La ritenzione in protesi totale

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La ritenzione in protesi totale

ECM/FAD 2014

© Dental Cadmos 2014​ Tutti i diritti riservati A cura del Dr. Balestro Giuseppe - 2014 A scopo didattico interno

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Descrizione del modulo Conoscenze di base 1. Metodiche di riabilitazione del paziente edentulo.

2. Principi di ritenzione in protesi totale.

3. Protesi totale rimovibile.

Obiettivi 1. Introdurre i concetti di successo e insuccesso in protesi mobile, discutendo i fattori che possono influenzarli.

2. Descrivere l'evoluzione nel tempo del concetto di ritenzione e dei differenti sistemi e strumenti ausiliari.

3. Fornire al clinico le informazioni necessarie per ottenere un manufatto protesico totale ritentivo in maniera autonoma.

Punti Chiave 1. Nonostante l'edentulismo abbia registrato negli anni una diminuzione in termini di frequenza per fasce d'età, il progressivo aumento dell'età media nel nostro Paese manterrà costante nei prossimi decenni la domanda di riabilitazioni protesiche in pazienti edentuli.

2. La conoscenza teorica della materia e la corretta esecuzione tecnica sono requisiti essenziali ma non sufficienti per il successo in protesi totale. Imprescindibile è la considerazione dei fattori che portano alla soddisfazione delle esigenze del paziente, in termini di accettazione del manufatto protesico.

3. La "tenuta" del manufatto protesico è il risultato di due meccanismi: la ritenzione, cioè la capacità della protesi di resistere a una forza di rimozione che agisce lungo l'asse d'inserzione, e la stabilità, che è la capacità del manufatto di rimanere in rapporto costante con la base d'appoggio quando è sottoposto a forze dislocanti orizzontali o rotazionali.

4. I manufatti protesici realizzati nell'antichità furono confezionati utilizzando materiali naturali (legno, avorio, osso, denti naturali e oro) e, probabilmente, dovevano la loro ritenzione all'azione muscolare attiva. L'inizio del XVIII secolo segnò il punto di svolta sia nella fabbricazione dei dispositivi protesici sia nello sviluppo e nell'evoluzione del concetto di ritenzione.

5. La ritenzione del manufatto protesico può essere ottenuta tramite due differenti percorsi: l'utilizzo di sistemi ausiliari o la ricerca di una ritenzione autonoma mediante particolari accorgimenti ottimizzati da un corretto posizionamento statico e contatto dinamico degli elementi dentali.

6. Nel corso della storia sono stati proposti vari sistemi di ritenzione ausiliaria: strumenti meccanici elastici, dispositivi miranti a creare fenomeni di suzione per depressione, presidi adesivi, utilizzo di sottosquadri anatomici, sfruttamento di forze magnetiche fino ai recenti impianti osteointegrati.

7. La ritenzione autonoma è generata da un sottile equilibrio tra conoscenze e capacità tecniche dell'operatore e caratteristiche anatomiche e fisiologiche del paziente stesso.

8. La registrazione di un'adeguata impronta, il corretto sviluppo del corpo protesico, un'attenta analisi del montaggio dei denti e della progettazione dell'occlusione e disclusione sono fondamentali per il conseguimento della massima ritenzione e stabilità del manufatto protesico.

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Riassunto Obiettivi Scopo del lavoro è fornire indicazioni concettuali e pratiche al clinico che si occupa di riabilitazione completa rimovibile tradizionale, al fine di poter gestire nella maniera più soddisfacente possibile il problema della ritenzione e della stabilità della protesi totale.

Materiali e metodi Sulla base di un'analisi della letteratura passata e recente viene effettuata una disamina dei fattori che determinano il fenomeno della ritenzione della protesi totale e di quelli che la influenzano, ossia quelli che possono produrre un effetto stabilizzante e/o destabilizzante sia in stato passivo sia in stato funzionale.

Risultati e conclusioni La domanda di mercato di protesi totale sembra mantenersi costante a discapito della riduzione della prevalenza dell'edentulismo nella popolazione generale, probabilmente in considerazione dell'effetto controbilanciante dell'aumento del numero di anziani. Questo aspetto, da un lato, e l'evoluzione della figura dell'edentulo, dall'altro – sempre più in là con gli anni e fragile con condizioni anatomo-fisiologiche del cavo orale più complesse – rendono auspicabile una maggiore attenzione nella ricerca dei fattori implicati nell'ottenimento della ritenzione e/o stabilità della protesi totale. In conclusione, al fine di ottimizzare la ritenzione e la stabilità protesica si sottolinea l'importanza della fase anamnestico-diagnostica, della creazione di una corretta impronta, di un corretto supporto e sviluppo del corpo protesico e di un'attenta analisi nella fase di montaggio dei denti e di progettazione dell'occlusione e disclusione.

Parole chiave Ritenzione | Adattamento della base | Supporto | Stabilità | Zona neutra

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1 Introduzione La protesi totale presa come soggetto di riferimento per questo lavoro, come del resto tutta la protesi rimovibile tradizionale, rappresenta una branca dell'odontoiatria che ormai da decenni vive una condizione di contrasto. Il motivo di tutto ciò può essere esemplificato confrontando, da un lato, quello che è l'interesse odierno per tale materia nel mondo accademico e nella letteratura scientifica e, dall'altro, l'interesse commerciale per questo tipo di riabilitazione secondo le regole di mercato della domanda e dell'offerta, valutando alcuni parametri demografici e socioeconomici sia indicativi sia predittivi e considerando il mercato parallelo dell'indotto, per esempio i prodotti adesivi.

Nel mondo universitario, salvo qualche rara eccezione, l'interesse per l'insegnamento della protesi totale, che nella sostanza costituisce la grammatica e la sintassi della teoria della riabilitazione degli edentulismi, è scemato negli anni cedendo lo scettro ad altri argomenti dell'odontoiatria protesica o di suo corollario. A suffragio di quanto appena sostenuto è sufficiente una veloce consultazione di internet con motori di ricerca dedicati alla formazione universitaria postlaurea (AlmaLaurea, www.almalaurea.it) per osservare quale sia la sperequazione nell'offerta formativa accademica tra la protesi totale e altre materie, oppure quale sia il divario nella prevalenza delle pubblicazioni scientifiche sulla protesi totale rispetto per esempio alla letteratura di argomento implantoprotesico.

Se si effettua una ricerca in PubMed (www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/) restringendo il campo a 5 anni, scegliendo come tipi di pubblicazione case reports, clinical trial, consensus development conference, review e utilizzando gli operatori booleani (AND, OR, NOT) si ottiene un rapporto di 1 a 12 e di 1 a 20 riferendosi solo alle revisioni.

D'altro canto il mercato reale della protesi totale mostra aspetti diversi: basti pensare alla prevalenza delle protesi rimovibili nella popolazione [1] e alla mole di investimenti che le aziende del settore orientano alla pubblicità di prodotti adesivi per protesi, ovviamente congruenti con la domanda di mercato.

L'osservazione della prevalenza dello stato di edentulismo in Italia [2,3] mostra una condizione ancora importante: il 22,6% nella fascia d'età 65-69 anni; il 34,8% nella fascia 70-74 anni; il 46,3% nella fascia 75-79 anni; il 60% oltre 80 anni. L'edentulismo è una condizione che negli anni ha registrato una diminuzione quantitativa grazie all'effetto di sensibilizzazione delle campagne di prevenzione, tuttavia studi del settore mostrano come la domanda di questo tipo di riabilitazione nei Paesi occidentali permarrà più o meno costante nei prossimi decenni a causa dell'effetto controbilanciante dell'aumento del numero di anziani [3,4].

Un aspetto importante da valutare è anche il cambiamento della tipologia di soggetto edentulo rispetto al passato, ovvero un tipo più anziano, fragile, compromesso dal punto di vista sistemico e anatomo-fisiologicamente per un cavo orale più complesso, fattore spesso limitante nelle proposte terapeutiche. Negli anni ciò che è cambiato in maniera riguardevole nel mercato riabilitativo dell'edentulismo più che la domanda è l'offerta terapeutica, grazie alle prospettive e possibilità associate all'implantologia. Questa evoluzione ha introdotto protocolli interdisciplinari più complessi e costosi che, pur essendosi sviluppati nell'ottica del contenimento di costi, invasività biologica e tempi, mantengono un elevato impegno economico per il paziente; tale prerogativa oggi impatta notevolmente con l'analisi socioeconomica e il potere di risparmio delle famiglie fotografato dall'Istat nel nostro Paese [5]. La protesi totale ha quindi la possibilità, in prospettiva, di tornare a ricoprire un ruolo di maggiore interesse nella clinica quotidiana, motivo per il quale sarebbe opportuno rivederne i concetti base, tra i quali la ritenzione che rappresenta un aspetto importante del successo clinico.

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2 Successo e insuccesso Il successo in protesi totale è un obiettivo raggiungibile grazie alla conoscenza e alla corretta gestione di una serie di fattori differenti ma interdipendenti tra loro (fig. 1). Alcuni di essi presentano una natura di tipo clinico-tecnicistica, quindi sono a responsabilità esclusivamente operatore-dipendente; altri, inerenti condizioni sistemiche e locali, anatomo-fisiologiche, metaboliche e neurologiche, sono elettivamente a responsabilità paziente-dipendente; infine vi sono degli elementi di più difficile interpretazione che costituiscono una sorta di zona grigia nel rapporto terapeutico medico-paziente. Questi ultimi sono gli aspetti che amalgamano il vissuto odontoiatrico, la sfera emotivo-psicologica del paziente, la relazione instauratasi con il curante e il rapporto del paziente con la protesi in fase di adattamento/accettazione.

Fig. 1 Competenze clinico-tecniche e aspetti psicologici di pertinenza della protesi totale.

