Ruderi della Chiesa di San Floriano a San Vito di Cadore

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PROVINCIA DI BELLUNO COMUNE DI SAN VITO DI CADORE

“EX CHIESA DI SAN FLORIANO” – CHIAPUZZA SAN VITO DI CADORE (BL) VERIFICA DI INTERESSE CULTURALE -

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Relazione Documentazione cartografica Documentazione fotografica e grafica

Studio Baldin

Committente:

Regola di Chiapuzza e Costa di San Vito di Cadore Relatore:

architetto Marino Baldin Architetto Marino Baldin

Data

Collaboratori:

grafico Lara Manente

Studio: Via Camuffo N.57 – 30174 Mestre (VE) – Tel. e Fax 041 5041661 – cell. 347 2323083 – E_mail.: marino.baldin@virgilio.it

Settembre 2010


Studio Baldin

EX CHIESA DI SAN FLORIANO - CHIAPUZZA DI SAN VITO (BL) ANALISI STORICA: La ex chiesa di San Floriano è situata a Chiapuzza di San Vito di Cadore, lungo la “strada regia”, l’antico percorso che collegava il Tirolo al Veneto e che si intravede correre lungo i prati verso Cortina d’Ampezzo per scomparire in presenza di terreni instabili. La località è denominata Vallesella e attualmente si presenta periferica rispetto al centro abitato di San Vito; un tempo invece doveva essere un piccolo ma importante crocevia a cui facevano capo i villaggi dell’odierna San Vito, i villaggi di Ampezzo e forse alcuni altri insediamenti posti in sinistra Boite, tra Chiapuzza e Amprezzo, rimasti sepolti dalle molte frane sotto i ghiaioni della Croda Marcora. Inoltre è probabile che anche le popolazioni cadorine spostatesi oltre Mondeval nella Val Fiorentina avessero come originario riferimento tale chiesa essendo la stessa la più comoda da raggiungere. L’edificio è ai nostri giorni ridotto allo stato di rudere archeologico, ritrovato e restaurato grazie alla volontà e tenacia delle Regole di San Vito che hanno allo scopo finanziato specifiche campagne di scavo archeologico. Come detto si tratta, presumibilmente, della prima chiesa dell’Oltrechiusa, presso la quale confluivano le popolazioni da Vinigo e Peaio, da Ampezzo e da Selva e Pescul attraverso il valico di forcella Forada (questo almeno sino al XII sec., periodo di probabile realizzazione della chiesa di Santa Fosca, matrice della val Fiorentina). Doveva trattarsi di un edificio molto semplice, tuttavia costruito in muratura per poter durare, realizzato secondo un modello costruttivo evolutosi in tutta l’area alpina che può verosimilmente essere paragonato a quello della chiesa di Santa Margherita in Salagona a Vigo di Cadore. La costruzione doveva quindi originariamente possedere una pianta rettangolare in muratura dotata di pochissime aperture. La copertura doveva essere a vista su tutta la navata, realizzata con capriate in legno di abete squadrato a mano e manto di scandole in legno di larice ottenute a spacco, chiodate su una sottostante listellatura ottenuta dallo spacco longitudinale di piante giovani di abete. La storia costruttiva di San Floriano sembra essere comparabile a quella documentata con i recenti scavi dell’originaria chiesa di Santa Giustina ad Auronzo di Cadore, anch’essa distrutta ed edificata con simili caratteristiche e trasformazioni su preesistenze romane che attestano l’antica frequentazione di quei luoghi. Le chiese primigenie si presentavano molto semplici: pianta quadrilatera, aule di modeste proporzioni con un massimo di due finestre e un tetto ripido a due spioventi al fine di non compromettere la statica dell’edificio e ridurre i problemi di manutenzione. L’interno si presentava spesso con pareti dipinte, come dimostra tuttora la citata chiesa di S. Margherita (un metodo impiegato con lo scopo di narrare la storia sacra agli abitanti che non sapevano leggere dai libri) e come documentato anche per San Floriano nella foto di E. De Lotto scattata nel 1940. Antonio Ronzon, che deve la sua fama in particolare alle innumerevoli pubblicazioni dei suoi studi storici sul Cadore, chiarisce infatti che originariamente all’interno della chiesa di S. Floriano le pareti presentavano degli affreschi che a seguito di un ampliamento vennero parzialmente cancellati conservando solo quello raffigurante l'Ultima Cena. Nei secoli XIII e


