza, tutto fluisce senza apparente difficoltà, ma con intensità e profonda verità. Dominare un’Arte o una tecnica, non ci fa padroni di esse, nemmeno di noi stessi. Accompagniamo la vita, https://www.facebook.com/alfredo.tucci.5 come lei accompagna noi, e in questo divenire lasciamo brandelli del nostro essere, scolpendo la nostra natura. Alla fine l'olmo, tagliato o no, continua a essere un olmo, e il rovere ... un rovere. Riunire l'essenza dell'arboreo dopo questa decantazione, è un passo superiore, dove la tecnica non ha capacità, solo lo spirito può in tale impresa. Trascendere in questo modo i limiti dell’individuale non richiede di genio ma lucidità, distacco e compassione.




Nel 2008 abbiamo divulgato pubblicamente il libro sul Kyusho per le forze di sicurezza; il programma si chiama “Programma di Controllo Tattico Kyusho (KTCP)” ed è in uso in molti paesi e organismi di tutto il mondo. Questo è stato solo il primo dei 4 moduli che andavano a intensificarso per grado di stress ed emergenza, tuttavia, ha dimostrato di essere altamente effettivo e sperimentato. Abbiamo la Polizia di Stato e Locale, sceriffi, agenti federali, squadre SWAT,

Agenti Antinarcotici, Guardie di carceri di massima sicurezza, Bodyguards, Portieri, Medici e personale di pr onto soccorso, infermiere e unità di ATS e molti altro, tutti che impiegano con successo questo sistema di controllo semplice ed efficace. Agenti sul campo si sono addestrati nei sistemi dei “punti di pressione” per molti anni, così ci siamo chiesti: Che cosa ha in più il KTCP per essere al di sopra dei vecchi programmi d’addestramento?


ene, ci sono molte risposte, ma soprattutto, che questi non sono visti come “punti di pressione” e non ci si limita alle strutture anatomiche superficiali del corpo e all’applicazione più semplice ed efficace della pressione su di essi. Per esempio, noi non cerchiamo di premere un punto per provocare dolore (la maggior parte non provocano dolore, ma hanno un altro obbiettivo), invece ci focalizziamo nella compressione di un nervo che causa azioni neurologiche riflesse, reazioni e

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indebolimento del corpo. Tale indebolimento consente all’agente di applicare più facilmente le tecniche approvate nella sua giurisdizione. Oltre all’efficienza, permette anche alll’agente di muoversi liberamente da obbiettivo a obbiettivo, in una situazione di controllo completo del corpo dell’aggressore, senza provocargli danno fisico. Questo non soltanto controlla l’individuo, ma mantiene anche tutte le parti più al sicuro dalla forza o dall’escalation di azioni aggressive.


Ma invece di parlare noi dei suoi benefici (come stiamo facendo e ovviamente ne siamo ben lieti), è sufficiente leggere i commenti dei vari agenti delle forze dell’ordine di tutto il mondo e con le loro stesse parole mostrarvi i pareri di queste persone, che possono essere letti nella loro totalità su: HYPERLINK: "http://www.kyusho.com/ktcp/" http://www.kyusho.com/ktcp/

Tenente Gary Gione (Ret.) New York, USA Per venti anni e venti giorni, ho prestato servizio presso il dipartimento di Polizia più grande del mondo, la polizia di New York. Ho effettuato o assistito a oltre 5.000 arresti nella mia carriera... Ricordo molti momenti in cui ho dovuto usare le applicazioni di Kyusho con gli aggressori che non collaboravano. L’ho fatto con lo scopo di proteggermi e di non essere ferito. Senza questa conoscenza specialistica, i risultati di tali colluttazioni avrebbero potuto essere a me sfavorevoli... La sicurezza e la praticità sono molto importanti per i funzionari di questo paese e il Kyusho offre all’agente un altro livello di protezione! Invito tutte le forze dell’ordine, militari, guardie carcerarie e personale

“Invito tutte le forse dell’ordine, militari, guardie carcerarie e personale di sicurezza a praticare e applicare queste tecniche; può fare la differenza tra la vita e la morte” di sicurezza a praticare e applicare queste tecniche; può fare la differenza tra la vita e la morte.

Detective Ispettore Henrik Engelkes Stoccolma CID Regionale, Divisione Narcotici (USA) La prima volta che ho usato il Kyusho per controllare un sospettato, mi sono sorpreso che funzionasse così bene. Alcune persone mi

avevano detto che i punti non funzionano quando il sospettato è sotto l’influsso di droghe, quindi non potevo essere sicuro del loro effetto. Ma i punti di pressione non hanno mai sbagliato... Alcuni sostengono che sotto l’influenza delle droghe non sentono dolore e pertanto questo rende i punti di pressione inutili. Ciò, secondo la mia esperienza, non è vero. Non importa se sentono realmente dolore o no. Il sistema nervoso reagirà come previsto, la maggior parte delle volte. La chiave non è il dolore, ma la reazione fisica a certi stimoli... L’ufficiale non ha bisogno di imparare nuove tecniche, ha solo necessità di capire un po’ meglio i meccanismi del corpo e delle tecniche. I nervi sono sotto la pelle e le reazioni, quando si applica la pressione, sono in gran parte prevedibili, perchè molti dei punti attivano dei riflessi che possono essere studiati. Non c’è nulla di cui stupirsi dei punti di pressione con una conoscenza normale delle funzioni del corpo e soprattuto del sistema nervoso. Raccomando l’uso del Kyusho per tutti i tutori dell’ordine pubblico. Raccomando anche di utilizzare un istruttore certificato per l’applicazione di tale conoscenza in un sistema ufficiale.



Markus Maislinger – Agente penitenziario Salisburgo, Austria Come ufficiale penitenziario in Austria, ho ricercato per molto tempo attraverso le Arti Marziali di trovare un buon sistema che potessi usare nei miei turni di guardia. Ho praticato diversi stili e ho cercato di combinarli con le tecniche apprese nella mia formazione di base e che tutti gli agenti svolgono. Mi ci è voluto un po’ di tempo, quando ho trovato su Internet un libro di Evan Pantazi: “Kyusho per i tutori della Legge”. Ho letto tutto il libro in un giorno e ho cercato di porre in pratica i punti e le tecniche menzionate... Il Kyusho apre la porta a tutti gli agenti per realizzare le loro tecniche in maniera efficace e meno pericolosa. Nel mio caso, ho diversi problemi come: molto poco spazio e avversari che hanno anni di esperienza nel fare danni alle persone. Quindi il Kyusho rende il mio lavoro più sicuro. Un’altra delle sue virtù è che i colleghi rispettano il modo in cui uso le mie tecniche. Essi sanno che uso la forza che possiedo...e che il Kyusho è una maniera migliore e più sicura di lavorare. Questo è ciò che i colleghi conoscono e rispettano!

Marcello Giannola Polizia di Stato, Palermo, Italia La conoscenza e l’uso del Kyusho è molto importante per gli agenti della

“Nei miei 13 anni di esperienza come agente di Polizia, ho praticato il Kyusho, il metodo più corretto per gestire le persone potenzialmente pericolose per se stessi e per gli altri” Polizia, che spesso lavorano in situazioni di conflitto o comunque pericolose, per fronteggiare adeguatamente le possibili aggressioni, il che li obbliga a usare il meno possibile le armi in dotazione, comprese le armi da fuoco. Ciò significa per loro la conoscenza di un sistema che ha come obbiettivi i seguenti punti: La natura non pericolosa del sistema o la risposta adeguata al pericolo e alle situazioni, per far si che, quando è possibile, si garantisca il rispetto della legge, si faccia

scontare la pena che la società civile impone e si possa avere dei valori sociali che non siano indifferenti alla giustizia generale e personale. L’opportunità di imparare alcune semplici tecniche e allenarle basandosi su schemi motori basilari, validi per essere usati da uomini e donne con facilità, senza servirsi di schemi dinamici complessi sviluppati. Evitare altre conseguenze legali legate all’uso eccessivo della forza, le denunce penali per abuso di potere o l’eccesso di negligenza, in relazione ai danni fisici provocati dall’agente, anche se non gravi, però visibili. Nei miei 13 anni di esperienza come agente di Polizia, ho praticato il Kyusho, il metodo più corretto per gestire le persone potenzialmente pericolose per se stessi e per gli altri.

Nome e foto non rivelato per motivi di sicurezza Come Agente Federale della Polizia Aerea degli Stati Uniti, mi sono addestrato in svariati stili di difesa personale, che mi hanno fornito gli strumenti adeguati per difendere me e il mio paese. Sebbene questi sitili di autodifesa possono differire nell’esecuzione e nel metodo, tutti condividono una simile tecnica principale. Il Kyusho è uno dei fondamentali di base che l’Agenzia Federale della Polizia Aerea utilizza per agevolare a dotare i propri agenti



di una migliore preparazione per difendersi da qualsiasi tipo di attacco. Il Kyusho impiega tecniche semplici ma molto efficaci per: disarmare, limitare, bloccare, neutralizzare o dissuadere un individuo a realizzare qualsiasi genere di aggressione fisica. Con la conoscenza di base e l’uso del Kyusho, sono in grado non solo di applicare i metodi in situazioni potenzialmente pericolose per la vita, ma anche di includere movimenti contemplati da qualsiasi altro tipo di tecnica di difesa personale che possa utilizzare. Ho avuto molti istruttori qualificati ed esperti che mi hanno insegnato molte Arti e stili Marziali di autodifesa; tuttavia, nessuno è stato capace di comunicare, istruire e offrire le sue conoscenze come lo è stato Evan Pantazi. Ho avuto la fortuna di lavorare con lui in un contesto personale e individuale. La sua comprensione e applicazione del Kyusho è così efficace e applicabile come qualsiasi istruzione abbia ricevuto. La sua capacità di adattare i metodi di Kyusho al ristretto e unico ambiente di un aereo, è solo un esempio di quanto sia effettivo e appropriato il metodo di Evan per il mio lavoro. Evan mi ha conferito una nuova dinamica per combattere e difendermi in qualsiasi situazione.

“L’approccio mostrato dal Sig. Pantazi è pratico e realistico ed è assai superiore a qualsiasi altro sistema che io abbia mai insegnato” Christopher M. Smaby, Istruttore di agenti Iowa, USA In qualità di istruttore di tattiche senza armi per le forze dell’ordine negli ultimi 24 anni, ho scoperto che le abilità insegnate dal Sig.Pantazi e il Kyusho International sono molto utili ed efficaci in contesti di vita reale. L’approccio mostrato dal Sig. Pantazi è pratico e realistico ed è assai superiore a qualsiasi altro sistema che io abbia mai insegnato. Il Kyusho è stato una parte del mio programma di studi per tanti anni e continuerà ad esserlo.

João Ramalho Funzionario – (Unità speciale antisommossa) Portogallo Nonostante avessi già esperienza nelle Arti Marziali, per molti anni ho indagato e ricercato su dei sistemi di autodifesa che si potessero adattare alla mia situazione professionale come tutore della legge. Tutte le tecniche, teorie e strategie che ho trovato e che ho sperimentato in molte arti marziali tradizionali durante la mia ricerca, non erano semplicemente compatibili con i limiti di intervento imposti dalla legge portoghese. Nella solida convinzione di aver finalmente trovato un approccio che potrebbe adattarsi a tali limitazioni imposte dalla mia attività, conobbi Evan Pantazi a Barcellona, in seminario per corpi di sicurezza. Dopo i miei anni di ricerche, ho compreso allora che tutte le domande che mi ero posto e delle quali non avevo mai la risposta, venivano affrontate in maniera intuitiva semplice attraverso il programma che ci veniva presentato. Questo è stato un programma che ha dimostrato un livello di controllo che mi ha permesso di rispettare completamente le restrizioni con il



minimo sforzo e di farlo senza mettere in pericolo l’integrità fisica del delinquente. Credo fermamente che il KTCP del Kyusho Inter national sarà nel giro di pochi anni uno strumento obbligatorio per gli agenti preposti al rispetto della legge, in tutto il mondo.

Tenente Wayne Moody – Comandante della SWAT Texas, USA Ho usato il Kyusho per la strada per oltre 10 anni...l’obbiettivo di qualsiasi agente che sia coinvolto in uno scontro violento, è controllare il sospettato. Queste tecniche danno all’agente un vantaggio nel cercare di raggiungere questo obbiettivo. Le tecniche e le tattiche che vengono usate sono semplici, sono state provate per strada e si possono integrare con le strategie e le nozioni che già si possiedono... Ricordo di aver assisitito a una lezione per le forze e i corpi di sicurezza 15 anni fa, più o meno, nella quale si affrontavano i Punti Di Pressione e Controllo. Io avevo già esperienza nelle Arti Marziali e quando uscii da lì non ero troppo impressionato. Ebbi l’impressione amara che i punti di pressione non erano molto validi per le forze di sicurezza... Mi stavo sbagliando di brutto! L’ho scoperto, alcuni anni dopo, quando ho incontrato istruttori esperti come Pantazi e Corn, in un seminario sul Kyusho. Uscii dal quella lezione stupito e entusiasmato dai punti di pressione per il combatimento. La mia era una missione e iniziai a lavorare e a provare queste tattiche per la strada. Quindi eccoci qua, vari anni dopo, avendo provato la tecniche. Come ho già detto, ho ottenuto dei buoni risultati..., ho potuto fare il mio lavoro e tornare a casa alla fine della giornata, dai miei cari.

Dan King, Agente Penitenziario Tennessee, USA Quando la polizia arresta qualcuno, questi viene condotto alla zona di ammissione del carcere. Gli individui che stanno per essere messi sotto custodia degli agenti penitenziari, in quel momento possono spesso diventare violenti perchè sono stati ammanettati e possono essere drogati o ubriachi. La zona di riserva non è un posto allegro per chi viene arrestato. Hanno perso la loro libertà, i “poliziotti” hanno i loro averi e i vestiti e la realtà inizia ad affiorare. Questo è il punto in cui ho avuto la maggior parte delle colluttazioni nella mia carriera come agente penitenziario. Con gli anni, ho studiato varie Arti Marziali. La triste verità è che in molte Arti Moderne si insegna più il lato artistico che quello marziale. Anche il PPCT ha i suoi limiti... Il Kyusho, per le forze e i corpi di sicurezza, va aldilà del cercare di infliggere dolore a persone che non possono sentire nulla. Si manipola il sistema nervoso sell’avversario per controllare la situazione... Il fatto che non sentano dolore in un punto, non vuol dire che il resto del suo sistema nervoso sia fuori servizio. Ho lottato contro gente fatta di crack, di metanfetamine e contro ubriachi, utilizzando il Kyusho per mettere fine agli alterchi. È facile da imparare...ma la cosa più importante è che FUNZIONA!

Assistente dello Sceriffo Joseph Lamb (Rit.) Massachussets, USA Quando il tuo lavoro consiste nell’arrestare la gente tutti i giorni, impari rapidamente che le



tecniche di controllo e le strategie difensive standard non sono adeguate. Ho scoperto, anni fa, che l’apprendimento delle tecniche di Kuysho era il completamento perfetto delle nozioni che già possedevo. Non c’è magia nel Kyusho, si utilizza soltanto la conoscenza della fisiologia umana basilare e l’applicazione di alcuni concetti abbastanza semplici. In ogni modo non sono un praticante avanzato di Kyusho. Ho imparato alcuni punti di pressione e concetti di Kyusho strada facendo e li ho utilizzati costantemente nello svolgimento delle mie funzioni. La bellezza del Kyusho è che uno non deve necessariamente cambiare ciò che sta già facendo, ma solo acquisire quel minimo di cognizioni su come farlo, perchè funzioni meglio. Il Kyusho possiede una serie di vantaggi che si possono capitalizzare in svariate situazioni, come sistemi di combattimento utili contro gente resistente e passiva...la cosa migliore di tutte è che si causano probabilmente delle lesioni visibili, il che aiuta a evitare le questioni circa la forza eccessiva... Imparando il Kyusho, ci si addestra per diventare un miglior tutore dela legge, più sicuro, più umano e che sia in grado di evitare possibili conseguenze legali.

Jaap Jan de Lange – Agente di Prima Classe Bant, Paesi Bassi Sono stato agente di polizia per oltre 11 anni. In questo momento sto lavorando come detective, ma ho lavorato come poliziotto in strada per più di sei anni e per oltre un anno sono stato membro di un’unità specializzata nel controllo di persone in situazioni difficili e di sommossa. Da quando ho iniziato a studiare Kyusho l’ho utilizzato nel mio lavoro di poliziotto e ha fatto davvero una g rande differenz a. Il g rande vantaggio dell’utilizzo dei punti di pressione è che possono essere usati con tutto ciò che già si suole fare, ottenendo una resa migliore. Un al tro enorme v ant aggio è che qu an do s i capis ce quel lo ch e provoca un punto, si può utilizzare per ottenere un buon risultato senza impegare un altro genere di violenza. Per esempio, quando una persona si ag g rappa a u na rin gh iera o al volante di una macchina, è molto facile fargli aprire le mani tramite l’uso di un punto di pressione nel polso. Se non sapete questo, si dovrà lottare per aprire la mano, il che porterà più violenza e a più denunce da parte dei detenuti... Raccomando caldamente il KTCP, non solo a tutti gli agenti di sicurezza, ma anche a tutte le persone che

potrebbero dover controllare delle persone aggressive. I punti che vengono insegnati sono stati provati nella vita reale contro aggressori che resistono. Inoltre è importante la maniera in cui il programma insegna il materiale che garantisce la capacità di trovare il punto e di essere in grado di usarlo immediatamente dopo averlo imparato.

Patrick Hummer Wels, Austria Da quando uso il KTCP nel mio lavoro, mi sembra molto più facile controllare e arrestare le persone. Sono sicuro che il KTCP verrà utilizzato nell’addestramento di base degli agenti di Polizia in Austria. Questi sono solo alcuni delle centinaia di testimonianza che abbiamo ricevuto negli ultimi anni. Ma tutte queste hanno dei lati in comune, il Kyusho è uno strumento molto valido per i corpi di sicurezza, così come per qualsiasi persona che debba controllare altre che hanno perso il controllo. Come gia abbiamo indicato, i commenti di questi agenti si possono trovare nella pagina: HYPERLINK: "http://www.kyusho.com/ktcp/" http://www.kyusho.com/ktcp/




“Ho lottato contro gente fatta di crack, di metanfetamine e contro ubriachi, utilizzando il Kyusho per mettere fine agli alterchi. È facile da imparare... ma la cosa più importante è che FUNZIONA!” Dan King, Agente Penitenziario, Tennessee, Usa


WingTsun


Principi, Tecniche e Filosofia Negli ultimi anni sono affiorati nel mondo delle Arti Marziali innumerevoli sistemi di difesa personale che basano la loro pratica su una “presunta efficacia dimostrata in ambienti ostili”. Questo altisonante slogan che si è imposto così di moda attualmente non è , a mio avviso, il miglior e degli ar gomenti che i sistemi di difesa personale dovrebbero usare.



Per me, il mondo delle Arti Marziali commette degli errori di fondo nelle sue tecniche di comunicazione, errori che permettono che in molte occasioni si dia al NON praticante un’immagine completamente distorta di ciò che in realtà facciamo. Bruce Lee affermava (come sempre con squisita eleganza) che: “Efficace non è lo stile, ma la persona...” Ed è cosi! Nella stragrande maggioranza dei casi, questi sistemi sono la sintesi delle esperienze di istruttori o maestri che hanno codificato tali sistemi di combattimento. Personalmente non ci vedo nulla di male in quello. Mi pare coraggioso e onesto proporre cose alla comunità marziale, soprattutto se l’insegnante o maestro che cerca di convincere i propri allievi o seguaci della bontà del suo sistema, è capace di dire apertamente: “Questa è la mia visione”. Purtroppo, ciò non è così normale come dovrebbe e questo “piccolo dettaglio” spesso si dimentica facilmente. A parer mio, la questione è che il sistema è buono in base ai meriti accumulati dal tuo insegnante di Arti Marziali o da qualsiasi guru di sistemi di Difesa Personale. Un sistema fondato sull’esperienza personale di un praticante, servirà direttamente a lui o a persone con le medesime caratteristiche: fisionomia, predisposizione mentale, ecc..., però non ci sono grandi possibilità di successo in persone tanto differenti. Per questo motivo, io non presto troppa attenzione ai sistemi di combattimento che NON si basano sui PRINCIPI dello stesso, sui principi dell’Arte della Guerra! Le tecniche cambiano, ma ci sono principi che sono inerenti all’arte del combattimento. I tempi possono cambiare o le tecniche evolvere, ma i principi sono eterni. I miei ultimi studi sostengono questa teoria e soprattutto permettono che ciascun individuo, con l’allenamento adeguato e il tempo di pratica necessario, riesca a sviluppare le proprie capacità, il proprio stile! Nel mondo delle Arti Marziali Cinesi e del Wing Chun in particolare, questo è un argomento veramente importante. Per svariate ragioni delle quali ho già parlato a sazietà in diversi articoli, il mondo del Kung Fu/WuShu ha patito un imponente smembramento a partire dalla “Rivoluzione Culturale del Proletariato”, il che spiega le enormi


carenze a livello tecnico, tattico e di importanti nozioni che gli stili si sono trascinate sino ai giorni nostri. Il settarismo tipico tra i sistemi di Arti Marziali delle differenti “denominazioni di origine” (Budo tradizionale, Arnis/Escrima/Kali, Arti Marziali Coreane, WuShu, ecc...) ha accresciuto queste CARENZE IMPORTANTI. È curioso perchè molti vedono le loro paure AMPLIFICATE sensibilmente quando si tratta di sotto-stili all’interno di uno stesso stile. Come se il peggior nemico del proprio stile fosse uno dei tuoi “fratelli”. Così, è assai comune assistere a discussioni tra maestri di Wing Chun che oltre a essere VERGOGNOSE di fondo, lo sono ancor di più nei modi. A mia opinione, un insegnante di Arti Marziali deve essere profondamente rispettoso. Se così non è, la pratica delle Arti Marziali è priva di senso. Possiamo riflettere su alcune di queste dispute e magari c’è il otteniamo che (se qualcuno di loro leggerà questo articolo) si rispecchi in esse e mediti di cambiare comportamento: Ci sono Maestri (che si autodefiniscono così) che sostengono di possedere lo stile AUTENTICO E UNICO. Escludendo pertanto la possibilità che NESSUNO oltre a coloro che sono allievi di queso maestri o “lineage” possano conoscere la sola verità dello stile. Il lettore sarà d’accordo con me sul fatto che coloro che si appropriano delle parole autentico e unico, scartano in maniera definitiva tutto il resto dei praticanti nel mondo. In definitiva, il Wing Chun è un’ Arte da combattimento nella quale PROVARE l’efficacia di qualcuno è molto semplice: INCROCIANDO LE MANI in un ONE TO ONE... Se davvero si è

totalmente sicuri della propria efficienza e dell’incapacità dell’altro, è solo questione di dimostrarlo. Molti di essi utilizzano allora il motto del “RISPETTO”, quello stesso di cui sembrano dimenticarsi quando giudicano persone onorate che fanno e danno tutto ciò che hanno per i loro allievi e le loro scuole. Io credo che se uno è capace di arrivare a tanto, il meglio che potrebbe fare è stare zitto, essere rispettoso degli altri e lavorare diligentemente per superare se stesso, SENZA PARAGONARSI a nessuno. Ci sono maestri che malgrado la loro mediocrità in tutti gli aspetti, sono riusciti tramite “alleanze strategiche”, marketing e altri svariati strumenti, a CONVINCERE tutti che il loro è quello autentico. Spesso uso la similitudine del ROLEX FALSO. Mesi fa ascoltavo una discussione al riguardo, nella quale il possessore di uno dei famosi orologi svizzeri è stato ingannato da un abile truffatore, che è riuscito a coivogerlo in uno scambio con uno di livello superiore, della stessa marca, solo che era totalmente faslo. Alla fine, quelli abili nell’arte dell’inganno sono capaci di utilizzare il nome di Yip Man, l’Autentico Yip Man, o qualsiasi altro, speculando sul nome del defunto Maestro, per coprire di un alone di autenticità ciò che in condizioni normali nessuno prenderebbe sul serio... Dopo di che, alcuni praticanti novizi “comprano”, anche se poi il ROLEX NON SEGNA L’ORA perchè si ferma al primo giro di lancette. Anche se questo può sembrare finzione, posso assicurarvi che è assolutamente reale e di grande attualità Queste riflessioni a voce alta ci servono oltre che per fare in modo che queste persone si rispecchino in questi casi, per introdurre il lettore alla mia teoria sul senso della pratica di un’ Arte Marziale straordinaria, che è continuamente maltrattata da coloro che affermano di AMARLA profondamente. Quando muovo una critica, subito dopo tento di essere coerente con ciò

che dico e di apportare una soluzione (sempre dal mio umile punto di vista) per vedere se può servire a qualcuno. Da tempo ho perso la speranza con alcune di queste imitazioni di praticanti di Arti Marziali, ma incontro anche persone generose, rispettose e con voglia di fare cose buone per questo stile e per queste cerco di for nire un punto di vista costruttivo. La mia riflessione di questo mese è focalizzata nel cercare di scaturire un’analisi nei praticanti di questo genere di comportamenti assolutamente infantili e che se li estrapoliamo dal contesto in cui avvengono (il mondo delle Arti Marziali) arrivano ad essere VERGOGNOSI per le persone che non appartengono a questo mondo. Fortunatamente, ogni giorno cresce la corrente dei praticanti dalla mente aperta, che preferiscono il RISPETTO, il CONDIVIDERE punti di vista o semplicemente comportarsi coem artisti marziali che rispettino le idee e le opzioni altrui, anche quando capita che siano in contrasto. Questo punto mi serve per introdurmi nel titolo dell’articolo di questo mese: Principi, Tecniche e Filosofia. Utilizzando alcune frasi che si attribuiscono al Gran Maestro Yip Man (massimo esponente del tradizionale e autentico in questo momento, ma criticato e attaccato dai tradizionalisi della sua epoca) prendiamo un prestito questa: “Tutto ciò che viene fuori dai miei pugni è Wing Chun”. Anche se questa frase cinematografica è molto conosciuta, in realtà non si adatta a ciò che era proprio della realtà del GM Yip Man, che era più simile a questo: “Se rispetta i principi...è WING CHUN KUEN”.