Già negli anni Cinquanta dello scorso secolo De Van [6] suggeriva di conoscere prima la mentalità del paziente, anziché la sua bocca, quando ci si accinge a iniziare un caso. Chi tra i clinici ha la possibilità di praticare molta protesi totale saprà che il successo in questo tipo di iter riabilitativo può essere declinato in due modi: un primo di tipo "elettivo", caratterizzato dalla soddisfazione clinico-tecnica da parte dell'odontoiatra per aver realizzato un dispositivo stabile, ritentivo (condizione auspicabile ma non sempre realizzabile), efficiente, foneticamente ed esteticamente corretto e ben accettato da parte del paziente; e un secondo tipo definibile "di compromesso" che vede un difetto di risultato da parte delle nostre aspettative e al contrario un'accettazione e soddisfazione da parte del soggetto in cura, grazie alla presenza di una serie di meccanismi compensatori di natura psicologica [7].

L'insuccesso d'altronde – prescindendo da possibili errori clinico- tecnici, prodotti in uno o più dei passaggi necessari [8] per la realizzazione di una protesi totale – più spesso ricade in un'inadeguata gestione dell'anamnesi, per quanto riguarda l'intercettazione di problematiche organiche (per esempio disturbi neurologici, riflessi farmacologici e/o sistemici sul cavo orale), o in una non corretta lettura di aspetti psicologici e aspettative del paziente, che possono influenzare la prognosi della riabilitazione se non opportunamente presi in considerazione in fase anamnestica [7,9-11].

Anche se da tempo, dal consensus di McGill e da quello di York [12,13], sono presenti in letteratura indicazioni sulle linee guida auspicabili nella riabilitazione dei soggetti totalmente edentuli, che propongono 36016 Thiene (Vicenza) Via M. Corner, 1 - ☏ 0445 380320 - studiobalestro@pec.it - www.studiodentisticobalestro.com SDB - ECM - FAD - 2014 - 07 - Protesi totale 06 set 2014 - Dott. Balestro Giuseppe TIT - Dr. Peron Carla RGQ - 5/40

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l'utilizzo di overdenture ritenute da due impianti come standard di cura nell'edentulismo mandibolare, al fine di migliorare il comfort del paziente [13], è a tutti noto come nella clinica quotidiana non sempre tale scelta sia percorribile; ciò a causa di una serie di pregiudiziali sistemiche, farmacologiche, economiche o psicologiche. La limitazione nel risultato riabilitativo che ne consegue a una parte della popolazione edentula non dovrebbe distogliere l'attenzione del clinico dal perseguire comunque il miglior risultato possibile con la tecnica tradizionale.

Di ausilio per una migliore predicibilità prognostica sul piano di trattamento in formulazione, durante la fase anamnestica e l'esame obiettivo, vengono proposti in letteratura vari formulari ad hoc per gli edentuli [14,15]. Un utile protocollo di valutazione prognostica è stato ideato da ​ McGarry et al. [16]; anche se quest'ultimo si sofferma e analizza prevalentemente l'​ aspetto organico per dedurre il grado di difficoltà da gestire in una riabilitazione con protesi totali, oggi però è noto quanto sia necessario porre grande attenzione anche su aspetti come il profilo psicologico [10], il vissuto pregresso da portatore di protesi totale [9], il carattere emotivo, le aspettative ed eventualmente – se l'edentulia non è molto datata – il grado di elaborazione del lutto per la perdita dei denti [17]. Ciò per essere in grado di intercettare situazioni di disagio psicologico del paziente celate dietro disturbi riferiti come organici, estetici o fonetici imputati alla protesi ma in realtà non riscontrabili alla poltrona. In questi casi, accanto a un aiuto psicologico, può essere utile applicare protocolli di lavoro più duttili e progressivi [18].

Il successo clinico al termine di una riabilitazione normalmente si traduce nell'aver soddisfatto le più comuni aspettative di base dei pazienti​ , ovvero in ordine di priorità aver prodotto una ​ protesi che non faccia male​ , che non si "muova", che sia efficiente nella masticazione e "naturale" di aspetto. Tali prerogative, in quest'ordine, ricalcano quelli che in psicologia sono considerati gli adempimenti dei bisogni di base (con riferimento all'analisi di A.H. Maslow sulla gerarchia dei bisogni o necessità, in ordine ascendente: fisiologia, sicurezza, appartenenza, stima, autorealizzazione), che passano da una natura di necessità biologica (non aver male e mangiare) a una connotazione di tipo psicologico-relazionale-sociale (apparire "naturale" e "giovane") man mano che le richieste si affinano e il problema del paziente si sposta dalla bocca all'autostima.

Per fortuna la maggior parte dei pazienti si sofferma su aspettative di base, richiedendo di realizzare una protesi totale che non provochi dolore e "stia ferma". Il sintomo del dolore e il relativo corollario delle lesioni a livello dei tessuti molli di supporto sono generalmente imputabili alla presenza di forze di intensità e direzione irrazionali [19,20] che si trasmettono ai tessuti tramite la base della protesi; la gestione quindi passa attraverso la correzione della superficie-estensione del supporto (minore pressione = maggiore superficie a parità di forza applicata) e/o la correzione vettoriale delle forze, lavorando sul piano occlusale e il montaggio dei denti.

Altro discorso richiede invece la problematica del movimento della protesi, ovvero la "tenuta", questione più complessa e articolata.

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3 La "tenuta" in protesi totale Per la protesi totale "tenuta" rappresenta un'espressione impropria, però è un termine gergale spesso in uso tra i pazienti, che esprime bene il concetto di mantenimento della posizione della protesi sulla sua base di appoggio, quando utilizzata. Nel lessico protesico il termine "tenuta" trova espressione nella risultante di due meccanismi: la ritenzione e la stabilità; quest'ultima può essere a sua volta distinta in stabilità statica e stabilità dinamica [21].

Il concetto di tenuta può essere anche esemplificato nella formula: Forze ritentive + (Forze stabilizzanti – Forze destabilizzanti) > 0 = Tenuta. ● La ​ ritenzione rappresenta la capacità di una protesi di resistere a una forza di rimozione che agisce lungo lo stesso asse d'inserzione [22]. La ritenzione si oppone a: forze di distaccamento esercitate da cibi adesivi, forza di gravità, forze associate all'apertura della bocca. ● La ​ stabilità rappresenta la capacità di una protesi di rimanere ferma, salda e in rapporto costante con la base d'appoggio quando è sottoposta all'azione dislocante di stress funzionali con componenti di forza orizzontali o rotazionali [22]; la stabilità rappresenta quindi l'insieme di meccanismi capaci di influenzare in senso positivo e negativo la ritenzione di una protesi totale. ● La stabilità statica è quella condizione che si esplica quando la protesi è sottoposta all'azione di forze aventi direzioni e versi qualunque a eccezione di quelli passanti per la superficie occlusale dei denti, ovvero si manifesta durante la mimica, la fonazione, i movimenti mandibolari o quelle che sono chiamate "fasi interlocutorie della masticazione", quando il bolo alimentare viene portato sul tavolato occlusale da lingua e guance. ● La stabilità dinamica al contrario è quella condizione che si manifesta quando direzione e verso delle forze passano attraverso la superficie occlusale dei denti: durante la masticazione (prima e durante il contatto dentale), durante la deglutizione (con o senza contatto dentale) e durante i contatti occlusali in genere.

I meccanismi chiamati in causa a vario titolo dalla letteratura a possibile spiegazione del fenomeno della ritenzione, che costituisce un aspetto complesso e scarsamente conosciuto ai più [23-26], sono molteplici(tab. I); a suffragio della stabilità della protesi totale è invece possibile individuare una serie di fattori abbastanza intuitivi (tab. II).

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Prima di valutare gli aspetti oggi considerati quali ​ principali protagonisti della ritenzione protesica è necessario descrivere brevemente come il concetto di ritenzione si sia evoluto nella storia, passando da una natura e dipendenza puramente di tipo meccanico a una che permette la comprensione e l'applicazione di principi della fisica alla fisiologia, determinante un tipo di ritenzione della protesi che si potrebbe definire "autonoma"; ciò anche grazie al parallelo sviluppo di tecniche e materiali per la registrazione dell'impronta e la realizzazione delle basi protesiche. Vero è che oggigiorno, come in passato, la clinica e la letteratura propongono entrambi i tipi di logica ritentiva: quella che sfrutta l'utilizzo di sistemi sussidiari esterni [12,13] e quella che non se ne avvale. Hardy et al. nel 1957 [27] raccoglievano i fattori ausiliari esterni, compresi gli impianti alloplastici e i presidi adesivi, assieme ai meccanismi determinati la ritenzione autonoma della protesi totale, in un'unica classificazione dei fattori "governanti" la ritenzione protesica: fattori fisici, fattori fisiologici, fattori meccanici, fattori psicologici, fattori chirurgici. Nella pratica clinica odierna – considerando l'evoluzione della figura dell'edentulo, frequentemente più anziano, fragile e "complesso" del passato – la realizzazione di una protesi totale autonomamente ritentiva rimane un obiettivo fortemente auspicabile, perché molto rilevante nel giudizio del successo finale per il paziente, ma talvolta non ottenibile; la realizzazione di una protesi stabile invece dovrebbe essere un obiettivo chiaro per l'operatore, indipendentemente dal meccanismo di ritenzione.

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4. La ritenzione nella storia della protesi totale

Fig. 2 Esempio di protesi rimovibile realizzata con legature in oro (Natural History Museum, Londra) "Protesi" è un termine generico con cui si indicano mezzi artificiali applicati nelle diverse parti del corpo con la valenza di ripristinare una funzione perduta, migliorarne una esistente oppure per motivi estetici. In ambito specifico odontoiatrico con il termine protesi si definisce l'insieme di dispositivi o presidi strumentali e tecniche, sviluppate ad personam, finalizzate a ripristinare estetica, fonetica, morfologia e funzione dell'apparato stomatognatico, in armonia con le caratteristiche biotipologiche dell'individuo. Ciò in seguito alla perdita parziale o totale, per cause naturali o iatrogene, di uno, più d'uno o tutti gli elementi dentali e anche i tessuti di supporto.