XIV solitamente l’ampliamento degli edifici religiosi prevedeva lo sfondamento della parete su cui era addossato l’altare, inserendovi la nuova abside pentagonale così come evidenziato dagli scavi archeologici anche nella chiesa di San Floriano. Le nuove chiese gotiche erano quindi caratterizzate da una pianta più ampia rispetto alle precedenti e in alcuni casi da un tetto sempre in legno, ma molto più sporgente, soprattutto sulla facciata, utile per proteggere i fedeli in preghiera anche all’esterno dell’edificio; per la restante struttura si utilizzava muratura in pietra legata a calce che assicurava miglior solidità e durata, e una maggior protezione in caso di incendio. Comparvero anche nell’alto della facciata o sullo spiovente posteriore i campaniletti a vela in legno o in muratura come ad esempio a S. Orsola di Vigo di Cadore; venivano inoltre adottate delle finestre alte e strette per una migliore illuminazione interna e l'impianto architettonico si arricchiva di costoloni, contrafforti e abside mentre il Crocefisso era appeso alla trave tirante posta sull’arco trionfale. Tutti questi edifici religiosi vennero consacrati a diversi santi che avevano il compito di proteggere dalle guerre (“Madonna della Difesa” a S. Vito) o da epidemie (“S. Ermagora e S. Fortunato” a Lorenzago). Alcune chiese erano inoltre arricchite dal sagrato e chiuse esternamente da un muretto e da uno steccato, formando la cosiddetta cortina dei cadorini, ovvero il cimitero (solo con l'editto napoleonico di Saint Cloud, promulgato nel 1804 ed esteso alle province italiane, la sepoltura avrà luogo lontano dalle zone abitate). Gli altari inizialmente si presentavano semplicemente spogli e in legno, che era la materia prima che più caratterizzava la regione, al contrario della pietra buona che scarseggiava; in seguito vennero invece realizzati altari molto più decorati con l’impiego di basi in muratura, di paliotti in legno di rivestimento, di portelle, polittici dipinti e statue in legno di cirmolo intagliato e dorato, finché lo sviluppo della viabilità consentì nuovi impulsi culturali e il conseguente utilizzo di altre tecnologie e materiali quali la pietra. Il primo documento relativo alla chiesa di San Floriano risale al 1277, data corrispondente al testamento di Azone di Giovanni di Colle di Ampezzo, che parla esplicitamente della chiesa, come pure una successiva pergamena del 1367 custodita nell’archivio del Comune di San Vito; inoltre altre molteplici testimonianze ne attestano l’importanza soprattutto in relazione alla posizione geografica. Antonio Ronzon nel 1876 parla della chiesa di San Floriano come della più antica d’Oltrechiusa: teoria confermata sia dalla tradizione orale che dal Belli; quest’ultimo oltretutto aggiunge che si trattava del luogo di incontro tra i pellegrini provenienti da Ampezzo, da Pescul e da Selva, datando allora la chiesa attorno al XII secolo. Osvaldo Menegus, nonostante i pochi elementi e la scarsissima documentazione disponibile, sostiene la preesistenza di San Floriano rispetto alla chiesa matrice di San Vito ritenendo che l’attuale ubicazione nella periferia del paese costituiva prima del XIII secolo il centro dell’Oltrechiusa, dove una serie di piccoli villaggi congiungevano Chiapuzza con Ampezzo. Il cadorino Tiziano De Vido Coléti, che ebbe possibilità di studiare la struttura dell’edificio antecedente alla prima guerra mondiale, afferma che “non appare sbagliato il supporre che fosse anteriore al Mille”; L’altare, secondo le memorie del notaio Taddeo Jacobi dei secoli XVIII-XIX, era di legno intagliato e dorato, ciò nonostante non antico; su di esso vi erano tre tavolette dello stesso materiale, dipinte a tempera nel XV secolo da diversi autori che rappresentarono San Floriano e altri santi, Cristo Crocifisso, una Madonna col bambino, ecc. (l’autore ipotizzava inoltre che forse erano celate delle pitture ancora più antiche). Nel libro “S. Vito, Borca, Vodo e Venas nella storia cadorina” Vincenzo Menegus Tamburin, ribadisce quanto citato dal Belli e parla di S. Floriano come del primo patrono sia della centuria sanvitese che dell’Ampezzano, dove il santo era particolarmente