WingTsun Ancora una volta, il GM Yip Man ci da una lezione di naturalezza, di mente evoluta e di conoscenza delle Arti Marziali Cinesi. Quando un praticante desidera arrivare in fondo alla questione del presente sistema (e in altri), è costretto a immergersi un calderone in cui si configurano storie non comprovate, opinioni, pregiuduzi e idee confuse. Ma ci sono cose che utilizzando un minimo di umiltà, il

buonsenso e la capacità di ascoltare le opinioni delle persone da un punto di vista più realistico, ci possono chiarire molte cose. Guardando molte scuole, ci troviamo con uno stile diviso come un corpo smembrato e gettato sul campo... Ovvero, ci sono stili o rami che hanno una parte della conoscenza (quella tecnica). Altri che conservano il maniera perfetta i “Kuen Kuit” dello stile (poemi della conoscenza). Altri ancora che

hanno conservato alcune delle chiavi nella loro pratica sulla strategia del Wing Tsun. Ma nessuna, o quasi, lavora queste tre parti del sistema. Evidentemente, tutti cercano di convincere il resto che la sua parte è la migliore. Ma, cosa accadrebbe se in realtà fosse impossibile rendere efficace e completo un sistema senza unire le tre? In più, affermo che è impossibile ottenere che questo stile sia efficace


ed efficiente in combattimento, se non siamo in grado di unire i TRE pilastri e allenarsi, studiare e praticare gli stessi. Se c’è qualcosa che differenzia il Wing Chun dal resto dei sistemi di Difesa Personale che sono sorti negli ultimi anni, è che in TEORIA il sistema Wing Tsun Kuen fonda la sua pratica su alcuni PRINCIPI. Questi principi enunciati fino a saziarsi a mo’ di “credo”, dovrebbero essere il pilastro

principale della pratica. Sembra logico accettare che dentro alcune sentenze o regole che descrivono i principi, c’è un margine e anche alcuni piccoli dettagli che possono arrivare a darci leivi differenze di poinione, ma non è ciò che adesso stiamo osservando. Mi pare assolutamente ridicolo quando osservo praicanti del nord Europa o degli Stati Uniti, intorno al metro e novanta di statura e oltre 100 kg di peso, che fanno Wing Tsun

imitando il lavoro di altri praticanti cinesi che arrivano al metro e sessanta per meno di 50 kg. Le tecniche si basano su principi della fisica (leve, punti di appoggio, linee di forza, ecc...) non devono mai essere qualcosa semplicemente da copiare. Oltretutto, senza comprendere i principi ai quali serve, la tecnica non ha più alcun senso. Questo punto è veramente molto comune tra i praticanti di versi posti in Europa, da cui personalmente tento sempre di dissociarmi immediatamente. Spegare dettagliatamente i principi, il perchè e il per come di questi, e i vantaggi di utilizzare alcuni e non altri, è molto più importante che la tecnica in se. Va da se che la tecnica corretta è il conduttore per realizzare una strategia vincente..., ma i principi devono sempre essere al di sopra delle tecniche. Un altor punto che noto nel mio lavoro di studio e recupero dello stile, è l’importanza della filosofia tradizionale cinese nella pratica del Wing Tsun Kuen. Per molti anni, è esistita una tendenza a sottovalutare questi argomenti, perchè non c’era la possibilità di “vendersi”. Ora sostengo senza alcun dubbio che NON ESISTE WING TSUN distaccato dalla filosofia cinese. IL TAOISMO fondamentalmente, anche se pure il Confucianesimo e il Buddismo, impregnano la pratica di questo sistema e in molte occasioni sono l’innesco di un PRINCIPIO o più principi. In altre parole..., senza filosofia non ci sarebbe questo stile o almeno non sarebbe tale e quale a come lo conosciamo. Praticando conoscendo la filosofia dello stile, i principi e le tattiche dello stesso e crescere adattando la tecnica per poter realizzare quelle strategie, pulendo quelle tecniche appropriate a ciascun individuo, si ottengono a mio avviso DUE cose veramente importanti: – Efficienza Si trasforma la pratica di un semplice sistema di Difesa Personale, nella pratica di un’ ARTE APPASSIONANTE. Scegliete voi. Per me è chiaro e ogni giorno di più! Appassionatevi alla pratica di un’Arte ancestrale. Scopritene la grandezza!!! Sifu Salvador Sanchez Istruttore capo della TAOWS Academy





Difesa Personale Ci sono temi che hanno generato una certa controversia e fraintendimenti, come il ruolo che devono avere le Arti Marziali nell’addestramento della Polizia. In questo articolo, ho deciso di affrontare questo tema col mio abituale stile diretto e una prospettiva sensata. La ragione per la quale quest’ultima è così suscettibile con gli istruttori di Arti Mar ziali, è per ché cr edono tutti (erroneamente) di essere totalmente qualificati per insegnare tattiche difensive alla Polizia. Chiunque si azzardi discutere questo fatto, viene immediatamente attaccato e offeso. D’altro canto, molti ufficiali di Polizia, specialmente con alti incarichi di comando, considerano (sbagliandosi) che la maggior parte delle Arti Marziali (alle quali essi si riferiscono come “Karate”) non solo siano inutili per il lavor o dei poliziotti, ma anche pericolose, poiché espongono i dipartimenti o le agenzie a ogni genere di responsabilità e opinioni negative. Possiamo vedere che non verrà data una soluzione ragionevole alla discussione su questo tema, partendo da uno qualsiasi di questi punti di vista estremi. La verità è, come s p e s s o succede, a m e t à strada.



Polizia e Difesa Personale Quindi prima consulteremo alcuni dati basilari registrati, per fornire un contesto per la nostra tesi. La Polizia e le forze di sicurezza, in maniere diverse, esistono da secoli nella maggior parte delle nazioni. (per ragioni di brevità, utilizzerò la parola “Polizia” per comprendere tutti i rami delle forza dell’ordine: governativi, privati, armati o disarmati, in uniforme o in abiti civili). In generale, nelle società libere e democratiche civili, regolate da leggi, le forze di polizia sono state create per proteggere la cittadinanza e per neutralizzare i criminali. Purtroppo, ci sono anche paesi del mondo che sono governati da dittatori spietati, tiranni, despoti, fanatici religiosi o pazzi dementi. In quei luoghi terribili, la Polizia non è altro che una schiera di delinquenti sadici e crudeli, che sono

“La Polizia che ci è familiare, è onesta, dedita, lavoratrice e spesso, sottopagata” semplicemente uno strumento di terrore utilizzato dal gover no al potere, per opprimere e controllare la popolazione. Ovviamente, non

comprenderemo tali forze di “polizia” in questo articolo. La Polizia che ci è familiare, è onesta, dedita, lavoratrice e spesso, sottopagata. Le sue funzioni, per necessità, collocano a volte gli agenti in situazioni pericolose e scontri fisici violenti. Gli aspetti specifici del suo lavoro si incrociano con la questione dell’allenamento nelle Arti Marziali. Sorge così la domanda: L’allenamento delle Arti Marziali è importante per il lavoro della Polizia? E’ utile individualmente per l’agente? E, in ultima istanza, è



Polizia e Difesa Personale benefico per la società in generale, che vengano allenati gli agenti? Prima di poter rispondere a questa e ad altre domande, dobbiamo esaminare onestamente vari punti fondamentali. Prima diamo un’occhiata alle obiezioni più comuni rivolte dagli agenti della polizia contrari alla necessità dell’addestramento nelle “Arti Marziali”: 1. L’allenamento delle Arti Marziali non è realistico. Non riflette la violenza della vita reale in “strada” o in qualsiasi altro posto. Le Arti Marziali non si adattano alle necessità degli agenti. 2. Se le imparano, le useranno. Feriranno le persone e ciò si tradurrà in casi di uso eccessivo della forza e di brutalità poliziesca. 3. L’allenamento è caro. Il Dipartimento non ha i soldi nel suo budget da spendere per questo. Richiede anche tempo e non possiamo concederci il lusso di pagare gli agenti per allenarsi o dar loro dei giorni liberi. 4. Abbiamo già il nostro programma di addestramento “interno”. È più che adeguato e soddisfa tutto ciò di cui abbiamo bisogno senza tutte le complicate, obsolete e pericolose tecniche di Arti Marziali. 5. Siamo dotati di una grande quantità di armi (letali e non), quindi non dobbiamo perdere tempo imparando tecniche inutili a mano nuda delle Arti Marziali. 6. Solo un agente di Polizia può insegnare a un altro poliziotto. I civili non comprendono i nostri doveri e le situazioni in cui ci troviamo. Durante il mio decennio di carriera nelle Arti Marziali applicate alle forze di sicurezza, ho sentito tutti questi argomenti (e varianti degli stessi) ripetuti

“Credo che l’evidenza sia a schiacciante favore dell’allenamento dei poliziotti, ma non necessariamente in ciò che consideriamo le Arti Marziali “Tradizionali” in numerose occasioni. Ciascuno di essi contiene una “parte” di verità, ma tutto può essere confutato in maniera intelligente e convincente. Tuttavia, prima di fare questo, diamo un’occhiata agli argomenti espressi dagli istruttori di Arti Marziali, a favore dell’allenamento delle Arti Marziali per gli agenti di Polizia: 1. Le Arti Marziali sono state create per il combattimento fisico: nel campo di battaglia, in casa, per la strada, in montagna o al mare… cosa volere di più? 2. Sono una cintura nera specializzata e un istruttore riconosciuto. Sono perfettamente qualificato per insegnare alla Polizia a difendersi e ad arrestare i delinquenti. 3. Sono (o sono stato) un campione che ha vinto molti incontri e senza

dubbio posso insegnare agli agenti a vincere per la strada. 4. L’allenamento delle Arti Marziali fornisce disciplina, fiducia in se stesso, condizione fisica, autocontrollo e altri benefici molto importanti e auspicabili nel lavoro del poliziotto. 5. La mancanza di un addestramento adeguato e di abilità tattiche difensive si tradurrà in più traumi per gli agenti e gli individui con cui avranno a che fare. Ciò causerà un aumento delle spese mediche e delle onerose cause legali. 6. La mancanza di abilità a mani nude e di tattiche difensive dell’agente, condurrà inevitabilmente a un uso più inopportuno e ingiustificato della sua arma da fuoco e si altre armi. Ancora una volta, nel corso degli anni ho sentito (e utilizzato io stesso) la maggior parte di questi argomenti (Eccetto il 3, perché non sono mai stato un campione). Tutti loro sono in egual misura veri, ma contengono anche delle imprecisioni e delle generalizzazioni che molti istruttori ignorano per convenienza. Credo che l’evidenza sia a schiacciante favore dell’allenamento dei poliziotti, ma non necessariamente in ciò che consideriamo le Arti Marziali “tradizionali” e penso che dobbiamo dare ascolto alle preoccupazioni e alle obbiezioni di chi le espone, con una mentalità aperta, senza dover coinvolgere il nostro ego nella discussione e con l’obbiettivo di trovare una soluzione positiva. Pertanto, il nostro compito sarà esaminare criticamente ciascuno dei punti sostenuti da ambo i lati, in modo che si possa affrontare veramente il problema e nello svolgimento, aspettare, istruire e riunire gli istruttori di Arti Marziali e i membri delle Forze dell’Ordine.



Polizia e Difesa Personale Nella nostra interminabile ricerca della verità, adesso riesamineremo entrambi gli aspetti della discussione circa i pro e i contro dell’addestramento degli agenti di Polizia nelle Arti Marziali. Lo faremo nella maniera più obbiettiva e onesta possibile, tenendo presente che, per un essere umano, ci sarà sempre inevitabilmente una certa mole di pregiudizi che influiranno nella mia esposizione delle cose. Dovete essere pronti, perché sarò brutalmente onesto e senza dubbio potrei anche offendere qualcuno di voi lettori. Quindi, eccoci qua.. Primo, diamo uno sguardo alle obbiezioni formulate dai funzionari di Polizia (e anche da alcuni agenti) contro l’allenamento nelle Arti Marziali: “L’allenamento delle Arti Marziali non è realistico. Non riflette la violenza della vita reale in “strada” o in qualsiasi altro posto. Le Arti Marziali non si adattano alle necessità degli agenti” LA MIA RISPOSTA: Purtroppo, nella maggior parte dei casi è vero. Molte Arti Marziali, con la loro enfasi nei Kata, nello sparring controllato, le armi antiche, vestiti tradizionali e i rituali formali, non sono funzionali ne rilevanti per il lavoro della Polizia moderna. Non sono state concepite per esserlo! Le Arti Marziali tradizionali offrono grande beneficio fisico, mentale e spirituale agli allievi (anche agli agenti di Polizia), però la maggior parte delle tecniche non sono adeguate o valide per scopi polizieschi. Altre Arti si concentrano prevalentemente nello “sport” e non nella difesa reale. Anche se possiamo ammirare lottatori di MMA, le loro tecniche non sono appropriate per gli agenti di Polizia. Lo stesso accade con le Arti di “grappling”, che si concentrano quasi esclusivamente a terra e sebbene siano efficaci, non sono rilevanti per il lavoro della Polizia.

“Se le imparano, le useranno. Feriranno le persone e ciò si tradurrà in casi di uso eccessivo della forza e di brutalità poliziesca.” LA MIA RISPOSTA: Vero e falso! abbiamo segnalato in Come precedenza, se l’agente impara l’Arte “sbagliata” e poi la utilizza (perché è tutto ciò che sa), è probabile che ferisca immotivatamente le persone e provochi problemi legali al proprio commissariato. Tuttavia, l’apprendimento del “corretto” sistema di tattiche difensive, in realtà ridurrà sostanzialmente i casi di traumi agli agenti e ai cittadini con cui avranno a che fare. L’uso della quantità proporzionata di forza in modo esatto, ridurrà drasticamente il numero di denunce presentate contro le istituzioni. 3. “L’allenamento è caro. Il Dipartimento non ha i soldi nel suo budget da spendere per questo. Richiede anche tempo e non possiamo concederci il lusso di pagare gli agenti per allenarsi o dar loro dei giorni liberi”. LA MIA RISPOSTA: Cavolate! O si paga subito per l’addestramento, o pagheremo di più per le spese mediche, la perdita di tempo per gli agenti feriti e l’aumento dei costi delle assicurazioni, le spese legali per difendersi contro denunce e richieste di danni da parte dei cittadini feriti. Un Organismo responsabile avrà sempre il denaro stanziato per la formazione o potrà ricavarlo da altre aree del loro budget. Non mi piacerebbe lavorare per un dipartimento che si rifiuta di investire nella sicurezza dei suoi funzionari e della gente della comunità. “Abbiamo già il nostro programma di addestramento “interno”. È più che adeguato e soddisfa tutto ciò di cui abbiamo bisogno senza tutte le

complicate, obsolete e pericolose tecniche di Arti Marziali” LA MIA RISPOSTA: Forse. Molti grandi professionisti, organismi ben finanziati, dipartimenti (principalmente metropolitani) hanno dei programmi di addestramento tattico difensivo in corso, con istruttori competenti a tempo pieno. Ma…, in molti casi, l’allenamento non si svolge con la sufficiente frequenza, ne per le ore che sarebbero necessarie. Inoltre, parlando con centinaia di agenti negli ultimi anni, ho imparato che, in molti casi, l’istruttore è stato scelto per quell’ambito posto, non tanto per la sua conoscenza ed esperienza, ma per altre ragioni come l’anzianità, l’avere un amicizia nelle alte sfere, come un favore speciale e anche se sembra incredibile, anche per la sua incompetenza in altri settori del lavoro della Polizia. Ho anche scoperto che ironicamente, in molti casi, l’unico requisito che l’istruttore doveva avere per ottenere il posto era una Cintura Nera in un’Arte Marziale tradizionale o sport da combattimento, raggiunta molti anni prima. Ora “l’esperto” appena citato, passerà il resto della sua carriera a proteggere il suo “territorio”, facendo il possibile per evitare l’esposizione degli agenti a qualsiasi altra conoscenza e persino, in certe occasioni, disprezzando l’allenamento delle Arti Marziali. “Siamo dotati di una grande quantità di armi (letali e non), quindi non dobbiamo perdere tempo imparando tecniche inutili a mano nuda delle Arti Marziali”. LA MIA RISPOSTA: Di tutti motivi stupidi che ci sono per non addestrare gli agenti alle Tattiche difensive a mani nude, questa è la più assurda…e pericolosa! Le ricerche hanno


dimostrato che, statisticamente, più del 95 % degli scontri che hanno gli agenti di polizia, non sono letali, la maggior parte di essi non richiedono l’uso delle armi. Le agenzie che si preoccupano delle responsabilità legali, degli accordi onerosi e dei disastri nelle pubbliche relazioni, devono considerare seriamente le conseguenze di tale mentalità pericolosa. Non c’è posto per questa in una società moderna e civilizzata, e inevitabilmente darà luogo a tragedie non necessarie. Gli agenti che sono ben addestrati e sicuri delle proprie abilità a mani nude, sono molto meno propensi a ricorrere all’uso indebito di un’arma. “Solo un agente di Polizia può insegnare a un altro poliziotto. I civili non comprendono i nostri doveri e le situazioni in cui ci troviamo”. LA MIA RISPOSTA: Anche se le due affermazioni sembrano sostenersi reciprocamente, la prima è falsa, ma la seconda è giusta. Vediamo la prima. Essere un poliziotto non qualifica automaticamente qualcuno per essere un istruttore professionista, un maestro competente e d esperto in tattiche difensive. In realtà, la maggioranza delle autorità famose e mondialmente riconosciute in questo ambito, sono gli istruttori di Arti Marziali che sono stati nei corpi di sicurezza o hanno studiato in profondità e fatto una ricerca sulla tipologia di scontro fisico a cui sono sottoposti gli agenti di Polizia.


Polizia e Difesa Personale Quei pochi ma veri esperti, sono divenuti puri conoscitori delle Arti Marziali per l’area specifica e limitata delle Tattiche Difensive; si sono trasformati in “specialisti” della materia e sono altamente qualificati per insegnare agli agenti di Polizia in qualsiasi posto. Queste eccezioni, tuttavia, non cambiano il fatto che la maggior parte degli istruttori civili di Arti Marziali non hanno esperienza nel lavoro della Polizia, non hanno familiarità con gli aspetti legali conseguenti e non si sono mai trovati davanti alle situazioni reali “della strada” con le quali hanno a che fare quotidianamente i

funzionari. Abbiamo riesaminato le obbiezioni più comuni sollevate dagli organismi di polizia (generalmente dall’amministrazione) in opposizione agli istruttori di Arti Marziali che insegnano tecniche a mani nude ai loro agenti. Credo che lo abbiamo fatto in maniera corretta e con rispetto, utilizzando la logica e con i fatti, invece che le emozioni e le opinioni. Spero che vi sarete di nuovo dei nostri nel prossimo numero, nella terza parte, il finale di questo argomento, nel quale esamineremo il punto di vista delle Arti Marziali nella discussione e dove andrò a dare le mie conclusioni e alcune possibili soluzioni.






Tutti i sistemi hanno dei limiti e quando devi passare da un sistema a un altro, devi imparare un’altra Arte e questo è ciò che il Kapap cerca di evitare. Questo è il Kapap, combattere faccia a faccia, un ponte tra i sistemi. Il suo fondatore ha coniato una frase il cui concetto viene impiegato da altri stili di arti marziali tradizionali: “Non portare con te un’arma, sii tu stesso un’arma”. Se la tua mente, il tuo spirito e il tuo corpo sono l’arma, tu sarai un’arma ugualmente efficace come quelle che puoi portare con te. Questo DVD della “Avi Nardia Academy”, tratta della connessione tra la “vecchia scuola” di Arti Marziali e il moderno CQB (Close Quarters Battle). L’esperienza come comandante nelle IDF (Forze di Difesa di Israele) e come ufficiale istruttore della principale unità antiterroristica israeliana, hanno insegnato a Nardia che coltivare la mente e lo spirito del guerriero è prioritario rispetto al mero allenamento del corpo. Tra gli altri, studieremo la sicurezza con le armi, i convincenti parallelismi tra lo Iaido e l’adeguato maneggio di un’arma da fuoco. Le armi da fuoco sono quanto di più all’avanguardia in fatto di armamento individuale, ma non sfuggono all’eterna saggezza e alla logica della vecchia scuola. Esercizi di allenamento adattati dal BJJ, esercizi di disarmo e condizionamento intelligente del corpo tramite addestramenti adeguati, con spiegazioni sui benefici e le relative precauzioni. Un DVD educativo, ispiratore, rivelatore, raccomandato ai praticanti di tutti gli stili, antichi e moderni.


REF.: • KAPAP8


Legno I doppi colpi del legno sono buoni per il fegato e la cistifellea. Gli allievi applicati, di certo troveranno numerosi punti di riferimento con i quali farsi un’idea dell’elemento legno. Non c’è da stupirsi, poichè si tratta di un elemento con cui si entra in contatto sin dai primi anni. Se ci facciamo domande su principi e tecniche precise nel Kung Fu, ci scontriamo con le barriere della scienza di alcuni praticanti veterani di Hung Gar. Su internet ci imbattiamo in diversi cicli di elementi o nell’elemento legno, con diversi riferimenti molto coloriti. Come per esempio, all’elemento legno si associa la Primavera o rispetto al combattimento, “l’ascia taglia il legno” (relazione metallo = ascia) oppure “il legno penetra la terra”, ecc. Anche la medicina tradizionale cinese riconosce all’elemento legno una sua corrispondente relazione: il senso che gli corrisponde, ad esempio, è la vista (gli occhi). Per quanto riguarda gli organi, si parla del fegato e della cistifellea come gli “organi legno”, il fegato come organo Yin e la cistifellea come organo Yang. L’orientamento relazionato al gusto che si attribuisce al legno è l’aspro e la sua corrispondenza emozionale è l’ira. Anche se queste descrizioni possono sembrare carine e misteriose o possiedono un fondo di verità in alcuni ambiti, l’allievo serio sa, tuttavia, che l’obbiettivo dei vecchi maestri dell’Hung Gar, quelli che contribuirono alla nascita dello stile di combattimento, era tutto meno che fare descrizioni carine. Facciamo un richiamo alla memoria. A quei tempi, il dominio di una tecnica di combattimento efficiente, non solo portava benefici, ma era una condizione indispensabile per vivere bene. Una cosa sola era importante: il



combattimento efficace per il corpo e il modo di vivere. Come già sappiamo attraverso gli articoli precedenti sui cinque elementi nell’Hung gar Kung Fu, non è per niente facile spiegare che le tecniche e i principi specifici dell’elemento legno, formano l’insieme dei principi nell’Hung Gar. Molti nemmeno sanno cosa significa tutto ciò, semplicemente perchè non hanno ancora raggiunto il livello necessario con il loro Sifu (Maestro). Naturalmente, cercherò di fare la mia descrizione meglio possibile e magari riuscirò a motivare qualcun altro praticante di Kung Fu a lottare per ottenere il livello appropriato e giungere ancora più in alto nel “cammino di Hung”. Come d’abitudine, nell’elemento legno non si tratta neanche di movimenti XY delle mani o dei piedi, ma di una determinata forma di forza specifica che si genera con dei relativi movimenti del corpo. La tecnica dell’animale che meglio si adatta a tale forza del “legno” è quella della gru. Con le tecniche della gru e anche con altre tecniche combinate, si generano esplosioni combattive distruttive, tramite i tendini distesi, che colpiscono rapidi come un fulmine, le quali non richiedono molo sforzo all’esecutore. Si potrebbe pensare che è un mini sistema all’interno dell’Hung Gar: massimo danno all’aggressore con minimo sforzo dell’esecutore. Ovviamente, non esiste una tecnica perfetta e invincibile (in tal caso si dovrebbe imparare solo quella tecnica ed allenarla). I principi e le tecniche legate all’elemento legno nell’Hung Gar – come nel caso degli altri elementi - rappresentano una parte di un sistema quasi perfetto. Che si parli solo di combattimento, di filosofia o di mantenimento della salute. Prima di uscire fuori dai limiti di questo articolo, non voglio abusare oltremodo della pazienza dell’allievo interessato e vado direttamente all’ultimo dei cinque elementi: l’acqua.


Acqua La lunga oscillazione delle braccia dall’alto in basso, rappresenta i forti colpi delle onde dell’oceano. In relazione al nostro corpo, l’elemento acqua è connesso con la vescica e i reni. L’acqua è nella nostra vita uno degli elementi più importanti. Non solo perchè il pianeta in cui viviamo ne è ricoperto per 2/3, ma perchè senza l’acqua potabile, non potremmo sopravvivere che pochi giorni. L’elemento acqua ci si presenta sotto molteplici forme, sia attraverso onde furiose e fragorose, guadando un ruscello, o in un’unica goccia. Questa analogia mostra un fatto già menzionato nell’articolo precedente che naturalmente riguarda anche gli altri elementi nell’Hung Gar Kung Fu. Arrivato al livello di forza e di combinazione di tecniche adeguate, si adatta la “tattica” generale o il “dosaggio” della stessa forza a quella del nemico e alle sue tecniche. Se il mio nemico è morbido e disteso, p o s s o vincere con la pura durezza. Se è


duro e teso, posso vincere con la morbidezza e il rilassamento. Come si è già detto, si può applicare a tutti i cinque elementi, ma l’immagine dell’acqua è quella che rende meglio l’idea. Se paragoniamo il furore del mare con una goccia d’acqua, parliamo comunque delle stesso elemento. Prima di occuparci del tipo di forza, analizziamo il significato generale e medico dell’elemento acqua. Il senso corrispondente di questo elemento è l’udito; la forma estetica di espressione, i capelli e il relativo liquido, la saliva. Per ciò che concerne il senso del gusto, gli si attribuisce il salato; il colore, il nero o anche l’azzurro; la paura è l’emozione a esso collegata. Per quanto riguarda gli organi, si parla sempre dell’acqua in connessione con i reni (organo Yin) e la vescica (organo Yang). Precisamente i reni giocano sempre, da un punto di vista medico, un ruolo molto importante, tra le altre cose perchè proteggono l’essenza della vita. Andiamo adesso all’aspetto proprio dell’Hung Gar Kung Fu. Già sappiamo che il combattimento per la sopravvivenza è il punto centrale di cui ci occupiamo. La forma della forza dell’elemento acqua racchiude in se, naturalmente, un movimento del corpo determinato e astratto. Questo si combina tra gli altri con le tecniche del serpente e con esso, alle posizioni della mano tipiche che rappresentano la testa del serpente. Come ciascuno dei cinque elementi, nell’Hung Gar Kung Fu queste relazioni non si intendono in maniera statica. Sono una delle tante possibilità che sono state create attraverso centinaia di anni di esperienza. Così, si vedono combinazioni tra elementi e tecniche degli animali che sono state sperimentate e hanno senso come la “scuola” stessa, ovvero, nella lotta per la sopravvivenza. È facile capire che queste concezioni ratificate di tecniche e di arti centenarie non si possano apprendere totalmente in pochi mesi o anni. L’Hung Gar Kung Fu offre al praticante serio: salute, comprensione filosofica, un mare di conoscenze e cose da imparare molto, molto in profondità e tutta una vita di apprendimento di cose nuove per capire e migliorarsi. Esattamente come recita il famoso detto: “Il cammino è la meta”.








15 anni fa, nel 1999, il nostro collaboratore abituale, Salvador Herraiz, portò dalla California sulle nostre pagine il maestro Kiyoshi Yamazaki, leader internazionale del Ryobu Kai (Shindo Jinen Ryu), per far si che i lettori di Cintura Nera/Budo International conoscessero questo prestigioso maestro stabilitosi negli Stati Uniti e molto attivo allora nel movimento federale nordamericano. Ora, nel 2104, il maestro Herraiz, dopo un altro dei suoi viaggi oltreoceano, ci porta di nuovo questo Maestro, 9°Dan, questa volta accompagnato da sua figlia Mina, 5°Dan, poichè molte cose sono cambiate nella sua vita di karateka ed è interessante conoscere questa sua evoluzione.

YAMAZAKI, L’ANIMA DEL RYOBU KAI EQUILIBRIO - BUDO – SPORT Di Salvador Herraiz, 7° Dan di Karate Anaheim, California È sabato, una calda giornata nella quale mi sono alzato presto per sbrigare alcune cose a Yorba Linda, nord di Anaheim. Più tardi, mi sono ritrovato con Kitoshi Yamazaki

Il maestro Yamazaki con Salvador Herraiz nel 2014, quest’ultimo di ritorno al Ryobukan Dojo, in California, anni dopo la sua prima visita.