Se da un lato la collocazione storica e/o geografica dell'origine della protesi totale – anche concepita unicamente come dispositivo finalizzato alla soddisfazione della prima delle sue valenze, quella estetica – configura un quesito a cui non è possibile dare risposta, d'altro canto è ancora più arduo studiare o ipotizzare quale fosse il meccanismo ritentivo delle protesi primordiali, non essendone giunti modelli fino a noi.

Fig. 3 Protesi totale realizzata in osso [28] La protesi totale è nata presumibilmente da qualche parte nella notte dei tempi, là dove la padronanza dei materiali naturali, la competenza artistica e medica di alcuni hanno potuto fornire risposta alla richiesta della classe sociale dominante di mascherare il più naturalmente possibile la menomazione estetica provocata dall'edentulismo. ​ Le prime testimonianze circa l'esistenza di questi dispositivi risalgono a scritti del I secolo d.C. [22-28], che ne attestano la presenza presso le civiltà dell'antico Egitto e di Roma, oggetti descritti ma mai pervenuti ai giorni nostri. La mancanza di testimonianze non esclude comunque la possibilità di spostare la datazione della prima protesi totale più indietro nel tempo, visto il livello di alcuni reperti di protesi parziali realizzate in età precedente rinvenuti nel bacino del Mediterraneo e giunti fino a noi (fig. 2), oggetti che evidenziano il raggiungimento di un grado di maestria tecnica tale da lasciar presagire che questi artefici potessero tranquillamente realizzare anche manufatti protesici completi.

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Fig. 4 Protesi totale in avorio: intaglio da pieno guidato da dima chirurgica o compasso e adattamento per sottrazione con l’utilizzo di una sostanza colorante come marcatore, processo descritto in letteratura da Purmann nel 1684 Tutti i dispositivi prodotti nell'antichità fino a XVIII secolo, epoca di svolta nella storia della protesi totale e della sua ritenzione, furono creati utilizzando materiali naturali quali: legno, avorio, osso (fig. 3), denti naturali o in taluni casi in oro, mediante una tecnica perlopiù inalterata per secoli che si potrebbe definire il primo modello di fresaggio da pieno [29] (fig. 4). La ritenzione di tali manufatti resta dubbia se non ipotizzabile con un'azione muscolare volontaria.

Nel 1728 Fauchard [30] segna il punto di svolta con il passato, sia per la costruzione della protesi totale sia per lo sviluppo e lo studio del fenomeno della ritenzione. Nel suo trattato descrive per primo, protocollandolo, un metodo per realizzare una protesi totale con dispositivi d'ausilio ritentivo meccanico-elastici (fig. 5), ma nel contempo riferisce anche che nella sua esperienza clinica è stato in grado di produrre tre protesi complete [23-26] capaci di mantenersi in posizione, ovvero essere ritentive autonomamente senza dispositivi meccanici ausiliari, dato riproposto e riconfermato nell'esperienza clinica da Gardette (1800) e Fuller (1810).

Fig. 5 Primo trattato sulla protesi totale: Le Chirurgien Dentiste di Pierre Fauchard, 1728 Quanto descritto da Fauchard prelude a ciò che successivamente è avvenuto, ovvero uno sviluppo duale della ricerca sui meccanismi ritentivi in protesi totale da allora ai giorni nostri: uno centrato sull'impiego di meccanismi sussidiari alla protesi che si fondassero su principi meccanici, chimici e fisici; l'altro orientato a sfruttare e applicare principi di fisica alla fisiologia in cui la protesi non utilizzasse parti accessorie al fine ritentivo. Quest'ultima costituisce la logica della moderna ritenzione, che però ha necessitato lo sviluppo parallelo di tecniche e materiali d'impronta (tab. III), come anche di materiali per le basi protesiche (tab.

IV), in grado di poter meglio concretizzare i requisiti teorici richiesti.

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5 Ritenzione autonoma e con sistemi ausiliari Con la definizione "ritenzione autonoma" della protesi totale, ovvero non dipendente da sussidi esterni, ci si può riferire a quel soggetto trattato e definito da Hall [31] nel 1918, descritto come un meccanismo complesso e poco chiaro per comprendere il quale e possibilmente governarlo sia necessario indagarne i principi della fisica attinenti.

Oggi è noto che il possibile raggiungimento e mantenimento di questo tipo di ritenzione della protesi totale è vincolato alla presenza, alla viscosità e allo spessore di un film salivare tra base e tessuti e dipende dal corretto sfruttamento e rispetto di una serie di fattori (tabb. I e II). I clinici sanno per esperienza che per ricercare ritenzione autonoma devono clinicamente ottenere il miglior adattamento possibile della base ai tessuti di supporto, la più ampia base di appoggio compatibile con la funzione muscolare e il miglior sigillo periferico possibile. La non conoscenza in passato di questi presupposti, come il difetto di sviluppo di logiche e tecniche d'impronta (primi sistemi conosciuti: Purman introduce la cera per registrare impronte nel 1711 e Harris introduce il gesso di Parigi per impronte nel 1844) e di materiali per le basi protesiche (​ il metilmetacrilato per le basi protesiche viene introdotto da Wright nel 1937​ ), ha motivato la necessità di ricorrere ai dispositivi ausiliari, menzionati in precedenza, per produrre ritenzione e stabilità.

Oggi l'esempio ultimo è rappresentato dalle overdenture inferiori a ritenzione implantare. Un principio al quale si dovrebbe però attribuire più importanza è che, anche quando si ricorra a una ritenzione implantare [12,13], l'obiettivo del clinico dovrebbe essere sempre quello di realizzare, a prescindere da questo ausilio, una protesi stabile (Forze stabilizzanti – Forze destabilizzanti > 0). Se oggi si facesse un censimento della popolazione dei portatori di protesi totali rimovibili, con l'obiettivo di indagare quale sia la prevalenza delle due possibilità utilizzate per ritenere le protesi, è ragionevole pensare sia predominante la modalità che si avvale di ausili esterni (paste, polveri, cuscinetti adesivi, molto meno con impianti) su protesi tradizionali rispetto ai pazienti "adattatisi" all'uso senza sussidi. Condizione che trova spiegazione presumibilmente in taluni casi nel permanere di limiti clinici e teorici da parte degli operatori e in gran parte in una sorta di aprioristica ricerca di tranquillità psicologica da parte dei pazienti nell'indossare la propria protesi totale [32].

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6 Fattori determinanti la scelta tra i due tipi di ritenzione Se in passato l'orientamento terapeutico del clinico verso il tipo di protesi totale da realizzare – munita o concepita per l'utilizzo di un sussidio ritentivo esterno oppure progettata per essere autonomamente ritentiva – era sostanzialmente univoco a favore della prima opzione, a causa dei limiti tecnici e delle ridotte conoscenze, ai giorni nostri la condizione e la possibilità di scelta del protesista sono cambiate. L'operatore che si trova a progettare un piano di trattamento di un paziente edentulo (candidato per motivi clinici o contingenti a una protesi totale rimovibile) ha a disposizione la conoscenza, la tecnologia e la merceologia per poter gestire al meglio l'allestimento di un dispositivo che non necessiti (salvo i casi limitanti che vedremo in seguito) di ausili ritentivi esterni. La scelta e l'accordo con il paziente di allestire una protesi che avrà un ausilio ritentivo esterno (impianti, adesivi, suzioni…) è perciò condizionata da altri aspetti, quali: a) quando possibile l'applicazione del protocollo McGill [13], indicato come "standard of care" negli edentuli totali, riconfermato in validità successivamente a York [12], quadro che prognosticamente rappresenta la proposta riabilitativa migliore per comfort ed efficienza di un piano di trattamento basato su due protesi totali, in tutti i pazienti, a prescindere dai fattori che possono limitare la ritenzione autonoma; b) difficoltà e limiti prognostici predicibili con inquadramenti anamnestici e diagnostici, tipo il protocollo di McGarry et al. [16], e/o considerazioni prospettiche basate sulla lettura delle aspettative e della sfera emotivo-psicologica del paziente; c) la valutazione dei fattori limitanti la possibile "tenuta", perché condizionanti i requisiti della ritenzione autonoma e della stabilità (tab. V) [14,33].

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6.1 Ritenzione con sistemi ausiliari Dai dispositivi di Fauchard [30] agli impianti osteointegrati di oggi, il mercato e la ricerca hanno proposto vari sistemi semplici e complessi, alcuni dei quali rilevatisi persino dannosi alla salute [27,31,34]. Dal trattato Le Chirurgien Dentiste del 1728, nei secoli a seguire e fino ai giorni nostri la ritenzione ausiliaria ha visto lo sviluppo di svariati sistemi.

Strumenti meccanici elastici applicati alla protesi Alla classe degli strumenti meccanici elastici applicati alla protesi appartengono: molle a filo metallico ripiegato [35], fili elastici in gomma [36], molle metalliche a spirale [36], molle metalliche in cilindri [37]. Il primo "meccanismo" storicamente accreditato a Fauchard prevedeva l'utilizzo dell'effetto elastico di due lamine piatte di metallo e/o di cuoio [30] unite bilateralmente alla parte posteriore del dispositivo superiore e inferiore e piegate a "U" per ottenerne un effetto di spinta verso la base ossea omologa.

Successivamente sono comparsi sistemi a molla, a filo ripiegato, a spirale, con Berdmore nel 1768, e in gomma secondo Holder-Egger nell'Ottocento, per migliorare le performance e il comfort masticatorio (fig.

6a-c, fig. 7a-g).Tale tecnologia non ha superato i primi decenni del XX secolo, cedendo il passo a sistemi ritentivi ausiliari meno disagevoli per il paziente e ai primi albori della ritenzione autonoma.

