UN MARCHIO SUL CUORE

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UN MARCHIO SUL CUORE La sera prima mi era sembrata una buona idea scommettere contro il mio amico, spero presto qualcosa di più, Dani. Dovevo solo bere quattro shottini di rum consecutivamente e decidere il mio premio. Sapevo che avrei perso, ma avevo deciso di stare al gioco quindi ammiccando gli avevo chiesto di baciarmi non appena fosse stato battuto. Speravo mi avrebbe chiesto lo stesso dopo avermi stracciata, invece, il bastardo, ha deciso che sarebbe stato fantastico vedere un tatuaggio sulla mia bella pelle liscia, solo dopo mi avrebbe baciata, partendo proprio dal punto in cui mi sarei fatta tatuare. Non posso fare a meno di arrossire se penso a dove mi ha suggerito di farlo, ma soprattutto sono ancora scioccata se ripenso alla mia risposta " te lo lascerei fare anche senza tatuaggio." Adesso, sobria, da Jenny's tatoo con in mano un faldone pieno di disegni non mi sento più tanto audace e non posso fare a meno di maledire Dani per le sue idee del cavolo, ma soprattutto impreco contro me stessa per aver accettato. Potevo sempre tirarmi indietro, ma non mi andava, non sono il tipo che provoca per poi scappare. «Smettila di fare la fifona, Lara, scegline uno e facciamola finita» la voce di Lori, la mia coinquilina, mi riporta al presente. Alzo gli occhi dal faldone trovo due paia di occhi che mi osservano impazienti, Lori e il tatuatore, un figo assurdo alto e ben piazzato, capelli spettinati scuri come le notti senza luna e occhi di ghiaccio, tanto belli quanto inquietanti, se esistessero i super poteri sono sicura che con un'occhiataccia sarebbe in grado di congelare le persone, meglio distogliere lo sguardo. «Lori, non è così semplice, non ho mai pensato di volere un marchio sulla pelle per l'eternità» sto usando lo stesso tono finto melodrammatico che odio tanto nei miei genitori, allungo anche il braccio sinistro verso il soffitto e mi porto la mano destra sul cuore. Mamma e papà mi avrebbero senza dubbio regalato un grande applauso se fossero stati presenti. «Senti bellezza» il tatuatore si sta rivolgendo a me, che bella voce roca, chissà che effetto mi farebbe sentire il suo respiro sull'orecchio mentre mi sussurra qualche dolce parolina. Ma che diavolo mi sta succedendo? Mi sono cacciata in questo casino, pronta a farmi tatuare permanentemente qualche disegnino senza senso solo perché desideravo compiacere Dani e mi metto a fare pensieri sconci sul pezzo di gnocco del tatuatore. «Mi chiamo Lara» rispondo acida, me la prendo con lui per quei pensieri inopportuni. «Senti, Lara» sta cercando di rimanere calmo, anche se, ne sono sicura, dentro di sé sta imprecando. «Perché non torni quando sarai sicura?» Mi sta cacciando? Non me ne sarei andata via da li senza il mio tatuaggio, ormai ho preso la mia decisione, voglio solo trovare un simbolo che abbia un qualche significato. «Tu cosa mi consigli?» non è una buona idea provocarlo, ma ormai quel che è fatto è fatto. «non ci credo, vuoi che adesso sia io a decidere?» ha gli occhi allucinati, ma è anche divertito, gli angoli della bocca sono sollevati in un mezzo sorriso, "ah, quella bocca", "Lara, pensa al tatuaggio, non al tatuatore." «Prima mi aiuti a decidere, prima mi farò tatuare e prima ti libererai di me, a meno che non ti piaccia avermi qui...» sono compiaciuta della mia sfrontatezza. «Ok bionda, facciamo questa cosa, ho rinviato due appuntamenti per te, quindi ti costerà caro questo tatuaggio» si sporge verso di me, i gomiti sul bancone che ci divide e gli occhi fissi nei miei, mi sta ipnotizzando, mi avvicino a lui, nella stessa posizione. «Spara.» «Non sei di Roma, da dove vieni? Dall'accento direi dal nord» non capisco dove vuole arrivare, ma sto al gioco. «Milano» «Cosa ti porta qui?» «L'università, e poi Roma è una città bellissima» inizio ad innervosirmi, spero non lo noti. «Concordo, ma non è questo il motivo. Sei agitata e stai tamburellando le dita sul mio 1