“In Giappone non si discute la tecnica del Kata, si impara e si pratica. Niente di più. Gli occidentali, invece, vogliono farlo a modo loro”


nel suo dojo. È diverso tempo che non lo vedo, quasi 6 anni. F u a To ky o . La prima v o lt a che ho av uto a che fare profondamente con lui è stato proprio qui, in California, nel suo Centro Giapponese, 15 anni fa, nel 1999, anche se lo avevo già conosciuto durante i mondiali in Spagna, nel 1980 (Madrid) e nel 1992 (Granada), ai quali Yamazaki partecipò in veste di arbitro. Euclid Avenue, dove si trova il suo dojo, è una lunga arteria che attraversa da nord a sud non solo Anaheim, ma anche le vicine contee. Il tatami del dojo è lo stesso della v is it a precedente, anche s e la z o na della receptio n è leggermente cambiata. In questa occasione inoltre, Yamazaki Sensei è accompagnato da sua figlia Mina, 5°Dan e una grande campionessa nordamericana, che 15 anni fa era una promessa d’elite, secondo quanto mi diceva suo padre, che adesso è diventata realtà. Kiyoshi Yamazaki è nato il 16 Agosto del 1940 e sin da bambino si distingueva nell’attività fisica. E’ stato un ottimo praticante di atletica (corsa). Le prime tecniche di arti marziali le impara da suo padre, istruttore di Kendo, che è stato molto severo con lui e suo fratello, ricorda Yamazaki Sensei: “Praticavamo prima di andare a scuola, ma anche a mezzogiorno, durante la pausa pranzo e la sera. Erano i tempi nei quali gli errori nella pratica volevano dire ricevere dall’istruttore dei gran colpi di shinai. I miei stili di Iai Do sono stati Omori Ryu e Kashima Shinto Ryu”. È nel 1956 che il giovane Kiyoshi si introduce al Karate sotto la direzione di Yasuhiro Konishi (1893-1983), uno dei maestri più influenti nello sviluppo del Karate e dall’alto della sua posizione, grazie al suo ottimo livello in discipline come il Jiu Jitsu e il Kendo, ha fatto si che la nascente arte venuta da Okinawa, potesse aprirsi la strada nell’isola principale. Yamazaki Sensei riconosce l’importanza del suo maestro nello sviluppo del Karate. “Yasuhiro Konishi stabilì le basi per un programma didattico nel Karate del Giappone. Konishi era un grande praticante di Karate e anche di spada. A Okinawa, il Karate non era uno sport, era un’arte marziale per la difesa personale. Nell’isola principale del Giappone, il Karate iniziò a definirsi e a strutturarsi. I maestri di Okinawa si unirono a Konishi Sensei nel suo sviluppo in Giappone, poichè anche se non avevano nulla in contrario, c’era una certa preoccupazione per le due strade distinte che il Karate avrebbe preso”. Nel 1924, in effetti, Konishi apre le porte non solo del suo dojo, ma anche dell’Università di Keio, a Tokyo, a Gichin Funakoshi, che insieme a Hironori Ohtsuka lo vanno a trovare in cerca di supporto. Keio, come abbiamo spiegato in altre occasioni su Cintura Nera/Budo International, sarebbe diventato il primo club universitario di Karate, dove ancora oggi praticano alcuni grandi veterani karateka che negli anni 50 erano discepoli di Gichin. Yasuhiro Konishi, che da bambino aveva praticato el Muso Ryu Ju Jitsu, il Kendo, il Takeuchi Ryu (un’arte simile al Karate) e l’Aikido, aveva creato un anno prima la sua scuola Ryobu Kai, per l’Eccellenza nelle Arti Marziali, sviluppando il proprio stile, denominato Shindo Jinen Ryu (“Tecnica della mano vuota naturale e compassionevole”) su suggerimento di un altro dei suoi illustri amici, Morihei Ueshiba. Fu curioso il fatto che un Karateka come Kiyoshi Yamazaki venisse sospeso in ben 3 occasioni durante il



suo esame per il 1°Dan. Andò così: “Erano tempi in cui non si discuteva ne si f a c e v a n o domande tanto per fare all’istruttore. Quello che diceva lui era legge, punto. Passarono molti anni senza sapere il motivo della mia sospensione, fino a che 30 anni più tardi ho saputo che fu per eccesso di confidenza”. Interessante, molto interessante, tenendo presente che, per esempio, il maestro Hironori Ohtsuka ha sempre parlato dell’eccesso di confidenza come uno dei mali del Budo, insieme al disprezzo, la collera, il timore, ecc... Yamazaki riconosce nelle vecchia forma di esaminare un maggior realismo: “A quell’epoca non si potevano preparare gli esami durante i mesi precedenti, perchè si sapeva la data solo un paio di giorni prima. Quello ti obbligava a essere sempre preparato, il che è più reale”. Sono d’accordo. Nel 1962, Kiyoshi Yamazaki ottiene il suo diploma di insegnante e su consiglio del suo maestro, si reca a Okinawa per perfezionare le sue tecniche di Kobudo. La grande amicizia del suo istruttore di Kobudo con il maestro Shuguro Nakazato fece si che quello divenne il suo obbiettivo

In alto a sinistra: Kiyoshi Yamazaki nel suo lavoro di consulente cinematografico. In alto a destra: Yamazaki Sensei, come allievo di Yasuhiro Konishi. Sotto: Yasuhiro Konishi con Choki Motobu (foto a sinistra) e con Kenwa Mabuni (foto a destra)

principale nella piccola isola: “Fu molto interessante per me. Allora ero giovane e forte. Ho potuto unirmi a maestri come Shuguro Nakazato, con il quale ho avuto l’opportunità di praticare armi come il Sai, il Bo, Tonfa, Nunchaku... Lì ho anche conosciuto il suo allievo Tadashi Yamashita, che non rividi per diversi anni, fino a che in un’occasione, in California, ci siamo ritrovati a un evento”. Infatti, anche Tadashi Yamashita si stabilirà nella terra delle opportunità, dove inoltre, parallelamente, parteciperà a film di un certo successo, come con la sua buona parte come il pericoloso ninja Stella Nera nel film “Guerriero Americano”, con protagonista Michael Dudikoff, o anche insieme ad altri importanti maestri di Karate, come Fumio Demura e Tak Kubota, nel film “Sol Levante”, con Sean Connery e Wesley Snipes. “Quando ci siamo conosciuti, Yamashita faceva lo stile di Nakazato, poi cambiò le cose in una forma più libera, più eclettica. Ci sono molti dojo a Naha e durante il mio viaggio sono stato anche da Shoshin Nagamine, Kenei Uechi... Quest’ultimo faceva un tipo di kumite a corta distanza e molto forte. Ricordo bene la grande umidità che c’era sull’isola, per cui ci si allenava a torso nudo”. La sua permanenza a Okinawa diede l’opportunità a Yamazaki di conoscere altri aspetti più nascosti del karate. “Laggiù si praticava anche la notte, senza neppure la luce e compresi molte cose insite nei kata riguardo il combattimento notturno. Anche per quanto concer ne la pratica in differenti spazi e terreni. Molto interessante”. A tal proposito, il sottoscritto vi rimanda alla rilettura dell’articolo scritto anni fa sul Karate nel Castello di Shuri, nel quale parlo di questo tipo di tecniche di combattimento notturno inclus e nei kata, co s ì co me

dell’influenza dei diversi spazi e anche di terreno in alcune di esse. Il Karate non è fatto per essere praticato solo su una superficie pulita e piana, ma anche su un suolo sterrato, pieno di ostacoli, ecc..., il che si riflette persino in alcune t ecniche tradiz io nali. È qualcosa di cui si parla poco, perciò mi ralleg ro che Yamaz aki S ens ei adesso lo menzioni. Con l’inizio dei suoi studi di Economia all’Università di Senshu, Yamazaki deve praticare Karate nel gruppo Shotokai, condotto dal Maestro Shigeru Egami. Yamazaki si mette sotto la direzione di Motonobu Hironishi e si allena insieme al grande leader Taiji Kase. Quello sarà per lui anche un grande cambiamento nella pratica del Karate, tenendo presente le grandi differenze dello Shotokai con il Karate al quale Yamazaki era abituato e nel quale era divenuto uno dei più apprezzati campioni di Tokyo. “Lo Shotokai aveva molte differenze con l’altro Shotokan. Lì non era prevista la competizione, neppure il combattimento libero. Ciò che più gli somigliava, a livelli alti, era la pratica dell’Ippon Kumite libero (difesa di fronte a un attacco)”. Nel 1964, dopo la sua laurea universitaria, Yamazaki tor nerà al capezzale del suo vecchio maestro, Yasuhiro Konishi. Potremmo riassumere la forma tecnica di Konishi e il suo Ryobu Kai come un compendio di insegnamenti di Gichin Funakoshi, Choki Motobu e Kenwa Mabuni. Nel 1968, su invito di Dan Ivan, Yamazaki si reca negli USA per insegnare il Karate, installandosi in California, dove comincia a dare lezioni al Citrus College. “Furono bei momenti. Mi suggerì lui di andare in America. I miei colleghi si comportarono molto amichevolmente. Dentro il dojo il comportamento deve essere da Sensei, ma fuori si può essere amici”. Yamazaki percepiva quei momenti come qualcosa di buono e nel suo nuovo paese impartì delle lezioni all’Università di California Irving; nel Dipartimento di Sheriff...e naturalmente nel dojo che molto presto apre ad Anaheim. “Erano tempi in cui le gente pensava al Karate come una cosa utile per rompere le tavolette e i mattoni. Quando sono arrivato in America ho dovuto fare anche questo. Era la maniera per richiamare l’attenzione e raggiungere un consenso di praticanti, coloro ai quali poi insegnerò il Karate per quello che è. Le tavolette e i mattoni non attaccano la gente...” Nel 1970, per via del primo Campionato del Mondo celebratosi a Tokyo, Yamazaki Sensei è membro del Comitato che selezionerà gli atleti della Yasuhiro Konishi e Kiyoshi Yamazaki negli anni '60.


nordamericana. rappresentativa Yamazaki ha sempre cercato il difficile equilibrio tra il Karate tradizionale e quello sportivo. “Sono d’accordo per il Karate sportivo, sempre e se si mantiene il vero spirito dell’arte marziale”. Giusto, anche se personalmente vedo molto complicato riuscirci. È quasi come voler dire che lanciandosi da un 5° piano non succede mai nulla, se si è in grado di controllare la caduta una volta a terra!!! Ma rispetto molto il lavoro di Yamazaki in questo senso, che per molti anni ha combattuto per questo traguardo che ora, senza dubbio, un giapponese è più vicino a raggiungere.

“Il modo di essere giapponese è un’altra cosa...” ammetteva Yamazaki tempo fa – “In Giappone non si discute la tecnica del Kata, si impara e si pratica. Niente di più. Gli occidentali, invece, vogliono farlo a modo loro. Lo Iai Do, ad esempio, bisogna intenderlo come una meditazione in movimento. Non si tratta di un combattimento con la spada. Gli Occidentali vogliono sapere il significato dei movimenti, per cui è stato necessario elaborare tecniche di applicazione”. Infatti, nel Kyudo, per esempio, i grandi maestri hanno sempre sostenuto che non era questione di colpire il bersaglio o meno, poichè non si trattava

di quello, bensì della procedura, del gesto, della respirazione, della concentrazione...e gli effetti che tutto ciò produce in colui che scocca la freccia, senza preoccuparsi di dove va o di chi la riceve. Tutti conosciamo, d’altra parte, la famosa frase di Kenwa Mabuni: “Il Karatedo è Zen in movimento”. Ma un’altra cosa è che, forse, per la maggior parte non rimane che questo, una frase, ben lontana da un’intenzione reale di vivere la pratica del Karate per ciò che è. Ancora una volta ci imbattiamo ad una delle tantissime frasi ad effetto che ci colpiscono, ma poi ci dimentichiamo tutto nel momento di di conseguenza. agire


Però...continuiamo con il nostro protagonista, Kiyoshi Yamazaki. 11 anni fa, nel 2011, ho attraversato in auto, con alcuni amici, la Valle della Morte (Death Valley), tra la California e il Nevada. Citando il fatto ricordo che Kiyoshi Yamazaki, insieme al mio stimato amico, il Maestro Fumio Demura, aveva attraversato la stessa valle quarant’anni prima, nel loro caso a piedi. La loro impresa mi ha sempre incuriosito, per cui chiedo a Yamazaki Sensei di parlarmene: “Come sai, Fumio Demura ed io eravamo entrambi patrocinati da Dan Ivan. Facevamo delle attività congiunte e partecipavamo ad eventi che organizzava Ivan. Fu molto divertente. Passammo due giorni a correre nella Death Valley. Venne anche il maestro di Judo Hiraoka. Ricordo che a un certo punto salimmo sul furgoncino di appoggio che ci raccolse completamente morti, distrutti...e Demura Sensei era andato in bagno. Ci

caricarono tutti sul veicolo e Demura saltò fuori correndo dietro di noi, perchè ce ne stavamo andando. Abbiamo riso molto di quell’episodio. Ma fu davvero dura. In certi frangenti eravamo al limite dello svenimento”. In quegli anni Yamazaki e Demura avevano ottimi rapporti, cimentandosi assieme persino nelle famose dimostrazioni al Japanese Village a Deer Park, un centro culturale nipponico ad Orange County, California. Precisamente il giorno dopo questa chiacchierata con Yamazaki Sensei, sarei andato da Sensei Demura, al suo dojo poco lontano da qui, a Santa Ana, con il quale ricorderò la sua traversata della Death Valley, insieme a Yamazaki. Gli anni ’80 furono delicati per Kyoshi Yamazaki, tanto che egli li descrive come i peggiori della sua vita: “ho avuto tre momenti cruciali che considero i peggiori della mia vita. All’inizio degli anni ’80, a Seattle (Washington) fui vittima di un incidente molto grave, per cui sono stato due mesi in ospedale. Fui sul punto di rimanere paralizzato e dovetti imparare di nuovo a camminare. Persi addirittura la memoria per alcune settimane. Fu terribile. Un momento davvero brutto della mia vita. Ne ebbi un altro in Inghilterra, durante un duro allenamento con gente di vari paesi dove mi prese un attacco d’asma che mi fece passare un pessimo quarto d’ora. Un terzo momento terribile fu quando a Palm Springs presi la meningite e il mio cervello rimase danneggiato. Sono stati senza dubbio i tre peggiori momenti della mia vita”. Ma il decennio degli ’80 portò anche grandi opportunità a Yamazaki Sensei, che, già conosciuto in Nordamerica per il suo lavoro a favore del Karate, venne coinvolto nel mondo del cinema, come il suo amico Demura, nel suo caso di stanza nella vicina Santa Ana, sempre in Califor nia. Yamazaki da lezioni di combattimento e di spada niente meno che a Arnold Schwarzenegger, che nel 1982 gira negli Usa, Messico e Spagna il film “Conan il Barbaro”, nel quale anch’egli appare. Il maestro di karate apparirà anche gli anni seguenti in altre produzioni made in Hollywood, come il sequel “Conan il Distruttore”, con lo stesso Ar nold protagonista, in “Red Sonja”, “Dune”, “The Fall Guy” “Beast Master”, o più tardi, nel 1996, nel famoso film “Dragonheart” (con Dennis Quaid). Yamazaki lavorò anche per la televisione, in serie come Conan “The Adventurer”, con Ralf Moller (compagno di set di Dolph Lundgren e Jean Claude Van Damme in “Universal Soldier”), il che gli diede l’opportunità di lavorare insieme a un altro dei consulenti, il Conan originale, Arnold Schwarzenegger. La sua incursione nel mondo del cinema rese possibile a Yamazaki l’insegnamento del Karate a personaggi famosi come Witt Chamberlain, Brad Dourif, Sandal Bergman, Richard Hatch, Sean Connery, persino l’esplosiva Brigitte Nielsen, l’inquietante Grace Jones e addirittura il grande Sting. Yamazaki mi confessa che... “Oggi come oggi il cinema l’ho abbandonato. Non partecipo più ad alcun film. Sono concentrato sullo sviluppo del Karate, di un Karate personale, per me stesso. Insegno anche Iai Do, arte nella quale ho molti discepoli”. In effetti, Yamazaki Sensei è arrivato a creare anche una organizzazione di questo sistema, la Iai Do Tate Federation. Yamazaki adesso ha 74 anni...portati molto bene. È, lo è sempre stato, una persona gentile ed elegante nelle sue maniere, nel suo modo di parlare e agire e anche nel vestire, molto giovanile e moderno. Tranta e più anni fa, nel 1983, dopo la morte di Yasuhiro Konishi, suo figlio Takehiro, nato nel 1931, aveva iniziato la seconda generazione del Ryobu Kai, nella quale Yamazaki esercita una grande influenza, in qualità di leader principale per l’estero e anche nello Yasuhiro Konishi II (Takehiro) e Salvador Herraiz, Ryobu Kai a Tokyo nel 2008.


stesso Giappone. Per lui... “La prima generazione praticava più Karate e nella seconda si sono aggiunte più parti di Kobudo (Bo, Kama, Tonfa...)”. Per sapere di più su Takehiro Konishi (noto anche come Yasuhiro II), sul Ryobu Ryu in generale e sul suo fondatore, suggerisco ai lettori un ripasso della rivista Cintura Nera/Budo International, nella quale nell’anno 2010, il sottoscritto ne parla ampiamente dopo le mie visite al suo dojo, a Tokyo. Kiyoshi Yamazaki è stato per molti anni Direttore Tecnico della Federazione Nazionale degli USA e Membro del Comitato della Federazione Mondiale (WKF). L’ultima volta che l’ho visto in quelle vesti è stato al Campionato Mondiale di Tokyo, nel 2008, in cui

entrambi abbiamo parlato animatamente sul Ryobukai, dopo la mia visita dei giorni prima al maestro Takehiro Konishi nel suo dojo della capitale nipponica, visita della quale lui stesso era già al corrente. Dopo, la vita di Yamazaki Sensei è cambiata. Come è la vita fuori dal Comitato Tecnico WKF? “Ero stanco di tanta politica nella WKF e volevo occuparmi soltanto del futuro del Karate. Non voglio più fare politica, voglio solo insegnare. C’è troppa politica, in ogni paese ce n’è, anche nella stessa WKF... Non ho bisogno della politica. Insegno Karate nelle sue diverse forme, come un percorso educativo, con una filosofia, una storia... Mi preoccupo della tecnica, non della politica”.

Yamazaki, come per il Karate sportivo in generale, è sempre stato d’accordo per un Karate Olimpico, sempre e se verranno rispettati i valori tradizionali così importanti. Yamazaki ha sostenuto continuamente che... “Se si insegna come si deve, le possibilità di un Karate olimpionico sono buone e questo porterebbe maggiori introiti da parte di ciascun paese, ma bisogna fare attenzione che il vincere una medaglia non diventi l’unico obbiettivo dell’atleta e quindi si smarrisca il vero spirito”. Al giorno d’oggi, Yamazaki Sensei conserva questa convinzione, anche se sente che il Karate non sta ricevendo l’appoggio sufficiente da parte dei rispettivi paesi. D’altra parte, egli è meno coinvolto, come abbiamo già


detto, nella politica del Karate e si limita a mantenere l’equilibrio tra quella versione del Karate e l’alrte marziale tradizionale in tutti i suoi elementi. Senza dubbio, su ciò influisce anche la situazione di sua figlia. Infatti, 15 anni fa, proprio qui dove ci siamo incontrati oggi, Yamazaki Sensei mi parlò delle sue figlie karateka. Una di loro, Mina, me la nominò perchè a 14 anni si metteva già in bella evidenza nelle competizioni, allora nelle categorie giovanili. Sono passati gli anni e quella ragazzina è diventata una donna molto apprezzata nei circuiti competitivi nazionali, sia nel Kumite che nel Kata. Mina Yamazaki è diventata inoltre, colei che attualmente si occupa della gestione quotidiana del dojo, poichè suo padre si è in parte ritirato da quella prima linea, a Palm Springs, suo luogo di residenza. Mina ascolta attentamente suo padre durante la nostra conversazione e quando chiedo nello specifico di lei a Kiyoshi Sensei, questa si mostra interessata alla risposta che egli da ed entrambi aguzziamo la nostra attenzione. “Mia figlia è impegnata nell’agonismo, ma nonostante ciò pratica il Budo, unendo entrambe le

“Se si insegna come si deve, le possibilità di un Karate olimpionico sono buone e questo porterebbe maggiori introiti da parte di ciascun paese, ma bisogna fare attenzione che il vincere una medaglia non diventi l’unico obbiettivo dell’atleta e quindi si smarrisca il vero spirito”

correnti. Credo in un Karate educativo, con un programma. La WKF si occupa del karate come sport e io mi preoccupo più di una corretta istruzione, degli insegnanti. È molto importante che questi insegnino adeguatamente il Karate, sia in uno o nell’altro dei suoi percorsi, come sport, come difesa personale... è lì che rivolgo tutti i miei sforzi”. Intravedo il momento appropriato per affrontare un tema delicato. Se i due desiderano salvaguardare la tecnica del Ryobu Kai, mi domando come conservano l’equilibrio tra quello e i kata da competizione utilizzati da Mina Sensei, nei quali è normale che le posizioni e altri gesti tecnici vengano forse troppo enfatizzati, per dare la kata stesso una maggiore spettacolarità o per lo meno un segno distintivo, ovviamente più apprezzato dai giudici. Kiyoshi Sensei mi spiega: “In un campionato non si vuole perdere, per quello, in effetti, i kata sono differenti. I kata da competizione sono più belli ma in realtà non sono così. A Okinawa, i kata sono molto tradizionali. É un bene che ci siano due modi di



eseguirli, ma in verità vorrei preservare il vero senso del kata”. Voglio insistere sull’argomento e sull’opinione del Maestro riguardo a quei cambiamenti in cerca di una più elevata spettacolarità, che senza dubbio vede nei kata competitivi di sua figlia, ma dei quali ne accettano il carattere sportivo. Per Kiyoshi Sensei...”I diversi kata possiedono diverse varianti. Nella WKF si fa in una maniera e nel Ryobu Kai in un’altra e in realtà...non è necessario metterli in competizione”. Vedendo che Yamazaki Sensei ha evitato di parlare direttamente di sua figlia e di quelle “varianti di kata” realizzate dagli agonisti, ora desidero sapere l’opinione di sua figlia su di lui. Cosa vuol dire esser stata ed essere la figlia del Maestro?

“E’ stato difficile per le aspettative che si sono create, per la pressione che ho avuto e che ho. Do il mio contributo al Ryobu Kai, all’associazione. Il mio contributo non è molto grande, ma c’è. Poi, d’altra parte, sono nella WKF, e mi alleno duramente per le competizioni. Per me, lui è più mio padre che il Sensei, anche se se in un certo senso sono la stessa cosa. Mi sento molto fortunata. Logicamente, lui mi conosce molto bene, è mio padre! E sa subito ogni mia situazione particolare. In casa è stato ed è mio padre, nel dojo è il mio Sensei. Gareggiando molto spesso, me lo sono trovato davanti, nelle sue vesti di tecnico federale. L’ho visto al tavolo e questo è un po’ curioso. Mi ha visto all’opera e non si è mai arrabbiato con me, anche se sovente mi dice che ciò che devo migliorare”. Ora il Maestro, suo padre, ci interrompe per chiarire che sua moglie, la madre di Mina... “di solito non la vede gareggiare, perchè la emoziona tantissimo”. Come è logico che sia, Mina Yamazaki ha vissuto il Karate sin dalla nascita. Lei ammette... “Non ricordo un inizio nel Karate. Vedo le foto, i ricordi, la gente che dice cose...ma per me non c’è un inizio esatto. Il Karate è la mia vita”. Mina Yamazaki è ancora molto giovane, ma quando le domando del momento migliore che ha vissuto, mi risponde con un laconico... “Il mio miglior momento ancora non è arrivato”, di fronte al quale non posso che augurarle che, al contrario, il suo peggiore lo abbia già passato, al che mi confessa: “Il mio peggior momento è stato un paio di anni fa, durante alcuni seminari di Ryobu Kai con mio padre, in Venezuela. Lo accompagnai per dovere, anche se a breve avrei avuto la mia grande opportunità per il mondiale

di Parigi 2012. Stetti malissimo, presi la malaria, con febbre molto alta e quello mi impedì di andare a Parigi. Mi sentivo davvero male, perchè a causa di ciò sentivo che stavo perdendo la mia grande occasione e anche se ho aiutato altri a realizzare il proprio sogno, mi sentivo molto depressa per non poter realizzare il mio”. La verità è che mi sorprese la mancanza di Mina al Campionato di Parigi, ma in quel momento non ero a conoscenza dei motivi della sua assenza. Da parte sua e al contrario del padre e suo maestro, Mina Yamazaki non è mai stata attratta dal mondo del cinema e della TV. “Io non faccio film. A me piace la radio, dove non si mostra la faccia e dove si può lavorare vestiti normalmente e senza necessariamente essere truccata”. Mina, tu hai lavorato molto in radio e ancora lo stai facendo. Che genere di programmi hai fatto? “Programmi di intrattenimento la mattina, in cui si fanno scherzi agli ascoltatori, ecc...” Riconosco il format, perchè in Spagna ce ne sono di simili. Entrambi, padre e figlia, lavorano gomito a gomito per lo sviluppo del Ryobu Kai, in una organizzazione che ha membri in numerosi paesi, come Venezuela, Bahamas, India, Regno Unito, Germania, Svezia, Francia, Israele, Messico, Canada, ecc... e alla quale auguriamo il meglio, così come in generale per il ruolo che gli Yamazaki si sono accollati, in relazione a quel Karate che, senza perdere i valori tradizionali marziali, si propone in un difficile equilibrio con il Karate sportivo, il cui spirito spinge ad essere migliore degli altri, invece di preoccuparsi solo di migliorare personalmente. Buona fortuna in ogni caso e il mio ringraziamento per la cordialità con cui vengo accolto in casa sua, nel suo dojo, nel Ryobu Kai.


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L’importanza dello Shingitai Dopo la morte di Yoritomo, la carica di Shogun perse molto del suo potere per la mancanza di una figura di riferimento capace di replicare la sua integrità. Lo spirito del samurai era lo spirito dell’auto sacrificio, in quanto le sue virtù erano quelle necessarie per un guerriero efficace. La protezione e la conservazione di tutti questi valori in un’era moderna, si esprime attraverso aspetti essenziali. In tempi di guerra, i pensieri sono sempre rivolti alla morte. Tuttavia, per la cultura che si è sviluppata nel Giappone di quegli anni, maggior enfasi veniva data al modo in cui si affronta la morte. La opzione dell’eviscerazione – il Seppuku, una dolorosa forma di suicidio e per l’Occidente, un rituale singolare – ha radici profonde nella cultura giapponese. Il basso ventre, lo “hara”, oltre ad essere il luogo in cui si concentra il coraggio, è considerato la sede della coscienza terrena, della mente o dello spirito. È il punto, nell’essere umano, dove nascono e si uniscono le energie spirituali e materiali. In Occidente spesso si sente dire da persone di origine

“La parola “shingitai significa: “shin” – cuore, sentimento; “gi” – tecnica e “tai” – corpo” anglosassone “leggere la mente” di qualcuno, per conoscerne o vederne i sentimenti; ma i giapponesi utilizzano l’espressione “Hito no hara wo yomu”, che significa: leggere nello hara o nell’addome di un altro. Il samurai non soltanto moriva di buon grado sul campo di battaglia ma, per la saggezza e l’onore di suo stesso pugno e spada, si uccideva quando falliva una missione importante o quando commetteva un crimine che portava disgrazia al proprio clan o al suo nome. Questa propensione al suicidio forse è uno dei grandi esempi che può descrivere la differenza esistente tra il pensiero classico in Giappone e in Occidente.