Fig. 6a-c a) Protesi in avorio e molle a filo ripiegato, 1730 ca. - b) Protesi in avorio con molle elicoidali introdotte da Berdmore (1768) in grado di armonizzarsi meglio con i movimenti masticatori. - c) Protesi in caucciù con molle in gomma secondo Holder-Egger, XIX secolo [36]

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Fig. 7a-g Molle a spirale del tardo XVIII secolo, XIX secolo e inizio XX secolo. a) Protesi con base in metallo e denti in avorio, 1795. - b) Protesi in avorio senza palato. - c) Protesi con base in oro. d) Protesi con base in leghe metalliche. - e) Protesi in bachelite, 1909. f) Protesi in ceramica (Novecento). - g) Protesi con cilindri a molle di Stedman (Ottocento) [37]

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Dispositivi aggiunti o ricavati nella protesi con lo scopo di creare un meccanismo di suzione per depressione I dispositivi di questa classe poggiano le basi teoriche sulla creazione di una depressione o di un ipotetico vuoto nella loro area d'azione e agiscono a posteriori dell'applicazione di una forza pressoria (ventose), oppure al contrario in seguito alla depressione provocata per la forza di distaccamento (superiore) imposto dalla gravità (camere di suzione). Teoricamente tali dispositivi richiedono un ideale e costante sigillo periferico, che identificano gli uni nel perimetro della camera o ventosa, gli altri nel bordo protesico. A cavallo tra XIX e XX secolo la letteratura [31-34] riportava già considerazioni negative su questi presidi, a causa dello sviluppo di processi infiammatori e iperplasici dei tessuti molli interessati.

Fig. 8a-b a) Sistemi suzionanti a camera. - b) Canali funzionanti come cavità aspiranti di Honer [36]

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Tipi merceologici: ● camere di sussione nella base protesica (fig. 8a); ● valvole di sussione (fig. 8b), meccanismi più rari con prerogative analoghe alle precedenti; ● ventose (fig. 9), sistemi molto diffusi soprattutto nei primi anni del XX secolo in centro Europa [36] e noti per la dannosità interessante i tessuti sia molli sia duri sottostanti; ● camere di sussione ottenute scavando il modello master (fig. 10a,b).

Fig. 9 Suzioni a ventosa Meunier-Burdin [36] Quest'ultima variante, per certi versi presente ancora oggi, anche se rivisitata sotto forma della scavatura a livello del postdam, procedura presente in tutte le scuole di pensiero odierne, trova collocazione filosofica come complemento o variante delle tecniche d'impronta dette "a pressione atmosferica", diffuse nella prima metà del XX secolo [38], tipo: Ackermann, Kamba, Walser, Kantorowicz, Biaggi, Gola. Veniva applicata nelle protesi totali superiori, sia a palato completo sia a palato ridotto, dove vicariava il più possibile la diminuzione di ritenzione per minore superficie.

Fig. 10a-b a) Scarico secondo Goldstein, 1929. - b) Scarico secondo Hawkes-Reier, 1945 [38] Il razionale di questo metodo sarebbe dato dalla ritenzione per un effetto di spinta sul corpo protesico contro la base mascellare, determinato dal differente gradiente di pressione, generato da un lato sotto la protesi per trazione della forza di gravità e dall'altro dalla spinta contro il corpo protesico della pressione atmosferica.

Questi protocolli oggi non sono più in uso e si sa quanto queste metodiche siano dannose a livello biologico.

Ora è noto, inoltre, che la pressione atmosferica gioca un ruolo poco rilevante nella ritenzione protesica per due motivazioni: la prima, la valenza solo teorica di ottenere nel cavo orale un sigillo come richiesto; la seconda confutazione logica è costituita dall'applicazione dei principi idrostatici al sistema dei tessuti orali [39].

A questa classe di strumenti di ritenzione ausiliaria appartengono strumenti in uso anche nella clinica odierna come alternativa, in realtà poco diffusa, ai presidi adesivi e all'uso degli impianti. Sul mercato è possibile trovare un dispositivo (fig. 11a,b) da applicare come rivestimento sull'intera base protesica in materiale resiliente e con una morfologia di superficie che ripropone delle microcamere di suzione come in 36016 Thiene (Vicenza) Via M. Corner, 1 - ☏ 0445 380320 - studiobalestro@pec.it - www.studiodentisticobalestro.com SDB - ECM - FAD - 2014 - 07 - Protesi totale 06 set 2014 - Dott. Balestro Giuseppe TIT - Dr. Peron Carla RGQ - 19/40

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passato, consigliabile in pazienti in cui la ritenzione autonoma non è predicibile, come per esempio nei pazienti con iposalivazione. Un altro strumento che può essere disponibile è rappresentato da un dispositivo (fig. 11c) composto da una camera di suzione in abbinamento a una valvola; anche per quest'ultimo valgono indicazioni analoghe al precedente.

Fig. 11a-c a) Camere aspiranti a piccole fossette [37]. - b) Dispositivo odierno, indicato in presenza di carente ritenzione autonoma. - c) Camera di suzione con valvola.

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Presidi adesivi Utilizzati per migliorare ritenzione e stabilità della protesi totale [40], costituiscono l'unico sistema ausiliare opzionale applicabile a posteriori della realizzazione della riabilitazione, senza comportare modifiche, quando quest'ultima avesse una ritenzione insoddisfacente. Sono presenti sul mercato in varie forme: paste, creme, polveri, liquidi semiviscosi, sottili stoffe impregnate di sostanze adesive. Il vantaggio comprovato del loro uso è un netto miglioramento della ritenzione, della stabilità [41] e della capacità d'incisione [42]. La valenza negativa è la possibilità di determinare problemi di allergie oppure di mettere il paziente in condizione di prolungare l'uso di protesi incongrue, rendendole sufficientemente ritentive e stabili [43]. I presidi adesivi sono stati classificati in vari modi. Una recente proposta [44,45] li suddivide in tipo "a stretto contatto" (paste contenenti vinilacetato) e tipo "di adesione" (con polimeri solubili in acqua, per esempio sodio-carbossimetilcellulosa in polvere, pasta, cuscinetti).

La comparsa degli adesivi per protesi è avvenuta nella seconda metà del XVIII secolo e il primo brevetto risale al 1913 (fig. 12a). Esistono poi varianti originali di questi ausili alla ritenzione come quello citato da Scheff [37] in cui il suddetto meccanismo di adesione veniva ottenuto mediante l'impiego di un tessuto organico fissato alla base protesica grazie alla bagnatura con la saliva (fig. 12b). Il loro uso è perdurato fino ai giorni nostri, che ne vedono un'ampissima diffusione.

Fig. 12a-b a) Polveri adesive. - b) Pelle di capriolo tenuta in situ tramite viti, metodo secondo Scheff [37] In base alla loro composizione i presidi adesivi vengono suddivisi in tre grandi categorie [46,47]: ● materiali che si rigonfiano e determinano un aumento della viscosità del mezzo interposto base-mucosa, questi sono responsabili dell'adesione. Tra essi: gomma di Karaya, gomma adragante, acacia, pectina, gelatina, metilcellulosa, idrossimetilcellulosa, sodio-carbossimetilcellulosa; ● composti additivi antisettici, antibatterici, antimicotici come l'esaclorofene, il sodio tetraborato, il sodio borato, l'etanolo, il borace, l'acido borico; ● composti additivi che servono da filler, plastificanti e preservativi quali il sodio laurilsolfato (tensioattivo), il propilidrossibenzoato (preservante), l'ossido di magnesio (filler) e infine la vaselina (emolliente).

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Le caratteristiche ideali dei presidi adesivi sono state ampiamente analizzate dalla letteratura [44,45] e dovrebbero essere le seguenti: ● non tossici, non irritanti, biocompatibili, non promuoventi crescite microbiche, inodori e insapori; ● composizione in crema o gel; ● possibilità di formare, a contatto con la saliva, una "mucillaggine" sottile e uniforme su tutta la base d'appoggio; ● applicazione semplice e dispersione minima; ● sviluppo di una rapida presa con la mucosa orale e buona forza adesiva quando idratati con la saliva; ● mantenimento della protesi in situ per 12-16 ore (condizione realizzabile solo con una protesi non completamente incongrua dal punto di vista biomeccanico: montaggio dei denti, registrazioni intermascellari…); ● resistenza ai cambiamenti estremi dell'ambiente orale (caldo, freddo…); ● facilità di rimozione per le procedure d'igiene; ● capacità di permettere ritenzione, stabilità e comfort ideali.

Zavorre per ottenere effetti inerziali nella protesi inferiore Manufatti realizzati secondo questa logica, ovvero un'ipotetica implementazione della ritenzione grazie alla stabilizzazione data dalla forza di gravità, hanno preso piede nella prima metà del XX secolo [38] con alcune propaggini fino agli anni Novanta [48]. Venivano ottenuti attraverso un appesantimento del corpo protesico con: caucciù, amalgama, base di resina pesante, basi di stagno, cromo-cobalto-molibdeno, oro. Tale strada è stata abbandonata per varie motivazioni, fondamentalmente perché non migliorativa della ritenzione [49] e per il rischio di aumentare il processo di atrofia crestale.

Propaggini elastiche L'effetto ritentivo è ottenuto tramite lo sfruttamento di sottosquadri anatomici mediante propaggini elastiche della protesi, quindi è dipendente da un sussidio esterno, logica utilizzata in alcuni casi anche oggi.

Questi dispositivi sono ovviamente successivi e correlati alla comparsa di materiali elastici per le basi protesiche come il caucciù, in uso nel passato [36,37] (fig. 13a), o gli odierni nylon e teflon, pubblicizzati più per la valenza commerciale che scientifica. Si possono tuttavia trovare esempi di dispositivi ibridi, rigidoelastici, con resina acrilica e metallo o completamente in resina acrilica nei quali l'elasticità è ricavata mediante espedienti morfologici (fig. 13b).

La logica, come visto in precedenza, è quella di sfruttare quando possibile aree di sottosquadro come le bozze canine o i tuber maxillae.