bancone con un po' troppa violenza, se non la smetti dopo averti tatuata mi toccherà pure accompagnarti al pronto soccorso per fartene steccare un paio, il tutto andrà aggiunto al conto che ti presenterò alla fine, a quanto pare mi renderai ricco.» Ma come ha fatto a capirlo? Distolgo lo sguardo, ho le mani sudate e me le asciugo nei jeans. «Guardami» questo è decisamente un ordine. Obbedisco. I miei denti stringono ferocemente il labbro inferiore, così non riesco a parlare. «Sto aspettando» non molla l'osso, il cane. Cedo. «I miei genitori viaggiano spesso per lavoro, sono attori, per lo più di teatro. A volte viaggiavo con loro, ma spesso mi lasciavano presso un vecchio amico d'infanzia di mio padre, il signor Luigi Serti che vive con la moglie e il figlio Antonio. I miei genitori sono dei libertini, non si sono mai interessati del giudizio degli altri e a quanto pare nessuno gli ha mai spiegato il significato della parola pudore. La famiglia di Antonio è l'esatto opposto, conservatori convinti, oserei dire bigotti, ma in realtà la cosa a cui sono più interessati è mantenere le apparenze, quando io e Antonio ci siamo messi assieme, ci lasciavano tranquillamente fare sesso nella sua stanza, purché non facessimo capire nel quartiere e nella parrocchia quello che succedeva tra di noi, la domenica andavamo a messa e per far contenti i suoi genitori ci sedevamo su due panche diverse. Io faticavo ad adattarmi, ma ce la mettevo tutta perché volevo fare parte della famiglia, la loro solidità mi faceva sentire al sicuro, qualsiasi cosa facessi sembrava fosse sbagliata, ero sempre in punizione, il più delle volte non ne capivo nemmeno il motivo. Antonio non mi difendeva mai e i miei mi dicevano di mollare "quei coglioni" e di raggiungerli. Una sera durante una cena in cui erano presenti anche il parroco e il curato della parrocchia che frequentavamo arrivarono a sorpresa i miei genitori che volevano essere sicuri che non me la cavassi troppo male. Ovviamente si unirono alla cena. Appena prima che venisse servito il dolce, mia madre, che si era scolata tutto il vino della scorta dei Serti, incitata da mio padre, improvvisò uno spogliarello, integrale. Fu così generosa da donare il suo reggiseno al parroco e le mutandine al curato. Ci hanno buttati fuori di casa minacciando di chiamare la polizia, non mi hanno nemmeno lasciato il tempo per prendere i miei vestiti. Ero furiosa con i miei, mi avevano portato via la mia tana sicura. In realtà penso che i Serti stessero solo aspettando l'occasione giusta per farmi uscire dalle loro vite. Un paio di mesi dopo mi sono diplomata e sono venuta qui, sento poco i miei, ma nonostante tutto loro non mi hanno mai abbandonata. Mi accettano per quella che sono, il problema è che io non lo so chi sono, non sono un egoista che non si pone mai dei limiti anche se così facendo rischia di ferire proprio le persone che ama di più, ma non sono neanche una bigotta che reprime ogni sentimento solo per compiacere qualche stronzo pronto solo a giudicarti...» gli racconto tutto quanto, senza pause, consapevole del fatto che se mi fossi fermata, non avrei più potuto continuare. Non avevo mai raccontato a nessuno la mia storia, nemmeno a Lori, ma con lui è stato così naturale. «quindi sei scappata qui, per sentirti libera di trovare te stessa, quella vera.» Dopo tutto quello che gli ho svelato non ho più fiato per aggiungere altro. Il tatuatore avvicina la sua mano e la appoggia al mio collo, con il pollice sfiora delicatamente un punto appena dietro al mio orecchio, è così piacevole, chiudo gli occhi lasciando che i brividi che quel lieve tocco mi provoca vaghino per tutto il corpo, la sua bocca ora è accostata al mio orecchio, il suo alito sa di menta e rinfresca la dove il suo tocco mi scalda. «Potremmo fare delle ali proprio qui dietro il tuo orecchio, per rappresentare la libertà di cui hai bisogno.» «Si» è tutto quello che riesco a rispondere. «Bene, andiamo nella saletta privata, Bionda» si allontana da me spezzando l’incantesimo, apro gli occhi e cerco di tornare alla realtà. «Come ti chiami?» chiedo, all’improvviso bisognosa di saperlo. «Devo solo farti un tatuaggio, non ti serve sapere il mio nome» è tornato a fare lo stronzo. Io gli avevo appena raccontato i miei segreti più intimi e lui non mi diceva nemmeno il suo nome. Stronzo. Direi che come nome gli calza a pennello. «Dove sono i tuoi tatuaggi? Io non mi faccio tatuare da uno che non ha mai provato sulla sua pelle» non riesco ad evitarlo, mi sento stronza quanto lui. 2