venerato. S. Floriano viene descritta come una semplice rettoria suffraganea della matrice di Pieve dove sembra che si svolgessero nei giorni delle rogazioni le processioni propiziatorie: un fatto rilevante che accadeva abitualmente nei paesi d’Oltremonte, da Ampezzo e da Vinigo. Dai 4 documenti allegati nella relazione di V. Menegus estratti dagli Atti del Centenaro, risulta che San Vito e San Floriano sono i due compatroni, desumendo in questo modo che le due chiese sono quanto meno coeve. La disposizione dei nomi, Vito e Floriano, non vuol far intendere nessun tipo di anzianità, ma secondo l’autore, la priorità di S. Floriano su S. Vito dipende soprattutto da ragioni di ubicazione dei due templi: la chiesa di San Floriano infatti risulta quasi equidistante dalla Chiusa di Venas e dal Castello di Botestagno e quindi presumibilmente si tratta del primo edificio di culto realizzato nella valle. Secondo V. Menegus la chiesa di S. Floriano venne edificata molto probabilmente al centro dell’area popolata dell’Oltrechiusa nell’ultima fase del dominio franco, ovvero nel IX secolo; si può quindi pensare all’inizio di quel periodo delle processioni propiziatorie tenute in vita dagli ampezzani anche dopo la suddivisione territoriale del Cadore o alla preferenza del culto di San Floriano, “ausiliatore” per gli incendi e per le inondazioni, rispetto a San Vito. Il culto di Floriano è originario dell’Austria, il luogo di nascita e di morte del martire, e della vicina Baviera, dove nel XV secolo gli fu attribuito anche il patronato e la protezione contro gli incendi. Nel racconto della Passio, Floriano era un veterano dell’esercito romano, viveva a Mantem presso Krems ed esercitava segretamente la religione cristiana. Durante la persecuzione promossa da Diocleziano nel 304, Floriano venne a sapere che a Lorch quaranta cristiani erano stati arrestati e condannati a morte, e decise così di raggiungerli e di condividere la loro sorte: giunto nella città, si imbatté in un gruppo di soldati , ai quali manifestò di essere cristiano; dopo essere stato interrogato e fatto torturare, venne gettato nel fiume Enns con una pietra legata al collo. La sentenza venne effettuata il 4 maggio 304 e il corpo del martire venne ritrovato e seppellito successivamente da una donna di nome Valeria. La particolare morte estese la protezione di Floriano anche alle vittime delle inondazioni, aggiungendo la mola agli altri attributi che ricordano la sua condizione da soldato, come lo scudo, la spada e la bandiera. La sua importanza crebbe talmente tanto che venne sostituito o affiancato a San Lorenzo, fino a quel punto invocato contro le fiamme. Queste raffigurazioni ebbero tuttavia un carattere popolare tanto che venne soprattutto raffigurato nei villaggi dell’alta Austria e nelle vicine regioni bavaresi sulle fontane pubbliche, sui muri delle case, delle piccole chiese e delle piccole cappelle di campagna. Sulla tomba del santo martire di Lorch venne costruita una chiesa, inizialmente affidata ai Benedettini e più tardi passata ai Canonici Regolari Lateranensi ed ora risulta il centro di una fiorente Congregazione. Quest’opera è valutata come uno degli edifici più belli del barocco austriaco. Nel 1183 alcune reliquie di Floriano vennero portate a Cracovia dove il Duca Casimiro di Polonia edificò in onore del martire una splendida basilica. Attraverso i martirologi storici la festa del santo viene ricordata il 4 maggio, data tradizionale della sua morte, avvenuta nel 304. A differenza di San Vito che presenta delle informazioni biografiche e iconografiche molto confuse, San Floriano soprattutto nell’iconografia è sempre riprodotto minuziosamente: solitamente lo si vede in veste di soldato nell’atto di spegnere un incendio; nella mano destra tiene una brocca d’acqua o un altro contenitore, mentre con la mano sinistra in atteggiamento militare regge un’asta che ha alla sommità una drappella triangolare di color rosso con croce latina bianca. Tutte queste caratteristiche del santo sono disseminate nell’Alto Adige, nell’alto Agordino, in tutta l’Austria e nella Baviera.