Comunque, sia nelle sue credenze spirituali che nelle proprie abilità guerriere, il samurai sapeva che la morte non era la fine dello spirito e nemmeno dell’esistenza terrena. Anche il più insignificante dei dettagli quotidiani veniva vissuto dal guerriero come se ogni giorno fosse l’ultimo. Molte volte, nel fragore della battaglia, coscio che la sconfitta era imminente, il samurai si ritirava in un luogo tranquillo e distante dagli orrori della guerra, per porre fine alla propria vita. Il nemico non lo perseguiva, anzi, in segno di sincera riverenza, gli dava modo di compiere il suo ultimo atto di lealtà. Il processo evolutivo verso la tecnologia è stato una spirale ascendente di nuove scoperte, progressi e trasformazioni drammatiche. Nel passato, quando venti, freddo e caldo distruggevano la salute dell’essere umano, si vestiva la nudità e si creavano rifugi come mezzi di protezione. Ai giorni nostri, attraverso l’evoluzione naturale, l’uomo ha scoperto cose nuove e ha dimenticato però che tali nuove scoperte dovrebbero essere accompagnate nel proprio



“io interiore”. Lealtà, cortesia e valori rappresentano ideali elevati e nobili, ma si concentravano sui campi di battaglia e il samurai veniva riconosciuto per la sua abilità in combattimento. Lo studio intenso del Bujutsu perfezionava lo spirito, ma solo per affrontare la morte senza paura e per distruggere il nemico. A quei tempi la parola cinese “BU” era associata solamente alla guerra. Tuttavia, secondo gli antichi insegnanti, la traduzione più affidabile è “gover nare e proteggere il popolo”, per così costruire una società più solida. La spada era il simbolo della classe dei samurai – un’opera d’arte meravigliosa e raffinata. Una eccellente spada fabbricata dal più famoso artigiano dell’epoca, poteva rappresentare il bene più prezioso, anche più della stessa vita. Prima di fabbricare ciascuna lama, il forgiatore, o maestro spadaio, ripuliva corpo, mente, spirito e lo spazio intorno a lui, con l’antica cerimonia scintoista del “Misogi”, o purificazione. L’acciaio era purificato dal fuoco e dall’acqua, mentre veniva battuto per far si che tutte le scorie fossero eliminate. Quando la spada si

utilizza in maniera adeguata e efficiente, i movimenti del corpo devono essere eseguiti con naturalezza, secondo le regole artistiche della linea e del movimento, così come l’uso equilibrato dello spazio. Attualmente, con il capitalismo a fior di pelle, gli uomini si armano di parole e strategie che annichiliscono coloro che ancora possiedono dei buoni pensieri. Tuttavia, in un ciclo naturale, ascesa e caduta sono fatti abituali al cospetto di tali comportamenti. Per coloro che sono in pace, tali fenomeni vanno e vengono con calma, al contrario, altri devono fronteggiare la loro stessa tempestosità. L’evoluzione è necessaria, ma il vecchio sarà sempre presente. Sia nei concetti, nelle parole, nel linguaggio, nei pensieri o ragionamenti: in tutti i casi, l’evoluzione è soltanto una conseguenza del buon apprendimento. Una delle più nobili aspirazioni umane nell’era feudale era controllare e trascendere la propria tendenza all’aggressività, canalizzandola in un modello di arricchimento spirituale. Pur riconoscendo l’efficacia delle armi da fuoco, molti guerrieri e

strateghi riservavano il loro uso per le rivolte contadine e per i JiSamurai, soldati di categoria inferiore che non appartenevano alla casta dei samurai. Con orgoglio ed eleganza ancora intatti, andavano al fronte impugnando due spade. Possiamo citare tre grandi leader di quell’epoca che caratterizzarono il percorso storico del Giappone: Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu. L’idea era unificare il Giappone in un potere centrale e porre fine all’anarchia. Iniziato da Oda Nobunaga e proseguito da Toyotomi Hideyoshi, tale obbiettivo divenne finalmente realtà grazie al pugno di ferro di Tokugawa Ieyasu. La parola “shingitai significa: “shin” – cuore, sentimento; “gi” – tecnica e “tai” – corpo. Per la classe imprenditoriale, che credeva in una nuova epoca all’insegna dell’ordine, della pace e della prosperità, quello era il punto di partenza, poichè certi concetti si videro solo a partire dal Bakufu di Kamakura. In qualità di uomo dalla grande comprensione umana e di strategia politica, lo shogun Tokugawa promosse



numerose riforme. Ma il Giappone era malato e debilitato dopo tante guerre. A quell’epoca, il Bujutsu soffrì dei cambiamenti sottili ma profondi. Molti dei grandi maestri degli antichi “Ryu” marziali avevano presenziato allo sviluppo delle armi da fuoco, così come al nuovo stile di guerra e di strategia scaturito da queste. Perciò comprese che l’arma da fuoco non era la fine bensì l’inizio di una nuova era e di un nuovo tipo di guerra ancora più devastante. Pertanto, noi, praticanti di spada e bujutsu, cosa ci possiamo aspettare da questa nuova era? Il concetto di armonia potrebbe interpretare i desideri che questa nuova era ha portato ai nostri cuori. In quell’epoca, dopo aver compreso ciò, gli studiosi classici si sarebbero rifatti agli studi della cavalleria e della protezione. Lo stesso coraggio, pace e onore, ora si sarebbero impiantati in una nuova forma di guerriero, che avrebbe portato al Giappone la tranquillità e l’armonia sociale. Come sarebbe per noi, ai giorni nostri, creare questo genere di guerriero? Per noi, l’arte della spada e del Koryu sarà sempre unita al cuore, alla tecnica e al

“Il basso ventre, lo “hara”, oltre ad essere il luogo in cui si concentra il coraggio, è considerato la sede della coscienza terrena” corpo. In questo modo, esisterà sempre lo “shingitai”, anche se il mondo fosse colmo di pace, poichè amore e odio si originano nello stesso posto e ognuno di loro possiede la sua peculiare maniera di agire che si manifesta in un corpo. Per quelli che ancora cercano sentimenti ostili, lo “shingitai” potrà manifestarsi in varie forme, ma non cesserà di esistere. Per coloro che vedono nella spada un’estensione del

proprio carattere, sarà dal suo “hamon” (uno dei caratteri distintivi della forgia della spada) che misurerà la sua intensità, ovvero, al suo interno risiederà la forza e la necessità del nondimenticare se stessi. La nomenclatura delle tecniche insegnate nelle arti marziali giapponesi è un tema al contempo interessante e polemico. La polemica si deve all’apparente arbitrarietà con cui determinati movimenti marziali vengono nominati in molte scuole, il che, molte volte, genera confusione e dubbi. Ciò che i ferrei difensori delle forme antiche sostengono è che molto delle tradizioni si perde nell’alterare la nomenclatura originale. Senza dubbio, si tratta di un processo dinamico, somigliante a ciò che accade con lo stesso linguaggio di un popolo. È normale che le generazioni più datate si scontrino con la quantità di neologismi che nascono di continuo e con la poca conoscenza dei termini in “disuso” da parte dela gioventù. Questo conflitto esisterà sempre. Il problema sorge quando si altera non soltanto la forma ma anche il contenuto. Allo stato attuale, ci siamo stancati di vedere le arti



tradizionali dissolversi per l’indifferenza e l’omissione da parte di determinate scuole che si allineano alla modernità, alterando la nomenclatura e la direzione dei movimenti, per la necessità di evolvere i loro metodi. Secondo il nostro modo di vedere, le stesse forme di attacco e difesa, che siano armate o meno, sono caratterizzate dal modo di utilizzo e dalla nonalterazione della loro continuità. È un fatto che la loro metodologia e sistema di trasmissione devono, sempre che sia possibile, essere pulite e rimodellate, ma l’alterazione e l’innovazione di determinati movimenti incorrono spesso nella perdita di carattere di questo o quello stile che, in qualche maniera, è arrivato ai gior ni nostri. Tutta quella categoria di studi effettuati nel Medio Evo dagli importanti Ryu, corrisponde alla forma diretta di esecuzione, senza una precedente preparazione. Con le imminenti esperienze, la necessità della creazione di metodi che rendessero più efficace la comprensione dei movimenti, contribuì molto alla evoluzione della visione del Bujutsu in se. Nell’era attuale, possiamo allora dedurre, utilizzando una

nomenclatura moder na, che esistono “Koryu Seiteigata” (il nome “Koryu” fu utilizzato dopo l’era Meiji, come definizione e presentazione delle forme antiche e conservatrici), che non sono altro che le forme antiche di arti marziali, composte da una sequenza inalterata che deve essere eseguita nella sua propria essenza, cercando di rivivere il pensiero dell’epoca in quanto a ferocia ed efficacia. Dall’altro lato c’è “Undo Seiteigata”, o la forma prestabilita di esercizi che indicano una pratica differente. Per esempio, “suburi”, “sotaidosa” tra le altre. Non contemplando l’importanza della conservazione di ciò che è antico, è abituale che certe scuole attribuiscano, per esempio, a questa o a quella tecnica il temine “kuzure” (variante). Ossia, quando non si sa il nome di una determinata tecnica, gli si attribuisce la definizione di “variante”. Il termine “kuzure” si usa in una tecnica che rende possibile la sua esecuzione, alterando l’essenza che garantisce la sua inerzia. Alcuni maestri spiegano che tale fatto ebbe inizio con le variazioni e i diversi modi pensare davanti alla stessa situazione. Le soluzioni

coincidevano, però la forma primaria di realizzazione si alterava. Alcuni lignaggi del Giappone usavano spesso metafore di elementi della natura (shizen) per descrivere le loro tecniche, mentre altri applicavano termini oriundi di origine religiosa, come la Katori Shinto Ryu di derivazione scintoista. Alcuni attribuiscono quella nomenclatura a momenti di “satori” di maestri antichi, che definirono, a modo loro, la forma migliore di fare riferimento e di comprensione di determinati movimenti. In ogni caso, le verità sono unite a fattori storici e si esprimono attraverso fautori di opinioni, ma niente garantisce che ciò sia realmente accaduto. All’interno della scuola antica, è comune l’esistenza di materiali o documenti che comprovano il nome di ciascuna tecnica o sequenza. È ovvio che con l’arrivo dei migranti giapponesi che, secondo fonti sicure non portavano con se tutte le documentazioni, molti discendenti rimasero “orfani” degli alberi genealogici che racchiudevano la storia degli importanti Ryu. Sappiamo anche questo. Ciò che mettiamo in evidenza è la cura e la capacità di preservazione che devono essere latenti in ogni



segmento. Forse la concezione Zen della realtà può aiutarci a comprendere meglio l’importanza di mantenere le forme originali: Tutte le azioni dell’uomo hanno origine nella sua auto-coscienza. Tendiamo a pensare che la nostra realtà soggettiva sia solo una frazione di una realtà oggettiva molto più grande. Al contrario, il monaco cinese Rinzai, della setta Zen, afferma che la realtà esterna non è altro che un aspetto della realtà soggettiva e che non dobbiamo lasciarci opprimere ne destabilizzare dal mondo oggettivo, ma liberarci da esso. Non dobbiamo basarci sul mondo degli oggetti per la nostra conoscenza e orientamento. Siamo stati sedotti dal senso di valutare i vantaggi e gli svantaggi di ogni azione, prendendo una strada, poi un’altra, con il risultato di esserci dimenticati del nostro vero e proprio io. Parlando, diciamo cose assurde e finiamo per non comprenderci. Assediati da ogni sorta di problemi, tendiamo a trattarli con superficialità, non captando il loro reale significato. Vacillando tra azione e nonazione fino a che non nascerà il

prossimo problema, finiamo con l’accompagnare la corrente dei tempi, mormorando con la massa: “Dopotutto, cosa ci possiamo fare?” Confondendo le apparenze con la realtà e preoccupandoci di ciò che troviamo sul nostro cammino, ci dimentichiamo di prepararci al nostro destino e in questo processo perdiamo il nostro nord, la nostra umanità e il nostro cuore. Nella vita quotidiana veniamo fustigati da forze che sfuggono al nostro controllo. Siamo controllati dagli oggetti; chi usa si trasforma in colui che è usato. La setta Rinzai, dello Zen, afferma che dovremmo concentrarci in maniera da non perdere mai la mente originaria e innocente con la quale siamo venuti al mondo, non importa dove siamo o cosa ci può succedere. Tale mente originaria è la stessa che la “non-mente” o il “vuoto della mente” propri dello Zen. Se ci identifichiamo con essa, potremo superare la nostra auto-coscienza e i suoi vincoli. Per raggiungere quello stato abbiamo bisogno di una disciplina o un percorso durante

il quale possiamo viaggiare in cerca di quella mente originaria. Questo percorso, così come indicato da un koan, deve essere direttamente applicabile alle nostre vite. Un verso scritto da un sacerdote cinese della dinastia Tang, descrive questo stato dello spirito. La sua versione in prosa potrebbe essere: “C’è un uomo così povero che mangia legno e si veste con abiti fatti di foglie. Ma il suo cuore è chiaro come la luna, la sua mente è calma e nulla lo turba. Se qualcuno gli chiede ‘dove vive’? Lui risponde ‘nelle verdi montagne, insieme all’acqua pura’”. La risposta è un artificio poetico che può anche voler dire “in tutta la natura” o per estensione, “nel mondo intero”. Anche se a prima vista questo poema può apparire insignificante, è un’espressione dello stato di uno spirito concentrato, che percepisce la grandiosità della natura e allo stesso tempo si sente in armonia con essa. Che bello sarebbe se alla domanda “dove vivi”?, potessimo rispondere: “Nel mondo intero”.



Frans Stroeven


Integrated combat styles:

L’Eskrima è un sistema completo di difesa nel quale le armi rivestono un ruolo molto importante. La parte del combattimento senza armi si conosce come Pangamot. Per il combattimento utilizziamo il Dumog, uno stile di prese delle Filippine abbastanza sconosciuto. Come sapete io ho modernizzato l’Eskrima con e senza armi perché esse si potessero adattare alle esigenze della legittima difesa moderna del XXI secolo. Il Pangamot è uno stile di lotta realista, duro e completo, sviluppato originariamente nelle Filippine e modernizzato dal sottoscritto per renderlo effettivo e soddisfare le esigenze del XXI secolo. Creato per la strada, creato per l’autodifesa, creato per voi. Con questo motto, promuovo con successo questa forma unica di auto-difesa in tutto il mondo. Impartisco seminari e alleno questo affascinante sistema di lotta, condividendo la mia passione con chiunque sia aperto al mio modo di pensare e desideri allenarsi duramente.



L’Eskrima non è Ginnastica

persone ritengono che portare con se un coltello in realtà è cosa normale.

Purtroppo, alcune persone trasformano l’Eskrima in ginnastica. Infatti, si vedono un sacco di esercizi poco realisti, come lanciare i bastoni per aria e prenderli al volo e molti altri di questi strani ed inefficaci esercizi. Queste tecniche non funzionano assolutamente in un combattimento reale. Naturalmente l’Eskrima è bella da vedersi e l’Arte può essere splendida per le dimostrazioni. So anche che tutti sono combattenti e alcune persone praticano Eskrima perché li piace l’Arte dell’Eskrima. Ma ricordate che l’Eskrima si è sviluppata in guerra e molta gente ha versato il proprio sangue per evolverla nel modo più efficace per sconfiggere i suoi nemici.

Il Dumog Moderno

Pangamot per la strada Il Pangamot per la difesa stradale, si è originato più o meno in guerra. Quando un combattente armato perse le sue armi durante uno scontro e dovette usare le sue mani nude, allo scopo di continuare a lottare. Utilizzò tutto il corpo come arma. Usò i pugni in svariate maniere, usò i palmi delle mani, le dita, le nocche, le avambraccia, i gomiti, i bicipiti, le spalle, la testa, le gambe, le ginocchia, il mento, i talloni e persino i denti per mordere. Fondamentalmente tutto, davvero tutto è stato utilizzato come un’arma e in una maniera assai realistica, aggressiva, il che non accade spesso in altri sistemi di lotta.

Il Dumog Quello che molta gente non sa è che il Pangamot conta di un sistema di prese chiamato Dumog. Il Dumog non è ne Jiu Jitsu, ne Judo. Il Dumog possiede le proprie tattiche e tecniche. Lo stile Dumog antico era limitato e certamente non era concepito per lottare con persone che erano armate di coltelli o altre armi. Potete immaginarvi mentre eseguite una buona proiezione di spalla (come quelle che si vedono nei tornei di Judo). Potete anche fare un Ippon (punto completo). In una vera rissa per strada quando comincia la lotta a terra, potete ricevere delle coltellate mentre cadete al suolo. Nella cultura delle Filippine, il coltello si è imposto perché era molto pericoloso per lottare a terra. Purtroppo al giorno d’oggi questa cultura delle armi è diffusa in Europa. Anche se alcune persone pensano che portarsi dietro un coltello sia qualcosa di forte. Sempre più

Il Dumog Moderno è differente, ma utilizza gli stessi principi usati nel Pangamot. Quindi, se manca tutto il resto, lotteremo solo a terra ma con un diverso modo di pensare rispetto al judo o al jiu jitsu o al grappling. Tutto ciò che facciamo in piedi lo utilizziamo anche a terra. Colpi, calci, gomitate, prese, immobilizzazioni delle mani, testate, strappo di capelli, morsi, sputi. Di base tutto ciò che è proibito nelle Arti Marziali. Quando siamo a terra possiamo usare altre armi tattiche. Armi come il lapis, le chiavi, il telefono, la sabbia o, per esempio, un bastone corto. La Filosofia del SCS è ricordare la parola anti, anti-boxe, anti-grappling, anticalci. Per esempio, mentre il vostro avversario prova a portare dei pugni, voi cercate di immobilizzarlo con dei calci, gomitate e altre armi. Se il vostro avversario vuole lottare a terra, afferrate un’arma o tirategli i capelli, o iniziate a colpirlo, a dargli gomitate e testate e, se fosse necessario, mordetelo! Utilizzate tutto ciò che è alla vostra portata per vincere. Infatti, questo è un modo realistico di vincere. So che è sporco, ma non potrete far altro che giocare sporco in una situazione potenzialmente mortale. Non potete smettere di giocare sporco quando è necessario! Il Dumog è disegnato per vincere nello scontro di strada più realistico. Se pensiamo a quello, se si applica questa filosofia, il risultato di qualsiasi scontro può essere molto differente. Le donne possono avere la meglio sull’aggressore, anche quando questo è molto più forte o più grosso di loro.

Lottatore su tutti i terreni Chiunque segua questa filosofia può partecipare a qualsiasi combattimento e può combattere a qualsiasi distanza. Lui o lei sarà un lottatore versatile, con o senza armi e pronto per circostanze realistiche. L’Eskrima impiega le armi in una maniera che non si trova in altri stili di Arti Marziali. L’Eskrima permette di passare dall’uso di un’arma a un’altra in modo fluido e, se necessario, combinare quest’ultime con il combattimento senza armi. Pensate a questo, in una mano potete avere un bastone corto e con l’altra si possono afferrare tutte le parti del corpo, come detto in precedenza. Pensa a tutte le altre armi: chiavi, cappello, penna, ombrello, ecc. combinate tutto questo con i pugni in piedi, o la lotta

a terra. Con l’allenamento adeguato, vi trasformerete in lottatori completi capaci di combattere con e senza armi da qualsiasi distanza. Utilizzate i principi corretti e siate capaci di fluire. Allora vi si potrà definire dei veri Eskrimadores! Anche le persone con poche risorse possono praticare il Pangamot e guadagnare più fiducia per la vita quotidiana!

Stroeve Combat System (SCS) La mia idea circa l’’Eskrima, il Pangamot e il Dumog è che queste parti dell’Eskrima devono essere integrate a pieno in uno stile di difesa perfetta. Quindi è per quello che studio le tecniche e faccio gli adattamenti necessari e ricorro sempre ai principi fondamentali dell’allenamento con le armi, il che fa si chele tecniche si eseguano secondo i principi di base della difesa e dell’attacco, con i quali si ottiene il risultato desiderato che è il poter usare sempre con successo tali tecniche. Tenete presente ciò che avrete raggiunto e fatevi le seguenti domande: Questa tecnica è davvero sviluppata per superare l’avversario? O è una forma d’Arte? Si può applicare la tecnica in un combattimento reale o funzionerà unicamente in allenamento? Quando si applicano, le tecniche, devono essere più efficaci in combattimento, o aiutarvi nell’allenamento per rendervi dei migliori fighters. I principi basilari devono sempre essere presenti nell’allenamento. Perciò, quando integrate il combattimento senza armi e la lotta a terra, essi devono essere un’estensione dell’allenamento con le armi. Il Pangamot è un’estensione del bastone e del coltello. Per padroneggiare il Pangamot e il Dumog, bisogna allenare l’Eskrima. Così scoprirete che suddetti principi si imparano più facilmente. D’altra parte, se potete applicare i principi base, potrete anche adattare facilmente il Pangamot ad altri sistemi!

Per essere più efficace Se capite il concetto di lotta totale all’interno dei principi di autodifesa dell’Eskrima, comprenderete che il Pangamot è una pratica molto realistica dell’autodifesa stessa, e che è anche molto diversa dalla forma in cui lo si faceva prima! Potete combattere con qualsiasi arma, qualsiasi essa sia, eccetto le pistole!! Il vostro corpo è la vostra arma e voi sarete la vostra guardia del corpo. Pertanto, vi do il benvenuto nel mio mondo, il mondo dell’Eskrima!


Frans Stroeven



Intervista


Pochi attori-artisti marziali raggiungono la fama con un solo film, ciò accade soltanto in casi eccezionali e Jeff Speakman l’ha fatto con “Arma Perfetta”. Si sostiene che fu la risposta della Paramount Studios alla Warner Bros con Steven Seagal.Il suo film “Arma Perfetta” non ottenne il succeso che si attendeva, perlomeno non fu paragonabile a quello dell pellicole del Maestro di Aikido, tuttavia, Jeff Speakman conseguì il suo proposito, far conoscere il Kenpo a livello mondiale. Testo: Pedro Conde & Gladys Caballero. Foto: David Gramage & davidgramage@gmail.com

P

er molti praticanti di arti marziali, Jeff Speakman è un attore di rilievo del cinema marziale degli anni ’90, ovvero, una stella di Hollywood: questo è molto lontano dalla realtà. Quando lo si conosce e si ha a che fare con lui, si arriva alla conclusione che è prima di tutto un Maestro, un grande Maestro di arti marziali, che manifesta quell’aura che solo i grandi sensei possiedono. Da sottilineare che nel corso degli anni ha praticato Karate, ha ottenuto il 7°Dan di Goju Ryu, lasciando

“Sembra che ciò che veramente interessa sia diventare il leader maximo del Kenpo, non il percorso che seguirà del Kenpo, tantomeno il suo futuro. Questo è il grande problema di questa arte”


Intervista nella disciplina giapponese una traccia indelebile. Ha quella serenità, umiltà e lealtà verso il suo Maestro, tipica dei soli Maestri giapponesi, tuttavia è dotato anche della classica mentalià nordamericana, libera da tradizioni e dogmi, che lo rendono obbiettivo verso i limiti del proprio stile, senza cadere nel fanatismo e nell’esaltazione. In sintesi: ha saputo assorbire “l’essenza” del karate e del Kenpo, unificandoli in un unico stile, perfezionandoli e ammodernandoli con il lavoro a terra delle MMA. Come risultato, ha creato il suo prorio stile, il Kenpo 5.0, dedicandosi negli ultimi anni a diffonderlo in tutto il mondo. Purtroppo ha avuto un brusco stop nel suo percorso. Nell’Aprile del 2013, Jeff Speakman annunciò dalla sua pagina Facebook che aveva un cancro alla gola. Nello specifico, gli è stato disgnosticato un tumore allo stadio 4 nell’esofago. “A causa della vicinanza con le corde vocali, un operazione non è praticabile, data la possibilità che a seguito dell’intervento possa perdere la mia voce, percò ho deciso di procedere immediatamente con chemioterapia e radioterapia”. Fortunatamente ha sconfitto la terribile malattia ed è tornato al suo compito, la divulgazione del Kenpo 5.0, visitando per la seconda volta il nostro paese (la Spagna, ndt.), per dirigere alcuni seminari organizzati da Cristina Alvarez e David Buisan. Jeff Speakman ci ha concesso due ore di intervista che sono trascorse volando, perchè è stata semplicement una conversazione tra due appassionati di arti marziali, dando l’opportunità a chi sta scrivendo, di realizzare la migliore intervista che abbia fatto. Lui stesso

lo ha ripetuto in ben tre occasioni. Devo confessare che non è stato per nulla difficile riuscirci, al contrario, è stato molto semplice, essendo al cospetto di un comunicatore e Maestro del suo calibro. Jeff Speakman è nato l’8 Novembre del 1957, a Chicago, Illinois. Prima delle riprese di “Arma Perfetta” pesava 82 kg, attualmente pesa 92 kg. Ha studiato Arte Drammatica per sei anni, oltre ad essere laurato in Psicologia. Come molte altre persone, è stato attratto dalle Arti Marziali grazie alla serie “Kung Fu”; precisamente, quello che più richiamava la sua attenzione erano le citazioni filosofiche tra il Maestro e la “Piccola Cavalletta”... “Ero affascinato dalla serie “Kung Fu”, soprattutto quando c’erano quelle sequenze dei flashback, nelle quali il giovane discepolo imparava la filosofia del vecchio e cieco Maestro. Credo che questo mi abbia stimolato ad apprendere le Arti Marziali”. Cominciò a praticare Karate, Goju Ryu, nel 1978. A quell’apoca non c’era molto da scegliere, il Karate e il Judo erano le Arti Marziali più diffuse e quelle predominanti nelle palestre. “Nel 1978, quando ero all’Università, ho cominciato a praticare Arti Marziali (Goju-Ryu). Nel 1983, quando mi stavo per laureare, il mio istruttore Lou Angel mi disse: Se davvero vuoi fare Arti Marziali, devi trasferirti in Califor nia e allenarti con Ed Parker. È veramente raro che un 10°dan di Karate, per quanto sono liitati e chiusi gli stili, ti consigli di andare a studiare con un altro Maestro, qualcosa di totalmente contraddittorio,

“Nell’Aprile del 2013 Jeff Speakman annunciò dalla sua pagina Facebook che aveva un cancro alla gola!

“Io mi sono sempre preoccupato di essere me stesso, ovviamente influenzato dali insegnamenti di Ed Parker, ma, prima di tutto, lui voleva che io fossi me stesso”


Cinema Marziale “Ho unito semplicemente la forza tipica del Karate giapponese con la fluidità del Kenpo”



Intervista parlando in termini di filosofia e tecnica. Di solito succede che se ti trasfersci da un’altra parte, il tuo sensei ti raccomanda un altro Maestro della sua stessa scuola. Anni dopo ho capito perchè mi disse ciò, ma allora rimasi scioccato. Ma quello è ciò significa essere un vero Maestro; lui voleva il meglio per me, anche se voleva dire lasciare il suo stile. Sono in debito con lui. Questo è lo spirito del quale sono carenti alcuni che si autodefiniscono “Sensei”. Jeff Speakman si trasferì in California e inizialmente si allenò con Larry Tatum... “Ho iniziato a praticare con Larry tatum. Quando Ed Parker mi vide e mi considerò, mi disse: Non continuare con lui, allenati con me. Quando sei un allievo e il Gran Maestro ti dice una cosa simile, ti senti come su una nuvola, ti senti un privilegiato. Mi allenavo con lui dalle due alle sei ore. Quando ero con Larry Tatum, ero fissato soltanto con la velocità, cercavo di fare tutto il più rapidamente possibile, ovvero: lavoravo per l’eo, cercavo di sorprendere tutti con la mia velocità, tuttavia questo mi faceva perdere “l’essenza” dell’Arte del Kenpo. Ed Parker mi guidò verso la giusta strada,

l’importante era l’efficacia dei colpi, non la rapidità con cui si eseguivano”. La traduzione letterale di Goju Ryu è, Go (“Duro”), Ju (“Morbido”) e Ryu (“stile”): Stile duro-morbido. Lo stile si caratterizza per le sue posizioni corte e alte, l’uso delle distanze media e corta, inoltre dei colpi e parate circolari, mettendo molta enfasi nella respirazione e nel lavoro del Ki. In quanto cintura nera di grande livello, Jeff Speakman come le è risultato quell’estremo cambiamento a uno stile fluido e senza rigidità come è il Kenpo? Ha adattato la forza tipica del Karate e il suo kime alle tecniche del Kenpo? “In effetti siamo agli antipodi, erano e sono assai differenti. Gli stili giapponesi sono molto marcati, mettono l’accento sulla forza; al contrario, il Kenpo era molto fluido, più rilassato, dove prima viene la rapidità... Tuttavia, io applicavo la forza che avevo sviluppato a tale rapidità, questo è ciò che distingue il mio Kenpo, perchè anche non avendo mantenuto quella forza del Karate giapponese, quella rigidità, ho comunque conservato parte di quella forza. Ho semplicemente unito la forza del Karate giapponese con la fluidità del Kenpo.”


Quando vediamo un film o un video di alcune delle sue esibizioni o seminari, si apprezza una enorme differenza tra lui e i suoi colleghi del Kenpo. Tecnicamente, come esecuzione sono uguali, ma al momento dell’impatto, in quei decimi di secondo, la forza, il Ki, è un aspetto inequivocabile dello stile di karate Goju

Ryu. Fino a che punto è importante il Ki nel Kenpo 5.0? “E’ la cosa più importante, solo gli esperti e coloro che lo padroneggiano conoscono la sua importanza nelle Arti Marziali. Quando si controlla, si vede tutto da un’altra prospettiva, da un’altra ottica e questo è ciò che mi ha fatto

cambiare come persona, come essere umano e come artista marziale, perchè, indiscutibilmente, la respirazione è la via per collegarsi allo spirito. Nel momento di impattare si concentra la tensione dinamica e lo spirito, in quel preciso momento è quando si libera tale energia. Il movimento è lo stesso che fanno altri


Intervista

istruttori di Kenpo ma la differenza è questa, dopo aver colpito, torni a rilassarti e segui la stessa dinamica tecnica che fanno gli altri”. Dopo la spiegazione, Jeff Speakman effettua una dimostrazione di come si fanno i movimenti di Kenpo. Prima esegue una sequenza tecnica molto rapida, più che semplici tecniche marziali, per la loro velocità, sembra un gioco di mani; dopo, le esegue di nuovo secondo il suo metodo di lavoro. Sono meno rapide però molto più forti ed efficaci al momento di arrivare all’impatto; durante quei decimi di secondo, concentra e utilizza la forza del Ki, la sua respirazione e concentrazione sono ben distinte. Quando si guarda un video o un DVD di Ed Parker, con alcune differenze, si può apprezzare una

grande similitudine con il modo di lavorare di Jeff Speakman, malgrado ciò, è inevitabile porsi la seguente domanda: Perchè ci sarà così tanta differenza tra Ed Parker e il resto dei suoi allievi? Perchè tra gli allievi di Ed Parker viene si nota su tutte la velocità, al di sopra della forza e dell’efficacia? E arrivati a questo punto, nasce un interrogativo: Hanno veramente saputo captare il suo messaggio, lo spirito del suo Kenpo? “Essi non hanno captato il significato alla stessa maniera in cui l’ho fatto io, perchè Parker veniva dal Karate. Il modo più diplomatico per dirlo, senza voler ferire nessuno, è che non hanno colto il patrimonio di Ed Parker. Io si che l’ho captato e ho potuto applicare quella forza delle sue tecniche, grazie alle mie radici giapponesi. Credo che gli altri istruttori erano più preoccupati di essere il prossimo Ed Parker, piuttosto che imparare il suo stile, venire bene nelle foto e che tutti dicessero che loro erano i migliori. Io mi sono sempre preoccupato di essere me stesso, ovviamente influenzato dagli insegnamenti di Ed Parker, ma prima di tutto, volevo essere me stesso. Ed Parker voleva che le persone fossero se stesse, non voleva delle copie o delle imitazioni della sua persona. Nel mio caso specifico, quando lavoro sono concentrato su come colpisco, no su come lo farò, quando comprendi il perchè, non ti interessa il come...” A quanto pare gli allievi di Ed Parker non hanno colto il suo messaggio, se è così, dove sta andando il Kenpo? Che futuro lo attende? “Questa domanda non me la rivolge mai nessuno, tutti mi chiedono: Chi sarà il successore di Ed Parker? Pare che quello che davvero interessa è diventare il leader maximo del Kenpo e non il corso che seguirà il Kenpo, tantomeno il suo futuro. Questo è il grande



problema di quest’arte. Credo che bisogna proseguire sulla scia tracciata da Ed Parker, perciò ho creato il Kenpo 5.0. in esso, a parte il combattimento in piedi, è contemplata la lotta a terra con tecniche dell’MMA, perchè non sai mai dove dovrai combattere; ai tempi in cui viviamo, è sempre facile essere davanti a praticanti che conoscono le arti della lotta oppure per strada ti può succedere di trovarsi in questa situazione.ùper quello le ho incorporate nel Kenpo 5.0. La gente che ha conosciuto Ed Parker dice che se fosse stato vivo, anch’egli lo avrebbe fatto o avrebbe seguito percorsi simili per renderlo più effettivo, poichè nel Kenpo non è prevista la lotta a terra. Un esempio: nell’auto abbiamo un ampio lunotto per guardare avanti (il futuro) e un piccolo specchio retrovisore per guardare dietro... bisogna sempre guardare al passato, anche p e r p o c o ; g l i i g n o r a n t i s i r i f i u t a n o d i c a m b i a re , rifiutano i cambiamenti e gli intelligenti non si fermano mai...” Compito arduo quello di unire un’arte marziale come il Kenpo, con uno sport di lotta come sono le MMA. Non commetterà il Kenpo l’errore di trasformarsi uno sport di contatto? Si potrebbe perdere l’essenza del Kenpo e con essa la sua filosofia?