«Ok bionda, vieni con me, prima ti lego e ti imbavaglio, poi ti mostro il tatuaggio e infine, se Dio vuole ti marchio» mi prende per mano e mi trascina letteralmente nello stanzino privato. «Se i miei clienti fossero tutti come te, non saprei come pagare l’affitto a fine mese» chiude a chiave la porta, si slaccia i pantaloni e li abbassa leggermente, fino a quando appena sopra al suo inguine liscio sbuca un cuore spezzato ed in mezzo alle due metà la lettera j. Istintivamente allungo una mano verso di lui, ma si ricopre velocemente. «Adesso siediti e stai zitta» mi abbaia. «Perché devo stare zitta?» «Le tue chiacchiere sono una vera tortura, bionda. Se adesso non te ne stai li buona ti disegno un teschio al posto delle alette» mi siedo, ma non prima di avergli fatto una linguaccia, antipatico. Dopo aver impresso il disegno sulla mia pelle toglie la carta lucida e si avvicina con la macchinetta che inizia a ronzare, mi irrigidisco un po’ impaurita, ma quando la sua mano sinistra si appoggia sul mio collo per tenermi ferma quasi non mi accorgo che con la destra ha iniziato il suo lavoro, sento la pelle pizzicare, ma sono molto più concentrata sul suo tocco deciso che sul dolore, chiudo gli occhi e mi lascio andare alle calde immagini delle sue mani forti che mi accarezzano il corpo. Mi scuote quando il lavoro è finito, apro gli occhi quasi delusa, è stato troppo breve. Pago il mio conto, non così salato come mi aveva promesso, e dopo aver ascoltato le procedure da eseguire per evitare le infezioni lo saluto felice di rivederlo dopo un paio di giorni per fargli controllare che sia tutto apposto. Sono già alla porta quando mi urla «ehi bionda, la prossima volta puoi chiamarmi Nicolò.» Avevo male alla mascella dal tanto stavo sorridendo, ma non ero in grado di smettere anche se Lori la guastafeste mi ricorda che il tatuaggio in principio era un regalo per Dani. "Dani? Chi?" Il sabato sera sono al Mood, locale frequentato per lo più da studenti universitari, mentre aspetto che arrivi Lori che è stata a cena con i suoi. Vado al banco a prendermi una birra, non mi disturbava essere sola se avevo in mano qualcosa da bere. Mentre cerco di attirare l’attenzione del barista sento una presenza dietro di me, la sua bocca al mio orecchio «Come stanno le ali, bionda?» cerco di trattenermi, ma non posso smettere di sorridere. «Perché non controlli, Nick?» rispondo girandomi verso di lui. «Nicolò» mi ringhia mentre toglie la benda. sono troppo felice di essere qui con lui quindi non mi lascio scoraggiare dal suo caratteraccio. Dopo aver esaminato il tatuaggio e avermi rimproverato per non aver usato una buona crema sfiammante, mi prende per mano, ma mentre ce ne stiamo andando a prendere la sua pomata miracolosa, Dani mi si para davanti. "Oh, cazzo!" non l’ho più chiamato, sono stata troppo impegnata ad immaginare il giorno del mio matrimonio con Nicolò per fare altro. Ignorando completamente Nicolò, cerca di trattenermi, mi chiede del tatuaggio e mi ricorda che gli devo un bacio. Nicolò, che non ha mai mollato la mia mano, mi allontana bruscamente trascinandomi via. Mi volto verso Dani e gli mimo un "mi dispiace", anche se non sono sicura che sia la verità. Usciti dal Mood andiamo al suo negozio dove Nicolò mi spalma molto premurosamente la sua pomata, legandomi prima i capelli. Mi dice che non è più necessaria la benda, ma mi raccomanda di tenere i capelli raccolti per un paio di giorni per evitare sfregamenti. Stiamo assieme per un tempo infinito, chiacchieriamo di qualsiasi cosa così salta fuori che frequentiamo la stessa università anche se lui è un paio di anni più grande di me. Nessun bacio purtroppo, ma è innegabile che tra noi stia nascendo qualcosa, anche se al momento non saprei dire esattamente che cosa. Dopo quella sera i nostri incontri sono sempre più regolari fino a diventare una vera routine, ci incontriamo sempre dopo la lezione, andiamo assieme in negozio, quando lui è impegnato a marchiare io rispondo al telefono per fissare degli appuntamenti oppure consiglio qualche cliente indeciso. Quando chiudiamo il negozio ceniamo assieme, il più delle volte a casa mia oppure al ristorante. Vado poco a casa sua perché poi non vuole mai farmi tornare a casa da sola, ma io trovo stupido farlo uscire, ne nasce una discussione ogni volta. Mi sento sempre più coinvolta, ma non sono sicura dei suoi sentimenti, alla fine non ha mai neanche provato a baciarmi, mi abbraccia, mi tiene la mano è sempre così dolce e premuroso, ma 3