Fig. 13a-b a) Protesi in caucciù, ancoraggi secondo Bruhn. - b) Protesi in resina con propaggini elastiche

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Dispositivi generanti ritenzione magnetica Questo sussidio, non più in uso, si basa su un principio di repulsione di poli omonimi o di attrazione di poli contrari [36,37]. La variante a repulsione di poli omonimi fu introdotta nel 1939, successivamente migliorata e infine perfezionata nel 1952 da Ruspa [37] con il brevetto dei magneti concentrici a polarità multiple omonime (fig. 14a), in grado di ridurre il problema generato dal fatto che, con i sistemi precedenti, a circa 3 mm di scostamento delle arcate al fenomeno di repulsione verticale cominciasse a generarsi e sommarsi un fenomeno di repulsione orizzontale dannoso.

Il secondo tipo di principio, ad attrazione di poli contrari, fu utilizzato dal 1952 da Behrman ed Egan [37].

Quest'ultimo era un sistema di tipo chirurgico che prevedeva l'inserzione sottoperiostea di un magnete con la controparte applicata nella base protesica (fig. 14b).

Fig. 14a-b a) Protesi a ritenzione magnetica e repulsione fra poli multipli omonimi. - b) Attrazione di poli contrari, modello secondo Behrman ed Egan (A-A’ magneti in platino-cobalto, B rete di tantalio, 1 base della protesi, 2-3 strato mucoperiosteo suturato, 4 mandibola sezionata) [37] Un aspetto da considerare è che queste tecniche "magnetiche" determinassero sì comfort e buona ritenzione, soprattutto la metodica di Behrman-Egan, ma con un forte ausilio accessorio dato dal miglioramento delle condizioni intrinseche alla ritenzione primaria autonoma, generate dal mantenimento di una buona prossimità tra base e mucosa.

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Impianti alloplastici (iuxta/endossei) con dispositivi di ancoraggio per la protesi Questa categoria raccoglie quei protocolli chirurgici finalizzati all'utilizzo di dispositivi ausiliari esterni alla ritenzione e stabilità della protesi totale (per esempio, i sistemi a ritenzione magnetica attrattiva per il passato o gli impianti endossei odierni), non quelli in cui l'atto chirurgico è solo propedeutico alla procedura protesica tradizionale.

I primi sistemi risalgono agli inizi dell'Ottocento con Beaupreau [38], rivisti e riproposti da Zeller nel 1919 e da Brill nel 1932, che prevedevano l'affrancamento osseo della protesi superiore mediante un filo d'oro chirurgicamente inserito a livello delle bozze canine.

L'implantologia come strumento per la ritenzione e/o stabilizzazione protesica – i cui albori scientifici cominciano a profilarsi negli anni Quaranta dello scorso secolo (Dahl, Goldeerg, Gershkoff) con l'esempio italiano di Gola [38] e le "viti ammortizzate endossee" – si è progressivamente evoluta fino alla contemporanea implantologia osteointegrata, arrivando a rappresentare la scelta migliore come opzione sussidiaria per la ritenzione delle protesi totali [12,13].

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6.2 Ritenzione autonoma Come detto in un precedente paragrafo, è noto a tutti i clinici come, pur prescindendo dalle conoscenze dei principi e meccanismi scientifici sfruttati per realizzare alla poltrona una protesi ritentiva, oltre alla corretta gestione dei fattori stabilizzanti (tab. II) siano necessarie la presenza e l'ottemperanza di alcuni requisiti, di seguito elencati.

Requisiti clinico-pratici Requisiti paziente-dipendenti ● Presenza di un film salivare tra base protesica e tessuti (meglio se qualitativamente ricco di mucine, secrete prevalentemente dalle ghiandole sottomandibolari).

Requisiti operatore-dipendenti ● Ricercare il più ampio supporto compatibile con la funzione muscolare. ● Ottenere il migliore adattamento possibile della base stessa al supporto tissutale. ● Realizzare il miglior sigillo periferico possibile.

Questi rappresentano gli obiettivi della parte pratica necessari per raggiungere il possibile risultato della ritenzione protesica, più complessi sono invece i meccanismi o il razionale fisico che ne sono alla base. La letteratura [23-26,39] negli anni ha meglio organizzato e classificato, tra i vari aspetti chimicofisici generali da tempo correlati al fenomeno della ritenzione (tab. I), una serie di fattori considerati maggiormente determinanti in tal senso.

Fattori fisici Adesione​ . L'adesione può essere definita come la forza che mantiene uniti due materiali diversi tra loro quando questi sono posti in intimo contatto [50], grazie al meccanismo fisico-chimico di interazione polare molecolare o formazione di legami covalenti tra le molecole [39]. Si ritiene che la ritenzione della protesi totale dipenda in buona parte dall'adesione a livello dell'interfaccia saliva-base protesica e saliva-tessuti molli [51]; più nello specifico, dall'attrazione delle forze ioniche tra le cariche dei radicali delle glicoproteine salivari con quelle dell'epitelio di rivestimento dei tessuti molli e quelle del metilmetacrilato delle basi protesiche. Esiste poi un'altra versione del principio di adesione, considerata però forza poco influente [39], ovvero quella generantesi nel contatto diretto tra le due superfici, nel nostro caso epitelio dei tessuti molli e acrilato della protesi, senza film salivare interposto, condizione che si verifica in caso di iposalivazione. La valenza dell'adesione nella ritenzione protesica è ovviamente direttamente proporzionale all'entità della superficie del supporto della base protesica [52].

Coesione​ . La coesione, che è rappresentata dalla forza di attrazione di molecole dello stesso tipo, interviene nel film salivare tra le molecole della saliva stessa e svolge il ruolo di mantenere integro lo strato fluido interposto tra base protesica e tessuti orali. La coesione del film salivare è una forza difficilmente misurabile in vivo, causa la presenza di aspetti limitanti come le bolle d'aria [39].

Tensione superficiale​ . La tensione superficiale si manifesta come la forza con cui un liquido si oppone a un aumento della sua area superficiale ed è una conseguenza della forza di coesione molecolare a livello della superficie libera del liquido stesso. Rappresenta infatti l'energia coesiva esistente a livello dell'interfaccia e, nel nostro caso, opera a livello del perimetro della base protesica, costituendo il razionale fisico dell'obiettivo clinico di realizzare un sigillo periferico (menisco liquido) il più piccolo e stabile possibile.

Capillarità​ . La capillarità è l'insieme di fenomeni dovuti alle interazioni fra le molecole di un liquido e un solido (base protesicasaliva-tessuti molli) sulla loro superficie di separazione. Le forze in gioco che si esprimono in tale fenomeno sono la coesione, l'adesione e la tensione superficiale. Essa si manifesta sulla superficie del liquido, nel nostro caso della saliva, in contatto con le pareti acrilato-tessuti molli e può presentarsi come un menisco concavo (quando le forze di adesione tra il fluido e le pareti sono maggiori delle forze di coesione tra le molecole del fluido stesso) o convesso (nel caso in cui siano le forze di coesione a prevalere rispetto a quelle di adesione).

Quando la superficie di un liquido è concava, si genera una pressione superiore a quella esistente nella parte convessa. Il fenomeno è più evidente nei tubi capillari poiché in questi è maggiore la parte di liquido a contatto con le pareti del recipiente rispetto al volume totale e quindi la parte di liquido che genererà le forze di adesione sarà maggiore e perciò lo spostamento del livello del liquido all'interno del capillare sarà maggiore, motivo per il quale il miglior sigillo periferico possibile del nostro manufatto si traduce in migliore ritenzione della protesi [52]. La valenza della capillarità è discussa poiché secondo alcuni rappresenta uno 36016 Thiene (Vicenza) Via M. Corner, 1 - ☏ 0445 380320 - studiobalestro@pec.it - www.studiodentisticobalestro.com SDB - ECM - FAD - 2014 - 07 - Protesi totale 06 set 2014 - Dott. Balestro Giuseppe TIT - Dr. Peron Carla RGQ - 25/40

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degli aspetti determinanti la ritenzione della protesi [53], d'altronde altri autori hanno dimostrato quanto questa forza cada, per la perdita del menisco d'interfaccia, quando sia presente molta saliva nel cavo orale [54]. Per ottimizzare l'effetto della capillarità sulla ritenzione sono necessarie: ● la massima vicinanza delle due superfici in cui il fluido è interposto; ● la massima superficie possibile; ● la presenza di un sottilissimo strato di saliva.

Bagnabilità​ . La bagnabilità è descritta dall'angolo di contatto, formato dall'incontro liquido-aria liquido-solido, che è caratteristico delle sostanze del sistema considerato ed è dovuto alla tensione di superficie del liquido e all'energia di superficie del solido. Un alto angolo di contatto indica una grande bagnabilità, al contrario un basso valore d'angolo una bagnabilità scarsa [54]. In letteratura si è osservato come un aumento della ruvidità della superficie di contatto, mediante trattamento meccanico della base in metilmetacrilato, possa migliorare il fenomeno della bagnabilità [55]. Questo rappresenta uno dei motivi per i quali, durante la costruzione di una protesi totale nelle procedure di laboratorio, non si deve modificare la superficie di contatto mucoso delle basi protesiche dopo la rimozione dalle muffole, lasciandole possibilmente "grezze" dopo una prima ripulitura.

Viscosità e tensione viscosa​ . La viscosità rappresenta la resistenza allo scorrimento di un fluido data dall'azione delle forze intermolecolari all'interno del fluido stesso. La tensione viscosa può essere esemplificata come la forza che tiene uniti insieme due dischi paralleli (che nel nostro caso sono costituiti dalla base protesica e dai tessuti orali) grazie alla viscosità del fluido interposto (saliva). Questa viene espressa dalla formula di Stephan (1874):

Dalla formula si evince che la forza necessaria per separare i due dischi aumenta con l'aumentare della viscosità e decade rapidamente all'aumentare della distanza tra i due dischi. Per ottimizzare l'effetto della tensione viscosa sulla ritenzione: ● lo strato di saliva dovrebbe essere il più sottile possibile; ● l'adattamento della base ai tessuti dovrebbe essere il migliore possibile; ● il supporto dovrebbe essere il più ampio possibile; ● le forze di adesione e coesione dovrebbero essere forti.