La situazione conservativa della chiesa di S. Floriano è riportata in un articolo sulla rivista bimestrale Cadore del settembre-ottobre 1941, dove viene definita “antica” perché pensata come la più vecchia d’Oltrechiusa e anche la matrice di tutte le altre chiese. Nel 1912 la chiesa era ancora sufficientemente conservata e considerata un monumento nazionale, tuttavia nel 1917, in seguito agli sconvolgimenti della prima guerra mondiale, fu adibita a deposito proiettili ed esplosivi e il 4 novembre dello stesso anno lo stesso esercito italiano, durante la ritirata conseguente alla rotta di Caporetto, la fece saltare con l’intento di frenare l’invasione e sottrarre al nemico una preda di guerra. Dopo la deflagrazione l’area sacra venne abbandonata e solo in seguito alle insistenze del prof. Renato Pampanini, originario del luogo, fu realizzata una tettoia provvisoria per riparare l’affresco trecentesco raffigurante la Cena con gli apostoli, situato sul quasi intatto muro perimetrale posto a monte. Una riparazione durata solo alcuni anni poiché non più seguita da manutenzione. Il Ronzon, il Feruglio e il Brentari sono tutti autori che ricordano alcune opere all’interno della chiesa, come l’affresco con la cena degli apostoli e un dipinto rappresentante il santo. Altre opere, come quadri, messali, croce astile, e il paliotto dell’altare con San Floriano su cuoio, sembrano essere state rimosse dal luogo sacro negli anni della guerra, ma sono poi andate disperse e perdute. Le murature di tutto l’edificio sono in pietrame legato a calce, realizzate con la tecnica della calce calda (“calce broada” spenta al momento dell’utilizzo e impastata con sabbia locale) mentre la pavimentazione risulta in battuto di calce (“somassa”). Le misure totali sono di circa 16 metri di lunghezza e di 7 metri di larghezza; internamente la navata misura 11 metri. L’opera, situata in fondo al paese, è orientata longitudinalmente in senso est-ovest come le altre antiche chiese della zona, l’altare era posto ad est e la facciata principale è rivolta verso Ampezzo. Nei secoli le modifiche più significative riguardanti l’edificio religioso sono state costituite dall’ampliamento dell’abside, dall’innesto della sagrestia verso valle, dalla costituzione di un controsoffitto nella navata e dalla realizzazione del campanile in legno che presumibilmente ha sostituito l’originale campaniletto a vela. Si può presumere che prima della distruzione l’edificio si presentasse con pareti imbiancate e compatte caratterizzate, come nelle strutture fortificate, dalla prevalenza dell’elemento verticale e dalla sproporzione dei pieni sui vuoti. Doveva trattarsi di superfici imperfette e per questo capaci di rendere più lieve la geometria delle forme e naturale l’adattamento al paesaggio. La copertura molto spiovente originariamente doveva essere visibile dall’interno della navata come nella splendida e antica chiesa di San Nicolò e San Biagio ad Ospitale di Cortina d’Ampezzo appartenuta insieme a quei territori alla regola di Vinigo. La composizione la rendeva quindi, come nella tradizione, fortemente distinguibile ed emergente rispetto all’edilizia abitativa e rurale, solitamente bassa e scura perché realizzata con prevalente uso di legname. Nel periodo precedente ai lavori lo stato del sito si presentava per gran parte immerso nel verde (come nelle foto allegate): erano visibili parte della parete perimetrale interna del lato a valle con due gradini in pietra posti circa in mezzaria, i resti dell’angolo sud-ovest e del pavimento in battuto di calce. La prima campagna di scavo attuata nel 2006 portò in luce altri resti della chiesa evidenziando l’asse longitudinale orientato est-ovest con l’altare situato a levante, l’abside a forma poligonale irregolare rialzato di quota rispetto alla navata, il pavimento formato da battuto di calce (“somassa”), l’innesto di una struttura muraria sul lato a monte presso l’abside e verso valle, in prossimità dei due gradini in pietra (porta secondaria), una struttura muraria che probabilmente serviva come sacrestia. Tra giugno e ottobre 2009 si svolse una seconda campagna di scavi che articolava una serie di sondaggi archeologici


