Brand Care magazine 007

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LA MALATTIA COME RAPPRESENTAZIONE La società moderna, tra l’altro, ha spesso utilizzato le tecniche di cura, di prevenzione e di ospedalizzazione al fine di esercitare un più puntuale controllo sociale sulle soggettività a essa afferenti, fossero queste molto, poco o per nulla “devianti” rispetto al modello di riferimento. Basterebbe pensare a come il concetto di pazzia si sia variamente trasformato nel tempo, producendo degli atteggiamenti dominanti di volta in volta orientati all’inclusione piuttosto che all’esclusione dei

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LE NUOVE MALATTIE Qualche tempo fa è apparso su Repubblica un interessante articolo di Michele Bocci sul “business delle false malattie” che ha incuriosito molti lettori e utenti dei social network, i quali come di consueto hanno ri-proposto e ri-condiviso il contenuto tra le maglie del web attraverso un turbinio di post, status, thread di discussione e #hashtag. Al di là del titolo a effetto, concepito probabilmente per far leva sull’indignazione legittima dei “veri” malati, a volte gravati da impegni economici tutt’altro che sostenibili per curare le proprie patologie, il pezzo aveva il merito di indirizzare l’attenzione su un fenomeno (culturale prima che clinico) in atto nelle realtà industrializzate: quello della medicalizzazione generalizzata delle peculiarità, delle diversità o di disagi fisici e mentali che fino a oggi avremmo etichettato come lievi o inconsistenti. Sul modello dell’ormai celeberrimo Telethon le giornate, i mesi e le gare di solidarietà dedicati alle singole patologie si sono negli anni moltiplicati, e con essi l’istituzione, accanto alle iniziative sui temi dell’AIDS, dei tumori, della sclerosi multipla o della malattie rare, di eventi ritagliati intorno a stati cui fino a qualche tempo fa non avremmo affatto concesso la dignità di vera e propria malattia o disfunzione. Anche la gravidanza, la stipsi, la tristezza, la calvizie, l’insoddisfazione o la menopausa, per intenderci, hanno trovato gradualmente, improvvisamente, o finalmente (a seconda dei punti di vista) il proprio spazio espositivo nella sinistra fiera delle piaghe sociali.In un certo qual modo sembriamo indirizzati verso una “spettacolarizzazione” della sofferenza e del rimedio, perseguita dalle aziende farmaceutiche, dalle associazioni di settore e dai loro partner commerciali attraverso il varo di sponsorship, allestimenti, eventi e strategie di co-branding. Il dato scientifico, la prevenzione e la solidarietà incontrano più compiutamente il commercio, dando vita a una sorta di marketing clinico. Certo, se è vero che ogni contesto elabora la sua idea di bellezza, di sessualità, di rappresentabilità o di oscenità, di accoglienza o di xenofobia, è altrettanto evidente che lo stesso si può affermare a proposito del disagio, in special modo di fronte a manifestazioni di tipo inorganico. Perciò il cosiddetto fenomeno del “disease awareness”, cioè della creazione “a tavolino” del malanno non dovrebbe stupire in un contesto di consumo dinamico e altamente sofisticato.


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