Pressione atmosferica​ . La pressione atmosferica come agente coadiuvante la ritenzione in protesi totale è un meccanismo che affonda le radici nella storia di questa materia, come si è visto nella parte relativa ai sussidi ritentivi ausiliari. Oggi è considerato un fattore discutibile da alcuni [39] o un aspetto da sfruttare come ausilio da altri [52,56] ricercando l'effetto della "suzione" (fenomeno che si manifesterebbe quando per effetto della forza di gravità e/o dell'azione trazionante di cibi adesivi o dell'apertura della bocca, si creerebbe una depressione tra base protesica e tessuti molli, necessariamente dipendente dalla presenza di un sigillo marginale costante ed efficiente), condizione prodotta non come in passato mediante dispositivi a valvola, ma trasformando la componente tissutale stessa a livello perimetrale in un dispositivo a valvola.

Risultato auspicabile mediante una corretta procedura di bordaggio e d'impronta fisiologica a pressione selettiva [52].

Chirurgia preprotesica​ . Un ultimo elemento da citare tra i meccanismi e le procedure applicabili al fine di migliorare la ritenzione autonoma, che rappresenta un corollario al punto "Propaggini elastiche" dei fattori ausiliari esterni visti nel paragrafo precedente, è la chirurgia preprotesica (fattori chirurgici, Hardy e Kapur) [27] non seguita da impianti, come per esempio le procedure di approfondimento di fornice, slegatura di inserzioni muscolari e tendini [37,38], rimodellamenti ossei e aumento osseo crestale. Queste pratiche permettono di ottenere una migliore ritenzione mediante la riduzione dei fattori destabilizzanti (azione diretta-indiretta muscolare) e/o l'aumento del supporto della base di appoggio.

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6.3 Fattori governanti la ritenzione autonoma Dopo aver individuato e descritto i meccanismi fisici sui quali si basa il razionale degli obiettivi del procedere pratico-clinico (migliore competenza possibile tra la base protesica e il supporto tissutale, migliore sigillo periferico possibile e ovviamente presenza della giusta condizione salivare) si possono valutare i principali aspetti clinici di studio e tecnici di laboratorio per la costruzione di una protesi totale che sono in grado di influenzare la ritenzione autonoma, agendo sia come discriminante delle condizioni che ne permettono la presenza (saliva) sia come attori stabilizzanti o destabilizzanti la forza ritentiva. Questi elementi sono distinguibili in una categoria di tipo paziente- dipendente e una di tipo operatore-dipendente (fig. 15). Le voci indicate come paziente-dipendenti rappresentano aspetti sui quali il protesista ha un margine d'azione limitato o assente: questo è il motivo per cui in precedenza si è fatto riferimento all'importanza della valutazione anamnestica e dell'inquadramento durante l'esame obiettivo del soggetto che è in procinto di iniziare una riabilitazione [7,9-11,15], ciò per poter considerare la predicibilità prognostica del protocollo scelto e potersi orientare verso un piano di trattamento che consideri l'uso di sistemi ausiliari esterni alla ritenzione della protesi totale di tipo più invasivo, per esempio chirurgico [12,16] come le overdenture ritenute da impianti, o più tradizionali [44,45] come quelle che sfruttano i presidi adesivi.

Fig. 15 Fattori governanti la ritenzione

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Fattori paziente-dipendenti Nella categoria generale dei fattori paziente-dipendenti si annoverano i seguenti. ● Fattori limitanti riferibili all'anatomia clinica sia dei tessuti molli sia dei tessuti duri, da gestire quando possibile con procedure di chirurgia preprotesica e orientamento verso l'uso di sistemi ausiliari di ritenzione. Tra questi sommariamente si possono distinguere quadri clinici di difficoltà elevata riferibili a: ○ presenza di anomalie morfologiche congenite o acquisite come tori mascellari, mandibolari, sindromi combinate [57], processi fibromatosi, frenuli con inserzioni sfavorevoli, macroglossia ecc. ○ esiti della fisiologia involutiva senile sull'apparato stomatognatico edentulo, come per esempio nel caso delle grandi atrofie dei mascellari (Classe IV secondo McGarry) [16] con interessamento anche dell'osso basale (Classe VI secondo Atwood) [58,59] e relative complicazioni per lo stato dei tessuti molli, dei frenuli e dei rapporti con gli equilibri muscolari [16] ○ esiti di atrofie irregolari sull'anatomia clinica ossea dopo la rimozione di impianti facenti parte di vecchie riabilitazioni ○ esiti di procedure chirurgiche sui tessuti molli e ossei conseguenti a problematiche traumatiche, oncologiche, da gestione di quadri di osteonecrosi-osteoradionecrosi ● Fattori limitanti dipendenti da patologie, terapie farmacologiche e disfunzioni in ambito neurologico e neuromuscolare sia sistemiche sia locali [34,58] (tab. V). Alcuni esempi possono essere i casi, non infrequenti, di pazienti in cura con ​ neurolettici e/o antidepressivi, che possono manifestare discinesie linguali poco compatibili con una protesi totale inferiore ritentiva​ , o casi di posizione posturale retrusa della lingua nei pazienti geriatrici, situazione che determina uno stato di tensione del pavimento della bocca anteriormente (genioglosso-miloioideo) limitante l'estensione del giunto sublinguale della protesi inferiore ● Fattori limitanti dipendenti dalla presenza della saliva. Come visto in precedenza, tutta la fisica di base che rappresenta il razionale della ritenzione autonoma prevede meccanismi che sfruttano la presenza della saliva, possibilmente nel giusto rapporto quanti-qualitativo (buona quantità di mucine, produzione prevalente delle ghiandole sottomandibolari) nel corretto spessore d'interposizione base-tessuti. Causa di limitazione al fenomeno della ritenzione possono essere quindi tutte le condizioni determinanti stati di xerostomia/iposalivazione (tab. V). Altro fattore sul quale l'operatore ha scarso margine d'azione per migliorare la ritenzione è rappresentato dal materiale delle basi protesiche, sul quale è possibile intervenire per favorire il fenomeno della bagnabilità aumentando l'angolo di contatto e migliorando l'adesione saliva-resina [60]. Ma poco si può fare sull'aspetto chimico dell'interfaccia per aumentare il meccanismo dell'adesione agendo sulla carica delle polarità di superficie per le interazioni con le molecole salivari, anche se studi sull'argomento forniscono risultati positivi [61] (per esempio, procedure di rivestimento "polyelectrolyte multilayer").

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Fattori operatore-dipendenti Nella categoria generale dei fattori operatore-dipendenti viene invece annoverata una serie di aspetti che rivestono una notevole importanza per la possibilità di ottenere una protesi totale dotata di ritenzione e stabilità. Tra questi le impronte, l'azione muscolare, la stabilità masticatoria, l'occlusione-disclusione.

Impronte​ . Con questo termine s'intende il prodotto finale di tutti i passaggi d'impronta (impronta clinica e sviluppo finale di laboratorio fino alla rifinitura e lucidatura del dispositivo finito) ovvero la creazione della prima delle tre superfici del corpo protesico [62], la base di supporto. In questo fattore "impronte" si possono includere tutti gli aspetti clinici e fisici sottointesi, responsabili della realizzazione della ritenzione autonoma. Si producono infatti gli obiettivi pratici menzionati precedentemente (fig. 16a-c): ● ampiezza del supporto protesico; ● adattamento della base di supporto stessa ai tessuti orali; ● sigillo periferico della base, meglio definibile come adattamento del dosso interno marginale.

Il presente elaborato non è volto alla disamina e classificazione delle numerose tecniche d'impronta in protesi totale [38,63- 65] per valutare come sia possibile ottenere i presupposti citati in precedenza; al contrario si limita a sottolineare i vari tipi di errori che possono essere commessi, minando il meccanismo della ritenzione, nelle procedure d'impronta fino alla realizzazione della base finale.

Errori di pressione​ . Quando in precedenza si sono valutati gli aspetti fisici alla base del fenomeno della ritenzione della protesi totale si è visto che la formula di Stephan mostra come la forza di ritenzione tra due superfici piane contigue con un film di fluido interposto (esempio non perfetto ma classico per il rapporto base protesica-tessuti) crolli in maniera inversamente proporzionale al cubo della distanza tra le superfici.

Dato ciò, conoscendo il fenomeno dinamico della resilienza tissutale [66] e il fatto che in un soggetto non parafunzionante il contatto dentale è limitato a circa 17 minuti e mezzo nelle 24 ore [67], sia logica deduzione ritenere che durante le ideali 23 ore e oltre 40 minuti restanti la base protesica giaccia sul supporto mucoso che si presenta in condizione di stasi, non dislocato in alcun punto dalla pressione occlusale, quindi si possa esprimere la massima forza ritentiva (Stephan) se l'adattamento (distanza) base-tessuti è minimo e uniforme. Condizione possibile se in fase d'impronta non si sono registrate dislocazioni/ deformazioni della base tissutale a causa di pressioni [68] (fig. 16a). Il consiglio clinico dovrebbe essere quindi di procedere con una metodica d'impronta di tipo non compressiva sul supporto per registrare meno deformazioni possibili nella futura base. Si ricorda però che, a differenza di quanto affermato da Dykins e Page nel 1942-46, citati da Lucia [69] come sostenitori della non compressione e mucostasi nell'impronta, la letteratura ha mostrato successivamente con Woelfel, come riferito e condiviso da Drucke e Klemt [28], quanto sia impossibile registrare un'impronta senza componente pressoria e di conseguenza priva di alcuna dislocazione dei tessuti molli semplicemente per la massa del materiale d'impronta stesso, banale trasposizione del principio di indeterminazione di Heisemberg dalla fisica al cavo orale. Quest'ultima problematica potrebbe essere rimessa in discussione e trovare nuovi spunti di riflessione oggi con l'avvento delle tecnologie digitali, utilizzate per il rilevamento delle impronte intraoralmente.