“Indubbiamente è molto importante la filosofia nel Kenpo, dal canto suo le MMA sono molto aggressive, e sono carenti di questa, perciò spiego ai miei allievi in tutto il mondo, che con le MMA non avanzano, non crescono. I miei allievi devono saper difendrsi e lottare a terra, ma senza perdere i valori del Kenpo, ossia, un praticante del miostile deve saper lottare al suolo, ma senza l’aggressività di un lottatore di MMA, mantenendo la filosofia e lo spirito di un praticante di Arti Marziali. Alcuni dei miei allievi competono con lottatori di MMA in questi tipi di combattimenti, l’importante è che essi continuino a sentirsi praticanti di Kenpo, mai fighters di MMA. Quando Lou Angel mi mandò ad allenarmi con Ed Parker, senza ombra di dubbio non pensò alle Arti Marziali, pensò alla persona. Antepose la persona alle arti marziali, questa è la differenza tra le arti marziali e gli sport da combattimento. Nelle arti marziali si guarda e si privilegia la persona, questa è la filosofia della quale sono carenti le MMA. C’è una differenza tra la filosofia delle arti marziali, che sono un modo di vivere, e il combattimento nelle arti marziali a livello competitivo. Attualmente si è unito con le MMA, ma si è perso il significato, nelle arti marziali si mira a come poter aiutare, al contrario nelle MMA a come ferire o


Intervista danneggiare l’avversario. Quando gireremo una serie che ho in cantiere, ci focalizzeremo su come poter aiutare, non su come ferire o picchiare; cercheremo di p l a s m a re l a f i l o s o f i a c h e è c o n t e n u t a n e l l e a r t i marziali”. Nelle arti marziali tutti i maestri innovatori sono stati preda delle critiche; quando qualcuno fa le cose diverse dagli altri,

non sempre viene compreso dai suoi colleghi di stile e Jeff Speakman non è stato un’eccezione... “All’inizio ho avuto moltissimi problemi con i maestri di Kenpo, perchè non capivano perchè avessi incorporato le MMA nel Kenpo. Oggi finalmente hanno capito l’importanza di saper lottare a terra e adesso non ho più alcun problema, ne critiche, anche se riconosco che al


Cinema Marziale principio è stata dura. Il mio obbiettivo attuale è che i miei allievi siano ugualmente efficaci tanto in piedi quanto a terra, per questo devono allenarsi al 50% in piedi e al 50% al suolo”. Jeff Speakman afferma che quando Ed Parker era vivo, il Kenpo non smise mai di evolversi, che era un’arte marziale che andava di pari passo con i tempi, segnando una traccia

che altri seguivano. Dopo la sua morte, lo stile deve continuare a crescere, ma fino a che punto è stato importante Ed Parker nelle arti marziali? “Credo sia stata la persona che ha avuto più influenza nelle Arti Marziali in Nordamerica e di riflesso in Occidente, perchè non si focalizzò in un solo stile, l’importante era la sua filosofia, aveva una mente aperta, creò i campionati di Long Beach, i più famosi degli USA, aperti a tutti gli stili, nei quali chiunque poteva gareggiare rispettando le regole, da una parte, e Maestri ed esperti potevano realizzare delle esibizioni per far conoscere e diffondere la propria arte. Aiutò moltissimi maestri in modo da consentirgli di insegnare il loro stile. Sono sicuro che senza Ed Parker le arti marziali non sarebbero ciò che sono adesso. C’è un fatto indiscutibile: Ed Parker aiutò Bruce Lee, grazie a lui ottenne la parte di Kato nella serie “Green Hornet” e da quella parte, arrivò dove tutti sappiamo! Da Bruce Lee in poi, si sono conosciute le arti marziali a livello mondiale”. Bruce Lee è l’icona indiscutubile delle arti marziali, grazie alla settima arte le ha fatte conoscere a tutto il mondo. Ma cosa pensa di lui, un maestro della statura di Jeff Speakman? “E’ stato il numero uno, il primo a mostrare le arti marziali in Occidene, il primo che dimostrò che nonostante l’essere così piccoli, chiunque poteva fare ciò che voleva quando si è in possesso di conoscenze e abilità marziali. Se Bruce Lee poteva farlo, anche gli altri potevano, senza distinzione di altezza o peso, inoltre, lo poteva fare anche gente più pesante. Credo che Bruce Lee assorbì molto dell’essenza di Ed Parker a livello marziale, della sua filosofia, ecc. Le persone che si allenavano con Ed Parker e Bruce Lee, anni dopo sono diventate amici miei e dicevamo che pur essendo così piccolo, era incredibile... Evidentemente è un problema dover affrontare un uomo che si muove come Bruce Lee e pesa così poco, ma è peggio trovarsi davanti qualcuno che si muove come lui, con 10 kg in più, o anche oltre, se si muove allo stesso modo e pesa 20 kg in più, perchè quando ti muovi come lui, l’unica cosa che può cambiare le carte in tavola è il peso. Se ti muovi come faceva Bruce Lee, fa impressione, ma se pesi di più, come per esempio io – che peso il doppio – o qualcuno che può pesare ancora di più, farebbe ancora più impressione e la risposta a tutto questo è che quello è lo stile di Ed Parker”. Ed Parker non solo aiutò Bruce Lee nella sua carriera cinematografica, lo fece anche con il suo allievo Jeff Speakman, nel film “Arma Perfetta”, e con essa facendo conoscere il Kenpo al mondo intero. “Vedevamo molti film e arrivammo alla conclusione che tutti avevano un comune denominatore, nessuno sapeva recitare. Per cui decisi di studiare arte drammatica per il tempo necessario ad acquisire un certo livello. Anche Ed Parker pensava che era la strada migliore per ottenere un abuona parte. Dovevo farlo per accumulare esperienza, in attessa che arrivasse la mia occasione. Questa si presentò il giorno in cui, l’allora capo della produzione della Paramount, venne a trovarmi al mio Dojo di Los Angeles, assistendo a una lezione e disse: Bene, bene, ora facciamo un provino per vedere le sue capacità come attore. Feci quel provino e fu


allore che mi offrirono l’opportunità di essere il protagonista di “Arma Perfetta”. Ed Parker è stato fondamentale durante le riprese, era sempre con me, sin da prima di iniziare a girare cominciammo a praticare e a preparare la coreografia. Dopo, quando iniziarono le riprese, era lì in tutte le sequenze dicendomi come potevo farle, come migliorare le tecniche, oltre a darmi il suo appoggio in ogni momento. Le riprese sono molto dure e non solo c’è un dispendio fisico, ma anche psichico e lui era sempre lì incoraggiarmi e aiutarmi. Normalmente si ripetono svariate volte le scene; dopo aver registrato, tutti iniziavano a muoversi e si scatenava un tremendo sconcerto.

“Quella è la grande differenza tra gli artisti marziali e il pubblico in generale, è difficile girare una scena che accontenti entrambi”

Allora io cercavo Ed Parker e lui mi consigliava e mi uidava, perchè tutto quello mi stordiva, dal canto suo, egli era a suo agio e molto animato, cosciente di tutto ciò che succedeva, e quello era per me una grande motivazione. Le riprese furono toste e lunghe. A volte dovevamo lavorare di notte, mi sentivo stanco e senza volere mi addormentavo, quando accadeva, Ed Parker mi copriva con una coperta. Quando richiedevano la mia presenza mi svegliava con calma e mi diceva: andiamo Jeff, hanno bisogno di te”. Purtroppo e per un beffardo scherzo del destino, Ed Parker scomparve alcune settimane prima del debutto, per cui non potè vedere l’impatto del Kenpo nel pubblico...


“Non ho potuto raggiungere due degli obbiettivi che mi ero preposto: uno che Ed Parker fosse al debutto, e l’altro potergli dedicare il lungometraggio in vita. Lui voleva far conoscere il Kenpo a livello mondiale e riteneva che il cinema fosse il miglior veicolo per farlo, ma non realizzò il suo sogno...anche se io l’ho fatto per lui. Non potè vedere il montaggio finale della pellicola, anche se vide alcune delle sue scene già finite... In suo onore, quando termina il film, la prima cosa che appare sullo schermo è la mia dedica e l’omaggio alla sua memoria. Lui ha partecipato alle riprese, abbiamo coreografato tutte le scene di comattimento, eravamo totalmente d’accordo che quello era il vero Kenpo, il Kenpo che il pubblico doveva conoscere”. Arma Perfetta aveva un fascino particolare che non avevano altri film di Jeff Speakman, infatti, per la critica e gli spettatori, questo è stato uno dei migliori sulle arti marziali degli anni ’90. Personalmente ero entusiasta del film, soprattutto la scena in cui vari delinquenti tentano di rubargli il portafoglio e con una semplicità e una velocità strabiliante, se li toglie di

mezzo...In nessun altro dei suoi film si sono viste coreografie del genere. “Quando parlo con praticanti di arti marziali, tutti sottolineano quella scena per la sua eleganza e semplicità, quando parlo con il grande pubblico, mettono in risalto la scena della palestra, dove sconfiggo svariati picchiatori marziali. Questa è la grossa differenza tra gli artisti marziali e il pubblico in generale, è difficile girare una scena che accontento entrambi. Inizialmente, quando abbiamo girato “Arma Perfetta” non filmammo quella scena, quando consegnarono il montaggio finale, Mark Disalle girò e filmò come lo faceva abitualmente Jean Claude Van Damme. Alla Paramount Studios mi dicevano che ero l’eleganza di quest’art in persona, allora volevano ancora una scena, nella quale si potesse apprezzare la differenza e quindi si filmò quella scena. Io la coreografai e la diressi, perciò si distingue da tutto ciò che appare nel film, quella scena è l’essenza del Kenpo, ovvero: semplicità e efficacia. Mark Disalle ira con un tipo di piano distinto, più ampio, al contrario, questo è più corto per poter apprezzare bene la tecnica, in essa io

combatto con tutti allo stesso momento e non come nei film di Jean Claude Van Damme, dove prima attacca uno, poi un altro, ecc., ciascuno aspetta il suo turno... Quello non è reale, in uno scontro di strada devi combattere con tutti contemporaneamente, perchè nessuno aspetta il suo turno per attaccare. Paramount voleva girare una scena realistica di ciò che io facevo, e che si distaccasse completamente dalle coreografie cinematografiche, ma che a sua volta mostrasse l’efficacia del Kenpo e quello fu il risultato...” Il regista di “Arma Perfetta” era Mark Disalle, curiosamente fu anche il regista di “Kickboxer” di Jean Claude van Damme. Quantto è stato importante per il successo della pellicola? “In “Arma Perfette” ci sono stati due personaggi molto importanti, uno fu Mark Disalle, e l’altro Peter David. Indubbiamente Mark Disalle sapeva girare film di arti marziali, ma colui che ci mise in contatto e che fece in modo che il film si realizzasse fu il secondo.” Il cinema di arti marziali ha vissuto i suoi anni d’oro negli ’80 e i ’90, nelle locandine delle sale e nelle vetrine delle videoteche si vedevano diversi film con


Intervista “Quel tipo di vita non mi piace. Il cinema è semplicemente un veicolo per raggiungere ciò che realmente è importante nella mia vita, il Kenpo. Il mio obbiettivo è ottenere la sua diffusione attraverso il cinema; se facendolo guadagno denaro per permettermi di vivere senza patemi, allora è stupendo” Chuck Norris, Steven Seagal, Jean Claude Van Damme, ecc. Perchè attualmente non si gira questo genere di film? Sarà perchè non interessano al pubblico... “Al giorno d’oggi c’è molta poca gente del mondo dell’industria che vogliono o sono interessati a girare film di arti marziali, solo quelli che sono qui sono interessati e dunque è davvero difficile produrre qualcosa di qualità, d’altra parte non cè una grande figura delle arti marziali che trascini le masse al cinema. Esistono solo alcuni filme che hanno realmente sbancato come “I tre dell’Operazione Drago” con Bruce Lee, “Kickboxer” con Van Damme, “Arma Perfetta” con il sottoscritto, attualmente non ci sono grandi maestri, grandi personaggi nelle arti marziali che possano realizzare questo tipo di film”. Jeff Speakman non smette di dirigere seminari in tutto il mondo, il Kenpo 5.0 ogni giorno ha sempre più adepti, infatti, dopo i suoi seminari in Spagna, continuerà il suo giro in Europa, dove è sempre più richiesto dai praticanti di Kenpo. Ma a livello cinematografico o piuttosto televisivo, le accade lo stesso? Ha dei progetti nell’immediato in questi ambiti? “Si, infatti attendo per oggi stesso risposte per la mia serie reality televisiva, si chiama “Perfect Weapons” (Armi Perfette), non al singolare ma al plurale e sarà come uno studio itinerante per il mondo, insegnando nelle mie scuole e

come si allenano i miei gruppi. In essa si terrà una specie di torneo, il combattimento finale si farà a Las Vegas. I produttori sono due persone che stanno realizzando due programmi importanti in tutto il mondo, uno di loro è colui che produce il porgramma di cucina che si chiama “Hell’s Kitchen”. Se la serie si farà e otterrà il successo che si aspetta, Keff Speakman tornerà di nuovo ad assaporare il dolce aroma del successo. Chi lo sa se tornerà ad essere uno dei grandi del cinema d’azione? Anche se non pare interessarle lo stile di vita di Hollywood... “In assoluto, quel tipo di vita non mi piace. Il cinema è semplicemente un veicolo per raggiungere ciò che realmente è importante nella mia vita, il Kenpo. Il mio obbiettivo è ottenere la sua diffusione attraverso il cinema; se facendolo guadagno denaro per permettermi di vivere senza patemi, allora è stupendo”. Quando lo si conosce e si ha a che fare con lui, si ha la certezza che questa affermazione è assolutamente indiscutibile, poichè Jeff Speakman è prima di tutto un maestro, un grande Maestro di Arti Marziali radicalmente differente da una qualsiasi delle altre stelle del cinema di azione. Senza dubbio, la sua vita, la sua passione è il Kenpo e il patrimonio di Ed Parker. Nella sua esistenza non c’è posto per altro che non sia la sua Arte Marziale.







Fu-Shih Kenpo: In cerca del VERO SENSO DEL COMBATTIMENTO IN ALCUNI STILI DI KENPO Tatsuo Yamada Nato nel 1905, è diventato discepolo del celebre Maestro Choki Motobu nel 1923. Precedentemente, Yamada aveva iniziato nel Karate un anno prima con il Maestro Gichin Funakoshi. Tuttavia, ciò che gli interessava innanzitutto era l’efficacia e rimase deluso dal suo stile precedente che lui accusava di mancanza di realismo. In questo modo, cercò l’uomo che aveva sconfitto un pugile occidentale con un solo colpo. L’anno seguente, compiuti i 18 anni, attratto dal combattimento di Choki Motobu e convinto dalle sue capacità, si trasferì a Osaka per diventare suo allievo. Visse a casa del suo Maestro. Il Maestro Motobu si rese subito conto delle qualità di Yamada, che venne accettato come Uchi Deshi (discepolo interno). Sotto la tutela di Motobu, il giovane Tatsuo si introdusse in un mondo dove tecnica ed efficacia erano una cosa sola. Nel 1924, soddisfatto dei progressi del suo allievo, Motobu lo mandò ad Okinawa, dove il giovane fece delle nuove esperienze di combattimento, confrontandosi con avversari provenienti da altri stili. Nel 1925 venne pubblicato il libro di Motobu dedicato al combattimento dove appariva un giovane Yamada. Le fotografie delle tecniche di combattimento furono scattate probabilmente al suo ritorno da Okinawa. Nel 1934, Motobu visitò il Dojo di Karate di Yashuhiro Konishi (fondatore dello Shindo Jinen Ryu), che aveva invitato Tsukeo Horiguchi per l’allenamento di un giovane campione di Boxe inglese. Motobu che, nonostante la sua età avanzata, persisteva instancabilmente nelle sue ricerche, propose immediatamente al pugile un confronto amichevole nel combattimento libero. Sin dall’inizio della sfida, il maestro di Okinawa neutralizzò tutti gli attacchi del suo avversario e replicando fino a che questi abbandonò. Tatsuo Yamada era presente e questa immagine di un vecchio maestro che dominava facilmente un giovane campione, rimase impressa nella sua memoria. Comprese allora il reale livello di Motobu e decise di moltiplicare le proprie esperienze nel combattimento. Si consegnò totalmente nelle mani del suo maestro che gli propose di partecipare a un tipo di competizione particolare, i Juken-Kogyo, nelle quali i karateka affrontavano pugili o judoka. Il Maestro mise in guardia il suo allievo: “Attenzione, numerosi karateka sono stati messi KO in questo genere di incontri”. Effettivamente, seguendo l’esempio di Gichin Funakoshi, molti altri karateka si trasferirono nel centro del Giappone. Alcuni



di questi vennero sconfitti in questa kermesse di combattimenti e crearono la propria scuola di Karate. La storia di questo show, vero tabù del karate, è poco conosciuta. Yamada, senza esitazioni, si lanciò con passione in questo nuovo tipo di prove. Accumulò un’esperienza impagabile, sulla quale costruì poi il proprio stile. Il militarismo invase l’atmosfera in Giappone, che entrò in guerra contro la Cina nel 1937. La guerra si avvicinava. A quell’epoca, Tatsuo Yamada diventò la guardia del corpo di T.Nakajima, direttore di una società di costruzioni aeronautiche. Visse svariati anno al suo fianco e varie volte venne ferito da coltelli, spade e pistole. Nel 1941, Choki Motobu ritornò a Okinawa dove morì nel 1944. Dopo la guerra, nel 1947, Tatsuo Yamada aprì un ambulatorio di osteopatia e un piccolo dojo a p p e n a

accanto. Insegnava Karate, in forma privata, ad alcuni studenti universitari. La parabola di Yamada, parallela a quella di Motobu, costituisce allo stesso modo una tappa importante nella storia del Kenpo o del Karate efficace del Giappone. Quando Yamada cominciò a insegnare Karate, le sue classi erano essenzialmente composte da persone che volevano oacquisire un’efficacia reale nel combattimento; guardie del corpo, poliziotti e persino alcuni judoka deisderosi di ampliare il loro bagaglio tecnico. Si suppone che questa clientela di judoka gli derivò dalla sua partecipazione ai Juken-Kogyo. Qui di seguito, riporto un apprezzamento di Yashuhiro Konishi in merito a ciò: “Yamada era molto aggressivo. Criticava apertamente il Karate attuale dicendo che era una danza. Era



un po’ come un boss della Yakuza. Io lo consideravo un innovatore del Karate, ma altri karateka non lo apprezzavano”. Lo stesso Yamada conferma: “Molta gente viene da me, judoka, guardie del corpo e anche politici, eccetto i maestri di Karate”. I karateka che si avvicinavano a lui erano allora ai margini, per esempio Masutatsu Oyama, il futuro fondatore del Kyokushinkai. Agli inizi degli anni ’50, terminò la messa a punto del proprio stile e gli diede il nome di Nihon Kenpo Karate-Do. In questo stile, il combattimento libero è prioritario e si effettua a contatto pieno con i guanti da boxe. Ragolarmente il maestro faceva combattere i suoi allievi contro dei pugili e nel 1959, suo figlio Hiroshi fu colui che tenne il primo combattimento ufficiale in Giappone che opponeva un karateka a un campione di Boxe Thailandese. Nel 1962, Tatsuo Yamada organizzò il primo torneo di Nihon Kenpo Karate-Do. I combattenti indossavano i pantaloni lunghi e la cintura da Karate, ma stavano a torso nudo e portavano i guantoni da Boxe. Questo evento ebbe una grande risonanza. La maggior parte dei karateka ritenevano che si trattasse di una totale deviazione dall’arte marziale e che non fosse realmente efficace, poichè il mito del Karate “un solo colpo mortale”, era del tutto assente. Tutti i karateka lo giudicarono tecnicamente mediocre e moralmente decadente, eccetto quelli come Masutatsu Oyama e Muneomi Sawayama del Nihon Kenpo, vecchio rivale di Tatsuo Yamada, che sapevano cosa voleva dire combattere colpendo sul serio. Osamu Noguchi, che diresse più tardi la scuola di Yamada, formò la Associazione di Kick Boxing nel 1966. Cercò degli atleti giapponesi per combattere contro pugili tailandesi. La maggioranza erano karateka delle correnti di Motobu, del Kyokushinkai o di Nihon Kenpo. Grazie alla televisione, la Kick Boxing divenne presto popolare in Giappone. Al gior no d’oggi, questa tendenza persiste in una forma leggermente modificata. Continua il prossimo mese...








Difesa Personale

L’ARTE DELLA LOTTA SENZA LIMITI In questo articolo mi piacerebbe far dare ai miei lettori uno primo sguardo all’affascinante Arte Marziale del Panantukan Concept, mettendoli in contatto con un sistema che di certo, in futuro, sarà una svolta per molti. Testo: Peter Weckauf, Irmi Hanzal, Thomas Schimmerl Foto: Thomas Suchanek


I

l Panantukan ha le proprie radici nelle Arti Marziali Filippine. Lo stile Occidentale della Boxe ha sempre avuto una forte influenza nel Panantukan, per quello spesso si conosce il Panantukan come “Boxe Filippina” o “Boxe Sporca”. La differenza più grande tra il Panantukan e la Boxe “normale” è ovviamente il fatto che il primo non ha regole limitate e permette l’uso di tutte le armi del corpo, come colpi ai punti sensibili, prese, proiezioni e la manipolazione dell’avversario. Perchè concetto? Così come per tutti i nostri sistemi, utilizziamo il termine “Concetto” per rendere più che chiaro

che il Panantukan viene insegnato come un sistema completo.

Il Sistema Il Panantukan Concept “l’Arte della lotta senza limiti” è il mio modo di vedere la difesa personale senza armi. Il Panantukan Concept affascina con le sue strutture chiare che si adattano al pensiero Occidentale. Ci sono numerosi livelli, per principianti, intermedi e praticanti avanzati. Ogni livello si basa su quello precedente, garantendo la riuscita di un ottimo apprendimento. I vari livelli possiedono differenti obbiettivi e traguardi. Si

devono studiare i principi, così come gli elementi tattici e strategici di uno scontro.

L’Arte della Lotta senza limiti Il Panantukan Concept non si concentra eslusivamente nella Boxe “sporca”, piuttosto copre tutte le aree dell’auto-difesa. Ciò che la maggioranza delle persone trova così affascinante del sistema sono le sue svariate e illimitate opzioni di allenamento. Il Panantukan Concept


Difesa Personale



Difesa Personale risponde a tutte le esigenze. A partire dalle tecniche di boxe integrali e illimitate, abbracciamo i concetti di “distruzione”, manipolazione del corpo, concetti offensivi, l’uso di tutte le armi del corpo, difesa contro armi, attacco, allenamento alla lotta, protezione di terzi, difesa contro più aggressori – in definitiva, la difesa senza limiti. Nel Panantukan potete allenarvi al 100% in forma indipendente, in quanto non è un sotto-sistema di un qualsiasi stile. Oggi giorno, il Panantukan Concept è un sistema primario di combattimento che si basa su principi e concetti. Il programma di allenamento è assai strutturato e comprende tutti gli aspetti pertinenti della difesa senza armi, così come un gran numero di tecniche, esercizi, combinazioni di pugni, calci, proiezioni, leve e tipi di combattimento.

I Concetti C’è una ragione per la quale utilizziamo il termine Panantukan Concept. È perchè facciamo riferimento ai concetti integrali del combattimento e non alla semplice tecnica. Un concetto è un progetto, un piano d’azione. Nel caso della difesa personale, i concetti sono sinonimo di un piano approssivativo per il comportamento potenziale in uno scontro. Deve essere possibile modificare il concetto se la situazione cambia e variare da un approccio a un altro.

Concetti delle Armi in scontri senza Armi Tra i criteri più importanti ci sono i concetti delle armi che ampliamo e sviluppiamo continuamente. Controllando l’avversario tramite le sue mani e braccia – il che si conosce come controllo della mano – si nota che supponiamo sempre di lottare contro un soggetto armato e di conseguenza, costruiamo così il nostro piano di difesa – il concetto. Molti sistemi insegnano la difesa senza armi per prima e solo dopo mostrano ai loro praticanti come utilizzare ciò che hanno imparato per difendersi dalle armi. Nel Panantukan Concept si insegna sin dall’inizio a prendere il controllo della mano armata (ovvero, nel modo tipico per la difesa contro le armi) per cui la difesa contro le armi diviene naturale ai livelli di addestramento più elevati. Un altro concetto che è tipico del Panantukan Concept è la “distruzione” delle estremità dell’avversario. Basata su tecniche di combattimento con armi, l’idea è quella di distruggere o danneggiare le estremità del nemico in maniera tale che non possa usarle o che persino perda il controllo sulla


propria arma. Questo concetto viene applicato soprattutto alla mano armata del contendente. Nel Panantukan Concept andiamo oltre e utilizziamo queste tecniche non solo contro le braccia dell’avversario, ma anche contro le sue gambe (distruzione delle gambe) per inibirgli la mobilità. I Concetti speciali di addestramento per attaccare la testa del rivale e il collo sono anch’essi parte del Panantukan Concept. L’uso di tali concetti da luogo a nuove idee per l’autodifesa, che a loro volta ampliano notevolmente il ventaglio delle opzioni tecniche.

Formazione degli Istruttori In questo momento, siamo a pieno regime nella costruzione e nell’espansione del nostro sistema e per quello offriamo una formazione per istruttori basata nella pratica del Panantukan Concept. Uno dei nostri temi più importanti è la formazione di alta qualità per i nostri allievi. Offriamo corsi speciali e seminari intensivi nei quali si può studiare il nostro sistema. Il programma di formazione di basa su un progetto emozionante al più alto livello professionale. Il nostro programma formativo comprende lo

sviluppo delle abilità tecniche, tattiche, le componenti mentali e la comprensione dei principi e dei metodi di allenamento del SAMI Unlimited Fighting Concept (Panantukan - Panantukan Concept. Per maggiori informazioni, visitate HYPERLINK: "http://www.panantukanconcept.com" www.panantukan-concept.com Foto di Thomas Suchanek Scritto da Peter Weckauf, Irmi Hanzal, Thomas Schimmerl.