niente di più. Sono confusa, possibile che m veda solo come un’amica? Questa situazione mi sta facendo impazzire, devo saperlo e l’unico modo è uscire allo scoperto, devo dirgli quello che provo. Sono le otto e mezza di venerdì sera, l’ultimo cliente se n’è andato già da un quarto d’ora prima di uscire dal negozio Nicolò mi sistema bene la sciarpa di lana, dice che io lascio sempre degli spiragli per il freddo. Siamo in piedi così vicini che senza pensarci troppo mi butto su di lui e lo bacio, lui resta immobile, probabilmente l’ho preso alla sprovvista. Sto per entrare nel panico, ma fortunatamente dischiude le labbra, risponde al mio assalto, la sua lingua si intreccia alla mia, prima troppo delicatamente quasi avesse paura di rompermi, poi mi stringe violentemente a sé lasciando che la passione prenda il sopravvento. Sono senza fiato quando mi stacco, gli traccio piccoli baci sulla guancia e arrivo al suo orecchio «ti voglio» sussurro. A quelle parole, spalanca gli occhi, sembra, non lo so, disgustato? Terrorizzato? Come se stesse realizzando solo in quel momento quello che è appena successo. «No, non qui!» con una ferocia animalesca mi spinge via da lui e io vado a sbattere contro la porta, "ahi, che male!", il dolore più insopportabile però è quello del mio cuore che andando in mille pezzi sta conficcando i suoi frammenti nella carne fresca. Non posso sopportare di rimanere lì dentro un attimo di più, apro la porta e corro fuori senza una meta precisa. Nicolò mi corre dietro, mi chiede di fermarmi, ma io non lo posso fare, mi ha già rifiutata non voglio avere spiegazioni, voglio stare lontana da lui sola in un angolo buio e piangere fino allo svenimento, per dimenticarmi di tutto, di lui, di me, dei miei sentimenti, del suo rifiuto. È più veloce di me, quindi mi raggiunge, mi prende per un braccio «lasciami andare, stronzo» mi divincolo furiosamente. «Non posso, ti prego scusami, sono stato un coglione, ma non scappare da me» mi giro appena verso di lui, leggo un dolore e una disperazione nei suoi occhi che mi lacerano dentro. Cosa può aver spezzato in questo modo il mio indistruttibile tatuatore? All’improvviso non posso più sopportare la distanza che ci divide, mi giro e lo abbraccio, lui ricambia sollevato, mi stringe forte, con le stessa intensità che appena un attimo prima aveva usato per spingermi via. Senza parlare chiudiamo il negozio e andiamo a casa sua, non mi lascia mai la mano, forse ha paura che cerchi di scappare di nuovo, ma io non ho intenzione di farlo, il dolore che gli ho letto negli occhi mi ha devastata e se è possibile vorrei capire cosa gli è successo. Si chiude la porta di casa alle spalle e crolla sul pavimento con le gambe incrociate e le mani nei capelli, ancora chiuso nel suo silenzio. Devo fare qualcosa, io sono qui con lui, ma lui dov’è? Lentamente mi avvicino, gli prendo le mani che sono ancora ancorate ai suoi capelli e mi sistemo sopra di lui, è costretto a raddrizzare la schiena, adesso non c’è quasi più distanza tra noi. Le mie gambe allacciate alla sua vita, il mio busto incollato al suo, i nostri nasi che si sfiorano, le mie mani sul suo viso. «Mi ha supplicata di non scappare da te, io non l’ho fatto, adesso, di chiedo la stessa cosa…» Le sue mani mi prendono il viso, mi accarezzano, le sue labbra cercano le mie, prima dolcemente poi furiosamente e di nuovo dolcemente. Sento le guance umide, ma non saprei dire se le lacrime sono mie o sue, in realtà non mi importa per niente. Inizia a spogliarmi. Cerco di fare lo stesso, ma a malincuore mi devo alzare, non sopporto quella distanza, quindi lo spoglio velocemente, sorride della mia impazienza. Il mio mondo si ferma. Mi trascina sul divano io seduta sopra di