Errori di estensione​ . La forza di adesione è direttamente proporzionale alla superficie, stesso concetto evidenziabile nella formula di Stephan. Da ciò è intuibile come la giusta estensione del supporto, oltre a evitare problemi della manifestazione di forze eccessive o irrazionali sui tessuti orali [19], sia buon complemento allo sviluppo della ritenzione. Le metodiche d'impronta utilizzate, in questo caso l'analisi del tracciato della base, dovrebbero essere orientate a ottenere la più ampia superficie possibile nel rispetto dell'azione muscolare​ , ovvero senza far sì che l'estensione della base protesica non possa divenire un fattore destabilizzante. In letteratura vari autori hanno proposto analisi e tecniche per la realizzazione e verifica del tracciato della base protesica; queste sostanzialmente si differenziano (tralasciando ora l'aspetto mucostatico o mucodinamico del rapporto del dosso interno del perimetro della base con i tessuti molli) in relazione all'appartenenza a metodiche statiche, semifunzionali, funzionali a livello dell'estensione oltre la linea mucogengivale (fig. 16b).

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Fig. 16a-c a) Esiti di procedure compressive. - b) Disegno del supporto. - c) Sigillo marginale Errori di adattamento del giunto periferico​ . Secondo alcuni autori [52] le forze capillari che si manifestano al livello del giunto periferico della base protesica rappresentano un importante aspetto della ritenzione della protesi totale. Per poter mantenere minimo il raggio del menisco di saliva interposto a livello del perimetro della base e far sì che questo resista anche durante i movimenti della protesi, come durante il fenomeno della resilienza, una delle condizioni indispensabili è che vi sia un ottimo sigillo periferico. Questo è costituito da: a) un dosso interno che dovrebbe essere ben addossato al tessuto della mucosa alveolare (per esempio, zona dei vestiboli labiali o buccali) a sua volta addossato al piano osseo sottostante, condizione ottenibile con una procedura d'impronta definita "mucostatica" (indicante il rapporto tissutale a livello del giunto periferico) o corretta con una procedura di bordaggio (pressione selettiva); b) un dosso apicale in rapporto con l'azione muscolare; c) un dosso esterno che dovrebbe permettere un suggello buccale (fig. 16c).

Sull'importanza del suggello periferico nelle sue tre componenti (facciale, bordo, periferico) si disquisiva già in passato [37]; oggi tutte le scuole d'impronta sottolineano l'importanza della procedura di verifica dell'adattamento periferico e della correzione mediante un procedimento di bordaggio con vari tipi di materiali [63-66].

Azione muscolare​ . In questo ambito vengono inclusi tutti gli aspetti che possono essere responsabili della generazione di forze stabilizzanti o destabilizzanti (tab. II) sul corpo della protesi totale, quindi agenti in favore o sfavore della ritenzione (fig. 17 schema A). Nello specifico questo è l'ambito in cui si realizza la stabilità statica che deve permettere il mantenimento dei meccanismi di ritenzione.

La responsabilità dell'operatore è quella di rispettare gli equilibri di forze che si vengono a creare sulla seconda superficie della protesi, ovvero la superficie "lucida" [61-64], come viene definita la superficie 36016 Thiene (Vicenza) Via M. Corner, 1 - ☏ 0445 380320 - studiobalestro@pec.it - www.studiodentisticobalestro.com SDB - ECM - FAD - 2014 - 07 - Protesi totale 06 set 2014 - Dott. Balestro Giuseppe TIT - Dr. Peron Carla RGQ - 30/40

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buccale e linguo-palatale del corpo protesico. Quindi la perizia del protesista in fase di realizzazione di questa superficie lucida – anche considerata "ortopedica" in quanto sostitutiva dei tessuti di supporto persi che raccordano la superficie occlusale (terza superficie protesica) con la base di supporto – deve essere quella di collocare tale volume in un corridoio di equilibrio muscolare tra la compagine di muscoli periorali che generano forze centripete e la lingua che produce spinte centrifughe. Questo corridoio prende il nome di "zona neutra"​ e rappresenta anche una guida per il posizionamento delle arcate dentarie [70].

Alcuni autori hanno studiato e utilizzato questo fattore muscolare non solo per non destabilizzare ma per implementare la ritenzione della protesi, rilevando una registrazione funzionale della seconda superficie protesica e realizzandone un corpo finale relativo [71].

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Stabilità masticatoria​ . In questo fattore (fig. 17 schema C) vengono incluse quelle che sono definite "forze di seduta" (tab. I) in grado di implementare la ritenzione in quanto riducono lo spessore dello strato salivare di interposizione e si gestisce l'ottimizzazione sia della stabilità statica sia di quella dinamica quando i denti vengono in contatto (tab. II). Partendo sempre dal presupposto che una protesi possa essere ritentiva, in condizione di stasi o riposo funzionale quando siano presenti il corretto film salivare di interposizione, un buon adattamento base-tessuti, un esteso supporto e un buon sigillo periferico, affinché la ritenzione permanga anche quando si attiva la funzione, come visto per la componete muscolare nel paragrafo precedente, la risultante delle forze che si genera sul tavolato occlusale o meglio ancora su ogni singola unità occlusale deve essere favorevole al mantenimento dei meccanismi ritentivi; da ciò la sommatoria delle forze dislocanti deve essere minore di quelle stabilizzanti perché la ritenzione, se presente, non venga meno. Questa condizione si ottiene montando i denti latero-posteriori delle protesi, dopo un'analisi del rapporto interalveolare e della base ossea sui tre piani dello spazio, in modo tale che il vettore di forza passante per ogni singolo dente non generi una coppia di forze rispetto al supporto causa di un momento della forza che produrrebbe una destabilizzazione della base compromettendo i meccanismi ritentivi diretti (fig. 17 schema B).

Fig. 17 Meccanismi diretti e indiretti governanti la ritenzione

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Fra tutte le scuole di pensiero in protesi totale, quella che maggiormente ha curato questa logica è stata quella svizzera [70], con il professor Gysi prima e il professor Gerber successivamente, quest'ultimo autore del sistema di montaggio dei denti diatorici secondo il principio di staticità singola e multilocale autonoma [34,50,71-73].

Occlusione-disclusione​ . Quest'ultima variabile per la ritenzione di tipo operatore-dipendente rientra nell'ambito degli aspetti di tabella II, focalizzandosi sull'influenza che il contatto dentale antagonista, sia statico per l'occlusione sia dinamico per la disclusione, ha sul rapporto base protesica-tessuti molli, fondamento della ritenzione. Gli elementi destabilizzanti che possono pervenire dalla sfera occlusale – ricordando che con il termine "occlusione" vengono intesi i contatti statici ovvero la mappatura centrica statica – possono essere generati da un errore nella registrazione della relazione orizzontale durante le registrazioni maxillo-mandibolari. Se vi è una differenza tra la posizione mandibolare reale in cui la muscolatura porta il condilo in fossa in posizione fisiologica, rispetto a quella registrata sulla quale si è creata l'intercuspidazione mediante il montaggio dei denti nella protesi, si genereranno precontatti sui versanti cuspidali destabilizzando la base sul supporto, quindi alteranti la ritenzione.

Gli elementi destabilizzanti che invece possono pervenire dalla disclusione o articolazione dentale dinamica vengono generati dalla presenza di una disarmonia tra i movimenti tridimensionali mandibolari guidati dal compartimento articolare e quelli prodotti dalle guide della morfologia dentale. Questa situazione può provocare, per contatti dinamici sbilanciati omolateralmente sulla base protesica, un'oscillazione, quindi un'alterazione del rapporto costante base-tessuti e perdita della ritenzione.

Negli ultimi cent'anni la letteratura ha proposto alcuni concetti per ridurre i possibili problemi riscontrabili nella gestione dell'occlusione e disclusione in protesi totale, che comunque non mettono al riparo dal possibile errore dell'operatore, che sono per l'occlusione il principio di occlusione lingualizzata e per la disclusione la guida bilaterale bilanciata.

L'occlusione lingualizzata, già introdotta in forma rudimentale da Gysi nel 1927 con i denti cross-bite [59] e successivamente sviluppata tra gli altri da Payne [59], costituisce una semplificazione della logica occlusale [59,69,71,73] volta a limitare i contatti centrici sul versante palatale per l'arcata superiore contro un contatto in fossa nell'arcata inferiore; ciò porta nella maggior parte dei casi a una semplificazione morfologica con contatto cuspide-fossa, a una riduzione delle componenti orizzontali delle forze che si trasmettono alla base durante il contatto dentale.

La disclusione bilaterale bilanciata [49,70-73] fu introdotta da Gysi all'inizio dello scorso secolo e a oggi attuale e auspicabile trova applicazione trasversalmente al tipo di morfologia occlusale scelta (denti anatomici, semianatomici, lingualizzati, geometrici, non anatomici ecc.) e centra il suo razionale nel concetto di mantenere sempre almeno un tripode di contatto bilateralmente sull'arcata durante i movimenti eccentrici, ciò per preservare – come visto nel resto dell'articolo – un rapporto costante base protesica-tessuti molli, spessore del fluido interposto e giunto marginale, tutto sinonimo di ritenzione.

Riassumendo, si può quindi affermare che l'operatore, quando le condizioni anatomo-fisiologiche del paziente lo permettono, al fine di cercare di ottenere una protesi totale ritentiva in maniera autonoma, dovrebbe curare con attenzione lo sviluppo dell'impronta nelle sue due componenti base di supporto e zona neutra, per creare i presupposti ritentivi e di stabilità statica. A complemento dovrebbe poi progettare un montaggio dentale e una logica occluso-disclusiva che non generino interferenze, ma si armonizzino stabilizzando a sua volta le protesi durante la funzione.