Difesa Personale



“Un’eredità di Lealtà, instancabilmente alla ricerca della Verità, dedita al rafforzamento dell’essere umano ed al servizio dell’intera umanità” Hwa Rang Do® - Teoria e Filosofia (LA MISSIONE DELLA WORLD HWA RANG DO® ASSOCIATION) HWA RANG DO®: VIA MARZIALE: L’arte del Hwa Rang Do® può essere considerata a pieno titolo come una Via marziale, dove il termine “Via” si riferisce al “percorso di crescita del guerriero”. Questo in quanto imparare il Hwa Rang Do® non significa solo apprendere delle tecniche ma anche comprendere le debolezze ed i punti di forza del proprio Io al fine di vivere coerentemente da guerriero. In particolare, la Via del guerriero, è intrisa dei concetti di rettitudine morale, autocontrollo ed auto-gestione, ricerca delle verità universali, coscienza della realtà ed auto-coscienza, onore, attenzione costante e giustizia. Questi ideali e molti altri sono essenziali alla comprensione della citata “Via”. Un guerriero deve attraversare questi sentieri per divenire un praticante vero di Hwa Rang Do® e questo non è alla portata di tutti. Quante persone perdono la “Via” durante la pratica per concentrarsi unicamente sull’immediato, sul mondo visibile e materiale, sui soldi, spesso dimenticando le motivazioni ideali che ci avevano spinto dall’inizio del nostro viaggio. Persistere in una scelta non è

semplice e richiede forza nel corpo, nella mente e nello spirito, la forza di un vero guerriero. Ciò spesso spaventa ma bisogna capire che “forza” non significa “assenza di debolezza”, esattamente come coraggio non significa assenza di paura. La vera forza si evidenzia proprio in quelle situazioni della vita in cui si è deboli e vulnerabili ed il vero coraggio arriva nelle circostanze in cui la paura sembra vincere. Il valore delle cose viene infatti definito dalla quantità di sacrificio fatto per ottenerle. In ogni momento il praticante marziale deve rinnovare la sua scelta di aderire a quella “Via” e non in base al fatto che sia semplice ma rapportato all’idea che si sta facendo la cosa giusta nell’ambito delle proprie convinzioni. IO: Secondo il Hwa Rang Do® l’Io consiste di 3 elementi essenziali i quali vanno a comporre l’intero essere e tutte le cose si manifestano agli esseri umani attraverso questi tre componenti i quali non possono esistere indipendentemente gli uni dagli altri: • L’aspetto mentale: quello che si pensa attraverso i ragionamenti; • L’aspetto fisico: quello che si sente attraverso i 5 sensi; • L’aspetto emozionale: quello che si sente attraverso le proprie emozioni. Ad esempio, prima di mangiare a pranzo, è possibile che si senta prima la fame (corpo - 2) ma la decisione di mangiare uno specifico cibo scegliendo particolari cotture ha aspetti sicuramente emozionali (3). Il processo mentale (1) interviene quando si decide di escludere o meno una certa pietanza perché non conforme a certe idee o non salutare, ecc. Ognuna delle parti menzionate è ugualmente importante ed ognuna influenza le altre due. Dalla comprensione ed attenzione costante su questi elementi viene la possibilità di un maggiore controllo delle nostre reazioni alle forze esterne che ci influenzano e quindi una massimizzazione


Hwa Rang Do

“Dallo sviluppo di una mente chiara e focalizzata, nonché di un corpo sano e di un forte e stabile centro emozionale, possiamo rafforzare un quarto elemento essenziale dell’essere”

del nostro potenziale umano, obiettivo chiaro e definito del Hwa Rang Do®. SPIRITO: Dallo sviluppo di una mente chiara e focalizzata, nonché di un corpo sano e di un forte e stabile centro emozionale, possiamo rafforzare un quarto elemento essenziale dell’essere: lo spirito. Dal punto di vista marziale lo spirito è in grado di fare molto di più dell’Io perché include al suo interno molto di più dell’Io e non si ferma alla

singola persona ma estende la sua influenza oltre. SFERE DELLA CONOSCENZA: Nel Hwa Rang Do®, la visione del mondo è consistente con la teoria Um-Yang (cines e Yin-Yang ) dell’universo. Noi crediamo che tutti gli aspetti della nostra vita s iano g o v er nati da una leg g e dicotomica in cui due poli opposti coesistono a formare il tutto che co no s ciamo e s entiamo , iv i includendo il nostro Io ed il nostro

spirito. Da un punto di vista mentale è chiaro che o g ni pers o na può av ere differenti idee, filosofie, energie e strade da seguire, ecc. ma dato che UmYang è sempre il principio base che governa tutti gli altri possiamo sicuramente affermare che tutti quegli aspetti convergono ad un “punto di indifferenza” rispetto al quale essi, seppur diversi, risultano ug uali ed in armo nia. Un



Hwa Rang Do interessante esempio di quanto detto permetterà di chiarificare meglio questa idea. Le tre grandi filosofie e modi di vedere il mondo che hanno influenzato la cultura coreana nei tempi antichi sono per certo: il Confucianesimo, il Taoismo ed il Buddhismo. I guerrieri Hwarang dovevano studiare molti dei concetti basati su questi tre diversi punti di vista. Dopo aver acquisito un certo livello di maturità intellettuale e di esperienza del mondo reale, essi iniziavano ad intravedere dei tratti universali che unificavano tutte le forme di conoscenza ed esperienza, non solo i tre aspetti prima evidenziati. Sulla base di questa consapevolezza potevano iniziare un arduo ma importante viaggio verso una verità unificata, indipendente dai punti di vista o quantomeno indifferente ad essi. In generale, il Hwa Rang Do® dice che dobbiamo aprirci a tutte le forme di insegnamento di vita perché è l’unico modo per iniziare un valido viaggio verso la verità. In conformità a ciò è importante iniziare con degli studi accademici (scuole, università, insegnanti e maestri), per poi passare all’applicazione reale della propria conoscenza ed infine lavorare duramente al fine di trovare una “via universale” che unifichi ognuno degli aspetti studiati e sperimentati. Quello che si trova alla fine di questo viaggio la possiamo chiamare verità ed è la stessa a prescindere da dove il viaggio sia partito e potrà comunque essere vista in maniera diversa da ognuno. La verità è il punto di “indifferenza” ed il Hwarang era (ed è) un “cercatore di verità”.





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Il sistema PPP di Brazilian Jiu Jitsu insegnato dal Maestro Cintura Rossa, Flavio Behring (9°Dan di BJJ) Dopo aver imparato con Rickson Gracie nella soleggiata California, nel 1994, e aver ottenuto la cintura porpora, conobbi un rappresentante della generazione più antica di Parigi, Flavio Behring, cintura rossa. Il mio fratello di BBJ del Rickson Gracie Jiu Jitsu, Christian Derval, mi aveva invitato molte volte, fino a che non presi la decisione di accettare tale invito e conoscere il Gran Maestro, che cominciò studiando da Helio Gracie agli albori del Gracie Jiu Jitsu, nel 1947. Organizzai varie lezioni private e mi vennero molte domande.

Il Gran Maestro Flavio Behring sembra il fratello gemello di Sean Connery e il suo modo di insegnare tutti i dettagli tecnici del Brazilian Jiu Jitsu, per esempio:come afferrare, come distribuire il peso, o come realizzare la transizione adeguata da una posizione all’altra, sono semplicemente impressionanti. Ciò che Flavio ha in comune con Rickson Gracie è la sua ricerca dell’efficacia del BJJ per la difesa personale, invece di modificarlo per la competizione sportiva. “La difesa personale non è un combattimento per sorprendere” (Flavio Behring)



“Secondo Flavio Behring, si deve comprendere il sistema PPP del Brazilian Jiu Jitsu. Questo significa che Postura, Precisione e Pressione devono essere controllati in ciascun posizione e movimento�


Era come tornare a casa, rendermi conto di tutti quei piccoli dettagli che sentivo sempre mancanti quando combattevo. Alla stessa maniera, il metodo di insegnare e di esporre le cose del Gran Maestro Flavio Behring e fondamentalmente il fatto che sia un modello della figura di Maestro di Arti Marziali, anche questo mi ha fatto sentire come a casa e ho iniziato a lavorare con lui nel Brazilian Jiu Jitsu. Da allora, lo invito due volte l’anno a casa mia e alla scuola a Bamberg, Germania. Insieme diffondiamo questa Arte in diverse città della Germania, così come in Italia, nei Paesi Bassi e in Danimarca. Nella maniera in cui lo fa Flavio Behring, si può capire il sistema PPP di Brazilian Jiu Jitsu! Questo significa che: Postura, Precisione e Pressione devono essere controllati in ciascuna posizione e movimento. Se una di queste tre P mancherà, allora non staremo più facendo il BJJ originale, quello concepito per difendersi per la strada e nella vita. I sistemi del PPP permettono di combattere senza sforzo. In merito alle tre P, il caso è come segue: La Postura facilita il miglioramento dell’equilibrio, dell’uso delle leve, della sicurezza e l’aumento delle opzioni. Per esempio, mentre siamo nella posizione di guardia, non bisogna perdere la postura ne mettere la testa verso il basso, perché farlo vorrebbe dire dare molte

opportunità all’avversario per soffocarci o farci cadere. Vi immaginate stare a testa bassa nella vita di tutti i giorni?... Tenete la testa alta, sentite la fiducia e affrontate la vita in maniera con equilibrio e decisi ad andare aventi, mentre allo stesso tempo rispettate la vostre stessa vita e quella degli altri. Lasciate che il vostro avversario lotti contro equilibrio creato facendo leva con il corpo e in questo modo, mentre egli perde energia, voi la guadagnate e al contempo vi si sta aprendo una porta per poi poterlo dominare e sottometterlo. Tutto ques to è s o s tenuto dalla precisione, ovvero, dovete essere più precisi riguardo alla posizione e alla transizione a quella attuale, così come nell’afferrare anche riguardo al timing es atto di una tecnica, o s s ia: s e muoversi o no e quando farlo se è il caso. Questo, ad esempio, comprende questioni come la forma per migliorare le tecniche di sottomissione, come le prese di braccia. Per esempio, nel Behring Jiu Jitsu torciamo il polso dell’av v ers ario prima di arriv are all’Americana o alla Kimura. Il terzo principio è la pressione. Se talvolta vi trovate davanti una cintura nera di Jiu Jitsu brasiliano, saprete di cosa sto parlando. Se siete sotto e la cintura nera è sopra di voi,vi sentirete come travolti da un carro armato. Non c’è via di fuga, non ci si può nascondere. La pressione costante, anche dal fondo e

durante la transizione, è il terzo pilastro del Behring Jiu JItsu. Il GM Flavio Behring stava allenando la cintura nera brasiliana Macaco, prima di un match importante e ha lavorato con lui per migliorare la sua pressione durante la posizione di guardia, mentre il suo bacino si muoveva in avanti. È stato in gran parte per questo che Macaco ha poi vinto l’incontro. Usando le parole del GM Flavio Behring, il Jiu Jitsu è come aprire una porta all’avversario, invitandolo ad entrare, per fargli credere che lui è quello che domina e subito chiudergliela per controllarlo con la postura, la precisione e la pressione o per citare un altro slogan della nostra famiglia Behring: “Non lottare, vinci!” Nel 2013 ho assistito alla riunione annuale del Brazilian Jiu Jitsu a San Paolo, Brasile, e mi presentarono tutte le nostre cinture nere. Dopo la riunione, svolgemmo un Camp di allenamento di BJJ in una fattoria brasiliana e successivamente, sono volato a rio de Janeiro. Mi è stato concesso il certificato di 3°dan di Cintura Nera dal mio Maestro, la Cintura Rossa Grandmaster Flavio Behring, dalla Cintura Rossa Grandmaster Alvaro Baretto, firmato da tre Grandi Maestri di Brazilian Jiu Jitsu. Che onore ha voluto dire il riconoscimento del mio impegno nel Brazilian Jiu Jitsu! Oggi, dopo più di 10 anni lavorando con il Maestro Flavio Behring e venti nel


BJJ, insieme abbiamo introdotto il metodo Behring in quattro paesi, abbiamo vinto titoli mondiali e titoli nazionali nel BJJ, grappling e competizioni di MMA, ma la cosa pi첫 importante, abbiamo costruito una famiglia di BJJ e condiviso il nostro stile di vita BJJ con la gente a cui piace praticare. Se desiderate diventare un istruttore ufficiale di Brazilian Jiu Jitsu, potete mettervi in contatto con me direttamente a: HYPERLINK: "http://www.weng-chun.com" www.weng-chun.com

Portando il Behring Brazilian Jiu Jitsu in Danimarca, con il mio allievo Brian Berggren (BrianBerggren.jpg) Logo di Flavio Behring, Germania. La mia famiglia del BJJ in Brasile Famiglia Behring in Brasile, Gran Maestro Flavio Behring, il Campione del mondo Marcio Costa, Campione del Mondo Danilo Rodacki, il Maestro Sylvio Behring, Rodacki, Andreas Hoffmann. Con i miei fratelli del Behring, Mario Guimar찾es, Cintura Nera 5째Dan e Luis Lopes, Cintura Nera 3째Dan.



“Dopo più di 10 anni lavorando con il Maestro Flavio Behring e 20 nel BJJ, insieme abbiamo introdotto il metodo Behring in quattro paesi”


La ASB al Festival del Giappone! Il lineage del Bugei Kaze no Ryu Ogawa Ha e le tradizioni Shizen sono state rappresentate al 17°Festival del Giappone di San Paolo, Brasile. La comitiva della Associazione Sudamericana di Bugei, capeggiata da Shidoshi Thiago Moraes, braccio destro di Shidoshi Jordan Augusto in Brasile, vantava anche la presenza di Shidoshi Andrè Bortoluzzi e si è messa in luce tra le oltre 50 dimostrazioni che hanno avuto luogo sul Palco Principale. La presentazione è stata graditissima dal pubblico presente, dagli anziani, particolarmente soddisfatti nel vedere conservate le tradizioni, ai più giovani, i quali sono rimasti affascinati dalla fermezza e dall’efficacia delle tecniche presentate. Al termine dell’esibizione, vari maestri sono venuti a salutare Shidoshi Thiago e Shidoshi Andrè per congratularsi e informarsi sul Bugei, la ASB e tutto il patrimonio culturale mantenuto dalla scuola. Molti di loro hanno ammesso di essere venuti a San Paolo soltanto per presenziare alla manifestazione dell’Istituzione.



Le arti marziali filippine possiedono la giusta fama di lavorare con efficacia le armi più svariate. Dai bastoni, fino al coltello, da esse deriva una concezione pratica del combattimento che pochi, come l’autore di questo libro, Frans Stroeven, sanno spiegare così bene. Frans è olandese e in quanto errante e viaggiatore, come il mito classico, ha saputo durante gli anni riunire le informazioni dalle fonti originarie, per darle quella svolta moderna e pragmatica che hanno reso il suo sistema, un punto di riferimento a livello internazionale tra i seri studiosi di Eskrima. Questo libro mette insieme tutta questa informazione includendo capitoli che spiegano dai classici delle Arti Filippine come il Gran Maestro Canete, a riflessioni sui sistemi combinati che lo stesso autore conosce molto bene, come il Wing Chun. È tuttavia la ricerca dell’efficacia in combattimento, l’asse centrale che domina questo testo. Un’efficacia che ha portato questo magnifico istruttore a insegnare a gruppi di forze dell’ordine come la polizia del Brasile o delle Filippine. Questo è un libro per gli appassionati delle arti da combattimento pratiche, e un magnifico riferimento per tutti gli studiosi delle arti del sudest asiatico in generale. Il testo è condito di interessanti consigli pratici sul combattimento che richiameranno l’attenzione di tutti gli studiosi, però essendo scritto in maniera diretta e semplice, anche i principianti potranno apprezzarlo. Alfredo Tucci


Nuovi libri! Questo libro è il primo che parla apertamente di una tradizione Sciamanica giapponese che dal Secolo XII rimase segreta. Si tratta della cultura spirituale degli Shizen ("i naturali"), un popolo che raggiunse la sua massima espressione intorno al Secolo XIV sull'Isola di Hokkaido, al Nord del Giappone. La cultura apparteneva alla popolazione Aino, culla di guerrieri e sacerdoti, gli abitanti originari delle Isole, di razza caucasica e in perenne lotta con gli invasori Yamato. Oggigior no solo un tre percento dei giapponesi possiede geni Aino, tuttavia la sua saggezza sul mondo spirituale fu tale che, nonostante l'essenza fu mantenuta segreta, "contaminò" intensamente la cultura giapponese e la sua influenza si può percepire in aspetti dello Shinto, nello Shugendo, nelle Arti Marziali e nelle tradizioni e abitudini di tutto il Giappone. I saggi Miryoku, gli Sciamani del popolo Shizen, erano temuti e ricercati persino dallo stesso Shogun per via del loro potere e delle loro conoscenze. L'e-bunto è rimasto talmente segreto che anche digitando il suo nome su Google, non ne esce niente. La ricchezza della sua eredità è enor me e le sue conoscenze del mondo spirituale e delle interazioni con esso sono sorprendenti e poderose. Filosofia, psicologia, strategia, alimentazione, medicina spirituale ... le materie che compongono l'ebunto sono molto vaste e ricche mentre la sua Cosmogonia possiede la finezza, la profondità e la raffinatezza della Grecia classica. Questo lavoro è dunque una primizia storica, ma anche una fonte d'ispirazione per comprendere come i popoli antichi esplorarono l'ignoto, interagendo in modo sorprendente con le forze dell'Universo, a partire dall'analogia e dal linguaggio dei fatti, giungendo a conclusioni che solamente ora la scienza moder na incomincia ad intravvedere. Una conoscenza che lontano dal rimanere un qualcosa d'infor mativo o sterile, fu utilizzata come medicina spirituale, trasmettendoci un bagaglio immensamente ricco che solo ora, finalmente, incomincia ad aprirsi al resto dell'umanità, trovando in questo modo il suo giusto riconoscimento.

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Testo: Pedro Conde. Foto: David Gramage. HYPERLINK "mailto:davidgramage@gmail.com" davidgramage@gmail.com

Le tecniche di gamba, a causa della rigiditĂ naturale degli arti inferiori (non ci dimentichiamo che i loro forti muscoli e tendini si fanno carico di sopportare e spostare il peso del corpo per gran parte della giornata), sono piĂš difficili da rendere precisi, per quello richiedono molto piĂš allenamento che le tecniche con gli arti superiori.


LA PRECISIONE: LE SUE CHIAVI E L’ALLENAMENTO La precisione è uno degli attributi fondamentali delle arti marziali e degli sport di contatto. È così importante che, per quanto potente, rapido o sciolto sia un artista marziale, le sue azioni saranno poco efficaci se carenti di precisione, semplicemente perchè i suoi colpi o tecniche non arriveranno dove vuole, ne al momento giusto. Malgrado la sua importanza, la precisione non si è soliti allenarla in modo specifico, poichè si tende a credere che precisi si nasce, non si diventa. Questo non è esatto. Come qualsiasi altro attributo marziale, anche la precisione può essere allenata e migliorata. Per precisione intendiamo la capacità che consente a un’azione neuromuscolare di raggiungere esattamente l’obbiettivo spazio-temporale desiderato; in termini marziali, colpire o afferrare un punto preciso in un momento preciso, o il sincronismo o l’esattezza rigorosa con la quale un movimento raggiunge la meta, gli obbiettivi previsti (che sia impattare, parare, schivare, ecc.). la precisione è quindi il risultato della congiunzione di due qualità basilari: la coordinazione dei movimenti in merito alla precisione spaziale, e la velocità per quanto riguarda la precisione temporale. Entrambi i tipi di precisione sono strettamente correlati e l’artista marziale dipende da ognuna di esse per essere realmente preciso nelle propre azioni. La precisione è, insieme all’opportunità e alla fluidità, uno dei fattori fondamentali del timing, qualità strategica per eccellenza, che distingue un combattente qualsiasi da uno di grande livello. Certamente, non tutte le tecniche esigono lo stesso grado di precisione. Un pugno o un calcio girato, per esempio, richiedono una precisione quasi chirurugica per divenire efficaci; una imprecisione di alcuni centimetri o di decimi di secondo, è sufficiente per trasformare un colpo tremendo in uno inoffensivo. Lo stesso accade con i colpi effettuati con le dita portate verso i punti sensibili o vitali. Al

La bilateralità è un elemento che spesso manca nell’attributo della precisione, perciò bisogna allenare il doppio il lato sinistro, nel caso di essere destri, se si vuole essere efficaci in combattimento, perchè non si mai da quale posizione si porterà un colpo.


Posizione di guardia. Jab o diretto di sinistro. Cross o diretto di destro. Low Kick di destro. Low kick di sinistro. Per finire chiudendo con round hose kick, o calcio circolare. contrario, altre tecniche non richiedono troppa precisione per fare danni. I migliori esempi sono alcune tecniche della Thai Boxing, come il calcio circolare o la gomitata; queste sono così potenti e distruttive che poco importa la loro precisione, impattando dalle spalle in su, il risultato sarà sempre devastante. Nel caso specifico delle tecniche di gamba grazie alla rigidità naturale degli arti inferiori (non dimentichiamo che i loro forti muscoli e tendini si fanno carico di sopportare e spostare il peso del corpo per gran parte della giornata), esse sono più difficili da rendere precise. Nel caso dei calci, alle qualità di coordinazione e velocità bisogna aggiungere l’elasticità e l’equilibrio. Nella stragrande maggioranza delle competizioni marziali, è permesso colpire soltanto dalla cintura in su, il che richiede agli atleti marziali attuali di essere in grado di portare i calci a un’altezza considerevole, con controllo e rapidità. Una scarsa flessibilità influenza l’equilibrio, l’altezza e la portata del calcio, e pertanto, la sua precisione. La precisione dei calci dipende dunque in gran parte dalla flessibilità. La precisione dei colpi è probabilmente una delle qualità marziali più importanti e anche, purtroppo, una delle più trascurate nell’allenamento. La mancanza di precisione non solo fa perdere delle opportunità, ma anche energia e ci espone in posizioni vulnerabili ai contrattacchi del rivale. È stato calcolato che nelle competizioni, oltre il 70% dei colpi non arrivano a bersaglio, ovvero, quasi tre colpi su quattro non servono praticamente a nulla, in presenza di un comune denominatore nelle arti marziali e negli sport di contatto, il quale è: “Non importa il numero di colpi che si portano, ciò che importa davvero sono quelli che arrivano a bersaglio”. Quegli atleti o praticanti che riescono a ridurre questa percentuale di errore, sono di solito, non a caso, quelli che vincono. Ciascun colpo impreciso è un’occasione persa, per questo la precisione determina sovente la differenza tra tutto o nulla. Perciò, bisogna allenare e perfezionare i diversi

tipi di precisione, che sono: spaziale, temporale e tecnica.

Precisione Spaziale Precisione spaziale (dove?) Questa è la dimensione più basilare della precisione: la capacità di colpire con esattezza un punto dello spazio desiderato. Tale precisione dipende soprattutto dalla coordinazione tecnica dei movimenti e dalla flessibilità. Per quanto riguarda la coordinazione, la semplicità della tecnica e la familiarità con essa, determinano la precisione. Una tecnica è più semplice quando impegna meno muscoli in giochi e interazioni più essenziali e corte. Per chiunque risulta chiaramente più facile colpire con un pugno diretto che con un calcio volante o girato. La familiarità si ottiene mediante la ripetizione, in modo che il nostro sistema neuromuscolare vada a conoscere la sequenza dei movimenti e a ridurre le imprecisioni. Per affinare la precisione e l’esattezza spaziale c’è chi raccomanda attrezzature di piccole dimensioni: punching balls e affini. Ma anche se questi attrezzi richiedono una gran precisione, non consentono, a causa del loro scarso peso, di combinarla con la potenza. Per allenare la precisione con la potenza abbiamo gli attrezzi pesanti, come i sacchi e i pao. Nel caso del sacco, tramite delle strisce di nastro, o dei gessetti, è possibile collocare in esso degli obbiettivi ben precisi, lavorando allo stesso tempo a piena potenza. Se si desidera avere un controllo dei progressi realizzati, basta tener conto del numero dei pugni portati e quanti di questi, effettivamente, impattano con precisione nel target prescelto (per esempio, quanti colpiscono su 50


portati). Calcolando la media giornaliera si può conoscere la percentuale di colpi a segno e di errori. Comparando le differenti medie nell’arco di un periodo di tempo, potremo tenere traccia dei progressi nella precisione e determinare se l’allenamento della stessa richiede o meno una maggiore attenzione. Un’altra opzione consiste nel segnare l’obbiettivo con un gessetto bianco, in maniera che dopo aver portato il colpo, possiamo

evitare di fare se gli attrezzi recano, come al solito, il logo del fabbricante nel guanto da boxe. Se gli attacchi si eseguono con realismo, muovendosi per tutto il tatami o ring, portando combinazioni di diversi colpi, facendo delle finte, schivate e contrattacchi, riusciremo ad allenare in maniera ottimale sia la precisione spaziale che quella temporale. I pao segnati permettono di allenare la precisione a piena potenza, anche se non si possono spostare con la stessa agilità dei focus, per cui viene rallentato il ritmo dell’allenamento. Con i focus segnati si può lavorare la precisione alla massima velocità, ma ovviamente, certi colpi (specialmente i

momento preciso. Questa precisione temporale esige fondamentalmente velocità di percezione (vedere i vuoti che lascia l’avversario) e di esecuzione. Il problema principale è che se la precisione temporale dipende dalla velocità e la spaziale dalla coordinazione, velocità e coordinazione risultano essere in contraddizione, poichè normalmente, a a una maggiore velocità di esecuzione, corrisponde un minor controllo e viceversa. La prova è che se colpiamo al rallentatore, possiamo raggiungere con precisione millimetrica quasi ogni obbiettivo, ma quando acceleriamo i movimenti, sorgono i problemi di

verificare sia sul sacco che nel pugno o nel piede se ha impattato con precisione. Una volta che riteniamo di avere un buon livello di precisione spaziale statica o con movimento limitato, conviene passare a allenamenti più complessi e realistici: a partire da quel momento, avremo bisogno di un compagno di allenamento. Il metodo menzionato con il sacco, può essere applicato anche ad attrezzature di allenamento tenute da un compagno, come i pao e i guanti da passata. Con strisce di nastro si segnano i punti nella superficie di questi attrezzi e sarà sufficiente realizzare degli attacchi tentando sempre di colpire esattamente il segno. Questo si può

calci) non possono essere scagliati a piena potenza. Questo lavoro si può anche svolgere con i guanti imbottiti o le maniglie da Taekwondo, denominate racchette, che sono valide per allenare questo concetto.

imprecisione. Una buona precisione marziale deve essere in grado di trovare l’equilibrio tra questi due fattori, ovvero, che la velocità della precisione temporale non ci infici la precisione spaziale. Per quello è necessario allenarsi con “bersagli mobili”, per esempio, con attrezzature leggere che siano in rapido movimento prima dei nostri impatti (come i punching-balls) e si deve continuare a colpire nel loro andirivieni e rimbalzi. Questo ci obbliga a colpire con velocità senza rinunciare alla precisione dei colpi. È possibile allenarsi a round di uno o due minuti, tenendo il conto dei colpi a segno, il che ci permetterà di misurare i nostri progressi nel dettaglio.

Precisione temporale (quando?) Fino ad ora abbiamo visto la dimensione statica della precisione, ovvero, il colpo su obbiettivi fissi. Ma i combattimenti solitamente sono molto dinamici, visto che nessun rivale se ne sta lì ad aspettare i colpi. Questo fattore dinamico obbliga a introdurre la dimensione temporale della precisione, ossia, la capacità di colpire nel


Precisione Tecnica (come?) Ma non basta picchiare dove e quando vogliamo, bisogna anche essere capaci di colpire come vogliamo. La precisione tecnica consiste nel saper muoversi e scegliere le distanze e i colpi precisi per ciascuna situazione e momento. Per esempio, possiamo trovarci a una corta distanza e scorgere un buco nella guardia del rivale, portando nel

momento idoneo un colpo che impatti con precisione il suo stomaco e che tuttavia risulti inefficace e gli faccia un danno relativo. Se portiamo un pugno diretto, invece di un gancio, il colpo impatterà a traiettoria appena iniziata, senza la potenza che apporta l’accelerazione. Il colpo è andato a segno per quanto riguarda il posto e il momento di impatto, ma fuori bersaglio o impreciso in fatto di distanza o di tecnica, per cui perderà gran parte della sua efficacia.