stratigrafici nei resti della chiesa e nelle aree esterne Nord, Sud e Ovest, messe in luce con i lavori precedenti. Nel settore sud sono stati ritrovati resti di quattro strutture murarie costituite da massi calcarei di medie e grandi dimensioni disposti trasversalmente rispetto all’orientamento del muro, relativi ad un insediamento di probabile epoca tardo romana, con frequentazione protrattosi sino all’alto medioevo, coperti dalla successiva costruzione di San Floriano. I resti delle strutture murarie risultavano in stato di parziale demolizione o rasatura (fino ad una quota di ca. -50 cm al di sotto del livello della soglia della chiesa). La fase di abbandono e crollo del sito tardo romano è testimoniata dagli strati di riporto successivamente eseguiti con lo scopo di ricoprire e bonificare l’area. Da questo settore provengono i ritrovamenti più importanti per la datazione del sito: dalla parte più profonda di questi strati proviene una moneta in bronzo della seconda metà del terzo secolo d.C.; dalla parte più superficiale provengono invece materiali di vario genere ed epoca: lacerti di intonaco affrescato rinascimentale, frammenti di cotto e una moneta in bronzo di epoca medievale. Nel settore nord è stata invece ritrovato una strato di riporto per la preparazione del piano di cantiere medievale di San Floriano; questo strato è tagliato dalla fondazione del muro perimetrale nord della chiesa, mentre sotto un livello di crollo che copre uno strato di incendio è stato individuato un secondo e più recente taglio di fondazione e relativo riempimento determinato dalla parziale ricostruzione della chiesa con l’aggiunta dell’abside poligonale di epoca rinascimentale. Nel settore ovest è stato individuato un lacerto del primo livello della chiesa della fase medievale, il taglio e il riempimento di fondazione della facciata ovest e della soglia di ingresso (vicina a quella attuale). Alla fine dei lavori gli scavi rivelavano una pianta molto semplice costituita da un unica navata conclusa con un abside di forma pentagonale la cui quota, insieme alla sacrestia, è posta ad un livello superiore rispetto al pavimento della navata. Nell'abside risulta chiara la posizione dell'altare poiché la zona centrale è più deteriorata. Tutta la pianta è circondata da porzioni dei muri perimetrali. Nel muro occidentale si può scorgere un'apertura, presumibilmente l'ingresso principale della chiesa (come nella tradizione, posizionato nella facciata ad ovest); nel muro a sud si vedono precisamente due gradini con affianco una stanza che presumibilmente era la sacrestia; nel muro a nord, con la seconda campagna di scavo è stato ritrovato un altro frammento di forma irregolare, che sembra corrispondere al basamento di un campanile. I resti della chiesa di San Floriano costituiscono uno dei reperti più antichi e significativi del processo di cristianizzazione dell’area dolomitica e un’importantissima testimonianza dell’evoluzione insediativa del Cadore e di San Vito in particolare.-


DOCUMENTAZIONE CARTOGRAFICA


ESTRATTO DI MAPPA Comune di San Vito di Cadore Foglio n. 17 – Scala 1:2000


CATASTO NAPOLEONICO 1816


CATASTO AUSTRIACO CIRCA 1850


COROGRAFIA - Scala 1:25.000


DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA


STATO DEL SITO PRIMA DELLA CAMPAGNA DI SCAVO


STATO DEL SITO PRIMA DELLA CAMPAGNA DI SCAVO


1 - Altare maggiore 2 - Affresco “Ultima Cena” 3 - Sacrestia

PIANTA – IPOTESI PRIMA DEGLI SCAVI


PRIMA CAMPAGNA DI SCAVO


PRIMA CAMPAGNA DI SCAVO


PRIMA CAMPAGNA DI SCAVO


PRIMA CAMPAGNA DI SCAVO


SECONDA CAMPAGNA DI SCAVO


SECONDA CAMPAGNA DI SCAVO


DOCUMENTAZIONE GRAFICA


PIANTA E SEZIONE NORD-SUD


PROSPETTO NORD – IPOTESI


REPERTI


CLASSIFICAZIONE DEI REPERTI DELL’AFFRESCO PARIETALE


CLASSIFICAZIONE DEI REPERTI DELL’AFFRESCO PARIETALE


RESTI DELL’AFFRESCO PARIETALE NEL 1940 (Foto di proprietà del dott. E. de Lotto)


MONETE


REPERTI


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