lui. Finalmente siamo una cosa sola, lui dentro di me io dentro di lui, ci muoviamo lenti come le onde del mare durante la bassa marea, voglio godermi ogni istante, ogni movimento, ogni carezza, ogni bacio. So che per lui è lo stesso. Mi sembra impossibile credere di aver avuto un fidanzato per tanto tempo senza aver mai raggiunto la profonda intimità e la sensazione di appartenenza totale che sto provando in questo momento. Anche dopo aver raggiunto assieme il culmine del piacere che stavamo cercando, non riusciamo a staccarci. Nicolò appoggia la schiena allo schienale del divano, mi tiene ancora tra le sue braccia, io gli stringo la vita e appoggio la testa la suo petto, sento che sospira, sta per parlare. Sono curiosa, ma non lo voglio forzare quando sarà pronto io sarò lì ad ascoltare. «Io vengo da una famiglia rispettabile, molto perbene, tipo quella con cui hai vissuto mentre 4


i tuoi genitori non c’erano. Mio padre fa il notaio e mia madre è avvocato. Avevo diciotto anni quando ho conosciuto Jenny, lei ne aveva ventidue, era letteralmente coperta di tatuaggi e piercing, alcuni in posti molto nascosti. Sai, il mio negozio era il suo…» mi stringe ancora più intensamente, penso stia cercando la forza per continuare, ricambio la stretta, spero sia quello di cui ha bisogno. «L’ho conosciuta ad una festa e sono subito stato attratto da lei. Ovviamente i miei genitori non approvavano e quando le cose si fecero serie loro mi cacciarono di casa. Siamo andati a vivere assieme, mi sono iscritto all’università e nel tempo libero l’aiutavo al negozio. Una sera l’aspettavo a casa, ma lei non arrivava e non mi rispondeva al telefono. Sono andato a cercarla al negozio, probabilmente aveva accettato un cliente all’ultimo e si era dimenticata di avvisarmi. Quando sono arrivato le luci erano tutte accese, ma c’era troppo silenzio. Sai Jenny e il silenzio non erano compatibili. Ero sempre più preoccupato, volevo chiudere tutto e andare a cercarla. L’ho trovata nello stanzino privato. Era sdraiata sul pavimento con gli occhi spalancati, senza vita. Non so che mix di droghe si fosse presa, ma le era stato letale. Ho avuto parecchi problemi legali per questa storia, mia madre mi aiutò, ma invece di dirmi " mi dispiace", non si è fatta sfuggire l’occasione per un acido "te l’avevo detto". Ero incazzato, con me stesso per essermi fidato di Jenny, con Jenny per avermi abbandonato e per aver permesso ai miei genitori di avere ragione su di lei, coi miei genitori per i quali è più semplice ignorarmi piuttosto che capirmi ed ero incazzato con il mondo intero perché non stava soffrendo come stavo soffrendo io.» Si prende un’altra pausa per riprendere fiato e mi posa un lieve bacio sulla testa. «Jenny mi ha lasciato il suo negozio, nonostante tutto l’ho sempre amata e tenere in vita la sua attività era un po’come tenere in vita una parte di lei. Il cuore spezzato che ti ho mostrato me lo sono fatto marchiare dopo la sua morte, ha sempre desiderato farmene uno…mi sembrava appropriato.» Mi prende il viso con le mani costringendomi a guardarlo negli occhi «quando ti ho incontrata, una rompipalle fatta e finita, qualcosa dentro di me è cambiato, mi sono reso conto che volevo tornare ad essere felice e con te è così semplice. È da tanto che desideravo baciarti, subito dopo aver ascoltato la tua storia ho sentito un legame tra di noi, è stato doloroso starti distante, ma il senso di colpo mi schiacciava. Mi dispiace per quello che è successo in negozio, mi sono fatto prendere dal panico, dopo averti respinto potevo fare solo due cose: correrti incontro pregarti di perdonarmi e ricominciare a vivere oppure lasciarti andare via e continuare a vivere nell’oscura solitudine che mi ero imposto dalla morte di Jenny. Il finale lo conosci…» Lo bacio, così intensamente da provare dolore, calde lacrime mi rigano il viso, non c’erano parole da dire, volevo solo essere la sua medicina il modo in cui ricambia il mio bacio, mi fa capire che effettivamente sono la sua cura. insieme stiamo uscendo da quel burrascoso mare oscuro che sono le nostre vite e stiamo nuotando verso la felicità.

FINE

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