La precisione tecnica può soltanto essere raggiunta sulla base dell’esperienza in combattimento, che è l’unica in grado di forgiare l’intuizione o la capacità di anticipazione tecnica. Così per allenarla con maggior realismo possibile, c’è bisogno di un compagno. Che sia per utilizzare i focus (guanti imbottiti) che il compagno ci va ponendo a livelli differenziati, mentre ci muoviamo come se si trattasse di un combattimento; o che sia scambiando con le protezioni


Posizione di guardia. Jab o diretto di sinistro. Cross o diretto di sinistro. Hook o gancio trasversale. Uppercut o gancio ascendente. (casco, paradenti, guanti, conchiglia e paratibie), per arrivare a un maggior realismo possibile mantenendo ampi margini di sicurezza. Nessun attrezzo può sostituire il rivale umano, che si muoverà in maniera strategica e spesso imprevedibile. In termini generali, bisogna cercare di allenare la precisione in combinazioni di vari colpi, non con colpi isolati. Ed è necessario praticare combinazioni complesse, ovvero, colpendo sopra e sotto, con pugni e calci, poichè tutte queste variazioni tecniche rendono difficoltosa la precisione. La resistenza diventa a sua volta un fattore importante, perchè la stanchezza riduce la precisione. Gli allenamenti descritti in questo articolo sono progressivi, in quanto la precisione, malgrado ciò che pensano alcuni, è il prodotto di anni di allenamento. Si può pertanto iniziare a colpire a vuoto; per perfezionare la tecnica e la coordinazione spaziale passare a bersagli statici; dopo a quelli mobili per la coordinazione temporale, a cui segue ovviamente l’allenamento con lo sparring, con focus o protezioni. Per la precisione tecnica, i progressi si percepiranno in combattimento, indicandoci l’attenzione che dobbiamo prestare a questo attributo.


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L’Occhio di Odino, le Pianure di Vigard e l’ultimo combattimento Come alcuni di voi sapranno, i Dog Brothers si presentarono al mondo con queste parole del Dr.Carl Jung: “L’idea non è immaginare delle figure dalla luce, ma rendere visibile l’oscurità” Questa è l’idea che è sottintesa nel nostro credo, “Più grande è la dicotomia, più profonda è la trasformazione. La coscienza è superiore tanto più duro è il contatto!” © DBI Pertanto la domanda sarebbe: Semplicemente, come rendiamo cosciente l’oscurità? Dopotutto, “oscurità”, ciò che Jung chiamava spesso “l’ombra”, non è soggetta a definizione, per definizione è ciò che non si vede; è precisamente ciò che esiste nelle ombre proiettate dall’interazione della luce (Dio?) e un mondo fisico...o “l’Io” in se. Una forma è un percorso descritto primariamente dal Dr.Jung, attraverso lo studio dei miti. Il professore di Jung, Joseph Campbell lo spiega così: - Le qualità dell’esperienza non sono soggette a definizione, tuttavia, ciò che non è menzionabile è in grado di esprimersi: gli artisti possono fare questo... Un autore può descrivere l’esperienza solo come una similitudine e una metafora. Ciò che realizza graficamente e ciò che fa, soprattutto, per stimolare l’empatia, è descrivere una situazione umana nella quale le emozioni attribuite appaiono naturalmente e si adattano alle leggi della natura umana. Questo tipo di situazioni di stimolo, definibili abbastanza oggettivamente, coincidono con le emozioni liberate. Gli artisti e gli autori si vedono limitati nelle loro rappresentazioni a questo numero relativamente ristretto di situazioni; per chiunque altro, l’ascoltatore o il lettore, non c’è, letteralmente, nessun “organo”, nessun meccanismo recettore per decifrare il messaggio. Possiamo supporre, a ragione, che il fondamento delle nostre emozioni è formato da programmi umani di comportamento, universalmente innati, meccanismi di liberazione prevalentemente innati. “A causa di questo, non dovremmo sorprenderci quando, nella letteratura mondiale – dall’epopea di Gilgamesh fino alle storie di più recente pubblicazione – si utilizzano ripetutamente i medesimi punti fondamentali: l’eroe che libera la donzella prigioniera; l’amico che malgrado tutti i pericoli aiuta l’amico; temi sociali come il forte che opprime il debole, il ricco che sfrutta i poveri; il bambino abbandonato e indifeso”. Queste storie/ miti/ leggende/ religioni, hanno temi ricorrenti che utilizzano gli archetipi come l’eroe, il mago, il re, l’imbroglione/ buffone, la regina e altri, che si nascondono nell’inconscio collettivo dell’uomo. Che sia una storia di oscurità, una storia di un eroe, una storia di un mago, una storia di un re, una storia di un buffone/ imbroglione, ciascuna possiede dei temi secondo il suo genere. Mentre esteriormente queste storie sono spesso impossibili e illogiche, hanno risonanza perchè sono mappe per lo sviluppo della Coscienza e le diverse storie affrontano diversi aspetti della nostra psiche che sono in cerca del completamento e in cerca della coscienza. Questo vale sia nei bambini (vedi il lavoro sulla psicologia infantile di Piaget, per esempio), che negli adulti. Viste da un’altra prospettiva, “Spider-Man” e “Hulk” sono storie di fantasmi e la loro incredibile risonanza e successo sono una potente indicazione della loro validità in quanto tali. Sono racconti sui poteri e sui pericoli del lato oscuro, dell’ira, dell’aggressione, di sesso/creazione, che sono in agguato dietro i modi gentili dei Peter Parker e dei Dr.Bruce Banner di questo mondo. Ricordo quando mio figlio aveva sette anni ed era abbastanza fissato con Spider-Man. All’inizio, mio figlio si domandava se l’uomo-ragno era buono. Portava una maschera, si cacciava in un mare di guai e la polizia cercava di catturarlo. Parlavamo di come l’uomo ragno utilizzava i suoi poteri e la sua intelligenza per proteggere la brava gente, se riceveva o meno il riconoscimento per quello e come nonostante fosse un eroe, anche lui aveva bisogno di un’identità segreta tutti i giorni, di quando l’uso dei suoi poteri era inadeguato. Quando Hulk è arrivato sullo schermo-radar di mio figlio, lui mi chiese se egli era un eroe come Spider-Man. Gli risposi che Hulk cercò di comportarsi correttamente con i suoi poteri, ma che a differenza di Spider-Man, che era uno studente di scienze, Hulk era piuttosto stupido. Mio figlio fece una pausa per elaborare tutto ciò. Ci piaceva Hulk, ma io gli avevo appena dato dello stupido. Gli spiegai che l’ira di Hulk era allo stesso tempo la chiave della sua forza e la causa della sua stupidità, che era troppo incavolato per pensare con lucidità e che perciò aveva bisogno di sua moglie Betty, su cui contava, per guidarlo nel fare del bene e non del male. Senza di lei, spesso “si metteva nei casini”. Nella storia che vedremo qui, troveremo un mix degli archetipi del mago e dell’eroe. Come vedremo a un certo momento, ogni eroe perde una


rappresentazione tangibile del suo vecchio mondo e del suo vecchio io. Nel caso di Odino, perde Sleipner, la sua armatura d’oro, il suo elmo d’aquila e la sua lancia, per entrare nel regno nel quale è possibile una nuova forma di saggezza. Lì si trova in un’altra tappa critica del viaggio. Per esempio: Odino Padre di Tutti, diventò Vegtam l’Errante, che supera una prova importante (Vafthrudner) – normalmente al prezzo di ferite tangibili – non molto differente a ciò che succede a un uomo nel suo percorso verso la sua unione con i Dog Brothers. Con questa nozione delle mappe per lo sviluppo della coscienza nella mente, torniamo alla mitologia nordica e alla storia di Odino.

ODINO VA ALLA FONTE DI MIMIR: IL SUO SACRIFICIO ALLA SAGGEZZA Odino, che non montava più Sleipner, il suo destriero a otto zampe; adesso non indossava più la sua armatura d’oro e il suo elmo d’aquila e non aveva nemmeno la sua lancia in mano, viaggiò attraverso Midgard, il mondo degli uomini, e si diresse verso Jötunheim, il Regno dei Giganti. Adesso non era più chiamato Odino, Padre di Tutti, ma Vegtam, l’Errante. Portaca un mantello di color azzurro scuro e nelle sue mani aveva un bastone da viandante. Ora, mentre si dirigeva verso la fonte di Mimir, che era vicino a Jötunheim, incontrò un gigante che montava un enorme cervo. Odino sembrava un uomo per gli uomini e un gigante per i giganti. Affiancò il gigante sul grande cervo e i due si parlarono: “Chi sei fratello?” – domando Odino al gigante. “Sono Vafthrudner, il più saggio dei Giganti” – disse colui che montava il cervo. Odino sapeva allora. Vafthrudner era infatti il più saggio dei Giganti e molti furono coloro che lottarono con lui, per ottenere la sua saggezza. Ma quelli che si trovavano con lui dovevano rispondere agli enigmi che Vafthrudner gli proponeva e se non rispondevano bene, il gigante gli avrebbe tagliato la testa. “Sono Vegtam l’Errante” – disse Odino – “e so chi sei tu, oh Vafthrudner. Farò il possibile per imparare qualcosa da te”. Il gigante scoppiò a ridere, mostrando i suoi denti. “Ho, ho” – e disse :”Sono pronto a giocare con te, Sai come funziona? Se non risponderò a qualsiasi domanda che mi farai, avrai la mia testa, altrimenti io avrò la tua. Ho, ho,ho!!! Adesso iniziamo”. “Sono pronto” – disse Odino. “Allora dimmi” – disse Vafthrudner – “qual’è il nome del fiume che separa Asgard da Jotunheim?” “Ifling è il nome di quel fiume” – disse Odino. “l’Ifling è freddo come la morte, tuttavia, non si congela mai”. “Hai risposto correttamente, oh Errante” – disse il gigante. “Ma devi ancora rispondere ad altre domande. Quali sono i nomi dei cavalli che cavalcano il Giorno e la Notte attraverso il cielo?” “Skinfaxe e Hrimfaxe” – rispose Odino. Vafthrudner rimase sorpreso nell’udire qualcuno pronunciare nomi che solo gli Dei o il più saggio dei Giganti conoscevano. Restava solo una domanda da poter chiedere prima che arrivasse il turno dello sconosciuto di fare le sue.

Disse Vafthrudner: “Dimmi, qual’è il nome della pianura nella quale si è combattuta l’ultima battaglia?” “La Pianura di Vigard” – disse Odino, “La pianura lunga cento chilometri e larga altrettanto”. Adesso era il tur no di Odino di fare delle domande Vafthrudner: “Quali saranno le ultime parole che Odino sussurrerà all’orecchio di Baldur, suo amato figlio?” – domandò Il gigante Vafthrudner rimase alquanto sorpreso da quella domanda. Saltò a terra e guardò fisso lo sconosciuto. “Solo Odino sa quali saranno le sue ultime parole a Baldur” – disse – “ e solo Odino avrebbe potuto fare questa domanda. Tu sei Odino, oh Errante, e non posso rispondere alla tua domanda”. “Dunque” – disse Odino – “se vuoi salvare la tua testa, rispondimi a questo: che prezzo reclamerà Mimir per un sorso della Fonte della Saggezza che egli sorveglia?” “Chiederà il tuo occhio destro, oh Odino” – disse Vafthrudner. “Non chiederà altro che quello?” – disse Odino. Non chiederà un prezzo più basso. Molti sono giunti a lui per un sorso della Fonte della Saggezza, ma fino ad ora, nessuno ha pagato il prezzo che chiede Mimir. Ho risposto alla tua domanda, oh Odino. Adesso rinuncia alla mia testa e lasciami continuare il mio cammino”. “Rinuncio al mio diritto alla tua testa” – disse Odino. Allora Vafthrudner, il più saggio dei Giganti, proseguì per la sua strada, in sella al suo grande cervo. Era un prezzo terribile quello che Mimir chiedeva per un sorso della Fonte della Saggezza e Odino, Padre di Tutti, rimase molto preoccupato quando glielo dissero. Il suo occhio destro! Doveva rinunciare per sempre alla visuale del suo occhio destro! Era quasi per tornare ad Asgard, rinunciando alla sua ricerca della saggezza, ma continuò, senza deviazioni ne ad Asgard, ne alla fonte di Mimir e quando si diresse a sud, vide Muspelheim dove si trovava Surtur con la spada fiammeggiante, una figura terribile che un giorno si sarebbe unito ai Giganti nella loro guerra contro gli Dei. E quando tornò a nord, sentì il rombo della ribollente Hvergelmer che si spargeva fuori dal Niflheim, il luogo dell’oscurità e della paura... e Odino si rese conte che il mondo non poteva essere abbandonato tra Surtur, che lo incendierebbe, e Niflheim, che lo sottometterebbe di nuovo all’oscurità e al nulla. Lui, il più grande degli dei, doveva acquisire la saggezza che lo avrebbe aiutato a salvare il mondo. e così, col suo volto severo davanti alla sua perdita e al dolore, Odino, Padre di Tutti, tornò indietro e si diresse verso la Fonte di Mimir. Andò fino alla grande radice de Ygdrassil – la radice che era nata da Jotunheim – e sotto di essa, si trovava Mimir, il guardiano della Fonte della Saggezza, con i suoi profondi occhi inclinati verso le acque profonde. E Mimir, che aveva bevuto tutti i giorni dalla Fonte della Saggezza, sapeva chi era colui che si trovava dinnanzi. “Salve a te, oh Dio. Sto parlando con un Dio, Odino, il più grande degli Dei” – disse. Allora Odino fece un inchino a Mimir, il più saggio degli esseri del mondo e disse: “Vorrei bere dalla tua fonte, Mimir” “C’è un prezzo da pagare. Tutti coloro che sono venuti fino a qui a bere, hanno rinunciato a pagare quel prezzo. Lo pagherà il più grande degli Dei?”


“Non esiterò di fronte al prezzo che deve essere pagato, Mimir” – disse Odino, Padre di Tutti. “Allora bevi” – disse Mimir. E riempì un grande corno con l’acqua della fonte e lo diede a Odino. Odino prese il corno con entrambe le mani e bevve, bevve... E mentre beveva, tutto il futuro divenne chiaro per lui. Vide tutte le tristezze e le angosce che sarebbero ricadute sugli uomini e gli Dei. Ma vide anche perchè dovevano patire i dolori e i problemi e vide come potevano essere affrontati in maniera che Dei e uomini, per il loro nobile comportamento nei giorni di tristezza e angoscia, spargeranno nel mondo una forza che un giorno – un giorno molto lontano – avrebbe distrutto il male che portava il terrore, il dolore e la disperazione. Quando ebbe bevuto dal grande corno che Mimir gli aveva dato, si portò la mano al volto e si strappò l’occhio destro. Terribile fu il dolore che Odino, Padre di tutti, sopportò. Ma non emise ne un grido ne un gemito. Inclinò la testa e si mise il mantello davanti alla faccia, allora Mimir prese l’occhio e lasciò che sprofondasse nella fonde acque della Fonte della Saggezza...e lì rimase l’Occhio di Odino, brillando attraverso l’acqua, un monito perchè tutti quelli che arrivati fino a lì vedessero il prezzo che il Padre degli Dei aveva pagato per la sua saggezza. Non conosco molto di questi argomenti, ma per quello che vale, questo è ciò che colgo da questo mito: La saggezza ha un prezzo, fisico e psicologico – nel peso della conoscenza della nostra mortalità – e in questo troviamo la nostra ricompensa, perchè come racconta quest storia: “E mentre beveva, tutto il futuro divenne chiaro per lui. Vide tutte le tristezze e le angosce che sarebbero ricadute sugli uomini e gli Dei. Ma vide anche perchè dovevano patire i dolori e i problemi e vide come potevano essere affrontati in maniera che Dei e uomini, per il loro nobile comportamento nei giorni di tristezza e angoscia, spargeranno nel mondo una forza che un giorno – un giorno molto lontano – avrebbe distrutto il male che portava il terrore, il dolore e la disperazione”. Nel cammino dei Dog Brothers anche noi paghiamo un prezzo fisico per la saggezza e la coscienza di ciò che stiamo cercando. Lo accettiamo perchè ne conosciamo il valore. “e Odino si rese conte che il mondo non poteva essere abbandonato tra Surtur, che lo incendierebbe, e Niflheim, che lo sottometterebbe di nuovo all’oscurità e al nulla. Lui, il più grande degli dei, doveva acquisire la saggezza che lo avrebbe aiutato a salvare il mondo.” E così, come Odino, accettiamo un prezzo che altri non accettano. Questo ci riporta alla questione che ci riguarda oggi: Quando è sufficiente il prezzo pagato? Quando è troppo alto? Dopotutto, Odino diede solo un occhio, non entrambi! Il sentiero dei Dog Brothers è “camminare come un guerriero tutti

i gior ni”. Se siamo troppo ammaccati e doloranti per “accettarlo”, allora, metaforicamente abbiamo rinunciato al nostro secondo occhio – e saremo inutili nel giorno dell’ultima battaglia nelle pianure di Vigard e piangeremo per le vuote orbite dei nostri occhi, quando le Valkirie ci passeranno sopra, per non essere stati all’altezza di farci trovare pronti, disposti e capaci a difendere le nostre terre, le donne e i bambini. A volte, nello spirito di esuberante abbandono che accompagna la volontà di “scommettere la nostra testa” – come fece Odino – come combattenti di bastone, non riconosciamo il portale che da questa fase della nostra vita ci conduce alla seguente. Confondiamo il rimanere per troppo tempo con il rimanere giovani e infatti finiamo con l’essere accecati, avendo dato entrambi gli occhi invece di uno solo! In poche parole, dobbiamo smettere di combattere se abbiamo qualcosa in sospeso, per il quale avremo sempre “un altro combattimento” dentro di noi. Per me, questo significa che anche se ora non combatto più, mi alleno per poter premere il grilletto quando necessario e andare nel luogo dove sono sempre giovane – per tutto il tempo che mi sarà possibile – ma metaforicamente, ho già dato il mio “occhio” agli dei della lotta con il bastone, in cambio della visione dell’esperienza e non sono disposto a dare più “occhi” nella mia ricerca della saggezza. L’intelligenza è la quantità di tempo necessaria per dimenticare una lezione. Una lezione ben imparata, libera la strada per la successiva. Una lezione dimenticata sarà presentata ancora una volta dalla vita, fino a che la impariamo una volta per tutte. Pertanto, se sono intelligente, ricorderò le lezioni dei miei tempi quando combattevo. C’è un grilletto che posso premere e andare nel luogo dove sono “sempre giovane”, un luogo dove, come dice la canzone di musica country (vado a memoria): “Io non sono giovane come prima, ma mi sento giovane come mai lo sono stato”. Lottare è accettare che uno si possa far male in maniera duratura. So ciò che sono stato. La resistenza che mi rimane è per provvedere alla mia famiglia...e al mio turno nelle Pianure di Vigard... e mentre arriva il mio tempo, mi vengono in mente le parole di Juan Matus (come Odino, Merlino, e Gandalf il Grigio, altro esempio dell’archetipo del mago): “E così ballerai qui fino alla tua morte, in questa collina, alla fine del giorno, e nella tua ultima danza parlerai del tuo combattimento, delle battaglie che hai vinto e di quelle che hai perduto, parlerai dei tuoi giubili e degli sconcerti nel confontarti con il tuo potere personale. La tua danza parlerà dei segreti e delle meraviglie che hai accumulato e la morte si siederà qui a vederti. Il sol ponente brillerà su di te senza bruciarti, come lo ha fatto oggi. Il vento sarà soave e dolce e la tua collina tremerà. Arrivato alla fine della danza, guarderai verso il sole, perchè non lo vedrai mai più nella veglia o nel sonno e dopo la tua morte, se ne andrà a Sud, verso l’immensità” L’avventura continua... Crafty Dog


AUTORE: B. RICHARDSON

AUTORE: SALVATORE OLIVA

REF.: DVD/TV2

REF.: DVD/SALVA • DVD/SALVA2 • DVD/SALVA3 TITOLO: KNIFE FIGHTING: • DVD/SALVA4 • DVD/SALVA5 TITOLO: PROFESSIONAL • DVD/SALVA6 FIGHTING SYSTEM: • DVD/SALVA6 TITOLO: PROFESSIONAL • DVD/SALVA7 FIGHTING SYSTEMKINO MUTAI:

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TITOLO: J.K.D. STREET SAFE:

TITOLO: BRUCE LEE: L’UOMO E LA SUA EREDITA

AUTORE:RANDY WILLIAMS

AUTORE:JOAQUIN ALMERIA

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TITOLO: HOMENAJE A BRUCE LEE AUTORE: TED WONG & CASS MAGDA

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TITOLO: JKD STREET DEFENSE TACTICS: TITOLO: EXPLOSIVE DUMOG TITOLO: JKD STREET TRAPPING”

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TITOLO: JEET KUNE DO BRUCE LEE’S YMCA BOXING

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TITOLO: JKD EFS KNIFE SURVIVAL AUTORE: ANDREA ULITANO

REF.: DVD/DP1 TITOLO: 5 EXPERTS - EXTREME STREET ATTACKS AUTORI: VICTOR GUTIERREZ, SERGEANT JIM WAGNER MAJOR AVI NARDIA, J.L. ISIDRO & SALVATORE OLIVA

AUTORE: BOB DUBLJANIN

TITOLO: JEET KUNE DO ELEMENTS OF ATTACK

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DVD/RANDY4 TITOLO: CONCEPTS & PRINCIPLES

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TITOLO: JKD “EL CAMINO DEL PUÑO INTERCEPTOR”

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AUTORE:TIM TACKETT

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INGLES

ALTRI STILI

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L’ARTE ZEN CHE EQUILIBRA LO SPIRITO Ho avuto il piacere di assistere e anche di fare l’introduzione di un corso di Shidoshi Juliana Galende sulla pittura tradizionale, il Sumi-e. La mia presenza a detto corso si spiegava, aldilà del rispetto e dell’amicizia per chi la teneva, a causa di una sfumatura poco conosciuta della mia persona, quella di pittore ad olio. In questo corso ho potuto corroborare vari punti. Primo e principale, l’eccellenza dell’insegnante (non ho mai visto nessuno con una tale capacità di comunicazione ed empatia con un allievo!) e secondo, la sorprendente velocità con la quale è possibile imparare suddetta tecnica (se è ben spiegata). Se avrete occasione di assistere, se avete interesse ad organizzare un corso con lei, non mancate di farlo! È garanzia di successo, di alto livello e di risultati. Alfredo Tucci

I

l Sumi-e, anche conosciuto come Suiboku, è un tipo di tecnica di disegno della pittura tradizionale giapponese. Ci sono prove testuali che suggeriscono l’esistenza dello stile in Cina già durante la dinastia Liu Song del V secolo. Tutto sembra indicare che durante la dinastia Tang (618-907) raggiunse un importante

sviluppo, per poi definirsi come uno stile pulito durante la dinastia Song (960-1279). Introdotto in Giappone nella seconda metà del XIV secolo dal Buddismo Zen, venne assimilato dai giapponesi con i grandi contributi dei monaci come Toba-Sojo, che disegnò “Chiju Giga”, nel periodo Heyan (795-1185), e Sesshu, durante il periodo Muromachi

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Cultura Orientale (1333-1587), nel quale il Sumi-e è cresciuto in popolarità e arrivò a un tale alto livello di sviluppo che venne considerato come il primo stilo puramente giapponese della tecnica del disegno a inchiostro. Esiste tutta una terminologia relazionata all’arte del Sumi-e: sumi (inchiostro), suzuri (calamaio), bokusho (arte), kami (carta) e il fude (pennello). Il termine sumi-e – si dice anche “suinoku-ga” – si riferisce alla pittura giapponese a tinta monocromatica, una tecnica che ebbe origine in Cina durante la dinastia Song (960-1274) e venne metabolizzata dai giapponesi nel XIV, con l’aiuto dei monaci Zen-Buddisti. Il sumi-e ha le sue radici nella calligrafia cinese; le pennellate apprese nella calligrafia sono le stesse utilizzate nella pittura. La cosa più importante è che il sumi-e rappresenta non soltanto un bella e singolare forma d’arte, ma anche una filosofia. Mentre la maggior parte della pittura occidentale classica ha avuto come obbiettivo la descrizione realistica del mondo e dei suoi oggetti, il sumie è sempre stato espressione della percezione dell’artista. Pittori che tentano di catturare l’essenza di un oggetto, di una persona, o di un paesaggio: più importanza alla suggestione che al realismo. La pittura occidentale utilizza il colore per creare ombre, toni e un senso dello spazio. Il sumi-e tradizionale, al contrario, usa unicamente inchiostro nero. Nella pittura orientale, l’inchiostro nero è la più alta semplificazione del colore. Agli inizi del X secolo, il Giappone cominciò un grande scambio con la Cina, inviando studenti perchè assimilassero il meglio che la cultura cinese possedeva, in particolare la calligrafia e la religione. Questo interscambio proseguì ancora per alcuni secoli, fino a che attraverso degli scambi interni, i giapponesi adattarono ciò che avevano appreso alle loro necessità. Un eredità lasciata da questo legame di amicizia fu il



germe di quello che poi sarebbe diventato il Buddismo-Zen, che ha avuto origine nel XII secolo. Il Sumi-e, dalle sue origini, possiede come caratteristica principale la velocità con cui si realizza, l’ispirazione artistica si trasmette nel lasso di tempo minore possibile, dove non c’è tempo per la riflessione o il pensiero di ciò che sta per essere realizzato, l’artista deve seguire la propria ispirazione spontanea. Non esiste la possibilità di alcuna correzione o ripetizione, un tratto deve essere realizzato in modo unico, se c’è qualche errore, è “morto” e pertanto l’opera è persa. Quello era lo spirito che portò molti samurai a preticare lo Zen e il Sumi-e. Un colpo di spada doveva essere portato spontaneamente, senza possibilità di correzioni o riflessioni, altrimenti lo spadaccino era condannato a morte, a causa della velocità con cui avvenivano i duelli. Shin’ichi Hisamatsu, filosofo e profondo conoscitore dell’arte Zen, evidenzia sette perticolarità che devono coesistere in un’opera Zen, e sono queste: asimmetria, (fukinsei), semplicità (kanso), profondità (shizen), quiete e serenità interiore (seijaku). Pertanto, non tutte le opere si possono classificare come Zen. Nel Sumi-e, si utilizza un inchiostro fatto di fuliggine e colla (Sumi) e pennelli di pelo di pecora e tasso, in modo da trattenere molto liquido. Ma è la carta, la maggior parte delle volte fine e assorbente, che for nisce la

caratteristica principale di questo tipo di pittura. La ragione della scelta di un materiale così fragile per trasmettere l’ispirazione artistica, è che la stessa deve nascere nel minor tempo possibile. Se il pennello indugia molto sulla carta, questa si rompe. Il colore bianco che resta di sfondo nella carta (colore originale) si relaziona con l’universo. Non si vede uno sfondo definito e così si mantiene la caratteristica relativa al vuoto. La filosofia della pittura Sumi-e è trasmettere alla carta lo spirito di un oggetto, in mancanza di una volontà di creare un’opera realista. Ogni pennellata deve essere piena di energia (Ki – energia vitale che pervade ogni cosa). Ogni tratto deve mostrare la propria vita e vitalità. L’artista Sumi-e, così come un maestro della manifattura della spada samurai, mette il suo spirito nell’opera e ciò crea la vita attraverso la sua espressione artistica. La combinazione della pittura, della poesia e della calligrafia è stata la composizione artistica preferita del Giappone nella prima metà del XV secolo, principalmente negli ambienti Zen. La programmazione di quei “Rotoli di Poemi e Dipinti” – Shigajiku – e l’impegno nel realizzare un’opera d’arte internconnessa a tutti i livelli e sensi, si cristallizzarono dunque in una via. Più tardi, a partire dall’epoca del maestro Ch’en La ChaoChou Ts’ung Shen (778-897), dalla personalità originale, venne anche considerata negli



ambienti Zen come qualcosa di straordinario. Le due parti separate devono essere allo stesso tempo uniche e indipendenti, in maniera da non dipendere dalla presenza di una o dell’altra, per essere una vera opera d’arte.

EL SUMI-E NELLA PRATICA Per dipingere Sumi-e, il praticante deve conoscere perfettamente l’oggetto che dipingerà, perchè non ci siano riflessioni o esitazioni durante il processo

creativo, deve avvenire una osservazione quasi costante delle cose che lo circondano, così la sua pratica disporrà anche di una maggiore coscienza della vita, poichè con essa inizia ad esserci una più elevata sensibilità verso le cose e le persone intorno a noi.