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7 Conclusioni La domanda di mercato di protesi totale sembra mantenersi costante a discapito della riduzione della prevalenza dell'edentulismo nella popolazione generale, probabilmente in considerazione dell'effetto controbilanciante dell'aumento del numero di anziani e delle condizioni socioeconomiche generali in cui versa questa fascia definita debole, a reddito fisso e basso, secondo le indicazioni degli istituti statistici.

Questo aspetto, da un lato, e l'evoluzione della figura dell'edentulo, dall'altro, sempre più in là con gli anni e fragile con condizioni anatomo-fisiologiche del cavo orale più complesse, rendono auspicabile una maggiore attenzione nella ricerca dei fattori implicati nell'ottenimento della ritenzione e/o stabilità della protesi totale.

Nonostante ormai da anni la letteratura abbia proposto e validato protocolli di riabilitazione dell'edentulismo totale di tipo ibrido, che sfruttano l'utilizzo di sistemi ausiliari, come le overdenture ritenute da impianti, non sempre oppure non sempre nelle proporzioni auspicabili è possibile attuare questi sistemi, a causa di fattori contingenti non solo di natura clinica. Per tale motivo viene sottolineata l'importanza della fase anamnesticodiagnostica al fine di poter inquadrare prima possibile il paziente in rapporto al protocollo più indicato per la prognosi da un punto di vista sia fisiologico sia psicologico, come pure l'importanza della creazione di una corretta impronta, di un corretto supporto e sviluppo del corpo protesico e di un'attenta analisi nella fase di montaggio dei denti e progettazione dell'occlusione e disclusione, al fine di ottimizzare la ritenzione e la stabilità protesica.

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Questionario di valutazione dell’apprendimento IN QUALE ANNO ❏ ❏ ❏ ❏ ❏

È STATO INTRODOTTO IL METACRILATO PER LA PREPARAZIONE DI BASI PROTESICHE? 1957 1927 1937 1947 1967

L’OBIETTIVO CLINICO DI REALIZZARE UN SIGILLO IL PIÙ PICCOLO E STABILE POSSIBILE A LIVELLO DEL PERIMETRO DELL’AREA DELLA BASE PROTESICA SI BASA SULLA: ❏ coesione ❏ tensione superficiale ❏ capillarità ❏ bagnabilità ❏ adesione LINEE GUIDA E INFERIORE: ❏ ❏ ❏ ❏ ❏

LETTERATURA SCIENTIFICA INDICANO COME STANDARD DI CURA NELL’EDENTULIA TOTALE un’overdenture ritenuta da 8 impianti un’overdenture ritenuta da 2 impianti un’overdenture ritenuta da 4 impianti una riabilitazione fissa su 6 impianti una protesi a solo appoggio mucoso

PER L’OTTENIMENTO DI UNA RITENZIONE È INDISPENSABILE: ❏ il miglior sigillo periferico possibile ❏ un film salivare di viscosità e spessore adeguati ❏ tutte le risposte sono corrette ❏ il miglior adattamento possibile della base ai tessuti di supporto ❏ la più ampia base di appoggio compatibile alla funzione muscolare ESACLOROFENE, SODIO TETRABORATO, ETANOLO SONO COMPONENTI DI ALCUNI ADESIVI PER PROTESI IMPIEGATI PER LE LORO PROPRIETÀ ❏ emollienti ❏ coloranti ❏ tensioattive ❏ antisettiche ❏ adesive PER “RITENZIONE” DI UNA PROTESI TOTALE S’INTENDE: ❏ la capacità di resistere a una forza di rimozione che agisce perpendicolarmente all’asse d’inserzione ❏ la capacità di resistere all’azione dislocante di stress funzionali con componenti di forza orizzontali o rotazionali ❏ la capacità di resistere a una forza di rimozione che agisce lungo l’asse d’inserzione ❏ la capacità di non provocare dolore o danni alle basi mucose in presenza di stress funzionali ❏ la capacità di tenere durante la masticazione TRA LE SEGUENTI ASPETTATIVE DEL PAZIENTE NEI RIGUARDI DI UNA PROTESI TOTALE, È DA CONSIDERARE LA PRIMA IN ORDINE DI IMPORTANZA: ❏ che sia efficiente nella masticazione ❏ che non faccia male ❏ che non si “muova” 36016 Thiene (Vicenza) Via M. Corner, 1 - ☏ 0445 380320 - studiobalestro@pec.it - www.studiodentisticobalestro.com SDB - ECM - FAD - 2014 - 07 - Protesi totale 06 set 2014 - Dott. Balestro Giuseppe TIT - Dr. Peron Carla RGQ - 38/40

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❏ che costi poco ❏ che sia “naturale” di aspetto LE METODICHE D’IMPRONTA DOVREBBERO ESSERE ORIENTATE A OTTENERE: ❏ la più ampia superficie possibile nel rispetto dell’azione muscolare ❏ la massima compressione sui tessuti molli ❏ la massima dislocazione dei tessuti molli ❏ tutte le risposte sono corrette ❏ la minore superficie possibile nel rispetto dell’azione muscolare QUALE ❏ ❏ ❏ ❏ ❏

I SEGUENTI NON È DA CONSIDERARSI UN PRESIDIO PER LA RITENZIONE CON SISTEMI AUSILIARI? film salivare ventosa o camera di sussione dispositivi magnetici zavorra impianto osteointegrato

QUALI TRA LE SEGUENTI CONDIZIONI NON È UN FATTORE CAPACE DI RIDURRE IL FLUSSO SALIVARE? ❏ apparecchi ortodontici ❏ terapie farmacologiche ❏ sindrome di Sjögren ❏ terapia radiante del distretto testa-collo ❏ patologie delle ghiandole salivari QUALE FATTORE FISICO CORRELATO ALLA RITENZIONE PROTESICA MIGLIORA ALL’AUMENTO DELLA RUVIDITÀ DELLA SUPERFICIE DI CONTATTO? ❏ bagnabilità ❏ tensione superficiale ❏ coesione ❏ adesione ❏ capillarità L’ESPRESSIONE “ZONA NEUTRA” INDICA: ❏ un insieme di forze stabilizzanti che si annullano ❏ la superficie masticatoria della protesi totale ❏ la connessione tra protesi e impianto ❏ l’insieme delle superfici mucose su cui poggia la protesi ❏ un corridoio di equilibrio muscolare tra la compagine dei muscoli periorali e la lingua IL PROTOCOLLO DI VALUTAZIONE PROGNOSTICA DELLE PROTESI TOTALI IDEATO DA McGARRY ANALIZZA PREVALENTEMENTE: ❏ l’aspetto organico ❏ il profilo psicologico ❏ il vissuto pregresso ❏ le aspettative ❏ il grado di elaborazione del lutto per la perdita dei denti L’USO PROLUNGATO DI QUALI FARMACI PUÒ DETERMINARE L’INSORGENZA DI DISCINESIE LINGUALI POCO COMPATIBILI CON UNA PROTESI TOTALE INFERIORE RITENTIVA? ❏ neurolettici e/o antidepressivi ❏ antimicotici ❏ ACE-inibitori ❏ bifosfonati ❏ antidolorifici oppiacei 36016 Thiene (Vicenza) Via M. Corner, 1 - ☏ 0445 380320 - studiobalestro@pec.it - www.studiodentisticobalestro.com SDB - ECM - FAD - 2014 - 07 - Protesi totale 06 set 2014 - Dott. Balestro Giuseppe TIT - Dr. Peron Carla RGQ - 39/40

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LE PRIME TESTIMONIANZE CIRCA L’ESISTENZA DI PROTESI TOTALI RISALGONO: ❏ a miniature del Quattrocento ❏ a reperti inca ❏ a scritti del I secolo dopo Cristo ❏ a geroglifici egiziani del V secolo prima di Cristo ❏ ad articoli medici del Settecento L’INSIEME DI FENOMENI DOVUTI ALLE INTERAZIONI FRA LE MOLECOLE DI UN LIQUIDO E UN SOLIDO È DETTA: ❏ adesione ❏ bagnabilità ❏ capillarità ❏ tensione superficiale ❏ coesione NEL CORSO DI MOVIMENTI MANDIBOLARI, MIMICI, DELLA FONAZIONE O DI QUELLE CHE SONO CHIAMATE FASI INTERLOCUTORIE DELLA MASTICAZIONE, SI PARLA DI: ❏ stabilità dinamica ❏ tenuta funzionale ❏ stabilità statica ❏ ritenzione statica ❏ ritenzione dinamica I SOGGETTI EDENTULI IN ITALIA SONO: ❏ tutte le risposte sono giuste ❏ il 34,8% nella fascia d’età 70-74 anni ❏ il 60% in età superiore a 80 anni ❏ il 46,3% nella fascia d’età 75-79 anni ❏ il 22,6% nella fascia d’età 65-69 anni PER “STABILITÀ” DI UNA PROTESI TOTALE S’INTENDE: ❏ la capacità di resistere all’azione dislocante di stress funzionali con componenti di forza orizzontali o rotazionali ❏ la capacità di resistere a una forza di rimozione che agisce lungo l’asse d’inserzione ❏ la capacità di tenere durante la masticazione ❏ la capacità di non provocare dolore o danni alle basi mucose in presenza di stress funzionali ❏ la capacità di resistere a una forza di rimozione che agisce perpendicolarmente all’asse d’inserzione I PRESIDI ADESIVI: ❏ risultano utili solo in presenza di protesi congrue da un punto di vista anatomico e funzionale ❏ sono di comprovata efficacia in termini di miglioramento della ritenzione e della stabilità ❏ perché siano efficaci è necessario che il manufatto venga preparato seguendo particolari accorgimenti ❏ sono oggetto di brevetti a partire dal Settecento ❏ sono componenti della ritenzione autonoma

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