© Tutte le opere qui presenti sono Juliana Galende. Per più informazione potete trovarla nel canale ufficiale Kaze Ryu Ogawa non Ha, Youtube, e Facebook, KazenoRyu.Sumie,



La pittura si fonda semplicemente sulla forza della sua ispirazione basilare. I temi della natura sono l’argomento principale, ma i pittori non cercano di imitare, copiare o dominare la natura. Al contrario, essi ne apprezzano ciascun aspetto e ne godono di ogni suo processo. Cercano l’armonia con l’universo attraverso la comunione di tutte le cose. La bellezza artistica spesso risiede in ciò che è naturale e ha carattere. Se osserviamo quei dipinti con il pensiero e il cuore aperti, il loro significato interiore diviene lentamente manifesto. Nel Sumi-e, l’obbiettivo è catturare l’essenza, il ki (energia vitale), lo spirito o la vita del soggetto del dipinto, evocando la poesia e la natura. All’inizio, l’allievo può addentrarsi in quattro temi classici: bambù (take), crisantemo (kiku), orchidea (ran) e fiore di prugno (ume). L’allievo di Sumi-e deve passare per ognuno dei temi citati in precedenza. Per osare le pennellate caratteristiche del crisantemo, deve prima padroneggiare le varianti del bambù. Oltre che abbracciare differenti tecniche, lo stile Sumi-e è composto da tre tonalità, ottenute dalla mescola del

sumi (inchiostro) e dell’acqua. Il Sumi-e consiste in poche pennellate, solo quelle sufficienti a rappresentare il tema, il che gli conferisce la sua eleganza e semplicità. L’economia dello stile portò il Sumi-e ad essere sovente menzionato come l’haiku della pittura, poichè la sua forma abbreviata è simile a quella del micropoema. La natura dei materiali e delle tecniche del Sumi-e non permette di tornare a lavorare sugli errori commessi, quindi, i dipinti imperfetti vengono distrutti. Essa denota un impegno nascosto a seguito del dipinto finale. All’interno della pittura del Sumi-e, l‘artista deve imparare a usare con grazia il tocco del pennello sulla carta, in modo controllato. L’eccesso e la carenza di forza possono distorcere il dipinto. Per dipingere il Sumi-e è necessario un mix di controllo e spontaneità. Deve esserci un’armonia interiore che guida la mano, conducendo il pennello verso un’espressività pregna di sentimenti. Al giorno d’oggi, in Giappone, molti dirigenti e persone con alti incarichi praticano il Sumi-e, non solo come

forma di relax o in cerca di pace interiore, ma anche come un modo per migliorare l’efficenza negli affari, principalmente riguardo al sapere prendere decisioni rapide. Inoltre, dal momento che si è consolidato un processo di auto-conoscenza, per riflettere sullo stato dello spirito del praticante, non consentendo correzioni postume, invoca la bellezza dell’effimero e la brevità delle cose, la spontaneità e la necessità di equilibrio e autocontrollo. Il Sumi-e è tradizionalmente un esercizio spirituale; così come nella meditazione, la pianificazione è predominante, anche se la tecnica deve essere praticata intensamente per poi dimenticarla, in maniera da divenire uno strumento dello spirito creativo dell’artista. Chiunque può iniziare lo studio del Sumi-e, senza necessità di una previa esperienza artistica, perchè la didattica permette a tutti il suo apprendimento. I corsi di diversi livelli sono offerti a coloro che desiderano imparare la via della pittura giapponese, dai temi più classici, a quelli liberi.




La “Mano dell'Infinito”

Texto: Pablo Pereda Fotos: © Budo International Publ. Co.


Okinawa Il 24 di Agosto è scomparso il Maestro Pablo Pereda. Ci ha lasciato presto e in maniera imprevista. Medico, ricercatore, studioso delle arti di Okinawa, ha dato un meraviglioso contributo al nostro campo che a suo tempo abbiamo proposto nella rivista e in un DVD unico nel suo genere. Il suo spessore, il suo calore umano, sono stati comprovati dai tanti che lo conoscevamo. Era un gentiluomo che ha aiutato molta gente nel lavoro e nella vita quotidiana. Persona alquanto spirituale, ha ricercato ed è stato testimone di alcuni percorsi iniziatici. Creatore della Karaterapia, disciplina riconosciuta dalla Federazione Mondiale di Karate, studioso di Castaneda, e depositario dell’antico sapere dei kata di Okinawa che suo bisnonno conobbe prima di chiunque come medico operante sulle Isole. In suo onore, riproponiamo questo articolo. Lascia la sua amata moglie e tre figli che adorava, educati e preparati alla vita, ma che senza dubbio sentiranno molto la sua mancanza; il mio amore e simpatia va tutto a loro. Don Pablo era tuttavia un uomo spirituale e sono sicuro che il suo trapasso è stato cosciente. Ha fatto molto del bene e mancherà a tanta gente, però ha svolto bene il compito per cui era qui e se n’è andato troppo presto. Non aveva mai frequentato ospedali come paziente fino a quel giorno, ma la sua aorta si è squarciata..., paradossi del destino che egli sapeva apprezzare. L’ho sempre rispettato e sono onorato di averlo avuto come amico, era una persona impeccabile, compassionevole e generosa verso coloro che soffrivano. Sarà ricordato e amato da molti. Alfredo Tucci

Il più grande segreto di Okinawa

n manoscritto perduto tra antiche katana, ventagli, bauli, resti della memoria avventuriera di un medico militare spagnolo che, nell'anno 1860, fu iniziato da un enigmatico Maestro di Okinawa, il sig. Higa, ai segreti del To-De, un'Arte della coscienza dell’Essere. Questo è ciò che il suo bisnipote, anch’egli medico, il dott. Pablo Pereda, ricevette dalle mani della nonna, quando quest’ultima venne a sapere che il ragazzo praticava Karate e possedeva le stesse velleità orientaliste del suo bisnonno. Così comincia una meravigliosa storia che oggi vogliamo testimoniare. Immaginatevi una “cassa del tempo”, di quelle che a volte si conservano nelle fondamenta degli edifici in contenitori ermetici pieni di giornali dell’epoca, semi, messaggi personali, ecc… Corre l'anno 1800, i maestri della tradizione marziale hanno raggiunto altissimi livelli nella loro pratica, ma vivono in un'isola dal futuro incerto, dove le invasioni sono continue, l'occupazione dell'Impero Giapponese è un fatto. Che cosa conservereste per il futuro del Karate se vi trovaste in questa situazione? Quello straniero toccato dallo spirito appare in scena... il sig. Higa seguì le voci del suo cuore ed i comandamenti del suo spirito: oggi lo possiamo ringraziare. Siamo di fronte ad un ritrovamento che per il Karate ha la stessa dimensione della Stele Rosetta per la conoscenza dell'antico Egitto. Quella “cassa del tempo” che è il manoscritto, gli appunti presi con sollecitudine, i disegni anatomici tipici di un medico, si mescolano con linee di energia che definiscono una mappa molto diversa; canali che oggi conosciamo come meridiani dell’agopuntura, appaiono nei disegni con note sbrigative a pie pagina sul come devono essere realizzati i movimenti della forma, il Kata. Nel corso della mia vita ho visto come le forme di alcune scuole siano state trasformate varie volte, per il capriccio di organizzazioni, per questioni di moda, estetica e persino per l’incapacità degli istruttori che le spiegavano. Come sarebbero quelle forme nella loro versione antica? Il manoscritto è una goccia di tempo trattenuta, una goccia di ambra che avvolge una zanzara del pleistoceno, una bolla che racchiude il mistero di un modo di concepire il lavoro Marziale come un'Arte della coscienza, non solo come una forma di difesa personale o un'Arte della salute. Gli antichi Maestri erano sciamani che praticavano movimenti e realizzavano allenamenti che fortificavano il loro corpo: emozione e mente per prepararli ad arrivare dove altri non erano mai arrivati. Questa conoscenza meravigliosa è un'occasione unica per ritrovare le radici di queste pratiche, dove la magia acquista la sua vera dimensione, “il Magno”, il grande, e che cosa c'è di più grande della coscienza dell’Essere?

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“El To-De, conocido también como "El Arte de la mano vacía", "Mano Milagrosa" o "Mano del Infinito", era una disciplina compleja que abarcaba muchos niveles”


Okinawa Le “casualità” di questa rocambolesca eredità metafisica sono un tesoro per tutti i praticanti del Budo. Cosciente di questo, il dott. Pereda ha voluto recuperare, con l'aiuto dei suoi Maestri, i dettagli non definiti nel manoscritto, portandoci in un primo video alcuni dei Kata di quella scuola che il sig. Higa definì come To-De, “La Mano dell'Infinito” o del Tao.

TO-DE: “Il sogno di libertà” Lungo i secoli, le comunicazioni tra Cina ed Okinawa furono costanti, ma non c’erano solamente scambi economici o culturali, anche la conoscenza e la magia viaggiavano da un paese all’altro per mano di un gruppo di uomini misteriosi, che chiamarono “maestri occulti”. I maestri occulti della Cina e di Okinawa dominavano una disciplina fisica e spirituale, il Chuan Fa, alla quale dedicarono la loro vita. Nel XIV secolo, il Chuan Fa okinawense si fonde con le pratiche autoctone dell'isola, dando luogo alla nascita del To-De, un'Arte integrale che visse il suo splendore per quasi 200 anni. Il To-De, conosciuto anche come “L'Arte della mano vuota”, “Mano Miracolosa” o “Mano dell'Infinito”, era una disciplina complessa che

Le forme appartenenti a questa misteriosa scuola condividono origine e movenze con alcune scuole tradizionali che abbiamo conosciuto per altre vie, come San Chin, ma che sono solo parti integranti di un Tutto molto più grande, un modo di vedere le Arti Marziali che abbiamo sempre intuito essere una porta verso l’Infinito. Alfredo Tucci

abbracciava molti livelli. Possedeva, in primo luogo, una dimensione terapeutica, dato che la pratica dei suoi movimenti concatenati o Kata serviva ai suoi seguaci per migliorare la loro salute e la loro forza fisica. Ma oltre a ciò, il To-De possedeva un potente contenuto filosofico e magico, ed i suoi praticanti erano in grado di alterare la percezione ordinaria ed accedere a mondi più in là di questo mondo, dimensioni invisibili nelle quali si avventuravano alla ricerca del non conosciuto. Quegli uomini e quelle donne dicevano di riuscire ad oltrepassare, grazie alla loro Arte, i limiti del tempo e dello spazio, per divenire testimoni dell'imperscrutabile mistero della vita. Dai loro viaggi nell'inaccessibile, ritornavano con esperienze vibranti ed anche con nuovi movimenti, scintille di luce che ripetevano nella loro vita

quotidiana per favorire l'evoluzione della loro coscienza. Ad Okinawa, il gruppo di seguaci del To-De era ristretto e scelto. Tuttavia, la loro influenza si fece sentire in tutto l'arcipelago. I Maestri di To-De erano i più sobri e sorprendenti maestri marziali. Malgrado vivessero la loro Arte nell'intimità dei loro clan familiari e delle loro piccole scuole, la fama delle loro prodezze fisiche e psichiche si estese fino alla Cina e al Giappone, ed il popolo okinawense li trasformò in immortali. Anche ai giorni nostri, i più anziani dell'isola mantengono vivo il ricordo nella memoria. Dicono che certe notti di luna piena, gli immortali del To-De ritornino ed eseguano i loro kata sulla sabbia della spiaggia. In questo modo nutrono la terra che amano, affinché lo spirito di Okinawa rimanga vivo, affinché Okinawa possa continuare a sognare…


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DOCTOR D. RAIMUNDO FELIX PEREDA Y BENITEZ D. Raimundo Félix Pereda y Benítez nació a mediados del siglo XIX en el seno de una familia acomodada, su padre era abogado de Madrid en ejercicio. Médico muy precoz ingresó en el Ejército, en el regimiento de caballería. Como militar, combatió en las guerras carlistas siendo condecorado en 1876 y 1879 por sus acciones y heridas de Guerra. Fue nombrado director del Hospital Militar y Civil de Logroño y fue gloria bendita en el campo la oftalmología nacional. Contrajo matrimonio con una sobrina de Sagasta, el que fuera Presidente del Gobierno. Aventurero y viajero incansable combatió en Filipinas y en Cuba visitando en varias ocasiones la isla de Okinawa. Un manuscrito extenso con 150 páginas y encuadernado en piel, que deja constancia de su periplo, habla de un misterioso Arte llamado To-De y de, un no menos enigmático, Sr. Higa. El manuscrito se concluyó en 1908 cuando, al parecer, había efectuado su última visita. Posteriormente y pudiéndose acoger al retiro, se marchó voluntariamente a la guerra de Cuba de la que regresó a España para fallecer en el año 1910. Su hijo, Juan Cruz Pereda, profesor de gimnasia intentó desarrollar algunas partes del manuscrito, en especial las referentes a los ejercicios físicos.

Che cos’è il To-De? Sono passati 25 anni da quando ricevetti, dalle mani di mia nonna, il manoscritto del To-De. Un lavoro di 150 pagine scritte e disegnate a mano, che raccoglie la tradizione degli abitanti di Okinawa. A quanto pare, il mio bisnonno si recò nell'isola con un compagno che, a causa della sua lunga permanenza nelle Filippine, si era recato spesso nell'isola e pertanto conosceva il dialetto che lì si parlava. Il To-De è un'Arte della conoscenza elevata, i suoi praticanti furono artisti marziali completi. Non si allenavano solamente per il combattimento o per la difesa personale, ma anche per vivere con pienezza. Credevano nella natura, nella sua forza smisurata, nell'anima dei fiumi e degli alberi. Credevano, insomma, in un Universo magico, vibrante e permanente. Definirono con chiarezza sorprendente la struttura

“Los 50 movimientos de To-De" que es fácilmente asequible para todo tipo de personas y cuenta con una indudable capacidad terapéutica”

energetica della creazione. Nella loro elaborata cosmovisione, anticiparono il tempo e non lo fecero con l'aiuto della scienza, ma con l'unico strumento del loro corpo portato al limite della resistenza e della loro mente sveglia e allenata nell'allerta e nel silenzio, e con il loro modo alternativo di concepire la realtà. Il To-De insegnò loro a vivere e gli mostrò anche un modo diverso di morire. Percorsero il sentiero che la loro Arte tracciò fino alle estreme conseguenze, divenendo immortali, perché immortale è lo spirito dell'uomo che cerca il meglio di se stesso. Solo pochi iniziati, che mantennero l'anonimato per tutta la vita, dedicarono la loro esistenza a mostrarla. Ammettere la loro condizione supponeva per loro una condanna a morte, in un tempo in cui il Giappone aveva il potere su Okinawa. I praticanti di To-De non


Okinawa “El To-De es un Arte de conocimiento elevado, sus practicantes fueron artistas marciales completos” aspettavano di passare all'altra vita per raggiungere l'illuminazione, il loro obiettivo era ottenerla in questa e quelli che ce la facevano, diventavano esseri leggendari: di fatto, alcune persone oggi li considerano immortali.

Il Kata come strumento I kata nel To-De si caratterizzano per la loro durata, sensibilmente maggiore di quelli del Karate-do tradizionale, e per i cambiamenti di ritmo che provocano velocità di esecuzione vertiginose. Le tecniche di pugno, sebbene esistano, sono particolarmente ridotte, anche se non tanto quanto nel To-De Loto Bianco, che in realtà è Chuan Fa allo stato puro. Tutto il programma di kata tratto dai disegni del manoscritto si basa su “Bai He” o “Gru Bianca”, vero e proprio tesoro antropologico, che costituisce l'autentico seme e l’origine del Sanchín. Ciò che conosciamo attualmente non è altro che un frammento del Kata. Ho utilizzato i Kata per la convalescenza di malati con handicap ed immunodepressioni, ottenendo risultato spettacolari, come la dimostrazione, a Sydney 2000, di un paraplegico in piedi mentre realizza Sanchin. Tutto codesto lavoro mi è valso la candidatura ufficiale al Premio Nobel per la Solidarietà. L'energia che provoca questo sistema, la rende non solo positiva per la cura, ma anche un’arma molto efficace per la difesa. L'organizzazione Butokukai ha catalogato il sistema come “Arte Suprema”, dato che le sue tecniche sono dirette e letali, con Kata specifici che mostrano come devono essere colpiti i punti vitali, i nervi, i vasi capillari ed anche come uccidere in pochi secondi, sebbene non fosse il principale obiettivo di questi uomini che sognavano l'Infinito. Il manoscritto apre le porte ad insegnamenti di grande valore antropologico e ha reso possibile che, dopo molti anni di lavoro, divengano utili per tutta la società, poiché essi sono patrimonio di tutta l'umanità. Per questa ragione ho adattato gli insegnamenti, mediante la Sofrologia Medica, all'uomo della strada che non possiede le abilità di un artista marziale, e questa è una cosa di cui mi sento orgoglioso. Attualmente sono l'erede di questa conoscenza e, mantenendomi fedele alla tradizione, la nostra scuola non possiede né concede gradi: in questo modo evitiamo i problemi che riguardano l'ego. L'autentico progresso è una cosa che ognuno porta dentro di sé e se c'è qualcuno che non può essere ingannato, è proprio la nostra coscienza. Nel testo si dettaglia il vero obiettivo del praticante: ottenere la morte cosciente per proiettarsi in altri mondi quando si abbandona questo. Si descrive anche un lavoro impressionante sulla manipolazione energetica.


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Okinawa

I Kata, recuperati dal dott. Pereda attraverso il manoscritto del suo bisnonno, possiedono belle forme e bei movimenti, vedasi l'esempio di una sequenza. Lo ricevetti nel 1978, allora studiavo Chuan Fa e Tomari-Te con Masashi Motegui; a partire da quel momento, con il suo aiuto e con quello dei Maestri Masafumi Suzuki, Takuyi, Nakashima, Akashi, Shigo Higa, Stefano Surace leader di Butokukai ed il dott. Ver non, ho potuto ricostruire, seguendo i disegni e le indicazioni del manoscritto, tutto un programma di Kata inediti che compongono l'antico To-De.

TO-DE C o mpo s t o da 35 K ata, l’apprendimento comincia con “i 50 movimenti di To-De”, facilmente abbordabile da ogni tipo di persona e co n indu bbi e capacità terapeutiche. Poi si studia la forma “Bai He”, nella quale s’include la forma “Chuan Fa Ekenkyo Daruma

Bai He”, un autentico tesoro con forme Sanchin di grande rapidità, il che fa pensare che la sua origine risalga a molto tempo prima delle s cuo le della Gru. No n po t ev a mancare l'emblematico “Tsuqui No Kata” (Kata della Luna). La forma Bai He, propriamente detta Gru Bianca, basilare nell'origine di Sanchin, si compone di “Bai He Zhan Chi” (La Gru Bianca estende le Ali), composta dai “quattro tesori” che corrispondono ad ognuno dei Kata che la compongono. “Ming He Quan” (Il Pugno della Gru che grida) composto da altri “quattro tesori” o Kata. In tutte le forme predomina l'equilibrio, con respirazioni di midollo-tendine. L'energia è generata nella frizione e nella rotazione vertebrale. Il Bunkai si basa su tecniche di slogatura, lesioni di vasi capillari e

nervi, rottura di intersezioni muscolari e della trachea con le dita, tutto ciò eseguito con un’allarmante semplicità. Contemporaneamente si pratica la 1a forma di “Kama Shurigama” (Kama uniti da una catena), un’arma molto antica che “accesa” si utilizzava per spaventare i cavalli, e allo stesso tempo serviva per sezionarne il collo e le zampe. I 5 Kata Turuashi, 5 Sanchin, Ho, Huan Gar, 2 Kushanku, Yabu No Kata, 2 Goryu No Kata, 3 Nakashima compongono la parte più antica dello Stile, che combina la forma morbida con passaggi a velocità incredibile. E per finire questa sommaria esposizione, vorrei ricordare una cosa che un giorno qualcuno mi disse: “Mentre il sogno del To-De sarà vivo, il miracolo starà aspettando”.


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Tradizione iniziatica e Carlos Castaneda Durante la sua permanenza a Londra, il dottor Pereda conobbe il defunto scrittore ed antropologo Carlos Castaneda. Quest’ultimo mostrò grande interesse per il lavoro del giovane dottore, al quale propose di lavorare in California, senz’altro con l'ansia di incorporare al suo lavoro di “Tensegridad” (i “passaggi magici” della linea dello Stregone Don Juan) le forme della tradizione okinawense trasmesse dal sig. Higa. Il dottor Pereda ringraziò per l’interesse dimostrato, ma capì che la tradizione doveva essere trasmessa nel modo più puro possibile, nell'ambito di ciò che realmente erano queste f o rme marz i al i. È f amo s a l a pas s i one di C arl os Castaneda e l'uso che egli fece delle arti tradizionali cinesi per riequilibrare la sua deteriorata salute. La linea dello Stregone Don Juan contava, allo stesso tempo, sull’apporto di un Maestro della tradizione marziale, lo stregone Lujan, che in realtà si chiamava Lu Chian, ma

data la s po ntanea g io v ialit à del g ruppo lo “battezzarono” Lujan. Le Arti Marziali come forme di iniziazione magica possiedono una lunga tradizione, dalla quale, senza dubbio, ancor oggi deriva parte del loro fascino. Come si ottiene? Gli esperti suggeriscono varie opzioni: • Interrompere la percezione della realtà attraverso ripetizioni ed esercizi che permettono l'assorbimento di quantità straordinarie di energia nel sistema, “inizializzando” potenziali dormienti nella struttura energetica dell’essere umano. • Risvegliare nel corpo zone di solito non utilizzate e che si attivano solo di fronte a circostanze speciali o estreme, come per esempio delle zone del cervello che abitualmente non si usano. • Rompere gli schemi di riferimento abituale, le norme e la tradizione, spingendo l'individuo ad affrontare la “realtà”, senza le abituali maschere con cui la affronta, rompendo tutti i meccanismi di difesa per far fronte in maniera diretta e spoglia la stupidità umana. Gli esperti sostengono che senza queste zavorre l’essere umano dispone di sufficiente energia per realizzare eccezionali salti della coscienza. • Una volta nudo, l'IO centrale prende il comando dell’essere e lo dirige verso ciò che la sua vera natura richiede. • Mantenere un livello di equilibrio dinamico quando i livelli di tensione interna sono molto forti, richiede esercizi equilibratori; in questo campo le Arti Marziali sono un’indispensabile fonte di temperamento, attraverso esercizi che portano al “qui e adesso”.

Il Manoscritto ed il suo Autore Un vero tesoro, una dimostrazione dell'originale che il dottor Raimundo realizzò tra gli anni 1810 e 1860, a partire dagli insegnamenti del Maestro Higa nelle Ryu Kyu


OKinawa

“Un manoscritto perduto; un'Arte Marziale iniziatica; i Kata più antichi, conservati in una “cassa del tempo”, immacolati, ci restituiscono un modo di allenarsi, di realizzare i Kata mai visto prima; un meraviglioso regalo per tutti i budoka”

Okinawa. Si osservi il sigillo della carta ufficiale della vicedirezione militare della sanità della provincia di Burgos, sul quale è stata redatta questa pagina. Nel testo possiamo trovare frequenti allusioni alla “camicia di ferro”, ad aspetti riguardanti la salute dei quali il dottore prese buona nota, fino a tecniche esotiche come quella dell’elevazione dei testicoli, ecc… A sinistra il dottor D. Raimundo Felix Pereda in un disegno dell'epoca. Sotto a destra, copia del curioso annuncio in stampa, nel quale il figlio del medico militare presentò il To-De come un'Arte della salute. “Anche per militari e per coloro che devono combattere”.

Dott. Pereda, Arti Marziali e Medicina Nasce a Logroño (la regione chiamata Rioja-Spagna) il 5-10-1956. Studia Medicina e Chirurgia. Poi studia le Specializzazioni di Biologia, Medicina dello Sport e Riabilitazione nell'Università di Burdeos. In Spagna studia la Medicina dell'Educazione

Fisica e dello Sport nell'Università autonoma di Barcellona, Medicina Ortopedica e Traumatologia Sportiva. È anche Medico Sofrologo avendo svolto l’incarico di coordinatore internazionale di questa specialità. Si avvicina al mondo del Budo nell'anno 1967 praticando Judo; solo due anni dopo, un cugino di suo padre, che risiedeva a Londra, studente del sig. Ogami, lo inizia ai fondamenti del Karate-Do. La sua vera scoperta dell'Arte ebbe luogo sotto la guida del Maestro di Chuan Fa e Tomari-Te Masashi Motegui, sotto la cui ala rimase quasi dieci anni. Grazie a lui fu ammesso nella scuola del leggendario Masafumi Suzuki, che praticava Goju Ryu e JuJutsu. Nell'anno 1978 ricevette il manoscritto del suo bisnonno con il trattato sul To-De e da quel momento, aiutato da Motegui, ha lavorato su questo stile fino ad oggi. Nell'anno 1982 si reca in Francia e studia sotto la guida dei Maestri di Okinawa residenti per gran parte dell'anno tra Parigi e Burdeos: Takuyi, Akashi, Nakashima e Sheigo Higa. Il suo tirocinio durò altri otto anni, tutto improntato sulla linea del Tomari-Te, per aiutarlo a comprendere meglio il To-De. Uno dei suoi migliori padrini è stato il carismatico Maestro dott. Vernon Bell, intimamente unito al defunto Maestro Mochizuki, a Kanazawa e a molti grandi Maestri della tradizione. Anche il leader del Butokukai, il Maestro Surale, lo considera come un fratello. Dopo 20 anni di studi e prima di presentare la 1a esibizione di Karate Paralimpico portata a termine nella storia sia del Karate che del JJOO,

riceveva il grado di 6º Dan di Karate dalle mani di Masafumi Suzuki. I suoi Maestri di Tomari e Chuan Fa seguivano la linea classica e pertanto non possedevano gradi né tanto meno li concedevano. A partire dall'esibizione Paralimpica riceve gli onori della quasi totalità dei grandi Maestri del Budo, in concreto dal leggendario Rioichi Sasakawa, ed il suo lavoro viene presentato all'Imperatore del Giappone.

Titoli Come Maestro di To-De e Tomari-Te non possiede gradi, perché non ne esistono e non è stato mai imposto un sistema di gradi in queste Arti. Possiede, tuttavia, i riconoscimenti delle più alte istanze del Budo a livello internazionale, in particolare risalta il titolo di Meijin, unico Maestro occidentale a possederlo ed unico ancora in vita. Il caso vuole che tale titolo venga concesso da almeno tre organizzazioni differenti. Meijin e Ju Dan di Karate: European Ju Jutsu Union, Seibukan Sasakawa, Butokukai Institute; Federazione di Okinawa; Council of Master; Ju-Dan Ju Jutsu American Ju Jutsu Union, Federazione Rumena di Arti Marziali; Butokukai, ecc… Il dott. Pereda è scrittore; ha ottenuto il premio di poesia Nishiyama, così come il Crisantemo Bianco per la narrativa. Premiato per i suoi lavori sull’antropologia orientale è in possesso del Libro d’Oro del Comitato Olimpico Internazionale. Ha esposto la sua opera di pittura giapponese. Il dott. Pereda è riuscito a far riconoscere il Karate come terapia attraverso la “Karaterapia”, dalla stessa Organizzazione Mondiale della Salute ed è statp candidato ufficiale al Premio Nobel per la Solidarietà. I suoi lavori con il Karate prima su handicappati e poi su bambini malati di leucemia e di AIDS, sono alcune delle attività più encomiabili del dott. Pereda.


Il termine “Difesa Personale” ha una connotazione negativa che già dal principio può portare al fallimento per l’individuo. Il problema è che questa etichetta si rispecchia nell’immagine che la persona è vittima di un atto violento o di un’aggressione e quindi deve realizzare un’azione difensiva. Questa premessa di agire dopo che è avvenuto il fatto violento, è la ragione per la quale la maggioranza delle persone soccombe alle azioni dell’aggressore e non recupera mai completamente dall’attacco iniziale o dalla paura che induce tale situazione. La donna non deve mettersi sulla difensiva; deve essere cosciente della propria situazione e non sottostimare o ignorare le possibili minacce. Ella deve essere propositiva, prendere l’iniziativa e avere l’impeto di provocare confusione nella mentalità dell’attaccante, per poter avere qualche vantaggio. “Autoprotezione Kyusho” è un processo di allenamento che offre agli individui più deboli, più lenti, più anziani o meno aggressivi, delle chance contro il più grande, più forte o più aggressivo degli attaccanti. Tramite l’uso degli obbiettivi anatomici più sensibili del corpo, collegati alle proprie azioni e inclinazioni naturali del corpo, puoi proteggere facilmente te stessa o gli altri, anche in situazione di stress o di limitazioni fisiche quando la tua adrenalina si scatena. Attraverso un lavoro graduale e progressivo delle tue innate abilità motorie (invece che delle tecniche altrui), le tue possibilità di vittoria sono notevoli.


REF.: • KYUSHO-21



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